Una famiglia imperfetta (estratto) di Nicola D'Attilio, Edizioni San Paolo

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Clelia e Diego. Lei è la maestrina seria e un po’ noiosa, lui è l’esperto di marketing che si accompagna a una donna diversa ogni weekend: basta una strana notte e i due si troveranno uniti a fronteggiare l’inaspettato. Inaspettato è quel bambino che cresce nella pancia di Clelia e che lei non vuole; inaspettato è il mondo di Diego che frana come un castello di carte; inaspettati sono i misteri che la gravidanza scoperchia, tra stramberie e problemi di amici e famigliari. Inaspettata è la vita che cambia senza che tu sia pronto, e chissà che alla fine non abbia ragione lei. Con un intreccio di vicende ad alto contenuto emotivo e di situazioni divertenti, l’esordio di Nicola D’Attilio è un romanzo, leggero e profondo a un tempo, sull’amicizia e la famiglia; un manuale su come stare uniti e costruire la perfetta famiglia imperfetta.

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Nicola D’Attilio

UNA FAMIGLIA IMPERFETTA

Romanzo

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Tutti i diritti delle opere di Nicola D’Attilio sono trattati

da Agenzia Letteraria Internazionale, Milano, Italia.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

www.edizionisanpaolo.it

Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9484-7

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A Francesca, Diego e Diana.

Primavera non bussa, lei entra sicuracome il fumo lei penetra in ogni fessuraha le labbra di carne e i capelli di grano

che paura, che voglia che ti prenda per manoche paura, che voglia che ti porti lontano.

(F. De André, Un chimico)

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PRIMA PARTE

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– Dimmi che stai scherzando.

Anna sapeva perfettamente quanto Margherita non avesse

il minimo senso dell’umorismo, ma aveva il disperato biso-

gno di una prova d’appello.

– No, no, mamma: è incinta. Incintissima. Mi ha spiattella-

to in faccia il test.

– Non vedo cosa ci sia di così negativo, – disse Andrea.

– Mi ha quasi infi lato il test nel naso, papà.

– Non vedo cosa ci sia di così negativo nella gravidanza.

Anna fi ssò il marito aggirarsi per la cucina in pigiama carta

zucchero: a parte l’evidenza di quel regalo sbagliato (non se

ne sarebbe mai pentita abbastanza), non capiva il motivo per

il quale insistesse nel prepararsi la colazione con la massima

tranquillità e la solita meticolosa cura.

– Non è certo la notizia che ti aspetti di ricevere appena

sveglia. Dovevamo pure andare al Carlo Felice: c’è l’Opera,

stasera.

Andrea si chinò sui fornelli e accese il fuoco sotto la moca.

– Non ci andiamo più? – disse, senza distrarre lo sguardo,

probabilmente attratto da qualche effervescenza della fi am-

ma o dalle sfumature dell’acciaio.

Anna allontanò da sé la tazza ancora fumante, e si strinse

nella vestaglia.

– Tua fi glia è incinta: hai capito?

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– Ha trentadue anni, mica tredici.

– La smetti di fi ssare quella dannata caffettiera? Non sape-

vamo nemmeno che si vedesse con qualcuno!

– Non si vede con nessuno, – disse Margherita.

– Non si vede con nessuno?

– Me lo ha detto lei.

– Te lo ha detto lei?

Anna trovava naturale fare eco alle parole della fi glia, ma

capì che avrebbe dovuto smettere.

Margherita si servì di una delle sedie della cucina e pescò

un biscotto dal pacco dei Tarallucci sul tavolo. Ad Anna diede

sui nervi la noncuranza di quel gesto.

– Con qualcuno si sarà ben vista – disse Andrea. Recuperò

fi nalmente una postura corretta. Si voltò verso la fi glia e le

indirizzò un cenno.

– Ho già fatto colazione con Clelia, – rispose lei. – Era così

disperata che non ha quasi toccato niente: ho dovuto fi nire

tutto io.

Anna osservò la fi glia esibirsi in uno dei suoi sorrisini in-

fantili, del tutto inadeguati per una donna di trentaquattro

anni. La trovò irritante quanto l’odore di caffè che aveva riem-

pito tutti gli spazi della cucina.

– Solo persone senza sale in zucca potrebbero fare colazio-

ne come se nulla fosse.

– Non c’è niente di male a rimanere incinte: è la natura, in

fondo, – disse Margherita.

– Si dovrebbe rimanere incinte dopo aver conosciuto un

uomo e aver quantomeno valutato l’ipotesi di fare fi gli con

lui.

– Oggi a chi vuoi che importi se rimani incinta di uno sco-

nosciuto, mamma? Forse cent’anni fa...

– Il mondo è sempre lo stesso, – disse Anna nel tentativo

di salvarsi dall’immersione in un oceano di vecchiaia e inade-

guatezza, – sempre lo stesso.

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Andrea versò il caffè nella tazzina e prese posto a tavola tra

le due donne. Il tavolo non offriva un lato abbastanza spazio-

so, perciò Anna dovette spostarsi trascinando la sedia.

– Sai, – disse Andrea rialzandosi subito, – se avessi dovuto

scommettere su chi tra te e tua sorella fosse rimasta incinta in

questo modo, non avrei avuto dubbi.

– Avresti vinto? – chiese Margherita, seria. Anna si doman-

dò come potesse essere fi glia sua.

Andrea aprì il pensile accanto al frigorifero e lo studiò: –

No, certo.

– Papà! – Margherita raggiunse il padre e appoggiandosi

alla sua spalla spiò anche lei all’interno del mobile. Si mise in

punta di piedi, nonostante non ne avesse bisogno.

– Cosa cerchi?

– Non saprei, in effetti, – disse Andrea.

– La crostata è fi nita, – sospirò Anna.

Andrea tornò a sedersi. Prese la confezione di Tarallucci

sul tavolo, la soppesò e scelse un biscotto; lo inzuppò nel

caffè.

– Quanti ragazzi hai portato a casa, negli anni? Non l’ho

mai confessato, ma all’inizio li segnavo tutti su un blocco. Al

terzo ho smesso; di blocco, intendo.

– La smetti di scherzare? – disse Anna. Avrebbe continua-

to, ne era certa.

– E chissà quanti ne avrà frequentati in questi cinque anni

che non vive più con noi.

– Che male c’è? – disse Margherita.

– Nessuno, per carità, sai quanto ami la tua vitalità; ma

Clelia ha continuato a vedersi con Alex fi no alla scorsa prima-

vera. Naturale scommettessi su di te.

– Abbiamo due modi differenti di vivere la nostra passio-

nalità.

– Non è il momento di discutere di passionalità, – li inter-

ruppe Anna.

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– C’entra sempre la passionalità, mica siamo di legno – dis-

se Andrea, dopo l’ultimo sorso di caffè.

Anna si sentì osservata da uno sguardo divertito: era certa

non contenesse malizia, né cattiveria, ma non per questo lo

detestò di meno.

– Mi compiaccio che una tale notizia ti crei questo brio.

Andrea rimestò con il cucchiaino lo zucchero sul fondo

della tazzina.

– Diventeremo nonni, animo. È un fatto che dovrai accetta-

re, prima o poi; ci sono cose peggiori.

– Non lo metto in dubbio.

E invece sì, lo metteva in dubbio. Aveva sperato che, prima

o poi, i fi gli avrebbero smesso di rappresentare un problema;

che si sarebbero rassegnati a farli invecchiare serenamente la-

sciandoli soli a godersi una terza età fatta di crociere, viaggi,

relax. E ora, un nipote avrebbe fatto schiantare a terra gran

parte di questi sogni.

– Nonna Anna, – ridacchiò il marito.

– Non ho nessun problema con questo. Diventare nonni è

una benedizione.

Era facile: avrebbe dovuto ripeterlo per i prossimi mesi e

anni, sino a metabolizzarlo del tutto. E certamente aveva ragio-

ne Andrea sulla maturità dei tempi: sua madre si era trasforma-

ta in nonna ben prima di lei, che in fondo lo sarebbe diventata

all’età di... no; meglio evitare questo genere di conti e paragoni;

sarebbe stata una nonna giovane; alla peggio giovanile. Punto.

– Forse è proprio di Alex, il fi glio, – ipotizzò Andrea. – For-

se si sono rimessi insieme.

– Per carità, papà: solo il cielo sa come abbia potuto tener-

selo tanto a lungo.

Anna assentì. Il processo di maturazione di quel ragazzo

si era inceppato intorno ai vent’anni: naturale che fosse scap-

pato a gambe levate quando Clelia aveva iniziato a parlare

di casa e convivenza. Margherita agguantò un altro biscotto.

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– E comunque, – continuò, – fosse stato lui me lo avrebbe

detto, o lo avrei capito.

Anna assentì nuovamente, non tanto per le capacità dedut-

tive della fi glia, quanto perché certa che Clelia non sarebbe

mai tornata con uno così.

– E poi, non avrebbe questa idea di abortire, – concluse

Margherita.

Anna impiegò qualche secondo per elaborare la notizia:

sfruttò quel tempo per allontanare il pacco di biscotti dalla

fi glia, prima che glieli fi nisse. Poi fi ssò la tazza di tè e capì che

non l’avrebbe fi nita.

– Vuole abortire? – disse Andrea. Se non altro quelle paro-

le contribuirono a togliergli dalla faccia il sorrisino di supe-

riorità. – Non diventeremo nonni? – ripeté. Si era ingobbito

e con le mani raccoglieva meccanicamente le briciole sul ta-

volo.

– È per questo che sono corsa qui, che credevate? Ho detto

a Clelia che andavo a comprarle della focaccia, mentre si ripo-

sava un po’; mica per la gravidanza, quella è una non notizia;

si scopre da sé, col tempo. L’aborto non lo scopri, se nessuno

te lo vuole dire.

– Perché tua sorella vorrebbe abortire? – disse Andrea. Ver-

sò le briciole nella tazzina.

Margherita scrollò le spalle, poi si allungò nuovamente per

afferrare il pacco di biscotti fuori portata.

– In effetti, ha un suo senso. – Anna si sentì pronunciare

quelle parole, pur non avendone intenzione; però era vero:

pur considerandola una scelta di pancia, non le sembrava

così campata per aria. Se non altro, ricomparivano all’oriz-

zonte le vacanze al Club Med o il viaggio in Argentina.

– Non dire stupidaggini, – le rispose suo marito. Si alzò,

facendo scivolare rumorosamente la sedia sulle piastrelle di

gres. Prese la tazzina e la posò nel lavello senza la consueta

delicatezza.

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– Non la condivido certo, – provò a difendersi Anna, – ma

posso capirne il motivo, ho detto solo questo.

– Tu rivuoi la tua giovinezza e pensi che un nipote te la

tolga, – la incalzò Andrea.

– Me lo ha detto mentre facevamo colazione, – disse Mar-

gherita.

– Ora sei tu a dire stupidaggini, – disse Anna cercando di

scacciare le tentazioni. – Dovremo farle cambiare idea.

– Ci sono rimasta malissimo: io adoro i bambini, giuro.

– Al diavolo! – esclamò Andrea tornando a sedersi. – Aspet-

to da anni di poter giocare ai soldatini con un nipotino.

– Sembrava molto convinta.

– Conosci tua sorella, – disse Andrea, – se si mette in testa

una cosa è fi nita.

– È coerente.

– È stupida, – ribatté Anna.

– Non è la stessa cosa? – chiese Margherita.

Anna si alzò e raccolse i resti della colazione sul tavolo.

Da qualche parte aveva letto quanto fare le pulizie e risiste-

mare casa fossero attività utili alla stimolazione del pensie-

ro. Non si ricordava effetti del genere, ma poteva essere col-

pa della presenza, due volte a settimana, della donna delle

pulizie.

– Ti arrendi così? – disse avvicinandosi al marito.

– È una decisione che spetta a lei.

Si era affl osciato dentro a quel pigiama orribile.

– Clelia ha sempre ascoltato i tuoi consigli.

– Solo quando me li ha chiesti.

Anna cercò almeno uno dei motivi che l’avevano convinta

a sposare l’uomo più politicamente corretto del pianeta.

– Andiamo almeno a vedere come sta.

Andrea scosse la testa.

– Finireste per litigare.

– Non è vero.

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Con la mano sinistra, Andrea si prese in sequenza le dita

della destra, per aiutarsi nell’elenco: – L’aggrediresti; non ti

risponderebbe; diresti qualche cattiveria; ti insulterebbe; fa-

resti per andartene; rimarrebbe ancor più sulle sue posizioni.

– Gli mancò il dito per l’ultima voce.

Margherita si alzò dopo aver gettato uno sguardo all’oro-

logio sopra la televisione. Ciò non le impedì di prendere un

ultimo biscotto. Anna si domandò come potesse rimanere

tanto magra.

– È meglio che vada. Non voglio che sospetti qualcosa se

sto troppo fuori. Appena scoprirà che ve l’ho detto andrà su

tutte le furie.

Anna richiuse lo sportello del pensile e scrollò le tovagliet-

te all’americana nel lavandino.

– Ti ricordi quando ci hai detto della fi ne con Alex? – disse

Andrea.

– Non ci ha parlato per oltre un mese, – sospirò Margherita.

– O quando ci hai spifferato l’incidente con l’auto?

– Mmm...

– O del Capodanno in Costa Azzurra...

– Basta, – li interruppe Anna, – non siete di nessun aiuto.

Andrea la guardò dal basso: – Fino a cinque minuti fa nem-

meno lo volevi, questo nipote, – disse.

– Non ho mai detto una cosa simile.

Anna si chiese il motivo per cui la notizia dell’aborto le aves-

se peggiorato l’umore ancor più di quella sulla gravidanza: era

convinta che un errore non si risolvesse con un altro errore? O

in realtà invidiava che Clelia approfi ttasse di opportunità a lei

negate? Non trovò la sincerità necessaria alla risposta.

– Facciamo qualcosa: scopriamo chi sia il padre e coinvol-

giamolo, per esempio, – propose Anna.

– Non lo trovo corretto, – disse Andrea, scuotendo nuo-

vamente il capo. Fissava il pavimento come volesse contare

tutte le piastrelle.

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– Basta con questa correttezza. Tua fi glia è incinta ed è una

pessima notizia, d’accordo. Ma vuole abortire e questo è un

modo anche peggiore di rovinarsi la vita, lo sai anche tu. Noi

non vogliamo che fi nisca così: vogliamo diventare nonni e

portare il mocciosetto al parco.

– E all’Acquario, – disse Margherita.

– E all’Acquario. Quindi vediamo di fare qualcosa.

– E se Clelia non volesse?

– Non è detto che tua sorella sappia quale sia la cosa mi-

gliore per lei, in questo momento, – rispose Anna. In fondo,

pensava di essere l’unica lì dentro ad avere il diritto di par-

lare.

Margherita sorrise e afferrò la giacca che aveva posato sul-

lo schienale della sedia. La infi lò e si mise la borsa a tracolla.

– Torna a casa; io convinco tuo padre; veniamo da voi e

scopriamo qualcosa su questo benedetto padre, dovessimo

legarla.

– Sono bravissima con i nodi... – ridacchiò Margherita.

– Certe cose preferirei non saperle, – sospirò Andrea.

– Bisogna provare tutto nella vita.

– Va bene, – disse Anna, – parleremo dei massimi sistemi

un’altra volta. – Spinse Margherita fuori dalla cucina e fi no

alla soglia di casa.

– Sarà un successo, mamma, – disse appena prima che la

porta la chiudesse fuori.

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Clelia osservò il poster di Kandinsky sulla parete di fronte

al proprio letto. Assaporò il silenzio nel quale era piombata la

casa una volta uscita Margherita. Era stato facile sbarazzarsi

di lei, scioccandola prima con la storia dell’aborto e poi in-

ventandosi una improvvisa voglia di focaccia.

Si sdraiò sopra le coperte e continuò a fi ssare il poster, la-

sciando che la vista sbiadisse le curve delle linee e le mac-

chie di colore. Come inizio di giornata non era stato granché,

doveva ammetterlo, e qualcosa dentro di lei le garantiva che

tutto poteva ancora precipitare.

Aveva speso la prima ora di veglia dondolandosi sulla taz-

za del water, incapace di staccare gli occhi dal test di gravi-

danza che stringeva tra le mani. Aveva sperato che, raggiun-

gendo una concentrazione perfetta da maestro Yogi, avrebbe

potuto cancellare da quel pezzo di plastica almeno una delle

due righe rosa in bella evidenza. Forse un maestro Yogi non

avrebbe snocciolato una volgarità dietro l’altra per raggiun-

gere l’Illuminazione, e magari quello era uno dei motivi per

cui la riga in eccesso era rimasta al proprio posto.

Recuperato il coraggio di uscire dal bagno si era trovata

davanti il volto pallido e pieno di efelidi di Margherita. Non

che non sopportasse sua sorella – in fondo, aveva deciso lei

di viverci assieme – ma esistevano momenti in cui solo osser-

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vare la tranquillità di quel volto, così vicino all’atarassia, la

mandava in bestia.

– Già sveglia?

– Guarda! – aveva detto Clelia, puntandole contro il test di

gravidanza, – Sono incinta...

Avrebbe voluto urlarlo, ma la voce si era affi evolita man

mano che il pensiero aveva acquistato consistenza dentro la

sua testa.

– Toglimi questo orrore dalla faccia.

– Hai capito cosa ho detto?

– Non sapevo ti vedessi con qualcuno.

Margherita aveva il dono innato di mettere il dito nella

piaga, e non lo faceva nemmeno apposta.

– Neppure io.

– Almeno sai di chi è?

Clelia si era vista dentro la desolazione di quella domanda.

– La smetti? Non mi aiuti per niente così.

– Cosa posso fare per aiutarti, allora?

– Sparire, per esempio.

– Facciamo colazione, così ne parliamo.

– Non ho fame.

– Tu. Ma c’è una vita nella tua pancia, magari lei vuole

mangiare.

– Non ho intenzione di pensare a cosa ci sia nella mia pan-

cia, e se abbia fame o meno.

Si diresse in soggiorno, schivando un inopportuno tentati-

vo di abbraccio da parte della sorella. Erano quasi le otto e se

fosse stato un venerdì qualunque, probabilmente sarebbe sta-

ta ancora a letto. Invece aveva aspettato il giorno libero dagli

impegni scolastici per fare il test di gravidanza e solo perché

intimamente era convinta non potesse essere positivo: adesso

le sarebbe toccato disperarsi con sua sorella, anziché sfogarsi

sugli alunni con un bel compito in classe a sorpresa di italiano

o storia. Ripensandoci, era stata una pessima strategia.

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Si sedette sul divano di pelle bianca, appoggiando i gomiti

sulle ginocchia e reggendosi la testa con le mani.

Margherita la raggiunse con una fl emma invidiabile. I ca-

pelli rossi le ricadevano arruffati sulle spalle coperte da uno

scialle amaranto. Si sedette accanto a lei e le fece scivolare

addosso una vestaglia rosa.

– Prendi freddo.

Clelia alzò le spalle. Sentiva la rabbia scorrere via, giù dalla

pancia, lungo le gambe e nei piedi. Voleva trattenerne ancora

un po’, ne aveva tutto il diritto. Aveva trentadue anni, qual-

cosa dentro la pancia e accanto a lei non c’era un uomo, ma

Margherita.

– È tutta lisa, – disse sua sorella, strofi nando tra pollice e in-

dice le maniche penzolanti della vestaglia. – Ne ho vista una

di seta, in via San Vincenzo, con ricami in macramè.

– Odio il macramè.

Clelia lo disse fi ssando il nulla. Avrebbe voluto un po’ di

silenzio, ma Margherita rompeva tutte le pause, quasi ne

avesse paura.

– Hai idea di come si prepari un biberon?

– Non si usa più il seno?

– Ti verranno un sacco di smagliature.

Clelia si tirò indietro i capelli con entrambe le mani, la-

sciando la fronte scoperta.

– Il problema, Margherita, non è che mi verranno tante sma-

gliature da farmele cadere per terra. Il vero problema è che la

vita è una totale fregatura: passi anni a pianifi care ogni singolo

passo, a sognare un momento simile e quando arriva, arriva in

un modo tutto sbagliato. Io non voglio che sia così: sbagliato.

– Ma è arrivato, guarda il lato positivo. E poi è così, è la

vita, non c’è necessariamente un giusto o uno sbagliato. Io

adoro il macramè, per esempio: molto raffi nato.

Le si avvicinò, accarezzandole la schiena con una mano.

Clelia non cambiò posizione, lasciandosi massaggiare: ave-

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va fatto sesso con uno sconosciuto e le precauzioni avevano

fatto cilecca. Stop. A quante altre donne era successo? Non lo

sapeva: sperava non fossero poche, se non altro per sentirsi

meno stupida. Era forse vita anche quella? Avrebbe usato un

sostantivo diverso.

– Tu vai a letto con decine di uomini e io rimango incinta.

– La vita è bella per questo, non puoi fermarla.

– Una sola volta in cinque mesi; una.

– Come quel verso di De André! Com’era: “la primavera

come fumo che entra dalle fessure; che non bussa e ti prende

per mano”.

– Non c’è niente di primaverile, invece: la vita è una scelta,

non è tirare dadi a caso.

– Pensa ai racconti di Flannery O’Connor.

L’unico racconto di Flannery O’Connor che Clelia fosse in

grado di ricordare in quel momento aveva come protagoni-

sta un criminale che sterminava un’intera famiglia, bambini

compresi, al solo scopo di rubare una macchina. La sua vita

si stava trasformando in un inferno simile? Forse Margheri-

ta non si era allontanata troppo da una sintesi spietata della

realtà, nonostante il suo unico scopo fosse quello di pavoneg-

giarsi con qualche riferimento alla O’Connor, De André, Da-

vid Foster Wallace o chiunque avesse attirato la sua attenzio-

ne morendo con un po’ di clamore.

– Non puoi semplicemente disinteressarti della mia vita?

Ne hai una anche tu, in fondo.

– Vuoi la colazione o no?

Clelia sospirò. Recuperò una maglietta e raggiunse sua so-

rella in cucina. Si appollaiò su uno degli sgabelli accanto alla

penisola.

– Ricordi cosa è successo con Pepe? – disse Margherita. –

Ricordi le tue scenate? – Infi lò la tazza di latte nel microonde.

Clelia non capì dove volesse arrivare sua sorella: probabil-

mente da nessuna parte. Pepe era il cane della vicina di casa,

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e qualche mese prima aveva fatto pipì in ascensore, sporcan-

dole pure le scarpe.

– Sembrava che il mondo fi nisse con quelle scarpe, – conti-

nuò la sorella, – poi siamo andate in centro e hai trovato quel-

le che ti piacevano, a metà prezzo, e ci siamo pure mangiate

una pizza buonissima in corso Italia: una serata magnifi ca.

Non era stato un giorno tanto memorabile, Clelia ne era

certa, ma sarebbe stato inutile rispondere. Primo: rimanere

incinta di uno sconosciuto era ben peggio della pipì di un

cane su un paio di scarpe, per di più di bassa qualità; secon-

do: non se la sarebbe cavata con uno sconto del 50% e una

pizza. Una gravidanza, a parte i nove mesi di devastazione

fi sica e morale, le avrebbe lasciato una persona con cui fare

i conti per il resto della sua vita: una persona che, ogni san-

to giorno, con la sua semplice presenza, le avrebbe ricordato

quanto era stata stupida e patetica.

Poteva evitarsi quel futuro? Poteva cancellare quello sguar-

do che già la tormentava nonostante non esistessero ancora

due bulbi oculari? La collega di informatica le aveva insegna-

to a ripartire da un punto di ripristino quando il pc è vittima

di un virus. Perché la vita non era così? Non poteva semplice-

mente ricominciare? Perché andare avanti e farsi massacrare?

Era questo che le mancava, un punto di ripristino da cui ri-

partire e se la cosa che gli assomigliava di più era Margherita,

doveva esserci qualcosa che non andava e che aveva urgenza

di essere risistemata.

Margherita aveva preparato la tavola con cura: latte caldo,

caffè, tè; marmellata, fette biscottate; brioche confezionate.

Dal salotto giungeva il suono della radio e alle parole di

Alice di De Gregori, Clelia sentì una fi tta di malinconia im-

provvisa e tanta voglia di piangere.

– Lo sapevo che Ariete aveva un periodo diffi cile, – dis-

se Margherita, – di crisi. – Addentò con delicatezza una fetta

biscottata coperta da una patina sottilissima di marmellata.

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– Lo sai che in giapponese crisi signifi ca rischio, ma anche

opportunità?

– In cinese.

Clelia tentò di mantenere la calma, poi inzuppò un biscot-

to nel cappuccino, osservandolo annegare nel dito di schiu-

ma: – Non lo voglio questo bambino.

– Sarai di quattro o cinque settimane; se ricordo bene si

contano dall’ultima mestruazione. – Dopo una pausa troppo

breve, aggiunse: – Sarà un Gemelli.

– Mi ascolti quando parlo? Non lo voglio questo bambino.

Margherita contò sulle dita per accertarsi.

– Gemelli, sì. Forse Cancro.

Clelia allontanò da sé la scatola trasparente di biscotti, ap-

poggiando gli avambracci sul tavolo; prese il tovagliolo di

carta, iniziando a piegarlo in quadrati sempre più piccoli.

– Forse dovrei abortire.

Margherita sembrò meditare qualche secondo sulla no-

tizia. Non aveva però la stessa espressione di un bimbo

che scopre la verità su Babbo Natale e Clelia ne fu un po’

delusa.

– Non è nel tuo karma.

– La smetti di dire idiozie per una volta?

Margherita posò la fetta biscottata che per tutto quel tem-

po aveva tenuto sospesa come un vassoio.

– Hai paura di quello che penserà la gente?

– Smettila.

– O forse di crescere un fi glio da sola?

– Preferivo parlare di karma. E comunque tu odi i bambini,

Margherita, non sei credibile.

Margherita irrigidì la schiena e sgranò gli occhi.

– Io non odio i bambini!

– Vorrei vederti al mio posto. Credi che sia facile? Che basti

un’alzata di spalle canticchiando De André per prepararsi a

un cambio di vita così radicale?

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– Non ci riempirei la casa, come di animali del resto; ma

questo vuol forse dire odiarli? Ho pure fatto una donazione

al WWF e mi sono presa cura di Patty.

Clelia ripensò al loro bastardino, e al modo bizzarro con cui

il destino sembrava volerlo rimpiazzare. Abbassò lo sguardo

e iniziò a strappare i piccoli riquadri che aveva fatto con il

tovagliolo, ottenendo tanti anonimi coriandoli.

– Quando si chiude una porta, si apre un portone.

– Non lavori oggi?

Margherita guardò l’orologio posto sopra la porta della cu-

cina.

– Carlo capirà.

– Non voglio che tu ne parli con nessuno, tantomeno con

Carlo!

Carlo era il proprietario della gioielleria presso cui Mar-

gherita lavorava: nonostante avesse perennemente la testa tra

le nuvole, sua sorella era un’eccellente orafa, e per Clelia que-

sto rappresentava uno dei tanti misteri della vita.

Margherita annuì con aria annoiata.

– Che tipo è il padre?

Clelia si resse la fronte con la mano: – Cambiamo argomento.

– Lo conosco?

– Cosa non ti è chiaro nella frase: cambiamo argomento?

Margherita bevve un sorso di tè.

– E se lui volesse il bambino? Non ci hai pensato?

Clelia disperse con l’indice i coriandoli. Ne spinse alcuni

dentro una grossa goccia di latte e li osservò raggrinzirsi, in-

vecchiare, morire.

– Perché mai la sua volontà dovrebbe contare qualcosa?

– È il padre!

– Ma non lo sa. Margherita: ho capito che tu vuoi questo

bambino, ma sono io quella incinta.

– Anche papà e mamma saranno felicissimi di diventare

nonni.

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– Come credi. Ma nonostante il tuo dilagante ottimismo,

non sono un’incubatrice che potete usare per farvi un nipote.

Margherita aggrottò la fronte: – Che brutta immagine; ma

come ti vengono in mente?

Clelia fece spallucce: – Un fi glio si fa in due; si fa con un

futuro davanti, o quantomeno con un passato dietro; non si fa

da soli o per qualcuno.

– Il mondo è pieno di donne madri.

– E io non voglio esserlo. Ok?

Clelia si morse le labbra pur di non lasciarsi sfuggire qual-

che lacrimuccia stile Tempesta d’amore. Era forte: doveva solo

tenere duro e anche questa disavventura sarebbe passata.

– Io sono con te, Clelia.

– Hai uno strano modo per dimostrarlo.

Margherita si alzò e l’abbracciò con una emotività imba-

razzante. Clelia non apprezzava i gesti sentimentali, tanto

più se avevano i modi affettati di sua sorella, ma non trovò

immediatamente la forza di respingerla, né una parola abba-

stanza sgradevole per allontanarla.

– Ho voglia di focaccia, – disse all’improvviso.

Non era riuscita a dormire, o riposare. Il Kandinsky era

sempre lì con le sue incomprensibili macchie. Non era sbiadi-

to sino a farla sprofondare in un sonno accogliente. Accanto al

poster, sulla destra, un alone rettangolare sull’intonaco ricor-

dava che in quel punto era rimasta appesa per anni una foto

che la ritraeva con Alex. Quel ricordo le peggiorò l’umore.

Udì Margherita rientrare. Guardò l’orologio sul comodino:

sua sorella era stata via più di mezz’ora; doveva averne com-

prato quintali, di focaccia. Capì di non avere alcuna voglia di

rivederla, chiuse le tapparelle e cercò di dormire.

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