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Nicola Petrone OFM Conv. STORIA DI FRANCESCO E DEL FRANCESCANESIMO 1209-2009 Silvi Marina - 2010

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Nicola PetroneOFM Conv.

STORIA DI FRANCESCOE DEL FRANCESCANESIMO

1209-2009

Silvi Marina - 2010

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Presentazione

Sono diversi anni che dedico i miei studi alla storia del francescanesimo, non solo a livello locale o provinciale, ma generale. Piano piano, ho cercato di accumulare schede e materiale per stendere una storia che servisse a me per conoscere meglio il francescanesimo, e, qualora vi fosse qualche persona desiderosa di approfondire la storia di Francesco e dei suoi frati, avesse potuto trovare un manuale pratico e accessibile in queste pagine. Questo scritto ha lo scopo di presentare e far conoscere meglio l’albero piantato dal Padre Francesco, per controllare quali rami sono sbocciati in esso, quali sono stati potati lungo la storia e quali frutti ha prodotto e produce per la Chiesa di Dio. Questa pianta, ancora oggi è rigogliosa e dona frutti di santità per il popolo di Dio. Le sue radici vengono da lontano perché sono fondate sul vangelo: “La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità…”. Gli uomini che hanno abbracciato questo stato di vita, in modo radicale, sono diventati santi; molti vi hanno aggiunto anche la prerogativa della scienza. I francescani hanno una storia meravigliosa che ha contribuito a mantenere viva la luce nella Chiesa di Dio. Essi l’hanno servita con umiltà e devozione e l’hanno amata soprattutto nei momenti bui della storia, quando i principi si schieravano contro di essa per affossarla e ricondurla nelle catacombe. Questa è una storia fatta di servizio, di fedeltà, di amore alla madre Chiesa, quindi al Signore, anche se non sono mancate le deficienze e le infedeltà, frutto delle debolezze umane. Poiché la storia è fatta dagli uomini, in questo libro ho voluto mettere in risalto i personaggi più illustri con brevissimi schizzi biografici per aiutare il lettore a capire ciò che i personaggi hanno fatto o hanno scritto, lasciando buona memoria ai posteri. Mi auguro che queste pagine possano servire ad illustrare la bellezza della vita francescana anche ai giovani che si trovano in una fase di ricerca vocazionale e, seguendo l’esempio dei primi discepoli di S. Francesco o di S. Massimiliano Kolbe o di altri frati di cui la storia fa memoria, possano animarsi e fare una scelta coraggiosa e spedita accanto al Padre. Ci troviamo nell’ottavo centenario della fondazione dell’Ordine: è una data memoranda. C’è bisogno di riprendere il cammino con grande slancio innovativo, sulla scia del Padre che partì con la forza del Vangelo e la grazia della perfetta letizia e riconvertì il secolo XIII.

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Avverto gli illustri lettori che una decina di pagine di questo libro, dove si parla di storia generale o delle diverse soppressioni (quella innocenziana, quella napoleonica e quella operata dallo Stato Italiano nel 1866), sono state già pubblicate nel libro “Francescanesimo in Abruzzo –dalle origini ai nostri giorni”-

n.p.

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Storia di Francesco e del Francescanesimo dal 1209 al 2009.

E’ il titolo del nuovo lavoro di P. Nicola Petrone, Frate Minore Conventuale della Provincia di Abruzzo. Aveva dedicato in precedenza tempo e attenzione a studi francescani di aspetto prevalentemente monografico, ora l’autore, si cimenta con un panorama ampio e complesso come sono otto secoli di storia francescana; e quel che abbiamo tra mano, mi sembra un bel contributo, che arriva al termine dell’ottavo centenario delle origini, culminato nel Capitolo delle Stuoie del 2009. E’ un lavoro complesso, ma nonostante la complessità, l’autore si muove con maestria dentro date e avvenimenti, tra personaggi di fama altissima, tra asceti e riformatori, tra mistici e maestri di pensiero ed il risultato è davvero ben riuscito. Lo stile semplice e divulgativo dà a tutta la storia una buona armonia: è un testo gradevole a leggersi, sereno e sobrio nello stile, semplice nel tratto, descrittivo, mai superficiale. Dopo aver letto questa storia del Francescanesimo si ha una visione dell’insieme e del particolare buona ed oggettiva. Dopo avere dedicato una ampia e snella trattazione alla figura e personalità del Serafico Patriarca, l’autore entra nel vivo dei problemi della storiografia francescana partendo dai concetti di fraternità e minorità, concetti identitari, poiché in questi due valori è racchiusa la fisionomia spirituale dei figli di S. Francesco; per passare poi allo studio della lotta tra mendicanti e clero secolare, una storia importante, difficile che ha travagliato la grande università di Parigi ed infine la controversia gioachimita, una tentazione del francescanesimo delle prime generazioni; e così via, passo dopo passo fino ai nostri giorni. Ci sono delle pagine che meritano la nostra attenzione per come vengono affrontate, ne sottolineo solo alcune a mo’ di esemplificazione: l’Ordine e le traversie del secolo XIV, il Francescanesimo dalla duplice anima, l’Osservanza, Bernardino da Siena e la separazione degli Osservanti dai Conventuali; verità storica e serenità di giudizio si coniugano armoniosamente. Chi scrive vede e valuta la storia dall’appartenenza alla propria famiglia Conventuale, ma lo fa senza partigianeria e senza nessuna

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vena polemica, che spesse volte dall’una all’altra parte ha debordato fino all’acredine e all’invettiva. Sono belle le pagine che celebrano i campioni dell’Osservanza e le sue opere sociali. Sono venate di tristezza le pagine che narrano la soppressione dei Conventuali e l’opera a dir poco, poco illuminata dei pontefici Eugenio IV e Leone X. La riforma Cappuccina, un’altra pagina bella di santità serafica, “la bella e santa riforma”, tratteggiata con brevità, precisione e con una vena di simpatia. Dalle pagine di questa storia emergono i volti più noti e meno noti della santità francescana, medaglioni appena abbozzati ma raccontati con parola compiacente, come di chi parla della bellezza della propria famiglia religiosa. Racconta, si compiace ed è lieto di essere dentro questa storia di evangelica passione. Un’altra pagina faticosa della storia minoritica: la soppressione innocenziana che, come un flagello, si è abbattuta sulla vita francescana chiudendo tanti conventi che non raggiungevano il numero di 12 membri allora richiesto per essere convento regolare.Arrivano poi le pagine che raccontano la soppressione napoleonica e italiana dell’ottocento, un tzunami per la vita consacrata e poi la lenta e gloriosa rinascita. Pagine ricche di coraggio e di amore e di zelo evangelico fino ai nostri giorni, fino a S. Massimiliano Kolbe, fino al suo martirio. Le pagine dedicate a Chiara e all’Ordine Francescano Secolare chiudono queste svelte e ariose pagine di storia francescana. Di questo nuovo lavoro dell’autore si potranno giovare i nostri giovani in formazione e quanti amano Francesco e la sua famiglia religiosa che da otto secoli accompagna il cammino della Chiesa e dell’uomo. Una storia dove pagine gloriose si stemperano in pagine meno belle, ma la presenza di Francesco e del suo carisma, sempre presente, vince ogni mediocrità e debolezza e sempre riemerge quella polla segreta di grazia e di Vangelo sine glossa che ha segnato da sempre la fisionomia del francescanesimo.

Fr. Giancarlo Corsini OFMConv

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PARTE PRIMA

CRISI DEL MEDIOEVO

Il Medioevo presenta una società piramidale: dai principi ai servi della gleba: dall’alto in basso si ha una società a forma di scala alla cui sommità c'è l’Imperatore e alla cui base ci sono i servi della gleba. Nel secolo XII, in Italia ci sono l'Impero e la Chiesa che, anche se lottano tra loro, sono segni di unità e di stabilità; ma nel popolo già si scorge una lotta sorda: contro l'Impero nasce il Comune che, alimentato dallo spirito democratico, si oppone all’assolutismo imperiale, liberandosi da esso. Gli eretici tentano si liberarsi dalle pastoie della Chiesa. Anche la lingua Latina, che era stata segno di stabilità e di unità per le diverse nazioni e per svariati secoli, cominciò a cedere il posto ai linguaggi nazionali, tutto questo ci fa capire come l'unità si stava sfaldando: si notavano delle incrinature che sarebbero diventate molto presto fratture In questo periodo nasce la borghesia che lentamente smantella il castello e la gerarchia feudale. I monaci erano stati i portatori della civiltà in Europa, ma verso il 1100 si sviluppa una crisi per il monastero e i monaci, in quanto la stabilitas dei cittadini si sta sfaldando e l’immobilità dei monaci non permette più il contatto con il mondo che viaggia e che preferisce abitare in centri costruiti in zone comode e pianeggianti. Con lo sviluppo del commercio, viene eliminato il baratto e a causa dello sviluppo della moneta o pecunia, tutti cercano di accaparrarsela il più possibile, diventando l’anima del commercio e degli affari. Lo spirito di povertà sembra diventare un sogno per le persone illuse. Anche gli uomini di Chiesa si affezionano alla pecunia. Nel 1119 nascono i Premostratensi che hanno come programma di vita il vivere accanto ai problemi degli uomini della società del tempo. Si trovano anche i primi laici che predicano al popolo come i Valdesi, i Patareni e i Catari, cioè gli eretici del tempo che vogliono riportare la Chiesa allo spirito di povertà delle origini. Gli eretici nascono come correttori di una condotta sbagliata degli uomini di Chiesa tra i quali si potevano trovare dei concubini, degli usurai, dei simoniaci, ecc., ma questi predicatori finiscono con il negare i sacramenti e il sacerdozio, ponendosi contro la Chiesa.

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Sono persone che vogliono restaurare la povertà nella Chiesa, ma vanno tanto avanti, fino a negare la stessa natura della Chiesa. Tentano di riproporre il concetto di vita che troviamo negli Atti degli Apostoli, ma lo fanno definendo la Chiesa “meretrice” e “sinagoga del diavolo”. La società, che dal 1100 si sta preparando ad entrare nel secolo XIII, è una società inquieta, variegata, soprattutto impegnata a recuperare la libertà da tutto e da tutti: è una società in fermento. Il secolo XIII, per lo spirito di libertà che aveva ereditato dal secolo precedente, mise in crisi l'Impero e con esso anche la Chiesa; trovò in crisi il monachesimo e si avvide che gli eretici si estendevano in tutte le regioni d'Italia e d'Europa e soprattutto in Francia. Nell’alveo cristiano, l’eresia stava minando la stessa esistenza della Chiesa e questa “abbia visto nell’eresia lo spettro della sua distruzione, giacchè nell’eresia è la persona di Cristo mutilata, è l’insegnamento della Chiesa travisata, è il misconoscimento dell’autorità vivente di Dio nella Chiesa, è un attentato alla società nelle sue forze vive, è la minaccia della rovina per il mondo cristiano”1. Questo secolo aveva bisogno di nuovi individui che avessero saputo leggere la storia del presente. Lettori di questa storia, illuminati dallo Spirito Santo, furono i due Ordini Mendicanti dei domenicani e dei francescani.

1 D. Rops, La Chiesa delle Cattedrali e delle Crociate , III, Torino 1963, p. 605.

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FRANCESCO D’ASSISI

Francesco nacque nel 11822 dal commerciante Pietro di Bernardone e da Monna Pica o Giovanna. Da bambino frequentò la scuola episcopale di Assisi. Ragazzo, e giovanetto lavorò nel negozio del padre che spesso era costretto a fare lunghi viaggi tra l'Italia e la Francia per acquistare stoffe o vendere lane. Nel 1200 ci fu una guerra tra borghesia e nobiltà; i nobili di Assisi furono costretti ad abbandonare la città natale e rifugiarsi a Perugia. Nel 1202 Francesco prese parte alla guerra contro Perugia e nella battaglia di Collestrada, persa dagli assisani, fu fatto prigioniero ed rinchiuso nel carcere di Perugia dove restò per circa un anno, finché gli assisani non pagarono la somma del riscatto. Liberato nel 1203, si ammalò gravemente e restò infermo nella casa paterna per un altro anno. Ristabilitosi, volendo cambiare stato sociale, pensò di diventare cavaliere, e decise di andare a combattere nelle Puglie, al servizio di Gentile dei Paleari, conte di Manoppello. Dopo una giornata di viaggio, giunto a Spoleto, durante la notte ebbe una visione: ed una voce che lo interpellava: “Chi possa essergli più utile: il servo o il padrone ?”. Rispose: “Il Padrone”. E allora- riprende la voce- perché cerchi il servo in luogo del padrone? E Francesco: “Che cosa vuoi che io faccia, o Signore”: “Ritorna -gli risponde il Signore - alla tua terra natale, perché per opera mia si adempirà spiritualmente la tua visione”3. Quindi Francesco ritornò in Assisi. Non fu un ritorno indolore. Forse subì l’irrisione dei suoi antichi compagni, forse la stessa famiglia gli chiese spiegazioni sull’accaduto, ma soprattutto si trovò in una crisi religiosa, e in questo frangente ci furono

2 Francesco d’Assisi è stato uno dei personaggi più famosi della storia, al quale moltissimi scrittori, storici, uomini di cultura e mistici hanno dedicato studi, biografie, saggi, ecc… Iniziò a scrivere su Francesco Tommaso da Celano che gli dedicò tre lavori di grande importanza storica e spirituale: La Vita Prima, La Vita Secunda e il Trattato dei Miracoli. Raul Manselli, I primi cento anni di storia francescana, Alba 2004, p. 29 scrive: “La straordinaria ricchezza di compilazioni biografiche di S. Francesco, che accompagnano secoli di vita minoritica, non si risolve e non si spiega in termini soltanto filologici, ma trova la sua ragione nel bisogno intenso, vissuto da un numero eccezionalmente alto di frati di ristabilire un contatto diretto col proprio padre, per risentire, in quanto possibile, l’esemplarità animatrice e vivificatrice”.

3 2Cel ff 587. Le fonti citate sono quelle della “Nuova Edizione”, EFR, Padova 1987.

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alcuni episodi significativi per la sua vita spirituale: l’incontro con il lebbroso; la vendita delle stoffe e del cavallo e il ritiro nella chiesa di S. Damiano: ci fu l’avvio alla conversione completa al Signore. Nel 1206, nel culmine di questa profonda crisi, andò pellegrino a Roma, quindi si ritirò a S. Damiano. Qui gli parlò il Crocifisso: “Va e ripara la mia casa che come vedi è tutta in rovina"4. Nel 1206, dietro le insistenti richieste di Pietro di Bernardone di riavere il denaro, che gli era stato preso dal figlio, questi si appellò al Vescovo. Era allora vescovo di Assisi Guido che consigliò Francesco a restituire tutto il denaro al Padre. Francesco rispose al vescovo: “Volentieri, Signore, anzi farò ben di più”. Andò nell’interno del palazzo a svestirsi, poi, ritornando fuori con i vestiti in mano e seminudo, gridò davanti a tutti: “Fino ad ora ho chiamato padre Pietro di Bernardone, ma ora che voglio servire Dio gli restituisco non soltanto questo danaro, ma anche gli abiti che ho ricevuti da lui, -e gettò ogni cosa a terra-. Quindi riprese: “Non più Padre mio Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli”5. Cominciò a vivere da penitente ed eremita fuori di Assisi e precisamente a Gubbio presso i benedettini di Vallingegno. Nel 1208 alcuni vecchi compagni, dopo aver verificato la sua vocazione, si posero alla sua sequela. Il 24 febbraio 1209 (festa di S. Mattia), dopo aver ascoltato il brano del vangelo di Matteo: “Non dovete possedere né oro, né argento, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via , né avere calzari, né due tuniche, ma soltanto predicate il Regno di Dio e la penitenza”...(Cap. 10), e chiesta la spiegazione al prete, felice, esclamò: “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore”. Cambiò l’abito dei penitenti con il saio a forma di croce, abbandonò il bastone e, sostituendo la cinta con la corda, ripetendo il saluto: “Il Signore vi dia pace”, si dispose ad evangelizzare le persone che incontrava lungo il cammino6. Già nei movimenti laicali del secolo XII, “ispirati dai predicatori itineranti, il vangelo doveva diventare l’unica regola di vita, capace di fare dei credenti (la moltitudine dei credenti degli Atti) dei regulares. Dice Etienne de Muret:-Se qualcuno vi domanda di che professione o di che regola o di che ordine siete, rispondete che siete della regola prima e

4 2Cel ff , 593.5 Leggenda dei Tre Compagni, ff. 1419.6 1Cel. ff 358-59; cfr ff. 1051-1052.

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principale della religione cristiana, vale a dire del Vangelo, sorgente e principio di tutte le regole-”7. Intanto cominciarono ad affluire i primi compagni e discepoli. Quando raggiunsero il numero di dodici si mise in viaggio con loro per recarsi dal Papa a Roma chiedergli conforto e l’approvazione del suo operato. Era l’anno 1209. Francesco si recò a Roma con i frati Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio, Sabatino, Morico, Giovanni di Cappella, Filippo Longo, Giovanni di S. Costanzo, Barbaro, Bernardo di Vigilante, Angelo Tancredi e Silvestro. Per l’Anonimo Perugino sarebbero stati dodici più Francesco. Molti altri scrittori ritengono che fossero 12 con Francesco, quindi non sarebbe stato presente Silvestro. A Roma, aiutato dal Card. Giovanni di S. Paolo, uomo buono e religioso, e dal vescovo Guido II di Assisi, incontrò il Papa Innocenzo III che, dopo non facili colloqui, un giorno di attesa, durante il quale ci furono dei sogni e dei segni rivelatori, (come il sogno del Papa che vide la chiesa del Laterano crollante e un fraticello che la sorreggeva8; Francesco vide una pianta altissima che davanti a Lui si inchinava facendosi prendere per la chioma, ecc…), il papa gli approvò verbalmente la regola composta da espressioni evangeliche, e disse al piccolo drappello: “Andate con Dio, fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il Signore onnipotente vi farà crescere di numero e grazia, ritornerete lieti a dirmelo ed io vi concederò con più sicurezza altri favori e uffici più importanti”. Di ritorno da Roma si svolse il primo Capitolo lungo l’itinerario che portava verso la valle spoletana: “Ricercavano insieme quale fosse il modo migliore di adempiere i suoi consigli e comandi, come osservare e custodire con fedeltà la Regola; come dovevano camminare santamente e religiosamente davanti all’Altissimo”9.

NOVITA’ DI FRANCESCO

Per avere un’idea esatta della novità di Francesco bisogna rileggere ciò che scrive l’Anonimo Perugino nell’incontro tra il Cardinale Giovanni e il

7 P. Rivi, Francesco d’Assisi e il laicato del suo tempo, Padova 1989, p.37.8 1Cel, ff. 603.9 1Cel . ff. 377.

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Papa Innocenzo III: “Ho trovato un uomo perfettissimo, che vuole vivere secondo la forma del santo vangelo, osservandolo pienamente. Io credo che il Signore voglia per mezzo suo rinnovare completamente nel mondo la Chiesa”10. Francesco ha il grande merito di recuperare completamente il vangelo nella vita del cristiano, prendendolo nel senso radicale e come se fosse rivolto a sé: di esso ha fatto l’unica forma di vita per sé e per i suoi frati, dando origine ad una nuova esperienza religiosa originalissima: essa non era né monastica, né clericale, né eremitica, né laicale, ma “vita evangelica”11. Fu vero lievito per la gente del suo tempo perché si inserì pienamente nel cuore degli uomini della sua generazione. Vivere secondo il vangelo lo costrinse ad uscire dal mondo, ma per restare nel mondo: in lui abbiamo la fuga e la presenza, la lontananza e la vicinanza con gli uomini. Le sue capanne erano fuori della città, ma la vita sua e dei frati era vissuta accanto agli uomini. Nelle epoche precedenti nulla di simile si era mai realizzato: la vita evangelica vissuta da Francesco diventa norma di vita per i suoi figli, e Tommaso da Celano lo chiama “novus Evangelista”, in quanto efficacissimo trasmettitore del vangelo al popolo, con la parola e con la vita.Credette di poter cambiare le sorti del mondo tramite il distacco dai beni materiali e l’aderenza completa e totale al vangelo. La sua prima famiglia aderì completamente a questo ideale e trovò la beatitudine. Giovanni Papini, giustamente scrive: “Questa rivoluzione fu operata, nel primi anni del secolo XIII, da un giovane poeta nato in Umbria da madre provenzale. Non era dotto, non era un grande; non era neanche un prete. Era un giovane di scarsa bellezza, di mediocre statura, di malferma salute, che non aveva studiato nelle università e non s’era chiuso in un chiostro: Ma pareva che in lui si unissero varie condizioni e nature: era figlio di un borghese, agiato mercante; aveva sognato d’essere soldato e cavaliere; si dilettava del canto e della poesia; aveva pietà dei poveri e nell’amore della povertà seppe scoprire l’amore di Dio… La sua rivoluzione nacque da una semplicissima scoperta: l’evangelo insegnava come si potesse trovare gioia e liberazione attraverso la povertà e la carità, ma gli uomini, anche se cristiani, non seguivano quell’insegnamento…

10 Anonimo Perugino, ff, 1525.11 P. Rivi, o. c., p. 90.

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La sua rivoluzione – autentica radicale rivoluzione – consistè nel ricopiare alcuni versetti dell’evangelo e nel seguirne alla lettera, senza mezze misure, i precetti. La meravigliosa novità di Francesco fu quella di voler vivere, a dodici secoli di distanza, come uno dei discepoli di Cristo. Il Maestro aveva detto che per andare con lui bisognava disfarsi di ogni ricchezza e Francesco si ridusse nudo bruco dinanzi al padre, al vescovo e al popolo. Gesù aveva detto che sarebbe tornato sulla terra in aspetto di povero e Francesco volle viver da povero in mezzo ai popoli. Il Salvatore aveva detto che bisognava accettare ogni ingiuria e offesa, che si dovevano amare i nemici e Francesco riconobbe ch’è “perfetta letizia” essere scacciati, vilipesi e battuti… Anche il Papa, anche i Cardinali, anche i padroni delle castella, anche i magistrati dei Comuni furon sedotti e rapiti dall’affettuosa e fraterna rivoluzione di San Francesco. Ma fu breve stagione, com’è breve il consolator sorriso d’ogni primavera. A poco a poco, per timidezza delle menti o necessità sociali e contingenti, anche la rivoluzione francescana pose a capo ad un Ordine, con regole, discipline, studi e dimore stabili. Ma le anime sinceramente cristiane non dimenticarono mai quella resurrezione della libertà e della carità evangelica in quel secolo di freddo e di ferro…”12.

LA PRIMA ESPERIENZA

Dopo l’approvazione verbale della regola da parte del Pontefice Innocenzo III e il ritorno nella Valle spoletana, la prima sede della nuova famiglia fu il tugurio di Rivotorto: qui fu trascorsa una primavera breve e feconda durante la quale fiorirono le più belle virtù francescane che Francesco cantò nella “Salutazione delle virtù”. La vita si svolgeva lavorando durante il giorno o con i contadini o facendo altre attività. Nel capitolo VII della regola non bollata leggiamo: “E i frati che sanno lavorare, lavorino ed esercitino quella stessa arte lavorativa che già conoscono, se non sarà contraria alla salute dell’anima e potrà essere esercitata onestamente”13. Forse il Comune di Assisi avrebbe voluto offrire ai frati incarichi dirigenziali nel campo della finanza e nelle cancellerie, per la loro onestà, come era accaduto agli

12 G. Papini, La Rivoluzione di S. Francesco, in Universalità del Francescanesimo, Roma 1950, pp. 15-21.

13 Ff. 24.

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umiliati a Milano e nelle altre città della Lombardia, ma Francesco prevenne questi desideri comunali: “Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per lavorare, non facciano né gli amministratori, né i cancellieri, né presiedano nelle case in cui prestano servizio, né accettino alcun ufficio che generi scandalo…”14. Qualora il lavoro manuale non era sufficiente per ottenere il pezzo di pane quotidiano, potevano ricorrere alla mensa dei poveri, cercando l’elemosina, quindi pregavano Dio e riposavano insieme nel tugurio. Dopo l’avvento del bifolco che entrò nel tugurio con il suo somaro, i frati si spostarono a S. Maria degli Angeli che era una delle chiesette ristrutturate dal Santo e apparteneva ai benedettini del Subasio15. Nel 1212 Chiara si aggregò a Francesco e nacque il secondo ordine che fu detto “delle clarisse”. Ebbe la sua prima sede nel conventino ristrutturato dal Santo accanto alla chiesa di S. Damiano, nelle adiacenze della città di Assisi16. Nello stesso anno tentò il viaggio in Siria. A Roma incontrò Giacomina dei Settesoli con la quale nacque una profonda amicizia spirituale che durò per tutta la vita e anche dopo la morte, tanto che ancora oggi Francesco e Giacomina si guardano, essendo l’uno di fronte all’altra nella “Tomba” di S. Francesco. Nel 1213 Predicò a S. Leo, nel Mugello, sul tema: “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”17. Dopo l’incontro, il Conte Orlando gli donò il monte della Verna. Tra il 1213 e il 1214 tentò di andare in Marocco, ma arrivato a Compostella, si ammalò, quindi fu costretto a ritornare in patria. Forse dopo questo ritorno, o immediatamente prima, c'era stato il Capitolo in S. Verecondo di Vallingegno presso Gubbio, dove si riunirono i primi 300

14 ff 24; cfr. D. Flood., Francesco d’Assisi e il Movimento Francescano, Padova 1991, p. 30-32. Qui, l’autore spiega lo statuto di Assisi del 1210 dove, tra l’altro, si dice: “Tutti in Assisi facciano quello che deve essere fatto per la città, come bravi cittadini”. In questo senso, sembra che i frati non potessero evitare di reintegrarsi in Assisi, lavorando per guadagnarsi il pane (p. 28). I frati rifiutarono di prendersi la responsabilità di tali istituzioni; intendevano continuare a servire in quei luoghi. Data la piaga dei lebbrosi e i bisogni dei poveri in un periodo di crescente ricchezza, ai fratelli che volevano dedicarsi a questo tipo di servizio non mancava mai un impegno … Non permisero ad Assisi di decidere quale fosse il loro compito… (p. 30).

15 1Cel ff. 398.16 1Cel ff. 351.17 Fioretti, ff. 1897, leggere la nota 77.

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frati, e i monaci li assistettero e li accudirono con grande carità18. Tra l’autunno del 1214 e l’inverno del 1215 alcuni nobili e letterati furono ricevuti benevolmente da Francesco nella Porziuncola; tra essi c’era anche Tommaso da Celano19. Nel 1215 ci fu il Concilio Lateranense IV al quale probabilmente fu presente anche Francesco, come racconta la Cronaca dei 24 Ministri Generali. Nel Concilio si parlò contro la simonia, sul decoro delle Chiese, della Comunione da farsi a Pasqua e della Confessione annuale, della scuola teologica per i preti, e decretò che non sarebbero state più approvate altre regole per i nuovi Ordini religiosi, ma avrebbero dovuto adottare le regole già approvate precedentemente. Nel 1216 Morì Innocenzo III. Gli successe Onorio III. Proprio in quell’anno si ebbe la prima testimonianza sui frati minori e sorelle minori da parte di Giacomo da Vitry20. Giacomo parlò dei frati minori e sorelle minori che lui incontrò in Umbria nel 1216 21. Ne riparlò nel 122022, facendo alcune osservazioni sagge, e la Chiesa, nella persona del Papa Onorio III, impose il noviziato al nascente Ordine con la Bolla “Cum Secundum” del 1220, dove si legge “Perciò, con l’autorità della presente lettera vi proibiamo di ammettere qualcuno alla professione del vostro Ordine, se non avrà fatto prima l’anno di prova”; aggiungeva il Papa: “Vietiamo inoltre che alcuno di voi possa andare in giro fuori dell’obbedienza con l’abito della vostra Religione e corrompere la purezza della vostra povertà” 23.

IL CAPITOLO DEL 1217 E LA NASCITA DELLE PROVINCE

Con la prima fraternità nacquero tra i frati incontri che si ripetevano una volta all’anno, in un luogo stabilito, per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme, ricavando da questi incontri notevoli benefici. Da questi incontri che furono chiamati Capitoli, “avvalendosi del consiglio di persone esperte,

18 Passione di S. Verecondo, ff, 2250.19 1Cel, 420-21.20 Ff. 2202.21 Ff. 2205ss. 22 Ff. 2216-2223.23 La Bolla “Cum Secundum” del Papa Onorio III del 22 settembre 1220 è nelle ff. 2711-2715.

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si formulavano nuove sante disposizioni che sottoponevano al Papa per l’approvazione”. Da queste espressioni del Vitry si può concludere che questi capitoli avessero un triplice scopo: vivere la gioia della comunione fraterna nel Signore, formulare nuove norme per il buon andamento della comunità ed eleggere i ministri. Questi incontri erano sempre esistiti, ma il primo vero Capitolo fu quello del 1217 per il numero dei convenuti e per gli argomenti trattati. Durante questo Capitolo si volle dare una struttura alla fraternità che fu divisa in 12 ampie circoscrizioni, romanamente chiamate “Province”. Sei di esse erano in Italia e dette Cismontane (Toscana, Marche, Lombardia, Terra di Lavoro o Napoletano, Puglie e Calabria); sei fuori del territorio nazionale, “Ultramontane”: una in Siria-Terra Santa, due in Francia, e una in Spagna-Portogallo. A queste ultime si aggiunsero la Provincia di Germania nel 1221 e quella d’Inghilterra nel 1224, raggiungendo così quel caro e simbolico numero 12. In quel Capitolo si inviò anche i frati quali missionari per le vie del mondo: “Mandò alcuni frati in Francia, in Germania, in Ungheria, in Spagna, e in quelle altre province d’Italia in cui i frati non erano ancora giunti”24. Però i frati non furono preparati adeguatamente per la missione ad gentes, quindi questi, in questa prima missione furono malmenati e ingiuriati a causa della non conoscenza delle lingue e quindi non si capivano con le persone con le quali venivano a contatto, e spesso furono scambiati per eretici i quali infestavano l’Europa. Fra Pacifico e compagni, che andarono in Francia, furono presi per albigesi e furono maltrattati dagli stessi vescovi e clero tanto che dovette intervenire il Papa con la bolla: "Pro dilectis filiis" 25. In Germania si recarono fra Giovanni da Penna e compagni che non conoscevano la lingua e furono malmenati. In Ungheria ebbero una sorte ancora peggiore. In Spagna-Portogallo furono accolti da Sancia sorella di Alfonso II. Un’altra missione che ebbe esito positivo fu quella di Siria, guidata da frate Elia che la preparò bene e la condusse con grande prudenza. Nel 1218, nel Capitolo della Porziuncola sembra che fosse presente anche S. Domenico, secondo una testimonianza riportata dallo stesso Pietro Olivi26.

24 Giordano da Giano, ff. 2325.25 Bolla “Pro dilectis” di Onorio III 29 maggio 1220 in ff. 2709-2710.26 K. Esser., Origini e valori autentici dell’Ordine dei frati minori, Milano 1972, p. 95 n. 107.

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Nel 1219, nel Capitolo della Porziuncola si rinnovò lo spirito missionario: cinque frati furono mandati in Marocco: Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone. Francesco partì per la Terra Santa. In Italia restarono due Vicari: Gregorio da Napoli e Matteo da Narni. Gregorio era itinerante per confermare i frati, mentre Matteo restò nella Porziuncola per accogliere i frati27. Durante l’assenza di Francesco si ebbero le prime vere difficoltà nell’ambito della comunità in quanto i due vicari dettero un impulso monastico alla fraternità: penitenze, rigidità, astinenze, richiesta dei permessi per intraprendere i viaggi e totale dipendenza dai ministri. Era stato completamente stravolto il piano del fondatore e dimenticato lo spirito di libertà e di amore nel quale era nato il nuovo Ordine28. Nel 1220 Francesco ritornò, con urgenza, in Italia, dietro richiesta di un certo frate Stefano che era partito dall’Italia e si era recato in Terra Santa per avvisare il Padre sui mutamenti apportati alle regole dai due vicari. Giunto in patria, si recò presso il Papa al quale chiese ed ottenne il cardinale protettore; contemporaneamente si dimise da Ministro Generale della fraternità eleggendo Vicario Pietro Cattani. Quando tornò in Italia, sbarcò a Venezia e si mise in viaggio per la penisola; arrivato a Verona, aveva deciso di recarsi a Bologna quando sentì che nella città felsinea c’era una residenza detta “casa dei frati”. Ritenendo questa “proprietà” una grave lesione alla Regola, comandò che tutti i frati che vi dimoravano l’abbandonassero immediatamente. Tommaso da Celano aggiunge che anche i malati dovettero uscire fuori finché il Cardinale Ugolino non dichiarasse che quella casa era di sua proprietà e non dei frati29. Nel 1221 si hanno le prime norme, con la prima stesura del Memoriale Propositi per i laici che gli chiedevano sovente: “Francesco, noi che dobbiamo fare?”. Fino a quel tempo l’Ordine della penitenza aveva avuto quale norma di vita la prima “Lettera ai laici”, scritta verso il 1215, in quando erano molti i laici che volevano vivere il Santo Evangelo alla scuola del maestro. Nel Capitolo delle stuoie del 1221, frate Francesco ampliò la Regola del 1209, compilando l’attuale regola non bollata.

27 Giordano da Giano, ff 2329- 2333. 28 Idem, 2333-34.29 2Cel. ff. 644.

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Pietro Cattani, già canonico della cattedrale di Assisi, fu eletto Vicario generale nel Capitolo della Porziuncola celebrato il 29 settembre del 1220 di ritorno dalla Terra Santa. Restò in carica fino al 10 marzo del 1221, giorno della sua piissima morte avvenuta nella Porziuncola. In preparazione al Capitolo di Pentecoste dello stesso anno, il Comune di Assisi costruì la prima casa anche a S. Maria degli Angeli che Francesco voleva demolire30: era un altro tentativo contro la povertà assoluta, voluta dal fondatore. Nel Capitolo fu eletto Vicario Frate Elia e i frati volevano costringere Francesco a scegliere una regola già approvata dalla Chiesa, ma lui rispose al Cardinale e ai frati che gli facevano tale proposta: "Il Signore mi ha rivelato che io sono un nuovo pazzo nel mondo"31. L'Ordine aveva avuto le prime vere difficoltà durante l'assenza del Santo (1219-20). Si può dire che a causa dei numerosi frati affluiti nella fraternità, molti si stavano allontanando dallo spirito delle origini, forse anche a causa di nuove esigenze che nascevano nella fraternità: motivi di studio, di attività pastorali, di esigenze di maggiore attrezzature logistiche, ecc… Praticamente, Francesco si sentì estromesso da diversa parte della fraternità. Forse più di qualche frate non solo pensava, ma gli avrà detto chiaramente: “Tu sei santo, quindi prega per noi, ma lasciaci agire come la vita e le attività richiedono ed esigono”. L’episodio della Perfetta letizia non è uno studio letterario, ma esperienza di vita vissuta dal fondatore.

30 2Cel. ff. 64331 CAss ff. 1564.

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FRANCESCO L’UOMO DI TUTTI

I frati avevano grande stima di lui, ma lo stimavano ancora di più i laici, i sacerdoti, i vescovi e il Papa. Dagli anni 1214-1215 in poi, quando Francesco si recava in una città o in un castello si riunivano gli “uomini politici”, con i “popolani” per andargli incontro e accoglierlo con onore. Abbiamo testimonianze scritte nelle fonti e fuori delle fonti che ci mostrano la stima che godeva davanti a tutti. C’è uno strumento firmato dal vescovo di Camerino sul quale vi appose anche il suo sigillo, è nominato chiaramente “frate Francesco”. Un monastero di monache benedettine, avendo adottato la regola delle damianite, veniva a cambiare il regolamento interno del monastero: non più i benedettini, ma frate Francesco e i suoi frati dovevano essere i visitatori e i correttori della comunità. Il documento risale, al 122332. In quel periodo abbastanza lungo della sua vita avvenne anche l’episodio di frate Masseo che, un bel giorno, trovandosi alla Porziuncola, provocò frate Francesco, chiedendogli: -“Perché a te, perché a te, perché a te?” Santo Francesco risponde: “ Che è quello che tu vuoi dire?”Disse frate Masseo: “Dico, perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’obbidirti? Tu non sé bello uomo, tu non sé di grande scienza, tu non sé nobile; onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro”? A questa provocazione Francesco risposo: “Vuoi sapere perchè a me? vuoi sapere perché a me? Vuoi sapere perché a me tutto il mondo mi venga dietro?... imperciò che quelli occhi santissimi non hanno veduto fra li peccatori nessuno più vile di me, né più insufficiente, né più grande peccatore di me; e però a fare quell’operazione maravigliosa, la quale egli intende di fare, non ha trovato più vile creatura sopra la terra; e perciò ha eletto me per confondere la nobiltà e la grandigia e la fortezza e bellezza e

32 “Anno Domini Millesimo CCXXIII indizione XI die quintadecima exeunte Junio tempore Federici imperatoris Camerin. Factum est in hoc palatio Dni Episcopi in presentia fra tris Martini ete fra tris Jacobi, et fratreis Ambrosi; Terstium de hoc… Item do et concedo ipsis mulieribus licentiam habendi visitatores et correctores de fratribus minoribus, illos videlicet quos frater Franciscuset vel eius successors, vel Capitulum ipsorum fratrum constituerint, et ordinaverint ad corrigendum et visidandum dictas mulieres:.. Ad majorem autem securitatem ego qui supra Raynaldus episcopus presens publicum instrumentum meo sigillo munivit”.M. Con: Santoni, S. Francesco - ricordo in un documento dell’anno 1223, in MF, a X, fas. I 1906, p. 18.

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sapienza del mondo.” Era un uomo umile e questa virtù piaceva al Signore e rese grande il suo servo anche durante la sua vita terrena33. Anche il Magistrato di Assisi e tutto il popolo avevano grande venerazione per l’uomo di Dio, e non volevano che si fosse fermato in qualche altra città per attendere sorella Morte, ma che fosse ritornato nella sua patria dove l’attendevano i suoi concittadini. Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 1226, “ mentre Francesco pieno di malattie, quasi prossimo a morire, si trovava nel luogo di Nocera, il popolo di Assisi mandò una solenne deputazione a prenderlo per non lasciare ad altri la gloria di possedere il corpo dell’uomo di Dio. I cavalieri che lo trasportavano a cavallo con molta devozione, raggiunsero la poverissima borgata di Satriano, proprio quando la fame e l’ora facevano sentire il bisogno di cibo. Ma per quanto cercassero, non trovarono nulla da comprare. Allora i cavalieri tornarono da Francesco e gli dissero: “ E’ necessario che tu ci dia parte delle tue elemosine, perché qui non riusciamo a trovare nulla da mangiare”. “Per questo motivo, voi non trovate, rispose il Santo, perché confidate più nelle vostre mosche che in Dio! Chiamava mosche i denari. “Ma, continuò, ripassate dalle case dove siete già stati e chiedete umilmente l’elemosiana, offrendo in luogo dei denari l’amore di Dio…”34. Nel 1223 si recò a Fontecolombo in compagnia di frate Leone e di frate Bonizio, giurista Bolognese35, e, con l'ausilio del cardinale Ugolino, stese la regola che fu presentata al Papa che l’approvò il 29 novembre 1223. Sappiamo quante ipotesi sono state fatte sulla regola bollata e sulla presenza di Francesco in essa. Diversi autori hanno ritenuto che in quella regola abbia avuto il sopravvento lo spirito giuridico del cardinale Ugolino. Manselli vede diversamente il problema e scrive: “Il problema vero è se e come essa risponda all’ideale di Francesco: dobbiamo dire allora che una rispondenza è indiscutibile, non solo, ma anche, al di là delle formulazioni giuridiche, la presenza del fondatore e maestro è incisiva e netta dovunque egli intervenga, in prima persona, con frasi tipiche, addirittura stereotipate, come “precipio firmiter”, “moneo et exsortor” e simili. Si ha precisa la sensazione che il lavoro dei giuristi, fossero o non frati, è stato seguito ed accompagnato personalmente dal Santo – non c’è bisogno di ricordare quanto egli fosse allora ammalato e tormentato da atroci dolori -, che ha

33 ff. Fioretti, n. 1838.34 ff. 2Cel, 665.35 Spec, ff. 1678; cfr A. Clareno, Libro delle tribolazioni, ff. 2179.

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voluto far sentire di persona, da fratello a fratello, la sua voce. Se, infatti noi esaminiamo questa regola non dal punto di vista giuridico-formale, ma come documento, che esprima l’animo di Francesco, troveremo che è con imperiosità presente, ovunque si tocchino fatti di vita ed atteggiamenti ai quali era sensibile: la consuetudine che con questa regola si finisce per avere da parte dei frati come degli studiosi finisce con il far sfuggire quanto siano sottolineati fatti come la povertà ed il maneggio del denaro, la predicazione specialmente agli infedeli, l’esemplarità di vita, che nella società deve dare il frate minore, l’obbligo e l’impegno del lavoro”36. La vita religiosa appartiene alla Chiesa perché si rivive la vita di Cristo, ma stando a ciò che afferma Manselli, l’Ordine è stato fondato da Francesco, è stato guidato daLui e sempre Lui che lo ha regolato con norme precise e serie sulla povertà, sulla missionarietà, sulla laboriosità, sulla preghiera secondo lo spirito del vangelo. I punti principali della regola sono: la vita evangelica (c. I e XII); ammissione dei frati (II); divino ufficio e digiuni (III); povertà assoluta (IV e VI); lavoro manuale (V); predicazione (IX); Correzione fraterna (VII); regime, capitolo e visita canonica (VIII, X); relazione con le clarisse (XI); del cardinale protettore e delle missioni estere tra gli infedeli (XII)37. La prima parte della Vita Prima di Tommaso da Celano termina con il Presepe di Greccio. A dicembre 1223 fu la volta del Presepe di Greccio. Perché questo presepe? Francesco voleva osservare “in tutto e per tutto il santo vangelo, di dedicarsi con tutte le forze e il fervore del cuore a -seguire la dottrina e imitare le orme del Signore nostro Gesù Cristo-: per questo meditava assiduamente sulle sue parole e ne considerava attentamente le opere; ma erano soprattutto -l’umiltà della incarnazione e la carità della passione- del Signore a tenere così occupata la memoria di Francesco, che egli non voleva pensare ad altro”38. I frati lo veneravano più come Santo che come loro fondatore. La fraternità si staccava sempre di più da Lui che ripeteva: “Nessun malvagio, che intenda vivere male nell’Ordine, vi potrà rimanere a lungo.” Però subito dopo aggiungeva: “Chiunque amerà di cuore l’Ordine, per quanto peccatore che egli sia, alla fine otterrà misericordia”.39

Le stimmate ricevute sulla Verna lo proclamano Santo vivente per i suoi

36 R. Manselli.,o.c., pp. 27-28.37 ff. 73a-109a.38 F. Accrocca., Il Natale di Greccio nella testimonianza delle fonti in AA.VV., Il Natale di Greccio, Roma 2004, p. 9.39 S P., ff. 1774.

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figli: deve essere imitato, ammirato e pregato perché interceda per la fraternità. Nel 1226 dettò la regola degli Eremi, il Testamento di Siena e il Testamento lungo nel quale riassumeva tutta la sua esperienza religiosa. Non gli era sufficiente lottare contro le debolezze umane: ogni giorno affrontava nuove lotte per eliminare gli ostacoli che bloccavano la santità. Mai temperava l’antico rigore, anzi incitava anche i frati: “Cominciamo, fratelli, a servire Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto”.40 Il 3 Ottobre 1226 accolse, cantando, Sorella Morte, nudo, sulla nuda terra, a pochi metri dalla chiesetta della Porziuncola. Nel 1227, alla morte di Papa Onorio III, fu eletto Papa il cardinale Ugolino che prese il nome di Gregorio IX. Il 16 luglio 1228 canonizzò Francesco, proclamandolo santo, nella chiesa di S Giorgio e incaricò fra Tommaso da Celano a stendere una vita del Padre per aiutare i frati a conoscere bene il loro fondatore, e “molto probabilmente, anche frate Elia” contribuì a fare stendere questa Vita del Padre che fosse servita non solo ai frati, ma a tutti i cristiani, perchè in essa si sarebbe trovata la “conformità perfetta del Santo rispetto a Cristo”, e nacque la Vita Prima che è qualche cosa di completamente nuovo nella storia agiografica. Nel frattempo frate Elia, non più ministro generale, per incarico del Papa iniziò la costruzione della Basilica sul colle inferiore di Assisi, chiamato anche Colle dell’inferno in quanto lì si eseguivano le sentenze capitali. Alcune annotazioni sulla prima famiglia dei Frati: Prima dimora dei frati fu Rivotorto, però nel 1211 erano già stati spodestati dal bifolco, quindi si trasferirono a S. Maria della Porziuncola quale dimora notturna, perché durante la giornata andavano a lavorare nelle campagne vicine. Già nel 1212 troviamo i primi incontri dei frati che, pian piano, si trasformeranno in veri capitoli di fraternità41. In essi si trattava come poter meglio osservare la regola; inviare i frati nelle diverse regioni; si facevano raccomandazioni, correzioni e ammonizioni a tutti; e si viveva in fraternità e preghiera. Nel 1216 il Vitry scriveva che i frati si ritrovavano una volta all'anno nel luogo stabilito per rallegrarsi nel Signore, mangiare insieme, formulare e

40 1Cel. ff. 500.41 3Comp, ff. 1466.

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promulgare sante leggi che sottoponevano al Papa42. Dal 1212 al 1217 i capitoli hanno questi ritmi e sono da stimarsi tutti Capitoli Generali. Nel 1217 però si ebbe uno sviluppo ulteriore: fu il primo vero Capitolo nel senso autentico della parola. In quella occasione l’Ordine fu diviso in Province. Dopo il 1221 fu ritenuto impossibile avere tutti i frati in Capitolo a causa del grande sviluppo della fraternità, quindi si impose la necessità di capitoli particolari o provinciali. Furono indetti i capitoli provinciali ogni anno e quelli generali ogni tre anni, o in un tempo maggiore o minore, secondo quanto stabilisce la Regola al capitolo VIII. Per sapere cosa pensasse Francesco dei capitoli provinciali basta leggere il passo di S. Bonaventura che dice: “Ai capitoli provinciali, invece egli non poteva essere presente di persona; ma si preoccupava di rendersi presente con sollecite direttive, con la preghiera insistente e con la sua efficace benedizione. Qualche volta però, in forza di quella virtù divina che opera meraviglie, vi compariva anche in forma visibile…”43. In Germania tra il 1222 e il 1224, partecipavano al capitolo provinciale solo i seniores: custodi, guardiani e predicatori... e i capitoli erano convocati ogni anno.

42 ff. 2201s.43 ff. 1081.

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IL NOME DELLA FRATERNITA’

Nel primo momento questa fraternità si definiva: "Uomini penitenti di Assisi"44. In un secondo tempo, forse verso il 1213, Francesco parlando della “minorità” dei suoi frati, decise che si scrivesse nella Regola: “Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori”45. Nel 1216, Giacomo da Vitry parla di “frati minori e sorelle minori”46 . Per il Manselli, “entrare a far parte della fraternità significava anche accettare la vita, ossia proprio quella condizione di emarginazione rispetto al resto della società che Francesco aveva scelto dopo il suo incontro con il lebbroso e che, sulla base della lettura del vangelo, aveva poi potuto precisare e chiarire, mettendo per iscritto il proposito-regola e facendolo approvare dal Papa”. Al termine “Minore” Francesco dava due significati: uno di ordine sociale che distingueva i minores dai majores nella società medievale assisana, e l’altro più specificamente religioso che indicava le persone umili. La virtù dell’umiltà era stata da sempre la più amata e curata dal Padre in quanto essa era il fondamento di tutta la sua spiritualità. Prima di morire, “ardeva di un grande desiderio di ritornare all’umiltà”, per essere disponibile sempre più, a sentirsi umile e a restare accanto agli ultimi della società. L’Ordine da lui fondato doveva aspirare all’ultimo posto in una società dove si ambiva agli onori, alla gloria, ai riconoscimenti dei meriti e agli applausi da parte del popolo. Lui richiedeva per sé il disprezzo e invitava i suoi fratelli a disprezzare e giudicare se stessi ed essere segno di umiltà e mansuetudine. Tommaso da Celano scrive di Lui: “L’umiltà, custode ed ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l’uomo di Dio con ogni doviziosa sovrabbondanza. A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore…”47.

44 ff. 150945 ff. 386.46 ff. 2205.47 L. M. ff 1103.

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DUE TERMINI: FRATERNITA’

Nella regola bollata, il frate minore trova delineato il disegno del fondatore sulla “natura, il fine, lo spirito, e la fisionomia spirituale”propri della fraternità francescana48. La fraternità non si oppone all’Ordine: i cristiani sono tutti fratelli perché figli dello stesso Padre celeste e possono vivere in una istituzione come in una famiglia. La parola fraternità fu suggerita dallo Spirito e approvata dal Papa Onorio III, il 29 novembre 1223, con la bolla “Solet Annuere”. “Essa perpetua e trasmette tutto ciò che l’Ordine è e tutto ciò che crede della propria vocazione e della propria missione nella Chiesa e nel mondo”49. La fraternità voluta da Francesco non è né laicale ne clericale, ma apostolica: ad intra, tutti condividono la stessa forma di vita con pari dignità vocazionale. Così i Ministri generali diventano “servi di tutta la fraternità” ed hanno il compito di “visitare, ammonire, correggere con umiltà e carità” i frati. uesta fraternità ha uno scopo ben preciso da svolgere ad extra ed è il compito della predicazione Ad extra, questa comunità ha il compito di predicare la penitenza, secondo quanto ha concesso ad essa il Papa, prescindendo dal fatto di essere chierico o laico50. La fraternità richiede un affidamento a Cristo risorto ed eucaristico; fedeltà allo Spirito e all'ascolto della Parola; preghiera comune; il fratello è un dono; curare il fratello bisognoso diventa missionarietà che estende il Regno, quindi porta Cristo agli altri.

MINORITA’ Opposto di maggiore; umile, disponibile, che ha il dono del lavoro; animato dallo spirito di servizio; vivere i voti e lavorare per i minori e con i minori; sentirsi l’ultimo della società in umiltà. “I minori sono sempre e prima di tutto fratelli come modelli ed esempio di vita, valido al di là e al disopra del tempo e dello spazio”51. Francesco fu il primo maestro dei frati, quando il noviziato ufficiale non ancora esisteva nella fraternità, insegnando

48 M. Conti., Temi di Vita e Spiritualità del francescanesimo delle origini, Roma 1996, p. 155.49 Ibidem.50 1Cel ff. 374-75; cfr. Leg. M., ff. 1064.51 R. Manselli, o.c., p.29.

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loro a pregare, aiutandoli a prevenire i suoi consigli e desideri, aprendosi all’obbedienza, e interpretando i desideri del superiore 52.

LA CRISI DELLA FRATERNITA' SUL PROBLEMA DELLA POVERTA’, E I MINISTRI CHE LA GESTIRONO

Morto Pietro Cattani nel 1221 fu eletto Vicario frate Elia che governerà fino al 1227. Con la morte di Francesco, Papa Onorio vuole dare ai frati i privilegi per renderli esenti dai vescovi ed inserirli nel servizio della Chiesa perché erano persone che sapevano creare rapporti “di familiarità,di confidenza reciproca, di relazione personale, che si venivano formando tra il popolo ed i frati. Questi in primo luogo ispiravano fiducia per l’aspetto della loro condizione sociale, che era ed a lungo rimase assai modesta”53. Nel 1227-32 si ebbe il governo di Giovanni Parente: si sviluppò quella crisi che già c'era nell'ordine tra Spirituali e Comunità. Gli Spirituali o Zelanti si appellavano al "Sine glossa" del Testamento, quindi ritenevano che le regole non avevano bisogno di interpretazioni, ma andavano osservate alla lettera. I ministri volevano una chiarificazione della Regola. Il 28 settembre 1230 una commissione di ministri, guidata da Antonio di Padova, da Gerardo da Rossignol, da Aimone da Faversahm, da Leone da Perego, da Gerardo da Modena e da Pietro da Brescia, si recò dal Papa e questi dette la prima dichiarazione ufficiale sulla Regola con la bolla "Quo Elongati"54 con la quale scioglie ogni dubbio e incertezza, basandosi sulla diretta conoscenza del cuore di Francesco, e dichiara:a) “ Dalla lunga familiarità che lo stesso Santo ebbe con noi, abbiamo conosciuto più pienamente la sua intenzione… Non siete tenuti all’osservanza di questo comando”, quindi il testamento non obbliga.b) Poiché alcuni frati ritenevano che “bisognava osservare non solo i precetti espressi con parole di comando o proibizione, ma anche gli altri

521Cel. ff. 339-41. Nel n. 401 si legge: “Se un frate suddito, prima ancora di udire le parole del superiore, ne indovina l’intenzione, subito deve disporsi all’obbedienza e compiere ciò che al minimo segno capirà che egli desidera”.53 R. Manselli, o.c., p.37.54 Eccleston ff, 2503.

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consigli evangelici”, il Papa rispondeva che “non si era tenuti in forza della regola, se non a quelli ai quali vi siete obbligati”. c) E’ secondo la regola avere i nunzi o sindaci apostolici o benefattori o amici spirituali.d) I frati non devono possedere nulla né in quanto comunità né in quanto singoli individui, “ma l’Ordine abbia l'uso degli utensili, dei libri e degli altri beni mobili che è loro lecito avere”, ma nulla di proprio: sine proprio.e) Poiché i Ministri generali non sempre conoscono i frati che vivono lontani da Lui è opportuno che siano esaminati e giudicati dal Provinciale, a meno che non siano bisognosi di esame speciale, allora si rechino dal Ministro in compagnia del Provinciale.I Vicari provinciali non possono né ricevere nuovi individui nè estromettere quelli che sono stati ricevuti. Ecc…55

Con Giovanni Parente le 12 province madri dell'Ordine furono portate a 32 . Con la prima chiosa ufficiale della regola da parte della chiesa, finisce l'epoca dell'Amore a Cristo in forma radicale e assoluta e si passa ad una nuova fase: nascono i consigli e i precetti nell'interpretazione della Regola. Nel 1231 con la bolla "Nimis Iniqua" di Gregorio IX, nasce l'esenzione dei religiosi dai vescovi, ciò che Francesco non avrebbe mai voluto, ma ciò avviene perché la Chiesa vuole utilizzare i frati per le sue missioni interne ed esterne: i frati diventano gli uomini di fiducia della Chiesa. Nel 1232, quando Giovanni Parente terminava il suo generalato, poteva essere soddisfatto: c’era un Ordine rispettato da tutti, “aveva mantenuto l’equilibrio fra le esigenze, che emergevano dalle varie componenti dell’Ordine interno”, era caro al Papa, era rispettato ed amato da tutti56 Generalato di Frate Elia (1232-39). Nel periodo in cui il Parente guidava l’Ordine, Elia costruiva la Basilica di S. Francesco in Assisi. Terminata la costruzione della basilica inferiore, e fatta la traslazione del corpo del Santo, nel 1230 fu indetto il Capitolo elettivo per il 1232 nella città di Rieti dove fu eletto per acclamazione frate Elia, già vicario di Francesco fino al 122757.

55 Gregorio IX, Quo elongati, ff. 2729-2739.56 R. Manselli, o.c., p. 59.57 Lettera del Ministro Generale nel 750° anniversario della morte di frate Elia da Cortona, Roma 2003, p. 20. Cfr Manselli R., o.c. pp. 60-72.

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Questi, di carattere forte, uomo di governo, amico del Papa e dell’Imperatore Federico II, e per Francesco era come una mamma58, si pose al servizio della fraternità. Uomo pronto a superare ogni difficoltà, dette all'Ordine una organizzazione solida. Creò visitatori per tutte le province. Utilizzò i laici e i chierici, ponendoli su un piano di perfetta parità e si impegnò al massimo per bloccare la clericizzazione dell’Ordine e così mantenere l’indirizzo iniziale, voluto da Francesco. Di autorità portò le province a 7259. Rese l'Ordine grande e potente. Agì contro gli spirituali con durezza, autorizzato dal Papa. Moltiplicò i luoghi di studio e si prodigò nello sviluppo scientifico, apostolico e caritativo dei minori. Incrementò gli studi di Parigi e di Bologna e soprattutto incentivò le Missioni e le opere sociali. Richiese a tutti i frati, sacerdoti e laici, una rigida osservanza della Regola. Forse a causa delle tasse imposte alle province per il completamento della costruzione della basilica di S. Francesco in Assisi, spinse i ministri, con a capo Aimone da Faversham a chiedere il capitolo: quasi tutti i ministri si associarono e non valsero i suoi sforzi per scongiurarlo. Nella storia, frate Elia ha avuto grandi amici per i quali avrebbe fatto tutto bene e altrettanti nemici per i quali avrebbe sbagliato tutto. E’ mancato l’equilibrio. Nel Capitolo convocato dai ministri nel 1239, alla presenza del Papa Gregorio IX, fu dimesso frate Elia dal governo dell’Ordine e fu eletto Alberto da Pisa che in quel momento era provinciale d’Inghilterra. Sotto il generalato di quest’ultimo furono pubblicate le prime costituzioni dette "Antiquae", purtroppo non conservate. Le province furono riportate a 32. Nelle costituzioni Antiquae, tra l’altro, si stabiliva:il ridimensionamento del potere del Ministro generale; i Ministri provinciali dovevano essere eletti dai frati della provincia e non dal Ministro generale; il Capitolo generale era superiore al Ministro generale; così anche il Capitolo provinciale aveva autorità sul provinciale; i guardiani dovevano essere eletti dai Ministri provinciali; il Ministro generale o i suoi inviati avevano l'autorità di visitare le fraternità.

58 ff. 506, 511, 806.59 L. Iriarte, Storia del francescanesimo, Barra (Napoli) 1982, p. 72.

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Con queste disposizioni era stato eliminato il centralismo, creando la democrazia, ma forse era stato lanciato troppo avanti l'Ordine in senso democratico... Alberto si impegnò ad eliminare dalle comunità minoritiche i risentimenti e le ostilità che aveva provocato Elia con i suoi atteggiamenti un po’ autoritari60. Nel 1240, morto Alberto da Pisa, fu convocato il Capitolo ad Anagni per il 1 novembre 1240, nel quale fu eletto Ministro Aimone da faversan (1240-44) che fu il naturale continuatore di Alberto da Pisa.Il 22 agosto 1241 moriva Gregorio IX e gli succedeva sul soglio di Pietro Innocenzo IV amico dei francescani e grande giurista. Fu l'uomo della svolta; era definito "Zelator paupertatis". Mentre Elia aveva guidato l'Ordine sullo stile monastico, Aimone si ispirò all'Ordine dei Domenicani. “Si propose, prima di tutto, di dare all’Ordine una agilità d’azione, che lo rendesse sempre più pronto ad operare al servizio dei fedeli, rispondendo ad esigenze locali specifiche e caratteristiche…”61. Rese l'Ordine una potenza primaria della Chiesa. Lottò contro la missione itinerante dei frati; si impegnò per la conventualizzazione e contro i "loci"; dette l’avvio alla costruzione dei grandi conventi nei centri delle città, con grandi chiese. La questua diventò mezzo ordinario per la sussistenza delle comunità, quindi fu dato ad esso l’appellativo di Ordine mendicante. Si crearono scuole in ogni convento; molti frati si dedicarono alla predicazione al popolo, e con la bolla "Proibente regula" del 1240 non furono più i Ministri generali a dare il permesso ai frati di predicare, ma i Ministri provinciali. Si cominciarono a svolgere liturgie molto solenni nelle chiese dei francescani le quali presero il nome di Chiese Conventuali. Nel 1241, con la bolla “Gloriantibus vobis” si concedeva ai Ministri il permesso di far accogliere i novizi anche dai loro delegati ed era un altro punto contrario alla Regola. Nel capitolo del 1242, celebrato a Bologna, fu chiesto a tutte le Province religiose di designare una commissione di frati che avesse studiato i punti controversi della regola, e le Province francesi risposero con la famosa nota

60 R. Manselli, o.c., p.74.61 Idem, p.75.

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Explicatio quatuor magistrorum (A. d’Hales, Giovanni della Rochelle, Odone Rigaud, Roberto della Brassée). Verso il 1240 i fedeli cominciano a fare dei lasciti ai frati o alle chiese rette da essi, e questi li accolsero “in jus et proprietatem Beati Petri”62 e i conventi cominciarono ad avere i primi titoli di possesso e disponibilità di capitali monetari; gli stessi Pontefici fecero pressione sull’Ordine affinché si fosse disposto a ricevere beni da usurai, ladri pentiti, ecc… : si richiedeva un nuovo intervento pontificio nella interpretazione e spiegazione della Regola. Intanto si realizzava una evoluzione graduale e non arbitraria in seno all’Ordine, soprattutto sotto il generalato di Aimone da Faversan. Erano passati solo una quindicina d’anni dalla morte del Serafico Padre e una decina dalla elezione di frate Elia, che non era chierico e il generale Aimone emanò una norma “rivoluzionaria”, che escludeva i frati “laici” da tutte le cariche all’interno dell’Ordine, riservandole ai soli “chierici”. Dopo le innovazioni pratiche, imposte dalla politica di grandezza di frate Elia, giungevano allora le innovazioni istituzionali che mutavano la fisionomia dell’Ordine. “Lo stile di Rivotorto e di S. Maria degli angeli diventava un semplice ricordo del passato”. Nel Capitolo di Genova del 1244 fu eletto Ministro generale Crescenzio da Iesi, uomo di età avanzata, strenuo lottatore contro gli spirituali, ricorse al Papa Innocenzo IV per una nuova esplicazione della Regola. Questi emanò la bolla "Ordinem vestrum" il 14 novembre 1245 con la quale ammetteva il ricorso agli Amici spirituali per provvedere ai frati non solo “in necessitatibus”, ma anche in utilitatibus e commodis”63: i beni dell'ordine erano della Santa Sede, si voleva l'immissione dei frati agli studi e nell'apostolato; si rafforzava l'esenzione dai vescovi. In questa bolla si esprimeva il desiderio della Chiesa nei riguardi dell’Ordine quando si diceva che si ammettessero al noviziato “soltanto quelli che per la loro preparazione culturale e per altre circostanze lodevoli possano essere utili all’Ordine, a loro stessi, per i meriti di Vita, e giovare agli altri per il loro esempio”64. Crescenzio si rivolse a tutti i frati che avevano conosciuto Francesco affinché dessero notizie certe: intervennero Leone, Rufino e Angelo, i frati che potevano ripetere, anche con un certo risentimento: “Nos

62 Bullarium Francescanum I, p.40163 BF, I, 400-402.64 Ibidem.

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qui cum eo fuimus”…, che inviarono la lettera di Greccio, e nacque la Seconda Vita di Tommaso da Celano negli anni 1246-47. Intanto i conventi si costruivano ben organizzati, con chiostri e foresterie, i frati erano obbligati al coro e alla “messa conventuale". Poiché la lotta tra gli spirituali e i frati della comunità era viva, Crescenzio invitò Tommaso da Celano a scrivere la Vita Seconda di Francesco, con un taglio diverso dalla Vita prima e ispirato e documentato dai frati che avevano conosciuto Francesco. Nel 1245 ci fu il Concilio di Lione al quale presero parte diversi Maestri francescani come Alessandro D’Ales, Adamo di Merch, ecc. Si parlò dei Tartari per i quali si preparò una missione che più tardi sarà guidata da Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo di Rubruk, Benedetto di Polonia, ecc. La bolla "Ordinem vestrum", che aveva rinnegato il “valore spirituale del francescanesimo originale, sottolineando, tra l’altro, per quanto riguarda l’ammissione dei nuovi frati, la necessità di un buon livello culturale”, aveva aperto un vero dissidio in seno all'ordine e si vedranno gli effetti tra non molto. Nel Capitolo di Lione del 1247 fu eletto Generale Giovanni Buralli da Parma, dottore di Parigi, uomo santo, zelante nella disciplina 65. A questa elezione, frate Egidio esclamò: "Bene et opportune venisti, sed tarde venisti". Quegli celebrò i Capitoli generali ogni tre anni, una volta in Italia e una volta all'estero, seppe fronteggiare i maestri di Parigi che accusavano l'Ordine di Gioacchimismo, sviluppò gli studi dei quali diceva: "Sono uno dei mezzi che costruiscono la religione", ottenne diversi privilegi pontifici. Nel 1247 il Papa emanò la bolla “Quanto studiosus” con cui venivano creati i "procuratores" che erano rappresentanti della S. Sede per l’“amministrazione dei beni”. Nel Capitolo di Metz del 1254, i frati rinunciarono del tutto al breve "Quanto Studiosus" e sospesero l'applicazione della bolla "Ordinem vestrum". Negli anni 1252-54, poiché i dottori laici di Parigi si schierarono contro i francescani e domenicani, il Ministro generale fu molto attivo nel difendere i frati che, alla fine ebbero ragione.

65 Ff 1889

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IL GIOACCHIMISMO: I FRANCESCANI E I PROFESSORI LAICI DI PARIGI. L’ORTODOSSIA MINATA.

Fra Gherardo da Borgo S. Donnino scrisse : "Liber introductorius in Evangelium eternum", seguendo in un modo unilaterale Gioacchino da Fiore, e andò anche oltre il pensiero del monaco calabrese. Nell’università di Parigi, molti maestri “secolari” erano costretti ad interrompere le lezioni a causa di mancanza di studenti perché affluivano presso le cattedre dei religiosi. Guglielmo di S. Amour, uno dei maestri laici ed ottimo polemista, con il libro “Tractatus brevis de periculis novissimorum temporum” del 1255, riteneva che la Chiesa poggia la sua struttura sui vescovi e sui parroci, mentre i religiosi sono un pericolo per Essa. Quando ebbe tra le mani il libro di Fra Gherardo, la sua denuncia divenne irresistibile, anche perché vi ricavò ben 31 errori teologici. Il Papa Innocenzo IV, dietro tante accuse, intervenne contro i religiosi facendo chiudere le loro cattedre nella Università parigina; però subito dopo, Papa Alessandro IV restituì ad essi le cattedre d’insegnamento, pur condannando il libro di Fra Gherardo da Borgo San Donnino. “Entrarono in campo Tommaso d’Aquino con lo scritto “De opere manuali, contra impugnantes Dei cultum”, Tommaso da York e S. Bonaventura con le sue “Quaestiones disputatae de perfectione evangelica”. Guglielmo fu condannato, l’ideale dei religiosi venne ampiamente difeso. Tommaso e Bonaventura vennero accolti in trionfo come maestri reggenti”.Nella disputa aspra e malevole, anche il Generale Giovanni Buralli fu accusato di Gioacchimismo, e lui, da uomo onesto e santo, convocò il Capitolo, dimettendosi da Ministro, e dietro richiesta di una delegazione di Ministri Provinciali, designò quale suo successore fra Bonaventura da Bagnoregio. Il Capitolo si celebrò a Roma il 2 febbraio 1257 nel quale fu eletto Ministro frate Bonaventura da Bagnoregio66. Chi era Bonaventura? Era nato a Bagnoregio, vicino Roma, nel 1221; nel 1243 entrò nell’Ordine a Parigi; ebbe come Maestro Alessandro d'Hales.

66 O. Todisco, Introduzione dell’ “Itinerario della mente in Dio” di S. Bonaventura, Padova 1985, pp. 16-22.

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Nel 1248 ottenne la licenza e cominciò il commento alle "Sentenze" di Pietro Lombardo. Fu nominato Maestro nel 1257 quando era già Ministro generale. Come reggente dell’Ordine fu uomo moderato e saggio; affrontò il problema dei nemici esterni (i maestri laici), soprattutto Guglielmo di Saint-Amour che sosteneva che l' insegnamento e la cura delle anime spettasse solo al clero secolare, mentre i monaci devono astenersi dallo studio e vivere del lavoro delle loro mani. All'interno, gli spirituali contestavano i frati di comunità, Bonaventura era con la Comunità e con la bolla "Quo elongati’’. Nel capitolo di Narbona del 1260, fu stabilito di presentare Francesco con una nuova Vita che riassumesse tutte le precedenti e fu incaricato a stenderla il Ministro generale che compilò la Legenda Major con la quale dimostrò teologicamente “la conformità a Cristo del Santo Patriarca". L’opera era pronta nel 1263 quando si tenne il Capitolo a Pisa. Nel 1266, dopo che i frati ebbero letto la nuova biografia del Patriarca, “con drastica e radicale coerenza, scatta perentorio l’ordine di distruggere tutti i documenti biografici su San Francesco”. Le Costituzioni narbonensi presentate nel 1260, erano un altro strumento di vita fraterna, vissuta in povertà. L’Ordine si stava sempre più clericalizzando in forma ufficiale e legale, tanto che nello statuto 3 della rubrica I° si diceva: “E perché non solo per la nostra salvezza ci ha chiamati Dio, ma anche per l’edificazione degli altri attraverso esempi, consigli e salutari esortazioni, ordiniamo che non si riceva nessuno nel nostro Ordine che non sia chierico istruito convenientemente nella grammatica o logica, oppure se chierico o laico non istruito, il suo ingresso nell’Ordine produca una grandissima edificazione nel popolo e nel clero”. L’Ordine era cresciuto a dismisura e il Generale, con l’Itinerarium Mentis in Deum, intuì come la visione del Crocifisso pone davanti agli occhi lo stadio finale della contemplazione, un amore ardentissimo per il Cristo sofferente. L’amore che ha compenetrato Francesco deve compenetrare anche i figli. Per Bonaventura, Francesco e i francescani sono inseriti nella storia della salvezza: Francesco è l’angelo del sesto sigillo, l’Alter Christus e i frati sono degli imitatori del Padre. Bonaventura vegliò per la fedeltà alla povertà, conservò i sindaci, incrementò gli studi, non volle che l'Ordine si attenesse alla bolla "Ordinem

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vestrum" di Innocenzo IV, preferì i conventi grandi, ma visse anche nei piccoli e sviluppò l'attività apostolica nell'Ordine. “Nei suoi interventi come Ministro generale preoccupato dell’osservanza della Regola francescana nell’Ordine, Bonaventura ebbe quale unico scopo appunto il rinvigorimento della Regola stessa, intese seriamente promuoverne l’osservanza, volle regolare la vita dell’Ordine, eliminando dubbi e incertezze quanto alla formazione dei frati, alla loro attività, al governo e agli uffici dell’Ordine, ai diritti e doveri di ognuno: come abbiamo già notato, questa sua attività legislativa era protesa a togliere eventuali abusi in alcuni luoghi e soprattutto a promuovere un apostolato sempre più efficace per il bene delle anime, come aveva voluto Francesco. Nella sua prima Lettera ufficiale all’Ordine, il nuovo Generale non annunciava un severo inasprimento della vita religiosa, ma chiedeva ai frati di impegnarsi ad estirpare il male, a promuovere il bene. Ed elencava dieci abusi, che allontanavano l’Ordine dalla regola: il facile uso del denaro, l’ozio, il girovagare e vagabondare dei frati, il modo e l’insistenza petulante e fastidiosa nel chiedere l’elemosina, le troppe amicizie con i secolari, le costruzioni di grandiose case, il modo di distribuire gli uffici, l’eccessiva intraprendenza nell’accaparrarsi i funerali e lasciti testamentari in favore dell’Ordine, l’eccesso nelle spese”67. Le costituzioni Narbonensi del 1260 raccolsero tutta la legislazione precedente e fissarono i Capitoli ogni tre anni. Fu severo contro gli spirituali. Anche Giovanni Buralli dovette subire il processo, ma ne uscì quasi indenne: “A Città della Pieve i giudici sparavano accuse contro l’imputato: eccessivo rigore nel governo dell’Ordine e gioacchimismo. Sono sempre duri i teologi! Giunto il momento della discolpa, Giovanni si alzò e recitò il credo. Il Card. Ottoboni troncò il processo: “La fede di fra Giovanni è la mia fede. Cessate di combatterlo”68. Bonaventura fu amato da tutti per la scienza e la bontà. Intervenne per l'elezione di Papa Gregorio X e i cardinali lo ascoltarono nel 1272. Preparò il Concilio di Lione in qualità di Cardinale, e morì il 14.07.1274.

67 A. Pompei, Origine e sviluppo dell’Ordine francescano nella valutazione di S. Bonaventura, in MF, 109 (2009) p. 337.

68 C. Cargogni, Bonaventura secondo fondatore? in Italia francescana LXXVIII, 1, 2003, 90

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Nel Concilio di Lione alcuni vescovi si schierarono contro i mendicanti, ma il Papa Gregorio X avrebbe detto: "Vivete come essi vivono, studiate come essi studiano, e otterrete gli stessi risultati". Girolamo d’Ascoli: Nel capitolo di Lione del 1274 fu eletto Ministro generale questo ottimo frate che era stato missionario, e nel momento dell’elezione, era legato pontificio presso la Chiesa ortodossa. Con un lavorio molto complesso, aveva portato alla riappacificazione, anche se risultò momentanea, la Chiesa greca con quella di Roma. Nel 1279-83, dopo l'elezione di Girolamo a cardinale, fu eletto Generale il beato Buonagrazia da S. Giovanni in Persiceto. Sotto il suo governo, da Nicolò III fu rispiegata la regola con la bolla "Exiit qui seminat". Cardinali e Maestri francescani, tra questi, Pietro di Giovanni Olivi, dettero una chiarificazione della Regola, il più attinente possibile allo spirito di S. Francesco. L'Exiit è moderatamente rigida circa i punti più discussi: povertà, uso del denaro, edifici, procuratori dei frati... . Si sente l'influsso di Bonaventura. Nel 1281 fu chiesta a Martino IV una bolla poco felice, nella quale si concedevano più ampie facoltà di cura d'anime ai frati (Ad fructus uberes). Nel 1283 fu pubblicata la bolla "Exultantes" con la quale si istituivano i sindaci apostolici come figure giuridiche. Morto Buonagrazia nel 1283, ci furono due anni di sede vacante. Nel Capitolo di Milano del 1285 fu eletto Ministro Arlotto da Prato che ebbe un breve governo in quanto fu raggiunto da sorella morte nel 1286. Durante il suo governo fu fatto il processo a Pietro Olivi accusato di gioacchimismo. Nel 1287 fu eletto Generale Matteo d'Acquasparta nel Capitolo di Monpellier; questi riabilitò l'Olivi e lo inviò in Toscana dove si unì ad Ubertino da Casale. Eletto cardinale Matteo, nel 1289, nel Capitolo di Rieti fu eletto Ministro Raimondo Godefrido, benevolo con gli spirituali. Nel capitolo furono riviste le Costituzioni Narbonensi. Poiché era molto vicino agli spirituali, Bonifacio VIII lo elesse vescovo di Padova ponendolo fuori dall'Ordine e dalla mischia.

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Nel 1295, nel Capitolo di Anagni, fu eletto Giovanni Minio da Morrovalle, uomo dottissimo, maestro parigino, ottimo diplomatico della Santa sede e nemico degli spirituali69. Creato cardinale nel 1302, continuò a reggere l'Ordine fino al 1304. Nel 1302 inviò una lettera circolare bellissima ai frati con la quale richiamava tutti alla povertà, proibiva ai conventi di accogliere beni e latifondi, e mise al bando redditi e proventi. Dal 1304 al 1313 si ebbe l'ottimo governo di Gonsalvo da Vallebona, dottore e uomo ricco di mente e di cuore. Nel 1308 ci fu il Concilio di Vienna che con la bolla "Exivi de paradiso" di Clemente V, fu data una nuova esplicazione della Regola. Nel 1313 fu eletto Alessandro Bonini che scrisse un trattato sulla Regola: in esso vi troviamo precetti, consigli ed esortazioni. Morto nel 1314 il Bonini, si ebbero due anni di vacatio fino al 1316. In questo periodo gli spirituali divisero l’Ordine balordamente in tre fasce: zelanti, moderati e rilassati. Nel capitolo celebrato a Napoli nel 1316, fu eletto Michele Fusco da Cesena. In quel momento storico su 40.000 frati, solo in tre province, vivevano 200 frati, detti spirituali: Provenza con Ugo di Digne e Pietro di Giovanni Olivi, Toscana con Ubertino da Casale che scrisse "Arbor vitae crucifixae Iesu", Le Marche con Angelo Clareno che scrisse "Cronaca delle sette tribolazioni" e "Expositio regulae fratrum minorum". Michele si mostrò sempre più vicino ai fraticelli, e soprattutto per l'opera del dialettico Bonagrazia da Bergamo (1316-28), fece sì che l'Ordine si schierasse contro il Papa. Questi, già nel 1322, con la costituzione Ad Conditorem canonum, aveva dichiarato che la perfezione evangelica “consiste principalmente ed essenzialmente nella carità”, piuttosto che nella povertà; precedentemente, con la bolla Quorumdam exigit, del 07.10.1317, aveva spiegato che “ogni religione perisce se si sottrae all’obbedienza meritoria dei sudditi”. Nel Capitolo di Bologna del 1328 i frati si inalberarono contro il Papa accusandolo di eresia, rieleggendo Ministro il Fuschi. Giovanni XXII dichiarò nullo il Capitolo di Bologna e Michele fuggì trovando protezione presso l'Imperatore Ludovico il Bavaro. Il Papa scomunicò l'Imperatore e tutti i caporioni dell’Ordine che si erano schierati con il cesenate. Il Papa rinunziò ai beni dell’Ordine abolendo i Procuratori perché riteneva un’ipocrisia fare amministrare i beni ad estranei e farli utilizzare dai frati: era un sistema di simulazione, anzi di “perversa simulazione” in quanto “il

69 G. Parisciani, I frati minori conventuali delle Marche (sec. XIII-XX), Falconara 1982, pp. 121ss.

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dominio della Santa Sede era verbale, molesto e noioso” per le questioni e liti che creava, e i frati non erano affatto più poveri degli altri istituti di vita consacrata. In tal modo, “il francescanesimo, nella teoria e nella prassi, era ridotto ad essere una delle forme della perfezione cristiana, che coesisteva con le altre forme, e l’Ordine dei minori era uno dei tanti Ordini nella Chiesa. L’identità francescana per oltre un secolo si era presentata con l’equazione: povertà francescana uguale a povertà evangelica e perfezione evangelica significava perfezione francescana”70. L'Imperatore Ludovico il Bavaro, nemico dichiarato del Papa, si recò a Roma per essere incoronato da Sciarra Colonna ed elesse antipapa il francescano abruzzese Pietro da Corvaro che prese il nome di Nicolò V. Nel 1328 fu nominato vicario il Cardinale Bertrando de la Tour, amico del Papa e uomo intelligente, che resse per un anno l’Ordine. Dal 1329 al 1342 fu Ministro generale Gerardo Oddone, eletto nel capitolo di Parigi, amico di Giovanni XXII; è l'epoca delle polemiche sull'autorità del Papa, soprattutto per causa di Guglielmo da Ockam che poneva il Concilio sopra il pontefice, ma contemporaneamente c’era nell’Ordine un Alvaro Pelagio che difendeva strenuamente l’autorità pontificia. Gerardo fu poco francescano nello spirito: dispensava i singoli provinciali dall'osservanza della Regola, cercava di abolire il precetto di non ricevere denaro e spinse l'Ordine fuori dallo spirito di Francesco; a causa del nuovo Pontefice Benedetto XII che proveniva dai cistercensi, gli si voleva dare la veste benedettina tramite gli “statuta benedectina” del 1336. Nel 1337, aboliti gli statuti benedettini, nel capitolo di Cahors furono pubblicate nuove costituzioni che si basavano su quelle del 1316.

AL SERVIZIO DELLA SANTA SEDE Perché i Papi spesso e volentieri dettero dispense ed esenzioni ai frati? E una domanda logica, ma anche la risposta è chiara. I Papi avevano bisogno di questa forza vergine e senza interessi personali. Il monachesimo era in crisi, quindi da Innocenzo III in poi la Chiesa utilizzò i frati mendicanti, domenicani e francescani, che diventarono forze nuove e fidate dei Papi. I frati furono utilizzati come ambasciatori perché non erano sospettati di affari personali, ma messaggeri della verità, nella semplicità. Per i loro piedi nudi tutte le corti erano aperte.

70 G. G. Merlo, S. Francesco, Padova 2003, p. 280

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L'Esenzione non era un privilegio, ma piuttosto un requisito dato dal Papa per dire che dipendevano da Lui: sudditi e soggetti ai piedi della Santa Romana Chiesa. Al dire di Alessandro IV, erano uomini di fiducia; frequentavano correntemente la corte pontificia dove svolgevano i compiti di: cappellani, sacristi, predicatori, penitenzieri pontifici. Anche se Francesco non avrebbe mai voluto, i frati, ben presto, dovettero accettare alte cariche, come era accaduto ai monaci nei secoli precedenti. Dall’Ordine francescano uscirono Vescovi, Cardinali e Papi. Nel primo secolo furono consacrati vescovi 250 frati. Nel secondo secolo del francescanesimo furono elevati alla dignità episcopale ben 746 frati, mentre nel terzo secolo si ebbero 791 vescovi. Di legati e nunzi apostolici ne furono oltre 300, mentre di Cardinali ce ne furono oltre 30. L’Ordine non fu troppo aperto ai frati che aspiravano all’episcopato, anzi le Costituzioni narbonensi privavano dei beni spirituali dell’Ordine chi cercava di accaparrarsi l’episcopato senza il permesso del Generale71. Vicedomino de’ Vicedomini di Piacenza, nipote del pontefice B. Gregorio X, fu frate francescano e poi vescovo di Aix; dallo zio fu creato cardinale vescovo di Palestrina nel 1273. Fu eletto Papa a Viterbo il 6 settembre 1276; morì lo stesso giorno dell’elezione, quindi non poté essere coronato e non figura tra i pontefici dipinti nella chiesa di S. Paolo fuori le mura. Fu sepolto nella nostra chiesa di Viterbo.

NICOLO’ IV PRIMO PAPA FRANCESCANO (1288-92)

Frate Girolamo Masci, dopo essere stato missionario della Santa Sede presso il patriarcato di Costantinopoli, ed essere riuscito a riportare la Pace tra le due Chiese, anche se fu per breve tempo, continuò a lavorare per l’Ordine con l’incarico di Ministro generale, quindi fu creato Cardinale e nel 1288, dopo 11 mesi di Sede vacante, fu eletto Papa e prese il nome di Nicolò IV. Durante il suo governo che durò quattro anni, inviò i frati minori in Albania, Bosnia, Serbia, Armenia e in tutto l’Oriente. Si ricordi la straordinaria missione di Giovanni da Montecorvino che raggiunse l’India, la Persia e la Cina e fu il primo arcivescovo di Pechino. Pose la prima pietra del Duomo di Orvieto (1290), riparò la basilica di S. Maria Maggiore a Roma, rinnovando l’abside con i mosaici di Iacopo Torriti e di fra Iacopo da

71 H. Holzapfel, Manuale Historiae Ordinis Fratrum Minorum, Freiburg 1909 pp.156-161.

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Camerino. Dette la prima regola bollata ai francescani secolari che allora erano detti “ Dell’Ordine della penitenza”, con la bolla Supra Montem, del 18 agosto 1289. Morì il 4 aprile 1292 e fu sepolto in S. Maria Maggiore72.

FRANCESCANI MESSAGGERI DI PACE Giovanni Parente fu inviato dal Papa Gregorio IX a ristabilire la pace nella città di Firenze nel 1231. Girolamo Masci d’Ascoli, da ministro generale, negoziò la pace tra Francia e Castiglia. Matteo d’Acquasparta fu inviato da Bonifacio VIII in Toscana per ristabilire la pace. Gentile da Montefiore fu inviato in Ungheria per ristabilirvi la concordia agli inizi del secolo XIV. Giovanni Minio nel 1298, da Ministro generale andò, con il generale dei domenicani, a trattare per la pace tra Francia, Inghilterra e Fiandre. Paolino da Venezia fu ambasciatore della stessa repubblica, per incarico del papa, presso il re di Napoli nel 1314-16, per trattare di pace. Tommaso Frignati fu incaricato dal Papa Gregorio XI nel 1372 a svolgere diverse missioni di pace tra l’Ungheria, l’Austria e Venezia. Anche Ludovico Donati da Venezia fu incaricato da Urbano VI, quale ambasciatore di pace presso la corte d’Ungheria e il doge di Venezia. Oltre a questi frati più famosi ci furono altri che si impegnarono a ristabilire la pace nelle comunità civili. I nostri refettori, lungo i secoli, sono stati i “parlamenti” delle città dove, alla presenza del guardiano, si riunivano i consigli comunali, e il frate mediava la pace tra i contendenti.

LA CONFESSIONE E LA PREDICAZIONE Il Concilio lateranense IV ribadì che la confessione fosse riservata solo ai Parroci; ma i frati ebbero il permesso dalla Santa Sede di poter confessare nelle loro chiese fin dal 1237. Bonifacio VIII, con la bolla "Super Cathedram", istituzionalizzò questo diritto, anche se bisognava richiedere il permesso dell’Ordinario, dopo essere stati presentati dal superiore73.

72 G. Andreozzi, Storia delle regole e delle costituzioni dell’Ordine francescano secolare, Perugina 1988, pp. 87-97; cfr G. Parisciani, o.c. pp.111-114.

73 La Bolla Super Cathedram stabiliva che i religiosi, per poter confessare, avevano bisogno del permesso dell’Ordinario del luogo, dopo essere stati presentati dai Superiori.

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Nel medioevo la predicazione era riservata ai vescovi; i Papi concesero ai frati il permesso di predicare senza neppure chiedere l’autorizzazione ai vescovi, perché esentati dal dovere di chiedere il permesso ad essi, ma incaricati e autorizzati direttamente dalla Sede Apostolica. Essi lavoravano sotto la diretta dipendenza del Papa. Abbiamo una schiera di grandi annunciatori del vangelo per le vie d'Europa e sono i frati domenicani e francescani. Alcuni famosi predicatori dei primi secoli della famiglia serafica: Antonio di Padova †1231 (predicava anche a 40.000 persone), Raimondo da Arezzo †1252, Bonaventura da Iseo †1260, Bertoldo da Ratisbona †1272 “emulo, per fama, del Patavino” (parlava a 60.000 persone), e percorse tutta l’Europa centrale, rievangelizzò la Germania, la Svizzera, la Moldavia, la Boemia, l’Austria e l’Ungheria. Fu proclamato dal popolo “Santo frate e nuovo Elia”. Ugo da Digne, Corrado di Sassonia, Oddone Rigaud †1275, Aimone da Favershan †1243, Giovanni della Rochelle †1345, che scrisse: Ars Predicandi, Landolfo Caracciolo di Napoli †1351, ecc…

FRANCESCANESIMO - ORDINE APOSTOLICO E NON EREMITICO

Agli albori della conversione di Francesco e della nascita della famiglia con il dono dei primi frati, nacque una inquietudine seria nel cuore del Padre: se darsi alla contemplazione o all'apostolato. Spesso domandava ai fratelli: “Che cosa decidete? Che cosa vi sembra giusto? Che io mi dia tutto all'orazione o che vada attorno a predicare?” Inviò un'ambasciata da frate Silvestro e un'altra dalla sorella Chiara a scrutare il disegno di Dio sulla sua vita e su quella del suo Ordine, e tutti e due gli fecero sapere che “volere di Dio era che Lui si fosse fatto araldo di Cristo uscendo a predicare”74. Da questa unanime risposta dei due contemplativi decise che il suo Ordine fosse non eremitico o contemplativo, ma dedito all'apostolato della predicazione. Lui stesso spingerà i suoi frati a recarsi per città e castelli ad evangelizzare e, piano piano, i frati cominceranno ad edificare le loro dimore prima nelle periferie dei centri piccoli e grandi, poi nel cuore di essi, per stare a contatto con i problemi della gente. Francesco e i suoi fratelli saranno “ i figli culturali della città e della nuova società urbana”75. “Egli spinge il suo

74 ff 1204-5. 75 G. Zizzola, Attualità di Francesco d’Assisi, Verrucchio 1995, p. 19.

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movimento nei centri culturali, religiosi ed economici, più significativi, come Perugia, Bologna, Siena, Firenze, Roma, così offrendo al cristianesimo l'opportunità di recuperare lo spazio urbano che aveva perduto allorché, nato nelle città sulla fine dell'età antica, aveva finito per accomodarsi anche culturalmente in campagna, perdendo di vista le sfide immanenti nel grande sviluppo urbano”76.

L’ORDINE E LE MISSIONI

Francesco fu il padre delle missioni del secolo XIII e il primo apostolo non solo della sua famiglia religiosa, ma della Chiesa, nel suo tempo; per l’affetto vivissimo che lo spingeva verso la salvezza dei fratelli infedeli e per la immensa fede in Gesù, che gli bruciava il cuore si dedicava con vero amore per farlo conoscere ad essi. L'ardore della predicazione lo muoveva con grande zelo a recarsi tra i fratelli che avevano bisogno di questo lavacro77. Per tre volte si mise in viaggio per recarsi tra gli infedeli. Nel 1212 tentò di recarsi in Siria, ma senza successo a causa di una tempesta78. Ci riprovò nel 1214, volendosi recare in Marocco, ma, arrivato a Compostella, fu colpito da infermità e dovette desistere, ritornando in Italia. Andò a segno il viaggio intrapreso per la Terra Santa nel 1219, recandosi presso il Sultano d’Egitto e visitando i luoghi santi della Palestina. Francesco è stato il primo fondatore di un Ordine religioso che ha posto un capitolo della regola per i frati che, “per divina ispirazione, avessero chiesto di recarsi tra i Saraceni ed altri infedeli”79. Nel 1217 fu aperta la missione di Siria o di Terra Santa, guidata da frate Elia. Questa missione è restata in mano ai conventuali fino al 1439c., quando, per volere del Papa, passò alla famiglia Osservante che, ancora oggi la custodisce con onore e spirito apostolico. Lungo i secoli hanno contato moltissimi martiri80!

76 Ibidem.77 ff 358.78 ff 41879 ff Rb c XII80 L. Di Fonzo, I frati minori, o. c., p. 258; cfe G. Odoardi , La Custodia Francescana di

Terra Santa, in M F, vol. 43, f. 43 pp. 227-230. Qui troviamo una lunga scia di sangue cristiano, versato per il trionfo di Cristo e della Chiesa, e la testimonianza di molti frati, “angeli di pace e di conforto” per i fedeli e per gli infedeli e testimoniarono con la vita il

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Verso la fine del primo secolo già erano stati aperti oltre 20 conventi ed era fiorentissima tra le altre Province d’Oriente. Essa comprendeva l’isola di Cipro, la Siria, la Palestina, l’Asia Minore e le regioni adiacenti. I frati che vi hanno lavorato, più volte sono partiti da lì per raggiungere le terre dell’India ed altre nazioni lontane. Nel 1219 si recarono in Marocco cinque frati per evangelizzare i musulmani e vi trovarono la palma del martirio81. Nello stesso anno, frate Egidio si imbarcò per la Tunisia82. Sette frati si recarono a Ceuta nel 1227, per annunziare il vangelo; anche questi subirono il martirio83. La vocazione dell’Ordine, nella mente di Francesco, doveva essere missionaria, ma i missionari non dovevano essere fanatici; bensì testimoniare con la vita sincera il vangelo di Gesù crocifisso e risorto. Aveva scritto nella Regola non bollata che i missionari si potevano comportare in due modi: “Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo…”84. Quindi non fanatismo, né ingiuria verso gli infedeli o saraceni. Nella storia va ricordato che diversi missionari, guidati da un tantino di fanatismo e di santo zelo, non si attennero a queste norme. I musulmani ascoltavano volentieri i missionari francescani nella loro predicazione, però quando questi si scagliavano con ingiurie contro il loro “profeta Maometto”, quelli li catturavano e li processavano fino a condannarli a morte! Nel 1232 altri cinque frati si recarono in Marocco ed aprirono la prima chiesa cattolica a Marrakech. Anche questi frati furono martirizzati. Nel 1233 il primo vescovo di Fez fu il francescano frate Agnello, mentre l’Aragonese frate Lope de Ayn fu nominato vescovo di Tunisi da Innocenzo IV nel 1246 e fra Lorenzo del Portogallo era vescovo di Ceuta nel 1266.

trionfo del Signore.. 81 N. Petrone, L’albero Genealogico dell’Ordine dei frati minori conventuali in

Tagliacozzo, Silvi Marina 2006, p. 19. I santi martiri furono: Bernardo, Pietro, Adiuto, Accursio, Ottone. Dei cinque protomartiri, tre erano sacerdoti: Bernardo, Pietro e Ottone; due erano laici: Accursio e Adiuto; cfr ff, 3029, n. 68.

82 D. Rops., La Chiesa delle Cattedrali.. o. c. , p. 581.83 Idem, p.22. Dei sette frati missionari a Ceuta sei erano sacerdoti: Daniele, Samuele,

Angelo, Leone, Ugolino, Nicola; uno era fratello religioso: Donnolo.84 ff, 43. Rnb c. XVI.

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La Provincia di Terra Santa si estese, anche se con difficoltà, toccando l’Egitto e la Grecia. Al tempo del Capitolo di Narbona, nel 1260, abbracciava oltre alla Terra Santa anche la custodia di Siria con 13 conventi, la custodia di Cipro con quattro conventi e la custodia detta Romania che comprendeva l’Impero d’Oriente o di Costantinopoli che nel 1263 diventò Provincia. Il beato Corrado Miliani, nato in Ascoli nel 1234, dopo diversi anni di insegnamento teologico, per la formazione dei giovani, nelle scuole dell’Ordine, negli anni 1274-79 si recò tra i saraceni in Libia dove predicò con ardore il vangelo in diverse regioni; poi si spinse fino alla Cirenaica e fu il primo esploratore di quella regione. Tornato in Europa, fu inviato ad insegnare nell’università di Parigi con grande successo. Eletto papa Girolamo Masci, suo ex compagno di studi, fu richiamato da Parigi perché tornasse a Roma per essere “consigliere del Papa”. Prima di partire, tenne un’ultima lezione agli alunni dicendo loro che ciò che valeva era la Vita eterna e non gli orpelli di questo mondo. Dopo il lungo estenuante viaggio, morì nel 1289 ad Ascoli85. Raimondo Lullo, nato a Palma di Maiorca verso il 1233, dopo un periodo di vita mondana, si rivestì dell’abito dell’Ordine francescano secolare, dedicandosi oltre che alla filosofia e teologia, alle missioni, evangelizzando l'Algeria e la Tunisia, e promosse nella Chiesa nuovi metodi missionari e lo studio delle lingue orientali, fondando per l'Ordine il primo "Collegio missionario" a Miramar (Maiorca, 1276). Diverse volte visitò Roma e i Papi, invitandoli a fondare scuole di lingue orientali per evangelizzare i popoli islamici. Fu lapidato a Bugia nel 1316, dopo una vita missionaria e di grande scrittore. Fu mistico, poeta e catechista e testimone del Risorto agli infedeli86. L'Ordine arrivò con le sue missioni nell’Europa orientale: durante il generalato di S. Bonaventura (1257-1274), i frati arrivarono in Russia e vi crearono una “Vicaria”. Nell’elenco di Paolino da Venezia del 1320-35, risultano aperti i conventi di Leopoli, Grodek, Colornia, Galsitt, Nostin Cucminen, Cereth, Moldaviae, Caminix, Scotorix Cotcham, Licostoni, Albi Castri87. Invece, in Bulgaria e in Romania (Moldavia), i frati arrivano verso il 1370. Alcuni missionari arrivarono in Ucraina nel 1242c. Da qui, si

85 R. Sciamannini, Corrado di Ascoli, in B. S. IV, Roma 1987, 198-99.86 Cassiano da Langasco, Raimonro Lullo, in Biblioteca Sanctorum, VIII, 372-75.87 A. G. Saliba, I francescani Conventuali in Russia e in Lituania, Malta 2002, p. 16.

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spinsero fino alla Georgia (mar Caspio), il primo dei quattro regni dei Tartari. Dopo la conversione del pio Tokai Khan (1291-1313) furono fondate in quella zona molte chiese e conventi con quattro sedi episcopali. Negli anni 1374-80, con l’avvento di Tamerlano, ci fu la grande devastazione, continuata dai Turchi oltre il 1475. La vicaria dell’Oriente è del primo secolo dell'Ordine, ma divenne provincia nel 1469 con sede Costantinopoli, comprendendo il regno di Trebisonda, l 'Armenia, la Persia (Il secondo regno Tartaro). In questa zona si ebbero moltissimi frati martirizzati tra i quali Gentile da Matelica (Tabriz 1340) e il b. Tommaso da Tolentino con altri tre soci martiri a Tana (India) nel 132188. La missione più famosa e leggendaria dei minoriti fu negli ultimi due regni dei Tartari, nel centro dell'Asia: nella Mongolia e nella Cina.

GIOVANNI DA PIAN DEL CARPINE

Giovanni “era notissimo e stimato nell’Ordine per i grandi servigi prestati come Ministro della Provincia Germanica; era largamente noto in Europa per avervi predicato, tra i primi, la crociata contro il nuovo pericolo che si profilava dall’Oriente con l’invasione dei Tartari. Ma, solo dopo che tale pericolo divenne incalzante ed immediato, nella terza invasione dell’anno 1241 che si estese a tutta l’Europa orientale con puntate devastatrici sul litorale della dalmazia e sulle stesse province friulane, l’Europa esterrefatta aperse gli occhi, e il pontefice Innocenzo IV, sollecitato da molte parti, pensò di mandare un suo ambasciatore al Kan de’ Tartari, con un duplice scopo missionario e politico”89. Giovanni aveva iniziato la sua vita missionaria in Germania nel 1221. Nel 1222 era custode della Sassonia e fondò diversi conventi in Germania. Nel 1228 fu eletto ministro della Germania. Nel 1230, mentre era in viaggio per il Capitolo generale, fondò il convento di Metz. Dal capitolo generale gli fu affidato la provincia di Spagna. Nel 1233 ritornò in Sassonia e vi rimase per 6 anni lavorando intensamente. Nel 1245, Innocenzo IV lo

88 AA.VV.In “ Ordini e Congregazioni religiose”, Cfr L. Di Fonzo., I Frati Minori, Torino 1951, pp. 203-208.

89 A. Orlini, Giovanni da Pian del Carpine, in MF, 1943, p. 57.

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nominò suo legato tra i Tartari, e in 16 mesi svolse la sua missione. Ritornato, si fermò 3 mesi presso il Papa. Dopo fu ambasciatore presso il Re di Francia per chiedere il rinvio della spedizione in Terra Santa. Fu eletto vescovo di Antiravi e ne prese possesso solo nel 1248. Della sua ambasceria tra i Tartari scrisse “Historia Mongolorum” dove tratta la geografia del luogo, gli usi, i costumi e la religione di quei popoli. Descrive minuziosamente l'esercito, i metodi di combattimento e le crudeltà di quella gente. La relazione ha un grandissimo valore storico ed etnografico. Giovanni ha lasciato un documento non perituro in quella sua Historia Mongolorum che oltre ad essere una relazione esatta del viaggio, e perciò di grande importanza geografica, etnografica, religiosa, è anche compilata in tal guisa da mettere in estrema evidenza il pericolo cui l’occidente andava incontro e la necessità di una preparazione adeguata, spirituale, materiale e tecnica per proteggerlo, cioè riveste una grande importanza politica…E’ il primo documento serio che in Occidente parli dei Mongoli”90.

GUGLIELMO DI RUBROUK, FIAMMINGO E BARTOLOMEO

Questi due frati erano missionari in Terra Santa quando Ludovico IX re di Francia li incaricò di portare una lettera gratulatoria al principe Sarthac, che si credeva fosse diventato cristiano, e partirono da Accon nel 1252. Primo incontro con i Mongoli li ebbero a Kiew il 3 giugno 1252. Dopo tre mesi di marce forzate furono condotti a Tanis sul Don dal principe Sardhac che era tutt'altro che cristiano e li accolse freddamente. Qui c'erano i nestoriani che dominavano. Guglielmo e Bartolomeo volevano restare per evangelizzare, ma il principe disse che non era in suo potere farli restare, ma dipendeva dal padre. Questi se ne lavò le mani appellandosi all'autorità dell'imperatore, quindi i missionari si recarono presso l'imperatore Mangù che li trattò bene, e molte volte li volle sotto la tenda a prendere il thè in sua compagnia. Nel 1253 dovettero riprendere il viaggio di ritorno dalla Mongolia in Terra Santa e precisamente ad Accon. Certo delusi per non aver potuto compiere il loro scopo di evangelizzare le popolazioni. Ad essi fu negato il permesso di recarsi presso il Re Ludovico IX a Parigi al quale potettero inviare il “Diarium”. Il racconto da loro fatto, “è un curioso

90 Idem, p. 59.

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documento sull’Asia misteriosa del Medioevo, e insieme sulle reazioni dei due occidentali lanciati all’avventura così lontano dai loro paesi”91.

Giovanni da Montecorvino primo vescovo di Kambalik (Pechino) Prima di essere frate era stato soldato, giurista e medico. Da frate era rigido e della corrente degli spirituali. Era missionario in Terra Santa quando nel 1289 partì per la Cina. Dalla Persia e Armenia dove si trovava, dovette tornare in Europa come legato di Aitone II d'Armenia presso Nicolò IV. Il Papa, conoscendo la sua indole, se ne servì come ambasciatore tra molti popoli e specialmente presso il Gran Khan di Cina. Partì il 15 luglio 1289 da Rieti. Sbarcò in Antiochia e si inoltrò a piedi verso Sis, capitale dell'Armenia, quindi a Tauris (Tabriz) in Persia. Nel 1291, in compagnia del domenicano Nicolò da Pistoia (che morì lungo il viaggio) e un ricco mercante italiano, per via mare si diresse a Kambulik dove arrivò tra il 1294 e il 95. Qui fu accolto con fasto orientale dall'Imperatore. Restò a Pechino 34 anni, svolgendo un denso apostolato e convertendo oltre 100.000 persone. Costruì chiese e conventi a Yangtchon, a Zaiton, nel Tenduc e ad Armalek. Eresse due orfanotrofi e un seminario per gli indigeni. Convertì lo stesso imperatore Geng Trung con il quale divenne amico e confidente. Tradusse in cinese il salterio e il Nuovo Testamento e celebrava la messa in cinese. L'Imperatore volle ricevere gli ordini minori e costruì una chiesa che chiamò "Romana" in onore del Papa. Giovanni tra il 1305 e il 1306 scrisse due lettere: la prima ai frati di Crimea del 18 gennaio 1305 e l'altra ai frati di Tauris del 13 febbraio 1306 dove spiegava tutto il suo apostolato e chiedeva personale per la missione. Poiché la prima lettera del 1305 capitò in mano a Tommaso da Tolentino, questi non perse tempo e da Tauris si recò a Poitier dove stava il Papa, e tramite il card. Giovanni Minio la consegnò a papa Clemente V. Il Papa intuì il momento favorevole; fece ascoltare il racconto di Tommaso a tutti i cardinali e ordinò che sette frati fossero consacrati vescovi e con un centinaio di frati partissero per Pechino dove avrebbero dovuto consacrare Arcivescovo Giovanni. La spedizione avvenne sul finire

91 D. Rops, o. c., p. 587.

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del 1307. Dei sette vescovi solo tre raggiunsero la Cina, perché quattro morirono per via; questi consacrarono Vescovo Giovanni tra il 1309 e il 1310 nella cappella della reggia alla presenza di Kaisum Guluk. Giovanni Fece un ottimo piano pastorale con gli altri vescovi e con i frati e lavorò instancabilmente fino alla morte, avvenuta nel 132892. A tutt’oggi, i cristiani cinesi venerano come Santo Giovanni e ne invocano la giusta “canonizzazione” alla Santa Sede93.

Documento del 1305 Lettera di Giovanni da Montecorvino ai frati di Crimea: “Io, fra Giovanni da Montecorvino dell’Ordine dei frati minori, partii da Tabris, città della Persia, l’Anno del Signore 1291, entrai in India e rimasi presso la chiesa di S. Tommaso apostolo 13 mesi. Ivi ho battezzato, in diverse località, circa cento persone; mi fu compagno di viaggio fra Nicola da Pistoia dell’Ordine dei frati predicatori, che ivi morì e fu sepolto nella stessa chiesa. Procedendo oltre, raggiunsi il Cathai, regno dell’imperatore dei Tartari detto Gran Khan. Con le lettere del Signor Papa invitai lo stesso imperatore ad abbracciare la fede cattolica del nostro Signore Gesù Cristo; ma egli è molto ostinato nell’idolatria; Però concede molti benefici ai cristiani e io sono presso di lui già da 12 anni. I Nestoriani che portano il nome di cristiani, ma dalla religione cristiana assai lontani, si sono così affermati in questi luoghi che non permettono ad alcun cristiano di altro rito di avere liberamente anche un piccolo oratorio, né di predicare altra dottrina che la nestoriana. In queste regioni non è venuto alcun apostolo né discepolo degli apostoli, perciò i detti nestoriani, per sé o per gente prezzolata, inveirono contro di me con gravissime persecuzioni, asserendo non essere io mandato dal Papa, ma essere un esploratore, un mago, e un imbroglione. Dopo qualche tempo suscitarono falsi testimoni i quali asserivano essere stato inviato con un Nunzio che portava all’imperatore un ricco tesoro e che io, dopo averlo ucciso in India, mi sarei appropriato di ciò che portava. Tale insidia durò per quasi cinque anni e molte volte fui tratto in giudizio con pericolo della morte. Finalmente dietro confessione di alcuni, così Dio disponendo, l’imperatore riconobbe la mia innocenza e la malizia degli avversari, che

92 T. Lombardi, o.c., p. 152ss; cfr G. Odoardi ., Giovanni da Montecorvino, in Biblioteca Sanctorum VI, c. 840-844

F. Jorio., Il Beato Giovanni da Montecorvino, Montecorvino - Rovella, Salerno, 1932.93 L. Di Fonzo, I Minori, o.c., p. 209.

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con le mogli e i figli furono mandati in esilio. In questa peregrinazione io ero solo, senza potermi confessare per 11 anni, fino a quando, or sono due anni, mi raggiunse frate Arnoldo alemanno della Provincia di Colonia. Ho edificato una chiesa nella città di Khambaliq, principale residenza del re, già compiuta da sei anni, ho fatto innalzare un campanile e vi ho posto tre campane. Ivi ho battezzato fino ad oggi, come credo seimila persone. Se non vi fossero state le suddette persecuzioni ne avrei battezzato oltre trentamila, spesso sono tutto intento a battezzare. Successivamente ho comprato quaranta fanciulli di età tra i sette i nove anni, figli di pagani, ignoranti di ogni legge, li ho battezzati ed istruiti con lettere latine nel nostro rito; ho scritto per loro trenta salteri con inni, e due breviari, con i quali, undici fanciulli hanno imparato il nostro ufficio. Essi tengono il coro settimanale come in convento, me presente o no. Parecchi di loro trascrivono i salteri e altre cose opportune. Il signore imperatore si diletta molto del loro canto. A tutte le ore suono le campane e con il coro dei fanciulli e dei lattanti recito il divino ufficio. Cantiamo in modo popolare perché non abbiamo un ufficio con note musicali”.

Odorico da Pordenone Nato tra il 1269 e il 72. Divenuto sacerdote, chiese ed ottenne di recarsi missionario in estremo Oriente. Non è chiaro l'anno di partenza, ma il viaggio missionario durò 33 anni. Si imbarcò a Venezia e fece una prima tappa a Trebisonda. Da qui, per terra attraversò l'Armenia, la Persia e ad Ormuz si imbarcò su una nave araba che lo portò a Tana sulla foce dell'Indo dove erano stati martirizzati 4 frati tra i quali Giacomo da Padova. Raccolse le reliquie dei martiri e partì per Ceylon quindi Sumatra, Giava, il Borneo, dove fu il primo europeo a mettervi piede. Arrivò finalmente in Cina meridionale e si spinse fino a Zaiton dove trovò i primi due conventi francescani e vi depose i resti dei martiri di Tana. Visitò Camsay, passò a Nanchino quindi si recò oltre il fiume azzurro. Nel 1326 fondò la chiesa di Sin-Ching (Shantung). Attraversò il fiume giallo e raggiunse Pechino meta del suo viaggio. Lavorò con Giovanni da Montecorvino per tre anni. Convertì oltre 20.000 infedeli; rischiò molte volte la vita. Per volere di Giovanni riprese il viaggio

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di ritorno. Rientrò a Venezia nel 1330. Dettò la "Relazione dei suoi Viaggi” a Guglielmo da Solagno. Morì nel 1331 a Padova.94

Giovanni da Marignolli L'Opera dei pionieri ha trovato un ottimo continuatore in Giovanni Fiorentino. Nato a Firenze sul finire del sec XIII, fu detto anche Giovanni di S. Lorenzo; era colto, poliglotta, diplomatico. Benedetto XII lo inviò nel 1339 come ambasciatore presso il Gran Khan Togar Timur. Fu accolto trionfalmente e restò in corte tre anni. Impegnò 11 anni per tornare in patria: percorse, evangelizzando la Cina meridionale, 1'India, la Mesopotamia, la Palestina. Il 12 maggio 1354 fu eletto vescovo di Bisignano. Il Re Carlo IV di Boemia lo volle suo consigliere e cronista. Fu paciere tra Fiorentini e Bolognesi (1356-7); fu accorto mediatore tra i francescani e il Primate d'Irlanda. Ha lasciato il "Chronicon Boemorum". Morì nel 135995. Guglielmo du Prè (da Prato), maestro di Oxford e di Parigi fu creato vescovo di Pechino nel 1370 e partì con 60 missionari. Nel 1368 subentrò la nuova dinastia dei Ming contraria al cristianesimo. Si aprì un lungo periodo di persecuzioni e di martirio: furono uccisi quasi tutti i frati e verso il 1400 fu distrutta anche l'organizzazione ecclesiastica che era stata costruita con tanta cura e amore, nel Cristo della Risurrezione, dai francescani durante l’intero secolo XIV.

ALCUNI MISTICI DELL'ORDINE E SCRITTORI DI MISTICA NEI SECOLI XIII -XIV

La famiglia francescana ha avuto grandi mistici nel primo secolo della sua vita: ricordiamo Francesco, che “non era tanto un uomo che pregava, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente”96. Volle conformarsi “al Cristo e all’angelo del sesto sigillo” e gustò il massimo della sua esperienza mistica sul monte della Verna, ricevendo le stimmate dal Signore, che portò impresse sulle sue membra per due anni, come segno del

94 Cassiano da Langasco, Odorico da Pordenone, in B.S. , IX, 1120-2195 A. Ghinato., Giovanni da Marignolli, in E.C., VIII, c.155-156. 96 2Cel. ff 682.

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reciproco amore. “La mistica di Francesco è cristocentrica: i frati dovranno seguire il Cristo che si è fatto povero. Però si tratta di una povertà che arricchisce di virtù: la povertà liberamente abbracciata, perché Cristo si è fatto povero, non è, dunque indigenza, ma virtù, nuova vita da risorto in Cristo… La mistica di Francesco è soprattutto una mistica pasquale…”97. Antonio di Padova fu maestro di preghiera con l’esempio prima che con la parola. Scrive e vive Antonio come “l’anima che sale dal deserto alla contemplazione, quando abbandona tutte le cose inferiori e, penetrando fino al cielo con la devozione, s’immerge totalmente nelle realtà divine, e viene realmente colmata di delizie, allorché si allieta nella pienezza del gaudio spirituale e si rinvigorisce nell’abbondanza delle letizie interiori comunicate dal cielo e in lei copiosamente infuse. L’anima si appoggia al suo diletto quando nulla presume dalle sue forze…”98. Prima di morire, nel 1231 a Camposampiero fu visto dall’amico Tiso parlare con il bimbo Gesù che stringeva tra le braccia.Chiara di Assisi “si dedicò assiduamente alla preghiera e alle veglie, consacrandovi la maggior parte del giorno e della notte”. Essa fu una grande mistica e i suoi pochi, ma stupendi scritti ne danno viva testimonianza99.Angela da Foligno, sin dal 1600 era ritenuta “Maestra dei Teologi” e “il Papa Pio XII negli anni ’50 definiva -La più grande mistica francescana, grande, grandissima mistica-”100. S. Elisabetta d’Ungheria, di cui, Corrado di Marburgo scrisse: “Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività..”101. Bonaventura da Bagnoregio, definito dall’Ordine e dalla Chiesa, “il dottore Serafico”, è una delle menti più belle e dei cuori più ardenti del secolo d’oro del francescanesimo. E’ figlio di Francesco, dotto e umile; ha descritto la sua ascesi e il suo mondo amoroso accanto al Signore nel “De triplici via” quando scrive: “Siccome ogni scienza porta l’impronta della Trinità, deve, segnatamente quella che si impara nelle Sante Scritture, rappresentare le orme di Dio uno e trino. Dice perciò il Savio di averla

97 G. Frasca, L’Esperienza mistica di Francesco d’Assisi, Porziuncola 2005, p.134.98 I Mistici francescani, Vol. I , p 992.99 Colette Roussey e Pascale Gounon, Nella tua tenda per sempre-Storia delle clarisse –

Un’avventura di ottocento anni, Città di Castello 2005, p. 91.100 D. Alfonsi, La figlia dell’estasi, in Un’esperienza di vita-Angela da Foligno,

Perugina 2000, p. 51.101 Ufficio divino, Vol IV , 17 novembre festa di S. Elisabetta, p. 1576.

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disegnata in tre maniere, riferendosi al triplice intelletto della spiritualità: morale, allegorico, anagogico. Il quale risponde al trino atto gerarchico, purificazione, illuminazione, perfezione. La purificazione conduce alla pace; l’illuminazione alla verità, la perfezione alla carità. Queste tre interamente raggiunte, l’anima è in beatitudine, e nell’esercizio di essa acquista l’aumento dei meriti. Pertanto nel conoscimento di questi tre stati sta la scienza di tutta la sacra rivelazione, e ne dipende il merito della vita eterna…”102. Santa Margherita la Mantellata di Cortona: la peccatrice che si converte e, dopo tanta penitenza e ardore serafico, potè essere chiamata da Gesù “Figlia”. Lei, estatica, balbettava “Gesù mi ha chiamato figlia! Ora so che Gesù è mio Padre! Ora so che io sono sua figlia”! Note distintive della spiritualità francescana furono e restano: lo svuotamento di se stessi, la spoliazione dei beni e l’umiltà per poter vivere in fraternità e minorità con coloro che Dio ha chiamato alla stessa vita, così liberi, seguire con amore Cristo crocifisso e risorto. Per raggiungere Cristo povero e crocifisso, Francesco andrà alla scuola del lebbroso. Fu Cristo, fratello lebbroso, che lo spinse al Cristo crocifisso e risorto. P. Giovanni Iammarrone così sintetizza la spiritualità di Francesco e del francescanesimo lungo i secoli: a) “L’Evangelicità. Francesco visse il vangelo e visse del vangelo. In esso conobbe Dio nella sua esclusiva trascendenza e bontà, incontrò Cristo povero e crocifisso, la povertà, l’umiltà, la semplicità. Francesco non fu altro che l’uomo del vangelo, della ricerca di esso. b) L’esperienza di Dio altissimo e sommo bene; di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo, Dio Trinità. c) L’esperienza del Cristo, Figlio amato dal Padre, che apre il cammino ed è Via che precede l’uomo in tutti i misteri della sua vita, dalla culla alla croce-risurrezione-venuta nella gloria come giudice, tappe diverse della sua consacrazione totale al Padre e agli uomini; esperienza che viene fatta anche nei suoi sacramenti, in quello della parola e in quello eucaristico della pasqua. d) L’esperienza di Cristo, sufficienza del Santo e quindi la vita di Francesco come vita di sequela. Per questo i temi della sequela di Cristo, di

102 S. Bonaventura, Le tre vie ovvero l’incendio d’amore, in I Mistici secolo XIII, I, Padova 1995, p. 345.

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osservare il vangelo, di mettere in pratica i precetti e i comandamenti del Signore sono costanti in lui e costituiscono la trama di tutto il resto. e) Il fulgore della povertà nella sequela, poiché Cristo modello e maestro è il ricco che si è fatto povero; Francesco fu il Poverello seguace del Signore che dette tutto se stesso al Padre per la salvezza dell’uomo. f) L’umiltà, sorella della povertà, entrambe radici della minorità. In questo contesto va inserita anche l’obbedienza, che ha un fondamento cristologico, nel senso che per Cristo essere Figlio significò essere obbediente e per questo povero e umile e viceversa. g) La pazienza, pura e santa semplicità. h) La fede, speranza e carità, quali orientamento della sua intensa vita teologale. La vita sostanziata di orazione, Francesco uomo-orazione. i) Maria la poverella, la Santa Madre della Chiesa, sacramento del Signore”103 . Anche Lazzaro Iriarte, nel libro sulla Vocazione francescana104, ci offre una sintesi degli elementi caratteristici della spiritualità francescana: “La vita di penitenza; la vita secondo il vangelo; la sequela delle orme di Gesù Cristo; la Chiesa come luogo della presenza di Cristo; Maria Vergine fatta Chiesa; Dio, Dio come trinità esperimentato come altissimo, fonte di ogni bene, della carità; l’esperienza dell’azione e conduzione dello Spirito; la preghiera di adorazione a Dio; l’umiltà e la povertà del Signore Gesù Cristo; la semplicità; la fraternità all’interno e all’esterno verso tutte le cose, le creature; l’apostolato e l’azione missionaria”. Questi sono i titoli dei capitoli che compongono l’opera, ma sono anche una sintesi chiara ed essenziale della spiritualità francescana, secondo l’autore. I mistici francescani hanno amato questi temi, li hanno meditati e li hanno offerto come materia di riflessione anche ai frati del loro tempo e a noi, anche se ci sono sempre nuove vedute mistiche e teologiche. Dal tempo del Serafico Padre sino ai nostri giorni hanno meditato e scritto tante opere. L'Editrice francescana ha pubblicato negli anni 1995 - 1999 tre volumi nei quali raccoglie le opere mistiche dei frati che vanno dal tempo di S. Francesco fino a Mariano da Firenze (1523). I primi due volumi ci presentano autori che sono stati pilastri della spiritualità francescana dopo il fondatore105.

PIETA’CRISTIANA E NUOVE DEVOZIONI103 G. Iammarrone., La spiritualità francescana, Padova 1993, pp 27-28.104 L. Iriarte, Vocazione francescana, Milano 1975.

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I francescani arricchirono la Chiesa con nuove ed importanti liturgie sui misteri di Gesù e della Vergine Maria, tramite il loro spirito e la loro teologia cristologico-mariana. Dopo il presepio di Greccio (1223) fu dato inizio al culto e alla devozione del Santo Natale tramite il Presepe, divulgato in tutto il mondo. S. Francesco aveva grande devozione per il nome di Gesù; accanto al fondatore risplendette la devozione di S. Bonaventura, di Ubertino da Casale e soprattutto di S. Bernardino da Siena che divulgò il culto al “Nome del Signore” in ogni città dove predicò la parola di Dio. La Chiesa fu indotta ad istituire la festa del “Nome di Gesù”, con ufficio e messa, sotto il pontificato di Clemente VII, nel 1530. Per opera di S. Antonio di Padova, di S. Bonaventura, di Giacomo da Milano, di Ubertino ecc., nacque una profonda pietà verso il SS. Sacramento e il Sacro Cuore di Gesù. “Alla diffusione della pratica della Via Crucis in Occidente, devozione tipicamente francescana, già promossa dai Conventuali in Palestina, dopo la riconquista dei Luoghi Santi (1342), contribuirono le note rappresentazioni scultoree erette dall’Osservante b. Bernardino Caimi (+1500) sul sacro monte di Varallo”106. Anche diverse devozioni mariane furono propagate dai francescani durante i secoli come il culto all’Immacolata Concezione di Maria, la pratica della recita dell’ “Angelus Domini” con il beato Benedetto da Sinigardi e S. Bonaventura già dal 1269, e tante altre feste riguardanti il culto a Maria come la “Visitazione”, la “presentazione di Maria al Tempio”, “i sette gaudi

105 Il primo e il secondo volume raccolgono gli scritti dei mistici dei primi due secoli del francescanesimo: Rizziero da Muccia (1236) con l’opera: “Come l’anima può giungere rapidamente alla conoscenza delle verità e possedere la pace perfetta”.

Frate Egidio (1261): I Detti; Davide D’Augusta: De exterioris et interioris hominis composizione; S. Bonaventura da Bagnoregio (1274): Opuscoli Mistici: Le tre vie, ovvero L’incendio d’amore. Il legno di vita. Della vita perfetta. Il governo dell’amore; Gilberto di Tornai (1284): Trattato sulla Pace; Tommaso da Pavia (1284): Distinctiones; Ruggero di Provenza ( 1287): Meditationes; Giacomo da Milano (sec. XIII): Il Pungolo dell’Amore; Iacopone da Todi (1308): Le Laudi, Trattato umilissimo, I detti; Angela da Foligno (1309): Memoriale nel quale racconta la sua esperienza mistica; Raimondo Lullo (1316): Natale di Gesù, L’Amico e l’Amato, L’Albero della filosofia dell’Amore, Le ore di Nostro Signore, ecc… Pietro di Giovanni Olivi (1298): Rimedi contro le tentazioni spirituali; Ubertino da Casale (1329): Arbor vitae crucifixae Jesu; Angelo Clareno ( 1337): Preparantia Christi Jesu habitationem, Chronicon seu Historia septem tribulationem Ordinis Minorum…; Ugo Panzera (1330): Trattati spirituali; Alvaro Pelagio (1349): Ritratto dell’uomo interiore.

106 L. Di Fonzo., I Minori o.c., p. 194.

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della Beata Vergine”, la “Messa sabbatica” in onore della Madre di Dio, speciale devozione a S. Giuseppe, ecc.

IL GOVERNO DELL'ORDINE.

“Il ministro generale è servo di tutta la fraternità", così si esprime la regola bollata del 1223, e agli inizi era a vita. La sua elezione era fatta nel capitolo di Pentecoste. I Ministri Provinciali e i custodi lo potevano deporre se lo ritenevano incapace, ma finché restava, aveva un potere assoluto ed aveva la facoltà di non convocare il capitolo perché la regola dice: "Alla sua morte, l'elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali siano tenuti sempre ad intervenire, dovunque sia stato stabilito dal ministro generale, e questo, una volta ogni tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato”107. L'Indizione del capitolo era ad arbitrio del Ministro. Dopo l'esperienza di frate Elia, il capitolo rimediò per sempre contro l'assolutismo: solo il capitolo potrà legiferare ed emanare costituzioni e decreti. Il generale non potrà più deporre i provinciali che fino a quel momento eleggeva e deponeva solo lui. Fu stabilito la sua elezione ogni tre anni. La sua autorità sarà quella di convocare il capitolo nel luogo precedentemente stabilito a norma delle costituzioni e si seguirà il principio di celebrarlo una volta in Italia e una volta all’estero, di vigilare sulla osservanza della regola, di visitare l'Ordine di persona o tramite i collaboratori. La durata del Ministro generale, che nel 1240 fu stabilita triennale, con Leone X, nel 1517 fu portata a sei anni. Agli inizi il generale si sceglieva i collaboratori a suo piacimento, ma dalla seconda metà del secolo XIV il capitolo assegnò due consiglieri stabili: uno per la famiglia cismontana e uno per quella ultramontana. Con le costituzioni di Martino V vi fu aggiunto anche uno Scriptor o segretario. Il capitolo generale del 1285 stabilì che, qualora il ministro morisse, il provinciale dove era morto con i due provinciali più vicini eleggesse un Vicario Generale che avesse retto l'Ordine fino al nuovo capitolo generale. Nel 1288, papa Nicolò IV, con bolla Quoniam revocatur, riservò alla santa sede la nomina del Vicario Generale Apostolico, qualora fosse morto il Ministro generale.

107 ff 96, Rb C. VIII.

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Nella metà del secolo XIII nacque la figura del Procuratore generale che rappresentava l'Ordine dinanzi alla curia papale. Questa figura acquistò sempre più rilievo e importanza in seno all'Ordine.

CAPITOLO GENERALE

L'origine risale ai primordi della fraternità, quando Francesco riuniva i suoi frati due volte l'anno; più tardi una sola volta nel periodo di Pentecoste. Il primo vero capitolo generale fu quello del 1217 nel quale fu diviso l'Ordine in province. Nel 1221 si stabilì che questo incontro di famiglia fosse limitato alle fraternità provinciali che si dovevano riunire ogni anno, mentre quella generale, con tutti i ministri e i custodi si doveva riunire a Pentecoste ogni tre anni, o in un tempo maggiore o minore, a giudizio del generale. Il capitolo generale, vivente Francesco, era la massima autorità nel governo dell'Ordine. Dal 1239, il capitolo fu celebrato ogni tre anni, con alternanza tra la zona cismontana ed ultramontana. Al capitolo partecipavano i ministri provinciali, i custodi e i discreti, liberamente eletti in ogni provincia. Erano tre i rappresentanti di ogni provincia: il provinciale, il custos custodum e il discreto, oltre ai periti invitati dal generale. Nel capitolo di Narbona del 1260, furono dettate le norme per regolare scrupolosamente tutto l'andamento del capitolo generale.

IL CAPITOLO PROVINCIALE-IL GOVERNO DELLE PROVINCE. La provincia, nel disegno di Francesco, doveva essere il prolungamento della prima fraternità; in essa si doveva trovare l'unità fondamentale, e non nella comunità locale che allora non esisteva ancora. Al capitolo annuale dovevano partecipare tutti i frati. Nel 1239, anche il capitolo provinciale si diede una sua struttura rappresentativa. Si celebrava ogni tre anni e in esso avevano voce i custodi, i discreti inviati da tutte le comunità e alcuni altri “periti” convocati dal provinciale. Il capitolo provinciale aveva un aspetto molto democratico a causa dei discreti, eletti liberamente dai frati dei singoli conventi. Il capitolo aveva grande autorità, anche sopra il provinciale.

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Agli inizi, il provinciale era eletto ad arbitrio del generale ed aveva questi compiti: distribuire i frati della provincia, ricevere i novizi, visitare i conventi, convocare il capitolo. Durava in carica, secondo l’arbitrio del Generale, o fino a quando non fosse stato sfiduciato dai frati. Come si è già detto, sin dal 1239, il compito di eleggere il provinciale fu assegnato ai frati della Provincia ed ebbe la durata triennale e sembra che potesse essere rieletto, tanto che nel 1405, Innocenzo VII chiese le dimissioni di tutti i provinciali che stavano in carica da più di 10 anni e stabilì che per l'avvenire nessuno poteva restare in carica più di 6 anni. Sul finire del secolo XV si limitò a 3 anni la durata del provinciale, e non mancavano frati che avrebbero voluto l’elezione annuale. Anche se tra i conventuali si restò sempre con la legislazione che il ministro fosse eletto finché era accetto ai frati, e questo si è protratto fino al 1517, anno nel quale si stabilì il limite di 3 anni senza possibilità di poter essere rieletto. Gli osservanti tentarono di eleggere i vicari annualmente. Così faranno anche i cappuccini della prima generazione. I Custodi avevano il compito di visitare i conventi della loro giurisdizione, sotto l'autorità del provinciale. La loro importanza scemò sempre più. Nel 1230 perdettero il diritto di partecipare ai capitoli generali; nel 1239 fu vietato ad essi di nominare i guardiani e più tardi anche di celebrare i capitoli custodiali.

ALCUNI DOTTORI PIU' IMPORTANTI DELL'ORDINE DEI PRIMI DUE SECOLI Primo maestro fu Antonio di Padova che insegnò teologia ai frati nello studio di Bologna nel 1223-24 e scrisse il grande volume dei Sermones, per venire incontro ai frati che volevano prepararsi alla predicazione. Alessandro d'Hales, inglese, nato verso il 1170, svolse la sua carriera a Parigi. Nel 1210 era già maestro delle arti. Tra il 1229 e il 31, durante la crisi universitaria, fu reggente di Teologia. Dice Bacone: “A. D'Hales, ricco e grande arcidiacono, maestro rinomato, entrò nell'ordine dei F. M. Correva l'anno 1235”108. Nel 1236, “il grande maestro e “patriarcha teologorum” parigino, l’inglese Alessandro d’Hales vestiva l’abito minoritico trasferendo legittimamente la sua personale cattedra magistrale nel nostro primo studio universitario di

108 T. Lombardi, o.c., p. 165.

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Parigi”.109 Da questa cattedra, tra il 1235 e il 1245 uscirono molti baccellieri e maestri. Nel 1238 Giovanni della Rochelle era già maestro a cui il D’Hales lasciò la cattedra verso il 1241. Bonaventura lo ebbe come maestro nel 1243 e dice di lui che fu “Pater et magister noster”. Prese parte al primo Concilio di Lione e morì poco dopo. Ha il titolo di “Doctor irrefragabilis”. Giovanni della Rochelle, nato nel 1200, giovanissimo entrò tra i francescani; nel 1238 aveva già conseguito i gradi accademici ed era Maestro accanto al D'Hales. Insegnò poco tempo perché morì nel 1245. Odone Rigaud, nato nel 1210c., fu discepolo prediletto del D'Hales. Maestro reggente della scuola francescana di Parigi tra il 1245 e il 48. Nel 1242 collaborò con i Maestri A. D'Hales, Giovanni della Rochelle e Roberto della Brassée nella “explicatio regulae”. Scrisse il Commentario sui primi tre libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. Le sue opere sono di grande importanza, anche se molte sono ancora inedite. Morì vescovo di Rouen nel 1275. Guglielmo di Milton fu il quarto maestro parigino; poi passò nello studio di Cambridge. Nel 1256 fu incaricato da Innocenzo IV di compilare il Commento alle Sentenze del Lombardo. Morì nel 1257. S. Bonaventura, nato a Bagnoregio nel 1221, nel 1236 era già a Parigi. Nel 1243 si fece frate francescano ed ebbe come maestro negli studi Alessandro d’Hales, Giovanni della Rochelle e Odone Rigaud. Nel 1242 scrisse il commento a Luca; nel 1250 commentò le Sentenze di Pietro Lombardo. Nel 1257 fu proclamato Maestro e poco prima era stato eletto Ministro Generale. Nel capitolo di Narbonne gli fu affidato l'incarico di stendere “La vita di S. Francesco”che va sotto il titolo di “Leggenda Major”; scrisse “Lignum crucis”, “De triplici vita”, “Itinerarium mentis in Deum”, ecc. E' uno dei massimi dottori della scuola francescana: ha il titolo di Dottore Serafico o Devoto. Giovanni Rigaud, morto nel 1323 in Avignone. Scrisse la vita di S. Antonio e fu consacrato vescovo dopo essere stato Penitenziere Apostolico. Delle sue opere ricordiamo “Formulae confessionis et compendium teologiae pauperis”. Raimondo Lullo poeta, teologo, letterato tra i più importanti del suo tempo, missionario e martire. Tra le opere va ricordata “Ars Magna”.

109 L. Di Fonzo, L’apostolato intellettuale componente essenziale del carisma Francescano-Conventuale, Roma 1994, p. 544.

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Gilberto di Tournai, teologo e antiaverroista. Morì nel 1294. Pietro di Giovanni Olivi, uno dei massimi pensatori del secolo XIII; commentò le "Sentenze di Pietro Lombardo", fu uomo spirituale, forse fu troppo implicato con i fraticelli. Morì nel 1288. Matteo d’Acquasparta (†1302) lettore a Bologna, oltre ad essere stato dottore a Parigi. Commentò le Sentenze di Pietro Lombardo e scrisse moltissime opere teologiche. Landolfo Caracciolo discepolo di Scoto, fu consacrato vescovo di Amalfi nel 1331. Era chiamato Dottore Collettivo. Prima di Amalfi, era stato vescovo di Castellammare. Pubblicò: “Comentaria Moralia in Evangelia”. Ha un Commento alle Sentenze, “secundum doctrinam Scoti”. Svolse la tesi dell’Immacolato concepimento di Maria, riportando gli stessi argomenti di Agostino, di Anselmo e di Scoto. Francesco Mayron o Mairone, nato a Digne verso il 1288 e morto verso il 1335 a Piacenza. Studiò a Parigi e forse fu alunno di Scoto. E' chiamato Doctor Acutus e Doctor Illuminatus. Fu difensore della tesi sull'Immacolata Concezione. Oltre ai commenti alla logica e alla fisica di Aristotele, ha lasciato: “Sermones de tempore”; “Sermones de laudibus sanctorum et dominicales”; “Scripta in quatuor libros Sententiarum”; “Explicatio decalogi”; “De Conceptione Virginis Mariae”. Pietro Aureolo, discepolo di Scoto non che suo emulo, contradittore e critico all'università di Parigi. Riprese dal maestro la stessa tesi mariana e la difese con chiarezza e profondità nel “Tractatus de Conceptione Beatae Mariae Virginis”, Dottore di Parigi, si dedicò alla Sacra scrittura e scrisse: “Compendium sensus litteralis totius divinae scripturae”. Nicola de Lyra, fu divulgatore del pensiero francescano con le "Postillae perpetuae in universam Sacram Scripturam". Dottissimo esegeta normanno, tanto conosciuto per le sue lezioni erudite che di lui si diceva: "Si Lyranus non lyrasset, totus mondus delirasset". Fu definito “Dottore pio e utile”; morì a Parigi il 23 ottobre 1340. Guglielmo Ware, francescano inglese, forse maestro di Duns Scoto, morto intorno al l300. Fu baccelliere ad Oxford dove commentò le Sentenze di Pietro Lombardo nel l290, quindi andò a Parigi come dottore. Del suo commento, sono state pubblicate alcune questioni sull'Immacolata Concezione. E' grande filosofo e Teologo.

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Riccardo di Middle Town (Mediavilla), frate inglese, già professore ad Oxford, entrò nell'Ordine e fiorì alla Sorbona con il titolo di Dottore Solido e Copioso, verso il 1280. Morì a Parigi nel 1307, dopo aver pubblicato, tra l'altro, “Commentarii in Sententiarum Libros”. Giovanni Duns Scoto, inglese, una delle figure più illustri del pensiero francescano, entrò nell'Ordine nel 1284. Fondò le sue accademie in Oxford dal 1289 al 1303; quindi andò a Parigi dove insegnò fino al 1307. In fine, per ragioni politiche, si spostò a Colonia dove morì nel 1308. Fu Dottore Sottile per l'acutezza dei concetti e dei ragionamenti. Dottore Mariano perchè difese il dogma dell'Immacolata Concezione. Tra le opere: Opus Oxoniense; Opus Parisiense. La sua teologia cristologica, così brillantemente formulata, “è diventata patrimonio comune delle maggiori scuole teologiche e, nei tempi recenti, bellamente valorizzata dal Concilio Vaticano II, specie nella costituzione dommatica -Lumen Gentium- promulgata il 21 novembre 1964”110. E' uno dei massimi esponenti della Teologia e Filosofia di tutti i tempi, da sempre ritenuto santo dall’Ordine e riconosciuto tale anche dalla Chiesa con la solenne beatificazione proclamata da Giovanni Paolo II nel 1994. Guglielmo d’Ockam, Dottore Singolare, ritenuto capo della scuola nominalista, discepolo di Scoto e suo avversario; si mise anche contro Giovanni XXII per la questione della povertà, e sbagliò. Morì il 7 aprile 1347 a Monaco di Baviera. Tra le opere vanno ricordate: “Commentarii in Sententiarum libros”, “De praedestinatione”, “De Sacramento Altaris”. Roberto di Bastia o della Brassée, fu maestro di Parigi e fece parte dei quattro frati che commentarono la regola per il capitolo generale del 1242. Gerardo Oddone, 17° Ministro Generale, poi patriarca d'Antiochia. Uomo dottissimo. Morì nel 1349. Pubblicò: “Commentarium in Libros Ethicorum Aristotilis”. Fu amico di Giovanni XXII, suo consigliere e ambasciatore. Ruggero Bacone, inglese, dottore a Oxford; fu definito dottore mirabile. Fu profondissimo in filosofia, teologia, diritto, medicina, matematica e grande conoscitore delle lingue greca ed ebraica. Fondò la scuola a Londra nel 1280. Morì a Oxford nel 1294.

110 Lombardi T., o.c., p. 194.

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Giovanni Rupella d’Aquitania, fu uno dei quattro dottori di Parigi che commentarono la regola in preparazione al capitolo del 1242. Risplendeva come stella mattutina nel mondo. Lo Scotello o Pietro Aquilano, di ingegno assai acuto, detto Dottore Sufficiente. Si laureò a Parigi e insegnò in diversi studi teologici come a L'Aquila e in Toscana. Fu vescovo di S. Agata dei Goti e di Trivento. Morì nel 1370. Tra le opere ricordiamo: “Commentarii in Sententiarum libros”111. Dagli anni cinquanta del secolo XIII sorsero scuole del trivio e del quadrivio e, soprattutto scuole di teologia e di filosofia, in tutti i conventi dell’Ordine. Lo stesso Ruggero Bacone, scrivendo il “Compendium studii philosophici” e registrando i fatti culturali dell’Ordine, asseriva che tante scuole teologiche e di altre discipline erano sorte negli ultimi 40 anni, quindi aggiunge: “Non ci fu mai tanto dispiegamento di sapienza, né così grande applicazione agli studi in tante discipline, e per di più in tante regioni, come già da 40 anni in qua. Ovunque infatti vi sono presenti Dottori, soprattutto in Teologia, in ogni città, Castello e borgata, e perciò per merito dei due grandi Ordini studiosi (Domenicano e Minoritico)112.

I FRANCESCANI E L’ARTE Renan chiama S. Francesco “il Padre dell’arte italiana”. L’ottimismo di Francesco porta gli artisti a nuove espressioni del bello. Francesco, uomo di Dio e uomo del mondo, perché aperto all’amore e al cantico delle creature, si pone come spartiacque tra il mondo antico e quello moderno, diventa segno di demarcazione tra passato e futuro e si innalza verso Dio, creatore e padre di ogni cosa. Nel Cantico di frate Sole, oltre alla pura lirica, ci si trova davanti ad un inno a Dio che descrive la bellezza del creato che trova valenza e mordente in Cristo redentore del mondo. Dopo la sua conversione, il Padre divenne l’anima dell’arte, del bello, della poesia, di ogni cosa vissuta nella gioia del Signore risorto. In lui veramente il bello e l’arte furono mezzi che lo portavano a Dio113.

111 L. Caratelli., o.c., pp. 310-315. In sintesi, qui si trovano i primi 30 Maestri dell’Ordine che hanno dato lustro alla nostra famiglia religiosa fino alla metà del secolo XIV.

112 L. Di Fonzo., o.c.,p.566.113 D. Alighieri, Divina Commedia, Canto XI 103-5.“Che l’arte vostra quella, quanto pote,segue, come ‘l maestro fa il discente;sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote”.

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Dietro il suo spirito e le sue intuizioni sulla divina bellezza, diversi frati si distinsero già nei primi secoli dell’Ordine, dedicandosi all’arte: ricordiamo tra i mosaicisti Giacomo da Firenze e Jacopo Turriti; tra i grandi vetrieri dei secoli XIII-XIV Antonio da Pisa e Gabriele da Camerino. Nelle chiese dei francescani furono chiamati i più illustri maestri del tempo per affrescarle e renderle stupende: Cimabue, Giotto, Giunta Pisano, Simone Martini, Lorenzetti, ecc.

LE BASILICHE E ALCUNE CHIESE DEL PRIMO SECOLO

Frate Elia fu l’architetto della splendida basilica di Assisi che “divenne il capostipite di tanti altri templi conventuali, dalle linee gotiche, austere e suggestive”. La costruzione fu voluta dal Papa Gregorio IX che così si spiega nella Bolla “Recolentes”: “Ci è sembrato cosa degna e conveniente che per riverenza verso lo stesso Padre venga edificata una chiesa particolare nella quale si debba riporre il suo corpo”114. Frate Elia fu l’architetto e il direttore dei lavori che nel volgere di due anni completò la edificazione della basilica inferiore e, il 25 maggio 1230, poté accogliere le spoglie mortali del Serafico Padre che fu sepolto sotto l’altare maggiore. Troviamo il Bel S. Francesco di Bologna, costruita tra il 1236 e il 1245. La città felsinea, superba di poter conservare le spoglie mortali di S. Domenico, dovette essere spettatrice della costruzione di un tempio in onore di Francesco che avrebbe trasportato in Italia lo stile delle cattedrali francesi. “Forse questa costruzione fu il risultato della rivalità fra i due Ordini mendicanti, e del desiderio, da parte dei francescani, di manifestare nella monumentalità degli edifici l’importanza del loro Ordine. Questa

114 Ff. n. 2719. Bolla “Recolentes” di Gregorio IX del 29 aprile 1228.

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chiesa ha influenzato in modo determinante l’intero sviluppo dello stile gotico a Bologna, e la sua influenza si è fatta sentire anche sull’elaborazione del progetto generale della chiesa di S. Petronio”115. S. Croce a Firenze: Già nel 1229 si ha notizia di una chiesa dedicata a S. Francesco nella città di Firenze. Sulle rovine di questa chiesetta, nel 1295 fu iniziata l’erezione della chiesa di S. Croce da Arnolfo di Cambio. Fu continuata la costruzione nel secolo XIV e completata nel 1437. Ha la forma della croce egiziana, dove il gotico ha un’armonia tutta nuova. Questa è la chiesa francescana più grande d’Italia. Le tombe degli uomini illustri come Galilei e l’Alfieri, hanno fatto di S. Croce il venerando pantheon degli italiani116.S. Maria gloriosa del frari a Venezia: E’ una imponente chiesa gotica, tra le più significative di Venezia, eretta dai frati francescani tra il 1330 e il 1492. Tra le pitture importanti c’è la bellissima pala dell’Assunta del Tiziano. Questa chiesa ebbe un grande ruolo nello sviluppo dell’architettura lombarda nel prosieguo dei secoli in Veneto117. “Pochi anni prima che iniziasse la costruzione di S. Francesco a Bologna (1236-45), venne posta a Padova la prima pietra della chiesa di S. Antonio, il grande continuatore di Francesco, morto nel 1231 e canonizzato l’anno seguente. Ma i disordini provocati da Ezzelino ne impedirono la costruzione fino al 1256, anno in cui Alessandro IV decretò un’indulgenza a favore di quest’opera, che da allora proseguì molto rapidamente sotto la direzione dei diversi architetti”118. Tra l’arte padovana e l’arte lombarda c’era un grande legame; si ebbe questa risposta proprio nella costruzione della primitiva chiesa di S. Antonio, al dire dello storico Henry Thode, che aggiunge: “a prescindere da quale delle due abbia influenzata l’altra… La cosa essenziale è che S. Antonio, come la maggior parte delle chiese primitive dell’Ordine francescano, segue la disposizione cistercense più semplice; solo in seguito il coro riceve una forma più ricca, presa a prestito, come abbiamo già detto, da S. Francesco di Bologna”119.

115 H. Thode, Francesco d’Assisi (le origini dell’arte del rinascimento in Italia), Roma 1993, pp. 267-274.

116 Piccola Treccani, Vol. 4°, p.712; cfr R. Nesti, Firenze ( storia- Arte- Folklore), p. 57s.

117 J. Wolfgang Goethe, Vedere Venezia e le Ville Venete, Ed. Primavera, pp. 92s; cfr H. Thode, o. c. p. 292.

118 H. Thode, o.c., p. 277.119 Idem , o. c. p., 278-79.

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San Lorenzo Maggiore a Napoli: “Questa chiesa esisteva già nel 1234, anno in cui è stata ceduta ai frati minori; distrutta da un terremoto nel 1232, è stata restaurata insieme alla facciata da fra Tommaso da Terracina: Il Vasari afferma che Carlo I ne affidò la ricostruzione, decisa nel 1265, a Maglione di Pisa; ma il lavoro cominciò soltanto nel 1280, e la chiesa, consacrata nel 1300, venne conclusa nel 1324”120. S. Francesco in Osimo: In questa città venne frate Francesco nel 1220 e subito dopo anche i frati si stabilirono alla periferia di Osimo. Dopo la morte del Santo si recarono nel cuore della città e, iniziando dal 1247, dettero l’avvio alla costruzione della bella chiesa gotica in onore del Santo fondatore e il convento121. Nel secolo XVIII fu radicalmente trasformata, proclamata basilica e dedicata a S. Giuseppe da Copertino. S. Francesco di Palermo: questa grande e bella chiesa fu edificata tra il 1255 e il 1277. E’ una delle chiese più significative della città di Palermo. Colonia: “Intorno al 1260, venne costruita la navata della chiesa dei frati minori a Colonia, una basilica di tre navate a volta, con un transetto allineato alla navata nel senso della larghezza”122. Quasi tutte le città italiane ebbero una chiesa francescana nel cuore di essa, in genere grande e bella, secondo lo stile del tempo. Ci furono molti frati architetti che disegnarono le chiese e diressero i lavori di costruzione; tra questi ricordiamo oltre a frate Elia che diresse la costruzione della chiesa di S. Francesco in Assisi, fra Filippo da Campello (probabile architetto della basilica di S. Chiara in Assisi), Giovanni da Bologna (architetto della chiesa di S. Francesco in quella città), Giovanni da Pistoia che progettò la chiesa di S. Francesco in Arezzo, ecc…123

120 Idem, p. 283 121 L. Egidi, Osimo, (arte-storia- tradizione), Castelfidardo (senza data), p. 33s. 122 W. Schenkluhn, Architettura degli ordini mendicanti, Editrici Francescane 2003.123 H. Thode, o.c.. Questo illustre autore ha scritto, tra l’altro, nella “Premessa” della sua

vasta opera: “…Nella tranquilla Chiesa in cui riposano i resti di S. Francesco mi sembrò di presagire, di sentire vivo in me tutto il significato che ebbe per il mondo la vita di quest’uomo, col suo infinito amore per l’umanità e per la sua tensione verso l’ideale. Le semplici leggende che in parte mi erano già note, ma che rilessi ad Assisi, gli antichi affreschi lungo le pareti, davanti ai quali trascorsi ore e giorni, tutto ciò mi apparve in una luce nuova, che mi fece percepire con chiarezza l’esistenza di un legame segreto tra Francesco d’Assisi e Giotto, fra l’essenza e il contenuto del movimento francescano da una parte e, dall’altra, la giovane arte toscana…”p. 3.

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LA LETTERATURA Francesco fu il primo cantore, in lingua umbra, nella storia della letteratura italiana. Egli, innamorato di Dio, pose tutto il suo interesse per le creature del Signore e cantò la bellezza del Creatore nelle sue creature. Si sentì libero e giocondo, ed amò teneramente le bellezze create da Dio. Tommaso da Celano compose il “Dies Irae”, Giuliano da Spira compose l’ufficio rimato di “S. Francesco e S. Antonio”. Giovanni Pecham scrisse poemi latini, diversi critici gli danno la paternità dello “Stabat Mater” e del bellissimo poema spirituale “Philomena”(†1292). Tra i poeti vanno ricordati: frate Pacifico che, da laico, era stato incoronato “Re dei versi” dall’Imperatore Federico II, e il suo nome era Guglielmo Divini da Lisciano nelle Marche. Francesco gli impose il nome Pacifico “per averlo condotto alla pace del Signore”. Morì in Francia nel 1236. Fra Jacopone da Todi (1306) compose oltre ad altre opere, Le Laudi; alcuni critici lo ritengono l’autore dello Stabat Mater. E’ uno dei grandi poeti tra la fine del secolo XIII e l’inizio del XIV. Ugo Panziera da Prato anche lui ha una raccolta di Laudi; Giacomo da Verona con il poema “de Jerusalem celesti” e “de Babilonia civitate infernali”, che sembra che siano stati “letti” anche da Dante. Accursio Bonfanti (†1338) fu il primo commentatore della Divina Commedia: Giovanni da Serravalle (†1445) tradusse la Divina Commedia in lingua latina. Petrarca si sentì così legato alla famiglia francescana da scrivere in una lettera inviata a Urbano V “sono come un membro dell’Ordine” (1 gennaio 1369). Fuori dell’Italia coltivarono la poesia in lingue nazionali: l’Inglese Tommaso di Hales (†1240), il tedesco Lambrecht da Ratisbona (†1250), i fiamminghi Giovanni Bergman (†1473) e Teodorico Goelde (†1515), e i francesi Enrico d’Avranche (†1260) e Giovanni Tisserand (†1497), ecc...124

L’ORDINE NEL SECOLO XIV: LA CONVENTUALITA’

Nel volgere di pochi decenni, dopo la morte del fondatore, l’Ordine si arricchì di chiese belle e spaziose, quasi sempre nel centro delle città, alle quali i vescovi e i Pontefici concessero il privilegio di celebrarvi pubblicamente i divini misteri, di predicarvi, di amministrare i sacramenti, di celebrare l’Eucaristia, di recitarvi il divino ufficio e di seppellirci i morti.

124 L. Di Fonzo, o.c., p. 214ss.

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Accanto alle chiese sorsero i grandi conventi, aperti agli studi e dove i religiosi si dedicavano all’apostolato, alla pastorale, alla carità e all’istruzione. Papa Innocenzo IV nel 1250, con la Bolla “Cum tamquam veri”, decretava: “Decernimus, ut ecclesiae vestrae omnes, ubi conventus existunt, conventuales vocentur…”. “E con le chiese e i conventi, i superiori, sudditi, e specifiche comunità, così lo stesso Ordine fu detto Conventuale”. Questi frati detti “ de conventu” o Conventuales125 nei secoli XIII-XV furono i veri protagonisti della sapienza, della pietà e della carità in seno al popolo di Dio. Le case dei minoriti se ai tempi di S. Francesco si chiamavano Loca, habitacula, domus, con le costituzioni narbonensi furono definite “loca conventualia e loca con conventualia” e dovevano avere una capacità di accoglienza di almeno 13 frati. “La designazione di “conventuale”, data a singoli religiosi, a case e a guardiani, non manca di indicare intere comunità, come ricordano alcuni documenti tra i secoli XIII-XIV: Tommaso da Ecclesston, nel 1258, ricorda in Inghilterra un certo luogo con dei fratres conventuales, il convento perugino di S. Francesco al Prato viene ricordato in un lascito fatto a Perugia il 5 dicembre 1277 ai fratribus minoribus conventualibus de Campo Orti, ecc…”126. Anche Arnaldo da Foligno, direttore spirituale della Beata angela da Foligno, nel 1291 dice di sé: “Assisium ad Sanctum Franciscum morabar conventualis”; anche il penitenziere pontificio Alvaro Pelaio, tra il 1330 e il 1332, dice di sé: “Cum essem conventualis ibi, Romae in Aracoeli”127.

125 Gli aspetti positivi di questo termine:“Seguendo un certo ordine logico cronologico, tra questi aspetti si può ricordare innanzi tutto il passaggio dai luoghi solitari o romitori ai conventi e chiese al centro delle città; passaggio che recava con sé un letterale conventualizzarsi, e nello stesso tempo uno degli elementi più positivi del conventuale: il venir incontro alle esigenze pastorali del popolo e alla sua formazione cristiana e civile. Lo ricorda S. Bonaventura, che l’Ehrle elogia come degno rappresentante della comunità conventuale -nella sua forma più bella e più corretta- (Denifle-Ehrle (1887)-591…. Un altro elemento caratteristico del c. è quello dei grandi conventi e delle grandi chiese, quasi sempre artistiche e monumentali queste ultime, e i primi centri assai frequentati di attività e manifestazioni pastorali liturgiche e devozionali, di vita civile e sociale… .” G. Odoardi, Conventualesimo, in DIP., II, 1713-14.

126 C. Bove, La Conventualità -nell’Ordine dei frati minori come luogo ecclesiale (Sec. XIII-XIV)-, Rima 2009, p. 15. Questo libretto è prezioso e utile per capire l’importanza del termine “conventuale”.

127 Idem, p.15s

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Ruggero Bacone nel 1275 notava: “Non ci fu mai tanto dispiegamento di sapienza, né così grande applicazione agli studi in tante discipline, e per di più in tante regioni, come già da quarant’anni in qua. Ovunque vi sono presenti Doctores soprattutto in teologia, in ogni città, castello e borgata, e ciò per merito dei due Ordini studiosi dei minori e dei predicatori”128.Questi esperti maestri in teologia insegnavano gratis et sine pecunia, l’Antico e Nuovo Testamento agli aspiranti religiosi, ai preti ed ai laici. Già con la famosa lettera di S. Francesco a S. Antonio del 1223-4, si dette inizio all’apertura di scuole teologiche nei nostri conventi per istruire i frati. Con Alessandro D’Hales, nel 1236 l’Ordine ebbe la prima cattedra universitaria a Parigi, quindi si aprirono altre scuole universitarie in tutta Europa e centri teologici nei conventi. Nel 1279 esisteva una scuola teologica in ogni convento, come testimoniano le Costituzioni generali di Assisi129.

CRISI DEL PAPATO E DELLA CRISTIANITA’

Con l’avvento di Clemente V (1305-14) sul soglio pontificio, il Papa stabilì il suo soggiorno in Avignone, sotto la protezione del Re di Francia. Alla morte di Clemente, i sei pontefici che gli successero, essendo tutti di origine francese, continuarono a rimanere in Avignone, nelle mani dei cardinali francesi e sotto l’influsso del Re di Francia. Nel gennaio del 1377, Papa Gregorio XI, pressato da Caterina da Siena, dal Petrarca, da S. Coletta e da altri Santi, fece ritorno a Roma dove trovò disordine, mal costume e ribellione130. Terminata la “Captività avignonese” non si pose termine alle sventure della Chiesa, ma furono alterate in una forma spaventosa. Sorse lo scisma d’Occidente. Nel 1378, morto Gregorio XI, dopo 75 anni, si svolgeva il primo conclave a Roma. Il popolo dell’Urbe cominciò a tumultuare sotto le finestre dei cardinali sin dal primo giorno del conclave, tanto che i cardinali in tutta

128 R. Bacone, OMin, Compendium studii philosophici, c.I, ed. J. S. Brewer (London 1859, New York 1964), p.394: “Nunquam fuit tanta apparentia sapientiae, nec tantum exercitium studii in tot facultatibus, in tot regionibus sicut iam a quadraginta annis. Ubique enim doctores sunt dispersi, et maxime in theologia in omni civitate et in omni castro et in omni burgo, precipue per duos Ordines studentes…”.

129 MF 35, 1935, pp .65-100.130 K. Bihlmeyer –H. Tuechle, Storia della Chiesa, Brescia 1988, Vol. 3°, pp. 39-58.

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fretta, elessero Papa Bartolomeo Prignani, Arcivescovo di Bari, che assunse il nome di Urbano VI. Il carattere brusco, arrogante ed intrattabile del nuovo Papa toccò la suscettibilità dei cardinali francesi che erano in maggioranza, e solo dopo 5 mesi dalla elezione, abbandonarono Urbano, si riunirono a Fonti, sotto la protezione della regina Giovanna di Napoli ed elessero Papa un cardinale francese, Roberto da Ginevra, che prese il nome di Clemente VII (20 settembre 1378)131. Era nato il grande scisma d’Occidente!Questa divisione della Chiesa si prolungherà per quasi un quarantennio, creando dubbi e smarrimento morale, oltre che teologico, nei fedeli132. Tra tanta confusione non mancarono Santi e uomini di cultura e di fede che professarono la loro obbedienza, con coscienza retta, a papi che la storia tramite il suo filtro minuzioso e discreto, li ha denominati “Papi Avignonesi, Papi Pisani, Papi Romani” e tra essi non manca qualche “antipapa”. Anche nell’Ordine Serafico ci furono momenti di sbandamento e di incertezza. Ai due o tre pontefici che reggevano contemporaneamente il timone della barca di Pietro, si ebbero due o tre ministri generali dell’Ordine, che, tra liti e divisioni di potere nella direzione della fraternità, cercavano di ottenere privilegi ed esenzioni per i frati loro soggetti. I pontefici erano pronti a dare tutto pur di avere dei sudditi a cui comandare. I religiosi di tutti gli Ordini erano sempre disposti ad accogliere dispense e privilegi che di fatto sminuivano ed edulcoravano le regole, servivano a diluire lo spirito dei fondatori e ad imborghesire la vita religiosa. I frati spirituali e zelanti erano sempre esistiti nel francescanesimo e sbandieravano il capo d’accusa che “in seno alla comunità non era possibile osservare lo spirito e la lettera della Regola”, e sarà il ritornello ribadito ogni volta che avverrà una nuova scissione in seno alle famiglie francescane, ma in questo momento, con la nascita dell’Osservanza prenderà più forma e porterà una ventata di nuovo fervore nell’Ordine e nella Chiesa.

FRANCESCANESIMO DALLA DUPLICE ANIMA

Accanto ai frati detti “de conventu o conventuales”, c’erano frati amanti della solitudine, di maggior rigore dello spirito di povertà e di

131 D. Rops, La Chiesa del Rinascimento e della Riforma, Torino 1960, p. 34. 132 Idem, pp. 58-69.

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mortificazione che vivevano negli eremi e si dedicavano alla contemplazione. Già le costituzioni Narbonensi del 1260 parlavano di “loca conventualia et loca non conventualia”, quindi la nomenclatura originaria amata da Francesco, come “loca, habitacula, domus” cede il posto a “loca conventualia” sin dalla seconda metà del secolo XIII, in seno all’Ordine. I frati degli eremi non accettarono pacificamente la vita dei grandi conventi dove, a causa dei “lasciti” fatti dai benefattori, si viveva in una discreta sicurezza economica, c’erano gli studiosi, i grandi predicatori e si svolgevano solenni liturgie nelle loro chiese. I frati spirituali c’erano sempre stati in seno all’Ordine, anche se con alterna fortuna. Sotto il generalato di Crescenzio da Iesi erano stati bloccati con durezza. Avevano trovato più benevolenza durante la direzione di Giovanni da Parma. Nel lungo governo di Bonaventura, per mezzo della prudenza dell’uomo di governo, si erano calmati, anche se sempre pronti a riesplodere. Già durante il Concilio di Lione, alla semplice voce che i Padri avrebbero avuto l’intenzione di “obbligare i francescani a possedere in comune” fu la scintilla dell’incendio. Essi giudicarono che questi fossero i tempi dell’anticristo profetizzato da Gioacchino da Fiore, e “quindi anche l’ora di dar prova di tutto il loro zelo fanatico”. Un gruppo di frati “zelanti, delle Marche con a capo Pietro (poi prese il nome di Liberato) da Macerata, si rese promotore di una violenta campagna intesa a sostenere che l’Ordine non dovesse accettare un mandato ingiusto”. Tra questi frati si trovava Pietro da Fossombrone che cambiò il nome in Angelo Clareno o da Chiarino, località e fiume nel territorio di Teramo dove si ritirò: era uomo austero, intelligente, ma esaltato. C’erano pure Corrado da Offida, Tommaso da Tolentino ed altri. Questi religiosi, imbevuti di idee gioacchimite, si schierarono contro l’Ordine e contro la Chiesa la quale intervenne con mano pesante contro di essi. L’Abruzzo fu l’asilo più sicuro per questi frati intransigenti sul problema della povertà e che per un certo periodo della loro storia trovarono protezione in Celestino V, il quale fece di esse una “nuova congregazione” che denominò “Poveri eremiti di Celestino”… e li raccomandò alla protezione del Cardinale Napoleone Orsini e del priore generale dei suoi monaci Onofrio di Comina, residente nella Badia di Santo Spirito presso Sulmona.

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Questi frati “zelanti e spirituali” si costruirono diversi romitori non solo alle falde del Gran Sasso, ma anche alle falde della Maiella e nelle Marche. Con l’avvento di Papa Bonifacio VIII (1295-1303), fu revocata l’approvazione celestiniana e fu incaricato l’inquisitore fra Matteo da Chieti ad agire energicamente contro “gli apostati, bizzocchi ed eretici ricoverati nei loro romitori, in quanto si erano macchiati di molti errori”, tanto da essere definiti “apostati, eretici e scomunicati”. Alcuni di questi frati, come Tommaso da Tolentino, dopo la morte di Celestino V, furono mandati missionari in Oriente dove lavorarono con grande ardore apostolico e Tommaso subì il martirio per mano di infedeli. Sotto il pontificato di Giovanni XXII, la questione sulla povertà fu esasperata fino ad essere spinta alle estreme conseguenze, portando l’Ordine al limite della ribellione contro il Papa che fra Michele da Cesena tacciò di eresia. Il Ministro generale fra Michele fu invitato a scolparsi davanti al Sommo Pontefice in Avignone, ma quegli, invece di chiedere scusa, si scontrò con il Papa, e questi diede ordine al Capitolo generale riunito a Bologna, di eleggere un altro Ministro generale. Il Capitolo confermò Michele e si arrivò sull’orlo dello scisma nell’Ordine. Michele si rifugiò presso l’Imperatore Ludovico il Bavaro che aveva dichiarato guerra al Papa, definendolo “eretico e autore di altri misfatti”. Ludovico si recò a Roma per farsi incoronare Imperatore “in nome del popolo romano” dal prefetto dell’Urbe, Sciarra Colonna, e promosse antipapa, al posto di Giovanni XXII, il minorita spirituale Pietro Rinalducci da Corvaro in Abruzzo, oggi nel Lazio in Provincia di Rieti, che prese il nome di Nicolò V, il 12 maggio 1328133. Altro momento esasperante della vicenda degli spirituali fu il processo contro Andrea da Gagliano che si svolse a Napoli tra il 1330 e il 1338 e dal quale Andrea uscì assolto. I fraticelli, esacerbarono il problema della povertà sino a definirla “l’unica virtù compatibile con il cristianesimo e con il francescanesimo”, tacciati di eresia furono banditi dalla società. Dopo le esperienze di riforme tentate dal Angelo Clareno e da Ubertino da Casale, lungo il secolo XIV ci provarono a riorganizzare il movimento spirituale anche Giovanni della Valle, e Gentile da Spoleto con la pretesa di “osservare la regola alla lettera e senza glossa”, nell’eremo di Brogliano,

133 A. Chiappino, Profilo di storia francescana, o. c. pp.10- 16; cfr D. Rops, La Chiesa delle cattedrali e delle Crociate, III, 1963, p. 577.

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con l’approvazione del Papa Clemente VI nel 1350; ma dopo la morte di questo papa e con l’avvento di Innocenzo VI (1352-62) e di Urbano V (1362-70), questi frati furono fatti prigionieri e processati a Roma perché accanto ad essi si erano uniti fraticelli e pseudo-zelanti che volevano ripristinare le loro esagerazioni, specie sulla forma dell’abito.

ESPANSIONE DELL’ORDINE

Sul finire del secolo XIII l’Ordine era così costituito e ripartito: Le Province erano 34 con oltre 1400 conventi abitati da oltre 30.000 religiosi. 14 Province si trovavano in Italia e 20 Ultramontane. Le Ultramontane erano così distribuite: 5 in Francia, 3 in Spagna, 3 in Germania, 2 in Inghilterra, 1 in Danimarca con Svezia e Norvegia, 1 in Austria, 1 in Boemia, 1 in Ungheria, 1 in Schiavonia o Dalmazia, 1 in Romania, 1 in Siria o Terra Santa. Alle 34 Province si aggiungono 4 Vicarie: 1 in Bosnia con Bulgaria e Russia, 1 in Oriente - Costantinopoli e Tartaria orientale -,1 in Aquilone o Crimea, 1 in Corsica con Tunisi. I frati arrivarono a Wilna in Lituania dove Gastoldo fu consacrato primo vescovo della città e vi fu martirizzato con trentasei compagni nel 1325134.

LA CHIESA E L’ORDINE DOPO MICHELE DA CESENA

Diversi prelati e alcuni ministri provinciali compilarono degli statuti dietro suggerimento del Cistercense Benedetto XII nel 1336 ed erano più consoni a ricchi monaci benedettini che a poveri frati minori. Il Ministro Generale Guglielmo Farinier, nel Capitolo di Assisi del 1354, pubblicò nuovi statuti che prendono il suo nome “Farineriani”. Ma per i frati era ancora pesante il ritiro della Santa Sede dal possesso dei beni dell’Ordine e dei permessi di disporre del denaro anche ai singoli frati. Sotto il pontificato di Bonifacio IX “furono richiesti e riottenuti gli amministratori o Sindaci apostolici” (16-2-1395). Gregorio XI, con la bolla “Cunctos Christifideles” del 27 maggio 1373, pur denunciando qualche abuso disciplinare, elencò i molti meriti dei francescani, concludendo con queste parole: “Questi sono i frati dell’Ordine

134 G. Odoardi, I frati minori conventuali, p. 112s; cfr A. G. Saliba, I francescani conventuali in Russia e Lituania, Malta 2002, p. 23s.

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dei minori che nella Chiesa rifulgono con molti splendori, il cui lavoro si sa essersi diffuso, attraverso le opere di apostolato e di santità, fino agli estremi confini della terra, più che i membri degli altri istituti…”. Nello stesso secolo aveva scritto fra Bartolomeo da Pisa: “Non credo che vi sia un altro Ordine a cui i fedeli siano tanto affezionati come a questo dei frati minori”. Pur con il travaglio prima degli spirituali e poi dei fraticelli, l’Ordine dei frati minori conventuali era vivo e dinamico, ed era una vera potenza in seno alla Chiesa. E’ vero pure che nel suo seno c’erano molteplici direzioni intrinseche che non riuscivano a diventare unità e a dare amalgama alle diverse sfaccettature ed anime del francescanesimo. Le difficoltà a comprendersi tra spirituali, fraticelli e conventuali stavano diventando strutture e fratture. Durante il secolo XIV ci furono diverse cause che spinsero gli Ordini religiosi verso il rilassamento generale: ci fu la guerra dei cento anni tra la Francia e l’Inghilterra, fu una guerra iniziata nel 1337 e si protrasse oltre il 1440, causando rilassamento nel clero e in tutto il popolo cristiano. La peste nera scoppiata nel 1347, si protrasse fino ad oltre il 1350, toccando tutte le regioni d’Europa, e uccidendo oltre la metà della sua popolazione. Terzo flagello fu lo scisma d’Occidente (1378-1417) che creò sbandamenti paurosi persino nei santi.

LA NASCITA DELL’OSSERVANZA: PAOLUCCIO TRINCI E I SUOI SEGUACI

Nel 1368, un fratello laico umbro, già del gruppo di Gentile da Spoleto, Paoluccio Trinci, sostenuto dal cognato Ugolino de’ Trinci, signore di Foligno, ottenne dai superiori della Provincia serafica il permesso di vivere una vita povera nell’eremo di Brogliano. Questo frate aveva avuto già una esperienza dei fratres strictioris observantiae o semplicemente osservanti, fondati nel 1336 da Giovanni della Valle, quindi da Gentile da Spoleto, ma che erano stati bloccati dalla Chiesa a causa dei fraticelli che vi affluirono. Agli inizi vi furono pochi confratelli che si unirono al Trinci, ma nel 1373, i “frati devoti”, come erano chiamati dal popolo, già contavano dodici case, tra le quali Monte Ripido in provincia di Perugia e S. Damiano alle porte di Assisi. Nel 1380, Paoluccio ottenne il titolo di Commissario della nuova fraternità, dal P. Matteo d’Amelia, Ministro dell’Umbria; nel 1388 il

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Ministro generale Enrico Alfieri lo nominava Commissario generale con la facoltà di aprire altri conventi.Il suo spirito lo conduceva verso l’osservanza della Regola di S. Francesco “ad litteram et sine glossa”, quindi nel modo più rigido ed austero135. “La difficoltà di procurarsi cuoio per sandali, o forse le condizioni del suolo di Brogliano, culla dell’Osservanza, obbligarono i discepoli di Paoluccio a proteggersi i piedi con zoccoli di legno, da cui venne dato loro il nome di Zoccolanti, come furono conosciuti in Italia gli osservanti”136. Alla morte di Paoluccio, fu eletto Giovanni da Stroncone “Vicarius Ministri Generalis… supra certa loca eremitoria, solitaria et devota…” ,“che con la sua prudente moderazione, nel 1414 aveva fatto ascendere a 34 le case riformate, per lo più eremi, abitati da circa 200 religiosi, in maggioranza laici”137. Chi lavorò per un’osservanza stretta della regola e per la propagazione delle idee di Paoluccio Trinci furono Giovanni da Capestrano, Giacomo della Marca, Alberto da Sartiano all’estero, e Bernardino da Siena in ambito nazionale. Come punto di partenza, questi campioni dell’Osservanza non volevano la divisione dell’Ordine, ma piuttosto una riconversione di tutti i suoi membri ad un maggiore spirito di povertà, anche se il Capestrano, dopo il Capitolo generale di Padova del 1443, scriveva al Papa Eugenio IV: “Beatissimo Padre, con questa razza di gente non possiamo intenderci in alcun modo. Vi supplico dunque provvederci di più efficaci rimedi”138. Praticamente chiedeva la separazione degli Osservanti dai Conventuali. I punti fondamentali che alimentavano il loro zelo di riforma in seno all’Ordine erano: divieto ai singoli frati di ritenere e maneggiare denaro; ripristino dei sindaci apostolici, di procuratori, cioè di secolari deputati a ricevere le elemosine ed amministrarle a beneficio dei conventi e dei religiosi; la rinuncia a qualsiasi proprietà conventuale, che comportava la espropriazione dei terreni e dei redditi fissi e l’alienazione dei legati;

135 A. Calufetti, G. Odoardi, Paolo Trinci, in DIP VI, 1105-1110.136L. Iriarte, o. c., p. 122137 A. Chiappino, o. c., p 26; cfr Fra Mariano da Firenze, Compedium Chronicarum

O.F.M., 1908 AFH, p. 95.138 A. Chiappino, S. Giovanni da Capestrano e il suo Convento, L’Aquila 1925, p. 49;

cfr Francesco da Rimini, in AFH, tomo II, p. 165.

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rimessa in uso della questua; un genere uniforme di panni per fare gli abiti, non così fini da meravigliare, non così grossolani da inorridire. I ministri generali che si susseguirono da fra Tommaso Frignani (1367-72) a fra Antonio Vinitti (1409-1415) appoggiarono la riforma, anzi si impegnarono a richiamare i superiori provinciali e locali per una più stretta osservanza e aderenza alla povertà.

BERNARDINO DA SIENA E LA RIFORMA OSSERVANTE

Bernardino è stato definito il secondo fondatore dell’Ordine francescano perché durante la sua vita si è impegnato con ardore a ripristinare l’antico spirito di fervore e di povertà in tutti i suoi membri. Sotto la spinta del Senese, la famiglia francescana osservante fece passi da gigante sia per lo stuolo di nuove vocazioni che affluirono nel suo seno, sia per lo spirito ardente verso la santità che animò vecchi e giovani dietro tanto esempio, sia per la quantità di nuovi conventi aperti da lui e dai suoi collaboratori in tutte le parti d’Europa.. Nel 1438, il Ministro generale, Guglielmo da Casale cadde malato a Siena e si rese conto di non poter continuare a reggere da solo l’intera famiglia minoritica, compresi i “frati devoti”. Non trovò elemento più idoneo da eleggere quale “suo vicario e commissario di tutti gli osservanti della penisola”139 che Bernardino da Siena, e in data 28 luglio 1438 gli scrisse una lettera stupenda con la quale riconosceva le sue eccelse virtù, lo zelo per l’Ordine, l’amore alla giustizia, lo spirito gioioso e socievole che lo rendeva diletto a tutti, la grande prudenza, l’esperienza, e la conoscenza profonda dei cuori degli uomini. Nel 1440, sia per i mali fisici che minavano il suo fragile corpo, sia per la grande propagazione dell’Osservanza, sia per le attività sempre più incombenti, Bernardino presentò le dimissioni prima al Ministro generale e poi al Papa Eugenio IV. Questi le ricusarono e “lui obbedì nuovamente. Pochi mesi dopo, nel febbraio del 1441, dal convento della Capriola, chiamava a far parte delle sue fatiche il carissimo discepolo Giovanni da Capestrano, esimio seminatore, come egli si esprime, della parola di Dio, istituendolo vicario per le province Osservanti di Genova, di Milano, e di Bologna. E continuò alacremente il suo lavoro”. Affiancò al suo governo anche Giacomo della Marca e Alberto da Sarteano, “i quali

139 L. Wadding, Annales Minorum, vol. XI (ad annum 1438), par. VI, p. 31.

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organizzarono la famiglia e la diffusero anche all’estero: nella Balcania (1432), in Austria (1451), in Boemia e nella Polonia (1452-3), ove i frati furono detti e sono ancora oggi conosciuti sotto il nome di Bernardini”140. Esercitò il suo incarico con competenza e serietà: eliminò gli abusi che serpeggiavano tra i frati devoti; volle che i novizi chierici recitassero il divino ufficio secondo la liturgia romana; nessuno doveva accedere al sacerdozio se mancava di una pur minima istruzione teologica; tolse ai frati ignoranti la facoltà di ascoltare le confessioni e favorì l’apertura dello studio di teologia morale nel convento di Monteripido, non lontano da Perugia141. Nel periodo in cui esercitò il servizio di Vicario generale, scelse quale residenza, il solitario convento della Capriola. Qui aveva redatto le opere più interessanti, qui aveva temprato il suo spirito alla meditazione negli anni giovanili, qui pose il quartier generale per la direzione della fraternità. Però spessissimo uscì per visitare i frati, erigere nuovi conventi e continuare la missione evangelizzatrice tra le genti.

GLI OSSERVANTI DALL’AUTONOMIA ALLA SEPARAZIONE DAI CONVENTUALI

Le quattro colonne dell’Osservanza, fino al 1443 non volevano la divisione dell’Ordine, ma la sua conversione dal di dentro. Per questo motivo nel 1430, Giovanni da Capestrano presentò nel capitolo di Assisi le costituzioni che, in seguito passeranno alla storia col nome di “Martiniane”. Con queste Costituzioni si chiedeva agli Osservanti la rinuncia all’autonomia e ai Conventuali la proibizione dell’uso dei beni e del denaro, ripristinando i sindaci apostolici, aboliti dal Papa Giovanni XXII. La base delle due famiglie non accolse queste decisioni, e soprattutto molti Osservanti volevano la divisione dell’Ordine, più che in Italia, all’estero. I frati delle due famiglie contribuirono, con il loro comportamento a far fallire le Costituzioni Martiniane, e Papa Martino V, con la Bolla “Vinea mea Sabaoth” del 15 marzo 1431, ripristinava gli antichi privilegi dei Conventuali e dava maggiore autonomia agli Osservanti. Con l’elezione di Bernardino a Vicario e Commissario generale dell’Osservanza, nel 1438, da parte del Generale Guglielmo da Casale, essi

140 L. Di Fonzo, I Minori… o. c., p. 47.141 Francesco da Rimini, in A. F. H., tomo 2, p. 164s.

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ottennero ancora maggiore autonomia. Nel 1441 subentrò nello stesso incarico fra Giovanni da Capestrano. Nel 1443 si celebrò il Capitolo generale di Padova dove tutto sembrava riconciliabile qualora fosse stato eletto Ministro Albero da Sarteano della famiglia Osservante, invece i suffragi andarono ad Antonio Rusconi da Milano, e ci fu rottura completa.

ALTRE RIFORME NEL ‘400

Il b. Pietro da Villacreszès (+1422) aveva promossa una riforma in seno alla fraternità minoritica del convento di Salzedo in Spagna, nacquero i frati detti Villacreziani e furono incoraggiati e guidati anche da S. Pietro Regalato. S. Coletta di Corbie volle riformare i conventuali di Francia, aiutata dal P. Enrico de la Balme suo confessore e nacquero i Coletani (c. 1412). Questi, in genere, prestavano la loro assistenza come confessori, predicatori questuanti nei monasteri delle clarisse colettine142. Furono riconosciuti dalla Chiesa, nel 1415, con la costituzione apostolica “Supplicantibus personarum”. Si svilupparono in Francia e nelle Fiandre. Ebbero diversi conventi persino in Sassonia e a Colonia, furono guidati per diversi anni da fra Bonifacio da Ceva; avversavano strenuamente gli Osservanti, ritenendoli fuori della legalità. I Capriolanti o Osservanti lombardi, nati da Pietro da Capriolo di Brescia verso il 1467. Essendo di carattere irrequieto, la sua riforma fallì molto presto. Gli Amadeiti, nati con la riforma avviata dal b. Amedeo Menez de Sylva, tra il 1457 e il 64 e approvati da Paolo II nel 1469; sorse pure la Cappuccella o del Santo Vangelo in Spagna e gli scalzi, anch’essi spagnoli, sorti per opera del b. Giovanni di Puebla verso il 1487 e portata avanti dal b. Giovanni da Gadalupe (+1505). Gli antichi Clareni, riconvertitisi e rientrati nella legalità e sotto l’obbedienza dei vescovi tra il 1437 e il 1439, e nel 1473 in seno all’Ordine, formavano un’altra famiglia francescana riformata143.. In genere, la famiglia Osservante non amava gli studi, anche dopo la spinta di Bernardino e degli altri illustri predicatori del secolo XV, temendo di perdere lo spirito della santa semplicità e lo stesso Coletano Bonifacio da

142 G. Odoardi, DIP, Vol. 2, 1211-1217. Cfr Colette Roussey e Pascale Gounon, Nella tua tenda per sempre (storia delle clarisse) Ed. Porziuncola 2005, pp. 260-61

143 L. Di Fonzo, I Minori, o. c., p 183...

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Ceva li rimproverava , dicendo loro: “Non despicio fratrum simplicitatem, sed non laudo fratrum asinitatem”. Però, con l’andare del tempo anch’essi si aprirono alla cultura sacra e scientifica ed ebbero grandi personalità in seno alla famiglia Osservante, soprattutto a partire dal secolo XVI ai nostri giorni.

CONTINUA LA LOTTA PER LA DIVISIONE

Con la bolla “Ut in Sacra Ordinis Minorum Religio” di Eugenio IV del 23-7-1446 la famiglia Osservante ebbe il permesso di convocare Capitoli autonomi per eleggere i suoi vicari provinciali e generali, indipendentemente dalla famiglia conventuale. I ministri conventuali avevano solo l’incarico di confermare gli eletti entro tre giorni. Era nata di fatto l’indipendenza della famiglia Osservante. Lungo il prosieguo del secolo ci furono altri tentativi di rappacificazione, ma tutti andarono falliti. In Spagna verso il 1500, il cardinale Jimenes de Cisneros, appoggiato dai re cattolici, fece una vera guerra contro i Conventuali: ci furono assalti nei conventi, con veri e propri atti terroristici. Molti frati conventuali dovettero fuggire tra i Mori nel Marocco, prima di lasciarsi riformare dalle bande armate del Cisneros che agiva contro ogni legalità e con la forza144. Sotto il pontificato di Alessandro VI, il generale dell’Ordine Egidio Delfino “tentò di ristabilire l’unità delle varie famiglie francescane, imponendo nuove costituzioni, chiamate -Statuta Alexandrina- perché approvate da Alessandro VI il 7 aprile 1501”. Il ministro si impegnò a promuovere la riforma e fare osservare le nuove costituzioni, visitò tutti i grandi conventi dell’Ordine, ma ovunque incontrò opposizione: I Conventuali lo criticavano perché troppo conciliante con gli Osservanti, e gli Osservanti lo biasimavano come corruttore della loro famiglia145. Leone X, nella Pentecoste del 1517 convocò un “Capitolo generalissimo” nel convento di Ara Coeli in Roma, nella speranza di riunire le diverse famiglie francescane. “Di fronte al pari rifiuto degli Osservanti di unirsi e sottostare a ministri e frati non riformati, e alla ferma dichiarazione dei Conventuali sulla legittimità e ripetuta approvazione apostolica della loro vita francescana seguita da 30.000 religiosi in piena tranquillità di coscienza, il Papa lasciando praticamente i Conventuali nel loro stato, decise

144 L. Iriarte, o.c. p.132145 Idem, p. 133; cfr T. Lombardi, o. c., pp. 332s.

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di autorità la fusione di tutti i gruppi riformati, di qualunque forma e denominazione, sotto un proprio Ministro generale Osservante, col titolo (e sigillo) di Ministro generale “totius Ordinis”, e col nome ai religiosi uniti di Frati Minori o, in alternativa, di frati minori della regolare osservanza”. Con la bolla “Ite vos” (29.5.1517), bolla detta di unione o di separazione, i Conventuali continuarono la loro vita autonoma, mentre furono aggregati alla famiglia Osservante i Martiniani di Sassonia, gli Amadeiti, i Coletani, i Clareni e i Guadalupensi o del Santo Vangelo. Il generale dei Conventuali fu denominato dal Papa Magister generalis fratrum Conventualium e doveva essere confermato dal Ministro generale degli Osservanti che acquistava la primogenitura. In pratica, il nostro Maestro generale fu sempre confermato dai Papi, a cominciare da Leone X, e fu chiamato ora Maestro e ora Ministro, facendo prevalere quest’ultimo titolo, fino a renderlo esclusivo negli anni 1586-89, sotto Sisto V. Stando alla testimonianza di Corrado Pellikan, frate osservante che poi passò ai riformati, l’unico motivo della divisione fu quello di acquistare il primato nell’Ordine e non quello della maggiore o minore osservanza e aggiunge: “Là non accadde nient’altro che il trasferimento del magistero dell’Ordine, dell’ufficio del generalato e del regime dai minori conventuali ai frati che sono detti Osservanti”146. Molti studiosi hanno pensato che questo trasferimento del primato dalla famiglia Conventuale alla famiglia Osservante fosse stato anche pagato da questi ultimi; il dubbio resta ancora. Gli ordini religiosi raccoglievano delle offerte tramite le predicazioni delle indulgenze per finanziare la costruzione di S. Pietro, ma certe offerte erano troppo abbondanti. Scrive Merlo: “Certo è che nel periodo compreso tra il luglio del 1516 e il giugno 1517 gli Osservanti versarono nelle casse della Chiesa romana ben 26.041 ducati, rispetto ai 1.200 dei Conventuali e agli 8.740 di altri, estranei all’Ordine”147 .

146G. G. Merlo, Nel nome di S. Francesco, Padova 2003, p. 379147 Idem, p. 374.

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ALCUNI PERSONAGGI ILLUSTRI DEL SECOLO XV

Grandi teologi, filosofi, storici, predicatori e santi furono presenti nella famiglia Conventuale; inoltre ci furono diversi cardinali e due frati furono promossi alla Cattedra di Pietro. Possiamo ricordare Bartolomeo da Pisa, fu professore nei ginnasi di Padova, Siena e Pisa; predicatore illustre, morì centenario a Pisa nel 1400c. Ci ha lasciato un’opera importantissima “Conformitatum Sancti Francisci ad Christum” preziosa opera ricca di note storiche topografiche sugli uomini illustri dell’Ordine. Francesco Ximenes di Girona in Catalogna, scrisse in spagnuolo “Della vita cristiana, e della virtù e sacramento della Penitenza. Dei suoi angeli. Della vita di Cristo”. Francesco da Pistoia, teologo di raro talento, fu inviato da Martino V presso il sultano di Babilonia. Enrico di Baulme, vicino Ginevra, chiaro per dottrina e pietà, scrisse l’opera “De mystica theologica, seu de triplici via”. Morì a Besançon nel 1439. Roberto Caracciolo fu uno dei massimi oratori del secolo ed ebbe la stima e l’ammirazione dei pontefici Callisto III, Pio II, Paolo II e Sisto IV. I suoi scritti furono pubblicati più volte durante la sua vita come i Sermones, De formatione hominis moralis, Specchio della vita cristiana. Fu consacrato vescovo e morì a Lecce in odore di santità nel 1495. Francesco della Rovere, fu ministro generale quindi Papa con il mone di Sisto IV, fu teologo, illustre professore e strenuo difensore dell’Immacolata Concezione di Maria. Scrisse moltissime opere che furono pubblicate più volte durante il suo pontificato. Francesco Nani da Siena che fu Ministro generale dal 1475 e il suo governo durò ben 24 anni, fu sommo teologo. Nel 1482, difendendo con mirabile chiarezza l’Immacolata Concezione di Maria dinanzi al Papa Sisto IV, fu definito da costui: “Tu es fortissimus Sanson” e da questa espressione è passato nella storia con il nome di Sansone. Scrisse di teologia e di filosofia; vanno ricordate le opere “Recollectae in forma quaestionum e Commentaria super Ethicam Aristotelis”.

DUE ILLUSTRI PONTEFICI

I Conventuali godevano ottima stima davanti alla Chiesa e al mondo sia per i grandi personaggi che insegnavano nelle università che per i frati che stavano nei conventi dove svolgevano le stesse mansioni in favore dei poveri e degli umili delle città e paesi. Avevano Vescovi e Cardinali,

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predicatori e fratelli religiosi aperti alla santità. Nel 1409 il Concilio di Pisa che cercava di riportare l’unità nella Chiesa, poiché i due papi antagonisti Benedetto XIII e Gregorio XII avevano promesso che si sarebbero dimessi, elesse Papa il francescano conventuale Pietro Filargio vescovo di Milano che prese il nome di Alessandro V. Gli altri due pontefici non si dimisero e la confusione durò ancora per alcuni anni. Alessandro morì nel 1410 a Bologna e fu sepolto nella nostra chiesa in un solenne monumento funebre che fu restaurato nel 1893 per volere di Leone XIII. Nella serie dei Papi è il 211° e va sotto il nome di Papa Pisano. Francesco della Rovere frate francescano conventuale, laureato a Padova, insegnò teologia in diverse università d’Italia: Padova, Pavia, Firenze e Perugia. Fu eletto Ministro generale dell’Ordine nel 1464 e nel 1467 fu creato cardinale. Il 9 agosto 1471 fu elevato al soglio di Pietro prendendo il nome di Sisto IV. Fu un Papa del rinascimento con tutti i difetti e pregi del tempo: abbellì la città di Roma, costruì la Cappella Sistina che da lui prende il nome e la fece adornare di splendide pitture. Morì il 13 agosto 1484.

ALCUNE FIGURE DI FRATI SANTI DEL SECOLO

B. Riccardo di Kirchberg in Baviera morto nel 1401 a Norimberga. B. Francesco Cardaillac, vescovo di Caors in Francia, morto nel 1404. B. Damiano Conte di Padova, morto nel 1405 a Cremona e sepolto nella nostra chiesa con culto pubblico. B. Giovanni Ristori, maestro spirituale di S. Bernardino da Siena, visse nel convento di Siena e morì nel 1420. I Venerabili frati Macario Nachiro di Ugiano, Leone di Fasiano, Sergio Bembo, Nicolò Epifanio, Crisostomo Rii, Procomio di Monopoli, martirizzati dai turchi a Otranto il 14 agosto 1480. Il B. Elia Bourdeille cardinale e arcivescovo di Tours, morto il 5 luglio 1484. Ven. Roberto Caracciolo di Lecce, morì vescovo nel 1495, ecc…

LA FAMIGLIA OSSERVANTE E I SUOI CAMPIONI

La famiglia Osservante durante il secolo XV era ancora unita alla famiglia Conventuale, ma poiché viveva in una osservanza più rigida, fu foriera di

una ondata di novella santità per l’Ordine e per la Chiesa. Vanno ricordati i quattro campioni della riforma: S. Bernardino da Siena, S. Giovanni da

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Capestrano, S. Giacomo della Marca e il B. Alberto da Sarteano. Accanto a questa schiera di giganti della santità e della predicazione non si possono

dimenticare i Beati Vincenzo Aquilano, Timoteo da Monticchio, Bernardino da Fossa, Tommaso da Firenze che morì nel 1447 a Rieti e cominciò a fare

tanti prodigi e si diceva che questi miracoli avrebbero ritardato la canonizzazione di Bernardino. “Per questo motivo, Giovanni da Capestrano che lavorava alacremente per la glorificazione del Confratello, si recò sulla tomba di Tommaso e, in ginocchio, lo pregò che obbedisse, anche da morto,

come aveva obbedito in vita e non facesse più miracoli fino a dopo la canonizzazione di Bernardino, e solo dopo il 1450 riprese a compiere

prodigi”148. S. Pasquale Baylon, mistico dell’Eucaristia, B. Bernardino da Feltre, Marco da Bologna, B. Matteo da Agrigento e tanti altri riconosciuti

ufficialmente dalla Chiesa.

OPERE SOCIALI DEI FRANCESCANI

I Monti di Pietà A causa degli usurai, molte persone erano costrette a dichiarare fallimento e finivano sul lastrico durante il medioevo e nei secoli seguenti, non più e non meno di oggi. Poiché la miseria opprimeva tante famiglie; i francescani pensarono come venire incontro a tanti disgraziati, creando i Monti di pietà che erano degli istituti con lo scopo di prestare somme di denaro contro pegni, con minimo pagamento per le spese, per venire incontro alle classi povere e combattere l’usura. Il primo ad organizzare un tale sistema fu Francesco da Empoli con il Monte di Pietà di Firenze del 1358, ma per mancanza di esperienza organizzativa, fallì molto presto149. Marco da Montegallo si rese conto di due grandi maledizioni del suo tempo: le discordie civili e l’usura. “Cercò di ovviare alla prima col patrocinare la pace e il pubblico bene (Ascoli, Camerino, Fabriano) e alla seconda con l’istituzione dei Monti di Pietà”150. Nel 1454 costituì ad Ancona un istituto di credito per venire in aiuto dei poveri della città. Sembra che abbia cooperato con il b. Domenico da Leonessa per la costruzione del Monte di Pietà di Ascoli Piceno nel 1458. La Maggior parte dei monti di Pietà furono istituiti nella seconda metà del secolo XV: Fra Domenico da Leonessa ne

148 R. Lioi, Tommaso da Firenze, in BS, XII, 580- 3.149 G. Coniglio, I monti di Pietà in Enc. Catt. VIII, 1378-1380.150 G. Fagiani, Marco da Montegallo, in BS VIII, /£)-40.

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fondò uno in Ascoli nel 1458; fra Michele da Carcano “ebbe parte attiva nella fondazione dei Monti di Pietà a Perugia nel 1462, quindi a Bologna e a Padova”151. Questa ottima trovata si diffuse in diverse città d’Italia: Orvieto nel 1464, a L’Aquila nel 1465 per merito di Giacomo della Marca152 il quale ne fondò un altro anche a Fabriano nel 1470 e nel 71 a Fano. Sisto IV approvò gli statuti per il Monte di Pietà a Viterbo nello stesso anno e nel 1479 fu approvato quello di Savona. Il Beato Bernardino da Feltre fu un campione nella predicazione e nella fondazione dei Monti di Pietà: ne aprì a Mantova nel 1484, a Feltre, a Parma, a Rimini, a Cesena, a Chieti, a Narni, a Lucca, a Siena, a Padova nel 1491 a Monselice nel 1494 a Montagnano, ecc… “Nonostante la forte opposizione dei suoi confratelli, sostenne, da perfetto giurista, che era lecito esigere il pagamento di un modesto interesse nel mutuo, necessario al funzionamento della organizzazione bancaria”153. Il Beato Angelo Carletti da Chiasso, tra le tante cose che fece durante la sua vita, “svolse anche la missione di predicatore popolare, come molti altri Santi del suo tempo… Si occupò anche delle erezioni dei Monti di Pietà a Genova e a Savona dettando o ispirando gli statuti”154, fondò i Monti di Pietà a Pavia e a Milano e fra Giacomo Calvo istituì quelli di Roma nel 1536 e di Napoli nel 1540. Con i Monti di pietà vanno aggiunti i Monti frumentari che furono un’altra gigantesca opera di carità dei francescani durante i secoli XV-XVI e oltre. Si possono ricordare: il monte frumentario di Spoleto del 1490 e quello del comune di Macerata del 1492, oltre a tanti altri sparsi in tutta la penisola. L’opera caritativa dei francescani durante il medioevo e il rinascimento, vive ancora oggi in tante opere di assistenza ai poveri e ai meno fortunati della società. La caritas odierna è una modernizzazione delle loro attività svolte in quel difficile tempo.

IL SECOLO XVI: GLI AVVENIMENTI POLITICI E QUELLI FRANCESCANI

Questo secolo, studiato sotto l’aspetto politico, fu per l’Europa in generale e per l’Italia in particolare, un secolo inquietante e turbinoso. Si aprì con la lega di Cambrai nella quale la Spagna, la Francia, l’Impero, la Germania, lo

151 G. V. Sabatelli, Michele Carcano, in BS, III, 782-84.152 G. S. Picciafuoco, Giacomo della Marca, Monteprandone 1976, pp. 198s.153 G. V. Sabbatelli, Bernardino da Feltre, in BS II, 1289-93..154 G. V. Sabatelli, Angelo Carletti in BS, I, 1235-37.

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Stato Pontificio si coalizzarono per ridimensionare la potenza della Repubblica di Venezia. Sciolta la lega, tutti i fautori si gettarono in una lotta sorda e implacabile, combattendosi reciprocamente: la Francia da una parte, contro l’impero con la Germania e la Spagna dall’altra. Per oltre mezzo secolo fecero un gioco al massacro, combattendosi aspramente, e molte di queste guerre si svolsero sul suolo italiano. Mentre i Cristiani si dilaniavano, i turchi avanzavano, scorrazzando per mare e per terra, fino ad arrivare alle porte di Vienna. Quando i cristiani si avvidero che il loro respiro diventava sempre più affannoso e il pericolo della Mezza luna era imminente, si confederarono e riuscirono, almeno per un momento, a bloccare la flotta turca, infliggendole una grave sconfitta a Lepanto, il 7 ottobre 1571. Studiato sotto l’aspetto religioso, quello fu il secolo di Lutero e dei riformatori protestanti. Questi “restauratori” che volevano ripristinare il cristianesimo primitivo, dopo avere demolita quella Chiesa che stimavano ricca di incrostazioni, crearono una serie di “chiesuole”; certamente non migliori di quella che avevano combattuto. Ciascuno dei riformatori e fondatori pretendeva che la sua Chiesa fosse la vera, l’unica corrispondente a quella voluta da Gesù Cristo, scomunicandosi reciprocamente. La crisi portò al dramma delle divisioni, delle libere interpretazioni e dell’incomunicabilità. Ci volle il concilio di Trento per confermare i punti nevralgici della fede che le nuove chiesuole avevano manomessi o bizzarramente interpretati (come la cena del Signore, il battesimo, la cresima, ecc.). “Il cinquecento, scrive Gemelli, secolo di passioni per la Chiesa, è secolo di lotta e di austerità per il francescanesimo che si divide per soffrire, per crescere, per edificare…”. Ogni scissione causa sofferenze, ma la divisione dei membri di un Ordine religioso crea una sofferenza ancora maggiore perché sa che si pone contro il comando del Signore: “Ut unum sint”!155

Il francescanesimo aveva sempre avuto una duplice anima che nel secolo XIII si definiva “spirituale” e “comunità”, nel secolo XV “Osservanza” e “Conventualesimo”, nel secolo XVI “stretta osservanza” e “regolare osservanza”. Questo duplice modo di intendere il francescanesimo, non necessariamente dichiarava la scissione. Bernardino da Siena, a costo di essere avversato e abbandonato dai suoi, si era opposto alle forze centrifughe che pullulavano in seno all’Ordine ed era

155 A. Gemelli, Il Francescanesimo, Ed Porziuncola 2000, p. 140.

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riuscito a conservare l’unità dopo il Capitolo di Padova del 1443. Con il passare degli anni, le controversie in seno al francescanesimo erano diventate frattura: la famiglia francescana era tenuta insieme solo giuridicamente, ma spiritualmente era già divisa. Il 1517 fu l’anno del riconoscimento giuridico della divisione, e con la bolla “Ite vos”, gli Osservanti acquistarono anche la primazia in seno all’Ordine e ad essi fu consegnato anche il “Sigillum Ordinis”, ma anche essi non riuscirono ad avere la serenità e la pace che avevano desiderato e predicato. Nell’ambito delle riforme, non tutti si ritenevano “osservanti” anzi alcune riforme si opponevano ad essi, come i Colettani che papa Nicolò V, nel 1452 confermava la loro obbedienza ai Conventuali. Sisto IV, nel 1482 rinnovò agli Osservanti il divieto di esercitare “la benchè minima giurisdizione sulle Clarisse riformate da suor Coletta”156. Da una parte furono costretti a trovarsi le diverse componenti delle Osservanze (Capreolanti, Clareni, i frati di Recollezione, Villacresiani, Amadeiti, Colettani, Guadalupensi con gli Osservanti) fuse insieme, guidate da P. Cristoforo Numai, “Ministro di tutto l’Ordine dei francescani”, e dall’altro canto i minori Conventuali guidati dal P. Antonio Marcello De Petris, “Maestro generale”. Un anno dopo l’emanazione della bolla “Ite vos”, gli Amadeiti continuarono a mantenere la loro autonomia e, in Francia i Colettani riuscirono a formare la Provincia di Francia, in contrapposizione alla Provincia di Parigi riservata agli Osservanti157. Come già accennato, l’Osservanza non trovò quella pace che aveva sperato attraverso la separazione dai Conventuali e, “come tutte le istituzioni umane, anche qui accade che quando più ampio diventa il numero dei membri, tanto maggiore sorgono i rischi per un razionale contenimento di evasioni, infiacchimenti, accomodamenti più o meno illegali e, certamente, non fecondi per la vita dello spirito e molto spesso per una ordinata vita associata. E, tuttavia, quando maggiore è la vitalità dell’istituto, tanto più profondo il bisogno, nell’uno o nell’altro membro, nell’una o nell’altra frazione della comunità, di ritrovarsi, di riprendere l’identità delle origini”158.

156 M. C. Roussey- M. P. Gounon, o. c. pp. 410- 411. 157 L. Iriarte, o. c., p: 134.158 G. Marinangeli, Frati Minori d’Abruzzo in “I Frati Minori d’Italia, Porziuncola

1981, p 122; cfr Odoardi G., in Autori Vari, I frati minori, o.c. pp. 116-121, Di Fonzo L., I Frati Minori, o.c., pp.220- 224..

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Ci si può chiedere: fu veramente desiderio di spiritualità e di perfezione religiosa la scissione della famiglia Osservante dalla famiglia Conventuale nel Capitolo Generalissimo di Ara Coeli in Roma nel 1517? Alcuni storici del secolo XX e dell’inizio del nuovo millennio non condividono in pieno questa linea. Come già accennato, lo storico Merlo, con le sue ricerche, pone problemi inquietanti: “Si sparsero critiche durissime contro gli Osservanti, accusati addirittura si “simonia”, in quanto per imporsi avrebbero utilizzato l’arma del denaro raccolto attraverso la predicazione indulgenziale, destinata al reperimento di risorse finanziarie per la nuova fabbrica di San Pietro. Forse si trattava di critiche calunniose. Certo è che nel periodo compreso tra il luglio 1516 e il giugno 1517 gli Osservanti versarono nelle casse della Chiesa romana ben 26.041 ducati, rispetto ai 1200 dei Conventuali e agli 8740 di altri, estranei all’Ordine. Che cosa ottenne l’Osservanza nel 1517?...”159. Lo stesso storico cita il frate osservante Corrado Pellikan, che nel 1526 si era “convertito alle posizioni riformate”, nel suo Chronicon rivive gli avvenimenti accaduti da soli nove anni con queste parole: “Là non accadde nient’altro che il trasferimento del magistero dell’Ordine, dell’ufficio del generale e del regime dai Minori Conventuali – che erano contrari, recalcitranti e pronti a opporsi al mutamento istituzionale- ai frati che sono detti dell’Osservanza”160.

FERMENTO NELL’OSSERVANZA

Ad un anno dalla unificazione dei frati Osservanti, la famiglia Coletana di Francia si staccò dall’Osservanza e costituì una provincia autonoma diversa da quella di Parigi, riservata agli Osservanti e durante il secolo XVI, col nome di Recolletti, fonderanno le province di Fiandra e di Germania. Nel Capitolo provinciale celebratosi in S. Bernardino di L’Aquila, il 26 dicembre 1518, alla presenza del ministro generale P. Francesco Licheto, e nel quale fu eletto provinciale P. Francesco da Pentima, furono ridiscussi ed approvati degli statuti già approvati nel capitolo del 1505, “per la santa riforma della Provincia di Santo Bernardino”. Nei primi giorni dell’anno seguente, lo stesso Ministro generale, celebrando il capitolo della provincia romana, presentò questi statuti che tutti approvarono, ma un gruppo di frati

159 G. G. Merlo, o. c., p. 374.160 G. G. Merlo,o..c. p., 379.

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guidati da Stefano Molina e Bernardino da Asti, il 6 gennaio 1519, chiesero ed ottennero dal Ministro generale di poter vivere una vita più aderente “alla purità della regola” di S. Francesco nel convento di Fontecolombo. Praticamente erano nati i “frati della stretta osservanza o riformati”. Ad otto anni dalla bolla “Ite vos” di Leone X, l’umile e giovane frate Matteo da Bascio, già sacerdote della provincia religiosa delle Marche, ritenendo che la riforma effettuata fosse troppo blanda e aspirando ad un’osservanza della regola alla lettera, nel 1525, lasciato segretamente il convento di Montefalcone, si recò a Roma per chiedere al Papa Clemente VII l’autorizzazione a vivere come S. Francesco. “Ottenne con facilità da Clemente VII il permesso, Vivae vocis oraculo, di osservare la regola secondo i suoi desideri, vestire l’abito che aveva preso e andare predicando da una parte all’altra”. Ma il suo Ministro provinciale fra Giovanni da Fano, ritenendolo fuggitivo, quando si ripresentò in Capitolo, lo fece imprigionare161. Fra Matteo, anche se di cultura molto limitata, si era distinto nella città di Camerino in occasione della peste del 1523 ed era stato ammirato soprattutto dalla duchessa Caterina Cibo quando si aggirava nelle corsie dei poveri appestati, spandendo compassione e affetto verso tutti. Fu questa nobildonna a venire in suo soccorso per farlo liberare. L’esempio di Matteo fu contagioso perché nello stesso anno due fratelli di sangue e frati Osservanti, Ludovico e Raffaele da Fossombrone, chiesero al Provinciale di ritirarsi in un romitorio insieme ad altri compagni e vivere la regola di S. Francesco nella sua interezza e senza interpretazioni o dispense. Il Provinciale si oppose e i due uscirono dall’Osservanza e si rifugiarono tra i Conventuali di Cingoli. Fra Giovanni da Fano, con il breve pontificio “Cum nuper” dell’8 marzo 1526, si pose alla ricerca dei due frati accusati come apostati, fuggitivi, scomunicati e colpevoli di scandalo presso il popolo162. I due frati, vedendosi braccati, lasciarono il convento di Cingoli e si rifugiarono nell’eremo camaldolese di Cupramontana dove era abate il beato Paolo Giustiniani il quale li mise in contatto con S. Gaetano da Thiene e Gian Pietro Carafa vescovo di Chieti, e soprattutto con il cardinale Pucci. Ludovico ottenne da quest’ultimo la lettera apostolica “Ex parte vestra” il 18 maggio 1526 con cui si concedeva a lui, a Raffaele, e a Matteo il

161 Mariano D’Alatri, I cappuccini, Roma 1994, p. 12. Cfr. Iriarte L., o. c. pp. 260s.162 Idem, o. c. ,p.13

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permesso di vivere da eremiti, fuori dei conventi dell’Osservanza e con le elemosine dei pii fedeli. Ai tre si aggregò subito un altro osservante, fra Paolo da Chioggia. Durante il sacco di Roma del 1527, scoppiata una nuova pestilenza anche nella città di Camerino, i quattro religiosi si prodigarono nell’assistenza materiale oltre che morale e spirituale degli appestati, tanto che il popolo ne restò profondamente ammirato. Poiché l’Ordine continuava a creare molte difficoltà, Ludovico, con l’aiuto dell’influente duchessa Caterina, decise di chiedere la protezione dei Conventuali. Il Ministro generale di questi “prese sotto la sua protezione i quattro “ribelli”, lasciandoli liberi di vivere secondo le proprie aspirazioni”163. Inoltre, Ludovico, aiutato dalla stessa protettrice, ottenne la bolla papale “Religionis zelus” del 3 luglio 1528, con la quale si dava l’atto di nascita all’“Ordine dei francescani eremiti”. Con questo documento si concedeva agli adepti di portare la barba, l’abito con il cappuccio piramidale, di predicare al popolo e di accogliere i novizi164. Pur restando sotto la protezione dei Conventuali, si dovevano eleggere i superiori propri che avevano l’autorità dei Ministri provinciali. Un discreto numero di Osservanti, desiderosi di vita eremitica, si unirono a questi primi fratelli, creando malcontento nell’Ordine. Intanto nell’aprile del 1529 i frati eremiti si riunirono in Capitolo nel convento di Albacina, nel territorio di Fabriano, per eleggere il Vicario generale e compilare le prime Costituzioni della nuova Congregazione. Erano presenti una ventina di religiosi che elessero Vicario fra Matteo da Bascio che accettò più per costrizione che per vocazione e nel giro di qualche settimana si dimise, lasciando l’incarico a fra Ludovico da Fossombrone. Le Costituzioni che stesero erano di stampo camaldolese, con il titolo: “Costituzioni delli frati minori detti della vita eremitica”. Tra gli altri punti si stabiliva: Recita corale, calma e meditata del divino ufficio. Dare tempo alla preghiera personale per più ore al giorno. Silenzio rigoroso; disciplina giornaliera. Mortificazione nella mensa e astinenza dalle carni. Abito umile e rammentato; i sandali solo per gli ammalati. Case umili e fuori città (possibilmente in mezzo ad un boschetto), di proprietà dei benefattori, costruite con vimini e fango, con cellette piccole come sepolcri.

163 L. Iriarte, o. c., p. 262.164 Idem, o. c. pp. 14s.

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I superiori inviino frequentemente i frati a predicare. La predicazione sia semplice ed evangelica165. Quando i ragazzi vedevano questi frati camminare lungo le strade, credendo che fossero eremiti erranti, correvano dietro ad essi e gridavano: “scappuccini, scappuccini”, per il lungo cappuccio che portavano. Dal 1534 nei documenti pontifici comparve l’appellativo di Cappuccini. La nuova congregazione aveva come ideale il ritorno al francescanesimo, più autentico, ma le difficoltà interne ed esterne non mancarono. Per vincere le grandi prove, questi nuovi cavalieri della povertà e della semplicità si posero accanto ai lebbrosi del loro tempo che erano i poveri appestati. Nel 1530 troviamo i Cappuccini che servono nell’ospedale di S. Maria del popolo in Napoli, nell’ospedale degli incurabili di Genova, e in tanti altri lazzaretti di mezza Italia. Era nata una nuova famiglia francescana che tanta santità e gioia porterà nella Chiesa di Dio.

NUOVE RIFORME NELL’OSSERVANZA Quasi contemporanea alla riforma cappuccina, si ricostituiva la famiglia Discalciata o Scalzi per merito di Giovanni Pasqual, il quale nel 1541 ottenne l’autorizzazione di aggregare i suoi seguaci in tre eremi della Galizia che furono detti della Custodia di S. Giuseppe. Questi frati furono chiamati anche Pasqualiti che poi si fusero con altri Discalciati nel 1583. Il vero restauratore e nuovo fondatore di questa nuova famiglia era stato S. Pietro d’Alcantara che “succeduto al Pasqual, pose se stesso e tutti i suoi frati sotto la protezione dei Conventuali, professando obbedienza in Roma nel 1555, nelle mani del Generale Giulio Magnani da Piacenza”. Alla morte del Santo (+1562), con la bolla di Pio IV del 1563 “In suprema”, i Discalciati o Alcantarini dovettero passare sotto l’obbedienza Osservante. Nel 1570 nacquero i “Recoletti per una vita più stretta di raccoglimento, nel convento di “recollezione” di Cluys in Francia, ed ebbero l’approvazione del papa Gregorio XIII nel 1579 con la bolla “Quum illius”. Pur essendo quattro famiglie indipendenti, con Ministri provinciali autonomi, la Chiesa volle che il Ministro Generale fosse uno per tutti con vicari particolari166.

165 L. Iriarte, o. c., pp. 263s; Mariano D’Alatri, o. c., p. 16.166 L. Di Fonzo, o. c., p. 221

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I FRANCESCANI NEL SECOLO XVI

Con la scissione dell’Ordine, nel 1517, in famiglia Conventuale e Osservante, e con la nascita dei Cappuccini nel 1528 e dei Riformati nel 1532, i francescani vissero la loro comune storia come dei fratelli gelosi e invidiosi, sempre pronti a litigare, ma che non sanno né dimenticarsi né ignorarsi, e si trovano sempre in competizione tra loro. Anche se ogni famiglia aveva la sua caratteristica e il proprio carisma, ci si ispirava sempre all’altra per succhiare il meglio che si trovava in essa. Però ogni famiglia, sia a livello di Ordine che di Province, volle mostrare il suo volto e il suo carisma, soprattutto in campo apostolico. Il P. Gemelli sintetizza e chiarifica questa distinzione nella omogeneità, soprattutto nella testimonianza contro i protestanti e contro gli eterodossi, con tre espressioni: “I Conventuali, cultori di studi classici, occupavano i centri universitari, predicavano dai maggiori pulpiti, parlavano alle corti, pubblicavano opere apologetiche, custodivano amorosamente le grandi basiliche che rivelano alle masse e agli esteti la bellezza dell’ideale francescano. Gli Osservanti e i Riformati da S. Bernardino da Siena in poi, ritornarono al compito della predicazione popolare sulla trama della Sacra Scrittura. I Cappuccini dai loro romitori scendevano sui mercati e sulle piazze a predicare dei vizi e delle virtù, delle pene e della gloria, con una nota apocalittica, che, unita alle loro aspre sembianze dei Padri del deserto, fece sul popolo una grande impressione”167. Anche per ciò che riguarda il governo interno delle Province ci fu una certa distinzione e peculiarità nell’ambito delle singole famiglie. Nella famiglia Conventuale, il Capitolo provinciale, dal 1239 ebbe un andamento triennale. Anche dopo la nascita della famiglia Osservante, l’Ordine continua a celebrare il Capitolo ogni tre anni, con l’obbligo della non rielezione del ministro uscente. La nuova famiglia Osservante, mentre nella zona ultramontana celebrava il capitolo ogni tre anni, in Italia, durante il secolo XVI, lo celebrava ogni anno, come aveva già fatto nel secolo precedente, e in esso il ministro si presentava sempre dimissionario. Per i frati Cappuccini, fino al 1619, il Vicario provinciale era confermato dal ministro generale dei Conventuali, con la durata di tre anni, mentre il Capitolo era convocato ogni anno. Con la bolla Farnesiana del 9 settembre

167 A. Gemelli, o. c., p. 149.

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1667 si stabilì definitivamente la celebrazione del Capitolo elettivo ogni anno ed una congregazione intermedia.

I CONVENTUALI NEL SECOLO XVI

Con la bolla “Ite vos” di Leone X si ha la divisione dell’Ordine, quindi ogni famiglia religiosa va per la sua strada.. I Conventuali dopo la divisione mantennero il posto tra i teologi del Collegio della Sapienza in Roma, insieme ad altri 4 ordini mendicanti. Nel Regno delle due Sicilie essi ebbero sempre la precedenza sugli Osservanti e i Cappuccini. La conferma del Ministro generale fu sempre riservata al Papa e non al Ministro generale dell’Osservanza. Mentre Marcello da Cherso fu confermato dal Papa Leone X con il titolo di Maestro generale, i Papi Paolo IV (1555), Sisto V (1586), Clemente VIII (1601), Paolo V (1607) li confermarono sempre con il titolo di Ministro generale. Dall’Osservanza, lungo il secolo, nacquero altre famiglie francescane che si posero sotto la tutela dei Conventuali: i Pasqualiti (1517), i Cappuccini (1528), gli Alcantarini (1559). I Conventuali nel 1517 contavano 38 province religiose, circa 1300 conventi con 25/30.000 frati. Anche i frati Osservanti delle varie provenienze raggiungevano lo stesso numero. Il nostro Ordine restò nelle Basiliche prestigiose come Assisi, Padova, Bologna, Ferrara, Firenze, Praga, Palermo, Ravenna, Ss. Apostoli in Roma, Siena, I Frari di Venezia, ecc… Le chiese risplendevano per le solenni liturgie, per i grandi predicatori che venivano a spezzare la parola di Dio e per le opere di carità che si compivano tutti i giorni venendo incontro ai poveri che chiedevano l’elemosina. I conventi grandiosi, costruiti nel cuore dei centri abitati, erano fari di sapienza e luoghi di meditazione e raccoglimento spirituale, i refettori diventavano frequentemente i parlamenti delle Comunità civili perché lì c’era il guardiano che moderava le contese e regolava le discussioni, a volte accese e turbolente.

LA SOPPRESSIONE DI ALCUNE PROVINCE

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Il convento di Tolosa fu occupato da Francesco I con la scusa che era già riformato, quindi doveva passare ai frati Osservanti e non appartenere più ai Conventuali. L’Arcivescovo di Bordeaux scomunicò gli Osservanti, ma tramite le trame del re furono sciolti dalla censura. I Conventuali furono soppressi da tre province di Francia con sistema meno violento, ma con uguale prepotenza e risultati: Aquitania, Turenne, Francia Parigina (1522-1538), perdendo 144 conventi. Fummo costretti a cedere la Magna Domus Parisiensis agli Osservanti. In Francia restammo solo nelle province di Borgogna e Provenza con 64 conventi. In Portogallo il re Giovanni III tentò di sopprimere i Conventuali nel 1535, con l’appoggio di Paolo III; avrebbe voluto prendersi i grandi conventi dei frati per adibirli ad usi civici. Il generale dei frati Fedruzzi seppe far valere i suoi diritti: Il re insistette nei suoi progetti nel 1541 e nel 1544, ma trovò l’opposizione del Cardinale protettore dell’Ordine Rodolfo Pio Caprio. Il re raggiunse il suo scopo tra il 1566 e il 67, quando incontrò le stesse manie nel re di Spagna Filippo II. L’intento di tutti e due fu di accontentare gli Osservanti e di appropriarsi dei grandiosi edifici dei Conventuali sia per cederli agli Osservanti che per adibirli a opere pubbliche. Questa soppressione fu voluta dal Cardinale Ximenes che, al dire del Wadding si appropriò delle case dei Conventuali “Conventualium domos, arte, prece, vel pretio”. In Spagna fummo soppressi definitivamente nel 1566 perdendo quattro province: Portogallo, Spagna, Belgio-Fiandra e Lussemburgo. Ai frati fu impedito anche di recarsi missionari nel nuovo mondo. Quelli che andarono nel nuovo mondo dovettero portare l’abito degli Osservanti. Questa soppressione costrinse oltre 1000 frati, “non pauci senes erunt, pii et inculpati”, scrive il Navarro Martin di Azpilcueta che vive queste nefandezze, ad abbandonare l’Ordine, per non essere inseriti tra gli Osservanti, e molti si rifugiarono nel Marocco. La stessa cosa stava per accadere anche in Italia nel 1568-69 se Pio V non si fosse ricreduto, dietro le insistenze del Dottore Navarro Martin che pose in giuoco tutta la sua amicizia col Papa, e a causa delle pressioni degli altri amici dell’Ordine, e nel 1570 creò Cardinale il conventuale Felice Peretti. I Paesi Protestanti: a causa del protestantesimo, dopo il 1521, la Germania, l’Inghilterra, la Danimarca estromisero i Conventuali dai loro territori.In Germania l’Ordine aveva tre Province con grandi centri universitari come Erfurt, Colonia, Friburgo e Wurzbur; furono tutti chiusi.

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In Inghilterra c’era una Provincia con 61 conventi e due centri universitari Oxford e Cambridge: furono chiusi tra il 1534 e il 1539. In Scozia e in Irlanda subirono la stessa sorte negli anni 1540-1587. Anche dalla Danimarca ci fu l’espulsione dei Conventuali negli stessi anni.La Provincia di Terra Santa, fondata e assistita da Frate Elia negli anni 1217-1220, “la organizzò solidamente con chiese quali quelle di S. Giovanni d’Acri, Damietta e Costantinopoli”168. I frati minori, detti conventuali, assistettero questa terra di Gesù con grande premura e con il martirio di centinaia di religiosi a causa dei mussulmani ivi dimoranti. Nel 1434, il Padre Scolario francescano conventuale e maestro di Sacra teologia, fu costretto dal Papa Eugenio IV a rinunciare al superiorato di Terra Santa che fu affidato al P. Delfino da Venezia della famiglia degli Osservanti169 .In pratica, l’Ordine dei conventuali conservò il titolo di Provinciale per la Provincia di Terra Santa ancora per alcuni anni perché abbiamo alcuni illustri religiosi che furono Custodi di Terra Santa come Francesco Sansonne negli anni 1467 ed altri. Però sembra che dal 1439 la Terra Santa sia passata ufficialmente all’Osservanza. Però la provincia sia restata ai conventuali come spiega brillantemente Odoardi: “Il Minister Terrae Sanctae è un Ministro Provinciale effettivo. Amministra infatti, e con giurisdizione ordinaria, una delle tre Custodie della primitiva Provincia Terrae Sanctae, la Custodia di Cipro, costituente ancora la “Provincia Terrae Sanctae”, dove i francescani Conventuali continuarono la loro attività apostolica fino al 1570-71.” Nel giugno del 1571, il Capitolo generale di Camerino elesse Ministro Provinciale di Terra Santa frate Nicola da Serra S. Quirico E fu l’ultimo ministro effettivo di Terra Santa. Nel maggio del 1574 ritornò nel Capitolo di Siena, “per ripetere con vivo rimpianto ai vocali _Se nihil habere quod referat cum Turca immanissime Fratres trucidaverit, conventusque soli aequaverit-170. Con la conquista dell’isola da parte dei Turchi, avvenne il massacro dei frati e la soppressione della Provincia religiosa.

168 G. Odoardi, in “Miscellanea Francescana” 1932-1996- Frate Elia da Cortona -un geniale figlio di S. Francesco-, Cortona 1253-2003, Un geniale figlio di S. Francesco Frate Elia di Assisi nel settimo centenario della sua morte, p. 84.

169 G. Odoardi, In M.F. 45 (1945), p. 241; cfr Hundemann, Bul. Franc., Nova Series I, 63.

170 G. Odoardi, in M.F., La Custodia Francescana di Terra Santa nel VI centenario della sua costituzione (1342-1942), 45 (1945), p. 246.

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Sul finire del secolo XVI, le Province erano ridotte a 25, più 4 vicarie con circa 1000 conventi. I frati, stando al Tossignano, erano circa 20.000.

UN ORDINE VIVO

Anche se dovette soffrire maltrattamenti e umiliazioni, la famiglia Conventuale era viva. Scrive lo storico Osservante Lombardi: “L’Ordine conservò le sue peculiari caratteristiche, con una fedeltà e con una coerenza che costituiscono un vero titolo di onore e di gloria. Lo splendore medioevale dell’Ordine è stato da loro tramandato, custodito e difeso: anzi si vede tuttora visitando le chiese e i loro conventi”171. Lo stesso autore aggiunge che i Conventuali hanno lavorato “nella predicazione del Vangelo in mezzo al popolo cristiano e agli infedeli, nella difesa della Chiesa e del Papato contro gli attacchi degli eretici, nel promuovere opere di cultura e di carità. Le missioni in Africa e in Asia; le meravigliose chiese e basiliche erette un po’ dovunque in Italia e in Europa; i gloriosi studi Generali furono i primi centri di attività missionaria, pastorale e scientifica dell’Ordine”172. Nel Concilio di Trento i Conventuali parteciparono con 91 (teologi 79 e Padri 12), “superando tutti i teologi degli altri singoli istituti religiosi: si distinsero fra essi il Vescovo Cornelio Musso, i generali Bonaventura Pio da Costacciaro, Giulio Magnani, Antonio de’ Sapienti da Aosta, l’Arcivescovo Ottavio Preconio e il Vescovo Giovanni Jubì da Maiorca; fra i teologi, Giovanni Antonio Delfini, Francesco Visdomini, Antonio Posi, Felice Peretti (Sisto V), ecc…” (1545 – 1547; 1551 -52; 1562 -62)173 . Tra i predicatori merita di essere ricordato Francesco Visdomini, amico di S. Filippo Neri, che con il ricavato delle sue prediche riuscì a riscattare 7000 cristiani che erano caduti prigionieri e schiavi delle orde mussulmane. Assisi e Padova risplendevano per le molteplici attività culturali e liturgiche. Furono intraprese le attività missionarie in Asia, nelle Americhe, nelle Nuove Indie, nel Perù, ecc. Nacque il Collegio sistino a Roma, dono di Sisto V all’Ordine (18.12.1587), con il titolo di “Collegio S. Bonaventura” che conferiva “il dottorato” in Sacra Teologia. Lungo il secolo l’Ordine ebbe 66 Vescovi, quattro Cardinali (Clemente della Rovere, †1505; Marco

171 T. Lombardi, Il Francescanesimo, o. c., p.369.172 Idem p. 368.173 L. Di Fonzo, Frati Minori.. o. c., p. 245.

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Vigerio †1516; Felice Peretti †1590; Costanzo Torri, †1595) e due Papi, Giulio II e Sisto V. Furono fondate le nuove Province di Sardegna (1534)174, di Liegi o Belga (1558), delle Nuove Indie (1577), del Perù (1582-92). Lungo tutto il secolo XVI, i Ministri si impegnarono a visitare le Province, richiedendo una maggiore osservanza. Dopo il Concilio di Trento fu incrementato lo spirito della santa osservanza e i Generali furono i grandi protagonisti. Nel 1540 furono ripubblicate le costituzioni Alessandrine (edite la prima volta nel 1500 da Alessandro VI), e nel 1565 furono pubblicate le costituzioni Piane (approvate da Pio IV). Il Concilio di Trento, che aveva aperto i battenti il 13 dicembre 1545, si protrasse con alterne vicende, fino al 4 dicembre 1563, atto di chiusura. L’Ordine dei Minori Conventuali aveva partecipato a questa assise con il numero di 91 tra Vescovi e Teologi, inferiore solo di qualche individuo ai Domenicani, ma tra i presenti vi furono Vescovi di grande spessore culturale e santi come Cornelio Musso, definito “il braccio destro del Concilio” perché ottimo oratore, saggio moderatore e uomo di Dio175. Il Concilio, nella sessione XXV che fu l’ultima, aveva concesso agli istituti religiosi il permesso di poter possedere in quanto comunità, ma i singoli frati dovevano vivere nella povertà, “senza nulla di proprio”, ovvero la povertà assoluta. Il Ministro generale Camilli nel 1574 fece pubblicare a Milano “l’Esame sui precetti della Regola”, primo libro su questo argomento. Visitò le province dell’Ordine e richiamò i ministri ad avere almeno un convento in ogni provincia che fosse di stretta osservanza. Il Ministro generale Clemente Bontadosi continuò l’opera; sotto il suo generalato Sisto V istituì in Assisi “l’Arciconfraternita dei Cordigeri”, fu benevole verso l’Ordine francescano conventuale concedendo ad esso il Collegio S. Bonaventura per la laurea in Teologia dei migliori baccellieri e assegnò all’Ordine il consultore della Santa e Romana Inquisizione, ma approvò anche i Camilliani (1586), fondò una università a Graz e l’affidò ai Gesuiti (1588)176, ecc…

174 U. Zucca ., ( a cura), S. Francesco e i Francescani in Sardegna, Oristano 2001, p. 52s. 175 G. Odoardi, I Conventuali, o.c., 42; cfr G. Odoardi, Serie completa dei Padri e

Teologi Francescani Minori Conventuali al Concilio di Trento, in M.F. 47. 1947. 321-411. 176 G. B. Picotti, Sisto V in E. C., XI, 783.

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Il Ministro generale Pietro Antonio Camilli (1574-80) pubblicò “L’esame sui precetti della Regola”. Antonio Fera ottenne il cardinale protettore autonomo da quello degli Osservanti e Cappuccini. Filippo Gesualdi (1593-1602), oltre a visitare moltissimi conventi e tutte le province dell’Ordine, fondò a Padova “La Compuntiva” che era una scuola di spiritualità, frequentata anche da S. Francesco di Sales. C’era l’esposizione del Santissimo Sacramento per un’ora in ogni convento che voleva vivere questa devozione, con preghiere e opere di pietà177.

ALCUNI FRATI ILLUSTRI DEL SECOLO

Giuliano della Rovere, fu novizio tra i conventuali a Perugia, mentre stava studiando sulla sua vocazione, lo zio Sisto IV lo creava Cardinale. Nel conclave del 1503 fu eletto papa, prendendo il nome di Giulio II. Fu un grande papa del rinascimento, con tutti i difetti e i pregi del tempo. Tra le benemerenze, fu grande mecenate, amico di Buonarroti al quale affidò il “Giudizio universale” nella cappella sistina e al Bramante il gigantesco progetto della nuova basilica di S. Pietro Luca Pacioli, nato a Borgo S. Sepolcro nel 1445 e morto a Roma dopo 1514. A 20 anni già aveva scritto un trattatello di algebra per uno studente, figlio di un ricco mercante veneziano. Poco dopo il 1470 prese l’abito francescano e restò per diverso tempo accanto all’Alberti. Dal 1475 insegnò matematica a Perugia dove compose un trattato di matematica. Nel 1481

177 L. Di Fonzo, Gesualdi Filippo, in E. C. vol. VI, 222; cfr G. Odoardi ., Conventuali in DIP,Vol 3, 45. L’illustre storico scrive: “Il più pio e zelante dei generali del sec. XVI, Filippo Gesualdi (1593-1602) che già fondatore della Compuntiva a Padova: una scuola di spiritualità frequentata anche da S. Francesco di Sales, con gli scritti, le visite, l’esempio, i decreti ispirati alle riforme promosse da Clemente VIII, portò i suoi frati ad una vita comune più intensamente vissuta nell’osservanza della Regola e particolarmente della povertà, nello studio e nell’apostolato, nella preghiera che pose a base del rinnovamento spirituale dell’Ordine, prescrivendo tra l’altro, che ogni giorno, a turno, nei singoli conventi d’Italia, e nei giorni festivi in quelli esteri, si tenesse il Santissimo esposto all’adorazione dei frati e dei fedeli”.

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insegnò a Zara, poi nuovamente a Perugia, a Napoli e a Roma. Nel 1494 pubblicava a Venezia la sua opera principale “Summa de arithmetica, geometria, proporzioni et proporzionalità” di grande importanza nella storia della matematica. Nel 1496 scrisse il trattato “de Divina proporzione” al quale vi appose 60 illustrazio0ni lo stesso Leonardo. Negli anni seguenti ha inventato il primo libro mastro a doppia colonna di introito ed esito. Fu amico di Leonardo, di Piero della Francesca e di tutti i grandi maestri del suo tempo. E’ stimato uno dei massimi matematici di tutti i tempi. “La data della sua morte può essere fissata tra l’aprile e l’ottobre del 1517”178

Tra gli storici si ricorda Pietro Ridolfi da Tossignano che scrisse “Historia Ser. Religionis” nel 1586, dedicandola a Sisto V. E’ un libro serio e ricco di notizie importanti per gli storici odierni. Cornelio Musso, grande oratore e ottimo teologo, fu presidente del Concilio di Trento dove fu definito “ braccio destro del Concilio”. Antonio Trombetta da Padova, teologo e filosofo, resse con grande lode la cattedra di Metafisica nella patria università e fu ministro della sua provincia per molti anni.. Giulio II lo consacrò vescovo di Urbino nel 1511, ma nel 1514 vi rinunziò e morì in Padova, presso la Basilica del Santo, nel 1518. Bartolucci Salvatore, predicatore, filosofo e teologo scotista, nato in Assisi nella prima metà del ‘500 e morto a Padova nel 1603. Fu professore di metafisica in quella università per diversi anni. Chiamato al Concilio di Trento come predicatore ai Padri conciliari, pronunciò un applaudito discorso sul francescanesimo. Curò la ristampa di alcune opere di Scoto, apportandovi contributi personali di chiarificazione, molto apprezzati. Clemente della Rovere, frate quindi Vescovo di Mende in Francia nel 1483; Giulio II lo creò Cardinale nel 1503. Morì il 13 luglio 1504 a Roma. Nel 1476 il teologo e scrittore francescano P. Marco Vigerio da Savona era stato ordinato vescovo di Senigallia, dallo zio Sisto IV. Il 1 dicembre 1505, Giulio II lo creò Cardinale con il titolo di S. Maria in Trastevere e vescovo di Palestrina. Morì il 18 luglio 1516 e fu sepolto in S. Maria in Trastevere. Costanzo Torri “Buttafuoco” da Sarzano, fu frate conventuale, laureato in teologia, insegnò a Padova e Perugia, quindi alla Sapienza in Roma. Sisto V lo creò Cardinale nel 1586. Fu vescovo di Vercelli (1587-89), sede che

178 T. R. Castiglione, Luca Pacioli e Leonardo Da Vinci (A proposito del Manoscritto ginevrino “De Divina proporzione”) in M. F. 1954, 54 , p. 637- 650.

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rinunziò per dedicarsi pienamente agli impegni del Santo Uffizio, della Congregazione dei Religiosi e della stamperia Vaticana. Morì piamente in Roma il 31 dicembre 1595. Felice Peretti, Creato cardinale nel 1570 da Pio V, era stato ottimo predicatore e famoso teologo. Negli anni 1566-68 era stato Vicario generale dell’Ordine. Nel 1585 fu eletto Papa all’unanimità dai cardinali del sacro collegio e assunse il nome di Sisto V. E’ stato uno dei pontefici più grandi che abbia avuto la Chiesa cattolica. Lo storico della Chiesa e dei Papi, Pastor si rammarica perché la storia non gli abbia attribuito il titolo di Grande. Fu energico ed impavido contro i briganti e le bande malefiche che infestavano lo Stato pontificio. Realizzò opere grandiose in Roma. Riorganizzò la curia Romana in 15 Congregazioni, con divisione di competenze; portò il numero dei Cardinali a 70; ripristinò l’antico uso delle “Visite ad limina”, con l’obbligo di relazione sullo stato della Diocesi; pretese la residenza dei vescovi nelle diocesi, secondo il volere del Concilio di Trento. Sotto l’aspetto politico-amministrativo dello Stato pontificio, ridimensionò le pretese dei nobili, proibendo l’alienazione dei beni ecclesiastici e ogni infeudazione; sconfisse il banditismo; riorganizzò il servizio postale, imponendo una politica di forte risparmio. Costruì la Biblioteca Vaticana e la tipografia Vaticana; fece innalzare grandi obelischi nella città di Roma; fece costruire palazzi e strade: rese Roma una metropoli. Riformò la liturgia secondo i dettami del Concilio; fu un appassionato studioso di Sacra Scrittura e ne curò una nuova edizione. Morì il 29 agosto 1590.

MUSICI DELL’ORDINE

Durante il secolo XVI c’era stato il Concilio di Trento che tra l’altro rianimò le liturgie delle chiese e invitò i Musici a comporre Messe cantate e musiche sacre per guidare le liturgie. L’Ordine francescano conventuale che aveva avuto sempre il gusto e la predisposizione alle solennizzazioni delle liturgie, impegnò i suoi organisti e compositori a svolgere il loro ruolo conforme le disposizioni conciliari. Il più grande musico francescano del secolo fu Costanzo Porta (1505-1601). Fu direttore e spesso fondatore e rifondatore di Cappelle musicali in diverse città d’Italia. Fu direttore della Cappella della Cattedrale di Osimo dal 1552 al 1564. Diresse la Cappella del Santo a Padova nel 1565; in due periodi diresse la Metropolitana di

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Ravenna 1567-74,1579-85. Fu alla Santa Casa di Loreto tra il 1575 e il 78; ancora a Padova dal 1585 alla morte. Ha composto moltissima musica sacra e profana; fu maestro del contrappunto. Con il Palestrina promosse lo spirito della riforma del concilio in campo musicale. E’ uno dei massimi esponenti della musica di tutti i tempi. Le sue opere sono state pubblicate dal Messaggero di Padova in 25 volumi. Altro musico ragguardevole del secolo fu Rufino Bartolucci di Assisi (†1550), che diresse le Cappelle musicali di Assisi e di altre cattedrali e chiese francescane ed ha lasciato tanta musica sacra nell’archivio del Sacro Convento di cui una parte è stata pure pubblicata.

LA SANTITA’

Molti frati vissero con grande generosità la loro consacrazione al Signore e accettarono maltrattamenti, persecuzioni ed esilio per amore di Dio, soprattutto nelle zone dove governavano gli Spagnoli, i protestanti e i maomettani. Ma si possono citare alcune persone che vissero in santità:Girolamo Garibi nato a Nizza nel 1440, a vent’anni entrò tra i Conventuali. Nel 1485 ricoprì l’incarico di guardiano del convento di Nizza. Subito dopo fu chiamato a reggere il convento di Bologna e ricoprì anche l’incarico di Custode, con saggezza e prudenza. Fu ottimo oratore e amante della vita religiosa, povero e umile. Godette fama di santità già in vita. Dopo la morte avvenuta nel 1504 fu venerato come beato dell’Ordine. Taddeo da Osimo, uomo di grande spiritualità e attaccato alla povertà, morì a Roma nel 1585 ed è venerabile dell’Ordine.Antonio Brunel di Montpelier, fu martirizzato dagli ugonotti verso la fine del secolo XVI ed è venerato quale Servo di Dio dalla Chiesa. A questi possiamo aggiungere i beati dell’Ordine: Minio degli Ugurgeri da Siena (1510), Francesco Gori Cervini da Montepulciano (1513), Rodolfo figlio di Sigismondo imperatore di Germania (1507), Tommaso Corvi dalmata (1514), Alessio di Beuthen di Glatz in Silesia (1528), ecc…

L’ORGANIZZAZIONE DEI CAPPUCCINI

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Poiché il numero dei frati francescani di vita eremitica aumentava celermente, le Costituzioni del 1529 di stampo camaldolese, chiedevano una revisione di stile e di spirito più francescano. Nel 1535, quando fu convocato il capitolo generale, i frati erano già 700 e lavoravano in diverse regioni d’Italia. Il capitolo discusse nuove Costituzioni, ma le promulgò solo nell’anno seguente179. Esse hanno costituito la legislazione definitiva e, restando “sostanzialmente immutate, hanno assicurato la vita dell’Ordine per ben quattro secoli”. Posto come principio che si governa più guidati dallo Spirito che facendo osservare le leggi, si dànno alcune precisazioni importanti: rinuncia alle esenzioni, sottomissione a tutti i vescovi cattolici; osservanza del “testamento di S. Francesco; si impone “la barba e il cappuccio piramidale” a tutti i frati. Inoltre si ha la descrizione dei conventi con cellette molto piccole e umili che saranno di proprietà dei benefattori ai quali bisognerà chiedere l’autorizzazione per poterci vivere, ogni anno. Queste abitazioni dovevano essere costruite con tecniche costruttive povere, con uso di materiale non pregiato, ma deperibile; da queste descrizioni nacque “l’architettura cappuccina” che il frate veneto Antonio da Pordenone (1581-1628), codificò soprattutto nell’opera: “…In quanti modi si può edificare un monastero sia chiesa… conforme all’uso della nostra religione”. Accanto ai conventi, posti ad un miglio e mezzo dalle città o dai paesi, si richiedeva possibilmente, un orto e un boschetto dove costruire cappelle e “cellette, remote de la comune habitazione de’ frati”, dove si potevano ritirare gli amanti della preghiera e della solitudine. Ai frati è proibito ascoltare le confessioni dei secolari senza uno speciale permesso del vicario o del capitolo, ma è messa in evidenza la vocazione missionaria dell’istituto. La riforma Cappuccina, nata nelle Marche, aiutata dalle grandi protettrici Caterina Cibo e la contessa di Pescara Vittoria Colonna, molto presto arrivò a Roma, a Napoli, in Liguria, in Calabria e, con grande celerità, si spinse in tutte le regioni d’Italia. Nel 1608, Paolo V dichiarava che i frati Cappuccini erano “veri frati minori e figli di S. Francesco” e il 23 gennaio 1619, lo stesso Pontefice, con la bolla “Alias felicis recordationis”, riconosceva l’indipendenza dei Cappuccini dal generale dei Conventuali e quindi anche il loro ministro generale doveva essere considerato “legittimo successore di S. Francesco”180.

179 L. Iriarte, o. c. p. 267s; cfr Mariano D’Alatri, o. c. p. 24.180 L. Iriarte., o. c., p. 275.

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DALL’OSSERVANZA ESCE LA RIFORMA

Come già accennato, nel Capitolo provinciale celebrato nel convento di S. Bernardino in L’Aquila, il 26 dicembre 1518, alla presenza del Ministro generale P. Francesco Licheto da Brescia, furono approvati degli Statuti o Costituzioni molto rigide, “per riportare nella famiglia Osservante la primitiva purità della regola”. Il Licheto non pensava che questi statuti potessero portare ad una nuova divisione dell’Ordine, ma molto verosimilmente credeva che si potesse riformare dall’interno tutto l’Istituto Osservante. Il 6 gennaio 1519, lo stesso Ministro generale, presiedendo il Capitolo della Provincia Romana, presentò gli stessi Statuti che suscitarono entusiasmo e alcuni frati chiesero di poterli vivere, ritirandosi nel convento di Fontecolombo. Il generale accondiscese alla richiesta dei frati Stefano da Molina e Bernardino da Asti che abbracciarono una vita di maggiore povertà e penitenza. In pratica era sbocciata una nuova famiglia in seno all’Osservanza! Morto prematuramente il Ministro generale Licheto, fu eletto prima vicario generale, e dalla Pentecoste del 1521 fu Ministro generale il P. Paolo da Soncino che si mostrò severissimo contro tutti coloro che aspiravano ad una “vita riformata più austera”. Nel 1523, eletto Ministro generale Francesco de Angelis Quinones, che proveniva dalla “recollezione” del P. Giovanni da Puebla, si mostrò aperto verso i frati riformati ed invitò i provinciali ad essere molto comprensivi verso coloro che volevano la riforma dell’Ordine. Dettò ad essi “delle costituzioni e norme speciali”, sulla falsariga di quelle in vigore dei riformati di Spagna; tra l’altro si diceva in esse che i frati “potevano recitare l’ufficio in “medriocri tono”, si imponeva un silenzio perpetuo, era proibito ricevere offerte di denaro per le messe e per qualsiasi altro motivo. Inoltre vi erano elencati diversi digiuni ed esercizi penitenziali181. Al Quinones successe P. Paolo Pisotto che a causa delle sue infermità, “i suoi consiglieri e collaboratori e collaboratori”, approfittando delle sue infermità, commisero molti abusi e resero impossibile la vita dei frati riformati, fino al punto che “molti abbandonarono l’Osservanza e passarono ai Cappuccini”.

181 R. Sbardella, Riformati francescani, in DIP, VII (1983) 1725-6; cfr Chappini A., Profili di storia francescana in Abruzzo dal sec. XIV al XVI, in BDASP, L’Aquila 1926.

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Per porre un freno a questo esodo e un rimedio alle vessazioni contro i Riformati, Stefano Molino, Bernardino da Asti, Francesco da Iesi e Francesco Torniello esposero la questione a Clemente VII che, il 16 gennaio 1532 inviò loro la Bolla “In suprema militantis ecclesia” con cui dava l’avvio giuridico alla nuova famiglia Riformata182.In essa si ordinava ai Ministri generali e ai Provinciali dell’Osservanza di assegnare ai frati Riformati, in ogni Provincia quattro o cinque conventi, possibilmente lontano dai centri abitati. In seguito, se necessario, dare ad essi anche altri.Si permetteva ai frati Riformati di avere un loro stile di vita, diretta alla più stretta osservanza: abiti poveri e rattoppati, piedi nudi e senza zoccoli. I frati potevano eleggersi un custode provinciale con scadenza triennale. I frati Riformati avevano voce attiva e passiva nei Capitoli dell’Osservanza. Il Ministro provinciale aveva la facoltà di visitare i Riformati e correggere i frati impenitenti, di esaminare i novizi che sarebbero stati ricevuti nella Riforma. I Ministri generali e provinciali non potevano collocare nei conventi della Riforma i frati senza il consenso dei Riformati. Nonostante le norme precise della Bolla, le cose non migliorarono molto e gli Osservanti e i Riformati ebbero momenti di crisi. Dietro nuove disposizioni apostoliche, furono affidati ai Riformati alcuni conventi dell’Osservanza, con lento e progressivo sviluppo sino al pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), quando il Torniello chiese al Papa migliori garanzie per i Riformati. Con la Bolla “Cum illius vicem” del 3 giugno 1579, il Papa dette una precisa distinzione tra Osservanti e Riformati. Tra l’altro, decretò che le custodie erano esentate dalla soggezione all’autorità provinciale e si concedeva ai capitoli custodiali l’autorità propria dei ministri. Le Custodie erano stimate come Province. I provinciali Osservanti erano obbligati a cedere i conventi che i Riformati richiedevano, purchè vi avessero collocato non meno di dieci frati; i custodi e i guardiani della Riforma avevano il diritto di prendere parte ai Capitoli dell’Osservanza, con voce attiva. Con questa Bolla si stava ripetendo ciò che era successo dopo la pubblicazione della Bolla di Eugenio IV, “Ut sacra ordinis minorum religio” dell’11 gennaio 1446, con la quale si posero le premesse per la divisione degli Osservanti dai Conventuali. Qui si apre la porta della scissione dei Riformati dagli Osservanti.

182 Idem, o. c., 1726.

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I Pontefici ebbero sempre un occhio di comprensione verso la Riforma : Sisto V, nel 1585 concesse ai Riformati la facoltà di ricevere novizi; Clemente VIII (1592-1605), li difese e li fece vivere in serenità, facendoli progredire; Paolo V (1606-1621), confermò i privilegi dei precedenti pontefici. Poiché le questioni e i motivi di dissidio tra gli Osservanti e i Riformati non mancavano, Urbano VIII, che aveva grande stima per questi, il 12 maggio 1639, con Motu proprio “Iniuncti nobis”, stabilì che le custodie dei Riformati, con almeno 12 conventi, erano erette a Province, distinte da quelle Osservanti, a fine di ristabilire la pace tra le due famiglie183. Le provincie di nuova istituzione mantenevano la stesso denominazione della Province Osservanti con l’aggiunta che erano Riformate. Avevano il Procuratore generale che nei Capitoli, nelle congregazioni e nei definitori generali seguiva il Procuratore generale e il Commissario generale dell’Osservanza. Con questo Motu proprio, nasceva ufficialmente e giuridicamente una nuova famiglia francescana dal seno dell’Osservanza che “infiammata dallo Spirito Santo, da vera figlia di Francesco, bramò osservare la regola in tutta la sua purità”.

I CONVENTUALI NEL SECOLO XVII

I Conventuali avevano la coscienza che per servire bene la Chiesa bisognava essere persone culturalmente preparate e spiritualmente aperte alla grazia. “La preparazione culturale non è stata soltanto una spinta all’azione, ma forse la prima delle occupazioni al servizio della Chiesa”. Dal pontificato di Sisto V in poi, questi frati sono stati sempre Consultori ufficiali del Santo Ufficio e della Congregazione dei Riti. Lo stesso Pontefice, nel 1587 fondò per essi il Collegio S. Bonaventura in Roma. Il grande generale Giacomo Montanari nel 1619 riorganizzò gli studi, ristrutturando la “Reformatio studiorum” dell’Ordine nel quale c’erano tre tipi di scuola: i seminari, i ginnasi e i collegi. Gli alunni erano classificati in iniziati se erano approvati nel corso di logica; studenti se erano approvati nei corsi di fisica e metafisica; baccalaureati se erano approvati nei corsi di sentenze e canoni; maestri se, terminati gli studi in un collegio e difese le tesi pubbliche, erano dichiarati tali dai Ministri generali.

183 Idem, 1734

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Furono riviste le costituzioni dell’Ordine e approvate definitivamente nel 1628, passando alla storia come Costituzioni urbaniane perché approvate da Urbano VIII. In esse si davano disposizioni molto serie sulla povertà e la vita dei frati. Per ciò che si riferiva agli studi, si diceva: “Raccomandiamo fermamente e ordiniamo che i nostri religiosi, dandosi allo studio, quanto più possono procurino e si sforzino con ogni impegno di pubblicare opere che servano alla maggior gloria di Dio, all’esaltazione della Chiesa e onore del nostro Ordine”(c. V, tit. 7). I Ministri generali del secolo, tutti di grande spessore culturale e molti anche di santa vita come il Ven. Filippo Gesualdi (1593-1602), il Ven. Giacomo Montanari (1612-23), Giovanni Battista Berardicelli (1632-47), ecc…, fecero la visita a tutte le province dell’Ordine per ristabilire la esatta disciplina e l’osservanza della regola nel modo più aderente possibile allo spirito di S. Francesco. Si ha una grande ripresa degli studi teologici e filosofici bonaventuriano- scotistici con Angelo Volpe, che fu anche un grande difensore del dogma dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria, Bonaventura Belluti, Bartolomeo Mastrio che fu definito il “principe degli scotisti”; fu alunno di P. Giuseppe da Trapani negli anni 1623-25 nello studio di S. Lorenzo a Napoli dove questi era promotore della teoria dei “decreti concomitanti” nella questione della libertà e della grazia, fondandosi sempre più sulla dottrina di Scoto. Il Mastrio, consacrato sacerdote, fu reggente degli studi di Cesena, Perugia, Padova e grande quaresimalista in diverse città d’Italia. Con Belluti scrisse l’opera “Philosophiae ad mentem Scoti cursus integer”, in cinque volumi. Morì a Meldola, in Romagna nel 1673.

Al Montanari si deve la rinascita delle missioni in Oriente dopo la nascita di Propaganda fide (1622). Nel Capitolo generale del 1635, nel quale fu eletto Ministro Berardicelli, le prime decisioni “furono quelle riguardanti le nostre missioni. Il Capitolo, dopo aver raccomandato che in Oriente e nelle isole della Grecia non si mandassero se non i più capaci e meglio preparati e che nella Provincia della Dalmazia si ricevessero -non solum Illyrici, sed Albani, Macedone set alii ax finitimis regionibus-, ordinava:- In Provinciis similiter Russiate et Lituaniae, Hungariae, et Germaniae et his contermine recipiantur ad religionem adolescentes paribus ingenii et indolis ornati dotibus, sive sine nativi sive sive ex vicinis regionibus, etiam Moscovitae et Circassi, in propriisque earum Provinciarum vel proximarum Novitiatibus

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et Gymnasiis erudiantur et instituantur….”184. I primi missionari Conventuali, dopo la nascita di “Propaganda Fidae”, partirono già nel 1623 e, nell’articolo del Morariu troviamo decine di missionari italiani ed europei in Russia e Lituania, in Transilvania, Moldavia e Valacchia, in Ungheria, in Slesia, nella Provincia d’Argentina, nella Provincia di Liegi e in Austria, nei regni di Scozia e Inghilterra, nelle Isole di Zante, Cefalonia e Corfù, in Mesopotamia, ecc…185 . Nacquero soprattutto i Collegi Missionari in seno all’Ordine: ad Assisi era già nato dal 1612; nello studio di S. Bonaventura e a Malta abbiamo i collegi missionari nel 1618; a Cracovia nel 1622 e a Leopoli nel 1628, anno nel quale furono pubblicate le nuove “Costituzioni Urbaniane”, per le quali, molto si era impegnato il generale Montanari e ora si richiedeva un nuovo energico sforzo dai Ministri per farle conoscere ed amare da tutti i frati. Per questa nobile attività offrì il suo contributo anche il P. Silvetro Bartolucci che nel 1615 pubblicò un manuale di formazione e interpretazione della Regola dal titolo “Minoritica Fratrum Minorum Conventualium”186. Sin dal 1517 l’incarico di Ministro generale aveva la durata di 6 anni e il provinciale di 3 anni.

Il Concilio di Trento aveva dato una nuova spinta apostolica anche agli istituti religiosi, e nel nostro Ordine si ebbe una rinnovata attività apostolica. Tra le nuove Province che nacquero, vanno ricordate “S. Rocco in Francia (1625), Stiria e Carinzia in Austria, Lituania nel Baltico nel (1683). Furono riaperte e rinvigorite le missioni di Cefalù (1627), di Russia”, che avvenne con il breve apostolico “Cum sicut nobis” del pontefice Urbano VIII del 13 ottobre 1624. Dopo diverse tergiversazioni e chiarificazioni in seno alla provincia madre, nel 1686 si giunse alla erezione anche della provincia di Lituania. Anche Zante, Corfù (1640), Mesopotamia (1641), furono incentivate e rese province. Ci fu il tentativo “del Congo (c.1659)”, la delegazione dell’arcivescovo Francesco Antonio Frascella da S. Felice187,

184 B. Morariu, Le Missioni dei frati minori conventuali nella prima metà del sec. XVII ( da un documento ufficiale inedito a. 1657), in M. F., 46, fas. I-IV, pp. 294s.

185 Idem, o. c., pp. 294-314.186 G. Odoardi, I frati minori… o. c., p. 130 187 P. Francesco Antonio Frascella fu alunno del Collegio S. Bonaventura; “nel 1631

andò missionario a Costantinopoli, poi in Valacchia e Moldavia. Nel 1636 fu fatto Provinciale di Transilvania e l’anno seguente fu chiamato a Roma segretamente; fu consacrato arcivescovo di Mira il 30 novembre 1637 e poi nominato e inviato come Amministratore Apostolico nel Giappone, per salvale quella cristianità e per liberare quella Chiesa dal patronato regio. Dopo un lungo viaggio per terra pieno di difficoltà e peripezie,

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inviato dalla Santa Sede come Amministratore Apostolico in Giappone, trovava le porte chiuse, ma fermatosi nelle Indie portoghesi a Goa (1637-53), evangelizzò e fondò diverse stazioni cattoliche fino a Ceylon, “mentre per il Medio Oriente, a Costantinopoli, per tutto il secolo, Propaganda fide inviava vicari patriarcali conventuali”188 .

Glorie dell'Ordine durante il secolo: L'Ordine ebbe due cardinali: Felice Centini da Ascoli Piceno, creato cardinale da Paolo V nel 1611, dopo aver espletato il compito di Procuratore generale dell'Ordine. Partecipò al processo contro Galilei nel 1633.Morì a Macerata nel 1641, amareggiato per l'esecuzione del nipote Giacinto Centini, accusato di voler la morte del Papa Urbano VIII per mezzo di negromanzia, e fu sepolto nella nostra chiesa di S. Francesco. Oggi le sue ossa si trovano nella Cattedrale della città.

Lorenzo Brancati da Lauria, uomo dottissimo, insegnò teologia e filosofia in vari studi dell’Ordine, alla Sapienza di Roma, dove fu anche consultore del S. Ufficio, prefetto del collegio di Propaganda Fide e della Biblioteca Vaticana. Innocenzo XI lo creò cardinale nel 1681. Mecenate e affezionatissimo all’ordine, restaurò la Basilica dei SS. XII Apostoli. Tra gli innumerevoli scritti va ricordato “Commentaria in III et IV librum sententiarum Ioannis Duns Scoti”, in otto volumi, “dove le dissertazioni sulle grazie gratis datae, sui miracoli e specialmente sulla virtù eroica rendono ancora utile servizio nelle cause di beatificazione”189. Morì ai SS. Apostoli nel 1693.

Angelo Petricca da Sonnino, dottore in teologia, fu inviato quale vicario patriarcale di Costantinopoli e prefetto apostolico di Moldavia e Valacchia il 30 gennaio 1638 dove “ottenne la conversione della città di Campalung all’obbedienza al Papa; combattè decisamente l’unione tra Greci e Calvinisti promossa dal Patriarca scismatico Cirillo Lucari, e riuscì a condurre all’unione con Roma il successore di questi, Cirillo Vera (1638)”190 . Morì il 10 dicembre 1673 a Roma.

arrivò a Goa nelle Indie il 24 ottobre 1640. Non potendo entrare nel Giappone a causa delle atroci persecuzioni ed avendo i Giapponesi chiuso tutte le porte agli Europei, si fermò a Goa dove sviluppò un profondo apostolato, convertì un Re indiano,Vigiapala, dell’isola di Ceylon e lo battezzò. Si fermò a Goa fino alla primavera del 1653, quando fece ritorno in Europa, quando fece ritorno in Europa. Arrivato a Parigi, per cause sconosciute cessò di vivsr lo stesso anno”. B. Morariu, o. c., p. 307, nota 41.

188 G. Odoardi, I Frati Minori, o. c., p. 131189 C. Testore, Lorenzo Brancati in E.C., III, 23.190 G. Edoardo, in E. C., IX, 1300; cfr Morariu, o. c., p. 299, n. 11.

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I FRATI MORTI IN CONCETTO DI SANTITA’

Scrive giustamente Iriarte: “Se le province conventuali offrivano un clima propizio al fiorire delle più alte virtù claustrali, non lo offrivano di meno per la formazione di grandi personalità: Buona prova ne è il fatto che i due papi francescani dell’età moderna erano conventuali: Sisto V e Clemente XIV”191 .

Durante questo secolo ci furono molti frati che vissero la regola nella sua integrità, servirono con discrezione e gioia la Chiesa con la loro intelligenza e col cuore dei figli devoti ed ebbero il coraggio di offrire la vita per il Signore, testimoniando la loro fedeltà a Cristo e l’attaccamento alla Chiesa e a Francesco.

Ricordiamo soltanto alcuni: Francesco Zirani192 da Sassari ucciso in Algeri il l-1-1603. Si offriva ai pirati per liberare i prigionieri. Ven. Filippo Gesualdi da Castrovillari, generale dell'Ordine, uomo di santa vita.

Ven. Girolamo Pallantieri da Castelbolognese, uomo di grande cultura e santità; morì vescovo santo. Ven. Illuminato Rosengardt morì giovanissimo nel 1632 e fu definito il Giovanni Bergmans della famiglia francescana.

Ven. Bartolomeo Agricola, tedesco, convertito dal protestantesimo, visse diversi anni a Tagliacozzo, poi andò nelle Puglie e a Napoli dove assistette gli incurabili. Fu l’uomo della gioia: andava in giro portando la croce e la tromba. Essendo buon musicista, dilettava le persone al suono della tromba, quindi parlava ad esse sulla passione del Signore. Morì santamente nel 1621 ed è sepolto nella basilica di S. Lorenzo a Napoli.

Ven. Giorgio Galan parroco in Moldavia. Morì martire nel 1651. Ven. Francesco Gessi da Borghetto, uomo santo, morì nel 1673. Ven. Domenico Girardelli da Muro Lucano morto nel 1683.

Su tutti svetta Giuseppe Desi da Copertino, il Santo dei voli, dopo una vita difficile, ma ricca di amore, di gioia e di estasi, tramite le quali poteva

191 L. Iriarte, o.c., p.257.192 G. Simbula, P. Francesco Zirano 400° anniversario della morte (Lettera ai frati, ai

gruppi ecclesiali e ai fedeli delle nostre chiese, Orestano 2003, pp. 12-29..

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colloquiare direttamente con il Signore, morì in Osimo nel 1663193 . E’ una delle anime mistiche più eccelse della Chiesa cattolica di tutti i tempi.

LA SOPPRESSIONE INNOCENZIANA

Nella sessione XXV del Concilio di Trento si era parlato della riforma degli ordini religiosi, partendo da nuove basi giuridiche, soprattutto per l’ammissione dei candidati, per la formazione dei novizi, per gli studi, per la clausura, ecc. Il Concilio invitò i superiori maggiori a vigilare sulla più stretta osservanza delle regole e dei consigli evangelici. I Pontefici del post-concilio richiamarono ripetute volte i superiori affinché visitassero tutte le comunità e riformassero quelle fraternità dove si notavano discrepanze tra vangelo e vita, tra regole e comportamenti pratici dei religiosi. I richiami dei pontefici Clemente VIII, Gregorio XV, Paolo V e Urbano VIII stavano producendo effetti positivi in tutti gli ordini religiosi, però chi agì in forma energica e spropositata fu Innocenzo X. Questi era grande giurista, ma poco dedito alla vita spirituale, quindi identificò la vita religiosa con la “perfetta osservanza” o “ regolare disciplina”. Per lui, era buon religioso colui che “adempiva gli atti comuni”; il resto non interessava. Tale mentalità fu a detrimento dello spirito evangelico che invita il religioso a conformarsi a Cristo.

Innocenzo X, misurando uomini e cose con il metro giuridico, non fu strumento di riforma della vita consacrata, né padre restauratore delle beatitudini evangeliche tra i religiosi, ma spinto da alcuni, bramosi di spogliare i monasteri per arricchire se stessi e i propri amici, finì, forse senza volerlo, con l'affossare gli istituti di vita consacrata, disgustare i religiosi e incrementare l’ingordigia di molti sempre pronti a bearsi sulle sciagure altrui. Spinto dal card. Fagnani, nel marzo del 1649, istituì la “Congregazione sullo stato dei religiosi” che si riuniva mensilmente a porte chiuse, per discutere sul modo come portare avanti la riforma degli istituti religiosi; però quello che si diceva in Congregazione trapelava anche fuori. Si cominciò a sussurrare che la Congregazione stesse discutendo sui piccoli conventi nei quali non sarebbe stata possibile la vita regolare voluta dalla legislazione ecclesiastica; che i religiosi erano a discapito del clero secolare

193G. Parisciani, S. Giuseppe da Copertino, Osimo 1993, 9-92; cfr B. Popolizio , Vita di S. Giuseppe da Copertino, Copertino 1979; B. Popolizio, Il Santo che volava, Bari 1955.

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e che sarebbe stato un bene sopprimere alcuni ordini e conventi, e con i loro beni aiutare i seminari diocesani e le prelature ecclesiastiche.

Si vociferava che qualche governo avrebbe sostenuto la soppressione dei religiosi per avere più soldati a sua disposizione. Non ultimo, ridimensionate le famiglie religiose, si potevano incrementare le parrocchie, i parroci, i canonicati e i benefici per il clero secolare.

Intanto fu apprestata la costituzione apostolica “Inter caetera” che fu pubblicata il 17 dicembre 1649, con la quale “si imponeva a tutti i superiori generali, provinciali e locali di ogni ordine mendicante e di qualsiasi altra congregazione religiosa l'invio di una relazione descrivente lo stato patrimoniale dei conventi e monasteri loro soggetti per accertarne la reale consistenza e giudicare se veramente in base al reddito e alle elemosine usuali era possibile mantenervi il numero dei religiosi stimato necessario per il culto divino e per l'osservanza regolare propria di ciascuno Istituto”. Si era partiti con idee riformistiche contro il rilassamento morale e spirituale degli Istituti e si era finito nel piano prettamente economico!

Dalle domande che si ponevano ai redattori delle relazioni non si nominava mai l'aspetto spirituale o l'osservanza delle regole, ma era tutto imperniato sul fattore economico.

Decretato che la comunità regolare è formata da dodici religiosi, tutti i conventi con un numero inferiore di frati erano ritenuti “luoghi di non perfetta osservanza”. Durante i mesi assegnati per redigere e consegnare le relazioni e nei mesi riservati per esaminarle da parte della Congregazione, si proibì agli ordini mendicanti di accogliere nuovi novizi e di far emettere la professione a quelli che si trovavano nel noviziato.

In base alle relazioni, la Congregazione aveva catalogato i conventi in tre classi. Facevano parte della prima classe le comunità composte da almeno dodici religiosi. Erano di seconda classe le comunità che avevano da sei a undici religiosi. Si ritenevano di terza classe le comunità con meno di sei frati.

Stabilito come principio che i piccoli conventi, non potendo accogliere dodici frati, erano luoghi incapaci di riforma quindi rilassati, non perché vi fossero vizi e pubblici peccati nelle persone, ma "ex natura loci", fu deciso che fossero chiusi.

Il 15 ottobre 1652 con la pubblicazione della bolla "Instaurandae regularis disciplinae" si davano precise indicazioni sulla soppressione dei conventi ed i superiori generali degli ordini mendicanti ebbero una reazione

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nei confronti della bolla ed espressero le loro posizioni molto critiche verso la S. Sede, terminando la loro nota comune con queste brucianti parole: “Essendo più che certo che se o il luogo o il numero concorressero alla bontà della vita et osservanza del loro debito ne' regolari, né gli angeli si sarebbero ribellati, né Giuda avrebbe tradito e finalmente più che vero il detto di Seneca che nulla res est tam sancta quae suum non habet sacrilegium”.

Molti religiosi espulsi dai conventini soppressi, non trovando accoglienza nei grandi conventi sovraccarichi di frati, furono costretti a menare vita randagia, con grande sofferenza morale dei singoli e degli interi istituti. Vero motivo della soppressione, mai chiaramente detto, fu quello di ridurre i religiosi e quello di fiaccare la loro presenza attiva e necessaria nel campo dell'apostolato. In effetti, tale soppressione non migliorò la vita dei frati, ma impose agli istituti di accogliere un numero sempre più limitato di novizi e proibì l'apertura di nuove case religiose.

I piccoli conventi avevano un ruolo determinante in seno agli ordini religiosi: essi erano vantaggiosi per gli abitanti dei villaggi e dei piccoli paesi essendo gli unici luoghi di culto e l’unica voce per quelle popolazioni. Una volta soppressi questi serbatoi di spiritualità, si sarebbero affossati ancora di più i poveri abitanti. I piccoli conventi erano utili come luoghi di ritiri spirituali per i religiosi più fervorosi; inoltre, questi romitori erano necessari ai frati che viaggiavano, altrimenti avrebbero dovuto fermarsi nei luoghi pubblici (alberghi, osterie e case private), sempre moralmente molto pericolosi per i religiosi.

I superiori maggiori, con un documento unitario, inviato alla Congregazione, spiegarono l'importanza che avevano i conventini in quanto “unici centri di culto nei villaggi e nei paesi”, come luoghi “utilissimi per la cura delle anime e in particolare per la confessione dei fedeli”, avamposti “contro le eresie” ecc. Non furono ascoltati.

Il 15 ottobre 1652 fu pubblicata la bolla “lnstaurandae regularis disciplinae” con la quale si imponeva ai superiori, “entro il limite massimo di sei mesi dal momento in cui si riceveva l'elenco dei conventi da sopprimere”, di mettere in esecuzione le decisioni della Congregazione, approvate dal Papa. Concludeva la bolla che qualora gli ordini religiosi avessero voluto fondare nuovi conventi, era “necessario ottenere il permesso speciale dalla S. Sede”.

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I beni dei conventi soppressi furono incamerati dai Vescovi per il sostentamento dei seminari e per incrementare le prebende.

La chiusura dei conventini creò malcontento generale non solo tra i religiosi, ma soprattutto nella popolazione che amava i frati ed era beneficata da questi, tanto che subito molti signorotti, responsabili civili e diversi religiosi si impegnarono, o direttamente, o tramite i procuratori generali degli ordini, a far richiesta alla Santa Sede per l'immediata riapertura dei conventi. Anche alcuni Vescovi, sensibili all'utilità pastorale e spirituale dei religiosi nelle loro diocesi, supplicarono il papa per la riapertura dei conventini nelle loro diocesi.

Le motivazioni di tali riaperture si riassumevano in tre categorie: la situazione economica dei conventini era più che florida; i religiosi erano più che utili ai fedeli; ed infine, il fatto che il convento era l'unico centro spirituale e culturale della zona.

La S. Sede non poté chiudere gli occhi davanti a tante richieste e suppliche che salivano dal popolo e il 10 febbraio 1654 emanava il Decreto “Ut in parvis” con il quale riesaminava la precedente decisione. Con questo documento si stabiliva che i conventini nei quali vivevano almeno sei religiosi non andavano soppressi e quelli che lo erano stati potevano essere riaperti; essi sarebbero rimasti sotto la giurisdizione e la correzione dell'ordinario del luogo fin quando non raggiungevano il numero di dodici religiosi194.

CONTENUTO DELLE RELAZIONI DA INVIARE ALLA CONGREGAZIONE

La commissione cardinalizia che stese il Breve Apostolico " Inter caeteras", chiese ai superiori degli ordini mendicanti le relazioni di tutti i conventi che dovevano essere presentate alla Congregazione entro quattro mesi.

Le relazioni non dovevano trattare l'aspetto morale o disciplinare dei membri delle comunità ma dovevano essere “unicamente e solo dettate per avere informazioni di natura strettamente economica (entrate, uscite del bilancio conventuale, censi, enfiteusi, benefici, ecc.)”.

194 E. Boaga, La soppressione innocenziana dei piccoli comventi in Italia, Roma 1971 pp. 20-30ss. cfr E. Boaga , La soppressione innocenziana, in DIP VIII (1988), 1815. G. Odoardi , in Frati Minori Conventuali, pp. 131-133

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La stragrande maggioranza dei conventi, grandi e piccoli, godevano buona fama ed erano ritenuti dalla popolazione “luoghi di vita santa e di regolare osservanza”.

Fu proprio questa grande stima che godevano i mendicanti che spinse la Congregazione a redigere una “formula” della relazione da compilare.

La “formula” prevedeva due parti: nella prima parte della relazione si chiedeva, dopo l'indicazione del titolo e della località dove si trovava il convento, un sommario della storia dell’edificio e quando era diventata sede della comunità religiosa; quindi occorreva una descrizione accurata dei locali conventuali e della chiesa annessa, con l'esatta composizione della comunità.

Dopo questa parte importante sotto l'aspetto storico si passava alla seconda parte prettamente economica.

In questa seconda parte si richiedeva l’enumerazione esatta dei possedimenti dei terreni, delle masserie, dei censi ed enfiteusi, degli animali e case che possedeva il convento, ecc.

Per ultimo si imponeva la descrizione degli obblighi delle messe perpetue e manuali oltre ai legati, ecc.

Le relazioni dovevano terminare con il giuramento del superiore e di due frati della comunità a ciò incaricati, sulla veridicità delle cose dette.

I frati minori conventuali d’Italia, su 907 conventi che avevano sul territorio, furono costretti a chiuderne bel 457; fu una vera grandine a ciel sereno che mise a dura prova l’Ordine. Dopo lamentele e richieste del popolo, dei vescovi, dei Signori locali e del Procuratore dell’Ordine, con la pubblicazione del decreto “ Ut in parvis”, potettero essere riaperti 215 conventi, anche se sotto la giurisdizione dei vescovi, mentre 242 furono chiusi per sempre.

Dal Righini si apprende che l’Ordine dei conventuali, nel 1654, quindi dopo la soppressione, “conservava in Italia e isole 15 province e 665 conventi; dalle statistiche più generali del Franchini risulta che, nel 1682, tutto l’Ordine contava 31 province, 2 missioni, 950 conventi, 15.000 religiosi”195.

195 F. A., Righini, Tabulae topographicae omnium provinciarum, etc…, Pars Prima 1771, p. 30.

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CONSEGUENZE DELLA SOPPRESSIONE INNOCENZIANA

Gli effetti della soppressione si fecero sentire potentemente in tutti gli istituti religiosi perché tramite le disposizioni rigide emanate dalla Santa Sede, erano costretti a monacizzarsi. Con tali disposizioni si rendeva difficile l’apertura di nuove case; era resa complicata anche l’accettazione di nuove vocazioni religiose in quanto c’era un limite ben preciso per ogni istituto; i conventi ridondavano di frati che, a volte, non sapevano cosa fare. Il numero esorbitante di frati incrementò la solennità delle liturgie e alla recita dell’ufficio divino con maggior calma e serenità. I superiori vigilarono con cura affinché i frati non si dessero all’ozio e alla mormorazione. Durante questo periodo, più che negli altri, troviamo grandi musicisti, ottimi liturgisti e valenti predicatori. In quasi tutte le chiese conventuali troviamo dei meravigliosi organi che allietano le liturgie.

Oltre alla soppressione innocenziana, il secolo XVII presentò diverse crisi agli ordini religiosi e alla Chiesa. Al nostro Ordine fu presa dai turchi la chiesa di S. Francesco in Costantinopoli e fu trasformata in moschea (1697). Si ebbero diverse difficoltà in Francia dove si ebbero lotte religiose provocate dagli ugonotti ed anche dai gallicani.

Diversi frati furono uccisi dagli ugonotti e da altri eretici in diverse regioni d’Europa: Antonio Venzercki, Casimiro Baczniescki, Barionio di Monterotondo, frate Angelo da Breda, uccisi per la fede; fra Francesco Grabia, polacco, Parroco e martire (1690); Costantino Kublowirth della Carinzia, ucciso dai turchi (1683); fra Francesco Stolz ungherese, ucciso nel 1681; P. Ladislao Leoni, ungherese, martirizzato nel 1673; fra Stefano Iglòi martirizzato dai calvinisti a Rad il 6 novembre 1636.

SECOLO XVIII

Il secolo XVII era stato di accomodamento alle decisioni del Concilio di Trento, quindi lo si era sopportato più che amato; lo si era vissuto come una imposizione oppressiva, più che come verità liberante. Dovunque si era cercato di inculcare i principi dell'obbedienza al Papa, ma senza spiegarla e farla amare.

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Nel secolo seguente si ha una spudorata ripulsa di ogni valore morale e spirituale, incarnando e vivendo in uno stato di naturalismo e il razionalismo.

Il protestantesimo, respinto nel mondo latino, vi penetra subdolamente, sotto forma diversa; la filosofia illuministica entra in ogni ceto di persone “colte”; il giansenismo si fa strada sotto forma di pietà; il giurisdizionalismo in campo politico diventa un diritto dei Signori del potere; la massoneria è regola di vita per coloro che aspiravano a farsi dichiarare persone libere. Tutto era rivolto contro il cristianesimo, contro gli ecclesiastici e in ultima analisi contro il Papa.

Gli Ordini religiosi che, pur litigando tra loro, erano sempre pronti a difendere il Papa, furono il primo bersaglio dei governanti e lentamente, ma inesorabilmente, furono schiacciati da questi; alla fine saranno spazzati via anch'essi dalla rivoluzione francese.

Tutti gli istituti religiosi furono segregati da Roma con il pretesto che dovevano dipendere non dal generale dell’Istituto, ma dal vescovo diocesano; così stabilivano i governi giurisdizionalisti. Anche i francescani furono segregati da Roma con la scusa che gli istituti religiosi dovevano dipendere dal vescovo e non dal Generale. In pratica questa disposizione dimostrava che c’era una lotta sorda, subdola e ipocrita contro il Papa, e i religiosi erano coloro che difendevano apertamente i diritti del Romano Pontefice.

I CONVENTUALI DURANTE IL SECOLOPer i Conventuali, il secolo si apriva con la nobile figura del generale

Vincenzo Coronelli scrittore, geografo, cartografo, costruttore di globi e idraulico. Fu uno degli ultimi grandi spiriti enciclopedici e uomo di primati, con l'accademia degli Argonauti (1684) che è la più antica società geografica del mondo; l'Atlante veneto in 13 volumi nel 1690-08; la Biblioteca universale con i primi 7 volumi (1701-09), che è la prima enciclopedia in ordine alfabetico e in lingua moderna. Fu eletto Generale nel 1701 e subito inviò una lettera pastorale ai frati, quindi pubblicò il Manuale della Regola (1701); nel 1702 furono ripubblicate le costituzioni urbane. Fu zelante nel richiamare i frati all'osservanza, ma l’invidia e la gelosia di

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molti, ben presto lo costrinsero a dimettersi, anche se conservò il titolo di Ministro generale fino al 1707196.

Fu questo un secolo di grande splendore scientifico per l’Ordine, soprattutto per merito di Sebastiano Dupasquier (1720), autore di una “Summa philisophiae scolasticae” in otto volumi, edita più volte e “Della sufficienza dell’attribuzione nel sacramento della penitenza”; Felice Antonio Mattei da Pisa (1764), scrisse “Sardinia sacra, seu de episcopis sardis historia nunc primum confecta”; Giuseppe Platina, valente teologo e oratore, insegnò a Padova e a Bologna e scrisse: “Praeclares theologicae, partes duae. L’arte oratoria. Gli stati oratori. Dell’eloquenza spettante alle figure delle parole. Del movimento degli affetti; ecc…”.

Al rinnovamento degli studi, lungo il secolo, collaborarono soprattutto i generali Borghesi (1713-19), Baldrati (1725-31), Costanzo (1753-59).

I generali Carlucci e Calvi pensarono alle missioni. Carlucci ricostruì il collegio missionario di Assisi (1709).

Il Calvi trasferì il collegio missionario a Roma nel 1748 e creò il procuratore delle missioni e il primo fu Lorenzo Ganganelli (1747-59).

Furono costituite nuove province: Torino (1726), Cracovia (1732), Slesia (1754).

LE PROVINCE DI FRANCIAIn Francia i Conventuali nel secolo XVI restarono con due Province: La

Provenza, La Borgogna. Nel 1625 fu aperta la Provincia di S.Rocco; mentre le altre 3 province erano passate agli Osservanti: Francia Parigina, Aquitania-Borgogna e Turenne.

Nel 1767 le 3 Province dei Conventuali erano formate da 53 conventi con 320 sacerdoti e 120 fratelli.

Nel 1770 accadde un fatto eccezionale: le 11 Province Osservanti di cui 3 erano ex Conventuali, chiesero di unirsi ai frati minori conventuali. I rappresentanti degli Osservanti e dei Conventuali si riunirono più volte nella “magna domus parisiensis”, e il 28 settembre 1770 sottoscrissero un “concordato” con il quale vollero formare un solo Ordine e una sola famiglia.

196 I. Gatti, P. Vincenzo Coronelli dei Frati Minori Conventuali negli anni del suo generalato (1701-1707), Roma 1976. E’ un tomo che svela tutte le congiure e i tranelli dei prepotenti e la serietà del protagonista; cfr AA.VV. Coronelli religioso, scrittore, geografo, cartografo, costruttore di globi, idraulico, in MF 51 1951) 63-558.

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Il Capitolo Generale celebrato a Roma nel 1771, dove fu eletto Ministro Luigi Marzoni, fu accolta la proposta e furono vestiti dell'abito Conventuale i primi ex frati osservanti che si erano recati in capitolo.

Dopo l’unione, gli Osservanti scomparvero e le province furono ridotte da 11 ad 8 dietro i suggerimenti del Papa Clemente XIV che inviò ai frati un breve dal titolo “Sacram minorum familiam” (9-8-1771); i Conventuali ebbero 344 conventi con 2620 frati197.

Nel secolo XVIII i Conventuali contavano in tutto l'Ordine 40 Province, 2 Missioni, 1257 conventi con 25.000 frati, una primavera non solo per il numero, ma anche per la qualità dei religiosi. Alcuni frati illustri per dottrina: Casimiro Biernacki di Calicz in Polonia, fu ordinato sacerdote a Perugia, quindi maestro a Praga, fiorì come professore a Kalicz e a Cracovia. Stampò il libro “Speculum Minorum ect. Propugnaculum antiquitatis Ordinis ect.”. Morì nel 1700. Vincenzo Coronelli di Venezia che si distinse soprattutto per gli studi della Geografia. Fu geografo della Repubblica Veneta. Morì nel 1718. Giuseppe Platina da Savigliano, valente teologo e ottimo oratore, insegnò nelle università di Bologna e di Padova. Morì nel 1743 a Bologna. Il B. Antonio Lucci, reggente del collegio di S. Bonaventura dal 1719 al 1729, anno nel quale fu consacrato vescovo di Bovino nelle Puglie. Tra l'altro scrisse l'opera “Ragioni storiche da umiliarsi alla Sacra Congregazione dei Riti, colle quali dimostrasi tutti i Santi e Beati de’ primi due secoli francescani appartenere a’ soli padri conventuali”. Bernardino Pianzola da Domodossola, per 12 anni zelante e dotto missionario e prefetto delle nostre missioni in Oriente. Ha scritto moltissimo; tra le altre opere ha “Manualis Bibliotheca adversus omnes infidelium sectas”. “Ristretto della dottrina cristiana”.(Stampato in turco-armeno, in greco e in italiano).

CLEMENTE XIVLorenzo Ganganelli di S. Arcangelo di Romagna, frate francescano

conventuale e sacerdote, si laureò a Roma sotto la guida di Antonio Lucci di cui conserverà sempre grata memoria. Per un decennio insegnò filosofia e teologia in alcuni studi dell’Ordine come Ascoli, Bologna, Milano e di nuovo a Bologna. Nel 1740 ritornò a Roma come “reggente del Collegio S. Bonaventura”e vi restò quasi per un ventennio; nel 1746 Benedetto XIV lo

197 G. Odoardi, in Frati Minori…, p. 136; Cfr I. Gatti, I Frati Minori Conventuali deportati a Rochefort 1793-1785, Padova !995, pp. 7-9.

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nominò consultore del Santo Uffizio. Fu eletto Ministro generale dell'Ordine due volte: nel 1753 e nel 1759, ma seppe rinunziare all’elezione. Nel 1759 Clemente XIII lo creò cardinale. Di carattere gioviale e faceto, era accomodante e mai estremista nell'accettare le situazioni. Nel febbraio del 1769 morì improvvisamente il papa Clemente XIII e il Conclave si mostrò difficile a causa delle intromissioni del potere laico: c’erano lotte di potere da parte delle Corti europee che conculcavano l'autorità del Papa. Soprattutto le Corti Borboniche facevano il bello e il cattivo tempo, chiedendo la soppressione dei gesuiti e un papa che avesse posto in esecuzione tale proposito. Dopo lunghe e farraginose trattative tra i cardinali spagnoli e italiani si venne ad un compromesso. Il collegio era diviso in tre partiti: i nemici dei gesuiti, i favorevoli ad essi e quelli indifferenti. Il 19 maggio 1769 fu eletto all'unanimità il Ganganelli che aveva espresso solo un parere teologico che il papa avrebbe potuto sopprimere con tranquilla coscienza la Compagnia di Gesù, purché si fossero osservate le prescrizioni canoniche e i dettami della prudenza e della giustizia. Gli stati europei avevano deciso che se non fossero stati soppressi i gesuiti avrebbero fatto uno scisma dalla Chiesa Cattolica. Il Papa fu molto prudente e seppe resistere agli assalti furenti degli ambasciatori e non si fidò mai degli uomini di Curia, ma ebbe come consigliere solo un conventuale, P. Innocenzo Buontempo.

In una lettera del 30 novembre 1769, indirizzata a Carlo III di Spagna, gli uscì una espressione infelice che “l'avrebbe accontentato”; da quel momento non fu lasciato in pace.

Dopo estenuanti resistenze ai Principi di tutta Europa, il 21 luglio 1773, con il breve Dominus ac Redemptor, fu costretto a sopprimere i Gesuiti e restò amareggiato per tutto il resto della sua vita.

Durante il suo pontificato creò il magnifico museo Clementino in Vaticano; acquistò opere insigni; arricchì la biblioteca di opere numismatiche; fu grande mecenate con gli artisti, scienziati e letterati; spese molto di suo per migliorare i lavori pubblici del territorio dello Stato Pontificio. Fu uomo e pastore “piissimo”, “ santo amico di santi , quale Paolo della croce e Alfonso de’ Liguori (che con miracolo di bilocazione lo assistette in morte)”198, avvenuta, il 22 settembre 1774, all'età di 69 anni,

198 L. Di Fonzo, I frati minori… o.c., p.247

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essendo nato nel 1705. Nel 1802 la salma fu traslata nella basilica dei SS. Apostoli dove il Canova aveva eretto il superbo monumento funebre199.

Non fu un pontefice sfumato e impersonale, ma nel vortice del settecento fu uomo ardito, e Mario Rosa scrive: “Di fronte al compito immane che lo attendeva, asceso al soglio pontificio, con pochi e deboli strumenti a disposizione, pur pagando un prezzo indubbiamente altro seppe spezzare il fronte borbonico e provocare un riflusso del movimento riformistico e anticurialismo italiano ed europeo, sulla soglia degli anni settanta. Anche senza una visione organica e agendo piuttosto d’intuito e sulla difensiva, fu in grado così di porre su nuove basi i rapporti col potere politico e di aprire prospettive sia pure incerte di nuovi sviluppi, presto chiusi dal curialismo di Pio VI…”200

I frati Conventuali dalle origini dell’Ordine avevano svolto l’ufficio di penitenzieri apostolici nella Basilica lateranense, ma nel 1569 questo compito fu affidato ai frati dell’Osservanza; però nel 1773, con la soppressione dei gesuiti, fu affidato alla famiglia conventuale la Penitenzieria Vaticana e quella della Basilica di Loreto (1773-1934)201. Nel 1934 subentrarono i frati minori cappuccini quali custodi e confessori nel Santuario di Loreto.

LA NASCITA DELLA SCUOLA STORICAPer i frati minori la scuola storica era nata nel sec. XVII con il Wadding;

quella dei conventuali nacque con Giacinto Sbaraglia nel secolo XVIII con la pubblicazione del Bullarium Franciscanum. Anche i Conventuali tentarono di stendere i propri annales con il Ciatti e il Franchini, a. 1206-1695 e il Papini fino al 1374; queste opere sono restate incomplete ed inedite. Importanti furono e restano le opere “Supplemento e Addizioni” all’opera del Wadding, scritte dai Padri Sbaraglia e Rinaldi202

199 Pio Paschini, Clemente XIV, in E.C., 1836-1941; Cfr ( Autore Ignoto), Storia della vita di Clemente XIV Pontefice Ottimo Massimo… Napoli MDCCLXXVIII., P. 3-278. Mario Rosa , Clemente XIV, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, III, pp. 475-491

200 M. Rosa, o. c., p. 491.201 V. Ridondo,Hanno dato la vita ( i Beati Alfonso e compagni) Padova 2001, p.82,

nota 5.202 L. Di Fonzo, I frati minori, o. c., p. 276; cfr G. Odoardi , i Frati minori, o. c., pp. 134-

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Antonio Maria Azzoguidi di Bologna pubblicò i “Sermones S. Antonii Patavini...”; Giulio Antonio di Sangallo di Conegliano pubblicò “Dello stato della Chiesa e dell'autorità del romano pontefice, contro Giustino Febronio; Francescantonio Benoffi da Pesaro dette alle stampe il “Compendio di storia minoritica...”, “Dei Procuratori generali dei Minori...”; Antonio Lucci scrisse “Ragioni storiche da umiliare alla Sacra Congregazione dei Riti, colle quali dimostrasi tutti i santi e beati de’ primi due secoli francescani appartenere solo a Padri conventuali”, il Righini, il Missori, il Rugillo, ecc…, pubblicarono opere storiche su diversi argomenti della vita francescana. Giacinto Sbaraglia di Ferrara, uomo di profonda sapienza teologica e storica, stampò i primi 4 volumi del Bullarium Franciscanum, fino al 1303. Scrisse pure un’opera importantissima dal titolo “Supplementum et castigatio ad scriptores trium Ordinum S. Francisci, a Wadding aliisque descriptos”. Questi scritti lo pongono tra i principali critici della storia del francescanesimo203 (Odoardi G., Sbaraglia Giovanni Giacinto, in E.C. X, 1998).

I musici: vogliamo fermare l’attenzione solo su alcuni tra i massimi esponenti della scuola musicale francescana del secolo, e furono direttori di cappelle Musicali, organisti, compositori di musica sacra e profana e teorici e storici della musica. Francescantonio Vallotti da Vercelli, ottimo teologo, ma soprattutto grande musico sacro; fiorì a Padova. Pubblicò “Scienza teorica e pratica della moderna musica”. Morì nel 1780. Giambattista Martini di Bologna, famoso maestro della musica sacra; caro a tutti per la dolcezza e generosità d'animo. Compose moltissima musica sacra e profana, oratori e 12 sonate per organo. Scrisse “Storia dell'antica Musica” in tre volumi, opera pregevolissima, “Esemplare ossia saggio fondamentale pratico di contrappunto”. Morì nel 1782.

Antonio Sabbatini di Albano presso Roma, si distinse per la scienza della musica. Stampò “Elementi teorici della musica. Vera idea delle musicali numeriche segnature. Trattato delle fughe musicali”.

Stanislao Mattei di Bologna degno discepolo del Martini al quale succedette in S. Francesco di Bologna come direttore di cappella. Stampò: “Pratica d'accompagnamento sopra bassi numerati, e contrappunti a più voci”. Fu un grande compositore e maestro di Rossini. Morì nel 1825.

Santi del secolo: Francesco Antonio Fasani, Bonaventura da Potenza, Raffaele Kilinski, Antonio Lucci, già riconosciuti ufficialmente dalla

203 G. Odoardi, Sbaraglia Giovanni Giacinto, in E. C., X, 1998.

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Chiesa; Angelo Antonio Sandreani, Giuseppe Antonio Marcheselli, confondatore delle suore missionarie di Assisi, e scrittore di opere ascetiche (ha una diecina di volumi tra i quali, 6 volumi eucaristici più volte stampati), Giuseppe Maria Cesa, Bonaventura Buffaldi di Nocera, martire a Smirne (1728), Giambattista Leoni di Giulianova (1794), uomo dallo spirito profetico che previde la rivoluzione francese e ne parlò ampiamente ai frati del Sacro Convento204.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE E I MARTIRI FRANCESCANI I frati che non vollero giurare la costituzione in Francia furono moltissimi

e furono deportati nelle carceri più svariate della Francia. Quelli che furono martirizzati e la Chiesa ha proclamato Beati sono: Giovanni Fancesco Burtè, Giovanni Battista Triquerie, Louis-Armand Adam, Nicolas Savouret. (Gli altri martiri francescani si trovano a p. 33, p. 40, pp 52-53 del libro di I. Gatti, I Frati minori conventuali deportati a Rochefort 1793-1795). Ce ne sono altri che hanno il titolo di Venerabili e si aspetta che la Chiesa li proclami Beati: Servi di Dio Clemente da Cintrey, Daniele Frey, Piero Giuseppe Peugniez, ecc…

IL SECOLO XIX: LA SOPPRESSIONE NAPOLEONICA Il secolo XIX non si apriva nel segno della pace né per l'Italia, né per

l’Europa, né per la Chiesa. L'esercito napoleonico aveva occupato il regno di Napoli, lo Stato Pontificio e tutti gli altri staterelli del centro nord della penisola. Pio VI era morto il 29 agosto 1799, prigioniero a Valenza; Pio VII, eletto papa a Venezia nel 1800, non si attendeva trattamenti più riguardosi dai generali occupanti. Dopo perpetrazioni inaudite commesse dai soldati francesi nello stato pontificio e contro la persona stessa del Pontefice, nella notte tra il 5 e il 6 luglio 1809 il Papa fu catturato e condotto prigioniero prima a Firenze, poi a Grenoble, Valenza, Avignone, quindi nella fortezza di Savona e, infine, dal 1811 al 1814 a Fontainebleau. Non si aveva più rispetto per nessuno!

Nel 1805 fu promulgato il nuovo codice civile che dichiarava la libertà personale, l'uguaglianza dei cittadini, la laicità dello stato, il diritto naturale di ogni uomo alla proprietà privata e lo stato quale unica espressione dell'autorità.

204 Necrologio Sacro Convento, 30 ottobre 1794, Archivio di Assisi; cfr E. Ricotti, La provincia francescana abruzzese di S. Berardino dei frati minori conventuali, Roma 1938, p. 419; L. Caratelli, o. c., p. 222.

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In esso c'erano due principi fondamentali: l'abolizione della feudalità e l'eliminazione di ogni privilegio di esenzione agli istituti privati.

I monasteri e i conventi possedevano grandi latifondi, improduttivi per la società civile, ma arricchivano gli istituti che godevano del diritto di immunità, come fossero degli staterelli nel grande stato, e assistevano centinaia di miserabili che chiedevano l’elemosina giornalmente alle loro porte. Il codice eliminava i poveri, aboliva i privilegi e già faceva prevedere qualcosa di più grave.

Giuseppe Napoleone, re di Napoli, nel 1807 aveva emanato un decreto con il quale erano abolite nel suo regno tutte le comunità che seguivano le regole di S. Benedetto e di S. Bernardo.

Il successore Gioacchino Murat, dal 1809 al 1811, con altri decreti soppresse tutti gli altri ordini religiosi che si trovavano nel regno.

La legge di soppressione generale venne varata il 7/8/1809, giorno in cui furono firmati 2 diversi decreti, uno per i religiosi possidenti e uno per i religiosi non possidenti o mendicanti. Il primo fu posto in esecuzione quasi subito, il secondo fu tenuto in serbo per quasi 2 anni. Il decreto contro i religiosi possidenti, tra l'altro, diceva: “Considerando che la soppressione degli ordini possidenti che esistono ancora, è imperiosamente richiesta dalle circostanze, e che debba farsi non solo senza danno degli individui che gli compongono, ma anzi con migliorare per quanto è possibile la loro sorte, e accordando loro quelle pensioni che permettano i bisogni dello stato e la quantità de’ beni che al medesimo vengono ad incorporarsi..., abbiamo decretato e decretiamo quanto segue: sono soppressi in tutto il regno i seguenti ordini religiosi: Domenicani, Minori Conventuali, Terz’Ordine di S. Francesco, ecc...”.

Il governo si sforzava di sbandierare e di propagandare “uguaglianza, fraternità e libertà”, ma praticamente, stava emanando leggi vessatorie di inaudita tirannia, contro singoli o comunità, contro persone sospettate come nemici dello stato e contro inermi e pacifici cittadini.

Questa legge di soppressione degli ordini possidenti, come quelle che furono rivolte contro gli altri ordini, sono atti di puro vandalismo perpetrato dallo stato.

I funzionari addetti alla soppressione, prima compilarono scrupolosi inventari, ammassarono gli oggetti preziosi, i quadri e le grandi librerie in camere che furono sigillate, e nel momento opportuno mostrarono tutta la bramosia, nel rubare quadri, libri e oggetti vari. Per avere una idea della

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disonestà degli incaricati alla soppressione basta leggere i documenti conservati negli archivi di stato di L'Aquila, di Teramo e di Chieti.

La legge del 7 agosto fu posta in esecuzione nel novembre dello stesso anno e servì a chiudere tutti i conventi dei frati minori Conventuali della provincia di S. Bernardino e dei frati del TOR oltre ai conventi degli altri ordini. Contemporaneamente era pronta anche la legge che avrebbe colpito le altre famiglie francescane.

P. Quintino da S. Donato, provinciale dei riformati d'Abruzzo, nel 1809 chiese al Murat il permesso “di celebrare la seconda congregazione per regolare le famiglie religiose ed altri affari della provincia”. In tutta risposta gli fu inviato il decreto, anch'esso del 7 agosto 1809, non ancora promulgato, che tra l'altro diceva: “Le costituzioni degli ordini religiosi, detti degli Osservanti, dei riformati, dei cappuccini e degli alcantarini, sono abolite in tutto il regno dal 10 ottobre prossimo mese... Gli individui suddetti, secondo le suddette circostanze e i diversi bisogni della Chiesa, saranno assegnati a conventi dell’Ordine rispettivo, in modo che niun convento contenga un numero minore di 12”.

Anche in questi conventi si stilarono inventari scrupolosi; gli oggetti preziosi delle chiese vennero immagazzinati in camere speciali mentre le biblioteche selezionate e raccolte in ambienti idonei furono sigillate205.

205 N. Petrone, Francescanesimo in Abruzzo dalle origini ai nostri giorni, Tagliacozzo 2000, p. 445.

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GLI EFFETTI DELLA SOPPRESSIONE I CONVENTUALI Con la legge di soppressione del 7 agosto 1809, i frati minori

Conventuali furono tra i più colpiti perché, avendo i conventi ubicati nei centri urbani, furono tutti soppressi e, conventi, beni mobili e immobili, furono incamerati dallo stato. Le case religiose, essendo belle, comode e spaziose, furono adibite ad usi pubblici come sedi di municipio, uffici, caserme, scuole, tribunali, in qualche caso anche come carceri. I sacerdoti furono costretti ad inserirsi nel clero diocesano, mentre i fratelli religiosi dovevano riprendere l'abito secolare. Dove fu possibile, in alcune chiese continuarono a svolgere le sacre liturgie gli "ex frati" che vestivano la talare dei preti; con i frati lavoravano soprattutto le confraternite che da secoli prosperavano in dette chiese. Il popolo era affezionato ad essi e si impegnò in ogni modo, tramite i Sindaci o le persone influenti, a scrivere al Re e al Ministro del Culto, affinché i religiosi non fossero espulsi dai conventi. Fu tutto inutile. Prima di espellere i frati dai conventi, la legge prevedeva che fosse rivolto loro la domanda di rito: “Se avevano bisogno di un locale, per abitarvi, e vivere con la pensione che il governo loro accordava”. I frati, sapendo che sarebbero stati dispersi nei romitori montani, lontani dai loro conventi, preferirono restare nei centri, dove stavano i conventi, collaborando con il clero locale, in attesa di tempi migliori.

Delle belle e ricche biblioteche dei conventi, dopo opportuna selezione, i libri migliori furono portati nelle biblioteche reali. Le carte antiche, le pergamene, i diplomi e i manoscritti che si conservavano negli archivi dei conventi, parte furono portati a Napoli e parte furono barbaramente distrutti da persone incompetenti e arroganti.

La legge del 7 agosto 1809 con cui si abolivano le costituzioni degli Osservanti, dei riformati, dei cappuccini e degli alcantarini, stabiliva che i conventi con meno di 12 frati dovevano essere soppressi, decretava la fine dei provinciali, l'indipendenza dei conventi tra loro e la sudditanza dei frati al vescovo della diocesi, questa legge non fu mai promulgata “ma cominciò a divenire esecutiva” il 25 maggio 1811. Però nel frattempo alcuni conventi erano stati già soppressi. In quell’anno ci fu la esecuzione della legge in forma organica.

Per i Conventuali fu un momento di grande depressione; basterebbe ricordare l'episodio del guardiano del convento dei Frari di Venezia che si gettò nel pozzo, in un momento di scoraggiamento e di disperazione. Questa

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soppressione, pur nella sua gravità, trovò uno spiraglio di luce nella breve durata dell’impero napoleonico, tanto che nel 1818 si poté cominciare a riaprire i conventi che non erano stati venduti o già impiegati come uffici statali.

RITROVAMENTO DEL CORPO DI S. FRANCESCO206. LA RIPRESA

Il Ministro generale P. Nicolò Papini (1803-1809), nel 1806, con il permesso del Papa Pio VII, tentò la ricerca della Tomba del Serafico Padre S. Francesco. Il lavoro si svolgeva di notte. Sembra che un equipe di scavatori abbia lavorato per circa 50 notti finchè non di scontrò con un ostacolo imprevisto e insormontabile e si arrese. Nel frattempo ci fu la meteora Napoleonica. Terminata drammaticamente la carriera del Buonaparte nell’isola di S. Elena, il Ministro generale Giuseppe Maria De Bonis (1809-1824), con regolare permesso del Santo Padre riprese gli scavi, alla ricerca del sepolcro del Serafico Padre, notte tempo; ma a causa di cattive informazioni trovate su una falsa relazione scritta “da una persona asserente essere egli stato testimonio oculare, e di fatto; chè molti ne’ lacrimevoli tempi della soppressione, cioè circa il 1811, al 1812 si diceva, avere penetrato nel nominato sotterraneo; gli fu indicato, prima in voce, il luogo dell’entrata, levando alcune pietre davanti all’altare della SS. Concezione, ed insieme individuata la strada…” Di questo percorso non esisteva proprio nulla e questa relazione era completamente creata ad arte dalla fantasia dell’autore. Risultò falsa207. La sera del 5 ottobre 1818, il ministro generale fece giurare di mantenere segreta questa ricerca al Molto Rev.do P. Latini compagno dell’Ordine, al Procuratore Generale, al Segretario Generale, al vice segretario, al Custode del Sacro Convento P.

206 “Nell’Archivio del Sacro convento di Assisi si custodisce un fascicolo di di dieci carte, contenente documenti e relazioni di quel fatto, documenti che meritano di essere conosciuti…”. Così Miscellanea Francescana XXI, 1920 p. 3. Ci sono due relazioni sul rinvenimento del Corpo del Serafico Padre: la prima porta questo titolo: “Memorie storiche ed autentiche scritte fedelmente da un autore contemporaneo sul ritrovamento del sacro corpo di S. Francesco, Gran Fondatore dei minori. Assisi, Sac. Convento nel febbraio 1819”.

La seconda Relazione : “Sagro Convento, 12 febbraio 1819. Relazione esatta, e sincera d’un Minore Conventuale sull’invenzione del Sagro Corpo di S. Francesco- Assisi”. Queste relazioni sono state pubblicate su Miscellanea Francescana vol. XXI, fas. I, 1920, pp. 4-9.

Sono queste le fonti che citiamo. 207 Relazione Prima, MF Vol XXI pp. 4-5.

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Bonaventura Zabberoni, a tre fratelli religiosi fra Luigi Mattei, fra Donato Grassi e fra Giacomo Amelio; notte tempo iniziarono i lavori. Al mattino, non avendo trovato nessun condotto, risistemarono le pietre del pavimento e fecero il proposito di ricominciare la sera seguente. Nella sera del 6 ottobre furono chiamati in aiuto il muratore del Sacro convento Cesare Mariani e fra Tommaso Rondoni, “ai quali fu imposto parimenti il precetto del segreto” e tutti d’accordo continuarono il lavoro iniziato. Evacuata tutta la terra da tutte le parti, “nel fondo si scoprì un masso di Montagna vergine e si conobbe che quel locale altro non era, che una sepoltura”, ovvero un luogo dove si seppellivano i morti. Nel frattempo il P. Generale dovette lasciare la basilica per continuare la visita ai frati dell’Ordine, e l’incarico della direzione degli scavi fu affidato al P. Custode. Uno dei fratelli “scavatori” si ricordò che, anni addietro era stato aperto un foro dal trono papale fino all’altare maggiore della basilica, poi ripieno. Gli scavatori, avendo perso alcune notti a lavorare senza una meta sicura, si posero alla ricerca di questo nuovo sentiero che, dal trono papale si dirigeva verso l’altare maggiore, e dal giorno 12 ottobre cominciarono ad evacuare il materiale lungo l’angusta strettoia e, carponi, con un altro muratore e altri due fratelli religiosi, dopo moltissime notti arrivarono sotto l’altare maggiore. Qui si trovarono diverse difficoltà a causa di tre enormi lastre di travertino. Fu la terza lastra che portò la sorpresa ai pii lavoratori. Scrive il Cronista: “…Dissi -miracolo- poiché altre volte si era cercato questo grande Santo; si avevano aperte varie strade; si era giunto di fronte a questo masso, enormissimo. Bucato dunque anche il detto travertino, vi fu trovato della calce, e de’ rottami; tolti i quali, ve ne fu veduto un altro, egualmente incastrato nelle quattro muraglie. Maggiormente si ebbe premura di forare anche questo; ed allora parimenti levati dei rottami, che ivi pure si rinvennero, ne apparve il terzo, essendosi con cautela un po’ rotto da un lato in semicircolo, lasciò vedere una ben grossa, e ben stretta ferrata, che chiudeva un gran cassone di sasso: ed era detto terzo travertino fortemente assicurato da tre grosse verghe di ferro incastrate per traverso ne’ muri laterali sopra una lunghezza del medesimo.

Questo fu il primo scoprimento del Corpo di S. Francesco, che accadde li 7 dicembre 1818... Nella notte dei 12 ai 13 di dicembre, alle ore 10 italiane dopo un lavoro indefesso di 52 notti per piccoli buchi dell’indicata ferrata, al lume di un tenue candelino introdottovi a stento sopra un fil di ferro, nel fondo del cassone, dal P. Custode, P. Bonaventura Zabberoni, che colla massima instancabilità, e zelo aveva condotto al fine quest’opera;

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dal P. Clemente Rizzo; e da Lavoratori ansiosi, e tremanti fu veduto il corpo del Serafico Nostro Padre, e qui giunti al primo scopo del lavoro, ed avuta la prima consolazione si sopraseddette, e ne fu dato parte al Rev.mo Generale”208. Avvisato il Generale, comunicata la notizia al Santo Padre, questi, con “Breve” dell’ 8 gennaio 1819, nominò una commissione di 5 vescovi: il Vescovo di Assisi Giampè “Capo dell’Apostolica delegazione, i vescovi di Perugia, Nocera, Foligno, e Spoleto per fare un’esatta e legale ricognizione del S. Corpo”209. “Giunsero al Sagro Convento li detti Prelati li 25 gennaio 1819: essendo già venuto fin dalli 14 il nostro P. Rev.mo Generale con tutta la sua corte… cominciatasi in seguito la enunciata autentica ricognizione, e tolta la ferrata, fu trovato il sacro corpo disteso per lungo nel detto cassone di sasso, precisamente sotto l’altare maggiore. Esso però era tutto disfatto; e le sole ossa rimangono intiere. Io ho avuto la consolazione di vederlo; ma appena per un momento… Eseguito tutto questo, si rimise il cassone a suo luogo; dentro vi si pose una cassa di legno; ivi sopra un taffettà si collocarono le sacre ossa, essendosi da periti anatomici composto tutto lo scheletro, meno il sacro capo, che mezzo disfatto fu posto a parte in una cassettina con le sacre ceneri: poi si chiuse tutto con un coperchio pure di legno; vi si soprappose un tapete, e poi la sua ferrata; e fu sigillato ampiamente ogni cosa con i sigilli de’ cinque vescovi e del P. Rev.mo Generale… Finalmente si sono murate le aperture laterali, fatte per quell’effetto; e serrata a chiave e sigillata quella di fronte; e così resta chiuso di nuovo l’adito a chiunque al Sepolcro di S. Francesco: che questo era l’ordine del Sommo Pontefice nella prelodata notificazione ”210.

Il 22 dicembre1818 il Ministro generale inviava una notificazione a tutti i frati dell’Ordine, comunicando il rinvenimento del Corpo del Santo Patriarca. Questo evento fu una iniezione formidabile di spiritualità per tutte le famiglie francescane che uscivano dal periodo di segregazione e di “catacomba”, voluto dall’effimero impero napoleonico. I figli del Poverello di Assisi, con nuovo entusiasmo ripresero la loro missione in quella chiesa che era “Capo e Madre” della famiglia francescana, e con prudenza, anche nelle altre chiese e conventi delle diverse province Italiane, da dove erano stati estromessi “con violenza”. Tale ritrovamento fu di grande incoraggiamento anche agli altri frati dispersi nelle varie province del

208 Relazione Seconda, MF, XXI, p. 7-8.209 Idem p. 8.210 Ibidem

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mondo. Assisi, da sempre centro e culla del francescanesimo, dal 1818 fu ancora di più il luogo invitante per tutti gli amanti di Francesco; schiere immense di pellegrini affluirono e affluiscono sempre più numerose a pregare sulla “tomba del Padre”.

UN GRANDE EDUCATOREP. Gregorio Girard nato a Friburgo da famiglia savoiarda nel 1765, morì

nella stessa città nel 1850. Fu ordinato sacerdote nel 1788 e i primi anni li dedicò all'insegnamento negli studi dell'Ordine, a Uberlingen e a Friburgo. Rivelatosi con il suo Piano di educazione pubblica per la Repubblica Elvetica, nel 1799 fu nominato consigliere cattolico del primo ministro dell'Educazione a Lucerna. Quando il governo fu spostato a Berna, Gerard fu il primo parroco cattolico della città dopo la riforma. Nel 1804 fu richiamato a Friburgo per riorganizzare e dirigere le scuole elementari della città. Fece della scuola del tempo un vivaio di cultura, dove l'interesse e l'attività si sostituirono alla memoria, e la gioia e il desiderio di sapere presero il posto della coercizione di una scienza già stabilita e imposta alle menti degli alunni. Il suo sistema è: l'insegnamento mutuo: il discepolo più bravo, sotto la guida del maestro, aiuta gli alunni più lenti. Questo metodo si divulgò in Svizzera, Inghilterra, Francia, Grecia, Russia, Italia, America, India. Tutti i grandi pedagoghi del secolo XX, compreso la Montessori, hanno ricopiato e ripreso il metodo del Girard. Alle sue prediche domenicali, una in francese e una in tedesco, andavano cattolici e protestanti, professionisti, indifferenti e malevoli, ma lui parlava solo di Gesù e del suo vangelo; mai una polemica. Una nobildonna protestante commentava: “Non conosco predicatore più pericoloso di P. Gerard per noi protestanti”. Lasciata la Parrocchia, dal 1804 al 1823 fu direttore della scuola francese di Friburgo dove realizzò il suo “Corso di educazione per mezzo della lingua materna”, che fu pubblicato in 7 volumi. I cattolici lo accusarono di essere troppo razionalista e liberale, i protestanti di retrività cattolica. Al contrario si consacrò all’educazione dei giovani, diventando l’uomo di tutti, “per nessuno e contro nessuno”. Per educazione egli intende “formare Cristo nel cuore degli allievi” utilizzando il metodo della mamma saggia. Segue in questa via l’esempio di Francesco d’Assisi che prescrive ai guardiani “cuore e sorriso di madre”. Morì a Friburgo il 6 marzo 1850. Una lastra di marmo ricoprì la tomba con l’iscrizione: “Al reverendo P. Girard, dell’Ordine dei francescani, antico prefetto delle scuole primarie del

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cantone di Friburgo, padre e amico dei fanciulli,benefattore della città natale con il suo sistema d’educazione popolare, nato il 16 dicembre 1765, deceduto il 6 marzo 1850, il Consiglio comunale riconoscente. Lasciate venire a me i bambini”. In pratica, era finito dimenticato dai suoi concittadini come lui aveva sempre voluto. A dieci anni dalla morte, il popolo di Friburgo elevò nel centro della città una statua al “padre del popolo” e al “protettore della gioventù”211!

LA MISSIONE D'AMERICAI frati minori di Baviera si recarono negli Stati Uniti d’America e

precisamente nel Texas, nel 1852, questo primo seme diventò commissariato nel 1858 e nel 1872 si ebbe l’erezione della Provincia dell’Immacolata. Nel 1905 fu eretta la Provincia di S. Antonio, che è figlia dell'Immacolata. Sempre la stessa Provincia si estese ed eresse diversi conventi nella zona di Washington e stati limitrofi erigendo la Provincia della Consolatrice degli Afflitti nel 1926, e questa nell’anno 1976, negli stati del New Mexico e del Texas fondò la Custodia provinciale della B. Vergine di Guadalupe. Nel 1939 fu eretta la Provincia di S. Bonaventura che era sorta dalla Provincia di S. Antonio. La Provincia di S. Giuseppe da Copertino è stata eretta nel 1981 ed è figlia della Provincia di S. Bonaventura.

I CONVENTUALI TRA IL 1820 E IL 1866L’Ordine, soprattutto nelle zone dove aveva sofferto la soppressione

napoleonica, si stava ricostituendo e ritornava con il suo spirito di amore e di perdono verso i suoi antichi avversari: già aveva grandi letterati e teologi nelle scuole e nelle università. Troviamo P. Francesco Villardi, letterato e oratore. Fu famoso soprattutto in Padova dove furono pubblicate le sue opere in due volumi nel 1838. L’ebreo Luigi Pasquali, friulano, convertitosi, entrò tra i frati conventuali nel convento dei Frari a Venezia. Diventato sacerdote, si segnalò per dottrina e virtù a Padova; fu professore all’università di Padova dal 1820 al 1833. Nel 1834 fu eletto ministro della Provincia di Bologna, mentre nel 1839 fu eletto Ministro della provincia di Padova. Morì nel 1850 dopo aver pubblicato diverse opere tra le quali

211 L. Veuthey, Padre Girard un grande educatore (1765-1850), Roma 2002, p.213-220; cfr A. Gemelli, o. c. p. 356s. .

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“Diritto naturale e sociale”; “Istituzioni di estetica”; “Le gesta e le glorie del Taumaturgo di Padova” , ecc…

P. Giuseppe Maria de Bonis, già ministro generale; sotto il suo governo, come è stato ricordato, fu ritrovato il corpo di S. Francesco sotto l’altare maggiore della basilica inferiore. Dopo le trionfali feste per il grande rinvenimento, nel 1824 rinunziò all’episcopato e al cardinalato, morendo piamente nello stesso anno nel convento dei Santi Apostoli in Roma.

Antonio Francesco Oriòli da Bagnocavallo, fu vicario apostolico dell’Ordine negli anni 1832-33. In quello stesso anno, il Papa Gregorio XVI lo consacrò vescovo di Orvieto. Fu uomo di grande cultura e amante dell’Ordine. Fu creato cardinale nel 1838 e morì santamente a Roma nel 1852. Ebbe sepoltura nella basilica dei Santi Apostoli.

L’Ordine si stava riprendendo dopo la tempesta napoleonica e in una statistica del 1860 troviamo 21 Province, due missioni e 350 conventi. Non si ha il numero dei frati, ma non doveva essere superiore al migliaio. Proprio in quegli anni si scatenò un nuovo flagello sulla Chiesa e sugli Istituti religiosi per volere del governo del nuovo stato italiano.

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LA SOPPRESSIONE DEGLI ORDINI RELIGIOSI NEL 1866Il governo piemontese, con la legge del 29/05/1855 aveva soppresso tutte

le corporazioni religiose che non attendevano alla predicazione, alla istruzione, all’assistenza degli ammalati, ecc. Raggiunta l’unità d’Italia, quel governo estese il programma di repressione in tutto il nuovo stato.

I religiosi e il clero, in genere, godevano buona stima presso il popolo, quindi bisognava trovare un mezzo di denigrazione presso l’opinione pubblica per rendere il compito meno gravoso agli esecutori delle leggi.

I liberal-massoni incaricarono la stampa a denigrare e calunniare religiosi e preti e, in parte, ci riuscirono!

Tutti i giornali di “regime” avevano il compito di assimilare i “frati e i preti ai briganti, ai sobillatori, ai famigerati reazionari, ecc.”.

Una volta raggiunta l’unità d’Italia, il nuovo stato, con la legge del 13 ottobre 1861, poneva le basi della nuova soppressione. L’articolo primo della legge diceva: “cessano di esistere, quali enti morali riconosciuti dalla legge civile, tutte le case degli Ordini monastici di ambo i sessi esistenti nelle province napoletane, non escluse le congregazioni religiose”. Dal 1861 al 1866 fu emanata una colluvie di leggi riguardante il patrimonio ecclesiastico, ma la legge che unificò e completò le precedenti fu quella del 07/07/ 1866. Scrive il Galante: “La legge del 7 luglio 1866, n. 3096, fu pubblicata ed estesa alle regioni di recente conquista con decreto del 28 luglio 1866, n. 3090. In base a questa legge non venivano più riconosciuti nell’ambito dello stato gli Ordini religiosi, le corporazioni e le congregazioni religiose, i conservatori e i ritiri (art. 1) che comportavano vita in comune e che avevano carattere ecclesiastico. Il loro patrimonio veniva devoluto al fondo per il culto… Dalla devoluzione venivano eccettuati (art.8) gli edifici di culto, i fabbricati dei conventi ceduti ai comuni e alle province che ne avessero fatto domanda entro un anno e i libri, manoscritti, documenti scientifici, oggetti d’arte o preziosi che secondo l’art. 24 venivano destinati alle biblioteche e ai musei…”. Questa legge approvata solo dalla Camera e promulgata senza il necessario esame del Senato, in forza di una speciale deroga, toglieva agli “Ordini… corporazioni… congregazioni… religiosi regolari e secolari… conservatori ritiri” ogni riconoscimento dello stato, attribuiva ai loro membri la pienezza dei diritti civili e politici. Lo stato, imponendo l’esecuzione immediata di questa legge, estromise tutti i religiosi dai loro conventi. Questa soppressione aveva un duplice intento: il primo ideologico-politico, il

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secondo economico. Già Cavour aveva puntualizzato il primo motivo quando aveva parlato della “opposizione esistente fra i principi della vita religiosa e quelli della civiltà liberale”. I Liberal-massoni che governavano l’Italia non capivano la vita ascetico-mistica dei consacrati, quindi bisognava scioglierli e disperderli. Il secondo motivo era prettamente economico: ricuperare all’economia di mercato una parte considerevole del patrimonio ecclesiastico che era vincolato da “mano morta”, quindi non trasmissibile per via successoria né alienabile. I governanti pensavano di rinsanguare le esigue finanze del nuovo stato, il cui bilancio era gravato da un disastroso disavanzo. Così tutti i beni degli Ordini religiosi, corporazioni e congreghe “soppressi” diventarono proprietà del demanio. I grandi conventi furono destinati ad uso pubblico: caserme, scuole, carceri, uffici comunali, ecc. Le biblioteche, gli archivi e gli oggetti artistici furono destinati a biblioteche e musei pubblici. I frati, se avevano emessi i voti solenni, potevano richiedere una pensione, diversa secondo l’età e la natura dell’istituto, comunque, irrisoria e insufficiente per viverci (circa 20 Euro di oggi al mese), ed erano ridotti allo stato secolare; se invece erano già sacerdoti passavano al clero secolare.

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LA LENTA RINASCITACon le leggi eversive furono soppressi tutti gli ordini religiosi e requisite

tutte le loro case e beni. La destra storica si mostrò sempre più spregiudicata contro la Chiesa, e pur non impedendo che i membri dei singoli istituti continuassero la loro vita in comune, formando “società private”, senza legale riconoscimento, gli ex religiosi incontrarono difficoltà anche nel trovare qualche casa in affitto dove potersi incontrare. Dopo una quindicina di anni di potere della destra, con le elezioni, il governo fu trasferito nelle mani della sinistra, che ebbe quale capo del governo Agostino Depretis nel 1876. Anche gli uomini della sinistra erano massoni e anticlericali, ma ciò nonostante, di tanto in tanto tentarono degli approcci e delle conciliazioni con la Santa Sede, anche se non raggiunsero effetti concreti. Lentamente si cercava di smussare gli angoli e si notava buona volontà di sopportarsi più che combattersi. Anche per i religiosi si aprirono degli spiragli. I religiosi ancora in vita cominciarono a riorganizzarsi, partecipando alle aste nelle quali si alienavano i loro ex conventi o altre case, intestandoli a loro stessi. Altri frati, aiutati economicamente dalle famiglie, costruirono nuove piccole abitazioni dove si riunivano con altri frati. Lentamente, ma con vero spirito di amore agli Ordini di appartenenza, cominciò a rifiorire la vita religiosa. Anche i Conventuali, con sacrificio e amore ridettero vitalità all’Ordine, riaprendo i primi conventi in quasi tutte le Province d’Italia. Nel 1893 il Ministro generale Lorenzo Caratelli pubblicò l’Album generale dell’Ordine che presenta quasi le stesse posizioni del 1860: si hanno 22 Province e una missione, con 306 conventi e 1481 frati.

Durate questo secolo travagliato ci furono grandi figure di religiosi dotti, pii, umili e servizievoli verso la Chiesa; possiamo ricordare Antonio Panebianco, ottimo insegnante di teologia nel seminario di Catania; Pio IX lo inviò con il nunzio apostolico De Luca per dirimere la questione dei matrimoni misti sorti in Transilvania, missione che portò a termine con la soddisfazione delle due parti, fu creato Cardinale di santa Romana Chiesa e lavorò moltissimo per la preparazione del concilio Ecumenico Vaticano I. Morì a Roma nel 1885. P. Ilario Altobello, matematico e astronomo, chiamato il Keplero nella sua stella serpentaria. Angelo Bigoni, ottimo ministro generale, uomo di soda dottrina teologica e mistica, ha scritto molto, tra le opere ricordiamo “Meditazioni per tutti i giorni dell’anno, ad uso dei religiosi”, “Esercizi spirituali per i religiosi”. Altra bella figura di

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frate conventuale fu il famoso musico Alessandro Borroni (1820-1896), amico dei più grandi maestri del secolo XIX tra i quali il Mercadante e il Mascagni.

Anche se in mezzo a persecuzioni e soppressioni, l’Ordine aveva avuto santi religiosi. Possiamo ricordare il bravo maestro dei novizi il Ven. Bonaventura Bambozzi, Lorenzo Rabuini, Stefano Myron Bodnareskul e il pittore santo Pasquale Sarullo.

Leone XIII, nel 1882, in occasione del VII centenario della nascita del Serafico Padre, scrisse ai francescani una bellissima Enciclica dal titolo “Auspicato concessum” che fu un primo richiamo per i poveri frati ancora esuli dai loro antichi conventi. Il Papa, tra l’altro, aveva scritto: “Scossi adesso da una tremenda tempesta, si trovano sottomessi ad una immeritata prova. Voglia Dio che per la protezione del loro Santo fondatore, possano uscire presto da questo temporale, più vigorosi e pieni di zelo”.

Paul Sabatier, grande scrittore francese, dedicò la sua vita culturale per la riscoperta di Francesco d’Assisi. Invitato da Renan a studiare il Poverello, nel 1894 pubblicò la sua Vita di Francesco d’Assisi che suscitò entusiasmi e polemiche; l’autore continuò i suoi studi, soprattutto dette inizio alla “Questione francescana”; tutto serviva per ridare vita al francescanesimo tramortito a causa delle soppressioni.

Dietro l’impegno dei primi frati che riuscirono a riottenere i primi conventi, riaprirono i collegi e lentamente ricominciarono a far rifiorire l’Ordine. Nel 1909, in occasione del settimo centenario dell’incontro di Francesco con il Papa Innocenzo III, quindi l’inizio dell’Ordine, Pio X scrisse un’altra lettera importante: “Septimo iam pleno seculo” dove riconosceva che “i ministri generali delle tre famiglie francescane sono e devono essere considerati uguali in dignità e potestà, come veri vicari e veri successori di S. Francesco, ognuno nella sua rispettiva famiglia…, e tutti e tre risalgono legittimamente allo stesso Padre serafico per la serie dei loro predecessori… I tre Ordini della famiglia minoritica sono come tre rami di uno stesso albero, la cui radice e tronco è S. Francesco, e i suoi membri sono con lo stesso e pieno diritto frati minori”.

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RIAPERTURA DEL COLLEGIO INTERNAZIONALENel 1873, con la presa di Roma da parte dello Stato unitario, anche il

collegio internazionale che si trovava nel Convento dei SS. Apostoli, fu costretto a sospendere le sue funzioni accademiche in quanto la sede fu incamerata dallo Stato.

Non appena si cominciò a poter respirare aria più tranquilla, il Ministro generale Bonaventura Soldatic riaprì il Collegio serafico internazionale nel 1885, con sede presso la chiesa di S. Nicola da Tolentino in Roma; dopo dieci anni, il Ministro generale P. Lorenzo Caratelli trasferì il collegio nella nuova sede ai piedi del Palatino in via S. Teodoro. Per i primi venti anni, gli alunni del collegio frequentarono i corsi teologici presso la pontificia università Gregoriana o altri atenei romani. Ma per l’anno scolastico 1904-1905 fu riorganizzato nel collegio serafico il primo corso teologico, dopo aver preparato un gruppo di insegnati eccellenti, tanto che la stessa Santa Sede restò ammirata e meravigliata, elogiando lo sforzo dell’Ordine. Il collegio resterà in via S. Teodoro fino agli inizi degli anni ’60, quando verrà aperto il nuovo collegio serafico all’Eur.

Dopo la soppressione della famiglia Conventuale in Spagna nel 1567, bisognò attendere tre secoli e mezzo prima che i frati potessero ritornare in questa nazione. Finalmente nel 1905 alcuni frati conventuali potettero rimettere piede sul suolo della penisola iberica, riaprendo il primo convento a Granollers con buone prospettive per l’avvenire.

IL CONVENTO E LA CHIESA DI COSTANTINOPOLI

Il 2 settembre 1905, a causa di un incendio, furono distrutte chiesa e convento dei frati minori conventuali in Adrianopoli. I frati che si trovavano missionari in Turchia dovettero iniziare daccapo e si stabilirono à Pera (che nella lingua greca significa “al di là del corno d’oro”), nel cuore della città ed in zona un po’ elevata, dove il giorno23 agosto 1906, il Vicario generale della delegazione apostolica pose la prima pietra della costruenda nuova chiesa e convento a Costantinopoli. Su disegno degli architetti italiani Giulio Mongeri ed Edoardo de Nari che avevano modellato una chiesa in puro stile gotico, è stato eseguito il disegno con grande fedeltà ed è risultato un tempio magnifico. Nel 1913, terminati i lavori di costruzione, nella bella chiesa di S. Antonio à Pera in Costantinopoli si trasferirono i frati, iniziando

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la loro nuova missione. Attesero qualche mese e il 13 dicembre 1913, con una solennità unica, don Vincenzo Sardi, Vicario Patriarcale e Delegato Apostolico consacrò il nuovo Tempio in onore di S. Antonio a cui era dedicato anche quello che era andato distrutto con l’incendio. Nel 1932 questa bella chiesa fu proclamata basilica e definita “la Chiesa della Comunità Italiana, frequentata anche dagli Islamici”. Durante i primi settanta anni del secolo ventesimo, questo convento e questa chiesa hanno fatto parte della storica “Provincia d’Oriente” nata nel 1469, ma provincia più titolare che fattiva tanto che il Provinciale era eletto dal Definitorio Generale perché in Oriente oltre alla comunità di Costantinopoli, c’erano pochissimi altri frati. I religiosi della comunità di Istambul, per diversi anni, hanno curato l’apostolato tra gli italiani, i francesi e gli stranieri cattolici presenti a Costantinopoli. La loro attività era molto dedita alla liturgia e alle celebrazioni, ma non aveva il timbro “missionario” inter gentes o inter sacarenos”, come avrebbe voluto San Francesco.

Dal 1973,, i Padri presenti nella comunità di Istambul hanno cominciato a cambiare stile di apostolato: poiché gli europei scemavano sempre più, si sono resi conto di trovarsi “tra i Saraceni”, quindi erano chiamati a svolgere la loro missione tra queste persone bisognose di Dio; ciò richiedeva che i Padri missionari parlassero bene la lingua turca e non avessero paura dei Musulmani. L’Ordine, nel 1975 sospese l’elezione del governo della Provincia d’Oriente e di Terra Santa, non rieleggendo il Provinciale, quindi il governo del Convento fu posto sotto la diretta giurisdizione del Generale. Il Padre Lanfranco Serrino, Ministro generale dell’Ordine, in visita ai frati della Comunità di Istambul nei giorni 23-26 marzo 1988, poteva scrivere sul suo “diario”: “Nella comunità arriverà presto il P. Lucio Condolo, che rientra dopo un anno di assenza, dando segno di grande disponibilità verso problemi comuni. La sua presenza, assai apprezzata anche per la conoscenza della lingua turca, gioverà alla riorganizzazione delle varie attività legate alla comunità: cura della Chiesa, parrocchia latina, stampa in turco, di sussidi catechetici e religiosi in genere, raccordo ecumenico e interreligioso… Gli altri frati, i PP. Alfonso Sammut, Luigi Iannitto, Giorgio Sima e Fr. Gianfranco Tanghetti, troveranno rinnovato slancio per un lavoro difficile e poco conosciuto”. Il P. Condolo ritornò a Istambul verso la fine della primavera del 1988, ma vi restò soltanto due mesi perché ripartì per l’Italia da dove non si è più allontanato.

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Il Ministro generale ritornò a Istambul il 15 dicembre 1989, e dopo alcuni giorni di permanenza tra i frati, dopo aver constatato i lavori dei religiosi, le diverse attività svolte da essi, e le comunità assistite , potè scrivere: “Durante la visita, incontro il nuovo Vescovo Mons. Antonio Marovitch, Vicario Apostolico per la Chiesa latina. Saluto anche il gruppo “polacco” (attività privilegiata del P. Giorgio); partecipo ad un momento liturgico del gruppo “neo-catecumenale” ( una trentina, guidati dal P. Luigi); celebro la Domenica in Sent Antuan e poi nelle due comunità delle suore francescane di Ivrea ( alla “scuola” e all’Ospedale italiano); incontro i due “focolari” maschile ( a Buyudere, nella nostra casa sul Bosforo, lasciata alla loro cura) e femminile in città. Tutte realtà Turche o in Turchia, che indicano il cammino pluriforme che si apre in questa terra difficile, ma incantatrice. Gioisco ancora, nel vedere la crescita delle “Edizioni” in lingua turca (37 volumi fino ad ora) che il Padre Luigi sforna, con tenacia e perseveranza intelligente, con i suoi collaboratori: un vero ponte lanciato verso l’Islam, così come “Sent Antuan” si mostra ponte prezioso ogni martedì, per il pellegrinaggio ininterrotto di musulmani che trovano nel Santo un richiamo forte per la loro religiosità”.

P. Luigi Iannitto, in un libretto dal titolo: “S. Antonio in Istambul per gli anni 2000…” nella nota introduttiva dice che ci sono “ idee e impressioni inesatte ed arretrate” sulla missione in Turchia che girano per l’Ordine”. Oggi si ha una sensazione di novità su questa missione turca, e giustamente, Iannitto invita a leggere alcune opere scritte durante questi anni per comprendere l’interesse di questa “missione” come “Relazione sulla Parrocchia di S. Antonio di Istambul al Generale Lanfranco Serrino, 1989.

-Storia delle attività di Stampa in S. Antonio di Istambul.-Relazione al consiglio pastorale, avvenimenti gennaio 1988-Una Storia… Una Tappa, Istambul 1988-Fioretti Francescani tra i musulmani, Istambul 2008.Il nuovo S. Antonio non presenta la semplice pastorale sacramentale fatta

per i pochi cristiani europei , ma ha scoperto la missione “inter saracenos”. Non si vuole convertire nessuno, ma si vuole far conoscere la fede Cristiana a tutti, con umiltà e semplicità, con gli scritti e con il contatto diretto, ascoltando e parlando con tutte le persone che hanno bisogno di avere un colloquio o un incontro con un sacerdote. La Rivista “L’Amico di S. Antonio”, che per tanti anni è entrata nelle famiglie di Istambul, è stata un seme culturale che ha penetrato gli animi dei musulmani; i diversi libri

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scritti in turco hanno presentato la mentalità cristiana ai turchi, Anche l’apertura teologica, artistica e musicale avuta dai frati della Comunità di S. Antonio verso i cultori delle scienze musulmane, sono stati mezzi di incontro con le persone turche. Parlare bene il turco è un primo requisito per un approccio positivo con questo popolo.

S. Antonio in Istambul è anche un centro Ecumenico dove tutti si dovrebbero sentire di essere fratelli e in casa loro. Le migliaia di persone turche che frequentato questa chiesa è segno di buon auspicio per l’avvenire. Sentire turchi che ripetono: “S. Antonio e un amico di Hallà” non dovrebbe dispiacere a nessuno.

Mi auguro che il Ministro generale sappia far sì che tutti i missionari di quella zona sappiano essere degni di questa sublime dedizione, fatta tramite la stampa, con gli incontri personali, con l’umiltà dello spirito di Francesco, con la dottrina dei nostri Padri che ci hanno preceduti nella fede, e sappiano essere protagonisti di una nuova Pentecoste. Il Definitorio generale dia anche una definizione giuridica a queste presenze che si trovano nel territorio che partendo da Istambul (Turchia) arriva ad Beirut e nelle zone adiacenti212.

Il secolo XX è stato definito “il secolo breve” perché politicamente e socialmente, lo si fa cominciare con la prima guerra mondiale. Nel 1914, dopo l’assassinio di Serajevo, l’Austria dichiarò guerra alla Jugoslavia che nel volgere di pochi mesi divenne guerra europea e quindi mondiale. Molti religiosi dovettero partire sotto le armi, diversi conventi furono presi dallo stato e adibiti ad ospedali e tutte le famiglie religiose ebbero un periodo di affievolimento nelle loro iniziative apostoliche. Anche i francescani subirono le stesse conseguenze. Terminata la guerra, ridettero una nuova spinta al loro rinato fervore apostolico e formativo.

212 Notitiae ex Curia Generalis Fratrum Minorum Conventualium Annis 1-3 Acta 1905, p.XIV; cfr P. L. Serrino, Asterischi di viaggio, CIMP, Falconara 1995, pp. 252-53; pp. 325s, L. Iannitto, Inshallah, Bollettino della Delegazione

generale del Medio Oriente, Febbraio 2001; S. Antonio in Istambul per gli anni 2000…, Istambul 2009.

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UN GRANDE APPUNTAMENTOI frati minori conventuali, da sempre avevano avuto la custodia del

sepolcro del Serafico Padre. Poiché si avvicinava il settimo centenario della morte del Santo, fin dal 1920 cominciarono ad organizzarsi per questa solenne ricorrenza, creando un comitato organizzatore presieduto dal P. Leone Cicchitto, letterato, teologo e filosofo.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica al grande evento fu fondato un periodico illustrato, di grande formato, dal titolo “S: Francesco”. Mentre il Cicchitto era il direttore della prestigiosa rivista, alcuni dei collaboratori più illustri furono Faloci-Pulignani, Francesco Pennacchi, Andrea Tini ed altri studiosi del francescanesimo. Nel 1925 la rivista ebbe come direttore il P. Achille Fosco che pubblicò anche diversi libri su Francesco e il francescanesimo, e continuò la grande opera di sensibilizzazione nel popolo, “raggiungendo lo scopo di ravvivare l’imperiosa memoria di quel grande italiano che avendo richiamato i contemporanei suoi alla fonte pura del vangelo, insegna a noi per quale via, in questo mondo turbolento, possiamo ritrovare l’amore e la pace”. Il 4 ottobre 1926 “nessuno fu trovato impreparato alla celebrazione di quella grande ricorrenza, e il mondo intero partecipò alla festa di un uomo che da sette secoli ripeteva alle coscienze dell’umanità: “Pace e Bene”. Le celebrazioni segnarono il “massimo dell’apoteosi che la Chiesa e la società possano tributare ad un uomo…”.Intervenne anche la Chiesa per bocca del Sommo Pontefice Pio XI che con l’enciclica “Rite expiatis” del 1926, ricordava che “Francesco col vittorioso apostolato suo e dei suoi… gettò le fondamenta di un rinnovamento sociale, operato radicalmente in conformità dello spirito evangelico”213, e la famiglia conventuale, tramite il fervore culturale, mistico e liturgico e soprattutto rievocativo della Chiesa, per la missione svolta dal Santo Patriarca, si sentì rianimata e fortificata dalla speranza di un futuro luminoso, e spronata ad una ripresa della vita evangelica della fraternità.

In quegli anni di grande fervore spirituale c’era un grave problema da risolvere: rientrare in possesso del Sacro convento di Assisi. Dopo la soppressione del 1866, il Sacro Convento era stato incamerato dallo Stato italiano ed era utilizzato dal comune di Assisi come “Convitto nazionale per orfani di guerra”. I superiori maggiori dell’Ordine avevano fatto richiesta per ritornare in possesso della loro Casa Madre e Capo della famiglia francescana, ma inutilmente. Il comune pretese che i frati costruissero uno

213 Mariano Bigi (a cura), Magistero dei Papi e fraternità secolare, Roma 1985, p. 128ss.

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stabile dove trasferire il “convitto Nazionale”. I Conventuali, con l’aiuto del popolo e degli uomini di governo vicini alla Chiesa, edificarono un grandioso stabile nella parte alta di Assisi che era già pronto nell’estate del 1927, ma gli imbrogli burocratici non si districavano, quando, intervenendo di autorità Benito Mussolini, e troncato di colpo il groviglio degli ostacoli, la sera del 3 ottobre 1927, tramite il ministro Fedele riconsegnava il Sacro Convento all’Ordine che, in numero di 150 frati e aspiranti religiosi ritornavano “per vivificare e rianimare religiosamente quelle venerande mura”.

Con la chiusura dell’anno centenario e la restituzione del Sacro Convento di Assisi, la famiglia Conventuale si rimise in movimento perché i figli del Poverello si resero conto di essere i depositari di un messaggio attualissimo che proveniva dal Padre e di cui il mondo aveva bisogno: portare al mondo il vangelo della semplicità e dell’amore. Questa spinta di rinnovamento e di alta testimonianza evangelica dette nuove energie a tutti i francescani: ai membri delle tre famiglie del primo Ordine, alle Clarisse e ai francescani secolari.

LA CROCIATA MISSIONARIAPio XI, conscio “che l’apostolato è la sostanza più vera e più preziosa del

Pontificato romano”, diede un largo impulso alla diffusione della Chiesa in terra di missione. Lavorò con passione per rianimare le missioni ad gentes e scrisse pure l’enciclica “Rerum Ecclesiae”. Richiamò i religiosi ad aprire nuove missioni nel mondo ancora lontano dalla fede, e proclamò patroni delle missioni S. Teresa del Bambino Gesù e S. Francesco Saverio. Il nostro Ordine rispose all’appello del Pontefice con la creazione della “Crociata missionaria”, voluta dal Ministro generale Domenico Tavani, il 23 febbraio 1924. Essa era intesa come pia opera di collaborazione missionaria tra i fedeli e come istituto di reclutamento per le vocazioni missionarie. Era la “santa riscossa” dell’Ordine per formare, preparare e aiutare a far crescere le vocazioni missionarie da inviare nel mondo infedele. Lo stesso sommo Pontefice benedisse ed incoraggiò questa nobile iniziativa definendola “nuova fiamma apostolica provvidamente ridestata nell’Ordine”, nella speranza che “la veneranda famiglia dei Conventuali terrà ad altissimo onore il nuovo prezioso virgulto”. I Ministri generali Alfonso Orlini, Domenico Tavani e Beda Hess lavorarono molto per organizzare bene la Crociata e soprattutto ridonarono una grande spinta missionaria all’Ordine.

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La Crociata missionaria, oltre a preparare i giovani per le terre lontane, ebbe il merito di venire incontro alle necessità dell’Ordine nei collegi di Assisi e di S. Bonaventura in Roma, ed è stata amata da tutti i frati fino al suo scioglimento durante il generalato del PadreVittorio Costantini, negli ultimi anni ’50.

Nel 1924 l’Ordine apriva in Cina la missione di Hinganfu, nello Shensi. Nello stesso anno rinasceva il collegio missionario, col titolo di Scuola apostolica per le missioni. Nel 1929 aveva inizio la missione di rito bizantino-slavo nella Moldavia.

P. Massimiliano Kolbe, nel 1930 apriva una missione in Giappone, nella diocesi di Nagasaki. Nel 1931 la famiglia Conventuale si dette delle nuove costituzioni in consonanza con il nuovo diritto canonico; inoltre proprio in quell’anno era affidata all’Ordine la missione di Ndola in Rodesia Settentrionale; nel 1937 fu aperta la missione di Buitenzorg, nell’isola di Giava e nel 1940 fu aperta quella di rito bizantino greco in Albania. C’era un risveglio missionario in senso universalistico.

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P. MASSIMILIANO KOLBE O LA GRANDE RIPRESAP. Kolbe era nato a Zdunska Wola, vicino Lodz (Polonia) l’08.01.1894.

Al fonte battesimale aveva ricevuto il nome di Raimondo. Entrato nell’Ordine dei conventuali nel 1907, visse i primi anni nel collegio di Leopoli; dopo l’anno di noviziato in cui prese il nome di religione Massimiliano Maria, il 05. 09. 1910 emise la professione religiosa. Terminato il corso umanistico nel 1912, fu mandato a Roma nel collegio serafico internazionale dell’Ordine, per continuare la sua formazione filosofico-teologica e soprattutto spirituale, per essere ordinato Sacerdote. Nel 1915 si laureò in filosofia nella pontificia università Gregoriana e nel 1919 conseguì la laurea in teologia nella Pontificia facoltà teologica S. Bonaventura. Il 16.10.1917 fondò la Milizia dell’Immacolata, movimento mariano a servizio della Chiesa e della causa di Dio nel mondo sotto la guida dell’Immacolata. Tornato in Polonia nel 1919, dette inizio all’apostolato mariano, fondando circoli mariani e nacquero le prime riviste come “Il Cavaliere dell’Immacolata”. Nel 1927 fondò la “Città dell’Immacolata Niepokalanow” che fu un vero centro di spiritualità mariana. Il suo apostolato fu quello della stampa che si presentava con 8 pubblicazioni. Nel 1930 partì per il Giappone dove fondò una seconda città dell’Immacolata “Mugenzai-no-Sono”. Nel 1936, ritornato in Polonia, lavorò per incrementare Niepokalanow che, nel 1937 contava ben 762 religiosi Erano uomini di cultura e semplici operai, aviatori e pompieri, gente semplice e scrittori. Tutti avevano un solo scopo: lavorare per estendere la devozione alla Madre di Dio e attraverso essa, raggiungere Gesù. A Niepokalanow si viveva la “perfetta povertà”: tutto era per il Signore, nulla era concesso agli uomini. Nel 1939, quando arriveranno i nazisti per arrestarlo per la prima volta, questo centro sarà il più grande complesso editoriale polacco, ma tutto al servizio dell’Immacolata.

Tra le riviste curate e stampate a Niepokalanow, la più prestigiosa era sicuramente “Il Cavaliere dell’Immacolata”; che raggiunse centinaia di migliaia di copie in pochi anni; tanto da essere letta da quasi tutte le famiglie della Polonia. Nel 1937 “Il Cavaliere” aveva una tiratura di ben 750.000 copie. “Il Cavalierino dell’Immacolata”, giornalino per i ragazzi, ne contava 180.000 e il “Piccolo giornale” aveva una tiratura di ben 150.000 copie nei giorni feriali e oltre 220.000 nei giorni festivi, il Miles Immaculatae con 40.000 copie e tante altre pubblicazioni come Il calendario del Cavaliere

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dell’Immacolata, la Cronaca della Milizia, l’Eco di Niepokalanow, Bollettino di informazione delle Missioni, ecc…

Nel 1941, arrestato nuovamente dalla Gestapo, fu condotto nel campo di concentramento di Oswiecim. Fuggito un prigioniero, furono presi dieci prigionieri da condannare a morte nel “bunker della fame”. Tra i dieci c’era un padre di famiglia, di nome Francesco che piangeva e gridava: “Addio mia moglie! Addio miei figli!”. Massimiliano al sentire quel grido di dolore uscì dalla fila dei prigionieri e si presentò al comandante tedesco, chiedendo di offrire la sua vita al posto del padre di famiglia che lui non conosceva. Fu accolto e si recò con gli altri nove dove portò conforto e speranza nella vita eterna. L’anticamera dell’inferno diventò l’anticamera del Paradiso.

Per l’Ordine francescano conventuale P. Kolbe è stato un vero secondo fondatore del secolo XX°, ha fatto quasi raddoppiare il numero dei frati in campo, oltre ad aver portato l’Ordine nel Giappone dove oggi ha una Provincia religiosa, fiorente e vivace.

S. Massimiliano Kolbe dovrebbe essere studiato con amore da tutti i francescani e, se possibile, essere imitato. I frati minori conventuali dovrebbero imitare l’esempio del grande polacco e portare avanti il suo stile di vita nel nostro tempo per vedere se il suo modo di agire e di vivere è ancora attuale. Il Papa Giovanni Paolo II nel discorso pronunziato in occasione della canonizzazione, chiamò “Massimiliano santo del nostro difficilissimo secolo”. Se Lui è il Santo del secolo breve e difficile, può essere anche il Santo che ci insegna a vincere le difficoltà e a ridare speranza al mondo, senza statue e senza orpelli esterni, ma con il suo esempio e l’amore a Cristo e a Maria.

“Fu capo, padre, maestro di spirito e di scienza, avendo insegnato per 9 anni filosofia e teologia; ebbe spiccate qualità intellettuali. Il fascino della poliedrica figura di questo martire della carità cristiana, che lo spinse a dare la vita al posto di uno “sconosciuto”, nel campo di concentramento di Oswiecim, è vissuto e continua a vivere in quanti lo conobbero o ne vengono a conoscenza”214.

La spiritualità mariana del grande francescano deve essere studiata conosciuta e amata come anche lo spirito della Milizia non può essere

214 Piacentini E., Kolbe Maksimilian-Maria, in DIP Vol 5, 362-367. cfr Rovagna M., Una storia d’amore Vita di S. Massimiliano Kolbe , Roma 2003; M. Winowska, Storia di due corone, Roma 1952; P. A. Ricciardi, B. Massimiliano Kolbe, Roma 1971; P. S. Cancheri, S. Marrimiliano Kolbe, Roma 1982.

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sopportato con tanta neghittosità dai frati. Se vogliamo un risveglio prodigioso dell’Ordine bisogna riprendere la ricetta dataci dal caro ed eroico fratello, anche leggendo ciò che lui pensava del francescanesimo conventuale nel nostro tempo.

DAL CONCILIO AD OGGIDopo la pubblicazione del nuovo Diritto Canonico, nel 1919, tutti gli

istituti religiosi dovettero aggiornare le loro costituzioni ed anche i Conventuali aggiornarono le loro costituzioni che erano restate quasi inalterate dal tempo di Urbano VIII, nel 1627. Così nel 1931, sotto il generalato di P. Domenico Tavani, furono pubblicate le nuove costituzioni che dettero nuovo slancio ed entusiasmo a tutti i religiosi. Si stava avviando una nuova fase di vita per tutti gli Ordini e Congregazioni quando scoppiò la seconda guerra mondiale (1939-45).

La seconda guerra mondiale ha creato un lungo periodo di stasi spirituale per tutti gli istituti religiosi e per la stessa Chiesa. E’ diventata una profezia la famosa frase di Pio XII: “Con la guerra tutto si perde, con la pace tutto si può salvare”. Fu scatenata la guerra ed ha creato morte e distruzione nelle nostre città, sconforto nei cuori degli uomini e vuoto spirituale in tutti, anche nei religiosi! Terminato il conflitto mondiale, bisognò asciugare le lagrime, curare le ferite, ricominciare a ricostruire le città e soprattutto gli stessi uomini e donne.

Negli anni 1946-1960 i religiosi si sono impegnati a reclutare vocazioni e a creare grandi collegi dove educare i giovani ad una vita povera, obbediente e casta, secondo i dettami del Maestro divino. E’ stato un periodo di grande sviluppo per gli istituti. Anche i Conventuali hanno lavorato molto per la “reclutazione” e preparazione dei giovani alla vita religiosa. Hanno aperto nuovi collegi, hanno incrementato quelli di antica fondazione come Assisi, Padova, Cracovia, ecc., hanno costruito il nuovo Collegio internazionale nella zona dell’EUR in Roma, e vi hanno destinato religiosi sempre meglio formati e periti nelle scienze umane, oltre che teologiche e filosofiche. Si è venuti incontro alle esigenze dei nuovi tempi.

Però già sotto il pontificato di Pio XII la Chiesa sentiva l’urgenza di un rinnovamento che si respirava nell’aria e nelle stesse Congregazioni romane. Le encicliche “Mystici corporis” del 1943 e “Humani generis” del 1950, avevano dato una nuova visione della Chiesa Corpo mistico di Cristo. Le idee ecclesiologica e cristocentrica andavano assumendo un ruolo

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importante nei pensatori e teologi del momento. Morto Pio XII nel 1958, fu eletto Papa Angelo Giuseppe Roncalli che prese il nome di Giovanni XXIII. Questi dopo solo alcuni mesi dalla elezione manifestò il desiderio di celebrare un Concilio e lo annunziò in pubblico Concistoro, indicendone l’apertura per 11 ottobre 1962, giorno nel quale i Padri conciliari dettero inizio ai suoi lavori che si protrassero fino al 7 dicembre 1965 quando fu chiuso con un solennissimo discorso di Paolo VI. Il Concilio, guidato dallo Spirito Santo, ha ridato un volto nuovo alla Chiesa; è stata un’occasione per riaprire la porta della speranza nel cuore degli uomini che oggi si riconoscono Chiesa. Anche i religiosi hanno trovato un lavacro di rigenerazione nel Concilio che ha dedicato ad essi il capitolo VI della “Lumen Gentium” e il decreto “Perfectae caritatis”. Il Concilio ha richiamato i religiosi a ristudiare il carisma del fondatore e a mettersi alla sequela di Cristo perché essi sono stati “eretti per l’edificazione del corpo di Cristo e perché abbiano a crescere e a fiorire secondo lo spirito dei fondatori”. I francescani Conventuali, guidati da ottimi Ministri generali, hanno rimeditato i loro carismi e, dopo aver aggiornato le Costituzioni, le hanno pubblicate ufficialmente nel 1984; rianimati, hanno ripreso la vita evangelica nella fraternità con lo spirito del Serafico Padre.

Però quasi in concomitanza con il Concilio, si è avuto una profonda crisi nella società civile, prodotta da un effimero benessere economico e da una concezione esistenziale avulsa da Dio. Si è cominciato a parlare di spirito libertario, di mondo post-cristiano e post-moderno, secolarizzato e laico, ammalato di indifferentismo e di ateismo pratico.

Queste idee hanno intaccato e contaminato la famiglia e, in essa, i giovani. Il miraggio di un guadagno facile e l’esaltazione del piacere a buon mercato hanno assopito nel cuore degli uomini i grandi ideali.

Anche la vita religiosa è stata intaccata da questo pensiero debole e laico: in ambito ecclesiastico, nel quindicennio tra il 1965 e il 1980, si è stati spettatori di giovani seminaristi e di sacerdoti che hanno abbandonato gli istituti, quindi c’è stato lo svuotamento dei seminari mentre i sacerdoti più anziani venivano richiamati nella casa del Padre.

Anche i francescani Conventuali hanno avuto qualche perdita, ma è stata una purificazione perché da verso 1980 si è avuto una ripresa spirituale tra i frati rimasti ed una accentuata attività vocazionale dell’Ordine, accogliendo giovani di buona volontà. Proprio in quegli anni di crisi è nato il movimento

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“Giovani verso Assisi”, una rianimazione della “Gifra” e tanti altri gruppi sorti nel nome di Francesco.

I Ministri generali di questi ultimi 40 anni, P. Basilio Heiser (1960-72), P. Vitale Bommarco (1972-83), P. Lanfranco Serrini (1983-1995), P. Agostino Gardin (1995-2001), P. Joachim Giermek (2001- 2007), P. Marco Tasca (2007…) hanno lavorato e lavorano per una maggiore aderenza della fraternità a Cristo, tramite l’insegnamento del Padre Serafico. Nel Capitolo del 2007 si è avviato anche la “revisione sistematica delle attuali Costituzioni” per renderle smpre più attinenti allo spirito del Serafico Padre e alla vita dei frati del ventunesimo secolo. Si è parlato anche della “formazione alla missione che deve costituire l’impegno prioritario per tutto l’Ordine…”. Ci si augura che durante il sessennio “La Commissione per la Formazione continui l’elaborazione del Documento della Ratio Studiorum” dell’Ordine215.

Voglio ricordare lo sforzo operato dall’Ordine nel Capitolo del Messico del 1992, presieduto dal Ministro generale Lanfranco Serrini, che cercò di cogliere “l’identità francescana” della famiglia Conventuale in tre parole: “fraternità, minorità e conventualità: dimensioni da vivere in una totale dedizione alla missione”216.

Il Capitolo straordinario di Ariccia del 1998 ha discusso sulla “formazione nell’Ordine”, e ha riconosciuto, con molto realismo, che “l’analisi della situazione dell’Ordine fa emergere una sensibilità nuova che sta crescendo e che fa prendere coscienza in maniera particolarmente acuta della difficoltà, in molte comunità della nostra famiglia religiosa, ad armonizzare adeguatamente la vita di preghiera-contemplazione, nelle sue varie espressioni, con l’attività apostolica”. Quindi i frati vengono richiamati ad una vita di preghiera più intensa e ad una fraternità in comunione. Non valgono tanto le opere quanto la fraternità, la preghiera assidua, la vita vissuta nei voti di povertà, obbedienza e castità e la familiarità con il Cristo crocifisso e risorto.

Soprattutto dal dopo Concilio, i frati sono stati invitati dalla Chiesa a prendere le parrocchie, e la vita parrocchiale è molto esigente, se si vuole fare bene il proprio dovere; a volte non si ha tempo per meditare e riflettere adeguatamente sui misteri che si trattano. C’è bisogno di pause di riflessione e di giorni di meditazione. Solo la preghiera assidua può dare valore alle

215 Comentarium Ordinis fratrum minorum Conventualium fas. 2 2007, p 143-145.216 Documento del Capitolo Generale Straordinario, Messico 1992, pp. 6-12.

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attività parrocchiali. L’Ordine sta prendendo coscienza della importanza dell’unione con il Signore217.

MISSIONE ED ESPANSIONE DELL’ORDINE DAL DOPO-GUERRA AD OGGI

L’Ordine negli ultimi 60 anni, si è esteso in ogni parte del mondo, tramite missioni aperte dalle singole Province, incoraggiate dal Ministro generale. La Provincia dell’Immacolata Concezione USA, nel 1946 inviava dei missionari in Brasile dove fondavano un Commissariato provinciale, nel 1970 è diventata Custodia ed oggi ha 7 case. La stessa Provincia americana apriva delle case in Canada che nel 1976 proclamava Custodia provinciale del Canada. Oggi è formata da 5 conventi. Sempre la stessa Provincia sin dal 1946 aveva inviato dei missionari nel Costarica che oggi è delegazione provinciale con 2 conventi. Nel 1968 il Provinciale di Bologna inviò alcuni frati missionari in Indonesia, nel 1985 la missione era cresciuta tanto da essere proclamata Custodia con 7 conventi. Nel 1949 alcuni missionari padovani arrivarono in Brasile. Nel 1955 la missione fu dichiarata Commissariato dell’America latina e nel 1981 fu proclamata Provincia religiosa. Nel 1977 alcuni frati missionari spagnoli si recarono in Columbia e nel 1994 fu eretta la Custodia della Columbia che ha 5 case. Nel 1980 alcuni frati maltesi si recarono in India; nel 1995 è stata proclamata Custodia ed ha una decina di case. La Provincia di Napoli nel 1979 inviava alcuni missionari nelle Filippine; nel 1989 veniva dichiarata Custodia filippina ed oggi è ricca di vocazioni ed ha circa 60 religiosi indigeni e 6 conventi. Nel 1949 la provincia patavina inviò diversi frati in Francia dove furono aperte alcune case religiose (Bordeaux, Fontcouverte, Narbonne, Tarbes), che nel 1970 sono stati eretti a Custodia provinciale. Nel 1976 i Provinciali di America e di Padova inviarono alcuni frati missionari in Ghana; nel 1994 è stata eretta la Custodia del Ghana ed ha 5 conventi. La Provincia polacca di S. Antonio ha delle delegazioni provinciali in Germania con 2 case, in Italia con 1 casa, in Slovacchia con 5 case, in Russia con 1 casa, in Ucraina con 2 case, in Uzbekistan con 1 casa, in Paraguay con 1 casa, in Perù con 4 case, dove nel 1991 furono uccisi tre missionari, due polacchi e uno italiano (P. Miguel Tomaszek a. 31, P. Zbigniew Strzalkowski a. 34, P. Alessandro Dorni Negroni a. 61. Il Provinciale di S. Antonio di Padova della Polonia inviava missionari in

217 Commentarium Ordinis F. M. Conv., a. 1998, fas. 2, pp. 485ss.

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Bolivia nel 1977; nel 1986 era eretta la Custodia provinciale di Bolivia con 7 conventi. La Provincia delle Puglie ha aperto una missione in Venezuela nel 1979 ed oggi ha due conventi. La provincia dell’Immacolata di Polonia ha una delegazione in Biellorussia con 7 conventi, una delegazione in Germania con 3 conventi, una delegazione in Russia con 4 conventi, una delegazione in Tanzania con 3 conventi. Nel 1974 ha aperto anche una missione in Brasile che nel 1983 divenne Custodia ed ha 9 conventi. La Provincia di S. Massimiliano di Polonia ha una delegazione in Germania con 5 conventi, in Lituania 2 conventi, in Russia un convento, in Svezia 2 conventi, in Equador 3 conventi, in Kenia 3 conventi. Le Province di Padova e dell’Immacolata di Polonia hanno aperto una missione in Canada la quale, nel 1974 fu eretta a Custodia ed oggi ha 9 conventi. La Provincia di Padova nel 1947 inviò missionari nell’Argentina o Rioplatense, nel 1961 fu dichiarato Commissariato provinciale e nel 1989 è stata eretta a Provincia. Questa provincia si estende anche in Uruguai. La Provincia Romana ha aperto una missione in Brasile. Nel 1977 la provincia siciliana aprì una missione in Messico. Oggi è florida custodia con 7 conventi e circa 50 religiosi. La Provincia Slovena ha due case religiose in Austria. Alcuni missionari espulsi dalla Cina, nel 1958 si recarono in Corea dove fondarono una missione che nel 1975 divenne Custodia ed oggi è eretta a Provincia, con grande fioritura di vocazioni. Il numero dei conventi può aumentare o diminuire, a seconda dei momenti storici, ma c’è un grande fermento missionario in tante parti del mondo218.

Con la caduta del muro di Berlino e la fine del sistema comunista nei paesi dell’Est, anche l’Ordine dei Conventuali ha ripreso a fiorire: tra le tante regioni dove era presente dai tempi antichi, va ricordato lo splendore delle due province dove c’è una ridente primavera di vocazioni e di apertura missionaria: la Polonia e la Romania; anche le altre regioni dell’Est stanno rifiorendo come la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Bulgaria, oltre che alle diverse regioni della ex Jugoslavia. La Provincia di Padova ha pure una delegazione provinciale in Portogallo con 4 conventi ed una delegazione provinciale in Cile con 2 conventi. La Provincia di Malta inviò dei missionari in Australia nel 1953, nel 1964 fu dichiarato Commissariato provinciale. Nel 1969 fu eretta a Custodia generale. Ed ha 4 conventi.

Alle missioni già accennate e che alcune stanno per essere dichiarate Province, mentre il Giappone la Corea e lo Zambia già hanno raggiunto

218 Album Generale dei frati minori conventuali, Roma 2005.

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questa meta negli ultimi anni, di recente sono sorte tre nuove missioni: Angola dove sono andati missionari brasiliani, Cuba dove si sono recati tre frati missionari delle Marche e della Sardegna e il Burkina Faso dove ci si trovano 5 frati missionari dell’Abruzzo e della Polonia.

Oggi l’Ordine dei frati minori conventuali è così costituito: 37 Province, 14 Custodie provinciali, 3 Custodie generali, 17 delegazioni provinciali e tre missioni219.

ATTIVITA’ DELL’ORDINE E PERSONAGGI ILLUSTRI DEL SECOLO XX

L’ordine ha i suoi grandi centri culturali in Roma con la facoltà teologica “Seraphicum” di S. Bonaventura con la rivista storico-teologica Miscellanea Francescana; Padova con l’Istituto teologico S. Massimo, affiliato al Seraphicum, e pubblicano le riviste: Il Santo, il Messaggero di S. Antonio, con tante altre attività editoriali; l’istituto teologico Franciscanum di Assisi; negli Stati Uniti St. Antony-on Houdson, che è affiliato all’università cattolica di Washington dal 1949; Cracovia-Polonia “S. Francesco” studio generale dal 1628, l’Istituto teologico di Roman in Romania, affiliato al Seraphicum, ecc.

Tra le riviste importanti dell’Ordine va ricordato anche “Città di Vita” di Firenze. In Polonia Niepokalanow troviamo “Il Piccolo Giornale”, “La Milizia di Maria Immacolata” che oggi raggiunge le 700.000 mila copie, mentre prima della seconda guerra mondiale aveva toccato il milione di copie in certi periodi forti dell’anno e con edizioni staordinarie. In Assisi abbiamo la rivista “S. Francesco Patrono d’Italia” che continua, in forma minore, l’attività culturale della bella e brillante rivista degli anni 1920-30 “S. Francesco”. Anche il Giappone ha la rivista “Cavaliere dell’Immacolata”, con una tiratura di 40.000 copie, la rivista cattolica più diffusa del paese del Sol Levante.

Durante questo secolo, e soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale, l’Ordine ha aperto e sviluppato diverse iniziative: a Padova nacque l’Opera del pane di S. Antonio nel 1887; in Transilvania, nel 1923, nacque un centro di lavoro intorno alla tipografia della rivista “Domenica”; in Ascoli Piceno sorse un Pio istituto del Sacro Cuore nel 1926 e in Ancona quello dei figli dei marinai (1947); anche Padova nel 1949 fondò un Orfanotrofio Antoniano. In Giappone fra Zeno Zebrowski era conosciuto come Madre

219 Album Generale, O. F.M. Conv., 2005.

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Teresa a Calcutta; ha lavorato per tutta la sua vita tra i ragazzi poveri, hantikappati, orfani del Giappone, fondando per essi la “città fattoria” e subito dopo guerra aveva creato il Villaggio delle formiche che fu uno dei più grandi centri di baraccati, ospitando nei pressi della stazione ferroviaria di Tokio oltre 6000 senzatetto. Moriva dopo 54 anni di permanenza nella terra del Ciliegio in fiore, il 24 aprile 1982.

Grandi missionari del secolo sono stati P. Massimiliano Kolbe che ha aperto la missione in Giappone ed ha svolto una missione intensa anche in Polonia, soprattutto attraverso la stampa e la radio; va ricordato Francesco Mazzieri missionario in Zambia dove è stato anche vescovo ed è morto in concetto di santità. Ottimo missionario è stato anche il P. Angelo Rucci che è restato per un trentennio nello Zambia dove è vissuto ed ha annunziato il vangelo, con gioia e serenità.

Un grande apostolo e diffusore della devozione mariana, è stato P. Pietro Pal, rumeno, che, dopo essere stato un confondatore della Milizia dell’Immacolata con il P. Kolbe, tornò in Romania e nel 1923 fu nominato parroco di Liuzi-Calugara. Si dimostrò “uomo raro per virtù e capacità” apostolica. Fece erigere una monumentale chiesa parrocchiale; per la gioventù studentesca aprì un liceo-ginnasio parificato ed edificò un collegio per gli aspiranti alla vita religiosa. Essendo uomo di vasta cultura, scrisse “L’origine cattolica della Moldavia”. Quest’opera gli valse il titolo di “difensore del popolo moldavo”. Il Pal fu un vero missionario “di vaste iniziative ecumeniche, aprì in Transilvania una Missione di rito cattolico bizantino, promovendo con ogni mezzo l’unione della Chiesa Ortodossa con la Chiesa Romana”. Vittima di un gesto d’amore per un ammalato di tifo esantematico, moriva al canto della Salve Regina, il 21 giugno 1947. P. Stefano Ignudi, teologo e dantista, fu rettore del collegio internazionale per molti anni; guidò Massimiliano Kolbe mentre studiava a Roma e si preparava al sacerdozio, approvò la fondazione della Milizia dell’Immacolata, spiegò grande attività nell’Ordine e nella Curia Romana. Ha lasciato oltre un centinaio di scritti editi tra i quali ricordiamo “Il sistema politico di Dante”, “Commento alla divina commedia”. P. Leone Veuthey, discepolo di S. Bonaventura e figlio di Francesco, ha pensato secondo la dottrina del Dottore Serafico, ma ha vissuto la regola del Padre nella sua integrità. E’ stato mistico e santo per la vita vissuta secondo Dio, ed ha illuminato i suoi alunni con opere di grande spessore culturale e spirituale. Ricordiamo: “Filosofia cristiana di S. Bonaventura”(1943), “ Ut omnes

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unum sint” (1947), “La donna delle dodici stelle” (1958), “Il Mistero del reale: amore, conoscenza, essere” (1960), ecc. P. Leone Cicchitto (1972), ottimo insegnante di dommatica nel Collegio internazionale Seraphicum per un quarantennio; tra le pubblicazioni ricordiamo “Postille bonaventuriano-dantesche” e la polemica su Clemente XIV. Nel campo storico vanno ricordati P. Luigi Palomes, storico di Francesco e del francescanesimo, P. Giuseppe Abate, infaticabile ricercatore di notizie storiche come “La casa dove nacque S. Francesco”; “La casa paterna di S. Chiara”; “Il Primo breviario Francescano”, ecc… P. Corrado Eubel (1923) ha continuato il Bullarium Franciscanum iniziato dallo Sbaraglia ed ha iniziato l’opera “Hierarchia Catholica”. P. Domenico Sparacio, siciliano, tra le opere ricordiamo “Frammenti Bio-bibliografici di scrittori ed autori minori conventuali” (1931). P. Gustavo Parisciani, marchigiano, ha scritto molto sulla provincia marchigiana e su S. Giuseppe da Copertino ed anche sulla storia dell’Ordine come “La riforma tridentina e i frati minori conventuali”, ecc.

Il secolo XX è stato anche un tempo di santità per l’Ordine: abbiamo P. Rabbuini (1902), i martiri della Spagna proclamati beati: Beati Alfonso Lopez, Miguel Ramon Salvador, Modesto Vegas, Dionisio Vincente Ramos, Francisco Remon Jativa, Pedro Rivera; P. Massimiliano Kolbe, “il santo del nostro difficilissimo secolo”; gli oltre 70 frati morti nei campi di concentramento di Germania, di Polonia, di Russia, durante l’ultimo conflitto mondiale, i quattro martiri del Perù già ricordati, fra Zeno l’apostolo dei poveri e dei bambini abbandonati del Giappone, Mons. Giovanni Soggiu martirizzato in Cina. Accanto a tutti costoro ci sono molti religiosi vissuti nell’aderenza completa alla regola del Serafico Padre ed alcuni sono in fase di beatificazione come il P. Leone Veuthey, ecc…

La Famiglia Conventuale ha avuto sempre ottimi artisti ed anche nel secolo XX ci sono stati musici e pittori di rilievo; tra i musici ricordiamo P. Domenico Stella (1956) che tra l’altro ci ha lasciato una Missa patriarchalis a più voci e il famoso Cantico delle creature; P. Bernardino Rizzo (1968), uomo dal grande respiro musicale: tra le altre opere ricordiamo il dramma “Mistero di S. Cecilia”, il “Trittico Dantesco”, gli oratori “S. Francesco, il Santo, Paolo di Tarso, ecc”… Tra i pittori ricordiamo due illustri artisti del secolo: P. Stefano Macario napoletano (+2003) che ha dipinto moltissime tele che si trovano in diverse chiese e case private del napoletano e d’Italia, e P. Giovanni Lerario romano di nascita, pugliese di origine e abruzzese per

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scelta (+1973), che oltre a dipingere tele e quadri, ha dedicato tutta la sua vita ad affrescare chiese in diverse parti del mondo, come a Fatima, a Liverpool, a Longiano, a Riccione, a Loreto, a Pescara, a Silvi, ecc… . Sono molte le nazioni che custodiscono opere pittoriche di questo maestro220.

Oggi l’Ordine dei Conventuali conta c. 4400 religiosi e dagli anni sessanta ad oggi è stato l’ordine che ha avuto le minori perdite nell’ambito degli istituti religiosi. Per avere un’idea sulle statistiche degli Ordini religiosi dagli anni ’60 ad oggi basta leggere le tabelle del DIP221. Per le ultime statistiche, si può controllare il “Conspectus Generalis Ordinis die 31 decembris 2008, pubblicato sul Commentarium Ordinis222.

II PARTES. CHIARA D’ASSISI e il Secondo Ordine223

S. Chiara nacque nel 1193 da Favarone ed Ortolana, due nobili signori appartenenti alla famiglia Offreducci, che avevano il palazzo sulla piazza prospiciente la chiesa di S. Rufino, nel centro della città di Assisi. La bambina cresceva alla scuola della mamma Ortolana “che alla nobiltà e alla

220 N. Petrone, P. Giovanni Lerario, OFMConv. –L’uomo, il religioso, l’artista a trent’anni dalla morte, Silvi Marina 2003.

221 DIP, X, 811.222 Commentarium Ordinis fratrum Minorum Conventualium an 106 fas. 1 2009 p51.223 Fonti Francescane nuova edizione, Padova 2004, 2740-3315. Cfr C. A. Lainati,

Chiara d’Assisi, Porziuncola 1988; J. Grèal, Chiara d’Assisi, pianticella di Francesco, Mappano 1993; V. Marina, Chiara d’Assisi, Padova 1990.; Colette Roussey- Pascal Gounon, Nella tua tenda per sempre, Storia delle clarisse, Città di Castello 2005.

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ricchezza, aggiungeva doti morali di carità e di pietà”. La bimba apprese dalla madre la preghiera e la generosità verso i poveri che si aggiravano per le vie di Assisi sul finire del secolo XII. Anche per la ricca Assisi, quello fu momento di squallore e di miserie, tanto da passare alla storia come tempo della “fame mortale”.

Spinta dalla mamma, la piccola Chiara si privava dei suoi cibi raffinati per inviarli, tramite Bona di Guelfuccio, agli innumerevoli orfanelli della città.

Inoltre, pur dovendo comparire sempre elegante in pubblico, per il decoro della illustre famiglia, essa portava un piccolo cilicio per mortificare il suo corpo. Col passare degli anni, la ragazza diventava signorina, e la famiglia pensava di prepararla alle nozze con qualche giovane di buona famiglia, ma essa non voleva che i parenti le parlassero di questo argomento perché si riteneva “sposa di Cristo”.

Nelle case di Assisi spesso si ragionava delle virtù della figlia di Favarone e tutti erano stupiti di tanta grazia e splendore della fanciulla.

Poiché anche Francesco era ritenuto dal popolo “uomo nuovo della valle spoletana”, insieme a fra Filippo Longo, più volte si incontrò con essa che era sempre accompagnata da Bona di Guelfuccio.

Durante questi incontri, il Padre “la esortava a disprezzare il mondo, dimostrandole con linguaggio ardente, che sterile è la speranza fondata sul mondo e ingannatrice ne è l’apparenza; instilla nelle sue orecchie la dolcezza delle nozze con Cristo”.

Chiara, convinta più dalla vita che viveva Francesco nella pace del Cristo risorto che dalle parole che le diceva, decise di abbandonare il mondo e le sue vanità per consacrarsi al Cristo, diventando il tempio della Santissima Trinità.

La sera del 28 marzo 1211, domenica delle Palme, uscendo da una porta secondaria del superbo palazzo, segretamente abbandonò i suoi cari e si recò nella chiesetta di S. Maria della Porziuncola. In questa chiesetta, dedicata alla Madonna degli Angeli, si trovavano i frati accanto al Padre e pregavano il Signore in attesa dell’evento. Come giunse la giovane vergine, fu accolta dai frati che avevano le fiaccole accese tra le mani. Non appena entrò in chiesa, si pose davanti all’altare, il Padre si avvicinò ad essa con le forbici in mano e le tagliò le bionde chiome, consacrandola al Signore. Con quel gesto si sentiva separata dal mondo e resa “sorella, sposa e madre del Figlio

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dell’Altissimo e della gloriosa Vergine”, consacrandosi per tutta la vita. Rivestita di un ruvido saio, si trovò anche lei una “creatura nuova”.

Francesco, notte tempo, la condusse nel monastero benedettino di S. Paolo delle Abbadesse, nelle adiacenze di Bastia. Lì sorella Chiara iniziò la sua vita monastica, ma il giorno seguente, quando i familiari appresero la notizia della fuga notturna della giovane, corsero al monastero, e con preghiere, suppliche, blandizie e infine con violenze fisiche, tentarono di riportarla a casa, ma essa aggrappata alle tovaglie dell’altare, si levò il velo che le copriva la testa e mostrò la sua consacrazione a Dio. I parenti continuarono il pellegrinaggio nel monastero di S. Paolo per qualche giorno, fino a quando, o lei non fu più disposta a sentire le lamentele dei suoi o le monache le suggerirono un altro asilo, cambiò monastero, recandosi a S. Angelo di Panzo, sulle pendici del monte Subasio, sempre monastero benedettino. Sedici giorni dopo che Chiara aveva abbandonato la casa, gli affetti e gli agi, anche la sorella Agnese lasciò il mondo e si recò nel monastero di S. Angelo, accanto alla sorella Chiara. La famiglia ebbe un moto di grande orgoglio e reagì violentemente a questa seconda fuga. Lo zio Monaldo, in compagnia di un manipolo di soldati si recò nel monastero per strappare Agnese dai suoi “perversi desideri”, ma le prepotenze dello zio furono frustrate dalla preghiera di Chiara. Agnese divenne come piombo, pesante e duro da non potersi spostare e il manipolo degli armati dovette ritornare a mani vuote a casa.

Anche Agnese fu consacrata a Dio dal Padre Francesco. Però le due sorelle non trovarono in quel monastero l’appagamento del loro desiderio, e dietro consiglio di Francesco, furono condotte a S. Damiano.

Qui trovarono l’appagamento ai loro ideali perché potettero incarnare lo spirito di Francesco innamorato del Crocifisso a cui aveva chiesto: “Signore, che vuoi che io faccia?” S. Damiano parlava di povertà, di preghiera, di ricerca di Dio nella semplicità. Lì cominciarono ad arrivare le prime amiche di Chiara e di Agnese per condividere con esse gli stessi ideali, vivendo da “sorelle povere”. La famiglia religiosa aumentò rapidamente nello spirito di Francesco e dei suoi frati, ma creò anche l’ira di tante famiglie umane che avevano fatto progetti di grandezza mondana per le loro ragazze e che invece lasciavano tutto e si ritiravano in S. Damiano.

Nel 1216, Giacomo da Vitry parlava delle due famiglie di Francesco e di Chiara come di due stupende realtà della Chiesa di Dio, con meraviglia e gioia: “Si chiamano fratelli minori e sorelle minori… le donne invece

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dimorano insieme in alcuni ospizi non lontani dalle città, e non accettano alcuna donazione, vivono col lavoro delle proprie mani. Non piccolo è il rammarico e turbamento, vedendosi onorate più che non vorrebbero da chierici e laici”.

Giacomo ci fa sapere che “vivono in luoghi fissi, sono divise dai frati, ma, come questi, abbracciano la povertà come dono, lavorano e cercano l’umiltà nell’osservanza del vangelo”.

Il programma di vita di Chiara e delle sorelle povere fu lo stesso di Francesco, anche se agli inizi furono costrette ad adottare la regola benedettina. I punti chiave della loro vita si basava su “fare penitenza, seguire il santo vangelo, vivere in altissima povertà, in fraternità cristiana e nella fedeltà alla Chiesa Cattolica”.

Verso il 1215, per obbedienza a Francesco e al Vescovo di Assisi, Chiara accettò l’incarico di abbadessa del monastero di S. Damiano che dovette svolgere per tutta la vita, e poco dopo, verso il 1217, Francesco dettò per il monastero una breve regola o formula vitae. Chiara, pianticella di frate Francesco, svolse questo incarico nell’umiltà, con carità, disponibilità e santo amore verso le sorelle. La sua grande passione verso Cristo eucaristico, crocifisso e risorto la infervorava verso la povertà assoluta che era stata la prerogativa di Gesù e di Maria, la Vergine poverella.

Da badessa, la prima cosa che chiese a Papa Innocenzo III fu “il privilegio della povertà”, come lei ci riferisce nel testamento e il biografo tratteggia nella “Leggenda”. Il 17 settembre 1228, Papa Gregorio IX le confermava “il proposito di altissima povertà, concedendovi con la presente lettera che nessuno vi costringa a ricevere possessioni”.

Poiché subito iniziarono le fondazioni di nuovi monasteri, prima in Umbria e Toscana, e subito dopo anche fuori di queste regioni, il Cardinale Ugolino stese delle “norme” secondo lo stile della loro vita di S. Damiano e le inviò ai monasteri di Monticelli a Firenze, di Gattaiola a Lucca, di Porta Camollia a Siena, e di Monteluce a Perugia (1219). Praticamente, il cardinale approvava le disposizioni interne datesi dalle stesse sorelle povere di S. Damiano e le diffondeva anche agli altri monasteri. Il Papa Innocenzo IV nel 1247 emanò una nuova regola per le “Recluse dell’Ordine di S. Damiano”. Il papa, conoscendo lo stato di difficile sopravvivenza delle monache, diede ad esse la possibilità di possedere dei redditi in comune. Tra il 1247 e il ’52 Chiara elaborò una sua regola sulla falsa-riga della regola bollata del primo Ordine (1223) e la presentò al Papa. Questa regola, dove

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risplendeva il Privilegium paupertatis, fu approvata dal Papa Innocenzo IV due giorni prima che la Santa morisse, il 9 agosto 1253. Questa è conosciuta come regola Innocenziana ed era riservata al solo monastero di S. Damiano. Accanto alla regola di Chiara, il papa Urbano IV, a dieci anni dalla morte della Santa, dette una nuova regola nella quale c’è il permesso di possedere in comune. Durante il tempo delle due regole, troviamo la Regola delle Minoresse, redatta dalla Beata Isabella di Francia per il monastero delle damianite di Longchamp che ammetteva di possedere comunitariamente e fu confermata dal Papa Alessandro IV nel 1259.

Dopo la morte della Santa le regole che hanno avuto maggior rilievo sono state quella di S. Chiara e soprattutto la Urbanista che si diffuse nella stragrande maggioranza dei monasteri fuori di Assisi.

Urbano IV pubblicò la sua regola con la bolla “Beata Clara” del 18 ottobre 1263, dove il Papa dichiara esplicitamente che tutte le monache che si ispiravano a Chiara “formano l’Ordine di S. Chiara”, quindi tutte le monache che si ispiravano alle damianiti dal quel momento furono definitivamente chiamate “Clarisse”.

Ritornando a Chiara, possiamo dire che visse una vita ascetico-mistica tra le più ardenti di tutti i tempi: Fu un’anima eccelsa per virtù e amore, una sposa fedele del Cristo crocifisso e risorto; per avere un’idea più aderente alla realtà della sua vita, basta leggere le struggenti lettere inviate alla figlia e consorella Agnese di Praga dove si scorge una persona che pur avendo i piedi poggiati sulla terra, ha il cuore tuffato nel mare d’amore di Dio. Fu guida spirituale delle sorelle povere, consolava le afflitte, confortava le tribolate, lavava i piedi delle questuanti, assisteva maternamente le inferme, aveva il sorriso per tutte. Fu esempio di anima orante, seppe contemplare il volto del Cristo sposo, gustò le bellezze del Paradiso qui in terra. Si è posta accanto a Francesco con umiltà e rispetto e sembra quasi sovrastata dalla sua grande figura anche perché i frati, per rivalità tra le varie “fondazioni e rifondazioni francescane”, hanno tentato di lasciarla in ombra lungo i secoli. “Senza tale reticenza, scrive Sabatier, Chiara si troverebbe oggi fra le più grandi figure della storia”. La sua grandezza sta nel coraggio di seguire Francesco, nel desiderio di imprimere a sé e alle sue consorelle lo spirito di povertà di Gesù di Nazaret, nell’immenso amore mistico che conquistò il suo animo e lo congiunse a Cristo. Due giorni prima che rendesse la sua bella anima a Dio, il 9 agosto 1253, poté baciare più volte la regola

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approvata dal Papa Innocenzo IV, e il giorno 11 ritornava, contenta al Padre Celeste.

LA PROPAGAZIONE DELL’ORDINE DELLE CLARISSE

I monasteri di suore che si ispiravano alla vita di S. Damiano, ben preso si diffusero in tutte le regioni d’Italia e d’Europa, anche se con una propagazione meno veloce del Primo ordine, e molto presto troviamo monasteri nell’Umbria, in Toscana, a Milano, ecc… e anche in Abruzzo subito sorsero dei monasteri ispirati alle damianite.

Chiara pur restando chiusa nel monastero di S. Damiano, era conosciuta in tutta l’Europa e tutti parlavano di essa. Quando in un luogo arrivavano i frati minori, questi chiedevano ai vescovi il permesso di far installare anche un monastero di suore damianite perché queste erano come parafulmini: con la loro preghiera impetravano i favori celesti, mentre i religiosi svolgevano l’apostolato itinerante tra le diverse categorie sociali. Ed ecco il rapido sviluppo del ramo femminile della famiglia francescana.

Le clarisse, mentre era viva S. Chiara, dipendevano dal primo Ordine. Con la regola di Urbano IV, tutti i monasteri delle clarisse furono posti alle dipendenze del Cardinale Protettore; Bonifacio VIII li restituì alla piena giurisdizione dell’Ordine minoritico, secondo le norme fissate dalla regola Innocenziana del 1247.

Nel secolo XIV, le sorelle clarisse, nel loro insieme, sotto le diverse regole, all’inizio del nuovo secolo dettero l’esempio del distacco dai beni, per vivere nella libertà e nello spirito dell’assoluta povertà, ma con l’andare degli anni, e soprattutto dopo la peste del 1348-50 che distrusse mezza Europa, “la maggior parte dei monasteri delle Clarisse finirono per accettare delle proprietà, così come era permesso dalla Regola di Urbano IV… Solo una decina di monasteri, al massimo, osservavano integralmente la Regola di Santa Chiara e vivevano in altissima Povertà”-224. Molti monasteri furono “costretti” dai pontefici o dagli stessi sovrani, ad accettare i beni economici: “Il Re Alfonso vi edificò per le clarisse di Lamacum un nuovo monastero, più grande e più bello, presso la città di Santarem e lo fornì di una abbondantissima dotazione. Alessandro IV, con tre lettere apostoliche, dispensò le religiose di clausura dal voto di povertà in comune, fin dal trasferimento. Ma siccome esse non ne tennero conto, per la quarta volta il

224 C. Roussey- P. Gounon, o. c., p. 212.

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Sommo Pontefice, sulle istanze del Re, obbligò le Clarisse, turbate nel loro zelo per la povertà, ad accettare in nome dell’obbedienza i doni del Re”. Quindi aggiungeva: “prestando volentieri un benevolo appoggio alle preghiere del Re, noi ordiniamo alla comunità, con le presenti lettere apostoliche e in virtù della santa obbedienza, di accettare senza ritardo il suddetto reddito, non ostante qualsiasi statuto del vostro Ordine”225. Nei monasteri, la vita spirituale era curata discretamente bene: la santa messa quotidiana; l’ufficio divino cantato e recitato con fede, imitando anche i “cori benedettini”. Poi c’era il tempo per la preghiera privata o personale. In diversi monasteri, dopo il mattutino, che era recitato di notte, le suore che godevano più salute, restavano in orazione fino al mattino. Ciò non ostante, qualche abuso c’era tra le monache: qualche suora che aveva rendite private; in qualche monastero c’erano suore che “ereditavano personalmente beni dalle loro famiglie e li gestivano in totale indipendenza, ecc…226”. A causa dei tempi calamitosi nei quali si viveva, per le frequenti guerre che infuriavano nelle varie contrade d’Europa, per le pestilenze che mieteva migliaia di vittime, per i terremoti che distruggevano contrade intere, ecc…, si potevano avere anche dei disguidi nell’ambito delle comunità maschili e femminili..

IL SECOLO XV E LE RIFORME.Il secolo XV fu tempo di riforme e di purificazione per i francescani in

genere ed anche per le Clarisse che stavano perdendo lo smalto originario.Una delle grandi riformatrici o, per meglio dire, innovatrici dell’Ordine

delle Clarisse fu S. Colette (+1381). Essa non ha riformato nessun monastero, ma ne ha fondati ben 15 durante la sua vita227. “la serie delle fondazione, in Francia e all’estero, proseguì mirabilmente anche dopo la morte della Santa”228. Nel 1974 le suore Colettine erano 1795 con una

225 L. Wadding , a. m., a. 1385, t. IX, p.51. Dietro questi fatti, lo Storico conclude con amarezza: “Con questo mezzo e con altri , essendo introdotta presso le Clarisse la proprietà in comune, cominciò a sparire questo segno distintivo, unico della povertà evangelica”. T. IV, p. 187.

226 C. Roussey-P. Gounon, o. c., p. 229.227 A. Blasucci, Clarisse Colettine in DIP, vol 2, 1132-34.228 Ibidem.

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novantina di case e sette federazioni229. Il fervore che suscitò S. Coletta fu enorme e molte ragazze e donne pie vollero consacrarsi al Signore, ma guidate dagli osservanti, non entrarono tra le colettine o in monasteri già esistenti, bensì in monasteri di nuova fondazione. Queste monache più vicine agli Osservanti, in alcune regioni d’Europa e in Francia presero il nome del “Gruppo dell’Ave Maria” ed adottarono la Prima Regola di Santa Chiara e le Costituzioni di S. Coletta. In Italia uno dei riformatori delle Clarisse fu Giovanni da Capestrano. Nel 1447, dopo aver predicato alle terziarie di L’Aquila, queste chiesero di passare all’Ordine di S. Chiara e “fecero la professione della Prima Regola secondo i riti, i costumi e le istituzioni del monastero del Corpus Christi di Mantova, (già riformato da Giovanni). La loro superiora, la Beata Antonia da Firenze(1400-1472), fu una delle grandi figure della riforma nel secolo XV … . Grazie a Giovanni da Capestrano, ottenne dal Papa Nicolò V il convento disabitato del Corpus Christi di questa città e vi si ritirò con dodici compagne per vivere secondo la regola di Santa Chiara”230.

Va ricordata anche la riforma del Monastero di Monteluce di Perugina, che non fu spontanea, ma costretta in quanto si era unito ad esso il monastero di Santa Maria degli angeli in Perugia e il Cardinale protettore vi aveva aggiunto anche il monastero “Favarone” anch’esso di Perugina. Quindi si volle che questo monastero osservasse la Prima Regola di S. Chiara

In Sicilia, S. Eustochia di Calafato (1430-14859, con difficoltà, uscì dal monastero di Basicò di Messina nel 1458 e, con l’autorizzazione del Papa, si ritirò nel monastero di Montevergine, anch’esso di Messina, con altre due sorelle che volevano aderire alla “Regola data da S. Chiara”. “Il Montevergine di Messina irradiò a sua volta l’Italia del Sud:…Nel 1472 Eustochia fu chiamata dall’arcivescovo di Reggio Calabria e dal comune, che desideravano avere un convento di Regolare Osservanza”231. Possiamo accennare anche alla fondazione del monastero di Camerino per merito della Beata Camilla Battista da Varano. Questa nobildonna, appena ventitreenne decise di entrare in monastero di Urbino. Il padre che non voleva che la figlia fosse lontano da casa, fece rinnovare un antico monastero olivetano nella città di Camerino e 8 suore con Camilla, da Urbino si recarono a

229 Ibidem.230 C.Roussey-P. Gounon, o. c., p. 337.231 Idem, p. 340

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Camerino e fondarono questo monastero nel 1484, abbracciando la Prima Regola di S. Chiara. Nel 1502 Cesare Borgia conquistò Camerino e fece sgozzare il Padre di Suor Camilla Battista, mentre tre suoi fratelli furono fatti prigionieri e uccisi. Fu ricercata anche suor Camilla Battista che scappò nel monastero di Atri. Il trionfo del Borgia fu di breve durata e nel 1503 l’ultimo fratello della Beata riprese il potere. Tra il 1505 e il 1507 Suor camilla Battista fu inviata a Fermo dove fondò il monastero di Santa Maria delle Grazie che adottò la Prima Regola di S. Chiara. Sia a Fermo che a Camerino, suor Camilla Battista più volte fu badessa.

LE CLARISSE E I PROTESTANTI

Dopo il 1525, molti paesi d’Europa aderirono al protestantesimo, diventando luterani, calvinisti o anglicani. Poiché vigeva il principio che la religione del Principe doveva essere anche la religione dei sudditi, in Germania, in svizzera nei paesi scandinavi e il Inghilterra nel volgere di pochi anni, anche le sorelle clarisse dovettero abbandonare i loro monasteri. I monasteri che troviamo in queste nazioni sono in maggioranza Urbaniste risalenti al secolo XIII, ma non mancavano anche monasteri di recente fondazione che osservavano la Prima Regola di S. Chiara. Diverse suore, preparate teologicamente, culturalmente e spiritualmente seppero affrontare anche i “Capi spirituali della nuova religione”. Suor Caritas badessa del monastero di Norimberga e donna di vasta cultura ebbe la visita di Filippo Melantone e questi parlò molto della nuova dottrina, “ma quando intese da me”, disse suor Caritas, “che ci basiamo sulla grazia di Dio e non sulle nostre proprie opere, disse che noi possiamo salvarci sia nel chiostro che fuori del chiostro, dal momento che non leghiamo nessun merito ai nostri voti. Diceva che i voti non ci vincolano, e io rispondevo che si era obbligati a mantenere con il soccorso della grazia, quello che si era promesso a Dio. Nei suoi discorsi era più sensato di tutti gli altri luterani che ho inteso…”232. Una quindicina di monasteri furono chiusi in Germania; 7 monasteri furono chiusi in Svizzera; una decina di monasteri furono chiusi in Inghilterra ed altri in altre regioni d’Europa

Con le guerre di religione, furono chiusi 4 monasteri (Nimes, Oloron Béziers e Lione) furono chiusi anche in Francia.

232 Idem p. 509.

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LA RIFORMA DELLE CLARISSE CAPPUCCINE

Nei primordi della famiglia cappuccina , a Napoli c’era una nobildonna catalana di nome Maria Lorenza Richenza Longo, vedova del magistrato del regio consigliere Giovanni Longo, con il quale si era recato a Napoli nel 1506. Nel 1510, guarita miracolosamente da un male incurabile nella Santa Casa di Loreto, si consacrò al Signore nel Terz’Ordine francescano. Tornata a Napoli, fondò l’ospedale degli incurabili di Napoli e divenne l’anima della beneficenza partenopea. Nel 1535, insieme all’amica Maria Ayerbo d’Aragona, fondava un monastero di “convertite”, sotto la regola del TOF accanto all’Ospedale. Fu tanto il fervore di queste aderenti che anche molte persone oneste si associarono ad esse. Entrati i Cappuccini in Napoli, nel 1530, come loro costume, si posero al servizio degli incurabili e Maria Lorenza fu conquistato da questi nuovi figli di Francesco che stavano emettendo i loro primi vagiti; li aiutò a sistemarsi in S. Eframo Vecchio. Negli anni che seguirono fu Maria Lorenza che difese i Cappuccini dinanzi a Carlo V e al Papa Paolo III. Questa donna intrepida volle che confondatore di questo monastero fosse S. Gaetano da Tiene e fu appoggiato anche dal Cardinale Andrea Matteo Calmieri. Il monastero delle Terziarie francescano fu intitolato a S. Maria in Gerusalemme e lo stesso S. Gaetano lo affidò ai Cappuccini. Nel 1535 Maria Lorenza ed altre12 entrarono nel monastero di S. Maria di Gerusalemme. Papa Paolo III costituiva la Longo badessa. Il nome delle suore era “monache del Terz’Ordine di S. Francesco sotto la regola di S. Chiara”. Il 10 dicembre 1538 il Papa Paolo III confermò il monastero sotto la Regola di S. Chiara e lo affidò alla cura dei cappuccini, come aveva richiesta la stessa fondatrice. Era nata una nuova riforma delle clarisse che sarà foriera di santità nella Chiesa di Cristo. Nel volgere di un secolo, queste nuove sorelle di Chiara si spanderanno in diverse parti del mondo. La perla di questa famiglia religiosa è stata sicuramente S: Veronica Giuliani (1660- 1727), zelante nell’osservanza delle regole, attaccata alla povertà, anima altamente spirituale, che ci ha lasciato una relazione delle sue esperienze mistiche in 22.000 pagine manoscritte. Fu donna forte che subì anche segregazioni e sospensioni dalla Comunione da parte della Chiesa e lei accettò tutto con gioia e ripeteva: “Croce e tormenti son gioie e

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contenti; pene e tormenti, venite a me”. Niente lo ha fiaccato o allontanato dall’amore di Dio233.

SECOLI XVII E XVIII

Durante questi secoli si ebbe la massima espansione dei monasteri delle clarisse tanto che arrivarono al numero di 1100 monasteri dei quali, se si eccettuino trentacinque che si trovavano oltre mare, quasi tutti in America latina, gli altri erano tutti in Europa. Questi secoli non furono molto spirituali né per il popolo che, pur essendo seguito da un certo clero rispettoso della grazia di Dio, sentiva l’influsso degli uomini di cultura che respiravano aria malsana che puzzava di massoneria. Fu il secolo dell’illuminismo che credeva di poter dare la spiegazione razionale dei fondamenti della società e degli eventi naturali e straordinari dell’esistenza. L’economia e la politica che si presentavano come armi micidiali sempre pronte a scagliarsi contro gli stati concorrenti in cerca di predominio territoriale, economico e culturale, come avvenne tra l’Inghilterra e la Francia. Anche i monasteri erano pieni di persone, ma mancavano le vocazioni!. Non era tutto oro ciò che riluceva!I governi giurisdizionalisti, di diversi stati e staterelli d’Europa, compreso Venezia, parlarono di riforma dei monasteri, ma in pratica fu una vera e propria soppressione, tanto che le famiglie francescane furono ridotte ad un terzo degli effettivi e dei conventi. “La rivoluzione francese fu un altro rullo compressore contro gli Ordini Religiosi”234. Questa rivoluzione creò tanti martiri, soprattutto tra i religiosi che si opposero al giuramento alla costituzione civile del clero; ma la persecuzione non finì con la fine della rivoluzione; si presentavano anni ancora più drammatici: il periodo napoleonico. Negli anni 1807, 1809 e 1811 ci furono le soppressioni di tutti gli istituti di vita attiva e contemplativa in tutto l’impero. Le clarisse caddero nello stesso calderone, soprattutto in Francia e in Italia. Al tramonto di Napoleone i monasteri erano ridotti a 700.Anche dopo la fine dell’Impero napoleonico continuò il supplizio dei religiosi, perché tutti gli stati erano governati da principi che si ritenevano

233 F. da Mareto, Cappuccine, in DIP, vol.2, 184-192; cfr.L. Iriarte, o. c., p. 534s.; C. Roussay-P. Gounon, o. c., p. 634ss; F. Da Marito, Veronica Giuliani, in B.S. Vol,XII, 1050-1056.

234 C. Roussey-P. Gounon, o. c. p, 905.

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“illuministi e massoni anticlericali”, quindi hanno lottato per la distruzione della vita religiosa. Non sono riusciti nel loro scopo, anche se li hanno spogliato di tutto. I religiosi e le religiose sono usciti da queste prove fiaccati numericamente, ma purificati e rinnovati nello spirito di povertà secondo lo stile di frate Francesco.Già prima della seconda guerra mondiale, alcune suore avevano aperto qualche monastero in Africa; dopo il concilio, le diverse famiglie clarisse, oltre ad aver rinnovato le costituzioni, hanno preso anche la via delle missioni ed oggi troviamo 7 monasteri di clarisse in Australia-Oceania, 31 monasteri in Africa, 42 Monasteri in Asia, 70 monasteri nell’America Latina, 117 monasteri nel Messico, in Colombia 38 monasteri, 44 monasteri tra il Canada e gli Stati Uniti, Le varie nazioni d’Europa hanno circa 700 monasteri.Stando alle statistiche risalenti al 1971, quindi di quarant’anni fa, come sono state riportate nel libro di C. Roussey-P. Gounon, “Nella tua tenda, per sempre”, tutte le Clarisse erano circa 21.600 così suddivise: aggregate alla famiglia osservante: 13.322; aggregate alla famiglia conventuale 700; aggregate alla famiglia cappuccina 2.768; le Clarisse dell’adorazione perpetua 484; le Annunziate 112; Confezioniste 2.911; Terziarie Claustrale 1.310 235.Lo spirito di sorella Chiara è vivo ed operoso in tante parti del mondo dove sono i monasteri delle clarisse che continuano il loro apostolato con “la preghiera, l’adorazione, la lode e la riparazione”. Sono e restano parafulmini che intercedono come Mosè sul monte, con le mani alzare e il cuore immerso nella fornace ardente dell’amore di Dio. Esse sono e restano testimoni tangibili del Cristo Risorto e evangelizzatrici con il loro silenzio e spirito di raccoglimento, nella infinita carità del Risorto.

235 C. Roussey-P. Gounon, o. c. p. 1052.

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TERZA PARTEORDINE DELLA PENITENZAO O DEI FRANCESCANI

SECOLARI

Senza entrare nel grande problema se Francesco abbia fondato o no l’Ordne della Penitenza, così lungamente discusso dal Meersseman, vogliamo solo vedere cosa è successo nel secolo XIII tra Francesco e i laici e come li ha regolarizzati nella loro vita cristiana.

L’ordine penitenziale c’era sempre stato fin dai primi tempi della Chiesa: durante la persecuzione di Decio (249-51), molti cristiani che, dietro la efferatezza della persecuzione, ritornarono al paganesimo, terminata la persecuzione chiesero di essere riammessi nella comunione della Chiesa e questa impose delle severe e dure penitenze ai Libellisti. Più tardi stabilì che per tre peccati capitali si veniva espulsi dalla comunione e per poter essere riammessi, c’era bisogno di un lungo tirocinio penitenziale: digiuni, pellegrinaggi, elemosine, ecc. Questi peccati che estromettevano dalla comunione erano adulterio, apostasia, omicidio; erano tre peccati di tradimento: tradimento nei riguardi del coniuge o della moglie, tradimento nei riguardi di Dio, tradimento nei riguardi del prossimo. Durante il medioevo le persone che avevano dei peccati da scontare o volevano mettersi in uno stato penitenziale, si vestivano con un abito adatto al loro stato di vita. Anche Francesco, nel primo momento dopo la sua conversione, si pose nello stato dei penitenti, per questo “il giudice competente, nel contrasto sorto tra lui e Pietro di Bernardone, fu il vescovo, al quale spettava l’accettazione ufficiale di un individuo che viveva nello stato dei penitenti”. Francesco molto presto lasciò lo stato giuridico dei penitenti e abbracciò quello evangelico che è un qualche cosa di completamente nuovo nella storia della Chiesa. Dopo la fondazione dell’Ordine dei minori, anche i laici si accostarono a lui e gli chiedevano: “Che dobbiamo fare”? E’ vero che ci furono circostanze propizie per questo rinnovamento: dopo il mille, il laicato, a causa delle ricchezze che cominciavano ad affluire nelle tasche dei commercianti e dei borghesi, ebbe un risveglio verso la penitenza e la ricerca della propria identità e in questo influì molto la novità evangelica originale vissuta da Francesco.

Tommaso da Celano, pur non nominando i Penitenti né l’Ordine della penitenza, nei numeri 382-85 delle fonti parla della travolgente attività apostolica del Padre tra i laici che “passava tra città e castelli annunziando

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il regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati”, quindi aggiunge che “uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo”. Nella Leggenda perugina troviamo il racconto di una nobildonna di Lisciano che gli corre dietro, lo raggiunge, e alla domanda che le rivolge l’uomo di Dio: “Cosa posso fare per te, Signora?” Quella gli comunica che suo marito è un nemico di se stesso e della moglie perché non ama Cristo. Francesco dopo averla confortata e benedetta, la rimanda a casa con queste parole: “Va pure, troverai tuo marito in casa, e gli dirai da parte mia che prego lui e te, per amore di quel Signore che soffrì la passione di croce per noi, di salvare le vostre anime vivendo a casa vostra”. Tornata a casa, la donna narra al marito il suo incontro con Francesco e ciò che questi le ha detto di comunicargli. Il marito, con dolcezza e bontà accetta di vivere nella santità e nella pace, tanto che i due diventano di esempio anche agli altri. Per molti scrittori di Francesco e del francescanesimo sembra che si tratti già di laici che aderiscono allo spirito del Padre.

Andando per ordine, possiamo citare la vita prima del Celano che dice che “uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo”, e aggiunge: “A tutti dava una regola di vita, indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione”236. Ancora più chiara è la testimonianza del Tre Compagni: “Anche gli uomini ammogliati e le donne maritate, non potendo svincolarsi dai legami matrimoniali, dietro suggerimento dei frati, praticavano una più stretta penitenza nelle loro case”237.

La Leggenda perugina ci presenta un paese convertito e rinnovato dalla predicazione e dall’esempio di Francesco: Greccio: “E sovente, quando alla sera i frati di quell’eremo cantavano le lodi del Signore… gli abitanti del paese, piccoli e grandi, uscivano dalle case, si univano sulla strada, davanti al villaggio, e ad alta voce rispondevano a mo’ di ritornello, al canto dei religiosi: -lodato sia il Signore Dio!-. Perfino i bimbi che non sapevano ancora ben parlare, al vedere i frati, lodavano il Signore come potevano” 238.

236 Ff 383-85.237 Ff 1472.238 Ff 1581.

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Francesco, verso il 1215 scrisse per i laici la “Prima lettera a tutti i fedeli” che molto probabilmente servì come regolamento per essi nel loro primo momento di vita. Nel 1221 fu compilata la prima edizione del “Memoriale propositi” che è stata considerata come prima regola dell’Ordine della penitenza di ispirazione francescana. La edizione definitiva risale al 1228. Molto probabilmente questa Regola fu frutto dell’intervento di Francesco, di qualche giurista e del cardinale Ugolino.

I pontefici a partire da Gregorio IX fino a Nicolò IV hanno scritto tante bolle sull’Ordine e per l’Ordine dei penitenti francescani e lo posero non sotto il Primo Ordine, ma alle dipendenze dei vescovi. A proposito già Gregorio IX con la bolla “Detestanda”239 che fu ripubblicata nel 1244 da papa Innocenzo IV, esortava e richiamava gli aderenti all’Ordine dei penitenti a prestare umilmente ubbidienza, riverenza e devozione ai Vescovi e ai prelati240. S. Bonaventura, per dodici motivi, voleva che i frati non avessero preso sotto la loro tutela i “penitenti” francescani. 1)- per potersi occupare per la salvezza di tutti; 2)- per non essere coinvolti in giudizi secolari; 3)- per non essere compromessi in questioni di delitti o di debiti; 4)- per non essere costretti a soccorrere i penitenti che si trovavano in uno stato di necessità; 5)- per non essere diffamati nel caso di fornicazione o di adulterio da parte di una penitente; 6)- per non essere costretti a riportare la pace in caso di discordia; 7)- per non essere costretti a possedere armi e cavalli per difendere le città e i villaggi; 8)- per non essere accusati dai chierici di voler sottrarre le plebi dalla loro obbedienza; 9)- per non essere infamati nel caso di partecipare ai loro segreti capitoli, di competenza dei loro rettori; 10)- per l’impossibilità di mettere ordine fra persone che ci obbediscono solo se vogliono; 11)- per non essere accusati di avarizia ammettendo solo i ricchi e per non andare incontro a molti inconvenienti ammettendo solo i poveri; 12)- perché ai tempi di S. Francesco la situazione era diversa giacché la santità di Lui e dei suoi primi frati rendeva buono ciò che ora non lo è più”241.

Sin dagli inizi, questi laici aderenti allo spirito di Francesco furono detti “Penitenti”; già Gregorio IX, nella bolla “De Conditoris”, inviata ad Agnese

239 BF, t. 1, 3 Marzo 1928, p. 39s.240 G. Andreozzi , Storia delle Regole e delle Costituzioni dell’Ordine francescano

secolare, Perugia 1988, p. 40.241 Idem o.c., p. 43

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di Praga il 9 maggio 1238, ricordava che da Francesco traevano origine le tre famiglie: quella dei minori, quella delle recluse e quella dei penitenti che chiama “fratres tertii ordinis Sancti Francisci”. Nella “Vita di Papa Gregorio IX”, di autore ignoto, si legge: “Nel periodo in cui era Vescovo di Ostia, Ugolino istituì e portò a compimento i nuovi Ordini dei frati della Penitenza e delle suore recluse.

Ma anche l’Ordine dei minori, quando muoveva, incerto, i suoi primi passi, egli guidò, elaborando per loro una nuova regola, dando così forma a quel movimento ancora informe, e designando il Beato Francesco come Ministro e capo”242.

Anche gli scrittori francescani come Giuliano da Spira, negli anni 1232-33, affermava che S. Francesco ordinò tre ordini… Il terzo è chiamato ordine dei penitenti, ed è comune ai chierici e ai laici, alle vergini, ai continenti e ai coniugati e comprende l’uno e l’altro sesso. Anche S. Bonaventura scrive che S. Francesco “istituì poi un terz’Ordine, detto l’Ordine della penitenza”. Anche se queste espressioni possono intendere semplicemente una relazione di dipendenza, piano piano divenne il nome proprio dell’Ordine.

In ogni luogo dove c’era un convento di frati minori, sorsero comunità di laici che ripresentavano il carisma secolare del francescanesimo. A Padova, a Bologna a Perugina, ecc.. troviamo folte comunità di secolari che rispondevano a tutte le arti liberali e mestieri del tempo che si chiamavano “fratres Tercii Ordinis beati Francisci”.

Nei primi cinquanta anni dopo la morte del Padre l’Ordine della penitenza non ritenne urgente l’approvazione di una regola propria, ma con l’avvento del Concilio di Lione si creò una vera bufera per molti istituti che non avevano regole approvate dalla Santa Sede in quanto il Concilio aveva riaffermato le norme del Lateranense IV, proibendo la nascita di nuovi Ordini e sopprimeva quelli che non erano stati riconosciuti. Anche quelli riconosciuti dopo il Lateranense dovevano essere soppressi; in questa norma non cadevano gli Ordini dei Domenicani e dei Francescani perché troppo utili alla Sede Apostolica. I vescovi, tornati nelle diocesi, misero in esecuzione questo decreto per appropriarsi dei beni degli istituti non ancora riconosciuti e tentarono di sciogliere le fraternità penitenti, cercando pretesti per acquisire diritti sui loro averi. I fratelli penitenti ricorsero ai ripari e stesero una loro regola che fu approvata dal Papa francescano Nicolò IV nel

242 ff 2271; cfr. P. Rivi, Le origini dell’OFS, Roma 1988, pp. 162ss.

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1289, con la bolla “Supra montem”. In questa regola c’è una frase, nel capitolo XVI che suona: “Ma poiché la presente forma di vita fu istituita dal predetto beato Francesco, consigliamo che i visitatori e gli istruttori vengano scelti dall’Ordine dei frati minori…” 243. Questa espressione non avrebbe dovuto creare difficoltà all’Ordine della penitenza, se non che i pontefici ne fecero una interpretazione restrittiva, da trasformarla nei fatti ad un vero e proprio comando, rendendo l’Ordine della penitenza soggetto al primo ordine. Questa posizione è arrivata fino ai nostri giorni. Solo ora si sta tornando alle origini, ridando autonomia ai francescani secolari.I francescani secolari o della penitenza, tanto nella lettera ai fedeli, scritta da Francesco, come nel Memoriale Propositi e nella Regola “Supra Montem” di Nicolò IV, avevano le stesse norme: essere istruiti nel Santo Vangelo e nelle virtù predicate dal Signore, pregare costantemente con la Chiesa e per la Chiesa e dedicarsi alle opere sociali e di misericordia. Da laici avevano il compito di rendere più bello il mondo e di portare amore e rispetto verso tutti. Celestino V, durante il suo breve pontificato, nel 1294, concesse ai fratelli e sorelle della penitenza “l’esenzione dalle esazioni e il privilegio del foro”244. In pratica erano esentati dalla riscossione delle tasse e dal giudizio dei giudici civili, ma dipendevano solo dai magistrati ecclesiastici, perché ritenuti religiosi a tutti gli effetti.

Nello statuto di Matteo di Acquasparta per i penitenti della Toscana, pubblicati il 4 aprile 1298, al n. 4 si leggeva: “Inoltre, poiché la vostra regola comanda a voi la pace e interdice l’uso delle armi, alla cui religiosa osservanza voi vi siete obbligati volontariamente per il Signore,abbiamo ritenuto opportuno munirvi del privilegio dei religiosi e difendervi con il beneficio della protezione ecclesiastica”245. In Toscana durante il secoli XIV ci furono cori di benemerenze in favore dei Francescani secolari o “penitenti”. Il Papa e il collegio dei Cardinali ricevettero attestati e lettere in favore del Terz’Ordine. “Possediamo ben diciannove attestati firmati da vescovi, abbati, podestà di dieci città toscane: -La loro pietà e carità verso i poveri sono riconosciute da tutti; sono a tutti noti i loro meriti; essi conducono una vita lodevole, umile onesto comportamento, fervore e carità della fede cristiana; spiccano per nobiltà di natali e abbondanza di beni

243 G. Andreozzi, o. c., p.84.244 BF, IV, 2 settembre 1294, p. 330, Bolle “Dignum esse credimus” e “Desideriis

vestris”.245 G. Andreozzi, o. c., p. 129.

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temporali con i quali somministrano larghe elemosine ai poveri e ai servi di Dio; i fratelli e le sorelle danno santi esempi con la loro vita onesta e le loro opere buone…”246.

L’attività specifica dei terziari nell’ambito sociale si orientò subito verso la erezione e gestione di ospedali; anzi si ha notizia che questi avessero già vita in qualche modo. Erano modeste istituzioni, dalla vita precaria e discontinua, secondo l’inevitabile flusso dei vari fattori: personale, ospiti, mezzi…

In realtà a Genova i documenti parlano ora di una “casa di Dio”, in gergo Cadè, o domus misericordiae, ora di due; viene pure ricordato un hospitale de Cadeo fratrum minorum de Janua.

Uno storico locale, attento lettore di documenti d’archivio, dice che sarebbe stato il calzolaio terziario fra Mainaldo a fondare il primo ospedale prima del 1270; un secondo, sempre nella zona circostante al convento dei Minori, l’avrebbe fondato un altro terziario, pure calzolaio, fra Rolando, prima del 1293.

Non per nulla, già nel 1280, Giacomina, moglie di Nicoletto Mallone, facendo il suo testamento il 12 aprile, legava “libras duas pro singulis duobus domibus misericordie, que sunt apud Castelletum”, le quali vengono poi ulteriormente specificate da Pasquale di S. Siro quando, nel suo testamento del 20 marzo 1309, lascia 40 soldi agli infermi “de duobus domibus de misericordia de Sancto Francisco. Un ospedale fratrum minorum invece viene ricordato nelle disposizioni di Giacomina Di Volta del 1285. (Giacomina lascia 10 soldi “hospitali de Cadeo fratrum minorum de Janua”; Serra, moglie di Anselmo Busferio, nel 1302, lascia lire 5 “Hospitali fratrum minorum”). Sono gli stessi atti che, indirettamente, ci danno qualche ragguaglio sulla interna organizzazione delle istituzioni.

Alla divisione della eredità di Giovannuccio de Firnari, nel 1322, compare, tra gli altri rappresentanti di ospitali, un Joanninus de Placenta pro ospitali tercii ordinis sancti Francisci, non sappiamo se come hospetalarius, oppure quale semplice delegato. Le ultime volontà di Giovanni da Cremona, nel 1348, dispongono di soldi 10 a favore dei poveri di un ospedale che si dice fu del defunto frate Bertolino… Un ospizio sito nelle vicinanze del convento dei frati minori e frate Bertolino ne doveva essere il rettore. Come

246 Idem, o. c., p.133.

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chiaramente è detto “Hospitalarus Hospitalis tercii ordinis sanctis Francisci de Janua” quel Gaspare Riccio, che compare in un documento del 1411 247.

La regola di Nicolò IV ha guidato i fratelli della penitenza per 6 secoli.

L’Ordine della penitenza ha una storia gloriosa: ha accolto principi, re e regine, uomini dotti e semplici, cavalieri e umili operai. E’ stato un vero esercito della pace in un mondo bellicoso e feroce. Dal suo seno sono usciti moltissimi santi e maestri di vita per le famiglie per la società civile. Pier delle Vigne, scrivendo a Federico II, nel cuore del secolo XIII, poteva dire che l’Europa era tutta francescana e aggiungeva che “non vi sono dieci famiglie dove almeno una persona non sia francescana”. I “penitenti” sono stati gloriosi per semplicità e amore, per fede e attività apostolica in mezzo al popolo di Dio. Basta ricordare che hanno dato alla Chiesa una trentina di Santi e una quarantina di Beati, uno degli ultimi, in ordine di tempo, Giovanni XXIII. Con la nascita dell’Osservanza, Giovanni da Capestrano lavorò molto anche sul Terz’Ordine e la dipendenza dell’Ordine secolare dal Primo Ordine andò sempre più marcata, ma anche nelle attività del Primo Ordine fu aggregato l’Ordine secolare: In tutte le regioni d’Italia, “la ormai stretta connessione tra i fratelli del Terz’Ordine e i frati del primo c’induce ad immaginare che i primi fossero validi collaboratori dei secondi nella realizzazione delle iniziative che caratterizzano l’azione pastorale e sociale dell’Osservanza durante il Rinascimento”.

I terziari collaborarono, dove più, dove meno, con il primo Ordine nella fondazione dei Monti di Pietà e dei Monti frumentari, massime per la gestione di essi che ordinariamente era affidata ai laici. In Liguria furono due i Monti di Pietà di notevole importanza eretti nell’epoca: quello di Savona del 1480, e quello di Genova nel 1483. Le informazioni che li riguardano non sono purtroppo abbondanti.

“Possiamo riconoscere la presenza di almeno un terziario nella erezione del Monte di Pietà di Genova, sorto per iniziativa del Beato Angelo da Chiasso. Per la costituzione del Capitale del Monte, il beato era stato fornito dal Papa Sisto IV di particolari facoltà per un intricato caso di coscienza conseguente alla eredità di un certo Bendinelli Sauli. Fra Angelo, esaminati gli incartamenti relativi, aveva sentenziato in favore degli eredi,

247 C. Carpaneto, Il movimento francescano della Penitenza nel contesto sociale medievale dell’area ligure, in Il movimento francescano della penitenza nella società medievale, Roma 1980, pp. 186-188.

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mettendo loro la condizione di assegnare al Monte di Pietà di Genova £. quattromila e al Monte di Pietà di Savona cento ducati. Nel maneggio di queste somme interviene un Augustinus, che l’inesperto cassiere del nascente Monte qualifica come Pater e, per di più, appartenente ad un -secondo ordine-. Da altre fonti siamo però autorizzati a riconoscerlo del Terz’Ordine. Egli svolgeva la funzione di intermediario; riceveva le somme dai Sauli e le trasmetteva al padre Arcangelo Giustiniano, guardiano del convento del Monte. Infatti un frater Augustinus de Rocha, tercii Ordinis, risulta da altri documenti del tempo –procuratore- dei frati minori di N.S. del Monte”248. Anche in altre regioni come l’Umbria, Toscana, ecc. troviamo terziari che collaborano con i frati del primo Ordine nella gestione dei Monti di Pietà.

I fratelli della penitenza, soprattutto nel secolo XVI, si opposero al Primo Ordine che voleva ingabbiarli e ridurli alla “sua sottomissione e obbedienza”. Leone X , l’8 febbraio 1508, con la lettera “Romani Pontifici Providentia”, “vietava ai minori di ingerirsi nelle cose dei terziari della Congregazione lombarda, sotto pena di scomunica, e venivano eletti Difensori dei terziari l’Arcivescovo di Firenze, e i Vescovi di Cremona e di Imola”249. Con Leone X, i treziari persero la qualifica di persone “religiose”, con i relativi privilegi250. Il 6 gennaio 1514, Leone X, su richiesta “di tutti i diletti figli e figlie dell’ordine di San Francesco, detti della penitenza (si noti come i penitenti continuino a rifiutare il nome di terz’Ordine), (anche se il papa, dimenticando ciò che aveva scritto in precedenza), ribadiva il loro carattere di persone -religiose- e quindi in diritto di godere di tutte le immunità e libertà ecclesiastiche di cui godevano le altre persone religiose della Chiesa”. Clemente VII, con la Bolla “Ad uberes fructus” del 9 marzo 1526, voleva che i francescani secolari fossero chiamati “Ordine di S. Francesco della Penitenza”. Però già nel secolo XV, la famiglia dell’Ordine della penitenza si suddivideva in un triplice ramo: c’erano i fratelli con i voti e che vivevano in comunità, le sorelle che emettevano i voti ed erano nelle case e i fratelli che vivevano nelle famiglie e non emettevano i voti. Papa Paolo III nel 1547 approvò una regola “divisa in tre parti secondo i tre stati del medesimo Ordine: quello dei fratelli che vivevano in comunità, quello delle sorelle legate dai voti, ma viventi nelle proprie case, il terzo, che oggi

248 Idem, p. 196.249 G. Andreozzi, o. c., p.183.250 Ibidem.

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si direbbe dei terziari secolari. La regola del terzo stato riproduceva pressocchè testualmente quella di Nicolò IV, ma riassumendola in dieci capitoli…”251.

Nel secolo XVII, l’Ordine francescano secolare fiorisce anche nel nuovo mondo come il Brasile, il Messico, Gatemala ecc. ed ha due figure di eccezionale grandezza: S. Marianna Gesù de Paredes di Quito (+1645) e il beato Pietro Betancur (1626-1667) che si impegnò alla cura spirituale e sanitaria degli Indios del Guatemala. Anche le fraternità di questi paesi si muovevano sui ritmi della carità verso i fratelli e verso i bisognosi e i miserabili della società252. Non vanno dimenticati i numerosi martiri del Giappone tra i quali c’erano ben diciassette terziari che furono “crocifissi a Nagasaki nel 1597”253.

Il terz’Ordine era nato come Ordine a sé stante, indipendente dal Primo Ordine. Basterebbe rileggere ciò che scriveva S. Bonaventura durante il suo generalato. La frase della Regola di Nicolò IV che suona: “Ma poiché la presente forma di vita fu istituita dal predetto beato Francesco, consigliamo che i Visitatori e gli istruttori vengano scelti dall’Ordine dei minori…”254. Questa frase è stata presa come un comando e il Primo Ordine, dopo la sua scissione, ne ha fatto una bandiera in vantaggio delle famiglie del primo Ordine, quindi l’Ordine della Penitenza è diventato “l’Ordine di accessorio, di dipendenza, di frangia del Primo Ordine”. Il P. A. Boni ha chiaramente dimostrato l’indipendenza degli Ordini tra di loro: “Questi tre Ordini nati autonomamente, sulla base di una distinta regola di vita, per cui non è possibile ipotizzare nessun rapporto giuridico tra di loro. Questi tre Ordini sono stati (ordinati) tra di loro da S. Francesco unicamente sul vincolo dell’amore fraterno, proiettato verso l’amore di Cristo umile, povero e crocifisso (vincolo comunionale)”255. “A livello fondazionale il rapporto che sussiste tra il primo e il secondo Ordine esclude qualsiasi ipotesi di preminenza del primo Ordine nei riguardi del secondo, in quanto destituita di fondamento giuridico”256.

251 M. Bigi, L’universa salute, Roma 1990, p. 114..252 Idem, p.119.253 Ibidem.254 G. Andreozzi, o. c., Cap XVI, Della visita e della correzione dei trasgressori, p. 84 255 A. Boni, Tres Ordines hic ordinat, S. Maria degli Asgeli-Assisi 1999, p.145.256 Idem, p. 148.

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“Dobbiamo dire che anche il Terz’Ordine, nato dagli insegnamenti di Francesco, giuridicamente è nato pienamente autonomo nei riguardi del Primo e del Secondo Ordine” 257.

Lungo i secoli, ogni famiglia religiosa del Primo Ordine si è accaparrata una fetta dell’Ordine secolare e lo ha aiutato nella formazione, ma anche utilizzato ad uso e consumo. Oggi, dopo che l’Ordine secolare era indipendente in tutte le parti del mondo, ha ricevuto l’autonomia anche in Italia, e si sta rivalorizzando come “forza apostolica” del cristianesimo; che Dio lo renda sempre più aperto alla evangelizzazione come l’avrebbe voluto Leone XIII. Questo grande Papa, diventato Terziario francescano quando era Arcivescovo di Perugia e cardinale di Santa Madre Chiesa, il 30 maggio 1872, emettendo la professione nel convento di Monteripido, vicino Perugia, per merito del frate cappuccino padre Antonino da Reschio, si innamorò di Francesco d’Assisi, dei francescani e del Terz’Ordine. Giunto alla Cattedra di Pietro, approfittò del settimo centenario della nascita di S. Francesco per aprirsi seriamente alla sana devozione verso il Padre Francesco e verso il Terz’ Ordine di cui faceva parte. Scrisse la celebre enciclica “Auspicato concessum” il 17 settembre 1882. Questa “insieme alla basilica di Assisi e al Canto XI del Paradiso di Dante, è ritenuta il più splendido monumento al Poverello d’Assisi: S. Francesco è modello di tutte le virtù, l’immagine più perfetta di Cristo, la colonna della Chiesa, il Santo di tutti i tempi, l’ispiratore e il genio tutelare delle arti belle e della civiltà”258. Questo Papa “fece del Terz’Ordine e al Terz’Ordine una proposta: di una vita cristiana fondata sul Vangelo, vissuta nel vivo dei problemi del tempo, per porre rimedio ai mali sociali; di un rinnovamento dell’istituto che, senza mutarne la natura, lo rendesse più adatto a- ricondurre gli animi alla libertà, alla fraternità, alla uguaglianza… quali Gesù Cristo recò al mondo, e Francesco nel mondo ravvivò”-259. Il Papa parlando dei francescani secolari diceva: “I Terziari, nel difendere la religione cattolica, fecero belle prove di pietà e di fortezza: e se per cagione di queste virtù si attirarono l’ira dei tristi, ben ebbero ognora di che consolarsene nel più onorevole e più desiderabile dei conforti, che è l’approvazione dei savi e degli onesti. Che anzi Gregorio IX, nostro predecessore, encomiandone pubblicamente la fede

257 Idem, 157.258 G. Andreozzi, o. c., p.230.259 M. Bigi e L. Monaco (a cura), Magistero dei Papi e fraternità secolare, Roma 1985,

p. 21.

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e il coraggio, non si peritò di fare loro scudo della propria autorità, e di chiamarli, a grande onore, Milizia di Cristo, nuovi Maccabei. Nè era immeritata la lodo. Imperocchè poderoso aiuto al pubblico benessere veniva da quel ceto di persone che, tenendo fisso lo sguardo alle virtù e alle leggi del loro fondatore, si adoperavano al possibile di far rifiorire in seno alle corrotte città i pregi della vita cristiana”260. Questo Papa ebbe grande stima dell’Ordine secolare dei francescani anche perché incontrò una figura eccezionale in esso: Leone Harmel che fu amico di Papa Leone e propagatore del messaggio della enciclica Rerum Novarum tramite convegni e congressi. Nel settembre del 1900 si celebrò a Roma il primo congresso internazionale del Terz’Ordine, promosso dai Ministri generali dei Frati minori, dei Conventuali, dei Cappuccini e del Terz’Ordine regolare di S. Francesco.

Nel 1883, a causa delle nuove situazioni sociali e culturali, Leone XIII ne aggiornò la regola,261 donando nuovo stimolo alla fraternità laicale. Con l’avvento di S. Pio X sul soglio di Pietro, il Terz’Ordine fu posto un po’ in sordina, in quanto l’Azione Cattolica era l’unico movimento che la Chiesa appoggiava e difendeva direttamente e pubblicamente. Mentre i francescani potevano restare in Chiesa a pregare, l’Azione Cattolica aveva il compito di annunziare il vangelo e di svolgere l’apostolato tra le genti. Pio X ci tenne a ribadire che “il governo del Terz’Ordine è proprio dei religiosi del Primo Ordine”, -soprattutto per quanto concerne lo sviluppo dei congressi del TOF e gli argomenti da trattare262. Pio XI, il 26 febbraio 1923, rivolgendosi ai terziari della fraternità dell’Aracoeli, così si esprimeva: “Noi terziari,-diciamo noi, perché ricordiamo di essere tra i più antichi terziari francescani- abbiamo particolarmente caro l’Ordine francescano”263. Nella Enciclica “Rite Espiatis”, scritta il 30 aprile 1926 con cui dava l’avvio alla celebrazione del settimo centenario della morte del serafico Padre, così parla di Francesco e del Terz’Ordine francescano: “Ci siamo trattenuti su queste cose partitamene, affinché si veda come Francesco sia col vittorioso apostolato suo e dei suoi, sia con l’istituzione del Terz’Ordine, gettò le fondamenta di un rinnovamento sociale, operato radicalmente in conformità dello spirito evangelico… Così fin d’allora i Terziari non prestarono più il

260 Idem, p. 25.261 G. Andreozzi, o. c., p. 238..262 M Bigi e L. Monaco, o. c., p. 73.263 Idem, p.120.

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così detto solenne giuramento di vassallaggio, né venivano chiamati ai servizi militari o di guerra, né indossavano armi perché essi alla legge feudale opponevano la Regola del Terz’Ordine… Finalmente ci rivolgiamo ai Terziari, sia uniti in comunità regolari, sia viventi nel secolo, perché si adoperino anch’essi col proprio apostolato, a promuovere il profitto spirituale del popolo cristiano. Il quale apostolato, se al principio li fece degni di essere chiamati da Gregorio IX soldati di Cristo e novelli Maccabei, può anche oggi riuscire di non minore efficacia per la comune salute, purchè essi, quando sono cresciuti di numero su tuta la terra, altrettanto, fatti simili al loro Padre S. Francesco, diano prova d’innocenza e d’integrità di costumi… Quelli che non ancora abbiano dato il nome a questa gloriosa milizia, lo diano quest’anno dietro il vostro incitamento; e quelli che ancora non lo possono dare per ragione dell’età, si iscrivano candidati cordigeri, sì che fin da fanciulli s’avvezzino a questa santa disciplina”264. Pio XI, innamorato “dell’apostolato dei laici”, voleva che tutti i laici fossero apostoli e li richiamava a svolgere una seria azione cattolica in mezzo al popolo di Dio. Nel 1938, rivolgendosi ai Francescani secolari ebbe a dire: “Così la numerosa falange dei Terziari Francescani può essere anche particolarmente per l’Azione Cattolica, per questo speciale apostolato, che è partecipazione del laicato cattolico all’apostolato gerarchico della Chiesa”265. Ai terziari d’Italia ricordava: “Abbiamo letto altresì che vi proponete di portare il vostro contributo all’Azione Cattolica mediante la vita e l’apostolato. Proprio così: vita e apostolato. La vita nell’apostolato, l’apostolato nella vita. Proprio così, carissimi figli, perché dire vita è dire azione. Che cosa sarebbe, infatti, la vita senza azione?... Che cosa sarebbe?... Non c’è che un modo di concepirla una vita senza azione: è una vita letargo, addormentata. Allora, sì, la vita c’è, ma è una vita inerte”266.

Con la guerra ci fu un affievolimento dello spirito apostolico nel Terz’Ordine, e forse anche nel Primo Ordine, che aveva il compito di aiutare e incitare i laici all’apostolato. La guerra era stata causa di sbandamento per tutti e occorreva un momento di riflessione e di ripresa di coscienza. Il 1 Luglio 1956, Papa Pio XII salutava i Terziari Francescani d’Italia, ricordando “lo splendore di tante loro glorie”, la “fiducia che la Chiesa ripone in essi” e quindi aggiungeva: “La recente guerra può aver causato

264 Idem, pp 127-28 e. 135s.265 Idem, p. 139.266 Idem, p. 141.

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sul principio un periodo di stasi organica e forse di raffreddamento spirituale: ma, ora, come testimonia questa vostra magnifica adunanza, avete ritrovato il primitivo fervore, per fare del Terz’Ordine vostro una scuola di perfezione cristiana; di genuino spirito francescano; di azione ardita e pronta per la edificazione del Corpo di Cristo”267. Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II il 12 ottobre 1962. Questo Concilio è stato il momento più bello ed interessante del secolo Ventesimo: è nato un mondo nuovo che ha trovato energia nell’acqua della “antica fontana del villaggio” che è la Chiesa rivitalizzata dallo Spirito Santo. Con il Concilio anche gli Ordini religiosi sono stati incitati a rinnovarsi e c’è un’analisi per conseguire questo rinnovamento: “Il modo di vivere, di pregare, e di agire deve convenientemente adattarsi alle odierne condizioni fisiche e psichiche dei religiosi… Anche il modo di governare deve essere sottoposto ad esame secondo gli stessi criteri”268. Anche l’Ordine francescano secolare ha ricevuto un nuovo impulso dal Papa Paolo VI che, il 24 giugno 1978 approvò la loro nuova regola che si fonda sul vangelo e gli aderenti al Terz’Ordine “passano dal Vangelo alla vita e dalla vita al vangelo...”

OTTOCENTO ANNI DI FRANCESCANESIMO(Una pianta dalla radice profonda)

L’Ordine dei frati minori, nella primavera del 2009 ha compiuto ottocento anni ed ha una storia meravigliosa: con alti e bassi, successi e qualche fallimento, incontriamo martiri, confessori, dottori, uomini semplici, persone accoglienti e disposte ad ogni sacrificio: tutti pronti a

267 Idem, p. 153.268 Perfectae Caritatis 3, 712-713.

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seguire Francesco nell’amore al Signore e a vivere nella perfetta letizia. Questa storia ha avuto inizio nella primavera del 1209 quando Francesco e i suoi dodici primi compagni si recarono a Roma per incontrare Papa Innocenzo III e spiegargli come volevano impostare la loro vita comunitaria. “La regola e la vita dei frati minori è questa, osservare il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità…”, quindi quella storia aveva la sua origine nel vangelo di nostro signore Gesù Cristo! E’ una storia che viene proprio da molto lontano… I frati si sono preparati a questo grande evento, percorrendo un “itinerario della Memoria” che ha avuto il suo inizio nell’anno sociale 2005-06, con la prima riflessione sull’interrogativo di Francesco, inquieto e alla ricerca del significato della sua vita: “Signore, che vuoi che io faccia?” Francesco ricevette la risposta a questa domanda. Si spogliò dei panni, rinunziò ai beni paterni, si rivestì di Cristo e diventò l’uomo nuovo della Valle Spoletana. L’inquietudine esistenziale di Francesco è l’inquietudine dell’uomo che va alla ricerca della sua identità vocazionale.

Nel 2006-07 si è passati alla meditazione su: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così…”. Francesco si pose alla sequela del Signore e scoprì nel Vangelo la Parola che lo avrebbe guidato verso il Cristo povero, umile e crocifisso e questi lo avrebbe inviato “a riparare la sua Chiesa” e a “servire i lebbrosi”. Oggi, credo che si apra per i frati il cammino del “Vangelo vissuto e incarnato” e un itinerario sulla tomba di Francesco per interpellare il Padre sul come poter soddisfare la volontà di Dio nel quotidiano.

Nel 2007-08, l’attenzione è stata rivolta sul tema “Il Signore mi dette dei frati…”. Quindi ci si è misurati con la vita dei primi seguaci di Francesco nel romitorio di Rivotorto dove si poteva ammirare sorella povertà e umiltà, ma c’era anche sorella fraternità che adempiva ciò che aveva detto Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.

Oggi, ci si può chiedere: Che posto occupa nella nostra vita il Comandamento nuovo? Possiamo dire che l’amore reciproco abbia conquistato il cuore di tutti i religiosi? Possiamo asserire che le nostre fraternità sono evangeliche ed apostoliche, o lasciano ancora a desiderare su questo problema? Non ho la presunzione di dire che “tutto va bene”; sarebbe un’ingiuria contro la verità; però è altrettanto falso e farisaico asserire che tutto va male. C’è speranza che possa migliorare ciò che già si sta realizzando...

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Il 2008-09 ci ha offerto lo spunto per riflettere su “la Regola e la vita dei frati minori è questa: osservare il santo vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo…”.

Il dono della Regola è quello di vivere il Santo Vangelo e obbedire alla Madre Chiesa. Francesco quando ebbe i primi discepoli non sapeva cosa fare e pregava: “Signore che vuoi che io faccia”? E’ il Signore gli rivelò di vivere secondo il vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo e donò alla Madre Chiesa non una nuova famiglia monastica, ma una famiglia evangelica.

Oggi, noi siamo chiamati a vivere il Santo Vangelo, in comunione tra noi e in obbedienza alla madre Chiesa.

Sono passati otto secoli e la Regola di S. Francesco è ancora fresca e genuina e deve essere vissuta con gioia da tutti. L’itinerario intrapreso nel 2005, deve continuare a portare frutti abbondanti di bene nelle comunità di tutto l’Ordine francescano anche dopo i festeggiamenti dell’ottavo centenario. Ogni frate deve rinnovare la sua fedeltà al Carisma e tutti insieme, nel quotidiano renderanno attuali e vivi i capitoli di quella regola che per Francesco erano stati dettati da Cristo, tanto che diceva: “A tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella regola…, ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine”269. Questo centenario possa ridestare in tutti il desiderio di vivere integralmente il messaggio donatoci dal serafico Padre Francesco!

269 ff, 130.

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IndicePresentazioneCrisi del medioevoFrancesco d’AssisiNovità di FrancescoLa prima esperienzaIl Capitolo del 1217 e la nascita delle ProvinceFrancesco l’uomo di tuttiIl nome della fraternitàDue termini: fraternità e minorità.La crisi della fraternità sul problema della povertà e i ministri che la gestironoGioacchimismo: I francescani e i professori laici di Parigi; l’ortodossia

minata.Al servizio della Santa SedeNicolò IV primo papa francescano (1288-92)Francescani messaggeri di paceLa confessione e la predicazioneFrancescanesimo ordine apostolico e non eremiticoOrdine e le MissioniAlcuni mistici dell’Ordine e scrittori di mistica nei sec. XIII-XIVPietà cristiana e nuove devozioniIl Governo dell’ordineIl Capitolo generaleIl Capitolo provinciale –Il governo delle provinceAlcuni dottori più importanti dell’ordine nei primi secoliI francescani e l’arteLe Basiliche e alcune chiese del primo secoloLa letteraturaL’ordine e le sue traversie nel sec. XIVCrisi del papato e della cristianitàFrancescanesimo dalla duplice animaEspansione dell’ordineLa Chiesa e l’ordine dopo Michele da CesenaLa nascita dell’osservanza: Paoluccio Trinci e i suoi seguaciBernardino da Siena e la riforma osservante

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Gli osservanti dall’autonomia alla separazione dai conventualiAltre riforme nel ‘400Continua la lotta per la divisioneAlcuni personaggi illustri del sec. XVDue illustri ponteficiAlcune figure di frati santi del secoloLa famiglia osservante e i suoi campioniOpere sociali dei francescaniIl sec. XVI: gli avvenimenti politici e quelli francescaniFermento nell’osservanzaNuove riforme nell’osservanzaI francescani nel sec. XVII conventuali nel sec. XVILa soppressione di alcune provinceUn ordine vivoAlcuni frati illustri del secoloMusici dell’ordineLa SantitàL’organizzazione dei cappucciniDall’osservanza esce la riformaI conventuali nel secolo XVIII frati morti in concetto di santitàLa soppressione innocenzianaContenuto delle relazioni da inviare alla CongregazioneConseguenze della soppressione innocenzianaSecolo XVIIII conventuali durante il secoloLe province di FranciaClemente XIVLa nascita della scuola storicaLa rivoluzione francese e i Martiri francescaniIl secolo XIX: La soppressione napoleonicaEffetti della soppressione napoleonica: I ConventualiIl ritrovamento del corpo di S. Francesco. La ripresaUn grande educatoreLa missione d’America

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I Conventuali tra il 1820 e il 1866La soppressione degli ordini religiosi nel 1866La lenta rinascitaRiapertura del collegio internazionaleUn grande appuntamentoLa crociata missionariaP. Massimiliano Kolbe o la grande ripresaDal concilio ad oggiMissione ed espansione dell’ordine dal dopo guerra ad oggiAttività dell’ordine e personaggi illustri del secolo XXS. Chiara d’Assisi e il secondo OrdineLa propagazione dell’ordine delle clarisseOrdine della penitenza o francescani secolari Ottocento anni di Francescanesimo: una pianta dalla radice profonda

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