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Ch. Baudelaire (1821-67) e Jean-Arthur Rimbaud (1854-91) Verlaine (1844-1896) Mallarmé (1842-1898) Farò subito alcune considerazioni preliminari, tenendo conto del tempo troppo breve per poter essere esauriente. Che cosa c‟entrano Le voyage e Le bâteau ivre, R. e B., con l‟Associazione che ha come centro d‟argomento la Geografia? Diciamo subito che il viaggio indica il movimento, lo spostamento, evoca la spazialità di tipo geografico. D‟altra parte B. ha fatto un viaggio verso l‟isola della Réunion (Bourbon, nell‟Oceano Indiano –è durato sei mesi); ne ha ricevuto molti stimoli concreti (... ce voyage enrichit sa sensibilité, l’éveille à la poésie de la mer, du soleil, de l’exotisme Lagarde et Michard, p.429). Egli scrive infatti Bohémiens en voyage, (M. Richter afferma che qui si può intravedere forse l‟Esodo degli Ebrei), Invitation au voyage, in cui il ritmo, la musicalità sono gli elementi principali. (Non per niente Battiato l‟ha tradotto in italiano, l‟ha musicato e cantato). Il refrain suona così: Là tout n‟est qu‟ordre et beauté, Luxe, calme et volupté (Categorie critiche omologhe a quelle di Italo Calvino Leggerezza, rapidità, visibilità, esattezza, molteplicità, consistenza. Gide si appropria dei parametri di B. per le sue analisi critiche). Là indica l‟Olanda (B. non aveva ancora visitato questo paese, ma è ispirato dalla tradizione letteraria e dalla sua fantasia, forse fa pensare a un quadro di Isabay; d‟altronde sappiamo che B. era un critico d‟arte che ha codificato la critica artistica in generale): un pays qui te ressemble, dice rivolto a una delle sue tre donne, Marie Daubrun. Jeanne Duval e Mme Sabatier rappresentano rispettivamente la doppia postulazione del poeta: lo spleen e l’idéal. Un voyage à Cythère. Del suo viaggio troviamo concreti riferimenti nella poesia L’Albatros, il simbolo della doppia essenza del poeta, la grandezza e la miseria: le sue grandi ali sfidano la tempesta, ma è goffo quando viene preso dai marinai per divertimento; il poeta somiglia al “roi de l‟azur” che s‟invola nel cielo, ma è schernito sulla terra dalla gente. Qui si può notare, a mio parere, una delle caratteristiche principali della poesia di B., la sinestesia: Qui suivent indolent compagnons de voyage. Sembra voler suggerire il ritmo del volo dell‟uccello. Una sequenza sonora che richiama una visione. Una sensazione che ne richiama un‟altra. La vie antérieure: J‟ai longtemps habité sous de vastes portiques... les grottes basaltiques, evocano il Parnasse, la perfezione formale, cioè, stilistica e architettonica. Parfum exotique; anche qui è centrale la sinestesia: Quand... je respire l’odeur de ton sein chaleureux/ Je vois... une île paresseuse dove si notano les feux d’un soleil monotone e des femmes dont la franchise étonne. Guidé par ton odeur vers de charmants climats/ Je vois un port rempli de voiles et des mâts; si fa riferimento alla famosa isola che non c‟è, immaginata e agognata, dove vorrebbe vivere in completo abbandono e in contemplazione. Il viaggio, inoltre, può essere immaginario, intimo che presuppone una geografia dell‟anima, un desiderio di dépaysement, di ricerca, di scoperta.

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Ch. Baudelaire (1821-67) e Jean-Arthur Rimbaud (1854-91)

Verlaine (1844-1896) – Mallarmé (1842-1898)

Farò subito alcune considerazioni preliminari, tenendo conto del tempo troppo breve per poter essere esauriente.

Che cosa c‟entrano Le voyage e Le bâteau ivre, R. e B., con l‟Associazione che ha come centro d‟argomento la Geografia?

Diciamo subito che il viaggio indica il movimento, lo spostamento, evoca la spazialità di tipo geografico. D‟altra parte B. ha fatto un viaggio verso l‟isola della Réunion (Bourbon, nell‟Oceano Indiano –è durato sei mesi); ne ha ricevuto molti stimoli concreti (... ce voyage enrichit sa sensibilité, l’éveille à la poésie de la mer, du soleil, de l’exotisme – Lagarde et Michard, p.429).

Egli scrive infatti Bohémiens en voyage, (M. Richter afferma che qui si può intravedere forse l‟Esodo degli Ebrei), Invitation au voyage, in cui il ritmo, la musicalità sono gli elementi principali. (Non per niente Battiato l‟ha tradotto in italiano, l‟ha musicato e cantato). Il refrain suona così:

Là tout n‟est qu‟ordre et beauté, Luxe, calme et volupté –(Categorie critiche omologhe a quelle di Italo Calvino – Leggerezza, rapidità, visibilità, esattezza, molteplicità, consistenza. Gide si appropria dei parametri di B. per le sue analisi critiche). Là indica l‟Olanda (B. non aveva ancora visitato questo paese, ma è ispirato dalla tradizione letteraria e dalla sua fantasia, forse fa pensare a un quadro di Isabay; d‟altronde sappiamo che B. era un critico d‟arte che ha codificato la critica artistica in generale): un pays qui te ressemble, dice rivolto a una delle sue tre donne, Marie Daubrun. Jeanne Duval e Mme Sabatier rappresentano rispettivamente la doppia postulazione del poeta: lo spleen e l’idéal. Un voyage à Cythère. Del suo viaggio troviamo concreti riferimenti nella poesia L’Albatros, il simbolo della doppia essenza del poeta, la grandezza e la miseria: le sue grandi ali sfidano la tempesta, ma è goffo quando viene preso dai marinai per divertimento; il poeta somiglia al “roi de l‟azur” che s‟invola nel cielo, ma è schernito sulla terra dalla gente. Qui si può notare, a mio parere, una delle caratteristiche principali della poesia di B., la sinestesia: Qui suivent indolent compagnons de voyage. Sembra voler suggerire il ritmo del volo dell‟uccello. Una sequenza sonora che richiama una visione. Una sensazione che ne richiama un‟altra.

La vie antérieure: J‟ai longtemps habité sous de vastes portiques... les grottes basaltiques, evocano il Parnasse, la perfezione formale, cioè, stilistica e architettonica. Parfum exotique; anche qui è centrale la sinestesia: Quand... je respire l’odeur de ton sein chaleureux/ Je vois... une île paresseuse dove si notano les feux d’un soleil monotone e des femmes dont la franchise étonne. Guidé par ton odeur vers de charmants climats/ Je vois un port rempli de voiles et des mâts; si fa riferimento alla famosa isola che non c‟è, immaginata e agognata, dove vorrebbe vivere in completo abbandono e in contemplazione.

Il viaggio, inoltre, può essere immaginario, intimo che presuppone una geografia dell‟anima, un desiderio di dépaysement, di ricerca, di scoperta.

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Il viaggio come aspirazione, desiderio: Leopardi guardava quei monti e quel mare che io desiderava varcare un giorno. Quando però era lontano voleva tornare subito al natio borgo.

D‟altra parte, il viaggio, immaginario o reale, allegorico o interiore può avere una valenza sociale, politica, può rispecchiare un‟esperienza spirituale-speculativa, può essere grave e drammatico come nel nostro caso.

Nel Settecento il famoso Grand Tour aveva uno scopo formativo, esperienziale. Erano i principi, i futuri regnanti che lo intraprendevano. La Calabria era una delle mete preferite.

Baudelaire nel suo Viaggio vuole conoscere ciò che i veri viaggiatori hanno visto nel mondo vario e diverso, lo spettacolo che hanno ammirato, le ricerche che speravano di fare e invece quello che veramente hanno visto, l‟esperienza che ne hanno ricavato.

Il vero viaggio di ricerca, affermava Proust non è quello di cercare nuove terre, ma di guardare con occhi nuovi.

Cerchiamo di tracciare, sia pure sommariamente, altri percorsi importanti per il

nostro assunto. Secondo Valéry il poeta più grande dell‟Ottocento francese è V.Hugo, il più

perfetto è Mallarmé, il più importante è Baudelaire. L'importanza di Baudelaire consiste in une puissante intelligence critique associée à la vertu de poésie.1

Ovvero: Estetica e creatività istintiva, spontaneità; Razionalità e affettività (emozione, sentimento, passione): mente e cuore.

G. Gentile e B. Croce. Le due categorie procedono, verosimilmente, secondo un rapporto dialettico

anche se storicamente in conflitto: lo impone il desiderio di unità spirituale dell‟uomo, lo richiede l‟essenza del mondo in cui l‟uomo si riflette. Leopardi, da parte sua, identifica filosofia e poesia poiché entrambe si esprimono per

immagini.2 Si differenziano solo allorché la filosofia diviene “matematizzazione e geometrizzazione”, quando diventa, cioè, pensiero puro e sistematico.3

Per Baudelaire la poesia può essere soltanto “involontairement philosophique”.4 Per Hegel: “La philosophie… exprime l‟Idée; l‟art, le reflet sensible de l‟idée; la première est la conciliation du vrai et du réel dans la seule pensée, le second est le conciliateur du réel et du vrai „dans la manifestation réelle elle-même‟, dans un jugement sans concept. L‟œuvre d‟art n‟est qu‟un moyen destiné à faciliter la connaissance de l‟Idée, connaissance qui procure le plaisir esthétique… Dans cet état (l‟état esthétique) nous sommes affranchis de notre triste moi”.5

Ma il ruolo consolatorio dell‟arte è dovuto alla conoscenza dell‟Idea, alla conciliazione concettuale o concreta del reale col vero oppure al piacere estetico, alla forza delle immagini, agli effetti artistici intrinseci più specifici?

1 Fondane, B., Baudelaire et l’expérience du gouffre, Edit. Complexe, Bruxelles 1994, p.3.

2 L‟importanza delle immagini suggerite dalla scrittura, dalla parola è rilevata da Italo Calvino in una delle sei categorie (la visibilità) per il prossimo millennio, nelle Lezioni americane, Garzanti, 1988.

3 Cfr. A. Prete, Pensée poétisante et poésie pensante, in Critique, G. Leopardi, Janvier-Février, 1990, pp.65-66).

4 Oeuvres complètes, II, Pl., p.9. 5.Fondane, cit., pp.26-27-28.

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A ben guardare, Baudelaire esprime nell‟arte, con tutte le particolarità delle suggestioni melodiche e artistiche, il suo pensiero più profondo e le sue forti emozioni, unitamente, però, ad una tensione sensoriale senza precedenti e senza pari. Nella lettura del “plus important” dei poeti si rivela, infatti, “un excès de matière sur le langage”. In quanto poeta della modernità egli fa sentire, inoltre, i primi passi nel transitoire, nel fugitif, nel contingent.

Fondane riconosce a Baudelaire una singolarità per le sue fugues, la faute, l’infini,

insomma, com‟egli sottolinea, per “les écarts” della poesia.

Non si può negare che l'universo conflittuale di Baudelaire è ampio, complesso,

estremo e, comunque, teso a conoscere e a capire soprattutto l‟esistenza umana in tutti i

suoi aspetti, anche quelli estremi. Il dramma o, se si vuole, la dialettica si consuma più

specificamente, per il poeta, fra “l‟esprit et les sens”, fra “les sollicitations d‟une nature

charnelle et les impératifs de la foi chrétienne…”, e si dibatte “entre la Grâce et le

péché”, come suggerisce Louis Barjon.6

No Ripercorrendo la storia, Fondane rileva che la più lontana antichità era caratterizzata

dall‟istinto e che, dopo il trionfo del pensiero speculativo, è la dialettica fra le due forze che si afferma in un dibattito continuo e proficuo.

Un Sophocle, peu avant le triomphe immense de la pensée spéculative, éprouve encore quelques scrupules et ne touche qu‟avec prudence aux mystères de l‟art, en louant, par exemple, Eschile de ce qu‟il faisait, bien qu’il le fît inconsciemment…

En commentant la pensée sophocléenne, Nietzsche nous assure qu‟un Euripide, disciple de Socrate, n‟aurait plus consenti à admettre qu‟on pût tenir pour bon ce qui a été fait inconsciemment; l‟infini, pour lui, c‟était déjà la faute; seule la juste moyenne, l‟obéissance à soi même étaient le bien.

Avec une parfaite intuition, Valéry a senti que l‟homme éprouve toujours une attraction irrésistible pour tout ce qui est susceptible d‟accroître les pouvoirs et l‟autonomie de l‟intelligence, de même qu‟il éprouve une espèce de méfiance latente pour toute tendance de l‟esprit à faire fond sur les forces obscures dont nous sommes le siège, ces forces fussent-elles celles qui nourrissent le talent ou le génie…”, perché Valéry… “fait partie de cette famille d‟esprits pour qui toute spontanéité est désordre, toute liberté caprice, toute nature un acte de provocation à l‟égard de l‟esprit.7

L'esperienza poetica di Baudelaire si muove, infatti, su una serie di valori binari che si svolgono e si dipanano talvolta in modo alternativo, dicotomico, più spesso si integrano e si contaminano poiché esprimono la realtà complessa dell'uomo che si proietta interamente nell'arte. Le realtà opposte, i valori apparentemente inconciliabili evocano la doppia postulazione simultanea del poeta che è vita, presenza attiva: le grida e l'estasi, la ragione e l'ebbrezza, l'ordine e il disordine, la misura e la dismisura, la terra e il cielo, l'io e l'universo, il finito e l'infinito.

L'attrazione del peccato è omologa all'anelito verso la purezza, alla ricerca degli “spazi limpidi”. Anche nel male si può nascondere la Verità!

Camus, nel Novecento, dirà: La Vérité c’est le tout, la verità, cioè, va cercata nell‟insieme non in una sola parte dell‟uomo o del mondo.

6 De Baudelaire à Mauriac, L’inquiétude contemporaine, Belgique, Casterman 1964, p.125. 7 Fondane, cit., pp.3-6.

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Il simbolismo che richiama la doppia postulazione di Baudelaire, generalmente condiviso dalla gran parte dei critici, è percepibile fin dall'inizio dei Fleurs du Mal. In Bénédiction, dopo la maledizione della madre per la nascita del poeta perché dovrà “nourrir cette dérision...” e dopo la notte dei piaceri effimeri, nella quale il suo “ventre a conçu son expiation...., Le poète serein lève ses bras pieux... Vers le Ciel, où son œil voit un trône splendide”. L'albatros esprime emblematicamente la duplice essenza (grandezza e misera) del poeta, poiché possiede le ali per volare in alto, ma è costretto a vivere fra gente che lo disprezza; Elévation, l'aspirazione ad involarsi nelle zone più limpide dell'infinito con “une indicibile et mâle volupté” che ricorda il “naufragar m‟è dolce in questo mar”, mentre nelle Correspondances si sviluppa un desiderio di sintesi, attraverso le sinestesie, le analogie orizzontali, che gli permetteranno di raggiungere “la profonde et ténébreuse unité”, la realtà esoterica, e le analogie verticali che tenderanno verso “les espaces limpides”, verso l‟infinito, verso Dio.

La sinestesia, la sensorialità (Proust- sapore, tatto, udito). Madeleine, pavimento sconnesso, il rumore del cucchiaino sulla tazza).

Il concetto d‟infinito, tuttavia, Aristotele, a cui si è ispirato Nietzsche, lo definisce come “la faute... l'excès, en tant qu'opposé à la juste moyenne, à la mesure, à l'achevé”,

mentre “les pythagoriciens, les premiers pionniers de cette Mathesis Universalis”8, autori de “cette énigmatique pensée”, volevano “reduire tout le créé à la quantité et au nombre.” Tutto ben delimitato, dunque, e determinabile. Tra questi due estremi - la testa e il corpo della statua di Samotrace -, secondo Aristotele, “se situe l'équilibre.”

La philosophie grecque se présente ainsi à nous comme la Victoire de Samothrace, sculpture sans tête, mais

sculpture dont on aurait délibérément omis la tête... on avait livré le corps au public, mais la tête, conservée jalousement je ne sais où, ne cessait pas d'en commander l'expression et la signification, postulat invisible et inexprimable sur lequel repose le discours visible et exprimé". Un legame invisibile, però, deve unire questi due estremi: "Toute la pensée spéculative antique n'a été qu'un effort pour saisir leur intime lien et rendre solidaires ces deux termes à première vue hétérogènes".9

Umberto Eco ha affermato giorni fa che anche la pittura era influenzata dal sistema dei numeri. Pensate al corpo di Michelangelo, che è divenuto il simbolo della scienza.

Questo sistema degli opposti fa, quindi, parte della storia dell'Uomo. Valéry sapeva bene che in Francia, prima del razionalismo cartesiano, all'origine del pensiero filosofico moderno, e prima ancora di Malherbe (primo autore classico, fautore dell‟ordine, della ragione, del buon senso) “le français était si peu encore de par sa

nature incliné à épouser l‟esprit d‟ordre et de rigueur”10 e Pascal ne era un esempio. La

ricerca, però, è necessaria per trovare “du nouveau”, e non fa escludere nulla a Baudelaire, anche se deve percorrere strade inconciliabili come l'Enfer o le Ciel (Le Voyage), perché la Bellezza, configurata come una bella donna, è infernale e divina (La

beauté).11

8 Corrisponde evidentemente alla “grande chimera romantica dell‟armonia universale”. 9 Fondane, cit., pp.11-12. 10 Du Bellay scriveva: "Celuy sera véritablement le poète que je cherche, qui me fera indigner, apaiser,

esjouir, douloir, aymer, haïr, admirer, estonner!" (Ibidem, p.10). 11 "L'Idéal, ce sont les aspirations, plus ou moins vagues, de l'âme vers l'au-delà, le goût de la religion...

c'est le charme des visions exotiques... L'Idéal c'est aussi l'amour... L'Idéal c'est encore le goût de la mort, l'attrait des 'paradis artificiels', le vin, l'opium, qui exaltent l'homme et lui donnent l'illusoire joie de vivre ou de s'anéantir; c'est aussi par moments la révolte: révolte contre la société, anathème contre la religion... L'Idéal, c'est enfin et surtout le 'vice': ...sur ces mauvaises routes on peut cueillir... les belles 'fleurs du mal'". (P. Martino, Parnasse et Symbolisme, A. Colin, Paris 1958, pp.97-98).

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La Bellezza estetica consisteva, nell'Antichità, in un “ordre surnaturel

harmonieux”, mentre per i Romantici è l'opera del “génie créateur et devient un

besoin intérieur”, poiché liberamente impegnato nella ricerca di sé,

nell'affermazione della propria individualità, ed è direttamente connesso con le

forze non sottomesse alla ragione.12

L'arte classica presupponeva ―une unité implicite‖ tra il divino e la natura umana, in cui la poetica (vérité, raison, bon sens)13 rifletteva la necessità di proporre una verità umana possibile e universale (vraisemblance). L'artista classico, inoltre, creava ―à partir d'une possession, d'une plénitude‖; la sua creazione era caratterizzata più da una ―libération de forces et moins par la recherche de soi, par la surabondance et moins par la soif d'autre chose‖, mentre all'origine della creatività romantica ―se trouve un manque, une insatisfaction.‖14

Mancanza e insoddisfazione, già fortemente presenti nella cultura greca, che perdurano nella storia dell'uomo spesso in maniera tragica. Nel corso dei secoli la malinconia conseguente alla mancanza acquista un valore positivo ed è associata al genio creatore.

L'universo conflittuale dell'artista romantico che si ricollega maggiormente alla malinconia degli antichi più che alla ―plénitude‖ o alla ―surabondance‖ dei classici, diventa, nell'Ottocento, ennui, spleen, nevrosi, isteria, delirio, schizofrenia o indistintamente pazzia di cui non sono esenti alcuni poeti e qualche narratore, ―accomunando in questo Simbolisti e Naturalisti‖.15 La schizofrenia si caratterizza soprattutto per la dissociazione fra pensiero e sentimenti, che è distacco dalla realtà, fuga delle idee, eco del pensiero, allucinazioni.

Valéry, cartesiano convinto, nella consapevolezza della centralità della ragione,

dell'ordine, dell'evidenza, alla ricerca del sublime più che del plaisant, accetta, con

qualche riserva (méfiance), la presenza della “vertu de poésie”, componente

inconscia, ispirazione, intuizione, confluenza dell‟enthousiasme e dell‟enlèvement

de l’âme, forze generatrici esclusive della poesia esplicitamente rilevate da

Baudelaire.16 E' più vicino, in questo, alla posizione critica di G. Gentile (per il

quale la creazione poetica implica la totalità integrale e unitaria dell'uomo), più

che alla concezione di Croce, che confida maggiormente nella virtù poetica,

nell'intuizione, trascurando o limitando l'importanza della coscienza critica e

rendendo quasi passiva l'elaborazione riflessa.

12 F. Schlegel così sintetizzava la poetica romantica: "Subjectivité et relativité du beau, précellence du

génie sur l'art, liberté dans l'art". Inoltre: "Elle dresse contre la raison le sentiment, l'individu, l'imagination...". (P.Martino, L'école romantique en France, Hatier 1944, p.30).

13 Boileau, L’art poétique. 14 A.Van Sevenant - Cette intelligence secrètement blessée - "Europe" n° 827, mars 1998, p.90. 15 S. Cigada, Simbolismo e Naturalismo, Convegno di Milano, 8/11 marzo 2000. 16 ―On a prétendu à tort que Valéry poète tournait le dos à l‘inspiration. S‘il a écrit que ‗l‘enthousiasme

n‘est pas un état d‘âme d‘écrivain‘, c‘est seulement parce qu‘il trouvait indigne d‘écrire ‗par le seul enthousiasme‘. Mais il admet qu‘il existe ‗une sorte d‘énergie individuelle propre au poète‘, ‗une énergie supérieure: c'est-à-dire telle que toutes les autres énergies de l‘homme ne la peuvent composer ou remplacer‘‖. (Lagarde et Michard, XXe siècle, Bordas, p.332.

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Questa dialettica diventa opposizione polemica, conflittualità nei due filosofi

italiani più importanti di quel tempo, B. Croce e G. Gentile, i quali offrono due

concezioni emblematiche in una visione estenuata - dissociata il primo,

totalizzante il secondo - delle forze che determinano l‟ispirazione tale da aiutarci a

chiarire meglio la nostra problematica. Gentile:

si era mosso verso l‟estetica intesa non tanto come dottrina di una particolare attività distinta

dalle altre, in questo caso l‟arte o la poesia, ma come conoscenza… e puntava al riconoscimento dell‟arte come momento di vita che si integra, cioè si attualizza come integrazione, quindi come indistinto, con tutti gli altri momenti della vita dello spirito… Nella Introduzione alla filosofia, pubblicata… nel 1933, …afferma che l‟arte si attualizza non come soggettività ma come immanenza in tutte le produzioni dello spirito, sia in quelle cosiddette artistiche sia in quelle riconosciute come tali. L‟arte è totalità, cosmicità, immanenza.

Sottrae l‟estetica “alle deviazioni particolaristiche di una critica letteraria

fondata sul soggettivismo lirico”,17 caratteristica, questa, dell‟estetica di Croce18

che privilegia il genio, lo slancio creativo, l‟individualità poetica.

A ben guardare, Baudelaire esprime nell‟arte, con tutte le particolarità delle

suggestioni melodiche e artistiche, il suo pensiero più profondo e le sue forti

emozioni, unitamente, però, ad una tensione sensoriale senza precedenti e senza

pari. Nella lettura del “plus important” dei poeti si rivela, infatti, “un excès de

matière sur le langage”.

Non si può negare che l'universo conflittuale di Baudelaire è ampio, complesso,

estremo e, comunque, teso a conoscere e a capire soprattutto l‟esistenza umana in

tutti i suoi aspetti, anche quelli estremi. Il dramma o, se si vuole, la dialettica si

consuma più specificamente, per il poeta, fra “l‟esprit et les sens”, fra “les

sollicitations d‟une nature charnelle et les impératifs de la foi chrétienne…”, e si

dibatte “entre la Grâce et le péché”, come suggerisce Louis Barjon.19 Egli è

attratto dai forti liquori del peccato ed aspira alla purezza dell‟infinito (le spleen e

l’idéal).

L'esperienza di Baudelaire si muove, è vero, su una serie paritaria di valori

binari che si svolgono e si dipanano talvolta in modo alternativo, dicotomico; più

spesso, però, si integrano e si contaminano senza esclusione o predilezione poiché

esprimono la realtà complessa dell'uomo e dell'arte. Le realtà opposte,

apparentemente inconciliabili, evocano la doppia postulazione simultanea del

poeta che è vita, presenza attiva: le grida e l'estasi, l'ebbrezza e la ragione, l'ordine

e il disordine, la misura e la dismisura, la terra e il cielo, l'io e l'universo, il finito e

17 R. Sirri, Prolegomeni alla “Filosofia dell’arte” di Giovanni Gentile, Quaderno dell‘Accademia

Cosentina N° 13, gennaio 2002, pp.39-44. 18 Prediligendo l‘ispirazione (la ―vertu de poésie‖), l‘intuizione, l‘esperienza creativa personale e

singolare, Croce non poteva accettare la cosmicità, la totalità dell‘arte né l‘architettura preordinata e sistematica della creazione, la poetica, che per lui poteva produrre soltanto ―non poesia‖. Rivaluterà, però, nella maturità, la ―poesia‖ dei Promessi Sposi e forse anche della Divina Commedia.

19 De Baudelaire à Mauriac, L’inquiétude contemporaine, Belgique, Casterman 1964, p.125.

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l'infinito. L'itinerario è finalizzato a rincorrere una ―Beauté supérieure‖:

l'attrazione del peccato è omologa all'aspirazione verso la purezza, verso ―les

espaces limpides‖ (Elévation- le langage des fleurs et des choses muettes-Aube), la

volontà di sintesi tra l'affettività e l'intelletto è il desiderio di raggiungere la Verità

non solo attraverso la Bellezza, ma per mezzo di qualsiasi altra esperienza,

sensibile, sensoriale, intellettiva, spirituale, capace di giungere all‘essenza delle

cose attraverso le ―mutevoli parvenze‖ dei molteplici simboli (les forets de

symboles) con cui si manifesta la natura. L‘analogia è il mezzo sensibile per

arrivare alla ―profonde et ténébreuse unité‖ (Correspondances).

La doppia postulazione di Baudelaire trova la sua genesi nel desiderio di

conoscenza, rifacendosi non solo alla storia del pensiero, ma anche alla tradizione francese. S. Agostino diceva: Homo duplex est, e Pascal, in opposizione a Cartesio, così si esprimeva: il cuore ha delle ragioni che la ragione non può conoscere. 20

La “meraviglia” di Cartesio, di fronte alla bellezza della natura, diviene in Pascal “stupore”, “par et à travers lequel” egli “sente” l‟esistenza del Creatore.

Cartesio ha certamente influenzato la nascita dell‟Illuminismo, mentre sulla scia di Pascal si muove Rousseau, il quale scopre le forze del sentimento, delle passioni, delle emozioni. Anch‟egli sente la presenza del creatore nel mondo. 21

20 "La philosophie grecque se présente ainsi à nous comme la Victoire de Samothrace, sculpture sans

tête, mais sculpture dont on aurait délibérément omis la tête... on avait livré le corps au public, mais la tête, conservée jalousement je ne sais où, ne cessait pas d'en commander l'expression et la signification, postulat invisible et inexprimable sur lequel repose le discours visible et exprimé". Un legame invisibile, però, deve unire questi due estremi: "Toute la pensée spéculative antique n'a été qu'un effort pour saisir leur intime lien et rendre solidaires ces deux termes à première vue hétérogènes

Un Sophocle, peu avant le triomphe immense de la pensée spéculative, éprouve encore quelques scrupules et ne touche qu‘avec prudence aux mystères de l‘art, en louant, par exemple, Eschile de ce qu‘il faisait, bien qu’il le fît inconsciemment… En commentant la pensée sophocléenne, Nietzsche nous assure qu‘un Euripide, disciple de Socrate, n‘aurait plus consenti à admettre qu‘on pût tenir pour bon ce qui a été fait inconsciemment; l‘infini, pour lui, c‘était déjà la faute; seule la juste moyenne, l‘obéissance à soi même étaient le bien. Avec une parfaite intuition, Valéry a senti que l‘homme éprouve toujours une attraction irrésistible pour tout ce qui est susceptible d‘accroître les pouvoirs et l‘autonomie de l‘intelligence, de même qu‘il éprouve une espèce de méfiance latente pour toute tendance de l‘esprit à faire fond sur les forces obscures dont nous sommes le siège, ces forces fussent-elles celles qui nourrissent le talent ou le génie…‖, perché Valéry… ―fait partie de cette famille d‘esprits pour qui toute spontanéité est désordre, toute liberté caprice, toute nature un acte de provocation à l‘égard de l‘esprit. Ibidem, pp.11-12).

21 Il freddo illuminista Choderlos De Laclos esprime il suo stupore per lo ―charme inconnu‖ che egli incomincia a provare per la donna che voleva solo possedere per scommessa, non certo per amore, di cui solo dopo impara a conoscere il significato e le implicazioni. Nella stessa lettera 125, fortemente turbato, si domanda ―Serai-je donc, à mon âge, maîtrisé comme un écolier, par un sentiment involointaire et inconnu?‖

Nel teatro di Marivaux si assiste alle forze antagoniste del cuore e della mente, fra intimo razionale e intimo emotivo, fra l‘amore e l‘orgoglio (Le jeu de l’amour et du hasard).

Les liaisons dangéreuses, E. Charlot, Paris 1946, p.381.

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Les directions de la “recherche” baudelairienne

(L‘idéal)

P. Martino nous indique d'une manière plutôt exhaustive toutes les directions de

la recherche baudelairienne: «L'ldéal ce sont les aspirations, plus ou moins vagues, de l'âme vers l'au-delà. Le goût de la religion... le charme des visions exotiques... I'ldéal, c'est aussi l'amour... L'ldéal, c'est encore le goût de la mort. L'attrait des ―paradis artificiels‖, le vin, l'opium, qui exaltent l'homme et lui donnent la joie illusoire de vivre ou de s'anéantir: c'est aussi, par moments, la révolte: révolte contre la société anathème contre la religion. L'ldéal, c'est enfin et surtout le ―vice‖: ...sur ces mauvaises routes on peut cueillir les belles ―fleurs du mal‖.22

La recherche du poète, en définitive, est orientée vers plusieurs directions mais toujours avec la même intention de trouver quelque chose qui dépasse les apparences éphémères du monde sensible: ses finalités donc s'insèrent dans une dimension mystique et le poète en est conscient: la place que le poème occupe, en effet, n'est pas occasionnelle si l'on accepte, avec Baudelaire, l'idée que son livre n'est pas un pur album et qu'il a un commencement et une fin: la recherche de l‘Idéal - les Idées - à travers le monde des apparences, des symboles. C'est dans ce poème qu'il faut rechercher la ligne directrice la plus importante de la poétique de Baudelaire. La valeur esthétique, fruit de la grandeur incontestable du poète, n'étant ici qu'en fonction des effets voulus et suggestifs que le sujet comporte. L'auteur n'aurait pas inséré cette pièce à la quatrième place si la tentative ne lui avait pas réussi: il savait bien ce que la composition représentait et quelle était l'importance de sa position.

Le problème religieux le hantait toujours et le vrai drame du poète et de l‘homme a été de nature spirituelle avant que d'être un problème intellectuel ou esthétique: tout cela il le savait très bien puisqu'il a exprimé dans son recueil de poésies tous les aspects de sa vie intense et dramatique: ―Dans ce livre atroce, écrira-t-il plus tard, ...j'ai mis toute ma pensée, tout mon coeur, toute ma religion (travestie), toute ma haine. Il est vrai que j'écrirai le contraire, que je jurerai mes grands dieux que c'est un livre d'art pur, de singerie, de jonglerie: et je mentirai comme un arracheur de dents‖.23

L'influence que ce poème a exercé sur les contemporains de Baudelaire a été énorme. Comment ne pas recueillir cette suggestion et ne pas subir la tentation de cette aventure mystique de l'homme, dont le but serait celui de rivaliser avec le Créateur? Ce message a eu, en effet, son pouvoir enchanteur surtout sur deux grands poètes: Mallarmé et Rimbaud. A ce propos il est utile de suivre Schmidt, qui. dans son livre dédié à la littérature symboliste, dit que Baudelaire ―..connaît la genèse de sa création. Par une intuition d'illuminé, il en voit les éléments jaillir d'une sorte de bouche d'ombre qui est peut-être l'Absolu, peut-être le Néant. Sous ses yeux attentifs, le monde chatoyant des apparences s'élève d'il ne sait quel insondable gouffre. Mais il constate que le poème, en lui, naît de la même façon de l'obscurité

22 P. Martino, pp. 97/98. 23 Ibidem, pp. 96/97. ―La poésie... ne consiste pas seulement pour lui à composer des vers. Elle est une

règle de vie et de pensée‖ - M. A. Ruff, p. 57.

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de son âme où il s'organise. N'y a-t-il pas, correspondance, voire même conformité entre la création cosmique et la création poétique? Celui qui ne s'essaie à celle-ci ne serait-il point parfois tenté de rivaliser avec le Maître inconnu de celle-là? Ne tâchera-t-il pas d'opposer, à l'univers des objets prétendus réels, un Eden de réalités littéraires?24

L'aventure de Rimbaud s‘appuie sur la tentation de rivaliser avec Dieu dans la recherche d'un nouveau Verbe où retrouver l‘Unité absolue du monde des apparences: ―.. je me flattai d'inventer un Verbe poétique accessible, un jour ou l'autre, à tous les sens‖.25

Si l'aventure de Mallarmé est plus intellectuelle, celle de Rimbaud, selon Claudel, est exclusivement mystique. Comme les racines de l'art de Rimbaud enfoncent dans la poésie de Baudelaire, pour mieux comprendre comment et pourquoi les Symbolistes firent des Correspondances l'art poétique à eux, il faut insister sur la valeur mystique du poème plutôt que sur son aspect purement esthétique ou intellectuel, sur la ―sorcellerie évocatoire‖ qui est le chant de l‘esprit, la fête des sens (malgré les ―parfums... corrompus”, engagés dans la recherche de la finalité dernière de la vie de l‘homme).

Valéry affermava ancora: “... les poètes français ne sont généralement que peu

connus et peu goûtés à l‟étranger; on nous accorde plus aisément l‟avantage de la prose...

L'ordre et l'espèce de rigueur qui règnent dans notre langue depuis le XVIIe siècle... notre goût de la simplification et de la clarté immédiate (pensate a Descartes), notre crainte de l'exagération et du ridicule, une sorte de pudeur dans l'expression et la tendance abstraite de notre esprit, nous ont fait une poésie assez différente de celle des autres nations... qui n'ont pas, de notre langue, une connaissance intime et originelle.

La poesia francese è infatti soprattutto musicalità, ritmo oltre che ricca di pensiero, di ricerca per ―changer la vie‖, specialmente nel caso di B e di R.

Valéry conosceva bene L’art poétique e la poesia di Verlaine; sapeva che il verso libero (utilizzato da: Krysinska, Laforgue, Kahn) era nato dall‟esigenza di seguire più compiutamente il fluire spontaneo dell‟esprit de poésie e per raggiungere una perfezione melodica più elevata, che i “poèmes en prose” obbedivano all‟esigenza di esprimere il proprio pensiero senza rinunciare alla “sorcellerie évocatoire”.26

24 A. M. Schmidt, pp. 8/9. 25 Oeuvres Complètes de Rimbaud, Paris, Mercure de France, p. 219. 26 ―C’est le son, c’est le rythme, ce sont les rapprochements physiques des mots, leurs effets d’induction

ou leurs influences mutuelles qui dominent, aux dépens de leur propriété de se consommer en un sens défini et certain. Il faut donc que dans un poème le sens ne puisse l’emporter sur la forme et la détruire sans retour; c’est au contraire le retour, la forme conservée, ou plutôt exactement reproduite comme unique et nécessaire expression de l’état ou de la pensée qu’elle vient d’engendrer au lecteur, qui est le ressort de la puissance poétique. Un beau vers renaît indéfiniment de ses cendres, il redevient, - comme l’effet de son effet, - cause harmonique de soi-même‖ (Commentaire de Charmes). La poésie est donc ‗un langage dans le langage‘… Ce pouvoir magique ne saurait s‘obtenir en rythmant artificiellement de la prose. Au contraire, ‗cette parole extraordinaire se fait connaître par le rythme et les harmonies qui la soutiennent et qui doivent être si intimement liés à sa génération que le son et le sens ne se puissent plus séparer et se répondent indéfiniment dans la mémoire‘. (Situation de Baudelaire). L‘œuvre de Mallarmé offre le plus bel exemple de cette magie poétique‖ (Lagarde et Michard, XXe siècle, cit., pp.328-30).

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Les Fleurs du Mal favoriscono una lettura organica in una successione di

pensiero chiaro e ordinato.27 Nelle Correspondances Baudelaire cerca, par et à travers le analogie orizzontali,

―la profonde et ténébreuse unité‖ per arrivare alle realtà esoteriche, e le analogie verticali per giungere alla comprensione dell‘Infinito, all‘Unità divina. Dio ha creato il mondo: dall‘Uno quindi è derivato il molteplice; il poeta fa il percorso inverso: dal molteplice si cerca di arrivare all‘Uno. (Basta leggere il testo per rendersene conto). Rimbaud, rigettando la cultura in generale e quella del dualismo in particolare (brutto/bello--bene/male—spirito/corpo—Inferno/Paradiso) come sovrastruttura (l‘encre noire – Baud.) che hanno impedito all‘uomo di conoscere la

verità originaria, la vera natura umana, cerca di recuperare les époques nues... Per poter capire meglio R. e il suo viaggio nell’ignoto bisogna partire da alcune

citazioni di Baudelaire: Les Correspondances e Le Voyage. La lettura delle opere di R. e di B. va indirizzata quindi principalmente verso il

mezzo espressivo, lo stile, la musicalità, il ritmo nella poesia e il pensiero, la materia che è certamente più corposa rispetto all‘instrument.

Non c‟è dubbio che Rimbaud voleva trovare una lingua per realizzare, dopo aver rimosso gli ostacoli rappresentati dalle opposizioni create dalla cultura occidentale, “la profonde et ténébreuse unité”, rivelatrice dell‟ignoto.28 Voleva ritornare

27Baudelaire è uno spirito pensante, è vero, anche per il desiderio di ―changer la vie‖, ma è

essenzialmente poeta e non solo per la dimensione e l‘importanza attribuita all‘instrument e all‘immaginazione.

B. ammirava l‘arte pittorica e scultorea di Th.Gautier, cui ha dedicato la sua opera (J’ai longtemps habitué sous de vastes portiques…pareils…aux grottes basaltiques…); aveva il culto della forma e una forte ed intensa sensorialità, oltre che un‘eccezionale sensibilità per le armonie coloristiche e melodiche, prediligendo le sinestesie in funzione analogica (notare il verso anapestico: Les parfums, les couleurs et les sons se répondent – Correspondances), tanto che l‘immagine visiva diventa una ―musique… solennelle et mystique‖ (La vie antérieure).

La poesia e la critica di Baudelaire coincidono, dunque, nella coerenza della ricerca, nell‘impegno a svelare il mistero della vita, utilizzando nella poesia un linguaggio omologo a quello della natura, inteso a carpire il mistero del cosmo, la sua verità e comunicarla universalmente in maniera efficace e suggestiva. L‘unità della poesia dell‘Ottocento si caratterizza per la realizzazione della sintesi delle arti, in cui la musicalità (che nascerebbe prima delle parole, come afferma Friedrich)27 è forse la componente preminente, essendo essa stessa messaggio, contenuto. Baudelaire aveva una predilezione per la musica; aveva fatto conoscere Wagner in Francia; affermava che la perfezione della poesia e della musica sono il segno evidente dell‘esistenza dell‘aldilà.27La creazione poetica è soprattutto opera dell‘immaginazione: ―Le cœur contient la passion, le cœur contient le dévouement, le crime; l‘Imagination seule contient la poésie… La sensibilité de cœur n‘est absolument favorable au travail poétique… La sensibilité de l‘imagination est d‘une autre nature; elle sait choisir, juger, comparer, faire ceci, rechercher cela, rapidement, spontanément. C‘est de cette sensibilité, qui s‘appelle généralement le Goût, que nous tirons la puissance d‘éviter le mal et de chercher le bien en matière poétique.‖(Oeuvres complètes, Pl.II, pp.115-116).

28 In questa lettera (a Banville) ci sono gli elementi sufficienti per affermare che Rimbaud ha sicuramente già fatto la scelta fondamentale per la sua grande impresa fisico-metafisica, scelta che consiste nel trovare una lingua capace di esplorare l‘ignoto che sta in mezzo fra la materia e lo spirito, fra il corpo e l‘anima, fra ciò che la cultura del tempo considerava ‗nobile‘ e ciò che considerava ‗volgare‘…

L‘ignoto è quella realtà (una realtà supposta, perché appunto ignota) che è tenuta completamente nascosta dalla cultura esistente. Ossia dall‘insieme di strumenti conoscitivi che costituiscono lo spazio vitale di una società. Il più importante e resistente di questi strumenti è la lingua… il problema per cambiare la vita (esplorare l‘ignoto), sta nel trovare una lingua (‗trouver une langue‘).

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all‟origine, come B. che amava “les époques nues” (v.Rousseau), ritrovare la vera essenza dell‟uomo al di là della sovrastruttura culturale. Gli ostacoli che si frappongono a questo intento sono: „les couples menteurs‟ (le coppie oppositive di Platone per interpretare la vita e il mondo e della cultura cristiana che adottò la divisione Paradiso/Inferno, Dio/Satana, Carne/Spirito, Anima/Corpo, ecc.)… Infatti “La forza sta nell‟unità (l‟ignoto), la debolezza nel dualismo (il noto), base della scienza, almeno a partire da Platone”.

Il critico così chiarisce: “Il dualismo è appunto, il più grande e resistente ostacolo che impedisce

l‟accesso all‟ignoto, ossia all‟aldilà della cultura occidentale. Sono molto noti i versi con cui Baudelaire volle concludere Les Fleurs du Mal: […] Enfer ou Ciel, qu‟importe?

Au fond de l‟inconnu pour trouver du nouveau!”. (M.Richter, Viaggio nell’ignoto, NIS, Roma 1993, pp.21/31). Egli cerca “l‟unica via che rende possibile l‟accesso all‟ignoto, l‟esplorazione di uno spazio unitario nel quale gli opposti non siano percepiti in modo contraddittorio. Già Baudelaire (che Rimbaud… non a caso considera „un vrai Dieu’) aveva designato questo spazio come unico e indivisibile, il tempio della Natura. Mi riferisco, in particolare, al fondamentale annuncio-rivelazione di Correspondances: „La Nature est un temple…‟” Bisogna travalicare, anche se l‟ingresso è molto arduo, gli alti muri di separazione che la cultura esistente ha eretto fra i vari sensi e le varie arti. L‟olfatto, il tatto, l‟udito e la vista lavoreranno in una collaborazione intima, scambiandosi reciprocamente le sensazioni.” (cfr. Elévation). (Ibidem, p.55).

Per raggiungere l‟unità egli si affida al potere demiurgico della parola. Infatti Rimbaud

…sembra voler conferire alla prima entreprise della parola un rapporto diretto fra nome e cosa,

una relazione diretta fra dire e essere. Il mito… trova il suo fondamento ontologico nella collaborazione intima, „essenziale‟, perfettamente sintonica, fra l‟io e il mondo. La rivelazione viene dal mondo, dalle cose apparentemente „mute‟, e non dall‟arbitrio. La rivelazione è qui reciprocità, corrispondenza fra soggetto e oggetto („une fleur qui me dit son nom‟-Aube).29

Per capire meglio l‘identificazione con la Natura, la ricerca dell‘annullamento

della distanza fra l‘Io e il mondo, quella zona intermedia, l‘ignoto, l‘animismo di Hugo e del romanticismo in generale, vorrei proporre una lettura di Aube che richiama la stessa sensazione di Baudelaire in Elévation.

Detto per inciso, Il prof. Margoni, uno dei più grandi critici della letteratura

francese che ha insegnato nella nostra Università dall‟84 all‟88, ha parlato, a proposito dell‟opera di Rimbaud, di esperienza morale perché voleva cambiare la vita, creare un Uomo nuovo. Claudel ha evocato l‟esperienza spirituale di Rimbaud perché nel momento in cui egli nega la cultura cristiana, nega Dio per poter trovare una realtà umana più autentica, egli ricerca il divino in un nuovo Verbo.

A questo proposito, bisogna ricordare che ogni volta che in Rimbaud ci sono immagini incomprensibili si può ricorrere a Dante per capirne l‟essenza, mentre la sua prosa tiene conto del versetto biblico attraverso lo studio e l‟utilizzo che ne ha fatto Lamennais, come sostiene Jacqueline Risset, pp.125-27-Strategies verbales.

29 ―Assumendo l‘animismo hughiano… e romantico, Baudelaire aveva immaginato, questo stato di

felicità e di armonia, questa incontro con la parola, appunto dei fiori, nei versi conclusivi di Elévation. (Ibidem, p.143).

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Baudelaire, d‘altronde, non si riferiva alla sovrastruttura culturale dell‘Occidente quando parlava di ―encre noir‖ che impediva di scoprire la vera essenza dell‘uomo e del mondo?

Non cercava forse l‘unità attraverso le analogie, utilizzando le sinestesie? Non cercava la Vérité attraverso la Beauté, la stessa Bellezza dalla duplice realtà,

che Rimbaud dice di aver conosciuto, di averla tenuta sulle ginocchia e di esserne rimasto disgustato? Alla fine dell‟avventura di ricerca di Rimbaud, attraverso la rinuncia …“aux couples menteurs”… “la Beauté che egli aveva ingiuriato e trovato amara è finalmente diventata la verità… Che cos‟è questa verità che egli sarà in grado di possedere proprio come una vera donna? E‟ l‟ignoto, la realtà autentica, lo spazio inesplorato e terribile che sta in mezzo fra l‟anima e il corpo, fra l‟astratto e il concreto, fra lo spirito e la materia, forse anche a qualcosa che assomiglia a Cristo e al suo Avversario, una verità interamente umana, una „réalité rougueuse‟ che potrà essere stretta soltanto da chi riuscirà a rinunciare (pagando di persona) ad ogni mito consolatorio, ad ogni creazione precedente.”30

Baudelaire e Rimbaud cercavano una verità umana, nell‟uomo e nel mondo, escludendo la consolazione

cristiana il primo e rinunziandovi pregiudizialmente il secondo. Dante è il solo che, conservando la dignità di uomo, illuminato dalla fede e sorretto dalla necessaria umiltà, riesce a contemplare l‟infinito splendore della Bellezza e ad intravedere la Verità assoluta, sulla base della teologia più canonica e aiutato dalla “sensibilità dell‟immaginazione”, di cui non sarà, tuttavia, in grado di riferire che una particella piccolissima di memoria. Resta il fatto che egli ha visto, grazie alla intercessione di S. Bernardo e della Madonna. (XXX del Paradiso).

L‟unità egli la trova in una specie di “spazio intermedio fra l‟uomo e le cose, fra

un nome di persona e una realtà ambientale…” e in un ambiente in cui “i singoli personaggi del sogno si fondano in una strana voce che è, insieme, individuale e collettiva, voce anonima della camerata-soldati-genio. Ancora una volta siamo in una zona ignota, compresa fra la vita e la morte, fra il piacere e il dolore, in un luogo senza luogo, in una sorta di oggettività soggettività.” Il „génie-moi‟ “è un valore virtuale e dinamico, capace di rendere attuabile la percezione non contraddittoria degli opposti, questa volta degli opposti sociali…”31 La genesi della sua ricerca sta nel percorso proposto e interrotto di Baudelaire, iniziato con lucida razionalità, ma proseguito con una forte tensione istintiva, inconscia, attraverso “le dérèglement des sens”, la rinunzia alla cultura occidentale tentando di scoprire e di definire, con linguaggio adeguato, quella verità intermedia, fra sogno e realtà, già cercata da Baudelaire, che per lui era un “vrai poète, un vrai Dieu”, l‟ignoto. La necessità della sintesi, dunque, fra gli opposti che “non si congiungono, annullandosi come tali, ma (che) stanno lì di fronte senza escludersi, senza che si possa dire, nei termini della logica a buon mercato che c‟è, „dei due, uno‟”. Egli potrà, infine “posséder la vérité dans une âme et un corps”.

Ma l‟impresa non riuscirà!

30 Ibidem, p.138. 31 Ibidem, pp.176-178).

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Albert-Marie Schmidt (Rimbaud). Il caso R. a proposito del quale le discussioni più pignole, le polemiche più aspre

sono ben lungi dall‘essere sopite, appare analogo in più di un punto a quello di Mallarmé che, nella sua ricerca dell‘Assoluto, resta schiavo di una letteratura che egli porta a un grado di stranezza, d‘inesprimibile astrazione. Rimbaud, al contrario, distolto dalla repulsione del reale, dopo avere sperimentato tutti gli artifici dell‘espressione, tutte le risorse dell‘allucinazione, si riduce al silenzio e vota alla letteratura un odio che egli ha il coraggio, d‘altronde facile, di non smentire mai.

Ignora le convenienze, tormenta i romantici morbosi di truculenti ingiurie, non chiede a Hugo, ai Parnassiani, che temi comodi che egli varia, fin dall‘età di quindici anni, con un virtuosismo tanto notevole quanto gratuito, nutre ed eccita in lui poteri di rivolta che lo tonificano e lo fanno inorgoglire.

L‘ambiente meschino in cui la provvidenza lo obbliga a vivere basta a mantenerlo in uno stato di ribellione presto feconda. Detesta la città provinciale in cui egli abita, la sua popolazione pettegola e compassata. Teme e disprezza sua madre il cui puritanesimo lo intristisce e lo scoraggia. Si prende gioco degli esercizi del formalismo religioso che gli vengono predicati. Sente aumentare in lui l‘esecrazione di Dio, della politica corrotta, materialistica del Secondo Impero.

Nel contempo è travagliato dalla febbre di una sensualità precoce la cui irritazione lo incita alle più piccole perversioni di un sadismo infantile. L‘amicizia che egli contrae con un giovane professore, talvolta imprudente, gli apre il paradiso e tutti gli inferni della letteratura e dell‘erudizione. (Potenza dell‘educazione!). Percorre alla rinfusa, stimolato da una fretta febbrile, le opere dei poeti, dei filosofi, dei politici, degli occultisti, dei mistici di ogni nazione e di ogni tempo. Il suo genio, bruscamente ravvivato da mille parole chiave (maîtres-mots), si cimenta a scrivere poemi terribili dove si mette in luce la sua rabbia e la volontà di stupire e di avvilire gli altri.

Rinnega Dio (Le Mal). Vitupera i preti (Le Châtiment du Tartufe). Grida (dégorge) il suo rancore sulla burocrazia che tenta di contrastare il suo desiderio di scienza libresca (Le assis). Mostra le ripugnanti miserie del corpo femminile (Vénus Anadyomène). Dipinge la feroce caricatura dei suoi compatrioti (A la Musique). Mentre Mallarmé trova spesso nella tenera presenza di un‘amica, di una calma sorella (Soupir), almeno un rimedio provvisorio ai suoi mali, egli schernisce il soccorso della donna perché la sua sete di sapere rifiuta di essere smorzata. L‘ispirazione poetica gli apporterà, almeno, la consolazione sovrana dello spirito che si calma esprimendosi? No: egli rifiuta le offerte servizievoli della Musa e l‘arte di fare versi aumenta nel suo animo un sentimento di solitudine. Ma egli ha sempre il potere di dedicarsi agli uomini per l‘uomo? Ahimè, la politica lo disgusta e la giustizia ha perduto per lui ogni sapore. I Romantici, soggetti agli eccessi di questo delirio (negatore) che nega ogni cosa, avevano con la Natura, confidente sempre docile, delle relazioni appassionate tali da trovare riposo sul suo seno, quando ogni altra consolazione era loro negata. Ora R., all‘inizio della sua carriera letteraria, considera la Natura come una maestra d‘impostura.

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―Viens donc, O Mort mystérieuse, ô Sœur de Charité! – esclama - (Les Soeurs de Charité).‖

Ma la morte si rifiuta. Il 10 maggio 1871, all‘età di sedici anni e mezzo, decide di diventare un Voyant.

Qui bisogna fare qualche precisazione. R:, simile a certi teosofi, considera il Creatore come una specie di Verbo misterioso che, proferendo parole efficaci, crea delle cose, e dissipa la sua Unità, mentre produce la molteplicità della Natura visibile. Ma ecco che interviene il Voyant: egli guarda le creature e le nomina; egli le riduce in questo modo a un‘essenza verbale, concentrandole sempre più e rendendole più simili all‘essenza primordiale, al Verbo, da cui sono uscite. Così gli antichi Alchimisti, con delle manipolazioni occulte, si illudevano di riportare i metalli alla purezza dell‘oro, da cui erano derivati a causa di una deplorevole degenerazione (dégénérescence). Nell‘ultima sua opera (Une saison en Enfer), R. chiama a buon diritto il suo metodo poetico una Alchimie du Verbe: grazie ad essa, tutte le percezioni del Voyant, tutte le sue sensazioni, si trasmutano in parole di une giustezza magica, che, confondendosi fra di loro, tendono a formare un riassunto (abrégé) sonoro del mondo, sempre più ridotto. Questa parola essenziale, il Voyant la stringe (serre) nella sua Anima per restituirla al Verbo unico, in cui, distruggendo così il mondo delle apparenze, cerca egli stesso di scomparire.

A Partire dal 10 maggio 1871, molti poemi di Rimbaud sono semplici esercizi d‘alchimia verbale: tale il Sonnet des voyelles, che fa corrispondere ai suoni primitivi i tre colori fondamentali dello spettro solare, e i loro due limiti: il nero e il bianco. Ma è nelle Illuminations, composte dal 1871 al 1873, che egli consegna i risultati delle sue preoccupazioni pericolose. Fino ad allora, con una sdegnosa maestria, aveva scritto versi regolari. Ma questi, quadri castigati, schemi di classificazioni rigorose, non si prestano facilmente alle confusioni sistematiche che egli pretende di realizzare. Li abbandona per preferire una prosa slegata, una versificazione libertina tanto che non hanno, né l‘una né l‘altra, nessuna analogia nella letteratura francese, se non forse il discorso interrotto di certe poesie satiriche medievali e di qualche discorso barocco senza né capo né coda.

Questa forma, meravigliosamente libera, si adatta miracolosamente all‘audace intenzione di R.: tradurre illuminazioni successive, senza imporre loro un ordine artificiale, poiché l‘incoerenza, spontanea o provocata, delle nostre sensazioni ci permette vagamente di concepire lo stato di indifferenziazione in cui si trovava ogni cosa, prima che emanassero dal Verbo.

Lo spirito dell‘uomo sente qualche disagio ad abbandonarsi al prestigio di tante opere (poesie) strane. Egli crede dapprima di scoprirvi soprattutto i segni di uno sregolamento mentale, vero o simulato. Ma presto, come negli ultimi sonetti di Mallarmé, può seguire il filo della loro curiosa logica interna. Talvolta sono delle allucinazioni semplici: R. inserisce di forza, in mezzo a queste percezioni, un‘immagine ossessiva che le rode a poco a poco (Barbare). Altre volte, egli s‘identifica con tutto ciò che vede e diventa, come le Satyre di Hugo, la natura intera (Aube). Possiede tutte le vite. Egli è volta a volta il passante che incontra, la bestia che accarezza, la pianta che respira. Cosciente dell‘identità di tutte le creature nel Verbo, egli si ripete, davanti a ciascuna di esse, come l‘asceta indù: Tu es cela.

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Finisce per splendere di una carità speciale, extraterrestre, di una carità che non ha da perdonare nessuna ingiuria, poiché R., il Voyant, si assimila perfettamente al

prossimo che egli incontra (aborde). Attraverso questo Nouvel Amour, il Voyant accede a uno stato di unità paradisiaca, in cui l‘Io e il Tu, confusi nel Verbo ignoravano che un giorno si sarebbero distinti (A une Raison). Ma tutte queste visioni, sempre più unificate per la loro trasmutazione in poemi, non avrebbero distolto il Voyant dal suo grande disegno. Esse non sono che delle tappe necessarie di un ritorno del mondo all‘Unità assoluta. Esse devono, il più rapidamente possibile, fondersi nell‘Uno. Dopo aver trasceso il mondo in illuminazioni, deve trascendere queste illuminazioni in oscurità, se vuole che l‘universo rientri per mezzo di lui nell‘Essere semplice. Il Voyant sacrifica dunque le sue percezioni, le sue allucinazioni, le sue visioni, e forse le sue parole, per perdersi nella pura origine, lui la cui anima porta il riassunto verbale del mondo, lui la cui anima talvolta si è ingrandita a misura del mondo.

A questo periodo delle sue investigazioni, R. si paragona a un assassino (Conte). Ma qual è l‘investigazione ultima che gli procura tanti omicidi spirituali? Cosa trova alla fine della sua ricerca, lui che si è vantato di trascinare con sé, in lui, l‘Universo? – L‘Assoluto? Dio? Se non: un diabolico Se-Stesso! Il Voyant non ha saputo strappare il mondo al mondo. Il Veggente non ha saputo liberarsi durevolmente di se stesso. Rimane una persona definita; un‘anima e un corpo.

L‘impresa mistica di R. si salda con un fiasco (un fallimento), come l‘avventura spirituale di Mallarmé. Ma sull‘insuccesso, M. non consente che qualche confidenza allusiva: vi sopravvive d‘altronde e prosegue i suoi tentativi disperati. R., al contrario, con un dolore atroce, scrive la storia, analizza le cause della sua disfatta. In una confessione patetica (Une Saison en Enfer), descrive i tormenti dell‘uomo che, per spogliare l‘universo del suo essere, e per astrarsi egli stesso dall‘universo, rinuncia alla condizione umana. Rinnegandosi, egli si espone a una riprovazione crudele. Cade nell‘Inferno; non in un vago soggiorno di torture metaforiche, ma in un vero luogo di dannazione. Là, il ricordo dei suoi insuccessi lo brucia della sua fiamma immateriale. Ha voluto operare una metamorfosi nel mondo (métamorphoser le monde), ma la creazione oggettiva è rimasta nella realtà. Egli stesso, inebriandosi di suoni, di colori, di aromi, di parole non è riuscito che a suscitare una instabile e terribile fantasmagoria. Ha voluto cambiare la vita umana ed ecco che essa offre sempre gli stessi caratteri di grandezza e d‘umiltà, di potenza e di debolezza. Ha voluto evadere fuori dal mondo, ma ha dovuto, dopo qualche slancio di estasi, rassegnarsi alla sua prigione terrestre, senza pervenire a relazionare ciò che furono i suoi troppo rapidi rapimenti, poiché le parole non hanno più corso, allorché si abiurano le relazioni umane. Ha creduto di essere capace di rinascere, superuomo, ma un tale rinnovamento implica una specie di predestinazione, ora R. non appartiene al numero di quegli eletti (che Gobineau nomina le Pleiadi): una così pesante eredità di servitù pesa sul suo destino che le sue stesse rivolte non sono che semplici capricci di schiavi (Mauvais sang). Ha pensato che il suo corpo non avrebbe ostacolato, da animale passivo, le sue più rischiose esperienze spirituali; ora la sua carne reagisce a tante sregolatezze: R. si sente esposto a sprofondare nella più banale demenza. Ha chiuso le orecchie agli avvertimenti del cristianesimo, ma

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tormentato dalla nostalgia del Paradiso, per aver creduto nelle promesse del tentatore: Vous serez comme des dieux, egli è inghiottito allo stato di dannato, di deficiente (L’Impossible).

Si può dire che tutto, in quella data, l‘avvicini a una conversione alla religione da cui la bigotteria di sua madre l‘aveva allontanato (stornato)? A leggere Une Saison en Enfer, si percepisce con quale simpatia egli discerne le qualità e i benefici della vita di preghiera. Talvolta confessa anche, con vergogna, che i (les touches) richiami della grazia lo raggiungevano finanche fra gli sfavillii del suo inferno. Egli continua tuttavia a detestare il cristianesimo. Il suo spirito satirico non risparmia lo stesso Gesù. Ne fa una specie di borghese celeste che egli colpisce con tutti gli strali che il suo rancore giovanile rivolgeva contro i borghesi terreni. (L’impossible). Il braccio del Signore si tende verso di lui per estrarlo dalla sofferenza estrema (Géhenne: vicino a Gerusalemme). Disdegna tutto ciò.

Tuttavia, egli comprende quale errore iniziale ha deviato dalla sua strada naturale tutto il cammino del suo spirito. Ha avuto il torto di lasciarsi sedurre, lui Occidentale, dalle dottrine capziose dell‘Oriente che, per la scarsa attitudine alle discipline dell‘azione, accorda alle attività mentali dell‘uomo un‘eminenza che esse non hanno. Abbandonando dunque la vita contemplativa caotica di cui ha assaporato fino alla nausea i piccanti malefici, detestando tutti i capolavori che essa gli ha permesso di comporre, rinunciando al Diavolo della letteratura e ai suoi fasti, R. cerca di aprire la sua anima ai confortanti precetti della vita pratica. S‘infiamma per l‘azione, vuole utilizzare la sua forza, non disperderla più in chimere, ma impiegarla in sforzi concreti. Così spera continuamente di restaurare in lui la felice armonia dell‘anima e del corpo che salvaguardi la persona umana, rendendola docile a delle luci efficaci. Voleva rapire e possedere la verità nella sua sola anima. (Dirà: J‘ai connu la Vérité, elle s‘est assise sur mes genoux; mais lorsque je l‘ai comprise et sentie j‘en étais déjà dégoûté). Per poco non è naufragato, poiché l‘uomo non è un angelo. Adesso, aspira a trovare diletto in una riconciliazione fra l‘universo e se stesso, qu’il soit loisible de posséder la vérité dans une âme et un corps (Adieu). Che gli sia permesso di possedere la verità in un‘anima e un corpo.

Questa fu la sorprendente avventura di Jean-Arthur Rimbaud. Dall‘età di quindici anni, egli tentò di condurre a buon fine un‘esperienza mistica eccezionale in Occidente. Ne consegnò le diverse fasi in dei poemi e in delle prose la cui audacia unica rende in anticipo meschine le audacie letterarie meno sensate. Il suo nome conquistò la gloria intorno al 1885. Ne apprese la notizia con molta indifferenza.

Alcuni scrittori gli avevano comunicato che avevano fondato una nuova scuola poetica: il Surrealismo che si basava sulla sua esperienza poetica fondata sulle forze inconsce; essi dicevano: anche se la sua ricerca è fallita la sua esperienza rimane; egli ha visto: le immagini, le visioni, la sua esperienza mistica resta ed ha una grande valenza poetica. La risposta è: C‘est dégoûtant!.

Conduceva allora un‘esistenza colma di movimenti e di imprese, che aveva, fin dall‘età di quindici anni, prefigurato nel Bateau Ivre, prima di diventare, come aveva oscuramente profetizzato egli stesso, uno di (ces féroces infirmes retours des pays chauds - Mauvais sang), quei feroci infermi ritorni dai paesi caldi.

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Mario Iazzolino

AUBE

Visivamente: il primo e l‘ultimo verso (Otto sillabe). Racchiuso in una sorta di cornice. Punto di partenza e punto d‘arrivo. Un‘esperienza passata, già consumata, ricuperabile attraverso il ricordo e

raccontarla, a riattuare un‘esperienza vissuta, esaltante, atemporale, anche se si situa nello spazio e nel tempo, e a raccontarla.

J’ai embrassé l’aube d’été è un‘Illuminazione, una conquista in una esaltazione dello spirito.

Richter afferma: il poeta è riuscito, sia pure per un istante, a superare le barriere spazio-temporali e della morte, per accedere alla dimensione del mito, dell‘ordine dell‘assoluto nell‘immanenza, del divino nell‘umano.

Racconto (memoriale) di tipo parabolico. Cinque capoversi: due di tipo ascendente, un vertice, due di tipo discendente. Prime parole: Rien ne bougeait encore, Immobilità, morte, assenza di luce (les

champs d‘ombre...). L‘azione del Je (J’ai marché), movimento fisico del camminare=creazione. Armonia, corrispondenza, confusione fra io e mondo. Ma non si è ancora usciti dal silenzio (haleines, pierreries, ailes... sans bruit). Une fleur qui me dit son nom: è l‘impresa della parola, il momento demiurgico

del linguaggio, la prima manifestazione uditiva. E‘ la natura che parla: M. Richter afferma che: ―R. sembra voler conferire alla

prima entreprise della parola un rapporto diretto fra nome e cosa, una relazione diretta fra dire e essere.‖ Una sintonia, una collaborazione, accordo, reciprocità fra l‘io e il mondo: la rivelazione viene dal mondo, dalle cose ―mute‖, come avviene in Baudelaire in Elévation, ―Heureux celui ... /Qui plane sur la vie et comprend sans effort le langage des fleurs et des choses muettes‖.

Questo accordo, questa compenetrazione, questo incontro amoroso fra la vita dell‘io e la vita della natura esterna si situano nella parte centrale del poema.

Qui è messo in atto l‘ideale impressionistico (―Je ris‖) provocato dalla stessa immagine, fondata sull‘immediatezza ottica dei rapporti luminosi affrancati da ogni convenzione intellettualistica.

Si realizza il mito della Déesse: Wasserfall, ―blond, s’échevela‖. Si passa dalla immagine alla possessione reale: un processo effettivo di

conoscenza. ―Je levai un à un les voiles‖ (possesso), ma ―elle fuyait‖ si separa dall‘io. Ma egli

l‘ha creata e quasi posseduta. Adesso è ―comme un mendiant‖. ―Questo inseguimento, questa ―caccia‖ drammatica dell‘assoluto nell‘immanenza,

dell‘istante luminoso che l‘apparente moto solare sottopone alla legge del tempo, sono gli stessi dei pittori impressionisti, che proprio negli anni in cui probabilmente R. scrisse Aube (1872-73) andavano eleggendo in modo sempre più risoluto il

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rapporto visivo colore-luce a protagonista esclusivo del loro incontro col mondo fenomenico.‖

Nel momento in cui sembra che il possesso sia avvenuto (J’ai senti un peu son immense corps) si assiste a una rottura, a una caduta... che reintroduce l‘antinomia dualistica e specificamente romantica sogno-realtà.

Au bas du bois... et en haut de la route (antinomia –dimensione verticale). Nella caduta l‘io diventa un altro: separazione dell‘io-enfant e della déesse-aube=

frattura, caduta. Quando l‘io può pronunciare le parole enfant e aube, ciò significa che siamo

usciti dal mito e che si è rientrati nell‘attrazione della temporalità linguistica.