Segrete di Bocca N. 20

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Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557 20DANGELO06 Fondatore Giacomo Lodetti / Direttore Giorgio Lodetti / Direttore Artistico Roberto Plevano / Progetto Grafico Franco Colnaghi Anno VI, N. 20 • Gennaio-Marzo 2007 • Galleria Vittorio Emanuele II, 12 - 20121 Milano • e-mail: giorgio.lodetti @libreriabocca.com Continua a pagina 18 Continua a pagina 18 è l’umanità essenzialmente corrotta a costituire la materia di ogni opera E. M. Cioran Otto Dix con la sua pittura generava scan- dalo e fu contestato perchè “fanatique de la vérité impitoyable, qui analysait, disséquait, déformait, dénudait, démasquait” (Schmidt, Neue Zürcher Zeitung, 1929). Ma non è col- pa di Dix se siamo immersi in una realtà abo- minevole che ci travolge con la brutalità del- le guerre, degli stupri, degli addii, delle so- praffazioni egoistiche e che si impone con in- decenza allo sguardo disingannato e feroce dell’artista in una universale estensione di tra- gedia, assurda e divina insieme. È un campo di sterminio vasto come il pianeta, in cui Eros e Thanatos si giocano orrendamente le spo- glie degli uomini, massa impulsiva e sventata che si riproduce tra fiotti di animalesco pia- cere e brevi illusioni di felicità: gocce d’acqua cinicamente centellinate a riarse bocche mo- renti per dilungarne la sconcia agonia. È un’u- manità che scorrazza con frenesia ottusa sot- to distrazioni di nuvole e non si accorge che il pianeta è solo uno sferico carcere, un brac- cio della morte a cielo aperto in cui ciascu- no è in attesa della chiamata al patibolo. Roberto Casadio, pittore di grande tempe- ramento, pur non investito dal sanguinario or- rore della guerra, ha un occhio altrettanto pe- netrante e severo, capace di mettere a nudo l’ambigua malinconia del vivere in un univer- so malato di entropia, ansimante di provviso- rietà, avvelenato da annunci di fisico degrado e di morte. Dopo avere inutilmente rivolto ansiose domande a un cielo muto, Casadio deve rassegnarsi a distogliere lo sguardo da un orizzonte che rimanda solo silenzi di lune e lucori di stelle, forse già spente, per rivol- gerlo al nostro carnale sconforto di povere cose palpitanti nell’ostilità del creato. L’impatto con i quadri di Casadio, che non la- sciano mai indifferente l’osservatore, avven- ne anni fa nella sua Romagna a una Fiera dell’Arte. Attorniato da una serie di sue tele impetuose e drammatiche dai colori caldi e guizzanti che spiccavano nettamente nel pa- norama di ripetitivo squallore e di penosi co- nati imperversanti nelle gallerie, nelle fiere e dilaganti nei musei e negli spazi pubblici in un’orgia di pervicace valorizzazione del nul- ROBERTO CASADIO Avanti… confessa! siamo entrati nel tuo studio e abbiamo visto tutti quei ritratti, sembrano so- spesi con il viso all’insù, scommetto che li hai im- piccati e ti sei divertito a osservarne i volti dal- l’alto, quasi a implorarti di tagliare la corda e non soffocarli ! Ma no, io i ritratti li concepisco così, figure col- te in equilibrio prospettico, volti che paiono interrogarsi sul proprio ruolo, quasi attendendo una conferma, un assenso, sovrastati da un de- stino schiacciante e timorosi di scivolare nel vuoto, in quel grigio plumbeo che già sembra inghiottirli, condannati in attesa di giudizio. Sembra quasi che voglia essere tu il giudice: guar- da che abbiamo trovato anche delle crocifissio- ni e dei conigli squartati ! Beh, quelli rappresentano l’estrema sintesi del destino umano, simboli di una sofferenza quo- tidiana che ci violenta e di un sacrificio che cerca riscatto… In fondo la nostra vita è uno stentante alternarsi tra una consapevole cro- cifissione e una brutale macellazione, dolo- rosa ascesi e delirante abbruttimento, acco- munati da esangue rassegnazione, la stessa di quei corpi appesi. Il mio è un inno alla carne, cerniera di con- giunzione tra sacro e profano, guscio emotivo in progressiva, inarrestabile disgregazione che sembra manifestare l’angoscia di sottrarsi al vuo- to incombente, in un contorcersi baconiano in cui non interessano i volti, ma il tentativo di la- cerazione di un involucro soffocante, a scuo- tersi da quella pelle che è una cancrena del tempo e il segnale più tangibile e irriverente della nostra condizione di disfacimento. Varlin è stato il mio primo maestro di vanitas, a rappresentare figurativamente l’umana dis- solvenza, ironicamente accettata, Bacon me ne ha urlato la costante, devastante contiguità. Incutono timore le tue figure senza testa, come se volessi farle a pezzi, distruggerle e occultarle nei loro ambienti, in quegli interni desolatamen- te vuoti! non è che li hai sotterrati ? No, semmai sono loro a sotterrare me, a os- sessionarmi con la loro non presenza: io ve- do già gli ambienti vuoti, popolati da una as- senza imminente, dalle ombre di coloro che sto osservando e tra un po’ saranno altrove, sono le figure filiformi di Giacometti che si al- lungano nel vuoto, corrose da un’individualità che ne tradisce la sottile, etimologica inco- municabilità, l’ulcerante consapevolezza di un progressivo e silenzioso distacco. Gli interni delle abitazioni deserte sono i ve- ri protagonisti, noi siamo la polvere che li ri- copre, le fabbriche dismesse sono lo specchio delle nostre voci assenti, i resti inorganici di un passaggio umano assimilabile ai residui di un processo industriale. Però poi sei passato da queste visioni anguste a quelle gigantesche dei cantieri navali, forse so- no mappe di qualche traffico illecito ? In effetti sì, sono mappe, ma di un desiderio di fuga dal soffocamento di quegli ambienti spogli e desolatamente grigi, monocromi co- me il pensiero dominante di osservare tutto con lo sguardo del dejà-nu, dove al classico schema del dejà-vu, del già visto o vissuto, si sostituisce un ossessivo già nudo, spogliato dell’immediatezza del presente, carico del ri- chiamo emotivo della scena sgombera dei protagonisti, dell’io lasciato a contemplare il dopo, una sorta di delocazione esistenziale. Nei miei immensi cantieri non si notano pre- senze umane, ma si immaginano le folle che animeranno quelle costruzioni, un annuncia- to battesimo di vita, quasi un futurista varo di frastuoni che orchestrerà una miriade di emo- zioni, caotico agglomerato di individualità. È una silente esplosione di vita e movimen- to, una rivincita alla staticità degli interni, una fuga impulsiva dal vuoto che ci attende: il mio vuole essere un monumentalismo aggregan- te, esattamente l’opposto dei desolanti sce- 17 ALESSANDRO PAPETTI Le interrogatorie visioni Arlecchino e la modella, 2004 Superbia, 2004 Nudo notturno, 2006 Boulevard St. Germain, 2006

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Nasce dall’esigenza sempre maggiore di promuovere la giovane Arte contemporanea Italiana, l’esigenza da parte della storica libreria Bocca di Milano di diffondere sempre più capillarmente il proprio notiziario informativo: Le Segrete di Bocca. Quadrimestrale d’attualità artistico e culturale nato nel duemila come inserto della rivista Arte incontro in Libreria, oggi si emancipa da inserto a Rivista indipendente. Forte della distribuzione gratuita ad oltre duemila nominativi di clienti fidelizzati alla Bocca, diffusi sul territorio italiano, specializzati o semplicemente interessati alle arti contemporanee italiane ed internazionali. La Rivista punta su collaborazioni mirate a migliorare i propri contenuti, attraverso l’avallo e il contributo delle Gallerie d’Arte, oltre che a stringere rapporti di collaborazione con strutture organizzative di prima linea presenti sul territorio nazionale. Forte dell’appoggio di oltre trenta collaboratori, tra cui giornalisti e critici d’arte, è oggi possibile far parte di questo nutrito entourage, formatosi in sette anni di attività editoriale. Insieme saremo in grado di dar voce alle più differenti ricerche nel campo dell’Arte Contemporanea Italiana. La Libreria Bocca sempre in prima linea nella promozione, attraverso il vostro contributo, potrà diventare un faro nella nebbia di questo complicato sistema che è l’Arte Contemporanea. Unisciti a questa nuova iniziativa editoriale e collabora con Le Segrete di Bocca, Artisti in Rivista. Per maggiori informazioni contatta Giorgio Lodetti: 338 2966557 oppure via e.mail: [email protected]

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Fondatore Giacomo Lodetti / Direttore Giorgio Lodetti / Direttore Artistico Roberto Plevano / Progetto Grafico Franco Colnaghi Anno VI, N. 20 • Gennaio-Marzo 2007 • Galleria Vittorio Emanuele II, 12 - 20121 Milano • e-mail: [email protected]

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è l’umanità essenzialmente corrottaa costituire la materia di ogni opera

E. M. Cioran

Otto Dix con la sua pittura generava scan-dalo e fu contestato perchè “fanatique de lavérité impitoyable, qui analysait, disséquait,déformait, dénudait, démasquait” (Schmidt,Neue Zürcher Zeitung, 1929). Ma non è col-pa di Dix se siamo immersi in una realtà abo-minevole che ci travolge con la brutalità del-le guerre, degli stupri, degli addii, delle so-praffazioni egoistiche e che si impone con in-decenza allo sguardo disingannato e ferocedell’artista in una universale estensione di tra-gedia, assurda e divina insieme. È un campodi sterminio vasto come il pianeta, in cui Erose Thanatos si giocano orrendamente le spo-glie degli uomini, massa impulsiva e sventatache si riproduce tra fiotti di animalesco pia-cere e brevi illusioni di felicità: gocce d’acquacinicamente centellinate a riarse bocche mo-renti per dilungarne la sconcia agonia. È un’u-manità che scorrazza con frenesia ottusa sot-to distrazioni di nuvole e non si accorge che

il pianeta è solo uno sferico carcere, un brac-cio della morte a cielo aperto in cui ciascu-no è in attesa della chiamata al patibolo.Roberto Casadio, pittore di grande tempe-ramento, pur non investito dal sanguinario or-rore della guerra, ha un occhio altrettanto pe-netrante e severo, capace di mettere a nudol’ambigua malinconia del vivere in un univer-so malato di entropia, ansimante di provviso-rietà, avvelenato da annunci di fisico degradoe di morte. Dopo avere inutilmente rivoltoansiose domande a un cielo muto, Casadiodeve rassegnarsi a distogliere lo sguardo daun orizzonte che rimanda solo silenzi di lunee lucori di stelle, forse già spente, per rivol-gerlo al nostro carnale sconforto di poverecose palpitanti nell’ostilità del creato.L’impatto con i quadri di Casadio, che non la-sciano mai indifferente l’osservatore, avven-ne anni fa nella sua Romagna a una Fieradell’Arte. Attorniato da una serie di sue teleimpetuose e drammatiche dai colori caldi eguizzanti che spiccavano nettamente nel pa-norama di ripetitivo squallore e di penosi co-nati imperversanti nelle gallerie, nelle fiere edilaganti nei musei e negli spazi pubblici inun’orgia di pervicace valorizzazione del nul-

ROBERTO CASADIO

Avanti… confessa! siamo entrati nel tuo studioe abbiamo visto tutti quei ritratti, sembrano so-spesi con il viso all’insù, scommetto che li hai im-piccati e ti sei divertito a osservarne i volti dal-l’alto, quasi a implorarti di tagliare la corda enon soffocarli !Ma no, io i ritratti li concepisco così, figure col-te in equilibrio prospettico, volti che paionointerrogarsi sul proprio ruolo,quasi attendendouna conferma, un assenso, sovrastati da un de-stino schiacciante e timorosi di scivolare nelvuoto, in quel grigio plumbeo che già sembrainghiottirli, condannati in attesa di giudizio.Sembra quasi che voglia essere tu il giudice: guar-da che abbiamo trovato anche delle crocifissio-ni e dei conigli squartati !

Beh, quelli rappresentano l’estrema sintesi deldestino umano, simboli di una sofferenza quo-tidiana che ci violenta e di un sacrificio checerca riscatto… In fondo la nostra vita è unostentante alternarsi tra una consapevole cro-cifissione e una brutale macellazione, dolo-rosa ascesi e delirante abbruttimento, acco-munati da esangue rassegnazione, la stessa diquei corpi appesi.Il mio è un inno alla carne, cerniera di con-giunzione tra sacro e profano, guscio emotivoin progressiva, inarrestabile disgregazione chesembra manifestare l’angoscia di sottrarsi al vuo-to incombente, in un contorcersi baconiano incui non interessano i volti, ma il tentativo di la-cerazione di un involucro soffocante, a scuo-

tersi da quella pelle che è una cancrena deltempo e il segnale più tangibile e irriverentedella nostra condizione di disfacimento.Varlin è stato il mio primo maestro di vanitas,a rappresentare figurativamente l’umana dis-solvenza, ironicamente accettata, Bacon mene ha urlato la costante, devastante contiguità.Incutono timore le tue figure senza testa, comese volessi farle a pezzi, distruggerle e occultarlenei loro ambienti, in quegli interni desolatamen-te vuoti! non è che li hai sotterrati ?No, semmai sono loro a sotterrare me, a os-sessionarmi con la loro non presenza: io ve-do già gli ambienti vuoti, popolati da una as-senza imminente, dalle ombre di coloro chesto osservando e tra un po’ saranno altrove,sono le figure filiformi di Giacometti che si al-lungano nel vuoto, corrose da un’individualitàche ne tradisce la sottile, etimologica inco-municabilità, l’ulcerante consapevolezza di unprogressivo e silenzioso distacco.Gli interni delle abitazioni deserte sono i ve-ri protagonisti, noi siamo la polvere che li ri-copre, le fabbriche dismesse sono lo specchiodelle nostre voci assenti, i resti inorganici diun passaggio umano assimilabile ai residui diun processo industriale.Però poi sei passato da queste visioni angustea quelle gigantesche dei cantieri navali, forse so-no mappe di qualche traffico illecito ?In effetti sì, sono mappe, ma di un desideriodi fuga dal soffocamento di quegli ambientispogli e desolatamente grigi, monocromi co-me il pensiero dominante di osservare tuttocon lo sguardo del dejà-nu, dove al classicoschema del dejà-vu, del già visto o vissuto, sisostituisce un ossessivo già nudo, spogliatodell’immediatezza del presente, carico del ri-chiamo emotivo della scena sgombera deiprotagonisti, dell’io lasciato a contemplare ildopo, una sorta di delocazione esistenziale.

Nei miei immensi cantieri non si notano pre-senze umane, ma si immaginano le folle cheanimeranno quelle costruzioni, un annuncia-to battesimo di vita, quasi un futurista varo difrastuoni che orchestrerà una miriade di emo-zioni, caotico agglomerato di individualità.È una silente esplosione di vita e movimen-to, una rivincita alla staticità degli interni, unafuga impulsiva dal vuoto che ci attende: il miovuole essere un monumentalismo aggregan-te, esattamente l’opposto dei desolanti sce-

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ALESSANDRO PAPETTI Le interrogatorievisioni

Arlecchino e la modella, 2004 Superbia, 2004

Nudo notturno, 2006

Boulevard St. Germain, 2006

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18Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557

la, egli si levò incontro come un Dante paci-ficato, emergente da un girone di creature ge-menti e dannate di incontenibile pathos, in mar-cato contrasto con la sua espressione accatti-vante e distesa. Questo dissidio tra bonomiae intransigenza ci ha sempre incuriosito ed at-tratto in Roberto Casadio, cordiale e discorsi-vo nei contatti umani, impietoso e irremovibi-le nel suo studio, a tu per tu con la devastataarmonia di volti e di corpi, o piuttosto di ani-

me, che l’inesorabilità del tempo sa vorace-mente corrompere e lui ancora più celermenteanticipare nelle sue tele così atrocemente pre-saghe. E’ in primo luogo la sofferenza dei con-flitti della bellezza e della sua inarrestabile con-sunzione che sottende la ribellione umana edartistica di Casadio. Nudi di donna, infocatemeteore emananti splendore (Nudo rosso,Riposo), prepotenza di seni che “fondono” lasottile ipocrisia dei vestiti e si mostrano incan-descenti ai nostri peccaminosi languori (Capellirossi,Brindisi), imbarazzanti avvenenze muliebri(Omaggio a Courbet, Le tre mele), raffinate no-stalgie feticiste di erotizzanti reggicalze neri(Arlecchino e la modella, Invidia,Lussuria), le Bellefumatrici irrequiete — unghie rosse affilate etrucco pesante a mitigare occhiaie scavate dal-la lascivia — perse a divagare tra nebbie di fu-mo e di alcol su naufragi di amori e fantasmidi figli perduti, trasfigurano in degradate crea-ture in cui ogni attrattiva si spegne, sopraffat-ta da garbugli di rughe, dalla fatica volgare delvivere, dal ricordo delle ferite, dal rattrappirsidei sogni (Nastro rosso). Roberto Casadio sa,quando dipinge, che anche la sua mano è mo-ribonda. E che essa ritrae carnali oggetti dicontemplazione ormai prossimi al niente,pronti a dissolversi in un soffio di cenere. Lasua pittura rivela gli inganni dell’esistenza el’insondabilità del suo complesso mistero, ilcui cardine non può che essere ancora la don-na, capace di tenere in vita il mondo, in unacontaminazione di esuberanza e di morte, disperanza e dolore, in un groviglio di sconvol-

genti contraddizioni: Dea Madre e Furia in-fernale, vergine e prostituta, incoercibile for-za della natura e corpo violato, fragilità e in-contenibile energia rigenerante, gorgo di pas-sioni e simbolo angelicato, concupito enigmadi sublimate meschinità. Casadio, dall’entusia-stica ammirazione per il fascino muliebre, co-sì magnificamente affermato nelle imponen-ti allegorie dei Vizi capitali e in particolare del-la Superbia — un corpo di donna colmo, distraordinaria avvenenza, eccitante nella suanudità procace accentuata da trasparenze divesti leggere - e dell’Invidia — magistrale scor-

cio di un discinto corpo femminile disteso, in-cendiario, inesauribile oggetto di desiderio -sprofonda nel desolato sconcerto del suo di-sfacimento peccaminoso,della sua sinistra con-danna all’infezione del mostruoso e del brut-to. Una pennellata fluente, pastosa, dal tim-bro deciso e ricco di tonalità, staglia primi pia-ni sfrontati su dissolventi cupezze da retro-scena, tagliate a volte dal cono indagatore diun occhio di bue o da un indiscreto sciabola-re di riflettori che mettono al vivo stati d’a-nimo, simulacri di maschere abbandonate, ca-scami di menzogne, estenuate ossessioni, ca-ligini di memoria. Quadri che scagliano vo-luttuose censure al fascino vizioso del vive-re, opponendo straniato sgomento all’in-terrogativo del nostro rovinoso sparire, al-la bestemmia del dolore, al millenario in-calcolabile accumulo di sofferenze delle mol-titudini umane (e animali) che dovrebbe farscoppiare il cuore di qualsiasi dio che nonsi sia voluto distrarre. L’amara poesia cheCasadio riversa nei nostri occhi affascinatie smarriti percorre un’impietosa teoria disolitudini, di dolenti intuizioni, di echi di di-sperazione e di sfiorite bellezze disperse neltempo che ci raggiungono come un inter-minabile grido di belva ferita. Quell’urlo sor-do che attraversa l’anima di ciascuno di noie che solo l’ultimo sipario di silenzio sapràfinalmente acquietare, raccogliendo nel buiodella terra la nostra indifesa nudità.

Giovanni Serafini

nari urbani di Sironi, manifesto di un’angosciaumana e politica.L’alienante mancanza di orizzonti è sconfittadalle mie costruzioni navali, il messaggio di unRex felliniano che presagisce il viaggio che af-fronteremo, una enorme capienza di presen-ze a maturare l’allegoria di un’avventura col-lettiva, di una futurista aeropittura che nonvuole essere puro entusiasmo costruttivo, sfi-da eroica alla realtà, bensì enorme scialuppadi salvataggio, arca di Noè pronta a sottrarcia un naufragio: è una giganto-pittura in cui al-

la resa incondizionata e allucinata del singolosi sostituisce il prodotto di una capacità co-rale di reazione, un “memento vivi” che fa ab-bandonare il vissuto grigiore degli interni.Non mi convince questo entusiasmo, tu vuoi fuor-viare l’attenzione…Sì, forse lo scopo è proprio questo, immergerciin una realtà complessa in movimento, ritro-vare un dialogo con l’ambiente che ci accoglie,fuggendo dal chiuso per arginare il senso di ab-bandono e crollo imminente che ci dilania, ciparla degli oggetti abbandonati, delle scoloriteimpronte che sopravvivono al nostro passag-gio. Così i miei personaggi li reinvento in atte-sa del varo di quelle navi a popolarne le cabi-ne, o immersi nel traffico delle strade pariginein una affannosa guida verso il caos, risucchia-ti ancora una volta da un vortice di voluta eincosciente trasgressione nei confronti di untempo che fluisce con la stessa intensità, qua-si a ignorarne le dissacranti conseguenze.Da questa euforia vitale di fuga maturo cosìl’analogo disagio degli esterni, di quegli sce-nari urbani che paiono resti di un’esplosioneatomica, privati improvvisamente di ogni at-tività vitale, testimoni di una civiltà distrutta,come cristallizzati nel tempo.Ancora una volta mi assale l’iniziale senso di

sospensione nel tempo dei ritratti e degli in-terni, avverto la vita come accumulo di po-vere tracce che ci sopravvivono, una poeticaalla Boltanski, l’oggetto come anima delle no-stre emozioni, immobile testimone di un ve-loce passaggio: così poltrone, letti, tavoli par-lano di noi, ma vivono di vita autonoma, rac-contano delle varie identità che hanno ospi-tato, come un albergo ad ore.Ma questo Boltanski è tuo complice?Ma no! è un artista che come me guarda ilmondo col disincanto di chi lo vede spogliodi ogni significato, che ne esalta i piccoli og-getti come monumenti alla memoria e nemette a nudo la fragilità.Ecco, nell’acqua ho trovato l’elemento piùconsono a rappresentare questo senso di so-spensione e di disarmante nudità: forse è unrichiamo al grembo materno o più semplice-mente a un mezzo che rallenta il nostro af-fanno, scomponendolo in movimenti più ge-stuali, di eleganza teatrale, che sottolineanoun’inutile ansietà di sopravvivenza.Ecco, in questo atteggiamento Boltanski è miocomplice.Ah! finalmente hai confessato!Fortunatamente, in questa calda giornata esti-va, il rumore di un tuffo nella piscina di fron-

te alla mia abitazione mi fa svegliare d’im-provviso: ho sognato di essere Papetti, unodei più coinvolgenti e significativi artisti delpanorama internazionale e ho vissuto un in-terrogatorio da incubo, sottoposto al suo stes-so disagio di identificazione, alla sua stessa co-scienza dell’inadeguatezza di un vero mezzoespressivo al livello dell’umano sentire.Ora ho il terrore di continuare quell’interro-gatorio nel chiuso del mio studio, interro-gando le immagini dei suoi personaggi, cer-candone una autentica complicità.

Aldo Benedetti

LE INTERROGATORIE VISIONI DIALESSANDRO PAPETTI

ROBERTO CASADIO

Il mezzo è il digitale perché le foto sono or-mai tutte in digitale; col computer si manipo-la e si trasforma la realtà. Attraverso il com-puter la realtà diventa sogno e il sogno di-venta una nuova realtà reinventata e diffe-rente. Il digitale permette di passare dal figu-

CYRILLE MARGARIT DigitalEvidences

rativo all’astratto sulla medesima base di par-tenza; è il figurativo che si fa astrazione, larealtà che vira verso l’astrazione e diviene so-gno. Quindi nel digitale il sogno è realtà.Il mondo del reale viene sperimentato e vis-suto sotto sfaccettature diverse, sotto altreluci; si mostra il sogno contenuto nella realtà;le altre possibili realtà, le moltitudini di “realtà”diverse. Un corpo umano diviene macchia,colore, emozione pura; un grattacielo di NewYork si incendia in un fuoco morbido e caldoche non scotta, che non ha nulla di pericolo-so o mortale. È solo un “altro” Empire StateBuilding. Una Ferrari che sfreccia al GranPremio di Monaco non è solo il mito che tut-ti vediamo e conosciamo; è un soffio, uno stri-dio, un urlo,movimento puro,movimento del-l’anima, moto del tempo, l’espace d’un matin.È il sogno.“Evidences” in inglese significa “pro-ve” di un processo o di un discorso. Prove direaltà che ci circonda. Quello che viene ri-prodotto dal mezzo fotografico è realtà.In francese infatti significa “evidente” vale a di-re sotto gli occhi di tutti: reale. Per CyrilleMargarit la realtà è quella che si vede e si fis-sa attraverso un obiettivo.Tutto il mondo che

ci circonda e che viviamo è lì dentro; un oc-chio magico indagatore che mette a nudo noistessi e tutto ciò che ci capita a tiro.Da lì la realtà non può sfuggire. È l’evidenza,Ma vi è un “ma”, una domanda, una sfida piùche altro:“ma è veramente tutto e solo quel-la la realtà?” E se fosse anche qualcos’altro,qualcosa che sta al di fuori della mera perce-zione visiva e sensoriale? Perché non prova-re ad andare “oltre”, a stravolgere quella realtàper farla divenire sogno? Per vedere cosa c’èdietro la facciata, dietro l’angolo? Sperimentareun mondo diverso per arrivare non si sa do-ve, alle radice dell’essere o al di là dell’esserestesso?Da qui parte, nella ricerca di Margarit, la fu-sione tra “digital” ed “evidences” che diventauna nuova forma di figurazione o una puraastrazione. E Margarit gioca con figurazionee astrazione in modo nuovo su un supportodi alluminio dove le fotografie non vengonoincollate, ma vengono direttamente impres-se con una tecnica totalmente nuova.La luce non è più quella proveniente dal qua-dro, dal chiaroscuro pittorico, ma viene coltadirettamente dal mondo esterno; è la luce delsole, del giorno che interagisce direttamentecon il supporto di alluminio dandogli nuancee modulazioni differenti. Una tecnica nuova,una nuova sperimentazione sui materiali per

esprimere unmodo di sentire,un mondo cheè quello tuttoparticolare diCyrille Margarit.Un sognatore,uno dei pochi edegli ultimi ri-masti! Un sensoestetico il suo,fatto di istintopuro, che scatu-risce inconsciamente dalla sua anima.Tutto ègiocato su un ideale di bellezza che è primadi tutto bellezza interiore, è scavo nell’animoumano, è un atto di amore. Solo su una basedi tal genere si può costruire un “Artista”; sul-l’istinto, sulla delicatezza, sulla purezza. Cyrilleriesce ad essere tutto ciò, riesce ancora a me-ravigliarsi di fronte al mondo, alla sua bellez-za, alla sua magia. Riesce ancora ad emozio-narsi di fronte ad un paesaggio o al volto diun bambino. Fino a quando avremo esseriumani capaci di provare ancora e nonostan-te tutto sentimenti di tal genere, avremo an-cora e fortunatamente “Artisti”.Cyrille è uno di questi.

Cynthia Penna

Red Mask, 2006

Chrysler, 2006

Portacontainer notturno, 2005

Paris - Metro Passy, 2006

Nastro rosso, 2004

Brindisi, 2003

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STUDIO FORNI - MilanoIl corpo femminile, cantato da poeti e scrit-tori, immortalato sulla tela dai più grandi pit-tori di tutti i tempi, diviene il soggetto pre-scelto da Luciano Ventrone, per un nuovo ci-clo di opere, che affiancano ed accompagna-no le più note nature morte.Ventrone aveva già affrontato questo temaall’inizio della sua carriera, prima di intra-prendere quel lungo viaggio che lo ha porta-to ad essere uno dei più indiscussi maestri delnostro tempo. In questi anni di continua ri-cerca pittorica, sulla luce e sul colore,Ventroneha dato vita a memorabili cicli di nature mor-te, immortalando sulla tela composizioni difrutti o foglie illuminati da quella luce fredda,algida che è divenuta una della sue più note

LUCIANO VENTRONE Still-human-life

caratteristiche: oggi la scelta di rappresenta-re con la stessa tecnica e lo stesso sguardo ilcorpo femminile. Non è la prima volta chel’autore decide di affrontare temi diversi dal-la natura morta, ne sono un esempio i de-serti e le marine, ma forse il nudo si inseriscein modo più incisivo all’interno del suo uni-verso pittorico. Nelle prime opere su questotema compare accanto alla modella un pic-colo cesto di frutta, quasi una dichiarazionedi poetica, un rimando evidente alle altre ope-re per evidenziare la medesima attenzioneposta nel raffigurare le membra femminili alpari di una zucca o di un melograno. Anchela scena pittorica è la stessa: un fondo neroed un piano d’appoggio bianco. Non vi è uninteresse psicologico, introspettivo; dal voltodella modella non traspaiono emozioni o sen-sazioni che tradiscano il suo stato d’animo, osvelino qualcosa della sua personalità, tuttociò che si vuole svelare è lì, davanti ai nostriocchi, nell’armonia e nell’eleganza del suo cor-po, nel fascino emanato dai suoi capelli, rap-presentati nei più piccoli dettagli, tanto dasembrare veri, tangibili. La sua interiorità ri-mane un mistero, conservato per sempre nel-l’atmosfera rarefatta del quadro.Nelle ultime opere scompare anche il cestodi frutta, la composizione diviene ancora piùessenziale, affidata solo al corpo della model-la, che assume, a volte, posizioni più articola-te, descrivendo all’interno della tela delle for-me geometriche nelle quali la luce si insinuaaccentuando le forme o sottraendo allo sguar-do porzioni di pelle. In alcuni dipinti i giochichiaroscurali sono più violenti, lasciando in om-bra intere parti del corpo, come in Leptis ma-gna dove, forse non a caso, è proprio il viso arimanere quasi nascosto,mantenendo così an-cora una volta celati i segreti dell’anima.

Barbara Frigerio

GALLERIA FORNI - Bologna

Presso FORNIBOOKSHOP saranno in ven-dita e consultabili diversi prodotti editoriali:non solo i cataloghi delle mostre ospitate dal-la Galleria nel corso del tempo, ma anche ivolumi editi da prestigiose case editrici qua-li Electa, Charta e Skira sull’opera di alcuniimportanti artisti che hanno esposto pressola Galleria; fra tutti basti citare Giorgio Tonelli,Luciano Ventrone, Alessandro Papetti oGiovanni La Cognata.Il nuovo spazio si propone in questo modo di diventare un punto di riferimento per l’editoria d’arte e lepubblicazioni di un settore, quello fotografico, che vanta un numero sempre più ampio di appassionati.L’ambiente, reso caldo e accogliente dalle librerie in legno, è stato pensato tanto per poter ospi-tare appuntamenti quali presentazioni e anteprime, quanto per favorire la consultazione del ma-teriale da parte del pubblico.

Galleria Forni - Bologna, via Farini, 26 - e-mail: [email protected] Forni - Milano, via Fatebenefratelli, 13 - e-mail: [email protected]

www.galleriaforni.it

CLAUDIO MAGRASSI Premio MovimentoSegrete di Bocca

Sono già passati tre anni da quando con ungruppo di amici decisi di organizzare un Pre-mio di pittura dedicato ai giovani artisti, chesi è fatto e si è andato consolidando nei dueappuntamenti biennali previsti, 2004 e 2006,con catalogo edito Bocca contenente leopere finaliste e l’elenco dei partecipanti.L’idea è nata dalla necessità di contattaregiovani artisti fuori dal mio tradizionale am-bito, infatti, sono riuscito a conoscerne pa-recchi, sia in italia che all’estero. Grazie alcontributo e al sostegno di molti critici, trai quali vorrei citare Aldo Benedetti,AntonioD’Amico, Philippe Daverio,Victoria Fernan-dez, Sara Fontana, si continua e per il pros-simo appuntamento, con la recente colla-borazione di Antonella Piccardi della Galle-ria ArteIdea ci saranno considerevoli cam-biamenti, che non svelerò in questa sede.Entrambe le edizioni hanno suscitato mol-to interesse di pubblico e di critica, ma ilfatto che mi entusiasma di più, è il notevo-le successo degli artisti selezionati, ovvia-mente in primis i vincitori delle due edizio-ni: Eltjon Valle 2004 e Claudio Magrassi 2006.Con Eltjon ho avuto la riprova che talento,impegno e voglia di fare premiano. Artista

Krisalide, 2006

albanese, studia a Brera, in due anni, ha giàall’attivo nonostante la giovane età, classe’81, tre mostre personali, la segnalazione anumerosi premi organizzati in Italia, un ca-talogo edito con Bocca e contatti interna-zionali. Ovviamente per Claudio dovrò at-tendere un po’ di tempo, ma gli esordi so-no molto interessanti, classe ’69, ha fre-quentato il Liceo Artistico di Tortona doveattualmete vive, per affinare e migliorare laconoscenza delle tecniche artistiche ha fre-quantato lo studio di colleghi, tra cui quel-lo di Benedicenti. Ha all’attivo diverse mo-stre personali e collettive. Claudio, che hoconosciuto alla serata di premiazione in li-breria, è una persona di una sensibiltà e sem-plicità disarmanti. Quando l’ho proclamatovincitore, si è visibilmente commosso tra-smettendomi la sua emozione. Il premio pur

non essendo particolarmente appetibile, of-fre la possilità ai giovani di entrare in con-tatto con molti addetti ai lavori, tutti queipersonaggi che negli anni hanno collabora-to e collaborano con la rivista e la Libreria.Galleristi e soci si sono già interessati a con-tattare i finalisti ed in particolare Claudio,con il quale, ho già avviato i programmi peril prossimo anno. Il suo lavoro non è velo-ce, sono opere dipinte con colori cupi, te-le sbrecciate, cucite e rattoppate, volti chescrutano e si scrutano, a volte sofferenti avolte autoritari, non più giovani ma non an-ziani, uomini che conoscono la vita, che han-no sofferto e gioito, volti consumati dalla

Larvale II, 2006

BIANUCCI CINELLI studiocomunicazioneorganizzazione eventiufficio stampa

via Lambro, 7 - 20129 Milano - Italiatel. +39 0229414955 fax +39 0220401644

La Libreria Bocca è lieta di annun-ciare la collaborazione con l’ufficiostampa diretto da Francesca eChiara Bianucci Cinelli, per unamaggiore e migliore diffusionedelle iniziative culturali promosse.

N O T A D E L L ’ E D I T O R E

Per ricevere gli inviti e le comunicazioni degli eventi promossidalla libreria è necessario inviare via e-mail nome e cognome a:

[email protected]

società ma a lei resistiti, volti veri. La sua ri-cerca è introspettiva dell’animo umano, vol-ti dipinti in spazi chiusi illuminati da luci cal-de e colori forti: rossi, marroni, gialli. Ho vi-sto poche opere recenti e, mentre le pri-me erano legate alla tradizione Caravagge-sca, a personaggi e simboli religiosi, in par-ticolare la crocefissione e la corona di spi-ne, o nature morte; i volti hanno tutta la tra-dizione della pittura precedente, e soprat-tutto hanno quello che io reputo fonda-mentale in un giovane artista, la personalità,sono riconoscibili quindi sono suoi.

Giorgio Lodetti

Leptis magna, 2006

Oltre la geometria, 2006

Privato vende al miglior offerente opere della propria collezioned’arte di artisti contemporanei. Prenotare una visita al 339.6859871Opere di Ajmone, Arrivabene, Bacci, Baj, Becon, Becca, Berrocal,Bertante, Bonalumi, Borioli, Celada, Colnaghi, Corona, Dangelo, DelPezzo, Della Torre, Fomez, Lavagnino, Nespolo, Olivieri, Papetti, Petrus,Ercole e Luca Pignatelli, Arnaldo Pomodoro, Raciti, Rampinelli,Rognoni, Attilio Rossi, Sanesi, Sangregorio, Sersale, Sesia, Tadini,Tiboni, Vago, Valentini, Velasco, Vicentini, Vistosi, Zanon, Zazzeri e altri.

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20Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557

Da circa dieci anni organizzo mostre, di artisticontemporanei è un lavoro che, tra una diffi-coltà e l’altra, faccio con piacere,ovviamente al-ternato a quella che è la mia principale attività:il libraio. Il rapporto con chi fa arte, l’Artista, èsempre diverso, in questo caso l’esperienza ser-ve solo per essere il più pratico possibile, infat-ti come in tutti i rapporti interpersonali, non cisono regole fisse su come doversi comporta-re o su cosa dire. Ogni mostra rappresenta unpasso in più in un mondo che solo apparente-mente può sembrare chiuso e ristretto, l’arte,soprattutto quella contemporanea, non è un

mondo riservato ai soli addetti; gli artisti per pri-mi, non amano essere ignorati dal pubblico e silamentano quando i vernisage sono deserti, adifferenza del passato, dove la prassi era nonpresenziare neppure.Oggi tutte le presentazionisono delle vere e proprie celebrazioni, feste nel-la festa, tutto è più veloce e frenetico, la mostradeve funzionare il giorno della pre-sentazione se non addiritturaprima dell’apertura ufficiale.La durata serve solo perconcludere trattative,contatti,vendite e nuo-ve esposizione. Il fineè la diffusione dell’o-pera, la sua circolazio-ne sul mercato, unmeccanismo in cui cicascano molti,ma spes-so,anche qui esistono lefamose, mosche bianche.Ci sono personalità al di so-pra delle parti che, con il loropassato più o meno ricco di rico-noscimenti ed esposizioni, si estraniano, nonchiedono, non si propongono, ma sono capacidi coinvolgerti, interessarti e mostrarti le loroopere con quella competenza tipica dei grandi.È questo il caso di Matè, nome d’arte di MariaTeresa Isenburg Negri. Un giorno è entrata inLibreria e, come spesso accade, c’era un amicocomune che ci ha presentati, Sergio Dangelo.Matè è un’artista che porta con eleganza e char-me i suoi anni, ha una luce interiore forte e vi-

Vetro nell’immaginario,2003

brante. Dopo quel primo incontro ci siamo vi-sti spesso in Libreria e un paio di volte a casasua con mia moglie Laura. Matè è una scultricema non scolpisce, i suoi lavori non sono dipin-ti, ma si appendono, non hanno le dimensionivolumetriche di una normale scultura,ma a que-sta appartengono.Utilizza spesso il vetro,un ma-teriale forte e delicato, trasparente e colorato,ma anche: ceramica, porcellana, plastica, spec-chio. Le sue opere sono agglomerati, stratifica-zioni di storie e di eventi accaduti.Da anni la sua

ricerca sonda il riciclaggio di materialidi uso quotidiano e comune,

piatti, piattini, tazze, tazzine,teiere, barattoli, zucche-

riere e altro che,una vol-ta rotti, perdendo la lo-ro funzione primaria,quindi rifiutati accan-tonati gettati,vengonosapientemente riabili-tati, una reinterpreta-zione del ready-made di

Duchamp. Lei non sce-glie un solo oggetto ne

raccoglie molti, li recupera, liutilizza e,unendoli ad altri,dà lo-

ro nuova vita. Le sue accumulazionidiventano opere d’arte da ammirare e con-

templare, con una loro storia da raccontare etestimoniare,appese alle pareti si affacciano sul-l’ambiente circostante che così viene riflesso,sfaccettato, smontato, ricomposto, distorto, in-grandito, rimpicciolito. È un dialogo unico, con-tinuo, irripetibile, magico. Lo stesso apparta-mento vive delle storie di Matè, ricco di parti-colari di sue opere,di oggetti raccolti e non an-cora utilizzati, di piccole sculture, di fiori e pian-

te, animali imbalsamati o in ceramica, scultureetniche,maschere,un caleidoscopio di vita e ri-cordi, di frammenti di vite passate e presenti,sue, loro, nostre.Viaggiando per il mondo è una testimone degliavvenimenti a cavallo di due secoli, ricordi, pen-sieri e sensazioni che tornano sono presenti efanno parte della sua arte.C’è il sole della Florida,il colore del deserto del Sahara, la terrad’Oriente e la sua filosofia,ci sono passato,pre-sente e futuro nell’arte di Matè e tanto altro. Ilpiacere di essere incantati, affascinati e illusi dirivedere noi stessi riflessi nelle sue opere, la pos-sibilità di interpretarle o essere interpretati daun’arte che ci è appartenuta nella quotidianitàe ora non è più nostra ma di Matè che le hadato nuova vita.

Giorgio Lodetti

MATÈ Maria TeresaIsenburg Negri

In un pomeriggio di settembre, passan-do per via Brera, andavo a trovare l’a-mico Cappelletti dell’omonima Galleria,mi imbatto in un concorso di pittura al-la Galleria Ponte Rosso in memoria delpittore Carlo Dalla Zorza. È la sera del-la premiazione,gran eccitazione,gran fol-la, molti giovani.Al tavolo della giuria sa-luto l’amica Bossaglia e percepisco subi-to il livello dei partecipanti, tutti bravi, so-no una trentina di opere degli artisti se-lezionati sui 480 partecipanti. Mi colpi-sce subito un bellissimo quadro astrat-to di Brunella Rossi,ma subito dopo ven-go letteralmente catturato da un’operafigurativa Una giornata di pioggia di EsterNegretti. È un viso di giovane donna chesembra riflettersi nel vetro di una fine-stra mentre fuori diluvia,ma il volto nonè speculare, simmetrico ad un’immagine riflessa,potrebbe essere l’alter ego dell’artista, il suodoppio. Opera intrigante, sensuale, d’impattocomunicativo potente, l’occhio rimane sedot-to, direi turbato perché non trova un’inter-pretazione univoca, rassicurante. Si entra neiterritori misteriosi dell’enigma, di significati re-conditi che rimandano ad altri significati in unlabirinto speculare infinito. Mi sono venuti inmente certi sguardi nelle opere di Rembrandt,Velasquez, Michelangelo, del ghigno esilarantedi Mozart, dell’intensa seriosità di Beethoven.In altri momenti arrivava una sensualità sfre-nate e lussuriosa di una donna che prende co-scienza dell’enorme potenzialità seduttiva, mapochi istanti dopo percepivo l’opposto di unacondizione di insopportabile e devastante di-sorientamento esistenziale di fronte alle diffi-coltà e le incertezze della vita e del futuro.Mentre sono assorto in questa altalena di sen-sazioni opposte la Prof.ssa Bossaglia nominaquest’opera quale vincitrice del secondo pre-mio. Con mia sorpresa scopro che l’autrice èuna ragazza giovane di 27 anni. Dopo alcunigiorni visito il suo studio e con mio stuporevedo grandi opere astratte di impianto geo-metrico ma con inserimenti di segno e di ma-teria personali, orchestrati in una tensione indivenire. Sono coinvolto in una dinamica esi-stenziale complessa e in apparenza caotica,main realtà supportata da un rigore normativopossente nel ristabilire un equilibrio vitale nel

mare delle contraddizioni umane. Forme perlo più quadrate e rettangolari si scontrano,de-flagrano, si ricompongono in una lotta senzafine, con un segno poderoso e devastante euna materia sfinita nell’affievolirsi della luce.C’èuna grande padronanza del colore, dai bianchiai neri con gamme raffinatissime di grigi caldi,eleganti, solari, che trasmettono ancora spe-ranza e fiducia. Il tempo viene percepito su pia-ni istantanei, immanenti, e la caoticità appa-rente, ad una attenta e prolungata osserva-zione, si tramuta in una classicità senza tempo,immortale come tutte le grandi opere d’arte.Questo mondo convulso costringe l’artistaad imprimere alla forma, alla materia, al ge-sto, al ritmo una velocità concitata e dram-matica nuova ed irradia lo spazio in uno spa-smo in espansione e contrazione, fra lotta epacificazione. Mi colpisce l’entusiasmo, la fre-schezza, il candore di questa giovane artista,la sua voglia di fare, di cercare, di trovare coni mezzi intramontabili della pittura, della ma-teria, con l’atavico movimento del braccio edella mano che tracciano e lasciano segni pre-gnanti di magica energia del fare perenne del-l’uomo. Mi chiedo dove arriverà questa don-na, questo folletto geniale che a questi livelliha senz’altro una dispensa celeste che la gui-da e sorregge nel suo fare creativo. EsterNegretti, ne sentiremo parlare, non è un au-gurio, è una certezza.

Una giornata di pioggia, 2005

PLEVANO INCONTRA EsterNegretti

Possono due concetti di simile ed apparente universalità, rias-sumere tutto il contenuto di un evento artistico vario e diffe-renziato? Ecco la sfida di questa Biennale d’arte di Ferrara (or-mai alla sua terza edizione) in cui sembrano riunirsi in ordinatoaffollamento i temi, gli stili, le tecniche e le umanità di diversi ar-tisti e nazionalità. Proprio nella doppia negazione del titolo, inquell’universale “NO”risiede il primo, immediato significato del-l’esposizione.“Nessun uomo, nessuna terra”, un “non io” ed un“non luogo” che, già in sé, sembrano voler conservare una to-tale assenza di identità. La negazione serve ad esprimere que-sto: la modificazione del predicato dell’enunciato stesso; negan-do il tracciato esistenziale che ognuno di noi segna nel corsodella vita, tende ad universalizzare le esistenze, eliminando con-fini e differenze, per rendere esseri umani e luoghi comuni gliuni agli altri, pur nella conservazione pura di ogni singolo “enun-ciato d’arte”. In questo sta l’originalità dell’esposizione ferrarese:nel saper superare quelle differenze che appaiono come fisiolo-giche nei rapporti umani. Ecco, quindi, come la Terza Biennaled’arte diviene luo-go (e qui sta il gio-co di differenze

con il titolo) di incontro e di scambio di esperien-ze d’arte e di vita, in un universo che racchiude esottolinea le differenti originalità,ponendole di fron-te a confronti diretti, in un continuo scambio di co-lori, linee,pennellate e di plasticità difformi che,nel-la tattilità della materia, si incontrano e si scontra-no,dando origine ad un variegato insieme che,nel-la straordinarietà delle differenze di paesi (europei

ed extraeuropei),cerca di riassume-re l’intero sensodei rapporti uma-ni. L’occasione èstata senza dubbioghiotta, tanti sono stati i nomi e le istituzioni illustri che hannopartecipato in modo diretto all’iniziativa promossa da FerraraPro Art, dalla Galleria d’Arte Contemporanea Sekanina e dallaFondazione D’Ars di Milano diretta da Grazia Chiesa; ci siamofatti coinvolgere e messi in gioco con le diversità, l’originalità diognuno, nella speranza che, questo nuovo momento di incon-tro tra le parti, divenga “scoperta” ed insieme “superamento”dei limiti insiti in ognuno di noi, nel nome di un progresso arti-stico che diviene apporto interessante anche dal punto di vistasociale. Nel “dialogo” e con il “dialogo”, infatti, risiede la più effi-cace ricetta per una sostanziale e netta pacificazione sociale, dicui l’arte si fa portavoce e mezzo di comunicazione diretta.

Michele Govoni

Le immagini pubblicate sono opere di artisti selezionati alla Biennale

NO MAN NO LAND Biennale d’ArteFerrara

Marina Iorio

Nabil Al-Zein

Alberto Bertuzzi

SpazioBoccainGalleriamercoledì 21 febbraio 2007 - ore 18,30

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21Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557

Maurizio Cariati, classe ’83, nato a Cosenza, formazione artistica conspecializzazione “metalli”, il suo leit motiv è un morphing ironico grot-tesco, immagini fotografiche estrapolate da riviste, trovate su inter-net, ritratte con scatti dal vero. La maggior parte delle opere han-no per soggetto volti “generazionali” in close up, catturati e filtraticon l’uso del fish-eye.Prima di dipingere,dietro i telai spessi, su unabase di legno si avvale del poliuretano espanso, per creare una sa-gomatura aggettante. I colori (acrilici) sono ste-

si direttamente su sacchi di juta conpennellate veloci e decise.

Alcune zone del supportosono ricoperte da strati cro-

matici densi e materici, altre vengonoappositamente lasciate “nude” a leggere la texturedella fibra naturale.Tra l’immagine rappresenta-ta e l’intelaiatura l’artista individua un’asse “a fuo-co”, circoscrivendo le zone a rilievo racchiusenei volumi imprigionati.Chi osserva le sue ope-re può notare che frontalmente la profonditàrimane appiattita; infatti, l’anamorfosi è ado-perata da Cariati come tecnica di dissimula-zione affinché l’espediente permetta allo spet-tatore di accertarne la tridimensionalità solo discorcio. Solo osservati obliquamente, dunque, ivolti sembrano “vuotarsi” e denunciare la com-ponente fisica-emotiva? Dall’interno del “sacco”die-tro la quinta della linearità convezionale del boz-zetto. Così Cariati che ha sottratto completamen-te i riferimenti spazio-temporali alla pertinenza pit-torica,moltiplica i livelli di lettura attivando una de-terminazione sincretica che chiama in causa fu-metto, grafica 3D, fotopittura e pittoscultura.

Tania Giuga

MAURIZIO CARIATI Morphing

Angelo Sblendore, con il suo co-gnome bello e strano, ci rimandacon le sue “sblendide” rose suibanchi di scuola.Rosa rosae, rosaerosam. Rosa rosa, Rosae rosarumrosis, rosas rosae rosis.Lui le declina in tutti i casi, abla-tivo compreso, singolare e non.Lasciando il mondo latino ci ri-troviamo nella poesia francesedell’800 che dà i titoli a questilavori: L’alba spirituale, L’orgogliopunito, Canto d’autunno, A coleiche è troppo gaia, De profundis calmavi, sono poesie di Baudelaire della raccolta I Fiori delMale che ispirano Sblendore nella realizzazione dei suoi lavori, oli su tela con colori di mar-ca Rembrandt, a volte colori Maimeri. Marroni, verdi, beige, amaranto, rosso, puro olio bian-co, puro olio azzurro, per rendere la terra, il cielo, la nebbia, il ghiaccio e la brina. Questerose sono persone, hanno ca-ratteri e atteggiamenti antro-pomorfi. Nei quadri di Sblen-dore può esserci un freddo nor-dico, la rosa è persona, è ricor-do di un sud caldo e freddo, si-lente, poetico e serio. La biancarosa thea, la rossa rosa gallicasono figure teatrali frustate dalvento e dalla neve che non è al-tro che calce, spessore materi-co che copre i colori ad olio. Iquadri di Sblendore sono ma-terico-espressivi, comunicanouna temperatura a volte Celsius,a volte Fahrenheit, soffiano ilvento in faccia a chi guarda, ma siccome per Sblendore tristezza è mezza bellezza, oltre alvento, da questi lavori esce anche una musica di Sibelius. Essi sono osservabili da tutte le po-sizioni perché non hanno un piano di riferimento di paesaggio. Questi frammenti di affreschipompeiani si possono vedere da nord, sud, est ed ovest. Le rose e le foglie sono classiche,quasi fiamminghe, è lo sfondoche rende contemporanei que-sti lavori, a volte invadendo i pri-mi piani per dichiarare “Siamonel terzo millennio”.Queste rose e queste foglie, co-sì macrofotograficamente pre-cise sembrano essere le unicheforme di vita ad aver resistitoal soffio della bora. E nel ventosi sente un’eco: è il nome del-la rosa.

Jean Blanchaert

Il disprezzo generale verso un elemento tan-to inconsistente,quanto fastidioso,come la pol-vere risulta noto a tutti in più aspetti del no-stro quotidiano.Ma c’è polvere e polvere.Quel-la che raccoglie, soffia e spolvera Gianni Mo-retti nei suoi lavori si traduce in un irresistibi-le fascino.Questo giovane, e promettente, artista pon-dera il suo agire su un’operazione – quella del-lo spolvero appunto – che affonda le sue ra-dici nelle primigenie forme artistiche dell’uo-mo: una manciata di colore e sagome su cuiimprimerlo per poter lasciare una traccia,un’or-ma che restituiscono un segno che si ripetacome memoria. I pochi elementi della carta edel pigmento,mantenuto puro, bastano comeunici mezzi a Gianni Moretti per comporre li-riche musicali che danzano nell’aria e si lascia-no trapassare come spiriti dal nostro stupore.Le figure, che si accennano, si addensano e di-sgregano, sono frutto di un’immediatezza tan-to pensata, quanto immediata, da ricordare l’i-stantanea poeticità degli Haiku orientali. Co-me a queste composizioni poetiche non oc-corrono troppe parole per esaudire la poesiadi un racconto e donarci l’ebbrezza dell’inten-sità, così alle opere di Gian-ni Moretti non servonodettagli superflui, non oc-corre una dichiarazione diintenti ma basta l’accennoe delle ombre sfuggevolifanno breccia in noi, peraprire, con un leggero sus-sulto, il nostro sentire.Nonsi devono capire,non si de-vono solo vedere, per af-ferrarle bisogna innanzi-tutto sentirle le sue opere.Affascina, cosa che perso-nalmente ho avuto mododi comprovare ripetuta-mente, proprio la giustap-

posizione tra i suoi lavori,il suo spirito e il suo mododi essere artista, amico epersona. Proprio così lapersonalità si completa,non limitandosi esclusiva-mente ad un buon esitopittorico ed artistico, manel coinvolgimento nellasua arte di tutto sé stessoe delle proprie esperienze.Raramente il lavoro di ungiovane artista si può con-siderare tanto pronto, tan-to efficace e maturo, ma i

suoi spolveri (così come le foto, i disegni, le in-cisioni, …) ci appaiono di sicura certezza, ri-flessioni di un’intellettualità acuta e capace, frut-to di un sentimento e di un vissuto realmen-te percepiti. Inevitabile il restarne coinvolti an-che per noi. Sono opere scritte con un codi-ce divenuto ora, per la sua efficacia, universal-mente comprensibile: ci parlano tanto dell’ar-tista quanto di noi stessi e delle nostre comu-ni esperienze.Gianni Moretti non è però mai tracotante nel-la traduzione del suo essere artista; con un at-teggiamento composto e garbato, riesce a par-larci sottovoce con un’estetica che ci lascia unsegno e che non possiamo né smettere di guar-dare né di ascoltare.Si dice che per l’Arte si debba essere portatima una buona tecnica resta un vuoto artificio,figlia di una professionalità unicamente acca-demica, se privata del sentire dell’artista.Gian-ni Moretti invece sente e poi sa trasmetterciquesto suo racconto, aprendo con i suoi lavo-ri una via al nostro coinvolgimento verso unacomune passionalità partecipata.

Matteo Galbiati

Ispirarsi alla natura senza indulgere ad atteg-giamenti di naturalismo è quanto compete al-la ricerca pittorica di Simona Ciari che di quel-lo sconfinato territorio esplora piuttosto chele forme, la magica energia degli elementi e so-no suoi temi il cielo il mare il sole la sabbia —come dire l’aria l’acqua il fuoco e la terra —.C’è infatti qualcosa d’alchemico anche nella fat-tualità delle opere in cui l’artista sperimenta ildialogo tra materie diverse coniugando il co-lore pittorico ad ingredienti plastici che le con-sentono d’intervenire sulla superficie e susci-tare spessori e sgocciolature, solchi incisi, gra-nulose striature.Con ulteriore scatto espressivo interagisconoanche vetri trasparenti, sassi colorati e fili di ra-me, quasi a scandire il mobile e imprevedibilesconfinamento tra gli elementi.Ogni suo spar-tito sembra infatti teso a rendere gli opposticompartecipi di un unico disegno armonico ecome naturale riflesso anche nella struttura-zione dell’opera ricorre spesso la composi-zione multipla, di più parti destinate a comu-nicare nella loro combinazione di forma e co-lore nello spazio. E luce e spazio, liberi da re-gole di fisica scientificità, appaiono essere i nu-meri guida che accompagnano questo affasci-

ANGELO SBLENDORE Il nomedella rosa

De profundis clamavi, 2006

L'Orgoglio punito, 2006

A colei che è troppo gaia, 2006

GIANNI MORETTI La polvere

nante viaggio ricco di suggestioni figurali eastratte, luce e spazio non reinventati per unarappresentazione fantastica ma nutrimento diun equilibrio nuovo tra percezione tattile e vi-siva capace di attribuire all’immagine la vibra-zione di un evento in progress.

Roberta Fiorini

SIMONA CIARI In progress

Tuffatori nei pozzi, 2005

Apri sono io! 2006

Il mio amico Lino! 2006

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La spirale del gusto opere per una collezionea cura di Adalberto Borioli

1 Paola Scialpi,Troppo presto donna, 2006acrilico su tela, cm 50 x 40 € 1.000

3 Camillo Franciskelli,Classico dei 3 caratteri1999,pastello a olio su cartonecm 60 x 35 € 2.000

12 Roberto Origgi,Un tavolo inclinato, 1995acrilico e olio su tela, cm 90 x 130 € 2.800

10 Graziella Bertante,Rinoceronte, 2005terracotta policroma,cm 37 x 20 x 60,es.unico € 4.500

4 Riccardo Pezzoli, Il rosso e il nero2006,collage su temperacm 26,5 x 20,5 € 450

5 Maria Serena Olivari,Kahvè n° 4,2003tecnica mista su gesso e juta,cm 90 x 70 € 2.200

6 Antimo Mascaretti,Le amiche, 1992, tecnica mista su telacm 100 x 120 € 2.200

8 Lorenzo Piemonti,Cromoplastico 960,2006rilievi, cm 40 x 40 € 2.400

9 Giorgio Vicentini,Colore crudo, 2006tecnica mista su polifoil e tela cm 100 x 100 € 3.600

7 Piero Vezzi,Talblickweg, 2005,cartella di 7 litografiedi cm 50 x 70, tiratura 35 es. € 1.000

2 Giovanni Compagni,Scheggia blu, 2005tecnica mista su tavola,cm 70 x 50 € 800

11 Salvatore Sebaste,Volo, 2003tecnica mista,cm 70 x 50 € 1.500

1 Paola Scialpi tel. 0832.347359 - cell. 340.4951799

2 Giovanni Compagni tel. 0323.516045www.gicoarte.ite-mail: [email protected]

3 Camillo Franciskelli cell. 335.7364562 - e-mail: [email protected]

4 Riccardo Pezzoli tel. 030.311389e-mail: [email protected]

5 Maria Serena Olivari tel. 010.3771784 - cell. 340.5017511e-mail: [email protected]

6 Antimo Mascaretti cell. 347.7118710e-mail: [email protected]

7 Piero Vezzi tel. 0571.42177 - cell. 340.9480865

8 Lorenzo Piemonti tel.0362.901209 - www.arsvalue.come-mail: [email protected]

9 Giorgio Vicentini cell. 348.6729806www.giorgiovicentini.ite-mail: [email protected]

10 Graziella Bertante tel. 0523.338409

11 Salvatore Sebaste tel. 0835.543248 - cell. 338.9875131www.salvatoresebaste.come-mail: [email protected]

12 Roberto Origgi tel. 02.55210627 - cell. 339.3753854

Per prenotare una presenza in questa rubrica contattare Antonella al 320.5735630

Inviare il materiale a Fotolito Lombarda tel. 02.70635627e-mail: [email protected]

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na tra paura e amore e biso-gno di attraversare semprequesta porta suprema.Parole, vibrazioni che da echisi fanno pittura. La necessitàdi reinventare la scrittura è perriallacciarsi ad una tradizionestorica orale ormai quasi per-duta, è rievocazione di un mi-to passato, cancellato con unasofferenza collettiva che persecoli fu lotta silenziosa ad ar-mi impari. I numeri raffiguratisono semi gettati verso un fu-turo misterioso e migliore.Gliarchetipi solari, o meglio dicontrapposizione e compe-netrazione Sole/Luna, emer-gono nelle scelte cromatiche:i gialli, i rossi, i blu, i bianchi.Al-la ricerca rappresentativa di

altre percepite dimensioni e ci invia questo ul-timo supremo messaggio: venite, guardate vimostro la mia anima.

Alberto E. Cantù

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“Tutto ciò che è bello, èbello di per sé; ha il termine della sua bellezza

dentro di sé; né annovera tra le sue parti la lode;e lodato non diventa né peggiore né migliore”.

Marco Aurelio, I ricordi IV, 19

La cosa che più mi ha colpita di Daniel è lastraordinaria tenacia che gli ha permesso dinon farsi soffocare da quella invisibile pre-senza che attraversa la vita di molti artisti: diarte non si vive. L’artista è diverso, vive nelsuo mondo, non ha voglia di lavorare, vive dinotte, non ha regole. Qualcuno sopravvive esi rovescia l’immagine: quell’artista è superio-re, ha avuto il coraggio delle proprie idee, la-vora ininterrottamente anche di notte, riescea vivere senza farsi sopraffare dalle regole.Perché l’arte, per nascere dall’anima dell’arti-sta, ha prima subito centinaia di processi fuo-ri e dentro di lui. Danielha coltivato il proprio so-gno senza mai vacillare,è stato capace di far vi-vere la propria vocazio-ne pienamente.Ognuno,certo, vive secondo lapropria verità. Gli arche-tipi che segnano il giustocammino sono di pochi,è impegnativo aguzzarela vista dell’anima per far-si consigliare.Conoscendol’artista Daniel mi ralle-gro al pensiero che an-che lui non sia rimastocontaminato da veritàche appartengono al si-stema solare di altri.Uscire dalla ruota, para-frasando i buddisti, perl’artista è questo. Danielha percoso a lungo quel-la ricca galleria capace di

Un universo cristallizzato che si autoalimentae rivive in continuazione la sua personale,me-tamorfica memoria. Un istante sospeso, vivifi-

ne stilistica astratta. Sfere evanescenti, bianchiquadrati e altri elementi geometrici sono en-trati a far parte di questo nuovo alfabeto arti-stico. Singole e marcate lettere hanno iniziatoa fare il loro ingresso sulle tele, simboli evidentidella necessità di dare un ordine e una classi-ficazione a questa nuova fase.Accanto alle let-tere,hanno iniziato a lasciare il proprio “segno”anche brevi frasi, a volte spezzate, a volte qua-si epigrammatiche: una vera e propria irruzio-ne del verbale all’interno di questa “sinfonia”visiva. Una svolta che, a prima vista, può appa-rire brusca ma che appare perfettamente na-turale all’interno di questo percorso di speri-mentazione, dove il significato, la dimensionedel concetto, si incarna nella realtà tangibile del-la pittura e la geometria che permea sottil-mente le opere, quasi come una levigata epi-dermide, diventa generatrice di un ordine ra-

refatto, complesso e misterioso.Occasionalmente, alla ricerca di un contattocon una dimensione più tattile e materiale,compaiono anche oggetti emersi dal flusso del-la vita quotidiana: brandelli di iuta e granelli disabbia, catturati direttamente dal sottoboscosaturo di concretezza dell’Arte Povera, comese fossero frammenti integrati con inaspetta-ta eleganza in un più ampio brano musicale.Infine, le opere più recenti necessitano di un’at-tenta lettura per via delle nuove suggestioni dicui si carica l’intervento dell’artista.Geometricispazi bianchi diventano, in queste ultime, il tra-mite espressivo di un inedito alfabeto artisti-co: i titoli che personalizzano i diversi lavori siritrovano quasi come degli anagrammi o deigiochi mentali tra le pieghe della materia cro-matica e delle sue innumerevoli declinazioni.Una sorta di gioco intellettuale con lo spetta-tore, sfidato a leggere dietro le apparenze perscoprire, a volte, proprio l’essenziale.Una possibile chiave di lettura per compren-dere questa svolta può essere rintracciata nel-l’inaspettata osmosi tra gli echi raffinati e gliequilibri cromatici, presenti nelle opere di Burri,e un certo tipo di Concettuale, interiorizzatoed espresso da Enrico Monticelli tramite il lin-guaggio a lui più congegnale, quello della pit-tura. Un Concettuale dove la presenza di ele-menti verbali così autoreferenziali riporta allamente anche alcune tracce del multiforme uni-verso della corrente verbo-visuale, presentan-do affinità con artisti come, solo per restarenell’ambito italiano,Vincenzo Ferrari. Un per-corso individuale, ma che sembra raccoglierein sé gli echi e il fluido patrimonio “genetico”di gran parte delle avanguardie del secolo scor-so in un’originale e intima rielaborazione.

Viola Monticelli

attraversare il tempo; umilmente ha osserva-to, religiosamente.Ascoltandolo parlare mi èfacile immaginarlo percorrere quella gallerialuminosissima che raccoglie il frutto della vi-ta dei molti artisti prima di lui e dove assimi-la il segno, la pennellata, le forme, i colori, Egli occhi, gli sguardi, i ritratti. E, sempre se-guendo il pensiero di Daniel artista, all’im-provviso scende il buio: l’arte diventa lo spec-chio di un tempo in cui è persa la leggerez-za, il contatto con l’ambiente circostante, laperdita del senso del sacro, così strattamen-te legato al bisogno dell’uomo. E in quella vir-tuale galleria, lentamente, la luce si affievoli-sce, fino a diventare priva di colore, una rac-colta capricciosa di chi vuole sminuire il gu-sto naturale del bello.Daniel Tarondo.Dicevamo: tutto nuovo, nien-te di nuovo. Ci troviamo di fronte ad una pit-tura legata al gesto del disegno, dove i segnidi pigmento si incrociano e danno forma avolti spesso monocromatici, intensi.Rivive il segno del disegno del quattrocentoma senza essere fuori tempo.Una pittura fre-sca, allegra, positiva, che entra in simbiosi conl’osservatore trasmettendogli la sensazioneche ogni cosa sia al proprio posto. Perché, sichiede spesso Daniel, che senso ha dividerei propri spazi con immagini che creano an-goscia, tristezza, mancanza di luce?

Loredana Perrone

ENRICO MONTICELLIa cura di

Franco Tarantinocato da raffinati equilibri cromatici e formali,tensioni luminose e complesse metafore visi-ve. La ricerca di Enrico Monticelli rievoca tut-to questo e la materia pittorica sembra in-staurare un contatto simbiotico e profondocon l’osservatore, assecondando armonica-mente le diverse modalità stilistiche.Nella serie di opere degli anni ’90, sulla super-ficie delle tele prendevano vita dimensioni oni-riche e claustrofobiche a volte attraversate daattori quasi incorporei, avvolti da un’aura no-stalgica e apparentemente distaccata.Tuttavia nel corso degli anni, l’espressività del-l’artista si è notevolmente evoluta e modifica-ta, rivelando inediti linguaggi pittorici, con alcentro la costante esigenza di equilibrio for-male. I colori si sono stemperati e raffreddatie la materia cromatica si è come liberata dal-l’urgenza del “gesto”, lasciando il posto a unasintassi più matematica e riflessiva, quasi un “ri-torno all’ordine” all’interno di quest’evoluzio-

Calm Worry, 2006

K, 2006

La porta delle stelle

L’arte di Alejandro Fernandez assale e catturacon un impatto che è allo stesso tempo, dia-logo e percorso. L’essenza primaria: pensie-ro/parola/opera, si stabilisce in un pulsare ener-getico dal “fuori” al ”dentro” e viceversa.Le sue opere, schematizzate dalla “finestra/si-pario”, si fanno veicolo di condivise emozioni:ricevere e dare, tuttavia nella scelta quotidia-

DANIEL TARONDO Tutto nuovoniente di nuovo

Neoclassico, 2006

Angelo, 2006

SpazioBoccainGalleriamercoledì 31 gennaio 2007 - ore 18,30

ALEJANDRO FERNANDEZ

SpazioBoccainGalleriamercoledì 10 gennaio 2007 - ore 18,30

fino al 23 gennaio 2007

23

Horizonte marino, 2006

Totorita, 2006

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“…le esalazioni che ristagnano sui tetti delle me-tropoli, il fumo opaco che non si disperde, la cap-pa di miasmi che pesa sulle vie bituminose. Nonle labili nebbie della memoria né l’asciutta tra-sparenza,ma il bruciaticcio delle vite bruciate cheforma una crosta sulle città, la spugna gonfia dimateria vitale che non scorre più, l’ingorgo di pas-sato presente futuro che blocca le esistenze cal-cificate nell’illusione del movimento: questo tro-vavi al termine del viaggio”.Questo frammento di brano tratto da Le cittàinvisibili di Italo Calvino evoca in me alcune im-magini delle famose città-metropoli di Marco

MARCO TAMBURRO Le cittàInvisibili

Tamburro. Le città che egli rappresenta sonol’espressione più tangibile del caos umano edel vuoto esistenziale che attanaglia l’uomomoderno, un vuoto questo che va dilatando-si sempre più e che rischia di aprire un solcosotto ai nostri piedi, per poi ingogliarci defini-tivamente nel buio insondabile delle sue vi-scere infernali.In questi dipinti la figura umana è una sempli-ce comparsa, un’ombra, uno spettro consu-mato dal tempo che insegue incessantemen-te le traiettorie infinite della città, attraversan-do lunghe strisce pedonali, salendo in alto avertiginosi e monumentali grattacieli. L’esistenzadell’uomo si riduce a un repentino passaggiosulla terra, un segno transitorio che indica iltermine del suo breve viaggio, un viaggio cheall’andata è sempre bello, ma al suo ritorno cilascia a metà strada.Con la sua acuta e visionaria fantasia Marcoriesce ad andare oltre alla semplice percezio-ne del reale, riesce a trascendere questa mi-sera e triste realtà che ci circonda, per con-durci con il solo ausilio dei suoi sensi e dellasua immaginazione verso un viaggio dove il var-co è un orizzonte infinito aperto a tutti, dovec’è spazio per i sogni e per i desideri più arca-ni: prospettive traballanti, fatiscenti e avveniri-stici grattacieli, uomini-clown sospesi su fili in-stabili, volti simbolici come quello indemonia-to di Jack Nicholson in Shining o quello malin-conico di Charlot che entrano silenziosamen-

Nella linea evolutiva del disegno nel XX se-colo, certamente vi sono dei momenti parti-colarmente estremi e significativi. Se si pren-de il lavoro di Duchamp Con la lingua nellamia bocca si vede come l’artista abbia sapu-to accostare la scultura con il disegno, in al-tre parole due fasi (preliminare e finale) del-la stessa operazione artistica. L’opera assumecosì un valore concettuale perché fa riflette-re su se stessa. Ma questo comporta ancheuna riflessione sull’arte in generale e sul suomodo di procedere. E certamente ci voglio-no artisti sensibili e intelligenti per fare que-

ERIO CARNEVALI Die Emotionder farbe

te nei nostri sogni più reconditi, teatri, scac-chiere e pedane da gioco che diventano tanticampi di battaglia o vie di fuga dove l’uomomette in gioco la sua ultima carta e prova a ti-rare l’ultimo dado che segnerà la sua sorte. Ilsenso di instabilità e di ansia convulsiva cheprorompe da queste tele si percepisce so-prattutto dalle linee-forza dinamiche che sispezzano, si scontrano, si intersecano tra loro,segnando traiettorie labili e sfuggenti checonfondono i passanti nel loro cammino, unlabirinto di sensazioni e di stati d’animo che siperdono nel vuoto dell’esistenza. La propen-sione verso gli ampi spazi scenici che l’artistamatura con l’esperienza scenografica insiemealla passione per la fotografia, assolvono unruolo fondamentale nella realizzazione dei suoiquadri: il rapporto architettura-spazio divienesempre più articolato e mutevole, amalga-mandosi con i vortici delle pennellate dinami-che, con i segni graffianti che rendono l’operasempre più vicina a un graffito metropolitanoe con le dinamiche inquadrature prospettiche,prese dall’alto, dal basso, di sbieco, che sem-brano evocare la pittura aereo-futurista. Que-sto costante senso di mobilità che ritroviamonelle sue opere serve a rendere la realtà stes-sa del quadro effettivamente mobile, attraver-so segni e pennellate labili e sfuggenti che sem-brano percorrere la tela all’infinito, inarresta-bilmente. Le immagini che dipinge sono spes-so sgranate ed evanescenti, solcate da ombrespettrali che assumono forme diverse secon-do la definizione dei contorni e dell’intensitàdel timbro cromatico. Il mezzo cromaticorafforza maggiormente la potenza e la sintesi

comunicativa delle im-magini, attraverso unavarietà di passaggi e sfu-mature tonali di biancoe nero, interrotte spes-so da violenti squarci dirosso. A dare ancorapiù forza al senso di fin-zione scenica e alla ri-petitività delle cose chesi manifestano all’uomo,negli ultimi lavori l’arti-sta mette in scena sem-plici oggetti, scelti e de-contestualizzati secon-do un criterio di ripeti-tività multipla:puzzle,da-di, orologi, biglie, se-mafori, obbiettivi, nien-te altro che un pretestoper rafforzare il valoredell’immagine stessa,peravvalorare l’esistenzamateriale che li con-nota. Come un regista,Tamburro si diverte adassemblare i suoi pez-zi e le sue pedine die-tro alle quinte sceniche di quel “teatro dellavita” che per lui non è altro che la rappre-sentazione simbolica di un’umanità trasfor-mata in tristi burattini manipolati da un con-gegno infinito di fili, tra i quali si rivede im-potente anche lui.

Barbara Tamburro

Particolare

Attesa, 2006

È una pittura che echeggia una tradizione li-rica, fatta di orizzonti slontanati.Astratta, certo, ma per sintesi tesa di pulsa-zioni emotive in comportamenti primari: delcolore, delle sue temperature, dei gesti sem-plificati, ma quasi intensivi, che gli danno luo-go. Erio Carnevali persegue con limpida one-stà intellettuale — merce rara, in questi tem-pi di blague visiva — un percorso che rimontaalle radici meno clamorose del moderno, queldistricarsi dei fondamenti del pittorico dallacultura di simbolo, che pure ha significato, delsimbolo, ritenere e amplificare umori, e spes-sori, in una sorta di nudità essenziale della vi-sione. Così, dopo la stagione fondamentaledei ripensamenti kandinskijani, primi Novanta,egli ha percorso il crinale sottile della tradi-zione nuova statunitense, l’hard edge soprat-tutto, ma come liberando, sotto l’icasticità del

what you see, i riverberi profondi di una poe-sia del luogo fondamentale: quella, per inten-derci, che rastrema sapori di natura entro to-ni e rapporti in consonanza, che spreme tra-sparenze e liquidità sino a produrle in brividiemotivi: senza che ciò comporti altro che co-lore, colore solo. Quanto è diverso, questoscriver pittura alla prima, dai rigorismi meto-dologici e dagli alibi gestaltici sui quali pure s’èritenuto di proiettare, in decenni d’equivoco,ogni esperienza di pittura senza oggetti.Quanto, soprattutto, è figlio non della messain distanza del naturale fatto oggetto, e anzidel Raccorciamento estremo, sino al punto diconfondersi, per osmosi sentimentale, del-l’artista con la sua visione.Questo il punto sulquale Carnevali, sereno inflessibile, lavora perscavo metodologico, elidendo ogni traccia chelo possa far riferire a un dover essere pitto-rico fatto di tradizione e modalità, e invecescandendo le tappe, verrebbe da dire le gior-nate, di un processo lucido di identificazionedel flusso emotivo con il colore, con la luce.

Identificazione senza premesse, o aggettivi, oregole. Identificazione definitiva, nitida, sonante.Pittura che dice se stessa, e forse ancora unmondo.

Flaminio GualdoniLeçon de morale, 2006

Il segreto, 2006

sto, perché non bisogna rinunciare né al la-voro artistico, quindi alle sue ineccepibilicaratteristiche formali, né al mettere a nu-do processi di pensiero e d’esecuzione chespesso restano in secondo piano, cioè pre-supposti in quella sintesi che semiotica-mente si chiama extratestuale. Credo chei recenti lavori di Antonio Noia abbiano la ca-ratteristica illuminante d’essere figli della ma-no e del pensiero concettuale. Un artista co-sì polimorfo, nel senso autenticamente freu-diano, ha raggiunto esiti importanti in una se-rie di lavori in cui tra fotografia e disegno sidetermina un’osmosi perfetta.Quello che ac-cade è che la ricerca fotografica per lo più di-retta verso paesaggi con caratteristiche in-determinate, venga coniugata con la preci-sione e la grafia del disegno a grafite.Tra i duemezzi si determina un equilibrio di tensionee pertanto portatore di piacere e novità. Lafusione non distribuisce il lavoro in una me-dia uniforme, piuttosto crea dei campi di for-za reciprocamente coesi. Antonio Noia consapienza e precisione sa giocare su più fron-ti percettivi.Dall’inserimento del disegno tra due foto-grafie ad una giustapposizione diretta in for-ma di dittico, per esempio, le sue possibilità

come la padronanza perfetta dei linguaggi daparte di Noia, costituisca la base della riusci-ta di questi lavori. La tecnica è tutto, anche lacasualità va aiutata, e questo proprio il su ci-tato Duchamp lo aveva ben insegnato. Cosìquesti fotodisegni oppure opere grafiche fo-tografiche riescono soprattutto non solo aconvincere sulla chiarezza intellettuale dell’o-perazione, ma anche a risultare un fattore dinovità da tenere in considerazione. L’effettoestetico è indubbio perché tra il bianco e ne-ro della grafite e i toni alti delle fotografie, sicrea una sospensione poetica veramente no-tevole. L’effetto di sorpresa, lo ripeto carat-terizzato soprattutto dalla qualità dei lavori,probabilmente consiste nel cogliere impre-parata l’immaginazione dello spettatore e nellasciare un effetto di positivo straniamento.[…]

Valerio Dehò

Spazialità definita quanto indefinibile, 2006

ANTONIO NOIA Terre comuni

Confine, 2006

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Spazio memoria, 2006

espressive sono molteplici. In questo modola manualità diventa non solo il contrappun-to della meccanica fotografica, ma se ne ap-propria in quanto progettualità. L’indecisionedel fruitore, quell’ambiguità alla base del “pia-cere del teso” per dirla con Roland Barthes,consiste non sapere mai quale dei due mez-zi sia prioritario, almeno dal punto di vistatemporale. Foto o disegno? In un certo sen-so il problema è pseudologico, però porlopuò servire a dipanare la lettura dell’opera. Ildisegno completa, reintegra, quasi in una for-ma di restauro, l’opera fotografica o piutto-sto l’opera fotografica risulta la realizzazionedi quanto è visibilmente disegnato?La questione si pone perché è l’artista stes-so a lasciare un magico alone di ambiguità. Edel resto non potrebbe essere diversamen-te in una prospettiva coscientemente con-cettuale, perché non esiste nessun lavoro chesi spieghi da solo. Piuttosto risulta evidente

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inconsapevolmente modificate e ci fornisco-no una rappresentazione molto personale,dove ciò che prevale è sempre il particolaresensazionale. Fra le sequenze di immagini dicui disponiamo il ricordo seleziona semprequelle per noi più sensazionali, quelle più vici-ne al nostro “KINEMA”.Il “miraggio” è dunque il risultato di questopercorso. Ma allo stesso tempo è la rap-presentazione emozionale di personali e-sperienze, di viaggi attraverso luoghi nonsolo fisici ma anche e forse soprattutto, in-teriori. Ogni opera che realizzo è semprefrutto di un pensiero che ho il bisogno dicomunicare e che si crea sempre attraversolo stesso percorso.Ecco dunque perchè quasi sempre lo stessotitolo. Miraggio come visione, molto sogget-tiva, di un mondo visto “dal lato della vita”come ricorda Vichi Vendola commentandoi propri versi e che per primo, in Italia, haparlato di “geografia emozionale”.

GEOGRAFIA EMOZIONALE Stefano Soddu intervista Lucio PernaGEOGRAFIA EMOZIONALE EDAPPUNTI DI VIAGGIO

Quali e quante sono per te le motivazionidel viaggiare?Le ragioni sono, evidentemente le più varie etalvolta singolari.Si viaggia per vedere, si viaggia per comprareo per vendere, si viaggia per evadere, per fin-gere di smarrirsi, per occupare il tempo. Siviaggia per conoscere, per arricchire il propriobagaglio culturale, per imparare le lingue e-stere e, talvolta, anche per pensare e fare arte.Immagino che quest’ultima sia la tua moti-vazione prevalenteL’esperienza del viaggiare ha sempre stimo-lato la mia immaginazione oltre il visto, finoal punto di condurmi ad identificare il viaggiocon gli “appunti di viaggio”, che arrivanodopo.Gli appunti di viaggio sono un risultato concre-to, spontaneo ma non scontato. Nel senso chedurante lo svolgersi del viaggio non so mai cosami resterà dentro di questo avvenimento del-l’avventura che sto vivendo. Le visioni, le imma-gini richiedono tempo per sedimentare, perdecantare. Solo dopo, talvolta molto tempodopo, riaffiora l’urgenza di fermare una sen-sazione un’emozione che dallo spazio geo-grafico attraversato durante il viaggio traemotivo ma che si è disegnata col tempo.Quale rapporto c’è tra il viaggiare e il tuofare arte?Succede che le immagini archiviate nellamemoria dopo un lungo percorso, durante ilquale si contaminano con altre suggestioni, sirivelano ma non sono più le visioni del pae-

saggio osservato, ma altro. Un qualcosa oltreil visto. Non solo ricordo per immagini maricordo emozionale, ricordo quasi visionario.Ricordo di un “viaggio sentimentale” che si èevoluto attraverso un percorso interiore.Ed il viaggio talvolta ricomincia senza fisicospostamento, da fermo. Un viaggio di rincor-se, di sensazioni già vissute che si confondo-no con armonie nuove in un giro stravagantedi visioni nelle quali luoghi, volti, personaggi,rumori, odori, oggetti si ricreano suggestiva-mente in percorsi non più reali, in geografiesolo soggettive.È questo il tuo concetto di “GEOGRAFIAEMOZIONALE” ?Giuliana Bruno, che di viaggio sentimentaleparla nel suo “Atlas of emotion”, ricorda unafrase di Walter Benjamin “si viaggia per sco-

prire le proprie geografie”.Il viaggiare è “KINEMA”, che in greco signifi-ca movimento ed emozione, da cui deriva laparola italiana “CINEMA”. La Bruno sostiene,e io condivido, che i concetti di “vedere e viag-giare“ siano inseparabili e lo dimostra attra-verso un sistema evocativo di parole edimmagini, ad esempio: motion (movimento)ed emotion (emozione).Muovendosi attraverso lo spazio geograficosi raccolgono un’infinita sequenza di visioniche si sovrappongono, si intrecciano con per-cezioni captate attraverso altri sensi: il tatto,l’olfatto, l’udito. La mescolanza senza un cri-terio prestabilito, ma solo casuale e sponta-nea, genera sensazioni ed emozioni che ilcervello registra prontamente, incamera perpoi filtrare e riproporre attraverso il ricordo.E il ricordo, per una serie di combinazioni chi-miche e fisiche, ripropone il viaggio ma dafermi e recupera: visioni, sensazioni ed emo-zioni da cui emergono non più le immagini ori-ginarie ma quelle nuove costruite e mixatedalle soggettive pulsioni.Accade che le immagini incamerate si distor-cano, si deformino o che un particolare pre-varichino tutto il resto e rimangano motivocentrale e dominante del ricordo.Queste visioni alterate, modificate generano imiei “appunti di viaggio” che io chiamo“miraggi”. Una realtà a sé che in effetti nonesiste ma che proviene ed è costruita dallaprecisa visione di luoghi geografici e di ciò dicui questi luoghi-spazio sono composti (colo-ri, odori, sapori, rumori-suoni, atmosferesoprattutto). Con i miei appunti tento di fer-mare queste visioni e ricreare, suggestiva-

mente, certe atmosfere.Per capire meglio, puoi parlarmi di espe-rienze o di luoghi da cui hai tratto”appun-ti di viaggio”?Per anni ho viaggiato lungo i paesi sahariani,dall’Egitto al Marocco, dalla Mauritania al-l’Algeria. Per anni il deserto ha alimentato eancora alimenta la mia voglia descrittiva.E dal momento che amo dipingere la miadescrizione avviene attraverso la pittura.Ciò che prepotentemente emerge dai viagginel deserto e che compone, se vuoi, il fattoreestetico dei miei lavori, è il senso e la sco-perta di nuove ricchezze. Quelle, per inten-derci, che non hanno una quotazione di mer-cato e che non si possono comprare. Quelleche, paradossalmente e potenzialmente, tuttisaremmo in grado di possedere se capaci di

individuare e conquistare.Come?Attraverso un percorso lento di riflessione emeditazione. Attraverso un più attento e me-todico dialogo con noi stessi. Che poi vuol direanche scoprirsi, conoscersi meglio e forse an-che volersi più bene.Ti parlo della scoperta edel grande valore, anche terapeutico, del silen-zio, del grande valore dello spazio vuoto, dellacapacità di vivere il poco o tanto tempo libe-ro come dimensione della quale disporre inmodo più proficuo. Con ritmi totalmente diver-si da quelli della consuetudine di noi occiden-tali. E guarda che non ti sto dicendo nulla dinuovo o di inedito. Questi concetti sono giàdelle filosofie “new age”.Il titolo che dai ai tuoi lavori è quasi semprelo stesso:“miraggio”. Mi spieghi perché?Tutti noi, quando pensiamo, pensiamo soloper immagini, quelle incamerate e archiviateche sotto lo stimolo del ricordo riaffiorano,

Sul filo dell’artea cura di Stefano Soddu

Lucio Perna

Enrico Cattaneo, paesaggio

Emma Vitti

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Seguire il percorso degli studi di BrunoCerboni Bajardi sul ritratto non significa tro-vare il grimaldello che apra ad una lettura

BRUNO CERBONI BAJARDI Il ritratto?Un giallo napoletano

Mi avevano sempre parlato di Claudio Buso(Padova 1955) come di un artista rappre-sentante di una certa Pop Art italiana, desi-deroso di iconizzare città e luoghi, a denun-ciarne quasi un’assuefazione consumistica.Quando ebbi occasione di vederne un’ope-ra cominciai a dubitare della mia stessa ca-pacità critica, mi accorsi che nulla era più di-stante da una sensibilità Pop di quella com-posta e luminosa Piazza Cordusio di Milano,crocevia simbolico di uno stile di vita, mira-colo futurista che si arresta e diventa sognorubato alla velocità, permeato della stessa ve-lata e malinconica dolcezza di una cartolinaricordo. La Pop Art nasce in America negli an-ni Cinquanta opponendosi al dominio del-l’Arte Astratta e sostenendo un’autentica li-turgia celebrativa di immagini e oggetti dellarealtà quotidiana, accreditandone il ruolo dimito, feticcio da elevare agli altari dell’Artecancellando il confine tra Arte e vita.Questa rivalutazione dell’oggetto è un tenta-tivo limite di esaltare la materialità, quasi a far-ne un laico culto di sopravvivenza, un pre-zioso quanto vistoso viatico di salvezza allaconsapevole disgregazione di un mondo ar-tificiale e inconsistente.Andy Warhol ha stigmatizzato questa ango-scia attraverso una ripetitiva sequenza di ope-re che appaiono testimonianze di un’epoca,affrancate da qualsiasi apparente interpreta-zione ideologica, pura “segnaletica”di vita: non

si può comunque non leggervi un precisomessaggio di omologazione, appartenenza aduna società che fa dell’equazione Arte =Vitaun ossessivo istinto di protagonismo, di ciecafede nei principi di un ostentato consumismo,vistosa asserzione di presenza.Così lattine di Coca Cola e di zuppeCampbell, automobili e oggetti di massa as-surgono a propaganda di un sistema di vita,fabbrica (Factory) di una felicità fragile e illu-soria : gli stessi successivi ritratti di personag-gi famosi sembrano trasformarsi in fotogra-fie formato tessera scattate in diverse condi-zioni di luce, ma segnate dalla stessa allucina-ta, algida assenza di emozioni, assorti repli-canti del vuoto. In Italia la Pop Art ha anno-verato esponenti di più esplicita e tormenta-ta ironia: dalla caotica e convulsa simbologiadel grande Schifano, nutrita di insaziabile cu-riosità e avidità di bruciare emozioni, allo scon-certante visionismo capitalistico e capitolinodel tragico Franco Angeli. La Pop Art era giàdegenerata in denuncia di autodistruzione esi avviava a rifugiarsi nel Realismo e nel con-seguente Iperrealismo, il fascino chiassoso delconsumismo rivelava tutta la sua inconsisten-za e il boom economico segnava la stessa fles-sione del ripensamento ideologico post ses-

santottino: ancora una volta ilRealismo italiano aveva tutta-via connotazioni diverse daquello americano. Mentre glistatunitensi Richard Estes eDon Eddy esibiscono una stu-diata maestria nel costruire unaspiazzante tensione spaziale neiriflessi di vetrine e carrozzeriedi automobili, cancellando lapresenza umana, quasi impri-gionando ogni emozione al difuori di una raggelante ogget-tività, i Realisti italiani affronta-no altri orizzonti: GianfrancoFerroni proietta scenari urbanigià esistenzialmente deforma-ti, Banchieri disegna periferiedove l’uomo è un semplice ma-nichino di passaggio. Il succes-sivo Iperrealismo (nome coniato dopo la VIIBiennale di Parigi nel 1971) sembra voler ri-qualificare, quasi con un ingannevole “ritornoall’ordine”, questo progetto di progressiva alie-nazione, recuperando le immagini nitide diuna realtà di cui siamo disorientati spettato-ri, ormai rinsaviti dall’ubriacatura della stagio-ne Pop, consapevoli di un negato protagoni-smo, di un fluire della vita fine a sé stessa, co-me il caricatore di un proiettore di diapositi-ve. Ecco allora che l’Iperrealismo vuole addi-rittura superare la realtà, mettendone a fuo-

co, fotograficamente, det-tagli ancor più inconsueti,ma non per drogarci dimiti consumistici, quantoper renderci coscienti del-l’umana capacità di indagi-ne, riconoscerci almenonel ruolo di estasiati nar-ratori di una favola lucidae ambigua. È proprio la ri-produzione fotografica afornirci particolari irrile-vanti su cui generalmentenon ci soffermiamo ad ali-mentare una curiositàistintiva che il vivere quo-tidiano soffoca, svelando-ci impensabili capolavoridi perfezione: non piùdunque esaltazione di ido-li pubblicitari, ma sguardostupito di chi ogni giornosi apre alla vita, di chi necustodisce ogni istante co-

me prezioso incantesimo. È questo che co-municano le opere di Buso, il traguardo di unanuova luce, l’emozione di una “prima visio-ne”: i soggetti e gli scenari prendono formada immagini fotografiche scattate in prece-denza e accuratamente selezionate secondoun criterio di protagonismo emotivo, quasi aimpressionare un’altra pellicola, quella del ri-cordo, ottenendo un magico effetto evocati-vo e associativo. Nasce così il soggetto deitaxi gialli, i mitici yellow cabs simbolo di NewYork, bagliori luminescenti di una metropoliche ne fa elemento connotativo del suo dna:ancora un preciso profilo e impianto archi-tettonico contraddistingue le Piazze diBologna, Bergamo e Milano, ciascuna con lapropria luce, non quella piatta e metafisicadelle Piazze d’Italia di De Chirico, tutte so-spese nello stesso scultoreo silenzio, ma untaglio luminoso che apre la ferita della me-moria, scolpendo un’inquadratura indelebileche sintetizza spazio e colori. E qui veniamoad un altro carattere distintivo delle opere diBuso, la consuetudine, che si rivela intima esi-genza, di identificare univocamente, quasi conun moderno codice a barre, ciascun sogget-to, rivendicandone i natali e le peculiarità.Ogni opera è vissuta come la nascita di unanuova creatura, attimo da catalogare e regi-strare attribuendogli un “codice vitale”, deltutto analogo a quello fiscale, ricavato da unalgoritmo che tiene conto del luogo, del sog-getto ritratto e dell’ora: questa caratteristica,che può apparire fredda archiviazione, è in ef-fetti desiderio di assorbire ogni singolo istan-te di vita, rendendone inalienabile l’esperien-za. Si può sintetizzare come una “ipermarca-tura” messa ad arte in rilievo, che richiamavolutamente la funzione dell’opera, non unbarocco iperrealismo, ma l’esplicito invito adecifrare il ripensamento della visione ogget-tiva, la tranquillante certezza di non clonabi-lità e di irripetibile emozione. Buso si ponedunque come otturatore di un processo fo-tografico che filtra ogni vir tuosismo pura-mente estetizzante per concentrarsi sul con-tenuto di un messaggio, su quella purezza diimmagini e colori che ci insegna a percepirecome un‘autentica firma di Dio.Vengono al-la mente le parole semplici, ma coinvolgentidi quella stupenda canzone dei Beatles che ciinvitava a bordo di un sommergibile giallo(Yellow submarine), alla ricerca di una bellez-za e di un contatto umano che ritroviamo ri-flessi sulle lucide superfici dei taxi di Buso.

Aldo Benedetti

CLAUDIO BUSO L’iper...marcato

Cronogramma n. 1: De curru mali, 2006

Cronogramma n. 23: De signo medio, 2006

Cronogramma n. 31: De curru mali, 2006

facile, universale e semplificata; piuttosto èpercorrere una strada sulla quale sono dis-seminate sparse parti di un progetto che sicompone passo a passo in un’unità di am-pio respiro fatta di elementi moventesi su li-velli diversi accanto ad altri che invece si coa-gulano attorno a nuclei che possiamo ten-tare di pescare entro le trame di una rete.Da una parte vi sono i pretesti, le occasio-ni; dall’altra i contesti, la materia pittorica cheorganizza un motivo di riflessione.Sarebbe perciò illusorio assegnare ai suoi la-vori una potestà esemplare e additarli co-me sintesi del lavoro di un artista. Non è al-trettanto ingannevole cercare tra questiframmenti un’unità tematica; meno illusorio(prendendo a prestito ad uso di metafora iltitolo di un’opera di un maestro quale fuAlberto Giacometti, cui Bruno spesso fa ri-ferimento come esempio di reductio e pu-lizia) cercare tra le righe l’oggetto invisibile,quel minimo comune denominatore che puòcontribuire a vivificare un dibattito sul ri-tratto, genere che secondo Bruno ha anco-ra molto da dire.Il Rinascimento italiano, cui pure, controcor-rente, nel secolo scorso faceva riferimentoPietro Annigoni, rinnovò il genere con l’ap-porto di nuovi contenuti vivificati dal ricor-so ad un apparato tecnico di forte matriceartigianale che però non rinunciava mai alrapporto diretto col soggetto.A questo punto il lettore potrebbe smar-

rirsi e chiedersi: dove trovare quell’ogget-to quando ironicamente proprio il titolodel Sans Georges (1999) ci avvisa dell’as-senza del soggetto? Dove, sempre quel sot-tinteso, spicca nell’apparente sotto tono deIl barone rampante (1998) o nel Ritratto divecchio (2001)?Per capirne di più, invece di inseguire il sog-getto, dovremmo cercare la materia ogget-to del ritratto e quindi percorrere a ritrosoil tempo per scoprire quanto degli antichimaestri sia voce viva in Bruno e quanto siaimportante il lavoro di imprimitura che perlui è “temperatura, atmosfera, aria che ruotain tutti gli angoli, rimbalza in tutto il quadro ediventa pensiero, silenzio che ordisce le occa-sioni. La tonalità dominante è funzionale ad unrespiro più ampio”. […]

Roberto Peruzzi

Ritratto di vecchio, 2006

Sans Georges, 1999

Cronogramma n. 28: De tabula media, 2006

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L’universo pittorico si ammanta di continui ri-svolti emotivi e nell’arte contemporanea cap-tiamo immagini che sono il risultato di un per-corso intrinseco che l’artista ha operato su sestesso. Dall’inconscio emergono mondi incon-taminati che vivono nel cosmo dei ricordi odella fantasia e con abilità divengono riflessi pit-torici,pronti a risvegliare l’io bambino,dormientedentro ogni anima. L’arte ha la capacità di faraffiorare sommerse immaginazioni che si ma-terializzano, divenendo immagini cariche di vi-talità,provenienti da una realtà misteriosa:quel-la intrinseca dell’anima. Assistiamo al travaglio,sulla superficie, di un colore, a volte solo appe-na accennato, che si armonizza con la materiaplasmabile e a rilievo della malta a cemento. Ilconcretarsi di forme che emergono dalla lun-ga preparazione stratificata di cemento e cheora il sapiente dosaggio dell’arte del levare, dimichelangiolesca memoria, ha reso oggettive,sono figlie della pitto-scultura. Non un sempli-ce dipinto che col gioco chiaroscurale rendetridimensionale la composizione, né un rilievoscultoreo… «c’è ancora un confine tra le due ar-ti?», si chiede Argan; bensì un creare contem-poraneo e istantaneo di malta e colore. Ele-menti scanditi in uno spazio dinamico che si ag-grovigliano e si stendono con l’ausilio di stru-menti dentati,quasi distillati in percorsi visivi checonducono lungo le scie dell’orizzonte. È que-sta l’operazione che conduce nelle sue opereElio Mazzella, vivendo la sintesi di un’idea ela-borata mentalmente e solo ora concepita sen-za precognizione. L’esecuzione non è altro cheintellettualmente ed emotivamente dipenden-te dai gesti e dai movimenti delle figure quan-do si esteriorizzano. Le sue immagini parlano‘dei riti di passaggio’ subiti nello stadio della trac-cia graffiata sulla superficie; impronta compiu-ta con armonia e leggerezza,nonostante la pe-santezza della materia cementizia. Gli anni ’70sono per Mazzella il formidabile «recupero del-la poetica del muro, tanto diffusa nel periodo d’o-ro dell’informale»; timbro tecnico e stilistico chenon abbandonerà mai, facendone un suo pre-ciso tratto distintivo incomparabile. Nell’ambi-to dei nuovi percorsi di pitto-scultura l’artista

elabora un antro di sole napoletano a Milanoin via Canonica al 41 dove il geometrismo del-le scacchiere irregolari, i mondi geografici e lefigure antropomorfe stilizzate e alterate prefi-gurano esiti futuristi e aeropittorici. In Elio Maz-zella, infine, quei miscugli fluorescenti per ela-borazioni scalfite nel cemento che ora ha ab-bandonato il suo grigiore di fondo, raggiungo-no abbaglianti dimensioni cromatiche, vivide efulgide. È qui che in nuce si prefigurano nuoveatmosfere, le stesse che nell’immediato futuro,prima ancora che l’opera sia finita e un’altravenga abbozzata, scandiscono, nelle sperimen-tazioni di Mazzella,un’armonica dimensione tri-dimensionale delle arti sorelle, le medesime va-gliate da Benedetto Varchi nel Rinascimento.Architettura pittura e scultura in Mazzella vali-cano i sentimenti del reale per raggiungere nuo-vi equilibri di pitto-scultura.Dal catalogo della mostraNuovi percorsi di pitto-sculturaMilano, via Canonica, 41

Antonio D’Amico

ELIO MAZZELLA nuovi percorsi diPittoscultura

Città senza tempo è un progetto di BeppeBolchi che affronta il tema del paesaggio ur-bano con l’apparecchio a foro stenopeico. Ilrisultato che se ne ottiene sono immagini cheuniscono, alla fissità dei luoghi e delle archi-tetture, la traccia del passaggio delle perso-ne, quindi la percezione della loro presenza,ma non la loro figura. La città rappresentatain questo modo restituisce la valenza di case,edifici, arredi, quasi fini a se stessi, pur se di-segnati e realizzati in funzione dell’uomo.Unarivincita che l’antica tecnica del foro steno-peico, con i suoi lunghi tempi di posa, con lesue visioni pensate e non rubate, fa in modoche sia la città stessa a entrare nell’immagine,a specchiarsi, ad aprirsi e rappresentarsi nel-la sua realtà, semplice o complessa, piacevo-le o meno bella, con prospettive assoluta-mente naturali, non falsate da obiettivi chevogliono codificare, stringere, allargare e quin-di, in qualche modo, falsificare i luoghi stessi.Gli abitanti, le persone, gli animali, sono solofantasmi, tracce di un passaggio che c’è oggie che c’era ieri e ci auguriamo ci sarà doma-ni.Quello che viene impressionato stabilmentesulla pellicola sono invece le strutture che l’uo-mo ha costruito e che l’uomo può sì di-struggere, ma che normalmente gli sopravvi-vono, testimoni di vite presenti e passate, con-tenitori di esistenze, di passioni, di dolori, dientusiasmi che via via si dissolvono lasciandoil posto ai ricordi e alla storia. La città rimanein silenzio, ascolta, avvolge, protegge, a volteschiaccia e stritola chi non riesce ad adeguarsiai ritmi imposti dai suoi simili, non certo damura e cancelli erti per proteggere e con-

servare. La fotografia a foro stenopeico, purnon restituendo i minimi dettagli consentitidagli obiettivi sempre più tecnologici, riescenell’intento di rendere l’atmosfera, unitamen-te a una assoluta leggibilità dei luoghi; una vi-sione quasi onirica, ma comunque reale, cosìcome tutti i lavori dell’Autore, che pur scate-nando approcci creativi diversificati, riescesempre a rendere efficacemente la realtà, of-frendo nuovi spunti di visione e di analisi. Ilpercorso di questo progetto si snoda attra-verso paesi e città diversi fra loro, accomu-nati, però, dalla notazione autobiografica del-l’autore. Infatti si tratta di un viaggio a ritrosonel tempo, rivisitando tutti i luoghi più cari oche in qualche modo hanno segnato la suavita. Luoghi in cui ha trascorso momenti o an-ni, però tutti significativi del percorso stessodella sua esperienza, dei successi, delle diffi-coltà, delle sfide. Un tragitto che non è an-cora terminato e quindi in qualche modo unwork-in-progress, seppur celebrativo dei cin-quanta anni trascorsi a stretto contatto conla Fotografia, dalla prima Bencini agli attualiapparecchi digitali. Italia, Germania, Inghilter-ra, Stati Uniti, Francia, Scozia, un viaggio nelmondo Occidentale pilotato dalle esperien-ze familiari e professionali che sono semprediventate anche esperienze di vita.[…]La morbidezza delle immagini dovuta alla tec-nica di ripresa, ben si presta a rappresentarela memoria; l’assenza del colore, pur nelle pa-stose tonalità dei grigi, restituisce questi ri-cordi senza altre emozioni, fermando il tem-po e, allo stesso momento, rappresentando-lo pienamente con le lunghe pose necessa-rie per impressionare propriamente la pelli-cola.[…]

Teresio Nocent

BEPPE BOLCHI Città senza tempo

,lL’aria, l’acqua, la terra, il fuoco, al di là della in-dubbia scelta assunziale, sono protagonisti istin-tuali delle opere di LeoNilde Carabba, poten-ze vitali allo stato puro che hanno trovato nel-le sue opere una possibilità d’espressione e dicoagulo fino a dare corpo a un’immaterilitàenergetica vestita di colore.La pittura è una passione intensa che dannaed esalta la vita, Carabba vi si immerge comein una catarsi da teatro tragico greco ed espri-me potenzialità cosmiche in sequenze pittori-che che avvolgono e travolgono. Il fruitore ten-de a scomparire magicamente nel buio dellasala, a essere sommerso da visioni notturne at-traversate da impercettibili luci gialloidi che ri-mangono intrise negli occhi e che restituisco-no una dimensione quasi extrasensoriale.Cercare di scoprire quali formule utilizza è dif-ficile saperlo, è come un magma che non co-

nosce leggi ed imbrigliamenti,ma tra-duce materialmente dei componi-menti astrali per i quali è interpretee segreta traduttrice di linguaggi a noisconosciuti. Le soluzioni compostenon accompagnano solo la matema-tica ma l’esistenza. I colori sono gialliaccesi, verdi, rossi, arancioni, e il blunotte,materializzati con le polveri delsole. Possiamo immaginare questeopere collocate nell’immenso Orien-te immerso nel fiume di colori degliabiti delle donne che si adagiano es’intingono nel Sacro Fiume. L’Occi-dente è assorbito, trasformato, spia-nato dai ricordi di un’America lonta-na, lasciata negli anni Ottanta, oltrel’Oceano e con l’orizzonte ormai inchiaroscuro. Le donne lasciano spes-

so i loro difficili riconoscimenti e intraprendo-no viaggi per ricominciare da un a capo senzalimiti e senza storie che si portano in valigie la-sciate alla stazione.È questo che le arricchisce,saper lasciare la materialità delle cose, a volteil tutto, per ricostruire altrove.Le opere di Carabba trasportano lo spettato-re in compensazioni siderali dove il passaggiometacomunicativo è senza peso corporeo. Laproiezione prospettica travalica le leggi deglispazi considerati e ingarbuglia la lucidità deiluoghi architettonici in fibre luminose. C’è unordine nascosto nella successione delle tesse-re che gravitano attorno al grande centro mo-tore, punto di partenza e arrivo, dove i segnisono ribellamente liberi nel rigore di una com-posizione decisamente progettata.

Donatella Airoldi

Polittico DAU, lampada wood, 2006

LEO-NILDE CARABBA Tra Orientee Occidente

Le Segrete di BoccaLe Segrete di Boccavia molino delle armi 5/3 20132 milano

La Libreria Bocca in collaborazione con la Galleria Poleschi diMilano hanno il piacere di invitarla alla personale di

Aldo Mond inoAldo Mond inoin esposizione opere dal 2000 al 2004

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… Giancarlo Gorsenio opera mediante gli strumenti della pittura, impiegati come modi di rappresentazione di immagini interiori che trovano nellospazio visivo la loro capacità di apparizione.… Lo spazio si apre duttilmente per accogliere il sistema di segni che si organizzano e si definiscono sincronicamente col proprio supporto, con unimpatto diretto, senza più alcuna gerarchia, senza direttive precostituite. Su questa zona fluida Gorsenio propone una griglia segnica di forme orga-niche, aperte e direttamente collegate con le pulsioni elementari della vita sensoriale. … Gorsenio produce immagini che volta per volta seguono forme diverse, si aprono e si chiudono su strutture formali differenziate. Quello che han-no di persistente è semmai l’ambigua capacità di comprendere dentro il loro alveo una pluralità di rimandi e di rinvii, tracce di un sentire complesso

e articolato. Una sorta di panteismo guida la formazione e la crescitadi queste immagini, un senso laico della vita che trova in ogni micro-cosmo la prova del divenire e della trasformazione della vita. Un sen-so che si sviluppa sotto la pelle della materia e che trova poi la suaaffermazione nel suo affiorare nella forma. … In definitiva le opere pittoriche di Gorsenio sono il diagramma diuna condizione esistenziale che trova nel linguaggio dell’arte e del-

l’immagine in particolare la pos-sibilità di parlare, di esprimereuna tensione che altrimenti nontroverebbe parole possibili.

* tratto dal testo di Achille Bo-nito Oliva, In Gorsenio la natu-ra diventa teatro di una rap-presentazione particolre

IL TEATRO PITTORICO DI GORSENIOAchille Bonito Oliva*

G. Gorsenio, Lisippo, olio su tela, 1982

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Fili di ferro sospe-si, costruzioni inequilibrio nell’aria,disegni scolpitiche si auto-gene-rano: questo è illinguaggio dellesculture dell’arti-sta francese MarcFerroud.Nato a Parigi nel1954, Ferroud haalle spalle una for-mazione non solopoetica e lettera-ria, ma anche in-

formatica e scientifica che insieme si ritrovanoe sono sintetizzate nelle sue sculture aeree.Con una scrittura tutta personale, questo ar-tista lavora il filo di ferro galvanizzato creandodelle architetture che si muovono nell’aria inun incontro fra leggerezza e complessità. Laleggerezza quasi spirituale delle forme flessuoseche possono arrivare fino a tre metri di altez-za e la complessità matematica degli equilibriplastici che le sostengono e le reggono,ma nonimpediscono loro di muoversi. Un gioco, sen-za contraddizioni, fra il rigore della razionalitàcartesiana e scientifica da un lato e il fluttuaredell’emotività e dell’interiorità dall’altro. L’uni-verso che Ferroud mette in scena attraversole sue opere è abitato, come dice Alain Jouf-froy nel libro Ferroud - L’invention de Marc Fer-roud,“da un uomo che, nonostante tutto, preferi-

Se è vero che è lo sguardo il vero mezzo artisti-co del fotografo e che è appunto il modo in cuivede il mondo a fare la differenza, senza dubbioCamille Solyagua è un’artista inconfondibile e ori-ginale. I soggetti delle sue opere, appartenenti almondo degli esseri viventi — fiori, farfalle,uccelli,meduse — provengono spesso dalle sue escur-sioni nella natura per raccogliere materiale, checolleziona, conserva e successivamente fotogra-fa.C’è qualcosa di antico in questo modo di pro-cedere, che ricorda le catalogazioni di fine ‘800 ,ma nelle sue opere i soggetti assumono un ca-rattere del tutto nuovo e sorprendente.Vengonostabilite nuove connessioni tra gli esseri e l’artepercorrendo sentieri preclusi alla scienza. Così, icavallucci marini volano davanti alla luna piena ele meduse (fotografate nell’acquario di Monterey)sono navicelle spaziali che fluttuano in un cielostellato. Quasi tutte le fotografie di Camille Solyagua sono still life realizzati in studio. Il risultato dilunghe ore trascorse in una sorta di laboratorio studiando fiori, farfalle, insetti. Un approccio cherende evidente il fascino che — da sempre — esercita sull’artista la connessione tra arte e scien-za. Seppur drasticamente divergenti nell’approccio e nel metodo, artisti e scienziati trovano in-fatti nella natura la fonte primaria di esplorazione e scoperta. Entrambi sono mossi dal desideriodi comprendere e rivelare i misteri della natura, ma dal lavoro di Camille Solyagua emerge il de-siderio di stabilire una connessione tra le infinite forme di vita, nella ricerca di un’armonia che leopere ci restituiscono. Dal punto di vista stilistico appare evidente la vicinanza dell’artista ameri-cana alla pittura. Componendo immagini che sembrano spesso quadri più che fotografie, rivelaproprio nella libera giustapposizione un gusto vicino ai surrealisti e nelle sfumature una qualitàdella fotografia pittorialista, seppure in una declinazione del tutto diversa e originale. E se c’era bi-sogno di dimostrare che il modo in cui si guarda al mondo ha il potere di cambiarne il senso, icampioni (specimen) fotografati al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi sfidano il tempoe la morte. Esseri preservati nel loro ultimo istante di vita, fluttuanti in provette e isolati in scurilaboratori di cui l’artista afferma “credo che questa collezione dovrebbe essere vista da un pubblico

più ampio, e spero che queste provette possa-no essere guardate con compassione e un sin-cero desiderio di comprendere cosa rappre-sentano, cosa che può essere diversa per ognu-no di noi”.Nelle opere della Solyagua è quin-di spesso la bellezza dei suoi soggetti a invi-tare alla riflessione. Due sono le parole checi sono venute in mente guardando le suebellissime opere:esplorazione e scoperta, chesenza dubbio hanno segnato i primi tre an-ni di vita di MiCamera e che ci guiderannoin questa nuova avventura. In fondo è signi-ficativo che “Il mistero delle piccole cose”se-gni il passaggio di MiCamera a una nuova,più grande realtà.

Giulia Zorziwww.micamera.com

Wonderful* o della “meraviglia”. Una mostrainternazionale promossa dal Gruppo 78 diTrieste, incentrata sul recupero di una bellez-za accantonata, che enfatizza la visibilità del-l’arte, il suo concreto disvelamento, al contra-rio di concettuali minimalismi in voga non tan-to tempo fa. Rinnovo di un vestimento sun-tuoso e spericolati incroci linguistici; un de-bordare nella forma come nei contenuti. L’o-pera H2O di Robert Gkligorov, ad esempio,

sembra sfidare il creato, sovvertendo para-dossalmente l’ordine che lo governa, utiliz-zando in diretta la natura – pesci, uccelli – alposto dei media convenzionali. Una sorta dineo-barocco, già evocato vent’anni fa da illu-stri studiosi, come Omar Calabrese e GilloDorfles, un barocco aggiornato all’era tecno-logica, che non si esaurisce nello splendore deldecoro ma investe le ardue tematiche del no-stro tempo. Undici artisti tra la magia di unaSerra ottocentesca convertita a spazio espo-sitivo nella triestina Villa Revoltella e la galleriaLipanjePuntin; tra l’arte tout court e i percorsidella moda — è presente anche Roberto Cap-pucci con i sui abiti/scultura — perché i cri-nali tra i due versanti sono spesso oltrepassa-ti in una reciproca proficua invasività. Gli altriartisti a proporre svariate “meraviglie” sonoAlessandro Amaducci,Giuliana Balbi, Lore Bert,Lucia Flego, Robert Longo,Anna Pontel,Am-paro Sard, Carole Solvay,Arlette Vermeiren.Il catalogo si arricchisce dei contributi criticidi Luciano Panella e di Paola Goretti, oltre aquello introduttivo della curatrice:

Maria Campitelli* Catalogo della mostra omonima svolta a Trieste

alla Serra di Villa Revoltella e alla Galleria LipanjePuntin

Aldo Pavan è un Artista al di fuori del tempoe dello spazio. Le sue opere scaturiscono dauno scatto fotografico, per poi essere da luiripensate attraverso gli occhi della mente.Lo scatto fotografico è la scintilla iniziale, inquanto la fotografia è il mezzo espressivo pre-scelto per catturare le immagini. L’attimo delclic fa la differenza tra quanto è già irrepara-bilmente svanito un attimo prima e quanto nepotrà conseguire. Ciò presuppone una scelta.Ma l’Arte di Pavan non si esaurisce in una fo-

tografia. Pavan rincorre il presente in giro peril mondo. Le sue fotografie sono vive, perchéevocano le stesse emozioni di chi le ha scat-tate. Così il figurativo assume connotazioniastratte e l’astratto diviene figura e materia.Le sue fotografie escono dal proprio confinedi istante isolato e sospeso. Ciò in quanto gliocchi attivano un’esperienza che coinvolge tut-ti i sensi. Le sue foto appagano le nostre ne-cessità sensoriali e ci emozionano. Il suo sen-so estetico ci fa sentire il caldo, il sudore sullapelle, il gelo alle mani, le spezie e gli aromi, lafame e la sete, la musica ed il rumore, la di-

gnità e la speranza. Riusciamo perfinoad intravedere ciò che è avvenuto pri-ma e ad immaginare come andrà a fi-nire. Il suo sguardo diviene una manoche cattura immagini; la sua mente fil-tra luce, buio, forme e colori e ci re-stituisce storie, miti e leggende che citrasportano lontano. In un tempo cheancora deve venire. Così una singolaimmagine acquista il medesimo pote-re evocativo di un film. Il lavoro di AldoPavan si inserisce nel progetto artisti-co Avvenirismo 3535, che riunisce Artistiche hanno fatto della propria Vitaun’Arte.

alm fraschetti

Arlette Vermeiren

Anna Pontel

WONDERFUL

ALDO PAVAN Human Being

Australia, pesca aborigena, 2006

Kenya,Watamu, 2006

CAMILLA SOLYAGUA Il misterodelle piccole cose

Three Seahorses, 1998

Wing Study, 1998

30

sce il rischio alla sicurezza che presiede alla ap-plicazione delle leggi”.Deve essere sulla base di questa convinzioneche, dopo anni passati ad occuparsi di infor-matica, Ferroud ha deciso di dedicarsi intera-mente all’arte. Le sue sculture non hanno maiun titolo, solo la data in cui sono state create,quasi che attribuir loro un nome rischierebbedi fissarle/agganciarle ad un senso che non gliè proprio, accostarle ad un simbolo rischie-rebbe di ingabbiarle. I disegni scolpiti di Fer-roud sono, invece, lasciati liberi di fluttuare nel-lo spazio fisico e nell’universo di senso; sonoaperti al molteplice e al diverso che caratte-rizza il mondo d’oggi.

Alessandra de Bigontina

MARC FERROUD Fili sospesi

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