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La reazione al positivismo: lo spiritualismo e Bergson A cura di Stefano Ulliana

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La reazione al positivismo: lo spiritualismo e Bergson

A cura di Stefano Ulliana

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Panoramica

1. Lo spiritualismo.2. Lo spiritualismo tedesco.3. Lo spiritualismo francese.4. Lo spiritualismo inglese e ita-liano.5. La filosofia dell'azione e il modernismo. 6. Sorel.7. Bergson.

Victor Cousin

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1. Lo spiritualismo.

L'accentuazione, l'appesantimento e l'irrobustimento delle neces-sità naturali, intese sia in senso stretto (nelle diverse scienze del-le relazioni causali) sia nella forma intenzionale dei bisogni uma-ni, poste all'interno di un orizzonte di comprensione razionale che si pretende universale ed oggettivo, determinarono diverse forme di reazione culturale e filosofica. Una fra queste fu la ripresa dello spiritualismo. Riconnettendosi con le ultime propaggini della tradizione romantica, lo spiritualismo europeo pretese l'individua-zione di una distinzione necessaria per il soggetto umano: esso venne di nuovo separato dall'ambiente naturale e sociale nel qua-le si trovava a vivere, per poter ricevere su di sé – di nuovo – quel valore speciale, che si pensava lo qualificasse in modo assoluto, rispetto a tutti gli esseri presenti sulla superficie del pianeta terre-stre. Ciò che la morale o la religione avevano tradizionalmente indicato ed

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espresso attraverso il nome e la definizione dello spirito ora ri-compariva sotto la traccia dell'auto-determinazione, del rivolgi-mento su di sé operato dal soggetto senziente e pensante (intro-spezione). In questa relazione che si fa rapporto il soggetto allo-ra riscopre la propria immodificabilità, l'eternità della propria radi-ce espressiva e della propria stessa determinazione (morale e re-ligiosa). Il soggetto riscopre la propria capacità espressiva e crea-tiva, la propria potenza immaginativa, considerandole forme pro-prie od universali di una processualità, che non è quella naturale, mossa ed animata da razionalità necessarie, quanto invece da scopi e moventi che si richiamano alla necessità della libertà. Per questo tutto ciò che il soggetto scopre è sin dall'inizio compreso all'interno di quest'orizzonte – l'orizzonte della coscienza – come dato di coscienza. Per questo, ancora, il soggetto si riapre a quel valore della

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trascendenza, il cui contenuto è la stessa manifestazione del divino, con ovvie e conseguenti riprese di quell'oggettivismo del-la moralità e della religione, che aveva contraddistinto la trasmis-sione tradizionale della cultura egemone in Occidente (il neopla-tonismo aristotelizzato). Anche la corrente spiritualistica europea però si trovò di fronte alla necessità di una scelta: parteggiare per l'inscindibilità e l'ina-lienabilità di quella radice creativa (e così schierarsi, come nel primo Romanticismo, con tutte quelle forme culturali e politiche che ambivano ad una processo generale di liberazione dell'esse-re umano), oppure schierarsi con tutte quelle forme reazionarie che pretendevano di condannare ed impedire ogni forma di pro-gresso (e di liberazione), in quanto traccia e segno degenerativo rispetto all'assolutezza della precedentemente indicata egemo-nia.

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2. Lo spiritualismo tedesco.

Lo spiritualismo tedesco – proprio per l'influenza dominante di quell'egemonia (soprattutto negli ambienti accademici) – si in-dirizzò verso la riproposizione di un oggettivismo morale e reli-gioso di tipo tradizionale. Immanuel Hermann Fichte(1796-1879) propose infatti una forma di teismo speculativo,che pretese di riaffermare sotto nuove vesti la tradizionale au-tonomia e libertà della persona umana, incardinata sul valore del riconoscimento necessario della trascendenza di Dio. Ru-dolph Hermann Lotze (1817-1881) accentuò la polemica an-tipositivistica, riprendendo la teoria leibniziana delle monadi. Tutta la realtà esistente doveva essere considerata come ri-piena di queste entità spirituali, organizzate secondo il piano provvidenziale divino, in un ordine unitario e necessario (se-condo il concetto tradizionale dell'Uno necessario e d'ordine). Eduard von Hartmann (1842-1900) indica nell'inconscio il fattore integra-

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-tivo e di relazione di tutte le real-tà spirituali esistenti. Esso, come volontà inconsapevole, godeva del potere assoluto di aprire (esprimere), determinare e finalizzare le azioni ed i mo-vimenti di ogni essere creato, successivamente e progressi-vamente alienato dalla separa-zione compiuta dall'intervento della coscienza. In questo modo il mondo spontaneamen-te creato veniva progressiva-mente annichilito dalla so-vraimposizione dell'immagine.

Eduard von Hartmann

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3. Lo spiritualismo francese.

La reazione in ambito politico e culturale favorisce, nella Francia della prima e della seconda metà dell'800, la ripresa di una tradizione soggettivistica ed elitaria che rimonta a Montaigne, Cartesio e Pascal. François-Pierre Maine de Biran(1766-1824) ripropone l'impostazione dello spiritualismo, poi seguita dall'aristotelico Jean-Gaspard-Félix Ravaisson-Mol-lien (1813-1900). Èmile Boutroux (1845-1921) sottolinea la non-necessità (contingenza e libertà) degli accadimenti natu-rali, presentando e facendo valere un ordinamento di progres-sivo perfezionamento creativo e di arricchimento nell'essere, che procede dalla materia all'esistenza, prima organica e poi spirituale. In ogni passaggio e grado l'essere superiore non è determinato da quello inferiore, vivendo e godendo di un gra-do di libertà (moltiplicazione creativa) ad esso superiore. Sin dalla materia – apparentemente solo estensione e movimento -

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si assiste alla presenza di un fattore di arricchimento creativo ul-

teriore – per esempio il chimismo – che apre sin dall'inizio il campo di possibilità all'intervento della libera variazione. Così gli stessi percorsi evolutivi, che apparivano quasi dotati di una loro necessità intrinseca ed a priori, risultano in realtà dei per-corsi soggetti ad un più generale orizzonte di variabilità im-predeterminata. Ogni grado dell'ordinamento progressivo del-l'essere ha quindi leggi di auto-regolazione proprie: la mecca-nica, la fisica, la chimica, la biologia, la psicologia, la sociolo-gia. Ognuna non può essere ridotta alla precedente. Al con-trario: man mano che si procede lungo il corso di questo ordi-namento una sempre più ampia aleatorietà si sostituisce alla forme pregresse di finalizzazione. Dalla legge fondamentale e di base dell'identità necessaria si passa mano a mano verso quella della non-identità, verso la progressiva apertura della moltiplicazione delle possibilità di variazione.

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4. Lo spiritualismo inglese e italiano.

In Inghilterra e in Italia lo spirituali-smo si abbevera alle fonti della tradizione neoplatonico-aristoteli-ca. L'Uno necessario e d'ordine (Dio) subordina a sé l'orizzonte soggettivo della coscienza umana e quello oggettivo del mondo na-turale. In Inghilterra quest'asse di riferimento verticalizzante orga-nizza la ripresa della tradizione leibniziana (monadologia lotziana). La stessa impostazione seguono in Italia Bernardino Va-risco (1850-1933) e Piero Marti-netti (1871-1943).

Piero Martinetti

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5. La filosofia dell'azione e il modernismo.

La finalizzazione obiettiva consentita nei principali paesi e nazioni dell'Europa occidentale dalla ripresa della tradizione neoplato-nico-aristotelica (l'Uno necessario e d'ordine) permette l'utilizza-zione di uno spazio e di un orizzonte di apparente libertà, fruito dai gradi superiori dell'essere. È l'azione che progressivamente e sempre più sale e sorge a costituirsi in potenza di determina-zione e di auto-determinazione. Insieme all'azione sorge così il mondo stesso, nella sua determinazione naturale, morale, reli-giosa e sociale. In Inghilterra John Henry Newman (1801-1890) rende di nuovo praticamente concreta la logica del-la determinazione affermando la priorità dell'atto decisionale (assenso), sorretto dal desiderio e finalizzato dalla volontà. In Francia Léon-Ollé-Laprune (1830-1899) considera ancora che quell'atto creativo sia e stia all'interno dell'orizzonte tradizionale della fede, come sua immagine e riflesso. Maurice Blondel

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(1861-1949) fonde e tiene insieme questo presupposto oggettivo con quello soggettivo legato all'azione, costituendo un orizzon-te totalitario (necessitante). L'ideale-reale stabilito dall'Uno ne-cessario e d'ordine costituisce lo scopo ineludibile del progres-so umano, teso a realizzare l'infinità divina con l'infinità delle proprie realizzazioni (individuali e collettive). Ma la prima resta come quel soprannaturale, che da solo ed unicamente può soddisfare la sete divina dell'uomo, unendo così finalmente trascendenza ed immanenza dello sforzo umano.

In ambiente cattolico la filosofia dell'azione diede il via al cosid-detto modernismo, un tentativo di riforma e di partecipazione alle dinamiche della vita moderna, che avrebbe potuto inserire e rovesciare l'antica concezione teocratica cattolica in una for-ma di giustificazione ideologica delle forme del progresso e del-la vita materiale proprie della civilizzazione borghese.

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6. Sorel.

La filosofia dell'azione ebbe in Fran-cia un esito anche apparentemente rivoluzionario. George Sorel(1847-1922) incarnò infatti il tenta-tivo di superare con la distruzione violenta e radicale le condizioni at-tuali della società, della politica e dell'economia capitalistica. Per lui l'infinito dell'azione era l'infinito del-la libertà: questo muoveva neces-sariamente e finalisticamente quel-lo, verso la liberazione totale ed immediata dell'umanità. L'orizzonte immaginativo e razionale predi-spone infatti quel contenuto e George Sorel

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quell'ideale (mondo fantastico e mito sociale) che l'azione rivoluzionaria delle masse proletarie sindacalizza-te potrà immediatamente porre in atto – attraverso un sciopero sinda-cale generale – così realizzando quel nuovo ordine di liberi ed eguali preconizzato e voluto dal movimen-to socialista mondiale. Contro la vio-lenza originaria del sistema e contro la sua risposta reazionaria, il prole-tariato doveva abolire immediata-mente l'ordine sociale esistente, senza alcuna partecipazione alle mediazioni riformiste parlamentari.

George Sorel, Riflessioni sul-la violenza (1908).

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7. Bergson.

Henri Bergson (1859-1941) fa suo il principio creativo e dialettico del-l'essere e del divenire con il Saggio sui dati immediati della coscienza(1889). Nel successivo Materia e memoria (1896) l'immediato mate-riale sorto alla coscienza viene dia-letticamente riferito al principio or-ganizzatore, mentre ne L'evoluzione creatrice (1907) l'iniziale principio creativo viene esteso nella propria doppia dialetticità spazio-temporale. Nelle opere successive - L'energia spirituale (1919), Durata e simulta-neità (1922), Il pensiero e il moven- Henri Bergson

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-te (1934) – Bergson razionalizza i risultati della propria prece-dente riflessione, mentre ne Le due fonti della morale e della religione (1932) li riferisce agli effetti prodotti sugli ambiti tradi-zionali del pensiero.

Nel Saggio sui dati immediati della coscienza (1889) Bergson pone un discrimine ed un'opposizione all'interno della riflessio-ne umana: da un lato la conoscenza scientifica pare astrarre dalla creatività e variabilità temporale, proponendo una conce-zione del tempo come accumulazione progressiva di tipo quan-titativo (tempo della scienza come differenziazione lineare); dall'altro la coscienza semplice pare al contrario avvertire quanto il fluire del tempo dipenda da una qualità e da una po-tenza determinante libera di esprimersi, svincolata da qualsiasi processo lineare (tempo della vita e della coscienza come possibilità della variazione). Se il tempo della scienza (fisica)

Rocco Ronchi - Il Dio di Bergson

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presuppone che la fissità del proprio termine di riferimento con-senta la ripetibilità illimitata dello stesso fenomeno determinato (circolarità e reversione), il tempo della vita presenta al contra-rio una continua sconnessione, che impedisce qualsiasi ripeti-bilità (unicità dell'esperienza). Mentre il tempo della scienza presenta così un insieme di istanti diversi fra di loro, ma uni-formemente organizzati e finalizzati (tempo scandito e milita-rizzato), il tempo della vita considera ogni istante come un soggetto che è tale all'interno di un orizzonte di comune e reci-proca libertà ed eguaglianza, dove l'uno diviene l'altro (tempo dell'unità come divenire della libertà).

Quel discrimine posto all'interno della riflessione si viene quindi precisando dimostrando che la prima concezione temporale presenta e costituisce un mondo astratto dalla vita (da essa apparentemente separato) e spazializzato, come una proie-zione neutralizzante (esteriorità). Nato comunque dal tempo della vita, il tempo della scienza pare come negarlo, appunto proiettandone la sua negazione completa e totale.

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Dall'altro lato ed all'opposto l'inseparato del tempo della vita (in-teriorità) conserva l'alto orizzonte ed il valore della possibilità e della libertà della differenza, dunque della variazione e della sua impredeterminazione. Il tempo della vita conserva quindi alla fine la determinazione (concretezza) dell'essere, nella sua naturalità e razionalità. È questa – nell'immaginazione bergso-niana – la durata dell'eterno.

È l'unità di quel doppio rapporto dialettico – orizzontale e verticale (della libertà e dell'eguaglianza) – a ricostituire allora la pre-senza e l'azione della sfera e dell'orizzonte dell'infinito: Berg-son alla fine recupera quindi il principio creativo e doppiamente dialettico dell'infinito (di tradizione presocratica e bruniana), identificandolo con ciò che successivamente chiamerà slancio vitale.

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Se quindi il tempo della scienza (positivistica) pare organizzare

finalisticamente il mondo secondo la logica di un eterna ed astratta linearità e consequenzialità (secondo i meta-principi dell'identità e della non-contraddizione), il tempo della vita e della coscienza annulla e cancella questa ripartizione sbilancia-ta, ripristinando il principio dell'unità immediata e totale degli opposti (duplicemente opposti: libertà ed eguaglianza). È que-sto principio e quest'unità a far risorgere immediatamente il soggetto come entità in auto-creazione continua ed indefinita. Ed a far risorgere una nuova (antichissima) logica (immanente, concreta e razionale), che dissolve i meta-principi dell'identità e della non-contraddizione. Contro l'esteriorizzazione dell'azione e del motivo della stessa – loro reale negazione per neutraliz-zazione – il tempo della vita e della coscienza nega quella ne-gazione per neutralizzazione, ripristinando il principio creativo e dialettico dell'eguale libertà e della libertà eguale. Contro,

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dunque, il primato della finalizzazione e della strumentalizzazio-ne, operati dal tempo della scienza positivistica, il tempo della vita e della coscienza restituisce al soggetto il primato dell'atti-vità causale.

Ma come si definisce e si auto-determina effettivamente questo soggetto? Attraverso la sensibilità che si rende sentimento il soggetto ha la possibilità di istituire immediatamente un piano di incontro reciproco: è su questo piano – il piano dell'arte – che si istituisce quella relazione intersoggettiva che sarà poi capace di rirovesciare il rovesciamento ed il disequilibrio com-piuto dal tempo della scienza. Prima però di arrivare a questo piano e livello il soggetto stesso incontra il corpo, il proprio cor-po. In Materia e memoria (1896) Bergson internalizza la mate-ria come apporto ad un dato che la coscienza successivamen-te utilizzerà per la propria libera conservazione. A questo fine

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di libera conservazione il soggetto orienta dunque a sé la serie

delle procedure attraverso le quali egli stesso entra in contatto con l'ambiente esterno (memoria del tutto), per introiettarlo e selezionarlo, facendolo ricomparire come da un passato, attra-verso un'immagine (ricordo dell'apparentemente determinato). Ma l'individuazione resta comunque un processo dialettico, che si estrinseca a rigore unicamente per l'azione che deve, o che vuole, o che può e si desidera sia compiuta. Un processo dia-lettico dunque che pare appunto ripristinare anch'esso lo spa-zio ed il tempo inscindibili – nota il successivo avvicinamento di Bergson alle posizioni einsteiniane – di quell'unità doppiamente dialettica. In questa fase della speculazione Bergson pare però rimanere attaccato alla focalizzazione consentita dal rapporto esclusivo fra percezione propria e le finalità intrinseche di un'azione che può ancora apparire come distaccata, quasi an-cora estrinseca (di un soggetto superiore apparentemente libe-ro).

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Ma questo è un soggetto che pare rimanere ancora limitatamente preda di quella concezione e prassi scientifica che Bergson in-tende invece superare. Per questo egli cerca nell'opera suc-cessiva - L'evoluzione creatrice (1907) – di far ripiombare e reimmergere il procedimento dialettico alle proprie origini e sca-turigini creative e vitali, per poterlo poi rovesciare – quasi con una capovolta – sulle finalità apparentemente evolutive della vita stessa. Per poter fare questo Bergson ha però bisogno di trasformare il concetto di materia: da vettore inerziale ed indif-ferente delle forze ed energie espresse come da un soggetto sottostante, essa si trasforma – si rivoluziona, si potrebbe dire – in un soggetto esso stesso attivo e teso verso l'orizzonte del-la coscienza. Un soggetto sensibile, sentimentale ed infine ra-zionale. In questo modo umanità e natura si compenetrano re-ciprocamente e si fondono in un unico soggetto: la

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materia vivente. Questa, nella sua creatività ed impredetermina-

zione, è potenza ed atto universale di libertà, valido per ogni creatura apparsa sulla faccia del pianeta Terra, come per l'evo-luzione stessa dell'intero corpo celeste. Ogni suo momento è infatti conservato e protetto dall'orizzonte infinito della libertà: così in questo contesto ogni scelta singolare diviene via via nel tempo una scelta fra divaricazioni possibili, che lasciano traccia di loro stesse lungo il cammino della storia. Il complesso di queste divaricazioni possibili può invece essere realizzato dalla natura nel suo complesso, come serie divergenti di specie. La tensione vivente della materia – il suo unitario slancio vitale, posto all'interno dell'orizzonte infinito – si dirama e si moltiplica pertanto in continuazione, come possibilità illimitata. La natura stessa però attua – di fronte a questa possibilità illimitata – solo alcune principali biforcazioni, lasciandone decadere – almeno all'apparenza – moltissime altre.

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L'orizzonte infinito di libertà è eguale per tutte le specie che via via si realizzano nell'evoluzione naturale, ma per ciascuna di queste vale un principio di diversità e di diversificazione, che la differenzia completamente da tutte le altre realizzazioni della medesima libertà. L'orizzonte d'infinito è infatti orizzonte di una libertà eguale che si fa eguale libertà: in questo processo l'evo-luzione naturale sale ciascuno dei propri gradi, permesso e concesso via via dall'insieme di tutti gli altri. Senza un finalismo prestabilito che oggettivizzi necessariamente a sé dall'interno la serie dei risultati dell'evoluzione stessa (progetto assoluto), senza il disordine di forze che si integrino nella composizione casuale ed estrinseca dei viventi (meccanicismo relativo), il movimento della materia vivente dimostra quindi la traccia di una progressiva auto-determinazione. Quali sono dunque le possibili componenti di questo movimento?

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Lo slancio vitale si conserva lungo tutte le linee evolutive nelle

quali si ramifica, rimanendo la causa profonda – creativa e dia-lettica – delle sue stesse variazioni naturali. Queste tendono a persistere – ecco l'immagine della durata all'interno di quell'o-rizzonte d'eternità – grazie alla trasmissione ereditaria dei ca-ratteri acquisiti grazie a quello sforzo di modificazione funziona-le, che si era realizzato in organi e forme specificamente e par-ticolarmente diverse. Via via sempre più diverse. Con indivi-duazioni sempre più divaricate e molteplici, con forme di autor-ganizzazione sempre più specifiche e particolari, sino all'e-stremo degli elementi basilari. La resistenza ultima e definitiva di questi – l'apparente resistenza della materia bruta – viene quindi come piegata e coinvolta in un processo sintetico di au-torganizzazione, dove l'energia della vita diviene forza di ag-gregazione ed insieme distribuzione degli elementi, ora divenu-ti vitali (ricorda Kant e Schelling).

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Unificare e distinguere, distinguere e riunificare: in questo pro-cesso circolare la vita racchiude se stessa. Orientando gli ele-menti basilari della fisico-chimica, essa crea prima le piante – che appunto fabbricano le sostanze necessarie alla propria auto-nutrizione attraverso la funzione clorofilliana - e poi la prima biforcazione, costituita dagli animali. Questi integrano ed aggiungono alla funzione auto-nutrizionale la funzione del movimento. Questa si biforca a propria volta nell'esecuzione del movimento stesso, attraverso la generica azione, e nel-l'immaginazione sempre più ricca e variata dello stesso, con la progressiva integrazione ed aggiunta, quasi per concrezione (crescita successiva su se stessa), degli organi deputati alla percezione. La vita animale si riduce quindi allo sviluppo della triangolazione fra nutrizione, azione e riflessione ambientale (più o meno cosciente).

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La riflessione ambientale è quindi una funzione generale di tutte

le specie animali. L'evoluzione naturale però pare godere di una legge interna, che la spinge ad aggiungere in continuazio-ne ed integrare, su funzioni efficacemente attive basilari, fun-zioni ulteriori e successive, in una tensione dialettica fra orga-nizzazione della forma corporea e sviluppo degli organi diretti-vi. La vita animale si è quindi sviluppata da una base efficace – gli artropodi – ad una prima biforcazione essenziale – quella rappresentata dai vertebrati. Questi hanno potuto sviluppare molto efficacemente ed insieme l'evoluzione delle forme orga-niche e di quelle percettive. Su di un altro versante evolutivo invece altre forme di autorganizzazione del vivente animale – come gli echinodermi ed i molluschi (a vita prevalentemente acquatica) – non hanno potuto utilizzare tutte quelle condizioni di sviluppo, che l'ambiente terrestre ha invece consentito (lo sviluppo tendenzialmente in verticale, verso la stazione eretta).

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Se gli artropodi si sono evoluti negli insetti e negli imenotteri, i vertebrati hanno invece per il momento concluso la propria fase evolutiva nella specie umana.

Nella specie umana il fattore percettivo emerge come intelligen-za, su di una base elementare di tipo istintuale, rimasta al proprio pieno stadio funzionale negli artropodi. È l'immagina-zione che ora viene sviluppandosi e moltiplicandosi in com-plessità. Ad uno stadio immediato e totale, che pare aprire ad una prima dimensione temporale rigida, l'animale usa una par-te del proprio corpo (un organo) per raggiungere uno scopo evidente e preciso, teso a soddisfare i propri bisogni o necessi-tà di auto-conservazione. Ad uno stadio successivo – in parti-colare nella specie umana – la dimensione temporale pare come arricchirsi e flessibilizzarsi (quasi autonomizzarsi). In re-lazione al medesimo scopo azioni e strumenti possono essere variati e modificati, in continuazione, in uno spazio separato ed astratto (magari sempre secondo modalità evolutive).

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È in questo spazio separato ed astratto che l'evoluzione degli strumenti dimostra l'evoluzione dell'intelligenza. È stato dunque attraverso l'azione – homo faber – che la specie umana si è evoluta in homo sapiens. La necessità prima, la volontà poi, di porre riparo alle deficienze naturali ha infatti spinto l'uomo a creare strumenti artificiali, per procurarsi il cibo, vestirsi e di-fendersi. Ma questo si è potuto realizzare grazie a quell'impo-stazione immaginativa grazie alla quale sarebbe sorta succes-sivamente la stessa scienza (vedi analisi critiche precedenti). Se lo strumento è dunque ciò che viene neutralizzato nella propria vita autonoma ed autodeterminata, l'intelligenza umana avrà ineludibilmente a che fare con l'immagine di un ente che è stato reso oggetto immobile ed immodificabile alla volontà al-trui. Un oggetto chiaramente distinto ed individuo (cfr. i principi aristotelici e l'impostazione cartesiana).

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Per questa ragione l'intelligenza umana nasce restando fuori programmaticamente dall'orizzonte del nucleo fondamentale e creativo della vita. Essa rimane infatti inefficace a comprendere l'apertura del principio stesso, la sua creatività ed il suo movi-mento dialettico, il suo proprio divenire.

La focalizzazione e la concrezione sull'oggetto operata dall'intel-ligenza, secondo il desiderio e la volontà di potenza di un sog-getto alienato, deve quindi essere ridisciolta e rimobilizzata, secondo un ordine di riflessione diverso ed alternativo, capace di riconnettersi con la fonte vitale, il suo movimento ed il suo continuo divenire. Questo reimmedesimarsi con la radice crea-tiva e con la proiezione della sua volontà di potenza viene defi-nito da Bergson come una forma di ritorno consapevole dell'in-telligenza all'istinto, un istinto però trasformato in intuizione. Nell'intuizione l'immaginazione recupera la propria tensione

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d'orizzonte infinito, riprende la fonte creativa e la slancia sempre oltre (come potenza attuativa). Consapevolezza continuamente autoriflettente, l'intuizione riesce così a comprendere all'interno della propria infinita circolarità l'intero universo apparente, muovendolo attorno al perno centrale determinato dall'origina-ria unità del creativo e doppiamente dialettico. È così che il pensiero – ridivenuto vitale e razionale – può riattingere in pri-ma elevazione quella prima base intersoggettiva costituita dal coglimento comune della bellezza particolare (fase e momen-to estetico dell'intuizione). Ma la rotazione in elevazione conti-nua, per poter cogliere l'universale nella sua pienezza e com-pletezza (d'infinito). Per questa ragione dalla fase e momento estetico l'intuizione si eleva ulteriormente verso l'orizzonte con-clusivo della meditazione metafisica.

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Completare questo movimento di rotazione in elevazione non si-gnifica però per Bergson dimenticare il senso e significato defi-nito e determinato da quell'unità creativa e doppiamente dialet-tica. Anzi, al contrario, significa che se ne deve esaltare il valo-re. Ed il suo valore è dato dalla possibilità di unire reciproca-mente libertà ed eguaglianza. Bergson ha così buon gioco nel mostrare l'alternativa costituita dalla apertura dell'orizzonte di libertà ed eguaglianza delle società aperte, rispetto alla foca-lizzazione e verticalizzazione autoritaria e sbilanciata delle so-cietà chiuse. Questo aspetto di compressione diagonalizzante viene quindi sciolto e riaperto verso orizzonti di vita universal-mente piena e felice. Alla morale dell'obbligazione, derivata dalla sottomissione, viene così sostituita la morale assoluta: tanto la prima conserva l'ordine della sottomissione gerarchica ed autoritaria, quanto la seconda si riferisce apertamente ed

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immediatamente a tutta l'umanità, in un orizzonte di fratellanza universale (morale cosmopolitica). Tanto la prima ha come cri-terio fondante di giudizio la conservazione della propria logica di sottomissione, altrettanto ed all'opposto la seconda utilizza apertamente e completamente la potenza e la spinta del pro-gresso per migliorare le condizioni comuni d'esistenza. Tanto la prima porta come esempio l'acquisizione delle abitudini so-ciali tradizionali, quanto la seconda fa leva al contrario sull'au-to-formazione libera della personalità individuale.

Allo stadio della formazione morale corrisponde poi il grado ap-parentemente più elevato della religione. Qui le società chiuse utilizzeranno come propria giustificazione ideologica religioni statiche, mentre al contrario le società aperte proporranno come orizzonte comune religiosità dinamiche e di progresso.

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Le religioni statiche utilizzano, inducono e continuamente som-ministrano, inoculano (quasi come una malattia) ai soggetti su-bordinati il principio della paura infinita (angoscia) – in teoria in relazione alla propria sopravvivenza, in qualsiasi situazione di difficoltà estrema – per sviluppare una fede, un affidamento, un'alienazione dogmaticamente costruiti attorno a contenuti della fantasia (fantasia fabulatrice), difesi e giustificati da im-pianti razionali astratti e separati via via costruiti ed elaborati dall'intelligenza. Risultati estremi di questa astrazione e sepa-razione sono i dogmi dell'immortalità dell'anima individuale e della subordinazione del soggetto umano all'oggettivo orizzon-te divino. Le religioni dinamiche, invece, utilizzano immediata-mente ed universalmente l'aspirazione all'infinito dell'intuizione, per poter far riconoscere all'umanità intera la potenza in atto dell'infinito stesso, in loro stessi.

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Ogni soggetto umano può infatti riconoscere la presenza in se stesso di ciò che lo determina come libera attività creatrice. Immedesimandosi in questo sforzo, egli riconosce negli altri soggetti umani e naturali la presenza del medesimo principio, con ciò considerando ed immedesimandosi nella comune par-tecipazione alla vita ed al divino (misticismo). Attraverso il mi-sticismo l'uomo così si inserisce nello slancio creatore della vita, nella stessa creazione divina, e la prosegue per proprio conto. In particolare il misticismo cristiano riconosce la presen-za del motore centrale dell'amore (Spirito), come fonte creativa e come unità dialettica fra libertà (Padre) ed eguaglianza (Fi-glio). Creati diversi dall'amore e nell'amore, gli esseri possono ritrovarsi e riconoscersi reciprocamente, nella libertà e per l'e-guaglianza. Lo sviluppo tecnologico della civiltà occidentale ri-schia al contrario di accentuare le forme di separazione dell'in-telligenza, decretando la morte dell'anima e dello spirito infinito ed universale, attraverso il mito ed il dogma della completa au-tosufficienza (direttiva e dominatrice).

Page 36: 7. la reazione_al_positivismo__bergson__1

Henri Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, 1888.

Henri Bergson, Materia e memoria, 1939.

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Henri Bergson,

L'evoluzione creatrice, 1907.

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Henri Bergson, Durata e simultaneità, 1922.

Henri Bergson, L'energia spirituale, 1919.

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Henri Bergson, Il pensiero ed il movente, 1903-1923.

Henri Bergson, Le due fonti della morale e della religione, 1932.

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Gianluigi Miligi.Una filosofia dell'intuizione: Bergson