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1 Bruno Politeo Parce mihi, Domine… …quia Dalmata sum ! Stemma della Dalmazia detto comunemente attribuito a S. Girolamo

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Bruno Politeo

Parce mihi, Domine…

…quia Dalmata sum ! ∗

Stemma della Dalmazia

∗dettocomunementeattribuitoaS.Girolamo

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Nota bene: nel testo si riprendono numerose considerazioni, dati ed opinioni

espresse da vari Autori (non sempre citati) apparsi sul web.

Ringrazio per le preziose informazioni così ottenute.

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Sommario :

1. Premessa………………………………………………………………………… pag. 6

2. La Dalmazia e la “Gens Dalmatica”…………………………… pag. 11

3. Benemerenze e qualità dei Dalmati ……………………….. pag. 25

4. Nascita dei nazionalismi: quello slavo .………………….. pag. 29

5. Nascita dei nazionalismi: quello italiano .……………… pag. 46

6. Gli eccidi contro la popolazione italiana ……………….. pag. 53

7. Il bombardamento di Zara e l’esodo ……………………… pag. 58

8. Nostalgie e speranze ………………………………………………. pag. 73

9. E ora ?………………………………………………………………………….. pag. 78

10. Conclusioni ………………………………………..……………………… pag. 81

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Parte Prima

stemma di Zara

Chi fummo…. ?

Quali saremo…. ?

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Premessa

Le poche pagine che seguono intendono affrontarebrevementeuntemachedamoltotempomisipresentaallamenteechemiinteressaoraapprofondire.

Cercaredidefinirecioèseabbiaancoraunsensovalorizzareesostenere orgogliosamente le proprie radici e le proprieorigini, vantare le proprie ascendenze. Se possa ancorasignificare qualcosa, per noi, indicare di “essere dalmata”,perchénatiinDalmaziadagenitorichesonodasemprevissutilaggiù, o provenire da famiglie originarie di quei luoghi, einsistereaqualificarsicosì.

Eciò inunasocietàodiernacosìmutatadaquellodel secoloscorso, cheha visto - dopo la sconfittamilitare - la dolorosadiaspora e la dispersione dell’intera popolazione di linguaitaliana e di tradizione veneta residente in Istria, Fiume eDalmazia (ben350.000persone, come l’interapopolazionedilinguatedescadell’AltoAdige,perintenderci).

Hacioèunsignificatoeunaqualcheimportanza-ancoroggi-volerinsisterenelcaratterizzareedistinguerelanostragente,un popolo che ha vissuto drammaticamente lo strappo el’esododalleproprieterre,forzatamenteabbandonateperchéaffidatedai vincitori della SecondaGuerraMondialeallaneocostituitaRepubblicaJugoslava?

Unariflessione,lamia,checercadiritrovareun“filrouge”,unqualche sentire comune che possa ancora identificare i“nostri”elidistinguatuttoradatuttequellealtrepopolazioniche ci hanno accoltoo in cui siamo confluiti dopo l’esodo, e

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checihannointrodottonellelorotradizioni,nelloromododivivere,spessoneilorodialettionellelorolingue…

Unpopolo,quellodeigiuliani, fiumaniedalmati, cheè statodispersononsolo in Italia,manelmondo interodopo la finedella guerra, a causa dell’appropriazione - da parte dellaneonata Repubblica Jugoslava - di tutti i loro beni, e che haassistito alla conquista di città e terre che avevano vistolungamente vivere e prosperare una popolazione venetaautoctona, convissuta pacificamente per secoli con le altrepopolazionilocali,slaveebalcaniche.

Il mio scopo è di rintracciare e di identificare quali siano ivalori complessivi, le virtù comuni e le caratteristichecollettive di quella gente (ma soprattutto se ci siano ancora,sopravvissuti alla diaspora). Ma anche se queste eventualivirtùequestivalorioriginaripossanoodebbanomantenersi,ancoraoggienelfuturo,quandoormaiasopravvivereèsolouna sparuta quantità di esuli originari, in progressivodissolvimentonaturale.

Ecercarealtresìdiconoscerequalisianoisognielesperanzedei loro diretti discendenti, che cercano orgogliosamente epuntigliosamente di mantener viva - nonostante tutto - unamemoriacomune,unapropria storiae lepeculiari tradizioni.Quest’impegnovieneaffrontatoancoroggi(tenacemente,purse a oltre settant’anni da quei tragici avvenimenti) grazie adun florilegio continuo ed incessante di pubblicazioni,documenti, ricerche, raduni periodici, catene di socialnetwork,cheintendonoricordareedanalizzarelevicendechefurono.

Costoro, questi ormai pochi “nostalgici”, compiono tutto ciòsfidando la velocità delle trasformazioni sociali e il rapido

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accavallarsidegliavvenimenti, inunmondochevelocementetravolgeeconsumailquotidiano.

Le odierne forme di comunicazione, infatti, sembranointeressate a presentare continuamente nuove situazioni,differenti temi di discussione, nuovimodelli sociali, diversi epiùurgentiproblemicollettivi.

E dedicano perciò poco tempo e scarso interesse a vicendetrascorse e tramontate, se non addirittura sconosciute oignorate dai mass media, e quindi ancor meno studiate ocommemorate.

Le generazioni attuali, successive a quelle che hannosperimentatosullapropriapelle idrammi, le ristrettezzee leumiliazionidell’esodo,vivono-ormaidaoltresettant’anni-inambienti urbani e in contesti sociali tutt’affatto differenti,quandononaddiritturainStatioContinentidiversidall’Italiaedall’Europa.

Hanno maturato quindi esperienze assai diversificate efrequentato scuole diverse; hanno acquisito tradizionidifferenti; hanno abbandonato il proprio dialetto familiare,quando non addirittura la lingua madre italiana. L’averconosciutomondi,valorieregolediverseespessolontanedaquelle dei loro genitori e dei loro avi, l’essersi integrati insistemi di vita diversi, avrà in qualche modo diluito, se nonperfino cancellato o estinto del tutto il ricordo dellesofferenzeedipatimentivissutidaiproprivecchi?

Ma-soprattutto-èdavveroinevitabilecheilpassatogloriosodiquelleconsistentiediffusecomunitàveneto/illiriche,lungoquasi cinquecento anni (o ancor più, se si lega il periodo didominio veneziano con la precedente, lunga e importante

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dominazione romana) debba essere definitivamentearchiviatotralepolverosetechedivetrodellaStoria?

Come se fosse una curiosità degna di interesse solo perstudiosi, quasi come lo studio del sanscrito, non avendo piùnulladadire,datrasmettereodainsegnare?

Alle riflessioni che seguono, dove ho cercato anche dianalizzare (ricorrendo a studi e testi presenti sul web) qualifatti storici abbiano contribuito a far sorgere le criticità neirapporti tra l’elemento slavo e la ormai sparsa comunitàveneto-dalmata, ho voluto aggiungere,ma in un documentoseparato, anche la trascrizione puntuale - spesso narrataanchequestaneldialettoveneto/dalmataamefamiliare-dialcuneconversazioni avute conunmio carissimozio, fratellodimiamadre.

Suo padre (e mio nonno) Bruno de’ Denaro, già ufficialedell’esercito austroungarico, apparteneva alla piccola nobiltàdalmatadiZara,mentremianonna,MariaNutrizio,provenivadaun’antica famigliaoriginariadiTraù inDalmazia, (oggipiùnotacomeTrogir).

Era, questomio zio, il dottor Guido de’ Denaro (in gioventùsoprannominato Caìcio, perché - abile fin da ragazzo perhobby nel “boatwright” e nell’arte della falegnameria - sicostruìaZaraconlepropriemaniuntalbarchino,meritandositale soprannome), che ho voluto intervistare nel 2007,registratoreallamano,pochianniprimadellasuascomparsa,avvenutaanovantaquattroannidietàa Jesi (Ancona),echerappresenta perme il prototipo dell’uomo nato e vissuto inDalmazia.

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Intelligente,argutoespiritoso,dotatodiampiaautoironiamanel contempo anche incarnazione della forza d’animo tipicadellanostraGente.

Perrifarsiunavitadopolatragediaedassicurarecosìunavitadignitosa alla propria famiglia, avendo perduto tuttonell’esodo, occupazione, casa, beni e contatti, ricominciòcoraggiosamente - e da zero - una propria attivitàcommerciale,dapprimagirandoinbiciclettaimercatipaesanidelleMarcheevendendodolciumiecaramelle.

Con la costanza, la meticolosità e l’onestà che locontraddistinsero per tutta il lungo percorso della sua vita,divennepoiunodeimaggiorigrossistidibiscottiealimentaridolcidelleMarche.

Aluihopensatospessoconaffetto,ealuidedicoquestemiemodesteconsiderazioni.

Primavera2017

nobili de’ Denaro conti Nutrizio

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LaDalmaziaela“GensDalmatica”

Come dovrebbe essere noto, la Dalmazia1è quel territorio,lungoestretto,che-legandosiall’Istria(altraregioneperduta,ora spartita tra Slovenia e Croazia) - si distende in direzionesud-est, parallelamente al versante adriatico della nostraPenisola.

Questolitorale,ristrettoefrastagliato,percorrecircaseicentochilometri di coste, prevalentemente rocciose, e includeanchealcunecentinaiatraisole,isoletteescogli.

Nel passato glorioso della SerenissimaRepubblica di Veneziaquesta terra costituiva il baluardo orientale di protezionenaturale e di difesa militare dei suoi traffici marittimi conl’Oriente, in quello che geograficamente era indicato come“Golfo di Venezia” (come fu definito per secoli il marAdriatico).

Oggi la Croazia, che occupa quasi completamente questoterritorio,preferiscetrascurareladenominazionestoricadellaDalmazia e, pur inserendone lo stemma (le tre teste dileopardo su fondo blu) sul proprio vessillo nazionale, amadefinirlacome“SudCroazia”o“CostaCroata”.

Questoprobabilmenteperrafforzareilsensodiunaproprietàterritoriale che non le appartenne mai, e che le è stataaccordata solo di recente, dopo la II^ Guerra Mondiale, maforse anche per contribuire a far dimenticare il millennio

1Ma spesso non lo è, perché la memoria degli uomini sugli avvenimentistorici,spessoèartatamentedistorta,offuscataocancellatadapressionidinaturapolitica.

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abbondante che non vide nessun regno croato intitolarsi ilmareadriatico.

Città importanti di questa Regione sono (nella designazionestorica, in lingua italiana): Zara, Sebenico, Traù, Spalato eRagusa, ma storicamente sono importanti anche le isole diVeglia, Cherso, Lussino, Pago, Brazza, Lissa, Lesina eCurzola.Invece la regione di Cattaro, che completa e chiude laDalmazia e quindi geograficamente e storicamente ne faparte,appartieneoggiallaRepubblicadelMontenegro.DiquisientrainAlbaniaedinGrecia.

Questorapidissimocennogeograficosolamenteperaiutareacomprendereeamotivareunapartedell’indole socialeedacercaredidefinire,anchenelleradicigeografiche, leoriginiele cause della personalità, del temperamento e della naturadeiDalmati.

Naturalmentequestapopolazione,cheoccupavaunterritoriocosì esteso, affacciato sul mare e delimitato verso ilcontinente da aspre catene di monti, pur rivelandocomplessivamente qualità omogenee, presentava anchecaratteritraloroparzialmentedifferenti.

E ciò sia in ragione dell’appartenenza etnica (veneta, slava,montenegrina, greca o macedone) che del grado di culturaposseduto,oltrechedallaprofessionesvolta.

I militari, ad esempio, che fecero parte per molti secolidell’Armata Veneta, in difesa (ma non solo) dello “Stato daMar” (la partizione orientale della Repubblica Veneta, checomprendeva-oltreal“Dogado”,ossialacittàdiVeneziaelasua laguna - anche lo “Stato da Tera”, e cioè i possedimenti

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terrestri,estesiadovestdellacittàlagunare)eranoipiùrozziedaggressivi.

Caratteristica comune di costoro, a Venezia chiamati anche“Schiavoni” (perché parlavano spesso tra loro lingue slave eperlalororitenutaappartenenzaadunagenerica“Slavonia”)2erano il coraggioe la combattività, la ferociae l’aggressività,spesso sanguinaria, nelle battaglie, combattute sia contro iltradizionale nemico turco che, più tardi, contro gli altriaggressori della Veneta Repubblica (francesi, soprattutto,comevedremoinseguito).

Il termine “Schiavone” però, a differenza di quanto si puòritenereoggi,nonavevainsénulladidispregiativo,estavaadindicare soltanto gli abitanti della S(c)lavonia che, in greco,eranodetti“Sclavos”.

Comunque la Repubblica, già nel seicento, riferendosi alletruppe reclutate in quei territori, principiò a chiamarli“Oltremarini”, aggiungendoadessi anche i soldati di originegreca.

Restò tuttavia, nel gergo comune, il nomeSchiavoni, e neètestimonianza ancor oggi a Venezia la Riva degli Schiavoni,sede di una loro grande caserma, a Venezia (oggi sede delcircoloufficialidell’esercitoitaliano).

Lanascitadiquesti repartihaorigini anticheedevidenzia lospirito plurinazionale dello stato veneto. Arruolati inDalmazia, Grecia e sulle coste Albanesi, essi furono usatiall’inizio come “fanti da mar” imbarcati sulle navi della

2Inrealtà laSlavoniastorico-geograficasi trovavamoltopiùaest,ederaappartenutaperalcunisecolialRegnod’Ungheria.

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Serenissima, pronti all’arrembaggio di altri navigli o cometruppe da sbarco. Passarono poi al servizio in terraferma,presidiandofortezzeecittàintempodipaceodiguerra.

I loro centri di raccolta erano a Zara e Corfù,da dove, unavoltaaddestrati,partivanopermareearrivavanoalfortedelLido. Da qui erano smistati a Padova se erano destinatiall’entroterra,dovealloggiavanoprimadiandareacoprirelesediloroassegnate.

Erano comandati da ufficiali illirici, o che comunqueparlassero la loro lingua, poiché i comandie tutti gli ordinieranospessoimpartitinell’idiomanatio.

All’arrivodiNapoleone,nonostantel’ordineloroimpartitodalpavido governo Veneto di non reagire alle prepotenzecontinue dei francesi, dettero del filo da torcere al suoesercito di saccheggiatori. Molti di questi soldati francesifuronopassatiafildispada,specieaVerona,dovestanziavailReggimentoMedin, tanto cheNapoleone ne chiese prima ildisarmo,poilospostamento.

L’amoreper ilvessillomarciano,e il lorospiritodicorpoerafortissimo (tra loro infatti si chiamavano “brate”, che vuoldire fratello), come la loro ferocia in battaglia. Ma non sicaratterizzavanoperò,datalalorobaldanza,perladisciplina.

E mentre il Savio alla scrittura (cioè il Ministro dellaguerra)nel ‘700 emanavaun’ordinanza per la fanterianormale, con la quale si stabiliva la forma dei “boccoli” deicapelli e quante libbre di cipria dovessero essereassegnateperognifante(com’erainusoallora), lorotenevanoicapellilunghi e incolti, per incuteremaggior timore, e per rendere

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ancorapiùtruceilloroaspettosifacevanocresceredeigranmustacchi.

Del contributo fondamentale che la popolazione dalmata, esoprattutto le schiere degli Schiavoni, diede alla vita e allalibertà di Venezia, sono riportati nelle pagine seguenti trenoti, significativi ed importanti episodi storici, accaduti negliultimi mesi di vita della morente Repubblica, chetestimoniano - con l’appassionata difesa delle istituzioni - lafedeltàdeiDalmatiallaPatriaveneta.

Da rimarcareanche il fatto,quasiuniconellaStoria, cheunaComunità intera, nel momento dell’imminente disfatta delloStato di appartenenza, anziché disperdersi, ritirarsi odorganizzarsi per tutelare opportunamente i propri interessi-personaliocollettivi -si fossedatadisperatamente,equasidasola,adifenderelemaceriediun’istituzioneimbelle,ormaiinevidentedisfacimento.

Costituirono, infatti, quasi l’unica speranza o illusione dirisollevamento delle sorti nazionali, al punto che il 6maggio1797, nella drammatica riunione del Senato Veneto cheavrebbedecisoloscioglimentodellaRepubblicaVeneta,nellaSala del Maggior Consiglio il procuratore di S. MarcoFrancesco Pesaro gridò al Doge LudovicoManin: “Tolé su elCorno,eandéaZara”,ovvero“PrendeteilCorno(simbolodelpotere dogale) e recatevi a Zara”, ove la Repubblica siperpetuerà…

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1)LEPASQUEVERONESI

Nello stesso anno (1797), di fronte all’arroganza ed alleprovocazioni dei soldati Francesi, i cittadini Veronesi,organizzati in “Cernide” (e cioè milizie volontarie territoriali)ma grazie soprattutto all’apporto organizzato delle milizieSchiavone di stanza in città, si rivoltarono contro le truppefrancesi,ottenendoimportantivittorie,facendoprigionieriedoccupando le fortezze cittadine, e cacciando (ahimè solotemporaneamente)gliinvasori.

Queste prime violente manifestazioni di resistenza crearononeiFrancesi il timoree l’avversioneverso le truppedalmate,tantocheappenaneebberol’autorità,allacadutadiVenezia,preteserochequestemiliziefosserosciolteeimbarcateversolezonediorigine.

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2) LADIFESADELPORTODIVENEZIA

Il secondo episodio ricorda come l’ultima battaglia navale(vittoriosa) compiuta dalla Repubblica Serenissima, fu quellaintrapresa il 20 aprile 1797, sempre dai soldati dalmati,comandati da Alvise Viscovich, di guardia per la difesa delportodiVenezia…

Nell'Adriatico, allora comunemente chiamato "Golfo diVenezia", i Francesi si facevano vedere da qualche tempo,dandolacacciaabastimentiaustriacieinglesi,masoprattuttorecando continue molestie al naviglio veneto con fermiarbitrari, interferendonelpattugliamentooperatodaivascellida guerra, o contrastando la navigazione della flottacommerciale.

Il Senato allora rammentò l'antico Decreto della Repubblica,che disponeva il divieto assoluto d'ingresso nel porto a ogninaviglio armato straniero, raccomandando allo stesso tempolamassimavigilanza - visto l'aggirarsidi legniarmati francesinelle vicinanze della Città - e autorizzando altresì l'uso dellaforza qualora un qualsiasi bastimento armato di qualunquenazione,volesseforzarel'ingressodelporto.

Per tutta rispostaNapoleonedispose che il comandante delnaviglio francese, chiamatoper ironia della sorte “Liberateurd'Italie”,sirecasse-provocatoriamente-nelgolfodiVenezia.

Costuibloccòinmareapertounabarcadipescatorichioggiottiecostrinseconlaforzaasalireabordounvecchiopescatoresettantenne, obbligandolo a fare da guida alla loroimbarcazioneversoilportodiVenezia,poichégliinvasorinonconoscevano i fondalie icanali,eminacciandolodimorteseavesserifiutato.

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Davanti all'intimazione del Comandante Pizzamano (ilresponsabile del Forte di S. Andrea, posto a difesa dellaLaguna)di allontanarsi,mentreduebastimentidel convoglioinvertironolarotta,il“Liberateurd'Italie”,invece,giuntoatirodeicannonidelforte,sparòalcunicolpi.Subitoduelance,perordine dell’ufficiale Bragadin, gli si pararono di fiancointimandoglidiretrocedere.

Ricevuta un'arrogante risposta dal comandante francese,questanave(armatadiottocannoni,conabordo38soldati,4passeggeri ed il pescatore chioggiotto) fu affrontatadallegaleottevenetedeiCapitaniAlviseViscovicheMalovich,che comandavano la guardia deiBocchesi (Dalmati delleBocchediCattaro,chevantavanoiltitolodiGonfalonieridellaSerenissima).

L’equipaggio “delLiberateur d'Italie” abbandonò quindi lemanovreesirifugiòsottocoperta.

La nave, senza più comando, andòalla deriva finendo primasottolabatteriadelLidodovelepiovveroaddossocannonatee colpi dimoschetto, poi fu abbordata, spadeallamano,daiDalmatidellanavedelViscovich,resifuribondidalleangheriedaimaltrattamentisubitidirecentedagliinvasorifrancesi.

Nellamischiafuriosacheneseguì,iBocchesipassaronoafildispada quanti trovano sul ponte della nave, compreso ilpescatore chioggiotto che urlava invano d'esser“SudditoVeneto”.

Accorse quindi il comandante Pizzamano e vedendo che inemici stavano soccombendo all'assalto della galeotta, evitòunapiùgravecarneficinaordinandoalViscovichdirichiamarei suoi uomini, sicché - anche se con grande difficoltà - fu

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ristabilito l'ordine. Il combattimento era durato circa 20-30minuti.

Con l'equipaggio francese prigioniero sotto coperta,ilLiberateurfupresoinconsegnadall'AlfiereedaseiBocchesidelCapitanoViscovich.

Bilancio: dei francesi cinque morti (tra cui il tracotantecapitano Laugier, colpito da una palla dimoschetto) e otto iferiti. Purtroppo anche Il vecchio pescatore morì in seguito,perleferiteriportate.

3) LADEFINITIVACADUTADELLAREPUBBLICAVENETA

L’ultimoepisodiosiriallacciaalfattocheladifesadello“StatodaMar”fossedasempreaffidataalletruppedegliSchiavoni,iquali anzi fin dalla secondametà del ‘300 e fino alla cadutadellaRepubblicaavevanoavutodalSenatoVeneto l’onoredi

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conservare-aPerasto,unacittadinanelterritoriodiCattaro-il Gonfalone di Guerra della flotta della Serenissima (eventograndementesimbolicodellafiduciacheVeneziaassegnavaaiDalmati).3

Il23agostodel1797,icittadinidiPerasto-comealtriprimadiloro indiversecittàdalmate, tracuiZara -si radunaronoperseppellireilgonfalonedellaSerenissimasottol'altarmaggioredellalorochiesaparrocchiale.3 NelcorsodelmedioevoPerastoappartenneallaRepubblicadiVeneziaperperiodiintermittentiepoiininterrottamentedal1420al1797.Nel Settecento la cittadina visse il suo momento di maggior splendore,giungendoadaverequattrocantierinavali,una flottadicentonavieunapopolazionedi1.700abitanti.All'epoca veneziana risalgono anche le nove torri difensive (Perasto,nonostante fosse senzamura, non fumai presa daiTurchi), la fortezza diSantaCroce(1570),sedicipalazziediciannovechiese(diciassettecattolicheedueortodosse).Grazie allo spontaneo aiuto dato nel1368alla flotta veneta durante unterribileassedio,lacittàsiguadagnòiltitolodi"fedelissimagonfaloniera",chemantennefinoallafinedellaRepubblica.PerdecretospecialedelSenatolacittàebbel'onoreel'oneredicustodireilGonfalonedi guerra della flotta veneta; anche i dodiciGonfalonieri diPerasto, che in corso di battaglia costituivano la guardia personale delDogee avevano il compito di difendere il vessillo sulla nave ammiraglia,provenivano esclusivamente da Perasto. Nellabattaglia di Lepantoneperironoottosudodici.La devozione della cittadina alla Repubblica di Venezia non venne menoneppureallacadutadiquest'ultima.Mentre il 12 maggio1797il doge depose le insegne di San Marco, iperastinideliberaronodirimanerevenezianiesiresseroinautogovernofinoall'arrivodelletruppeaustriache.Ivessillivenetirimaserocosìissatifinoal23 agosto, giorno in cui furono seppelliti con una cerimonia solenne,l'ultimadellaSerenissima,sottol'altaredelduomo.

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Davanti alla folla inginocchiata, il Capitano della Guardia diPerasto,conteGiuseppeViscovichtenneunfamosodiscorso,chiamato “il Giuramento di Perasto”, altrimenti conosciutocome“Ticonnu,nuconTi”.

Riportoquidiseguito,atestimonianzadell’affettodeiDalmatiperVenezia,iltesto(inlinguaveneta)delfamosodiscorsodellorocomandante.

« In sto amaromomento, che lacera el nostro cor; insto ultimo sfogo de amor, de fede al VenetoSerenissimo Dominio, el Gonfalon de la SerenissimaRepubblicanesiadeconforto,oCittadini,chelanostracondottapassadachequelade sti ultimi tempi, rendenon solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, madoverosopernu.

Savaràdanuinostrifioi,elastoriadelzornofaràsaveratuttal'Europa,chePerastohadegnamentesostenudofinoall'ultimo l'onor delVenetoGonfalon, onorandoloco' sto atto solenne e deponendolo bagnà del nostrouniversal amarissimo pianto. Sfoghemose, cittadini,sfoghemose pur;ma in sti nostri ultimi sentimenti coiquai sigilemo lanostragloriosacarriera corsa sottoelSerenissimo Veneto Governo, rivolzemose verso staInsegnachelorappresentaesuelasfoghemoelnostrodolor.

Pertrecentosettantasetteannilanostrafede,elnostrovalorl'hasemprecustodìaperteraeparmar,pertuttodovenégaciamàisonemici,chexestaipurqueidelaReligion.

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Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, elnostrosangue,lenostrevitelexestadesempreperTi,oSanMarco;efelicissimisempresesemoreputàTiconnu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo staiillustri e vittoriosi. Nissun con Ti n'ha visto scampar,nissunconTin'havistovintiospaurosi!

Se i tempi presenti, infelicissimi per imprevidenza, perdissenzion, per arbitrii illegali, per vizi offendenti lanatura e el gius de le genti, no Te avesse toltodall'Italia, per Ti in perpetuo sarave stade le nostresostanze, el sangue, la nostra vita, e piutosto chevederTevintoedesonoràdaiToi,elcoraggionostro,lanostra fede se avarave sepelio soto de Ti !Ma za chealtro no resta da far per Ti, el nostro cor sial'onoratissima To tomba e el più puro e el più grandeelogio,Tòelogio,lenostrelagreme.»

Il conte Viscovich fu il primo a baciare il gonfalonerepubblicanoeabagnarlodelleproprielacrime.Quandotuttiicittadini le ebbero reso omaggio, la bandiera raffigurante illeonemarcianofuchiusa inunacassettaepostasotto l'altarmaggioredellachiesacittadina.

Dopo la capitolazione di Venezia, la Repubblica Veneta inrealtà si spense definitivamente solo con l’atto finale soprarammentato, perché fino a quel giorno - l’ultimo di vita - laRepubblica di Venezia sopravvisse per ulteriori tre mesi eundicigiorni.

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Altra tipica caratteristica della popolazione dalmata eral’attitudine ai traffici ed al commercio, e l’alacre operositàsempremanifestatadaiDalmati cheoperavanonel territorioveneziano, rispettosi delle istituzioni della RepubblicaSerenissima, consentì alla comunità dalmata cittadina diottenererapidamentedalConsigliodelDieci,dopoappenatremesi dalla richiesta, l’autorizzazione a fondare una propria“Scuola”.

Questastoricaistituzione,intitolataaiSS.GiorgioeTrifone,haancora lapropriasedenelSestierediCastello,e lamagnificachiesa che la ospita fu decorata nel cinquecento da novesplendidi“teleri”diVittoreCarpaccio.

Fu rispettata anche da Napoleone che, quandoprepotentementeintimòalleScuoleVenezianedichiudere,lapreservò e le consentì ancora di operare (unica rimasta incittà) e non fu nemmeno depredata dalle sue soldataglie,comeaccaddeinveceallealtre.

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LaScuolaDalmatadeiSS.GiorgioeTrifone,sortanel1451,èune delle solo cinque Scuole veneziane oggi sopravvissute,delleduecentodieciScuolecensitedaMarinSanudonel1501.

Le altre sono la ScuolaGrandedi San Teodoro, che risale al1258,quelladiSanGiovanniEvangelistadel1261,laScuoladiSanRoccodel1478,equelladeiCarminidel1594.

La Scuola Dalmata opera ininterrottamente da oltre mezzomillennio, e in questi 566 anni di vita prosegue a riunire idalmati(uominiedonne)elorodiscendenti,abitantiinCittàenelVeneto,al finedisvolgereoperediassistenza,diaiutoedi solidarietà per i Confratelli e per i diversi bisognosi dellacomunitàveneziana.

Gonfalone della Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone

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BenemerenzeequalitàdeiDalmati

In rapporto all’esiguità della popolazione ed alle ben scarserisorsedelsuolo,sipuòsostenerechepocheregionieuropeehanno avuto un così grande peso specifico nel campo dellacultura, della letteratura, dell’arte, della scultura edell’architettura quanto la Dalmazia, e ciò non solo in sensoricettivo,maanchecreativo.

Se si esaminano le numerose personalità dalmate chepassarono alla Storia, abbiamo alcuni imperatori romani delIIIo secolo (Claudio, Aureliano e Probo, ma il più noto edimportantefuDiocleziano:244-313d.C.)edinsignipersonaggidella religione: tra essi ben tre papi (Caio,Giovanni IV e unPietro), oltre ad alcuni Santi: S. Marino (fondatore dellarepubblicadelTitano), S.GiovannidiTraùe ilpiù recente,S.LeopoldoMandichdiCastelnuovodiCattaro(1866-1942).

Ma, tra tutti, spicca particolarmente la grande figura di SanGirolamo(347-422d.C.)PadreeDottoredellaChiesa,scrittoreinfaticabile,grandeeruditoeottimotraduttore,cuisidevelaVulgata,traduzioneinlatinodellaBibbia.

Tra gli artisti, che si formarono ed operarono in parte nellapenisola italiana e in parte nella natia Dalmazia, ricordiamoche nel XVo secolo (periodo di massimo splendore dell’arteveneto-dalmata) si annoverano Giorgio Orsini o da Sebenico(detto Giorgio il Dalmata, architetto e scultore), GiorgioSchiavone (Allievo di Squarcione, pittore famoso), Giovanni ilDalmata, di Traù, Andrea Alessi di Durazzo e NiccolòFiorentino, ma soprattutto Luciano e Francesco Laurana daZara.

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Tra i numerosi scienziati e matematici, si menzionanoMarcantonio de Dominis e Marino Ghetaldi (nel ‘500), e ilfamoso astronomo e matematico Ruggiero Boscovich (nel‘700),fondatoretral’altrodell’OsservatoriodiBreraaMilano.

Molteplici i letterati, tra i quali dobbiamo ricordare la figurainsignediNiccolòTommaseo,linguistaottocentesco,scrittoree patriota, nato a Sebenico e morto a Firenze, famosoestensore - tra l’altro - del Grande Dizionario della LinguaItaliana.EancoraGiovanniLuciodiTraù (1604-1679), storicodellaDalmazia.

Negliultimiduecentoannisiannoverano,traipiùfamosi,PierAlessandro Paravia (1797-1857) e Ildebrando Tacconi (1888-1973), il filosofo Giorgio Politeo (1827-1913), i giornalistiArturoColautti(1851-1914),eicontemporaneiNinoNutrizio,EnzoBettizaeDarioFertilio.

Altre grandi personalità recenti sono stati gli stilisti di famainternazionale Ottavio Missoni e la sorella di Nino Nutrizio,MariaCarmenNutrizio (piùnota comeMilaSchön); gli attoriAlida Valli (di Pola) e Gabriel Garko; l’ammiraglio AgostinoStraulino, grande velista ed atleta olimpico; gli industrialiDrioli,LuxardoeBracco.

E infine - tra imilitari - si ricordano le tredicimedaglied’OroottenutedaeroidellaGrandeGuerra,tracuispiccanoNazarioSauro(diPola),lospalatinoFrancescoRismondo;oltrealleseimedaglie d’oro e sei d’argento ottenute da militari dalmatinella Seconda Guerra Mondiale, e la più recente medagliad’Oro conferitaallamemoriadel Col.CC.AntonioVarisco,diZara,uccisodaiterroristidelleBrigateRosse.

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A questi nomi si aggiungono svariate decine di politici dioriginedalmata,operantineiparlamentienelleistituzioninelRegnod’Italiaprima,enellaRepubblicaItalianapoi.

Con le molte altre centinaia di personalità originarie dellaRegione dalmata, che assieme ai pochi sopra citati,parteciparono ad una élite internazionale della cultura, dellascienzaedell’arte,nonsipuònonrinnovarelostuporeperlaquantitàdiintellettiedipersonalitàillustrichehannotrovatole proprie radici in quella lunga striscia di terra, sterile esassosa,checosteggiailversanteorientaledelMarAdriatico,ma che hanno saputo approfittare sia della libertà concessa,come anche degli stimoli che la Repubblica di Veneziapromosse ed incoraggiò per quasimezzomillennio in quellaregione.

A questi grandi risultati giovò naturalmente anche l’indoledegli abitanti, unmiscuglio di ceppi, di idiomi e di etnie cheplasmarononeltempoilcaratteredalmata.

Un carattere insieme aspro e forte, ma anche ironico edallegro, che questa popolazione, sparsa su un territorio cosìlungo, ma anche così poco profondo verso l’interno dellaregioneBalcanica(circoscrittoanordest,lungotuttoilconfinedella regione, dalla presenza delle Alpi Dinariche) riuscì amantenereomogeneoecoesoper lunghisecoli,grazieancheadaltrecaratteristichecomuni.

Tra queste qualità si possono elencare: una naturale ecomprensibilepropensioneversoilmareericonosciutaperiziaper l’attivitàmarinara, oltre al commercio e alle artimilitari.Esperienza e professionalità che erano congiunte allostruggenteamoreperlapropriaterraeall’appassionatadifesadelproprioterritorio.Inoltre,universaleeral’adozionediuna

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parlata che comprendeva sia un dialetto comune dalmato-veneto,cheun’abitualeconoscenzadellevarie lingueparlatematerne, slave e italiane, spesso imbastardite anche conelementi greci, tedeschi ed ungheresi. Questo soprattuttoduranteicontatticonilRegnodiUngheria,einseguitoanchegrazie alla presenza dell’impero austro-ungarico, chemantenneperòsempre-comelinguafrancadellamarineria-laparlataediterminiveneti.

E ancora: era gente caratterizzata da una fiera e solidaappartenenzaallareligionecristianocattolica,comeanchedauna decisa avversione verso le minacciose confinantipopolazioni turche (eterna sfida, anche allora), purammettendo nelle loro comunità anche minoranze cheprofessavanol’islamismoolareligioneortodossa.

Pronta comunque a proteggere la fede propria e quella deipropriavi,ancheacostodidoverladifenderecon learmi: lalunghissimaguerracontroilTurco,intervallatadarariperiodidipace,lostaadimostrare.

Un popolo - quello dalmata - orgogliosa della propriaautonomia ma fedele ai giuramenti ed alla parola data, esempre rispettosa dell’Autorità, soprattutto se da lui stessoriconosciutaestimata.

Quando descrivo il carattere dei dalmati, naturalmenteintendo riferirmi alla popolazione costiera della Dalmazia,terra nella quale anch’io sono nato, ma non va dimenticatocheiltemperamentodegliIstrianiedeiFiumanièabbastanzaanalogo, e presenta quindi facilmente simili caratteristiche elamedesimanatura.

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Nascitadeinazionalismi:quelloslavo

Queste comuni caratteristiche, ed il rapporto di pacificaconvivenzacheregnòpersecolitralediverseetnie,andaronoprogressivamente deteriorandosi a seguito della caduta diVenezia, vincolo e legame principale tra quelle genti, masoprattutto a causa di una costante volontà politica austro-ungarica di inserire e fomentare opposti nazionalismi, cheintrodussero elementi di profonda divisione tra le classisociali.

Le considerazioni riportate qui di seguito e i fatti citati, sidevonoadunostudiosodelfenomeno:MarcoVigna,riportatenel“MonitoreNapoletano”.

Èpocodiffusalacognizionedicomel’imperoAustro-Ungaricoabbia direttamente attentato all’identità nazionale italiana,proponendosi obiettivi di snazionalizzazione e di vera epropria sostituzione etnica. Fu l’imperatore FrancescoGiuseppeadeciderediprocedereallalorode-italianizzazione,tramite la sistematica “germanizzazione e slavizzazione” diquesteterre.

La suadecisione in tale senso fu formalizzata inunConsigliodellaCoronadi fine1866, ilcuiverbaleriporta:«SuaMaestàha espresso il preciso ordine che si agisca in modo decisocontro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti inalcune regioni della Corona e, occupando opportunamente ipostidegliimpiegatipubblici,giudiziari,deimaestricomepurecon l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, inDalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e laslavizzazionedidettiterritoriasecondadellecircostanze,conenergiaesenzariguardoalcuno».

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Il resoconto di questo Consiglio mostra l'ostilità antitalianadell'imperatore e la natura delle sue direttive politiche aquesto riguardo. Francesco Giuseppe, infatti, aderìpienamente all'idea della generale infedeltà dell'elementoitalianoeitalofonoversoladinastiaasburgica.

Questadecisioneperònonsegnavauna fratturaradicaleconlapoliticaaustriacaprecedente,perché il citatoverbaledavacorpo a progetti coltivati in precedenza anche da altreeminentipersonalitàdell’impero.Ades.,giàilfeldmarescialloRadetzky aveva progettato una pulizia etnica in Dalmazia,affermando:“BisognaslavizzarelaDalmaziapertoglierlaallapericolosa signoria intellettuale di Venezia alla quale lepopolazioniitalianesirivolgonoconeccessivaammirazione”.

La comunità italiana, talvolta per tramite del comune diTrieste o dell’episcopato, criticò sovente le scelte delleautoritàstatali,contestandoanchelapoliticareligiosa(conlanominadivescovislaviperTriesteel’aumentod’ecclesiasticisloveni e croati, spesso sostenitori dei rispettivi movimentinazionali)el’attivitàdellapolizia(accusatad’arbitriascapitodegliitaliani).

Si ebbero anche accuse di germanizzazione o slavizzazionedeinomigeograficiedeicognomi,conpubblicheprotesteedenunceperiscritto.

Il contrasto politico fra l’autonomismo degli italiani e ilcentralismo asburgico, dov’era preponderante la classedirigenteaustriaca,sicollegòallarivalitànazionalefraitalianida una parte, austriaci e slavi del sud dall’altra. Uno dei piùgrandistorici italiani (ErnestoSestan),haevidenziato l’azionedi difesa condotta dagli italiani di tale regione sia contro la

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germanizzazioneprovenientedall’apparatostatale,siacontrolaslavizzazioneoperatadainazionalistislaviecroati.

Germanizzazione e slavizzazione erano alleate fra loro, inparte perché Vienna riteneva più fedeli sloveni e croati, inparte perché il senso nazionale di costoro trovava spessoforma nel cosiddetto austro-slavismo, una ideologia politicache si prefiggeva il raggiungimento delle finalitànazionalistichedegli slavi del sudall’internodella compaginestataleasburgicaeconl’appoggiodell’impero.

Anche se coinvolse pesantemente sia il Trentino che laVenezia Giulia, la snazionalizzazione degli italiani ordinatadall’imperatore raggiunse comunque il massimo della suapressione inDalmazia. Lo strumentoprincipaleper slavizzarelaregionefulacancellazionesistematicadellaculturaitaliananellescuole.

Come fu osservato: «Da questi presupposti ideologici, chenegavano una realtà di fatto esistente, quella delle cittàdalmatebilinguiemultietniche[…]ilpassaggioadunapoliticadisnazionalizzazioneeassimilazioneneiconfrontideidalmatiitalianieitalofilifurapido.Laquestionescolasticadivennebenpresto centrale, con l’abolizione dell’italiano come linguad’istruzione nelle scuole dalmate ed il rifiuto delle autoritàprovinciali e comunali nazionaliste di finanziare con soldipubblicilescuoleinlinguaitalianachesopravvivevano.»

Dal 1866 non solo nessuna scuola italiana fu aperta dalleautorità,mafinironoconl’esserechiusequasituttequellecheesistevano,questo inunaregione incui inpraticadasemprela cultura scritta e dotta era stata principalmente odesclusivamenteinlingualatinaprima,italianapoi.

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Sugli ottantaquattro comuni in cui era ripartita all’epoca laDalmazia, rimasero scuole primarie in lingua italiana in unosolo, quello di Zara (un solo comune su ottantaquattro,nonostante gli italiani fossero presenti ovunque), mentrescomparvero intuttiglialtri:si finìcosìcon l’averesolenovescuoleelementariinlinguaitalianasu459complessive.

Rimaserocomescuolesuperioriinlinguaitalianasoltantodueistituti - oltretutto bilingui - e solo perché legati al mondomarinaresco, in cui l’impiego dell’italiano costituiva unatradizione fortissima ed esisteva una terminologia specifica,assenteinlinguacroata:eranolescuolenautichediRagusaeCattaro.

Naturalmentenonesistevauniversità in lingua italiana,né inDalmazianéintuttoilrestodell’impero.

La questione scolastica, per quanto importantissima, non ful’unicaatravagliarelacomunitàitalianadalmata.

Un’altra forma di slavizzazione della regione fu la“croatizzazione completa dell’amministrazione statale”, chefaceva del croato la lingua ufficiale e quindi espelleval’italiano, nonostante tentativi da parte dei rappresentantipolitici italiani d’ottenere una forma di bilinguismo, chepoteva essere concesso soltanto a facoltà dei singolifunzionari,cheperòeranoquasitutticroati.

Lo stesso personale politico era stato progressivamentecroatizzato, con la sostituzione continua delle vecchieamministrazioniitalianeconaltrecroate.

Nel 1861, tutti gli ottantaquattro comuni esistenti nellaregioneamministrativadellaDalmaziaavevanosindaciitaliani.

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Nell’anno 1900 ne era rimasto uno solo: Zara, chesignificativamente fu anche l’unico a conservare scuoleprimarieitaliane,chiuseinveceintuttiglialtricomuni.

AllostessomodolaDietaprovinciale,cheerasemprestataamaggioranza italiana, divenne a maggioranza croata. Lesconfitte elettorali degli italiani furono dovute in misuradeterminante a pesanti brogli elettorali, compiuti con laconnivenza delle autorità governative, dove ebbero il lororuolo anche forme di corruzione ed estese violenze edintimidazioni.

Il potere centrale viennese era, infatti, in grado dicondizionare in maniera decisiva le elezioni di Dalmazia edavevasceltod’appoggiareinazionalisticroatielaloropoliticaitalofoba.

Questo accadde aggredendo anche le tradizionali eantichissimepeculiaritàgiuridichedellaDalmazia, lecuicittà,latine sin dal IIo - Io secolo a.C., avevano mantenuto sino alsecolo XIXo alcune norme e leggi risalenti all’AltoMedioevo,che ne riconoscevano determinate forme d’autonomia edautogoverno.

Tali prerogative, rispettate anchenel corsodella lunghissimadominazione veneziana, furono invece cancellate in pocotemposottol’imperoasburgico.

Soltanto in questomodo fu possibile - nel giro di pochissimianni - portare la Dalmazia (regione nella quale gli italianiavevanodasempreavutoilruolodiclassedirigente,socialeepolitica, grazie a un’indiscussa superiorità culturale edeconomica)adunpredominiodeicroati, cheseneservironoperslavizzareaforzal’interaarea.

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Anchelaslavizzazionedellatoponomasticaedellaonomasticain Dalmazia fu parte integrante del tentativo d’assimilareinteramente il gruppo etnico italiano. La toponomasticadalmata era abitualmente italiana sulla costa e sulle isole,slavaall'interno,tuttavia,essendosemprestataquellaitalianala lingua di cultura, tradizionalmente anche i nomi croatieranotrascrittiinformaitaliana.

Bisogna ricordare inoltre che l’intero territorio dalmata haavutounplurisecolare insediamento latino,benprimachevigiungesseroesi infiltrassero lentamentegruppid’invasoriodimmigrati slavi. Fin dal IIo secolo a.C. queste aree eranointeramente latinizzate, mentre invece le prime presenzeslave in Dalmazia risalgono all’ VIIo secolo d.C., e rimangonopiuttostodebolisinoalsecoloXIVo.

La toponomastica latina eraquindi originaria e di gran lungaanterioreaquellaslava.Lasnazionalizzazione,incorsodopoil1866, condusse a una cancellazione di nomi italiani oppureall’imposizione di un bilinguismo, anche laddove ci si erasempreservitidellaformaitaliana.

Si giunse al punto di emettere un decreto, nel 1912, chedichiarava abrogati per sempre i nomi italiani di trentanovelocalità,interamentecroatizzate.

Lo stravolgimentodella toponomastica riguardava gli atti delcatasto e le stesse carte geografiche, con una slavizzazionepervasiva.Alcontemposiprocedevaaunatrasformazione informaslavapersinodeicognomi.

Scriveva lo storico Attilio Tamaro, “Cooperavano a questosistemadi snaturamentodei lineamenti storici edetnicidellaRegioneGiuliaedellaDalmaziaancheipreti”.

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Ivescovidelleprovinceeranotuttislavi,perespressavolontàdi Vienna. Come tali, per mezzo dei seminari vescovili,aumentaronocongrande intensità laproduzionedisacerdotislavie,approfittandodelloscarsonumerodipretiitalianichele province potevano dare, empirono con quelli tutte leparrocchie,ancheleitaliane.

InAustriaerano iparrociatenere i registridellostatocivile.Gli slavi, noncuranti delle proteste degli abitanti e forti dellaprotezionedelGoverno,slavizzarono icognominei libridellenascite,inquellimatrimonialieinquellidellemorti.

Ilfineeradiotteneredeidatistatistici,deidocumentiufficialiche, per una dimostrazione necessaria alla politica delGoverno, sembrassero comprovare o la non esistenza o lagradualeestinzionedell'italianità.

Un’altra forma ancora di slavizzazione riguardò la chiesacattolicastessa,conlaliturgia,itestisacri,ilclero.

Il legame fra trono ed altare era stretto nell’impero, speciedopo il concordato del 1855 che concedeva all’imperatorenotevole ingerenza negli affari ecclesiali, e gli ecclesiastici sipotevanoconsiderareinunacertamisurafunzionariimperiali.

Inoltre,icroatiebbero-pertuttoilsecoloXIXo-comecapidelproprio movimento nazionalista proprio preti e vescovi.L’aspetto più visibile e più sentito da larga parte dellapopolazione italiana di tale operazione di slavizzazione ful’introduzione forzata d’un rito in lingua slava, il cosiddettoglagolitico.

Si trattava di una forma di liturgia sorta in era moderna inambito cattolico, ma per imitazione della liturgia ortodossa,

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tacitamentetolleratodalleautoritàecclesiastichedellaChiesa,marimastolimitatoapiccolezone.

NelsecoloXIXoessoeracomunquepraticamentescomparso,quantomenonelleterredipopolamentoitalianodellaVeneziaGiuliaedellaDalmazia.

La Curia pontificia, e per essa i papi Leone XIII e Pio X,richiamarono i sostenitori del glagolitico ai principi del ritolatino, diffidandoli dalla reintroduzione della liturgiapaleoslavaladdovenonfossemaistatapraticata.

Nonostante l’opposizione delle popolazioni italiane dellaDalmazia e la diffidenza dell’autorità pontifica stessa, laliturgiaromanainlinguaslava(anzichélatina)finìconl’essereintrodottasottolapressionedelcleronazionalistacroato.

La diffusione della liturgia in lingua slava, che s’accompagnòanche a prediche, canti, ecc. in croato, fu un modo con cuiquesti nazionalisti tentarono di slavizzare a forza lepopolazioniitaliane.

Ilcultoglagoliticononsolofureintrodotto,mavenneimpostoancheinlocalitàchenonl’avevanomaiconosciutoedincuigliabitantieranoinstragrandemaggioranzaitaliani.

Ilmalcontentofunaturalmentemoltofortefralepopolazioni,che sovente preferirono abbandonare le funzioni religiose inritoglagolitico.

L’isola di Neresine fu teatro di ripetuti tentativi dislavizzazione nel culto religioso, in contrasto all’ortodossiacattolica, alle consuetudini ivi vigenti e all’esplicita volontàdegliabitanti.

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Un frate croato pretese di celebrare la messa in glagoliticonella parrocchia di Neresine, nel settembre 1895,determinando l’abbandonodellacerimoniadapartedi tutti ipresenti e l’inizio di un vero tumulto. Lo stesso sacerdotereclamava d’impartire il battesimo in croato, in modo daslavizzare i nomi, rifiutandosidi farlo in latinoanchequalorafossedirettamenterichiestodalpadredelbambino.

Ancora: il padre guardiano del convento francescano diNeresine pretese d’imporre il croato alla cerimonia disepoltura di due coniugi, provocando da parte dei parenti edeglialtrifedelil’abbandonovolontariodelrito.

Unaltroepisodiofraitanti-dell’aprile1906-quandounfratecroato pretese di celebrare in rito glagolitico nella chiesa diSanFrancescodiCherso,isolaprettamenteitalianadistoriaecultura. I fedeli,dinanziaquestacelebrazione,chesembravaloro comeun abuso nazionalistico, abbandonarono inmassal’edificioreligioso,lasciandodasoloilfratecroato.

Dopoquesteedaltrevicendesimili,gliabitantidiNeresineedi altre località minacciate di slavizzazione forzata (Ossero,Cherso,Lussinpiccolo)s’appellarono inutilmentealvescovodiVeglia.Vistal’inanitàdeilorotentativipressoilpresuleslavo,decisero di fare ricorso direttamente a Roma. La gravità deifatti riferiti spinse Pio X ad intervenire, che rimosse dal suoincaricoilvescovo.

AncheinseguitoilVaticanodovetteinterveniredirettamenteperdenunciareecondannaresial’abusoliturgicodelricorsoalrito glagolitico, sia l’appoggio diretto di sacerdoti slavi alnazionalismoslovenoecroato.

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Comeavvenne,adesempio,nelgiugno1905,quandoilCard.Segretario di Stato, su ordine del papa Pio X, trasmise unaletteraduraepreoccupataalministrogeneraledell’ordinedeifrati minori francescani, con l’ordine preciso d’intervenire inmodo energico per porre termine al comportamento deifrancescani croati inDalmazia, cheoperavanoper introdurrelaproprialinguanazionalenellaliturgia.

La stessa chiesa cattolica non vide per nulla con favore lapretesadeinazionalisti croatidi ripristinare il ritoglagolitico,siaperragionistrettamente liturgiche,siaperchéspessotalerichiesta proveniva da panslavisti con palesi simpatie per ilcristianesimogreco-ortodosso.

In conclusione e in sintesi, il glagolitismo ricomparso dopo il1848fuquindiun’innovazioneliturgicaimpostadanazionalistislavi con cariche ecclesiastiche, che ferì profondamente isentimenti sia nazionali, sia religiosi dei cattolici italiani diDalmazia,iqualisivideroobbligatiaritiinlinguastranieraedidubbiaconformitàall’ortodossiacattolica.

Le persecuzioni rivolte agli italiani per cercare di costringerliad assimilarsi ai croati compresero anche l’esercizio dellaviolenza, che divenne praticamente endemica nei loroconfronti, con aggressioni quotidiane alle persone od alleproprietàitaliane.

Le testimonianze sulla diffusione massiccia della violenzacontrogliitalianidapartedeinazionalisticroatinellaDalmaziaasburgica sono numerose e dettagliate, descrivendo unambiente nel quale anche la polizia era connivente con leaggressioniitalofobe.

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IIpartitocroatoscusavalapersecuzionecoldirechegliitalianirifiutavano di riconoscere il carattere nazionale croato dellaDalmazia.Lafinalitàeraquelladispegnereognivitapoliticaeculturale autonoma ed obbligare gli italiani dalmati acroatizzarsi.

L’impatto di questa serie combinata di misure contro gliitaliani fu devastante, determinando una rapidissimadiminuzionedelgruppoetnicoitalianodiDalmazia.

Scrive uno storico, il professor Luciano Monzali: ”Nei primistudi statistici austriaci non ufficiali compiuti negli anniSessantaeSettanta,ilnumerodeidalmatiitalianivariavafrai40.000 e i 50.000; nel censimento ufficiale del 1880, il loronumero scendeva a 27.305, per poi calare drasticamente neidecenni successivi; 16.000nel 1890, 15.279nel 1900, 18.028nel1910(suunapopolazionedalmatacomplessivadi593.784personenel1900,di645.646nel1910)”.

Dati parziali riferiti a singole località esemplificanoegregiamente l’andamento demografico complessivo sopraenunciatoeiltracollodellapopolazioneitaliana.

Esempio:ilcasodiLissa.Questapiccolaisola,latinizzatagiàinepoca romana, rimase per lunghi secoli popolata quasiesclusivamente da dalmati autoctoni, quindi da unapopolazioneneolatina,primad’entrareafarpartedeiterritoridiVenezia,cuiappartennepermoltisecoliininterrottamente.

Sinoal1797eaCampoformio,gliabitantidiLissaparlavano,praticamente tutti, il cosiddetto “veneto da mar". Uncensimentotenutosinell’epocanapoleonicacalcolava-anchese in maniera approssimativa - gli italiani quali l’80% dellapopolazionediLissa.

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Rispettoa tale cifra, il primocensimentoasburgicoaccurato,quellodel1880,vedevagiàunnettodeclinodell’etniaitaliana,che però rimaneva nettamente maggioritaria: essa eravalutataal64%del totale.Madoposolovent’annigli italianidiLissaapparivanoquasiscomparsi.

Secondoilcensimentoasburgicodell’anno1900gliabitantidiLissaeranoperil97%slavi,esoloperil2,4%italiani.

Il censimento asburgico dell’anno 1910 confermò che ilgruppoetnicoitalianoeraridottoallumicinonell’isola,poichécontavasoloun2,5%degliabitanti.

Riassumendo: gli italiani di Lissa erano passati dall’80% circaall’inizio del XIX secolo al 64% del 1880, infine al 2,4% del1900. Spicca particolarmente la differenza fra le dimensionidelgruppoetnicoitalianonel1880,con3.292unità(il64%)equellodisolivent’annidoporidottoadappena199 persone(il2,4%),conuncalodel94%.

StimeanaloghedelladiminuzionedelgruppoetnicoitalianosipossonorintracciareinmoltealtrelocalitàdellaDalmazia:dal1880 al 1900, sempre sulla basedei censimenti asburgici, gliitalianicalarononell’isolad’Arbeda567a223,aCittavecchiadiLesinada2.163a169,aComisadal1197a37,aSanPietrodella Brazza da 421 a 43, in una città di medie dimensionicome Spalato da 5.280 a 1.046, a Traù da 1960 a 170,ecc.Nellostessoperiodo idocumentiamministrativiasburgicisegnalano la totale scomparsa degli italiani in una serie dilocalità:Bua,Isto,Meleda,Sestrugno,ecc.

Per farlabreve, ilnumerodeidalmati italianiavevasubito inpochianniuntracollo,siaintermininumericiassoluti,sianelrapportopercentualeconlapopolazionecomplessiva,comesi

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può affermare sulla base delle stesse fonti statistichedell’imperoasburgico.

L’esitodiquestocostanteprocessodi snazionalizzazionepuòessere così riassunto: nel 1845 una stima delle autoritàcalcolava gli italiani essere il 19,7% della popolazione dellaDalmazia; il censimento asburgico registrava nel 1865 untotale di 55.020 italiani, pari al 12,5% degli abitanti; ilcensimento del 1910 ne contava ormai solo 18.028, pari al2,7%deidalmati.

Dal 1845 al 1910 gli italiani diDalmazia eranoquindi passatidal 19,7% al 2,7% della popolazione. In rapporto allapopolazionedalmatatotale, lapercentualed’Italianidel1910era all’incirca 1/7 di quella del 1845. La diminuzione delgruppo etnico italiano in confronto a quello dell’insiemecomplessivodegli abitanti diDalmazia era stata quindi di seisettimi.

Sipuòquindiparlareesplicitamente,perilperiodo1866-1914di una “snazionalizzazione” subita dagli italiani di Dalmaziasottol’azionecongiuntadellostatoimperialeedeinazionalisticroatilocali.

Iltestosoprariportatoraccontaesemplarmentecomeilclimaditolleranzaereciprocorispetto,cheinprecedenzavigevatrale differenti comunità ed etnie coesistenti sotto il saggioGoverno veneziano4, fosse stato progressivamente eliminato

4Venezia fu il più longevo stato d’Europa. Le sue istituzioni, da PaoluccioAnafesto, primo Doge, a Ludovico Manin, l’ultimo, rappresentano unauniformità impressionante, ben 1100 anni di ininterrotto governo e dilibertà, garantiti da una classe patrizia di commercianti, lavoratori enavigatori, che aveva una flessibilità istituzionale, negoziata alla pari conchiunquevolesseaggregarsi.

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conl’inoculazionedelvirusdelnazionalismoslavodapartedelGovernodiVienna.

Tale politica di divisione diede vita, naturalmente, ad unanalogo fenomeno di nascita e difesa del nazionalismoitaliano. Quel territorio che prima era stato consideratouniformemente “veneto”, divenne poi un terreno di aspracontrapposizione tra genti che si sentirono gradualmentediverseeinqualchemodoostilitraloro.

Ecosìilfenomenodellanascitadiunesasperatonazionalismoslavo generò, a sua volta, nelle stesse popolazioni slaveulteriori divisioni, che portarono coll’andar del tempo aisanguinosiconflitti recenti (allamortedeldittatoreTito,conla dissoluzione della Jugoslavia e con la fine del regimecomunista) tra Sloveni eCroati, traCroati, Serbi eBosniaci etraquestielealtrepopolazionislavedelKossovo.

L’ex-Jugoslavia, infatti, era una nazione fittizia, creata dopol'occupazione tedesca durante e dopo la fine della II GuerraMondiale, costituita da sei repubbliche e due provincieautonome: Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia,Montenegro, Slovenia, più le province serbe del Kosovo edellaVoivodina.

Lepopolazionidiquestistatieranomoltodiversefraloroperideologia, religione,culturae livelloeconomico,eperquestonacquerospessoscontrietensioni,chevennerobrutalmenterepressidall’accentratoreregimecomunistadiTito.

Soprattutto la Croazia e la Slovenia, economicamente piùavanzate, chiedevano a gran voce l'indipendenza dal restodelleconfederate.

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DopolamortediTitonel1980,iniziòunperiododifficileperlaJugoslavia: l’indebitamento pubblico delle singolerepubbliche, unitamente all’inefficienza dei vari dirigenti,portòprestoaduna farraginosa situazioneeconomica, in cuiriemersero gli antichi nazionalismi, specialmente deglialbanesidelKosovo,dasempreacerriminemicideiserbi.

Benprestolerepubblichejugoslaveapprovarono,ognunaperproprioconto,significativemodifichealle loroCostituzioni, inmodo da raggiungere la possibilità di avere propri partiti eprepararsi per le proprie elezioni. La Slovenia proclamòufficialmentelapropriaindipendenzail25Giugno1990.

La Croazia seguì il suo esempio poco dopo. Fu allora chel'esercito Jugoslavo, di matrice prevalentemente serba,attaccòlaSlovenia.

Per labrevitàdelconflitto (chiamatoGuerradeiDieciGiorni)non ci furonomoltissimimorti, né fra imilitari né fra i civili.Ma fu necessario un intervento pacificatore della NATO perplacare lo scontro: furono stabiliti tre mesi di fermo percercare di comporre la grave crisi e trovare uno sboccopoliticoallasituazione.

Dopononmoltotempoilgovernojugoslavo,resosicontochela federazione poteva dirsi inesorabilmente finita, accettò lasecessionedellaSlovenia.

TerminatoilconflittoinSlovenia,iniziòperòquelloinCroazia.Anchequivifuronodistruzioni,bombardamentiemorte.

Ilmondointerointervenne,laguerrafinì,edanchelaCroaziariuscìadistaccarsidallealtrerepubblicheancorafacentipartedellafederazionejugoslava.

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In Macedonia l’8 novembre 1991 un referendum stabilì lapropria sovranità e una settimana dopo fu approvata unanuovaCostituzione.

Anche in Bosnia-Erzegovina si verificarono spinte versol'indipendenza fra la popolazione, cheperòera compostadagruppiserbi,musulmaniecroati.

Fu indetto un referendum per l'indipendenza, ma lapopolazione serba, per protesta, non partecipò al voto.Nacquero gravi conflitti interni e i serbi minacciarono unbagno di sangue se imusulmani e i croati si fossero staccatidallanazione.

Nonostante le forze internazionali si adoperassero perriportarelapace,laguerrascoppiòinevitabileesanguinosa.Ireparti dell'esercito Jugoslavo, ritiratisi dalla Croazia erinominati "esercito serbo-bosniaco", riuscirono a ritagliarsiuna grossa parte di territorio serbo. Un milione di serbimusulmani e di croati furono costretti a fuggire dalle lorocase, in quella che fu definita una vera e propria "puliziaetnica".

Anche i serbi, naturalmente, pagarono le conseguenze delleloro azioni: la loro capitale Sarajevo venne assediata ebombardata. Gli sforzi internazionali per riportare la pacefallirono, mentre, nel frattempo, la guerra aveva generatocircacentomilamorti.

Il conflitto ebbe termine solo nel 1995 quando la NATOintervenneperbombardarelarepubblicaSerba,distruggendogli apparati militari più importanti e le principali vie dicomunicazione.

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DaallorainiziòunperiododitreguachesiterminòcoltrattatodiDaytondelnovembre1995.

Stipulato fra i PresidentidellaBosnia,Croazia, Serbia sancivachelaBosnia-Erzegovinafossedivisaindueentitàdistinte: laRepubblica Serba di Bosnia e la federazione croato-musulmana.

In breve tempo Croazia e Bosnia furono completamenteindipendenti, laSloveniaelaMacedoniasieranogiàstaccatedalla confederazione, mentre il Montenegro la ottenne piùtardi.

Nel1999gli albanesidelKosovo combatteronoun'altraduralotta per ottenere l'indipendenza dalla Serbia. La Serbia uscìdalconflittoumiliata,battutaeabbandonatadatutti.

Questo il risultato del sorgere e del consolidamento deinazionalismi: solo morte, distruzione ed odio, con vendetteche coveranno e si ripresenteranno verosimilmente ancoraperdecenni,dopolapresente,marancorosa,treguaarmata…

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Nascitadeinazionalismi:quelloitaliano

Questotraglislavi.EgliItalianidiDalmazia?I residenti di lingua italiana, alla fine della prima GuerraMondiale, cercarono di approfittare delle mutate situazionisocio-politiche.Infatti,dopolascomparsadell’Imperoaustro-ungarico,l’Italiacercò di occupare la Dalmazia, con un primo tentativo cheperòabortìdopolafirmadelTrattatodiRapallodel1920,cheassegnava alla Croazia quel territorio, con l’eccezione dellaprovinciadiZara,laqualediventavacosìunamodestaenclaveitaliana.

L’occupazioneslavacreòmalcontentie forti tensioni,perchécontraddiceva platealmente i precisi accordi stipulati con iGoverniAlleatiall’iniziodelleostilità.

Un Governatorato della Dalmazia fu riproposto solo daMussolini vent’anni dopo, nell'aprile del 1941 - quando ilRegno di Jugoslavia fu occupato dalle potenze dell'Asse -con la finalità di traghettare il territorio verso una pienaintegrazionenelRegnod’Italia,importandovigradualmentelalegislazionenazionale.

Il capoluogo amministrativo era Zara, e inizialmente l’AltoCommissarioCiviledellaDalmaziaerailfederalediZara.

QuasituttalapartecostieradellaDalmaziasettentrionale,contutti i principali centri urbani, fu quindi annessa al Regnod'Italiail18maggiodel1941,mentreilrestovenneannessoalneocostituito Regno di Croazia, dominato dagli ustascia diAntePavelić.

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Questiiprovvedimenti:

• ilgovernatoratoamministravatreprovince:quelladiZara(conZarae il suoentroterra ingrandito,piùSebenicoe leisoledalmatedavantiaZara);

• laprovinciadi Spalato (che comprendevaSpalatoeTraù,piùalcuneisoletracuiLissa,Curzola,Lagosta);

• la provincia di Cattaro, (che comprendeva Cattaro ePerasto, con un piccolo entroterra che seguiva grossomodoivecchilimitivenezianiedaustriaci)

Il Governatorato della Dalmazia italiana contava 380.000abitanti, ma il numero degli Italiani era valutato sui 38.000,ossiaappenail10%deltotale.

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Il primo Governatore nominato dal duce fu GiuseppeBastianini, un rilevante personaggio del Regime - fascista findella marcia su Roma - e figura molto discussa perché, separve tollerante e quasi protettivo verso gli Ebrei (e questoanche in contrasto con le autorità tedesche), si dimostròinveceduroedinflessibileconglislavi.

Infatti, diede subito il via a una massiccia e violentaitalianizzazione delle provincie annesse: vennero inviati adamministrarleisegretaripoliticidelfascio,deldopolavoro,deiconsorzi agrari e medici, maestri, impiegati comunali elevatrici,subitoodiatidacoloroaiqualitolserogliimpieghi.

L'italiano venne imposto come lingua obbligatoria per ifunzionari e gli insegnanti, anche se il serbo-croato futollerato, ma solamente per le comunicazioni all'internodell'amministrazionecivile.

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Molte insegne scritte in croato furono sostituiteda scritte initaliano, furono proibiti vessilli croati, giornali e manifesti,salvoquelli -generalmentebilingui -pubblicatidalleautoritàciviliemilitariitaliane.Scioltelesocietàculturaliesportive,fuimposto il saluto romano e furono ripristinati i cognomiitaliani.

Siprocedetteall'italianizzazionedeinomigeografici,delleviee delle piazze, mentre uno speciale ufficio per le terreadriatiche offriva prestiti e provvidenze a quanti eranodisposti a snazionalizzarsi, e intanto acquistava terreni daredistribuireagliexcombattentiitaliani.Furonoistituiteborsedi studio per i dalmati che volessero continuare gli studi inItalia.5

Allafinedi lugliodel1941furonoistituiti i tribunalispecialiemilitari(TribunaleStraordinariodellaDalmazia)checolpironola resistenzacroatacon leprimequarantacinquesentenzedimorte, immediatamente eseguite. Nel giugno 1942 diedeordinedicreareilcampodiconcentramentodiMelada,incuifurono internatimigliaiadi civili rastrellati nell'entroterranelcorso delle operazioni antipartigiane e in cui persero la vitacircamilleprigionieri,300deiqualifucilaticomeostaggi.

5 Queste cieche e forsennate iniziative storicamente si sono sempredimostrateinutiliespessocontroproducenti.Sottol’imperoaustro-ungaricosi era proceduto a germanizzare o a slavizzare cognomi italiani o latini,sotto il fascismo fu invece tentata l’operazione opposta. Vediamo ancoroggi come l’imposizione forzata di denominazioni e di cognomi di diversaorigine storica continua a fomentare contrasti e polemiche: si pensi alledenominazionibilingui inAltoAdige,oaquelle inslovenoinFriuli-VeneziaGiulia, per giungere alle grottesche e patetiche apposizioni di cartellistradaliindialettolombardooveneto!

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Già dalla fine del 1941, nella Dalmazia italiana e croata siinnescò però una spaventosa e crudele guerra civile, cheraggiunseillivellodiverestragidopol'estate1942.

Contro le atrocità commesse dal regime ustascia entro ilterritorio del neo-costituto Stato Indipendente di Croazia6,tantocontroiserbiegliebreichecontroicroatioppositori(opresunti tali, comunisti, liberal-democratici, ecc.), sisollevaronosialaresistenzapartigianaplurietnicaecomunistaguidatadaTito,siavariefazioninazionalisticheemonarchicheserbe(icetnici)7.

6Il regime ustascia di Ante Pavelic, diede immediatamente inizio ad unamostruosacrociata,voltaaltotalesterminiodeiserbiortodossi,degliebrei,degli zingari, dei musulmani, degli oppositori politici e supposti tali.Parteciparono fattivamente ai massacri centinaia di preti e frati, inparticolare i monaci francescani. Secondo la politica ustascia, i serbidovevano essere tutti convertiti al cattolicesimo. Il Ministro Mile Budakaffermò a proposito dei serbi: "Un terzo lo convertiremo, un terzo louccideremo,unterzoverràrimandatoinSerbia". "LabasedelmovimentoUstasciaèlareligione.Perleminoranzecomeiserbi,gliebreieglizingariabbiamotremilionidipallottole.LanuovaCroaziaarriveràentrodiecianniadesserecattolicaal100%".7 Protetti dal regime fascista e dallo Stato Pontificio, Pavelic e i suoiUstasciaavevanoattesoinItaliailmomentobuonoperimporsi.Ilcampodiconcentramentodi Jasenovac, ilpiùgrandecostruitoneiBalcani,edificatonell'agosto del 1941, occupava 210 km2, dove continuarono a seminaremorteeterroresinoall'Apriledel1945.Morivanopiùdiuncentinaiodipersonealgiornoacausadellafame,deglistentiedellemalattie.Glialtrifinivanosgozzati,impiccati,affogati,bruciativivi, decapitati, infilzati, asfissiati, fatti letteralmenteapezzi (AntePavelicteneva sulla scrivania un canestro contenente gli occhi cavati alle vittimeancorainvita),oppureuccisiconunaspecialemazzadilegno,amartellatesullatesta.

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A loro volta i Titini e i cetnici perpetrarono crimini contro lapopolazione civile croata che appoggiava i fascisti croati diAntePavelic.Numerosifuronoicriminidiguerracommessidatuttelepartiincausa,daitedeschiaipartigianicomunisti.8

A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regnod'Italia,oveleautoritàitalianetolleravano,senonaddiritturadavano rifugio a serbi ed ebrei, cominciarono a crescere letensioni anche tra il regime croato ustascia e le forzed'occupazione italiane. Venne perciò a formarsi, dal 1942,un'innaturale alleanza tattica tra le forze italiane e diversi

Moltevittimedegliustasciaa Jasenovac furonouccisineimodipiùbrutali(19.432bambinidi cui11.888 serbi, 5.469 rom,1.911ebrei e164dialtreetnie)dietàinferioreaiquattordicianni,neonaticompresi.Complessivamente le stime delle vittime variano da 600.000 a 1.000.000(AndrjiaArtukovic,Ministrodegli InternidelloStatoCroatoIndipendenteecapo di tutti i campi di sterminio, affermò al suo processo che nel solocampo di Jasenovac i trucidati furono settecentomila). Questo numero vainseritonelcontestopiùgeneraledegli spaventosimassacriavvenutinelloStatoIndipendentediCroaziafrail1941eil1945:acausadelnazionalismonazifascista, della pulizia etnica e razziale, dell'antisemitismo,dell'anticomunismoedelfanatismocattolico,quasi1.500.000civili,tracui74.762bambini,vennerobrutalmentetrucidati.

8 A capo del campo di Jasenovac vi fu per un certo periodo il fratefrancescano Miroslav Filipovic-Maistorovic, detto "Frà Satana" (al suoprocesso si vantò di aver ucciso oltre quarantamila prigionieri).Gli successero alla guida un altro religioso, Vjekoslav "Maks" Luburic eDinkoSakic.Una tra le efferatezze più note avvenuta nel campo di Jasenovac fucompiutadaPetarBrzica, uno studentedi leggeeducatodai Francescani,chenellanottedel29agosto1942ucciseperscommessa1.360prigionierisgozzandoliconlo"srbosjek",un'armaappositamentecreatadagliustasciadellaCroaziadurantelasecondaguerramondiale,perlarapidauccisionediprigionierineicampidiconcentramento.

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gruppi serbi cetnici. Gli italiani incorporarono i cetnici nellaMilizia Volontaria Anti Comunista (MVAC) per combattere laresistenzatitina,provocandofortissimetensioniconilregimeustascia.

Lo stessoMussolini propose nell'estate 1942 di annettere alRegno d'Italia, ponendola sotto la responsabilità militareitaliana, la zona costiera della Croazia, che si trovavacompresa tra il "Governatorato di Dalmazia" e la zona dellaCroaziasottolaresponsabilitàmilitaretedesca.

Questo, allo scopo di allontanare gli Ustascia dalle areeitalianeecalmareanche i ferociscontriemassacri tracroati,serbi e mussulmani, fin da allora presenti tra quellepopolazioni.

La creazione del Governatorato della Dalmazia pose ampiefasce di territorio sotto la diretta giurisdizione italiana e ciòpermiselasalvezzadinumerosiebrei,chefuronoreclusiocheriuscironoarifugiarsinellazonaitaliana,potendocosìsfuggirealle persecuzioni tedesche e croate. Una parte di costoro fuinternata nel Campo di concentramento di Arbe perproteggerli dalla deportazione e damorte certa: circa 4.000furonoquestiinternati.

Caduto Mussolini, il governo Badoglio sciolse quasiimmediatamente il Governatorato della Dalmazia, con undecreto dell’agosto 1943 che statuiva che i relativi poterifossero assunti, per le rispettive aree di competenza, dai treprefettiprovinciali.

In realtà nello stesso giorno della pubblicazione del decretonellaG.U.,il9settembre1943,laparteitalianadellaDalmaziafuoccupatadall'esercitotedescoeannessa-con l’esclusione

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diZara-alloStatoIndipendentediCroazia.LazonadiCattaroinvece, per la sua posizione strategica, divenne ungovernatoratomilitaretedesco.

S t emma de l la Div i s ione

“Zara”

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Glieccidicontrolapopolazioneitaliana

L'8 settembre 1943 con l'armistizio tra Italia e Alleati, siverificò il collasso del Regio Esercito. Fin dal 9 settembre letruppetedescheassunseroilcontrollodiTriesteeinseguitodiPola e di Fiume, lasciando momentaneamente sguarnito ilrestodellaVeneziaGiulia.

I partigiani occuparono quindi buona parte della regione,mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Cinquegiorni dopo venne proclamata unilateralmente l'annessionedell'Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazionepopolareperl'Istria.

A fine settembre 1943 fu istituito il Comitato esecutivoprovvisoriodiliberazionedell'Istria.Improvvisatitribunali,cherispondevanoaipartigianideiComitatipopolaridiliberazione,emiserocentinaiadicondanneamorte.LevittimefuronononsolorappresentantidelregimefascistaedelloStatoitaliano,equindi oppositori politici, ma anche semplici personaggi invista della comunità italiana e potenziali nemici del futuroStatocomunistajugoslavoches'intendevacreare.

A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una listacontenente nomi sia di fascisti, che di persone estranee alpartito e che non ricoprivano cariche nello stato italiano.Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale localitàfurono condannati e giustiziati assieme ad altre persone dietniaitalianaecroata.

Lamaggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe onelleminieredibauxite,alcunimentreeranoancorainvita.

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Secondo lestimepiùattendibili, levittimediquelsolobreveperiodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia siaggirano sulle 400-600 persone. Alcune delle uccisioni sonorimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per laloro efferatezza: tra queste spiccano i nomi di NormaCossetto9,donAngeloTarticchio,letresorelleRadecchi.

Norma Cossetto, studentessa all’Università di Padova, fuproclamata - cinque anni dopo - “dottore honoris causa” diquell’Università dal suo Magnifico Rettore, il comunistaConcettoMarchesi,edharicevuto(masolamentenel2005!)il riconoscimento della medaglia d'oro al valor civile dalPresidenteCiampi,divenendocosì il simbolodellesofferenzedellapopolazionedell’Esodo.

9Dopounpaiodigiorni,essendosirifiutatadiaderirealleforzepartigianeslave, durante la notte con autocarro fu trasferita assieme ad altri nellascuoladiAntignana,trasformatainprigionedoveincominciaronolesevizieetorturesessuali;lastudentessafulegatanudaauntavoloeviolentatadamolti partigiani: secondoalcune testimonianze furono 17. L'episodio dellaviolenzacarnalefudenunciatodaunadonnaabitantedavantil'excaserma,che,attiratadagemitie lamenti,appenabuioosòavvicinarsialle impostesocchiuse vedendo Norma legata al tavolo. La ragazza fu gettata, forseancoraagonizzante,nella foibadiVillaSuranidurante lanottetra il4e5ottobre. Dopo l'occupazionetedescadell'Istria, il10dicembre1943 ivigilidelfuocodiPolaritrovaronoilcorpodiNormanellafoibaprofondam.136:era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su uncumulodialtricadaveri;avevaambedueisenipugnalati,unpezzodilegnoconficcatonellavaginaealtrepartidelcorposfregiate.EmanueleCossetto,cheidentificòlanipoteNorma,riconobbesulsuocorpovarieferited'armadataglioealtrettantoriscontròsuicadaverideglialtri.Inazisticatturaronoseideisuoicriminalitorturatorielicostrinseroapassarela notte in piedi vegliando la salma di Norma, prima di essere fucilatiall'albadelgiornosuccessivo:tredeipartigiani impazzirono. IlcadaverediNormafucompostonellapiccolacappellamortuariadelcimiterodiSantaDomenica.

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Le prime ispezioni delle foibe istriane, che furono disposteimmediatamente dopo il ripiegamento dei partigianiconseguenteallasuccessiva invasionenazista,consentironoilrinvenimentodicentinaiadicorpi.

L'armistizioinDalmazia

Il10settembre,mentreZaravenivapresidiatadaitedeschi,aSpalato ed in altri centri dalmati entravano i partigianijugoslavi. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo unabattaglia difensiva per impedire la presa della città da partedeitedeschi.

Mentresisvolgevanoquei16giornidilotta,fraSpalatoeTraùi partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti dipubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcunicivili.

LaDalmaziafuoccupatamilitarmentedaitedeschi.

La 77ª divisione fanteria italiana, di stanza a Spalato eprecedentemente impegnata per anni proprio nella lottaantipartigiana, inquel frangentedirovesciamentodel fronte,dovetteappoggiare inmassimaparte i partigiani e combattéquindi in condizioni psicologiche e materiali difficilissimecontro le truppe germaniche, nonostante l'atteggiamentocomprensibilmente aggressivo e poco collaborativo deipartigianititini.

Dopolacapitolazione,ordinatadalcomandante,moltiufficialiitaliani furonopassati per le armi adoperadi elementi delle

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truppe germaniche. Fu l’assassinio di massa, denominato“massacrodiTreglia”.10

La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia.TuttaviaZara,restò-seppurconilcontrollotedesco-sottolasovranitàdellaRSI,finoall’occupazionejugoslavadell'ottobre1944.

A seguito dell'armistizio di Cassibile i tedeschi lanciaronol'”Operazione Nubifragio” 11 , con l'obiettivo di assumere ilcontrollo della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana edell'Istria. L'offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre1943 e portò all'annientamento della resistenza opposta dainuclei partigiani, che furonodecimati, catturati, costretti allafugaodispersi.

Ipartigiani cercaronodiostacolare i tedeschi con imboscate,colpi di mano e agguati: e questi reagirono colpendo lapopolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioniindiscriminate,violenze,incendidivillaggiesaccheggi.

10Furono radunati tutti i 450 ufficiali italiani presenti in città. Tra questifiguravano anche tre generali, diversi colonnelli e tenenti colonnelli, unmaggiore,edaltriufficialisubalterni.ConilpretestodeltrasferimentoinGermania,ungruppodiunacinquantinadiufficialifuavviatosudeicamionma,dopoesserestatiportatiinunacavadighiaia,tutticostorofuronouccisiacolpidimitragliatrice.Ilmassacrofudimenticatodalleautoritàitalianee,solodopoannidiricerche,senzaalcunaiuto da parte delle autorità italiane e tra il sospetto di quelle jugoslave,sullabasedei ricordidiunvecchioabitantedellazona, furonocondottigliscavisulsito.I resti furono trasferiti all’Ossario del Lido di Venezia ed alle vittime fuconcessalamedagliad’argento(d’oroperigenerali).

11L'Operazione Nubifragio si concluse il 9 ottobre con la conquista diRovigno.

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Uno dei momenti più significativi sul territorio italiano- stavolta in Venezia Giulia - fu la battaglia di Gorizia,combattuta nel settembre 1943 tra l'esercito tedesco e laBrigataProletaria.

Eraquestounraggruppamentopartigiano fortedicirca1500uomini, costituito in massima parte da operai dei CantieriRiuniti dell'Adriatico di Monfalcone, rafforzato da unconsistentegruppodipartigianisloveni.

Itedeschicostituirononell'areaoccupatalaZonad'operazionidelLitoraleadriatico.

Questa, pur essendoufficialmenteparte della R.S.I. era peròsottoposta all'amministrazione militare tedesca, e di fattoannessaalTerzoReich.

LudwigKübler,ilcomandantemilitaredellaregione,siavvalsedella collaborazione di reparti quali la Milizia DifesaTerritoriale, lapoliziadiPubblicaSicurezza, laGuardiaCivica,duerepartidell'esercitodellaRSI(unBattaglionebersaglierieunReggimentoAlpini),laXªFlottigliaMAS,leBrigatenere,gliitaliani volontari di polizia, la polizia tedesca e vari repartisloveni,croati,serbiecosaccocaucasici.

Dal settembre 1943 all'aprile 1945 si susseguirono lerepressioni nazifasciste che portarono la provincia di Goriziaadessere laprima in Italiapernumerodimortinei campidisterminionazisti.

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IlbombardamentodiZarael’esododeisuoicittadini

NellaDalmazia italiana, terribile fu la sortediZara, ridotta inrovine dai bombardamenti aerei anglo-americani, checausarono la morte di alcune migliaia di civili (da 2.000 a4.000) e contribuirono alla fuga di quasi il 75% dei suoiabitanti.

Allafinediottobre1944anchel'esercitotedesco,assiemeallamaggior parte dell'amministrazione civile italiana, dovetteabbandonarelacittà.

IcinquantaquattrobombardamentidiZara,acausadelleforzeaereeAlleate,causaronolaquasitotaledistruzionedellacittàche, alla fine del1943 era sulla direttrice dei bombardieriAlleati, che partivano dall'Italia per colpire iBalcanielaRomania.

Generalmentequeste imponenti formazioni aereepassavanoadaltaquotaenonsemprel'allarmevenivasuonato.

Lamattinadel2novembre1943,GiornodeiMorti,decinedibombardieri sorvolarono la città; la cosa si ripeté più volte,senzacreareesageratoallarme.

Ma alle 20,07 una formazione di otto aereiBoston lanciò uncarico di 5,4 tonnellate di bombe su Zara, con obiettivo ilporto (uno specchiod'acquadi circa1300metridi lunghezzaper 200 di larghezza), mancandolo per qualche decina dimetri: lebombecolpirono invece ilrionediCerariae lacittà,abbattendofral'altrolostoricoTeatroVecchio.

Si contarono centosessantatré morti e duecentosessantaferiti,oltreadecinedicasedistrutteodanneggiate.

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L'effettopsicologico fu fortissimo:gli zaratini,convintidinoncostituire un obiettivo militarmente rilevante, eranocompletamente impreparati, e la stampa locale pubblicòdecinediarticolidianalisiericercadispiegazionedeglieventidel2novembre.

Inprevalenzasiritenevacheilbombardamentofossestatounerrore,uncasodisgraziatoepertantononpiùripetibile.

Invece la domenica 28 novembre dodicibombardieri B-25planarono su Zara, anche questa volta non precedutidall'allarme,seguitiinsequenzadaunasecondaondatadialtridodici aerei: sganciarono complessivamente 35 tonnellate dibombe su una superficie di poco più di un chilometroquadrato: l'abitato di Zara, il porto e i rioni di Barcagno eCeraria.

Ledistruzionifuronodevastanti:ilpiroscafo“Sebenico”venneaffondato, così come iltraghetto con una trentina dipasseggeri a bordo; venne colpita la Colonia per gli orfani diguerra, con circa venti ragazzi schiacciati dallemacerie; altrimortinelGiardinoPubblico,allaCasadellaGIL,alPalazzodelTribunale,invialeTommaseoeinRivaNuova.

Le fabbriche dimaraschinoVlahoveLuxardobruciarono perore,cosìcomelacentraleelettricacheservivalacittà.

Imortifuronocirca150eoltre200iferiti.

La città allora iniziò a svuotarsi: chi poteva si trasferìnell'entroterra o nelle isole, mentre a Zara la mancanza dicorrente elettrica si accompagnò a gravi difficoltà diapprovvigionamentoalimentare.

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Nei successivi e molteplici attacchi di dicembre, vennerogettatebombedivariotipo,dalledirompentialleincendiarie,alternateaspezzonamentiemitragliamentiabassaquota: leincursioni si verificarono sia di notte che di giorno, mentrelacontraereafupraticamenteinesistente.

Inunrapportodel20dicembre,ilprefettoSerrentinosegnalòcheil40percentodellecostruzionieraridottoinmacerie,eil90percentodellerestantinonerapiùabitabile.

Erano stati colpiti la Banca Dalmata di Sconto, la canonicadella chiesa ortodossa di Sant'Elia, il Seminario diocesano,l'edificio dell'Amministrazione provinciale, l'asilo delleOrfanelle, ilPalazzodellePoste, ilGinnasio-Liceo,quasi tuttelecasedelvialeTommaseo,dellapiazzadelleErbe,dellacalledei Papuzzeri, della calle Larga, della calle Gabrieled'Annunzio,dellacalleSanRocco,dellazonadiPortaCatena.

Risultarono distrutti, oltre a centinaia di abitazioni civili,ilTeatro Verdi, il Cinema Nazionale, l'Istituto Magistrale, lecase lungo calleCanova, il monastero e la chiesa di SantaMaria,ilsantuariodellaMadonnadellaSalute,ilbattisterodelDuomo.

Il primo bombardamento del nuovo anno ebbe luogo il 16gennaio1944ecolpìunacittàstrematae inbuonapartegiàabbandonata dalla sua popolazione: molti zaratini si eranorifugiatiinricoveridifortunanellacampagnacircostante.

Gli incendicausatidallebombedivamparonoincontrastati, inassenzaoramaidiuncorpocittadinodivigilidelfuoco.

Il 22 gennaio venne ripetutamente colpita e distrutta dagliamericani la nave laboratorio diGuglielmo MarconiElettra,requisitadaitedeschiefermaallafonda.

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Nei primi tre mesi del1944, Zara subì un'altra serie dibombardamenti, che colpirono alle volte obiettivi giàcompletamentedistrutti.

Siregistraronoanchecasiincuilacittàvennepresceltacome"obiettivoalternativo",comenelcasodelbombardamentodel3marzo:unatrentinadiaerei,direttidaFoggiaversol'internodellaCroaziafuronocostrettiadinvertirelarottaacausadelleavversecondizionideltempo.

Duranteilvolodiritornocinqueaerei,appesantitidalghiacciosulle ali, si liberarono del carico di bombe scaricandole acasacciosuZara.

Il 26 maggio venne colpito - al largo di Lussinpiccolo -ilpiroscafo“Sansego”, unico collegamento civile fra Zara eTriestedalsettembredel1943.

La nave aveva sbarcato a Trieste in meno di un anno circacinquemila zaratini che fuggivano dalla città: un lento macostante stillicidio che prefigurava quello che sarebbe statol'esodoquasi totale della popolazione italiana di Zara neldopoguerra.

Apartiredaquestadata,Zarafuquasicompletamenteisolata:unici anelli di collegamento con l'Italia restarono l'aereopostaletedesco e lebarche militari, vietate ai civili, piùqualche rara motozattera oveliero a motoreche di tanto intantosiazzardavanoatoccareilportozaratino.

Il14giugnonuovobombardamento,poiun'altrapausafinoal19agosto.Iprimiduebombardamentidisettembrecolpirononuovamentequantoerarimastoancorainpiedinelcentro.Gliincendidivamparonoperduegiorni.

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Il1ºottobreipartigiani jugoslavi informarono(falsamente) ilComando americanodella presenza di due velieri tedeschi,che avrebbero sbarcato 700 militari a Zara: il giorno dopo,dodici aerei erano nuovamente sopra la città, per colpirealcunelocalitàenuovamenteilporto.

Il 4 ottobre tornarono ventun aerei, che scaricarono ancoraoltre20tonnellatedibombe.

L'ultimo grande bombardamento di Zara ebbe luogo il 9ottobre, con sette incursioni successive dalle prime ore delmattino fino alle 16.00. L'obiettivo era ancora una volta ilporto,mafuronocolpitimoltealtribersagli.

La finediottobreregistrònuovamentetre incursioni, indata25, 28 e 30. Proprio il 28 ottobre, il prefetto Coceani, daTrieste, ritrasmise a Zara il telegramma con cui il ministerodell'Interno di Salò ordinava al prefetto Serrentino diabbandonarelacittà.

A rappresentare le autorità cittadine rimanevano a Zara ilviceprefetto,ilcapodigabinettodellaprefettura,unmaggioreeun tenentedeicarabiniericonunanovantinadicarabinieri,unatrentinadiAgentidiPubblicaSicurezzaesessantamilitari.

Il 31 ottobre, i primipartigianiiniziarono ad avvicinarsi allacittà, ma alle 09.30, inaspettatamente, iniziò un altrobombardamento: dodici aerei statunitensi bombardaronoindiscriminatamente, causando anche quattro morti fra ipartigiani.

Alle11.00ebbeluogounsuccessivobombardamento,seguitopocodopo(alle13.00)dall'ultimochelacittàdovettesubire.

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Unadelegazionecivica,compostadallesunnominateautoritàrimastenellacittàdevastata,ricevetteicomandantipartigianiperiltrapassodeipoteri.

Tutticostorovenneroperòarrestatiesottopostiadunaseriediprocessipopolari.Neimesisuccessivi,moltideicomponentidi questa delegazione cittadina (industriali, politici ecarabinieri) furono in vario modo soppressi: si stima che iltotaledeglizaratiniuccisidaipartigianisiastatodicirca180.

FraglialtrifuronoassassinatiifratelliNicolòePietroLuxardo(industriali,produttoridelcelebre liquoremaraschino):Nicolòfuannegatoinmareassiemeallamoglie,mentreilfratellofuappeso-vivo-adunganciodimacellaioelasciatoivimorire.

Quella dell'annegamento in mare legati a macigni, è unapratica divenuta nell'immaginario popolare la "tipica"modalitàdiesecuzionedellevittimezaratine,similmenteallefoibe in Venezia Giulia. L'OZNA, la polizia segreta jugoslava,operavanellapiùtotaleautonomia.Ilsuocompitoeraquellodiarrestare icomponentidelCLNedellealtreorganizzazioniantifascisteitalianenonchétutticolorocheavrebberopotutoopporsi alla futura annessione della Venezia Giulia allaJugoslavia.

Èda rilevarecheZara fu la città italianache soffrì ilmaggiornumero dimorti in percentuale sul totale della popolazione:circa il 10% dei residenti nella città storica e nelle frazioniimmediatamentecircostanti.

L’unicaspiegazionedellecauseedeimotivichehannoindottogliAlleatiadistruggereZara(definitalaDresdaitaliana)sonodarintracciarsinellavolontàdeldittatoreJugoslavoJosipBroz(Tito) di far sì che gli italiani, costretti ad abbandonare la

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propriacittà,nonnutrisseropiùildesiderionémanifestasserola volontàdi ritornare inquella cheeradiventataormai solounafumantedistesadimacerie.

La distruzione faceva parte quindi di un piano preordinatodaTitopereliminarenonsololapresenzaitalianaincittà,maanche il ricordo di tale presenza. Resta, infatti, come undocumento inquietante e rivelatore, il testo di unradiomessaggio del giugno 1944, che testimonia la precisaindicazionedelmarescialloTitoaibombardierialleatisucosadovevanobombardare.

Il generale Ercole Ronco, capo di Stato Maggiore del RegioEsercito, in una relazione del 16 giugno 1945,affermò che ibombardamenti erano stati “provocati da Tito, più percancellare le orme secolari d'italianità che per veri e propriscopibellici”.

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Ormai è comprovato che l'importanza bellica di Zara eracompletamente inesistente, o era comunque tale da nongiustificare assolutamente i bombardamenti a tappeto. SiritienequindichequestibombardamentifosserostatirichiestidaTitoodirettamentedaipartigiani.

Certo è che le parole del poetaVladimir Nazor, pronunciatenella Zara distrutta in un comizio del 27marzo1945, hannocontribuito a mantenere viva l'idea del "genocidiopremeditato": «Spazzeremo dal nostro territorio le pietredellatorrenemicadistruttaelegetteremonelmareprofondodell'oblio.Al postodi Zaradistrutta sorgeràunanuova Zara,chesaràlanostravedettasull'Adriatico».

Dopo la liberazione dall'occupazione tedesca, a partire dalmaggio del 1945, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola eFiume il potere venne assunto dalle forze partigianejugoslave; tale periodo fu funestato da arresti, sparizioni euccisioni di centinaia di persone, alcune delle quali gettatenellefoibeancoravive.

È la tragica vicenda delle Foibe (questione nota ancora soloparzialmenteeappenadaqualcheannoaffrontata in Italia),che non fa parte della presente esposizione, perché noninteressarono direttamente la Dalmazia, ma soprattuttoGorizia,Triesteel’Istria,conPola.

Le violenze cessarono solamente dopo la sostituzionedell’amministrazione jugoslava con quella degli alleati, cheavvenneil12giugno1945aGoriziaeTrieste,edil20giugnoaPola; inveceaFiume,semplicemente,glialleatinongiunseromai,elepersecuzionicontinuaronoimperterrite.

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Ciò premesso, il fenomeno delle foibe (che costituiscecomunqueuncontinuumcongliomicidicommessicontrogliItalianidiDalmazia)puòessere considerato comeuneventoderivante da un chiaro disegno politico annessionista, il cuidupliceobiettivoera:

• L’annessione della Venezia Giulia, Dalmazia e Fiume allaJugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare quanti(essenzialmente italiani) si opponevano all’annessione diquesteterreallaJugoslavia.

• L’avvento di un governo comunista jugoslavo in quelleterre: si volevanopertantoneutralizzare realiopotenzialioppositoridelcostituendoregimecomunista.

Ormai è comprovato che l'importanza bellica di Zara eracompletamente inesistente, o comunque tale da nongiustificare assolutamente i bombardamenti a tappeto. Siritiene quindi che questi bombardamenti fossero statirichiestidaTitoodirettamentedaipartigiani.

Certo è che le parole del poetaVladimir Nazor, pronunciatenella Zara distrutta in un comizio del 27marzo1945, hannocontribuito a mantenere viva l'idea di un "genocidiopremeditato":«Spazzeremodalnostroterritoriolepietredellatorre nemica distrutta e le getteremo nel mare profondodell'oblio.Al postodi Zaradistrutta sorgeràunanuovaZara,chesaràlanostravedettasull'Adriatico».

Dopo la liberazione dall'occupazione tedesca, a partire dalmaggio del 1945, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola eFiume il potere venne assunto dalle forze partigianejugoslave; tale periodo fu funestato da arresti, sparizioni euccisioni di centinaia di persone, alcune delle quali gettatenellefoibeancoravive.

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È la tragica vicenda delle Foibe (questione nota ancora soloparzialmenteeappenadaqualcheannoaffrontata in Italia),che non fa parte della presente esposizione, perché noninteressarono direttamente la Dalmazia, ma soprattuttoGorizia,Triesteel’Istria,conPola.

Le violenze cessarono solamente dopo la sostituzionedell’amministrazione jugoslava con quella degli alleati, cheavvenneil12giugno1945aGoriziaeTrieste,edil20giugnoaPola; inveceaFiume,semplicemente,glialleatinongiunseromai,elepersecuzionicontinuaronoimperterrite.

Ciò premesso, il fenomeno delle foibe (che costituiscecomunque un continuum con gli omicidi commessi contro gliItalianidiDalmazia)puòessereconsideratocomeuneventoderivante da un chiaro disegno politico annessionista, il cuidupliceobiettivoera:

• L’annessione della Venezia Giulia, Dalmazia e Fiume allaJugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare quanti(essenzialmente italiani) si opponevano all’annessione diquesteterreallaJugoslavia.

• L’avvento di un governo comunista jugoslavo in quelleterre: si volevanopertantoneutralizzare realiopotenzialioppositoridelcostituendoregimecomunista.

In vista di questi due obiettivi era necessario reprimere leclassidirigenti italiane (compresiantifascisti e resistenti), pereliminareogniformadiresistenzaorganizzata.

Questo aspetto era particolarmente importante a Gorizia eTrieste. Tito, pertanto, fece il possibile per occupare le duecittà prima di ogni altra forza alleata, per assicurarsi unaposizionediforzanelletrattative.

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Anche se oggi non molto conosciuta dal grande pubblico,rivelatrice fu la gravissima strage di Vergarolla del 1945, aguerra ormai finita. Era questa una località sulla spiaggia diPola, sulla quale un’esplosione provocò la morte diun’ottantinadipersone.12

12 Inquelperiodol'IstriaerarivendicatadallaJugoslaviadiTito,chel'avevaoccupata fin dal maggio 1945. Pola invece era amministrata dalletruppebritanniche per conto degliAlleati, ed era quindi l'unica partedell'Istriaaldifuoridelcontrollojugoslavo.L'inchiestadelleautoritàinglesistabilì che "gli ordigni furono deliberatamente fatti esplodere da personesconosciute".

Il18agosto1946,sullaspiaggiadiVergarolla,sisarebberodovutetenereletradizionaligaredinuotoorganizzatedallalocalesocietàdeicanottieri.Lamanifestazioneaveva l'intentodimantenereunaparvenzadi connessionecol restodell'Italia,e ilquotidianocittadino reclamizzò l'eventocomeunasortadimanifestazionediitalianità.

La spiaggia era gremita di bagnanti, tra i quali molti bambini. Ai bordidell'arenile erano state accatastate venti bombe antisommergibiletedesche,tretestatedisiluro,quattrocaricheditritoloealtrebombe,perun totale di circa nove tonnellate di esplosivo, ritenute inerti. Alle 14,15l'esplosione di questi esplosivi uccise diverse decine di persone. Alcunerimasero schiacciate dal crollo dell'edificio della "Pietas Julia". Secondo idocumentidellapoliziaalleata,dellacortemilitared’inchiesta,deicimiteridiedell’anagrafediPola,imortiaccertatifurono65.Quasiunterzoeranobambini o avevanomeno di 18 anni. Sembrano inoltre accreditati cinqueanonimidispersi.Ilboatosiudìintuttalacittàedachilometrididistanzasivideun'enormenuvoladifumo.Isoccorsifuronocomplessiecaotici,ancheperché alcune persone furono letteralmente "polverizzate". Questa è unadellecausepercuinonsiriuscìadefinirel'esattonumerodellevittime.

L'ospedale cittadino divenne il luogo principale della raccolta dei feriti:nell'opera di assistenza medica si distinse in particolar modo il dottorGeppinoMicheletti,chenonostanteavessepersonell'esplosioneifigliCarloe Renzo, di 9 e 6 anni, oltre al fratello e alla cognata, per più di 24 oreconsecutivenonlasciòilsuopostodilavoro.

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Neutralizzando i vertici dirigenziali, ed eliminando ointimorendo i cittadini italiani si tentò di far credere che glijugoslavifosserolamaggioranzaassolutadellapopolazione:lacomposizioneetnicasarebbestata,infatti,unfattoredecisivonelle conferenze del dopoguerra e per questo motivo lariduzionedellapopolazioneitalianarisultavaessenziale.

Losfruttamentodelclimagiustizialistapereliminare,oltreaisostenitori del regime fascista, anche potenziali oppositoripolitici, accomuna i massacri delle foibe alle violenzeperpetrate nello stesso periodo da gruppi radicali comunistinelcosìdettotriangolodellamorteinEmilia.

Qui, tra lemigliaiadi vittimedella violenza insurrezionale, vifurono anche circa quattrocento tra proprietari terrieri,industriali, professionisti, sacerdoti ed altri appartenenti allaborghesia,soloperchédichiaratisianticomunisti.

Quali furono le principali cause di quest’odio insensato, chefece assassinare anchemoltissimi italiani non coinvolti nellestrutture fasciste, o che non avevano commesso nessunaazionecontroiconcittadinidilinguaslava?

Unafacileelencazionepotrebbesuggerire:

• lacontrapposizionenazionaleedetnicafrasloveniecroatida una parte, e italiani dall'altra, causata dall'imporsi delconcettodinazionalitàedistatonazionalenell'area;

• gli opposti irredentismi, per cui i territorimistilingui dellaDalmazia, della Venezia Giulia e del Quarnaro dovevanoappartenere, in esclusiva, all'uno o all'altro ambitonazionale,equindiall'unooall'altroStato, rifiutandocosì

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laprecedentee storicaesperienzadellamulticulturalitàedelmultilinguismo;

• le conseguenze della prima guerra mondiale, conun'intensa battaglia diplomatica per la definizione deiconfini fra il Regno d'Italia e il neonato Regno dei Serbi,Croati e Sloveni con conseguenti tensioni etniche, cheportaronoadisordinilocaliecompressionidellerispettiveminoranzefindalprimodopoguerra;

• il tentativodiassimilazioneforzatadelleminoranzeslavedellaVeneziaGiuliaduranteilventenniofascista;

• l'occupazionemilitareitaliana-durantelasecondaguerramondiale - di diverse zone della Jugoslavia, durante lequali si verificarono anche crimini di guerra contro lapopolazionecivili;

• la guerra nel teatro jugoslavo-balcanico, che fu uno deifrontipiùcomplessieviolenti(adesempiol'operatodegliustasciacroati);

• laconvinzionedeipartigianijugoslavidiesserelegittimatiad annettere al futuro stato jugoslavo quella parte dellaVenezia Giulia e del Friuli (Litorale sloveno ed Istria),abitataprevalentementeoquasiesclusivamentedacroatiesloveni;

• la convinzione, diffusa fra i partigiani jugoslavi, che laguerra di liberazione jugoslava non avesse solo uncarattere "nazionale", ma anche "sociale", con lapopolazione italiana percepita anche come "classedominante"controcuilottare;

• la natura totalitaria e repressiva del costituendo regimecomunistajugoslavo

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La spirale di violenza si innescò immediatamente dopo lacadutadelregimenazifascista,favoritadalletensionipolitichee sociali presenti sul territorio, che contribuirono alcompimentodiazionicriminaliodigiustiziasommariasianeiconfronti dei sostenitori del precedente regime, ritenutipotenziali avversari politici ed additati come nemici delpopolo, sia contro gli Italiani in genere, ritenuta una classeprivilegiata.

In questa ricostruzione ed analisi non vanno trascurate peròanche le azioni criminali di semplici delinquenti, cheapprofittarono della confusione e della temporanea assenzadi forze di polizia, preposte al mantenimento dell'ordinepubblico, per compiere gesti criminali e azioni di vendettapolitica,perinvidiasocialeopersempliceviolenzagratuita.

La medaglia d’oro, concessa al «Libero comune di Zara inesilio» dal presidente della Repubblica ItalianaCarlo AzeglioCiampiindata21settembre2001,nonèmaistataconsegnata,acausadelleprotestedelgovernocroato.

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Nostalgieesperanze:iprofughidalmatieilorodiscendenti

Definiti dall’indimenticato dalmata ed acclamato stilistaOttavio Missoni (già per molti anni sindaco del “LiberoComune di Zara in Esilio”) un popolo “plurale”, la comunitàdalmatamipareriassumabenequeicaratteridi“venezianità”che fecero della Serenissima la Repubblica - allora - piùliberale e tollerante nei costumi e nell’accettazione del“diverso da sé”, ma nel contempo la più inflessibile, la piùrigidaequasilapiù“ringhiosa”neldifendereipropridiritti,ipropriinteressieleproprieprerogative.

In questomiscuglio di popoli italici emediterranei, levantinied europei che costituirono il nerbo della civiltà veneta deisecolid’oro,Veneziadettòneipropriterritoriregoledilibertàe tolleranza, che la misero anche contro gli interventi dellaChiesa e del Papa (ricordiamo il caso di Galileo e di PaoloSarpi, e la mancata o blanda applicazione della SantaInquisizionenelterritoriodellaRepubblica).

La Dominante ammise libertà (e perfino licenziosità) diabitudini personali edi costumi sessuali, riconobbe spaziodivita e di limitata autonomia commerciale agli Ebrei, accolsenumerose strutture straniere che ebbero il permesso dierigerefondaciebasicommerciali.

Permiseancheallecomunità-tradi loroostili-diSpagnoliedi Francesi, e perfino ai Turchi, eterni nemici, di vivere edoperareincittà.

Consentì che le numerose Comunità straniere potesserocostruirsi delle proprie Congregazioni e fondare Scuole di

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Nazione 13 che la resero ancor più splendida e poliedrica,cosicché divenneprobabilmente anche la prima grande cittàcosmopolitaeuropea:unaspeciediLondraodiNewYorkdeisuoitempi!

Ma - nonostante questa ricchezza di iniziative, vivacità dicommerci e libertà di attività - l’autorità del Doge, delConsiglio dei Dieci e delMaggior Consiglio, che costituironol’ossatura dell’aristocrazia di Governo della Dominante, nonvennemaimeno.

Anzi le leggi emanate a tutela della Repubblica, delle suelibertà, delle sue istituzioni e dei suoi commerci furonosempre inflessibili ed esenti da patteggiamenti ocompromessi.14

Questa mescolanza di caratteristiche era naturalmentepresenteanchenellapopolazionedeiDalmati,consfumaturetraloroforseparzialmentediverseepiùaccentuaterispettoaquelle dei Veneziani del Dogado (più cortese, ironica eversatile la personalità dei dalmati colti e dei commercianti,piùtruce,rozzaeguerrescaquelladeisoldatischiavoni).

13Per i Dalmati, la ricordata Scuola Dalmata dei SS. Giorgio e Trifone,attivaininterrottamentedal1451.14FrancescoPetrarcariferendosiaVeneziaavevascritto:”Quale città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace,unico rifugio dei buoni e solo porto a cui, sbattute per ogni dove dallatirrannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uominiche cercano di condurre tranquilla la vita. Città ricca d’oro ma più dinominanza,potentediforzemapiùdivirtù,soprasaldimarmifondatamasoprapiùsolidebasidicivileconcordiafermaedimmobilee,megliochedalmare ond’è cinta, dalla prudente sapienza dè figli suoi munita e fattasicura”.

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L’AteneodiPadova(chiamato“ilBo’”,fondatonel1222,ilpiùantico d’Europa dopo l’Alma Mater, l’università di Bologna)non solamente accolse i giovani dalmati studiosi, ma inquell’Università nei circa quattrocento anni di legame conVenezia, provenienti dalla Dalmazia vi furono undici Rettoridei giuristi, sei degli artisti, quattro professori di filosofia,settedi diritto canonicoedi dogmatica, unodi diritto civile,quattrodimedicina.

Portonedell’UniversitàdiPadova:stemmadellaDalmazia

Questanaturasocialeequestaformazioneculturale,venetaeveneziana, con le quali i Dalmati si trovarono a condivideresecoli di storia, fecero di costoro una sorta di “popoloEuropeo” ante litteram: fiducioso in se stesso, curioso etemerario, aperto alle esperienze, multilingue, audace edinamico.

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Unpopolocapacediaccettareedaccoglierelediversitàaltrui,e di amalgamarle con i propri valori, non rifiutandoaprioristicamenteunadiversacultura,maanziammettendolacomeunadellepossibilicomponentidelproprioquotidiano.

Integrarediverseespressioni e formedi vita, di tradizioni, dicrediedilingue,èsemprestatalagrandelezionedisviluppoeprogressonellaStoriadell’Umanità.

Il cosiddetto“meticciato”culturaleè statopiùvolte criticato- purtroppo anche oggi, e forse ora con più asprezza di untempo - da alcune forze politiche e da taluni rappresentantipolitici dimodesta levatura, piccoli spiriti intolleranti, spessonutritidisordidorazzismoemossidaantichipregiudizi.

L’integrazione con altre culture è vista da costoro come unfenomeno di “imbastardimento” e di inquinamento delleregole di comportamento nella propria quotidianità, ma ilconfronto tra culture e civiltà è stato in realtà il segreto delrealecosmopolitismo,cheharesoimportanti,grandi,longevierispettatiqueiregniequegliimperichenehannofattounaspeciedilezionedivita.

Dai Romani ai Veneziani, credo che tale fenomeno si possasostenere come nel tempo si sia manifestato meglio eprevalentemente nel carattere degli italici, più portati-proprioper la storiae lageografiadelloStivale,croceviadimoltiPopoli-ariconoscereidiversiedacondividernevitaedesperienze.

Meno, forse, negli Anglosassoni, nei Belgi e nei Francesi, neiPaesi di cultura tedesca come in quelli dell’EstremoOriente,doveilfenomeno-quandopotémanifestarsiperl’inevitabile

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incontro di culture diverse - assunse spesso la forma odiosadellosfruttamentoedelcolonialismo.

Dove invececi si rinserra insocietàautoreferenti,chiuseaglialtri, quasi recintate damura psicologiche o sociologiche, letensionicresconofinoadesplodere.

È il casodimolti conflitti,daquelli,ormai storici, traArabieIsraeliani, all’autonomia ed all’indipendenza, richiesta espessoosteggiataonegataaparticolaricomunitàomogenee,qualiiBaschiogliArmeni,gliScozzesio,comeabbiamovistoprima,moltitraipopolislavi(Croati,Sloveni,Serbi,Macedoni,ecc.)differentitraloroperlingua,religioneestorianazionale.

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Eora?

Dalperiododell’esodo(trail1943eil1947)iperiodiciRaduniannuali dei Dalmati italiani (il primo si svolse Venezia, nel1953, mentre l’ultimo, il 63°, si è tenuto a Senigallia nelsettembre 2016) costituiscono ancor oggi l’occasione perritrovarsi tra persone che, disperse in Italia e nel Mondo,ritrovavanolagioiadirivedersiediriandarealperiodofeliceincuieranopiùgiovani,evivevanoaZara.

Era-soprattuttoagliinizi,neilontanianni‘50-unrincorrersidiciacoleedifrasicome:“Titericordidequandocheierimoapasegiar in Riva Nova ?“ “Anca ti qua ?” “Ti ga savudo delpoveroXXX…?”“EibuzolaidelBatara?““Mimericordocheascola…”“Mati,lapastizada,tilafazeviabagnonelvinonel’aseo?”“…eelvegliondeCarnevalalCircoloColautti?““MioBruneto,comechetixecressùo!”“Tixeti?Mava!Quasinotericonossevo”,“Eti,tisaressinevododelSbregagnochi?”.

Periodofelice-hoscritto-quellodelpassato.Almenocosìmiera apparso, quand’ero ragazzo, come celebrato dagli esuli:ma per i partecipanti il ricordare quelle stagioni ormaitrascorse,eranellostessotempoamaroegioioso.

Epoca allora non così lontana, intrisa sì di dolore e dinostalgia,maanchedidolcimemorie.

Innanzitutto,perchésiera tuttipiùgiovanie - si sa -ègratorievocarelagioventù,quandogliannisonostatiormaivissuti:il breve ma intenso, periodo di spensieratezza, dei primiamori, di fugaci dolori, di stimolanti avventure sportive e digiovanili entusiasmi, ma anche delle prime disillusioni,doloroseancheseprestosuperate.

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Epoicontavaanche ilperiodostoricovissuto,quelloattornoaglianni1925-1940.

Zara godeva allora di un periodo relativamente florido esereno,lontanodalleturbolenzedell’Italiaappenauscitadallaguerra. L’amarezza per il nefasto trattato di Rapallo e perl’infeliceesitodell’avventurafiumanadiD’Annunzioeraforsestatasuperata.

Nel frattempo le fabbriche ed i commerci prosperavano,anchegrazieallenormativefavorevoliintrodottedalfascismoa tutela della Città, che avevano decretato un’imposizioneridotta allemerci, cosicché Zara godeva di un regime fiscaleprivilegiato, cosa che induceva numerose aziende dellamadrepatria ad installare propri stabilimenti e consigliava ituristiitalianiavisitarla.

Lemodestedimensionidella cittàavvicinavanoancorpiù traloro gli abitanti in una speciale amicizia e solidarietà, chespessositrasformavaancheinvincolidiparentela,acausadeimatrimoni che si celebravano tra i rampolli delle variefamiglie.

Infine il clima sociale: pur esistendo, com’è naturale, varistratisocialiedifferenticategoriediceticulturalioeconomici,la gente si sentiva più unita, meno distinta in “caste” chealtrove, per cui il professore universitario e il panettiere, ilbenestante e la commessa, tutti o quasi appartenenti allastessa radice storica, con modesti interventi immigratori dinaturarecente.

Si può sostenere che si sentissero quasi “nella stessa nave”,partecipavano agli stessi riti collettivi (il Carnevale, le Festelocali tradizionali, le cerimonie religiose e, soprattutto, le

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passeggiateinRivaNova,ibagniinmareelegiteinbarca…)e,soprattutto,sisentivanotutti(compliceancheilfascismoelaprossimità dei confini nazionali) intensamente italiani epatriottici.

Ancora: la caratteristica specifica della Città, una piccolaenclaveancoratotalmenteitalianainunambienteslavo,nonancoraostilemacomunquestranieroeormai“diverso”.

ààà

A questo proposito, appare utile ricordare la testimonianzadello storico italiano (di Pirano) Diego de Castro, tratta da“Memoriediunnovantenne”,del1999:“Pensocheconvenga,come prima cosa, cancellare uno stereotipo che esiste,talvolta, anche fra gli stessi storici e che non corrispondeaffattoallarealtà.

Esso è costituito dall'affermazione che gli italiani avesserosempreodiatoecontinuasseroadodiareglislaviecheglislaviavesseroodiatoecontinuasseroadodiaregliitaliani.

Questa affermazione corrisponde solo parzialmente allaverità.Vapremessochenei territorimistilingueappartenentiaVeneziailproblemanonsipuònemmenoporre.

Cominciamo col dire, per esempio, che durante lo stessosolenne seppellimento del vessillo di San Marco nell'altaremaggioredellachiesadiPerasto il famosodetto«ticonnuenu con ti» fu (forse -N.d.R.) pronunciato nel croato parlatodai dalmati e non nella lingua veneta con cui è passato allastoria.

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Continuiamo col ricordare che, quando Napoleone stava perinvadere Venezia, 15.000 dalmati, detti schiavoni, venutispontaneamente ad offrirsi per difendere la città (e forsesarebberoriuscitinell'impresa),furonorimandatiacasadagliimbelli maggiorenti veneziani, che appartenevano ad unanobiltàormaidecadutaederanosottomessiatuttiisoprusidiNapoleone.

SevogliamoandareindietroneltempopossiamoricordarecheVenezia, accogliendo gli slavi dalmati che scappavano difronteall'invasioneturcanel1400enel1500,ripopolòl'Istriacompletamentedecimatadapestilenzeemalaria.

Questicroato-dalmatinonsolosiinsediavanoneivarivillaggi,ma addirittura venivano reclutati per la difesa dell'Istriavenetadaglistoricinemici,lemiliziedell'Istriaaustriaca.

Gli screzi fra italiani e slavi nelle nostre terre cominciaronoquando, verso la metà dell'800, sia gli sloveni che i croatiacquistaronounacoscienzanazionaleedunaculturapolitica.Con l'aiuto della Società dei Santi Cirillo e Metodio essiandavanodisseminando i territori istriani e triestini di scuoleslave ed erano aiutati dai preti che non raramente usavanomodificareicognomi…“

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Conclusioni

Le numerose prime iniziative, prese lungo tutti questi annidagli esodati Dalmati italiani, superata la naturalecommozione del primo ritrovarsi da parte dei sopravvissutialledistruzioniedalla fugadalleproprie terre,manifestati lagioia di aver superato la terribile prova e il conforto diritrovarsiinunaanticaedaffettuosacomunitàumana,hannocedutoilpasso,viavia,adaltriprogetti,adaltrerealtà.

Le prime attività furono la creazione del “Libero Comune diZara in Esilio” a cura degli infaticabili zaratini dott. NerinoRismondo (dettoRime)edott. Tonin Tamino, con la nominadelSindaco,diunaGiuntaediunConsiglioComunale.

Questa iniziativa fu preceduta ed affiancata, per alcuni anni,dallastampadiunfascicoletto,periodicamenteinviatoatuttigliesuli,daltitolo“ZARA“(sottotitolo:AssociazioneNazionaledegli Amici Zaratini - A.N.D.A.Z., poi corretta in AssociazioneNecessariadegliAmiciZaratini).

Il periodico iniziale, un modesto giornaletto di pochi fogli,inizialmente ciclostilato e poi stampato economicamente inbiancoenero,viveancoraoggiconiltitolo“ILDALMATA”,esièarricchitodicommenti,diarticoliedifotografieacolori,chene hanno cambiato - naturalmente in meglio - l’originariaimpostazione. Oggi esce anche in edizione on line, che siaffiancaalperiodicocartaceo(eparzialmentelosostituisce).

I Raduni Nazionali, che si tengono ancora con periodicitàannuale in località italiane sempre differenti e cheinizialmente riunirono anche numerosi esuli trasferitisiall’estero, prevedono - come abituali ritualità - nei consueti

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due giorni di durata della manifestazione: il ballo serale, ol’incontro, detto “delle Ciacole”, la Messa in ricordo deiCaduti, la deposizione di una Corona per i Caduti sumonumenti che commemoravano la nostra sofferenza, lafanfara dei Bersaglieri, la riunionedel Consiglio Comunale inEsilio.

Il discorso ufficiale (brillantemente curato per molti annidall’on. LucioToth)e lapresentazionedellenumeroseopereletterarie pubblicate nell’anno in Italia, aventi come tema laDalmazia e il dramma dell’esodo, costituiscono il nocciolo“culturale” dell’incontro. Un pranzo collettivo chiude ilraduno.

Questi Raduni15videro inizialmente un migliaio di aderenti,ma il passare del tempo fece registrare crescenti defezioni,dovute probabilmente all’età e allo stato di salute degliinvitati, alle distanze da superare ed ai costi della

15IRaduniannualideiDalmatisisonotenutifinoraindiversecittàd’Italia:il primo fu nel 1953 a Venezia, seguito poi da quelli di Ancona, Napoli,Gardone, Padova, Trieste, Milano, Bologna, Verona, Firenze, VittorioVeneto, Pescara, Rimini, Vicenza, Roma, Senigallia, Assisi, Jesolo, Grado,Osimo,Peschiera,Lignano,Latina,Treviso,Peschiera,Parma,Brescia,ecc.)

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partecipazione. Ma anche - credo - alla stanchezza diripercorrere riti sempreanaloghi, ritrovandosemprequasi lestesse persone, senza più lo stimolo della curiosità o dellasorpresa.

Eveniamoalpunto:lagenerazionecheavevavissutoidoloriei disastri della guerra, che ricordava i felici momentidell’infanzia o dell’adolescenza vissuta a Zara, cedevanecessariamenteilpassoaifiglieainipoti.

Questi, della Dalmazia e di Zara avevano solo ascoltato lereiteratenarrazionifamiliari,manonl’avevanomaivisitata,ose avevano avuto l’occasione di ritornarci (per turismo),incontravano una città assai diversa da quella idealizzata, eproiettatanellalorofantasiadairaccontifamiliari.

Unaqualsiasicittàcostiera,conunosplendidomare, inseritainunoscenariomediterraneoecircondatadasplendideisole,ma ormai con solo scarse vestigia del passato romano oveneziano, fortuitamente sopravvissute alla furia distruttricedegli slavi, i quali provvidero anche ad abbattere i leonimarcianicheabbellivanountempolacittà.

Un abitato urbano oggi spesso imbruttito dalle squallidecostruzioni post belliche - anonimi casermoni di chiarostampo sovietico - che avevano occupato le vaste aree resedisponibilidaibombardamenti.

Maancheuna cittàdiottantamilaabitantiprepotentementesviluppata verso l’interno, ormai invasa dal traffico, vivace,rumorosa e disordinata come ogni città moderna. Tuttaviacompletamente differente dalla cittadina intima e segreta diun tempo, dove erano vissuti i ventimila precedenti abitantiitaliani.

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E -sututto- lapresenzadiunapopolazioneslava introdottanel dopoguerra, che parla solo la lingua croata, ignorando otalvolta facendo finta di non conoscere la lingua italiana,nonostante lanumerosapresenzaestivadi turisti italiani, edanzi puntando su un (privilegiato) turismo di provenienzatedesca…

Qualepotrebbeessere-oggi- ilrichiamodiquestacittàodiquestaregioneperigiovani,dalmatidisecondaoaddiritturadi terza generazione, che hanno maturato le propriefondamentali esperienze giovanili, culturali e sociali in tantodiversi contesti urbani, assai differenti anche tra loro stessiper appartenenza, dialetto, interessi, amicizie, storiepersonali,sensibilitàpolitica?

Escluso per tutti il desiderio o la possibilità di ritornarci,restava-perpochiedinguaribilinostalgici-sololasperanzadiessere sepolti in quella terra, nel Cimitero Italiano, le cuivecchie tombe, ancor oggi ammirevolmente curate da unaencomiabilefondazionedalmataitaliana(Il“Madrinato”delletombe italiane di Zara), progressivamente però cedono ilterrenoainuovioccupantislavi.

L’ipotesi“irredentista”,ecioèquelfenomenopoliticosortoinItalia in età giolittiana, che assunse una fisionomia legatasoprattutto al nazionalismo e al militarismo del primodopoguerra, nella prospettiva di un’egemonia italianasull’AdriaticoconlerivendicazionidiFiumeedellaDalmazia,mipareogginonabbiapiùsensoalcuno.

Equestononostantesicerchiancora-inalcunisocialmedia,come Facebook - di tener viva,mediante non numerosimaaccesi gruppi di esaltati, una tensione ideale verso una

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“riconquista”, effettiva o solamente culturale, delle terreperdute.Oggi infatti solo sparute minoranze di invasati, benriconoscibili ed inquadrabili in formazionididestraestrema,confidanonellapossibilitàdiunrovesciamentodeidatidellastoria.

Ma resta comunque l’amaro della constatazione che ancoroggi da parte delle Autorità dello Stato Italiano poco si fapoliticamente per ricordare adeguatamente la tragediadell’Esodo, salvo il ricorso ad uno scontato e spesso vuotocerimoniale nel giorno del Ricordo dell’Esodo Giuliano-Dalmata e delle Foibe (10 febbraio), data introdottasolamente nel 2004 (e cioè ben 57 anni dopo le date degliavveniment!).16

A questo proposito non si può non rammentare la stessadeprimente, e ancora poco conosciuta, vicenda dellaMedaglia d’Oro alla Città di Zara, promossa dal PresidenteScalfaro nel 1997, conferita “motu proprio” dal PresidenteCiampi nel 2001, ma purtroppo mai consegnata, neppurenellefasisuccessivedellaPresidenzaNapolitano.

16IlGiornodelricordoèunasolennitàcivilenazionaleitaliana,celebratail10 febbraiodiognianno. Istituita con la legge30marzo2004n.92. Essavuoleconservareerinnovare«lamemoriadellatragediadegli italianiedituttelevittimedellefoibe,dell'esododalleloroterredegliistriani,fiumaniedalmatinelsecondodopoguerraedellapiùcomplessavicendadelconfineorientale».La data prescelta è il giorno in cui, nel1947, fu firmato iltrattato dipacecheassegnavaallaJugoslavial'IstriaelamaggiorpartedellaVeneziaGiulia.

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Questo fatto resta come un’icona rappresentativa dellapavidità,dellascarsaautonomiaeindipendenzadellapoliticaitaliana.17Il tema dell’Esodo doloroso delle popolazioni italiane dalleproprie terre non è adeguatamente affrontato nei libri ditestodelleScuole, salvo forseconbrevicennisuperficiali, lastampalorammentafrettolosamente,comeanchelaradioola televisione, in servizi generalmente presentati nelle orenotturne,oppurequandol’audienceèscarsaoinesistente.

17 "Il21settembre2001Ciampiconungestoardimentosotaglia ilnodoeconferiscemotupropriolatantosospiratamedagliad’oroalvalormilitareall’ultimo gonfalone italiano della città di Zara. Decisione che,malauguratamente, quel giorno e quelli immediatamente successivi deverimanere segreta per non turbare la visita che il presidente compirà inCroaziail9e10ottobre.Sidovràpazientareperpocomenodiduemesi.ÈlostessoufficiodiCiampiadannunciarechetrascorsiqueiduemesi,perlaprecisioneil13novembre,lamedagliaavrebbedovutoessereappuntataalgonfalonezaratinoinunapubblicacerimoniaappositamenteconvocataalQuirinale inpresenzadiOttavioMissonisindacodella«liberamunicipalitàdi Zara in esilio» («sindaco», precisa Missoni, «unicamente peramministrare i ricordi ed i valori di quella che fu la nostra amata città»).Lanotiziaperòfiltra,eil25ottobreilgovernocroatopresentaun’inusitatanotadiprotesta.Perdipiùinquelfrangentelasinistraitalianasidivide.Il27 ottobre gli uffici del Quirinale fanno sapere che la cerimonia del 13novembre è rinviata «per impegni istituzionali del presidente dellaRepubblica». Ma Zagabria non demorde. Il ministro degli Esteri croatodichiarache«ilgovernocroatononsiaccontentadelrinviodellacerimoniadella consegna dell’onorificenza … Speriamo in una revisione di quelladecisionedallaqualedipenderà il livellodellenostrereazionineiconfrontidiRoma».Minacce…Qualchetempodopola letterafirmatadaCiampidiconferimentodellamedagliad’oroaZarascomparedalsitodelQuirinale…”(PaoloMieli:“IlmartiriodiZaraitalianaelamedagliachenonc’è”)

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E ancor oggi, nonostante lo scarso e distaccato sostegnosociale e politico dato all’iniziativa da parte dell’opinionepubblica - con l’eccezione di un interessato e “calcolato”appoggio da parte di alcune organizzazioni di destra, e conl’ipocrisiadiuna tardiva, farisaicaed imbarazzanteadesioneda parte della sinistra “moderata” - perdurano ancora letraccediun’attivacontestazioneevivaceprotestadapartediforzepolitichechesiriallaccianoallasinistrapiùradicale.

Manifestazioni, queste ultime, non solo di dissenso verso latragedia dell’Esodo e di negazione delle sue vere ragionistoriche e sociopolitiche, ma anche di disprezzo e di odioversoiprofughieilorosimboli.

Di qui anche il vandalismo, che simanifesta nelle ricorrentidistruzioni o imbrattamenti (da parte dei soliti ignoti) delletargheedeicippicherammentano i luoghidellamemoriaedellasofferenzadelpopoloIstriano,GiulianoeDalmata.

Violenze e vandalismi, questi, che si perpetuano addiritturanei pressi dei simboli più sacri e rispettati, nei luoghi stessidove persero la vita migliaia di Italiani innocenti, come leFoibecarsiche.

Oppure - ed ancora - specialmente in prossimità della datadellecelebrazioniannualisiindiconospecioseeprovocatoriecontro-manifestazioni, conferenze,convegnied incontri che,presentando testimonianze “negazioniste”, cercano dirimescolare o di alterare la verità, e di confutare le stessedocumentazionistoriche.

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Danonscordareancheachiarimentodellostatoditensioneancora esistente tra le forze politiche slave e le localicomunità italiane, (nonostante tutti gli apparenti e formali“buoni propositi”) la recente istituzione in Slovenia della“Festa del Litorale sloveno”, ufficialmente Festa del ritornodel Litorale sloveno alla madrepatria (in sloveno VrnitevPrimorskekmatičnidomovini).Èunafestachesisvolgedalil15 settembredi ogni annodal 2005, istituita dal presidenteslovenoinrispostaalGiornodelricordochesisvolgeinItaliainricordodeimartiridellefoibeeperl'esododal200418.

Equindi?

Quindiprevedo,conamararassegnazioneeconunaformadidolorosarinuncia,cheintempi-piùomenolontani-lalungaegloriosastoriadellapopolazionedalmato-venetacesseràdicostituire argomento di interesse collettivo, se non per icultoridimaterie storicheoperpochesparuteminoranzedirevanscisti, di cronici polemisti, ma terminerà dirappresentareunvivoargomentopoliticoosociale.

18 La festa, che ha naturalmente suscitato polemiche in Italia, ricordal'annessione del cosiddetto Litorale sloveno alla Repubblica SocialistaFederale di Jugoslavia sotto la Repubblica Socialista di Slovenia (oraSlovenia)con il trattatodipacediParigientrato invigore il15settembre1947. La prima festa del Litorale sloveno è stata festeggiata a Portoroseallapresenzadelprimoministro,mentreallafestadel2008difronteacircaduemilapersone,allapresenzadelpresidentedellaRepubblicaTürk,dell'excapo dello Stato Kučan, il presidente del Parlamento Cukjati e numerosiministriediscorsocelebrativoèstatopronunciatodalpremierJanezJanša.Nessunesponentedellaconsistenteminoranzaitalianaerapresente.

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Del resto,mi pare assai difficile che una sorta di “comunitàallo statodiffuso” (come lanostra comunitàpotrebbeesseredefinita da un costituzionalista) possa mantenersi vitale neltempo, senza avere interessi comuni o convergenti (credo,infatti, che nessuno dei nostri conterranei, o dei loro eredi,progettioauspichidi tornareavivere inDalmazia, inquestaDalmazia croata), e senza possedere un’organizzazionesociale specifica (e cioè strutturataconun’oggettiva stabilitàdel gruppo sociale, una propria organizzazione e una durataneltempo).

E-infineesoprattutto-nonavendounafinalitàounprogettocomune, ed un preciso riferimento culturale, attuale oattuabile.

Diversa assai da altre situazioni di diaspora: molto dissimiledalla condizione degli Ebrei, che - sparsi nelmondo - hannonelloStatodi Israele,nell’idiomaenella religioneebraicaunriferimentoideale,dicaratterestorico,linguisticoeculturale.

Diversa anche da quella degli Armeni, che da secolicombattonopermantenere la stabilitàdellapropria linguaedelle proprie tradizioni, e lottano strenuamente - anche alrischio della propria vita - per poter governare in libertà edautonomia i propri storici territori, sia quelli che ancoraoccupano,siaquellidaiqualisonostatibrutalmentescacciati.

Differente infine anche la posizione dei ROM, che sono ehanno coscienza di far parte di una specifica etnia, ma chesonoinperennespostamento,quindisenzaunapatriastabileo un luogo di vita ideale, e comunque utilizzando lingueproprieeproprietradizioni,diversedaquelledellesocietà incui sono temporaneamente inseriti (e sovente malamentetollerati)…

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Lanostravicendapotrebbe forseessereparagonataaquelladella popolazione tibetana, soggiogata con violenzadall’occupantecinese.

Purnellebenpiùgraviedrammatichecircostanzestoricheedi cronaca, e con un diverso impattomediatico e risonanzainternazionale,lavicendadelpopolotibetanoricordainpartelanostra,ma i circa80.000Tibetaniesiliati (menodeinostri350.000) hanno un’autorità politico-religiosa (il Dalai Lama)ampiamente riconosciuta, hanno una lunga, articolata econdivisastorianazionaleedunaproprialingua,manifestanotuttora il desiderio di liberarsi dall’occupazione cinese,possiedono una complessa organizzazione politica e ungoverno in esilio, dimostrando (ancor oggi) una maggiorecompattezzasocialeedunaforteresistenzaalcambiamentodelleproprieabitudini,dellalorolinguaedellelorotradizioni.

TuttecosecheiDalmatiVenetinonhannomaiavuto,ohannopersodadecenni…

D’altronde, quanti sono nati o sono vissuti in questi ultimisettant’annisullacostadalmata,appartengonoall’etniaslavae sono ormai quasi esclusivamente croati di lingua e dicultura,spessotrapiantatidall’internoperripopolarelecoste,conpocaonessunainclinazioneperqualificarsicomeeredidiunimperoromanoodiunastoriaveneziana.

Anzi, i politici di laggiù hanno avuto l’improntitudine e lasfacciataggine di sostenere che la stessa storia veneta evenezianasialaconseguenzadiprecedentiinfluenzeslave.

Non si accontentano quindi solo di ritenere, ad esempio,Ruggero Boscovich croato: ne hannomutato anche il nome,conilqualeluistessosipresentava.

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Cosìhannofatto,delresto,perlaquasitotalitàdeidalmatidi lingua italianaoveneta, dalvenezianoMarcoPolo (di cuiqualcunocontestalacittàdinascita)ainumerosiillustriartistidalmati, che si sono formati ed hanno lavorato nella nostraPenisola,inun’evidenteunicitàculturale.

Una patetica forma di cecità intellettuale e di antico maevidente complesso d’inferiorità, che impedisce loro divalorizzare - sia pur a proprio vantaggio - i due millenni digrandestorialatinaeveneta,chehannoarricchitoedonoratolecosteilliriche,doveoggiessi,iCroati,sitrovanoavivere.

Gli slavihannodistrutto,dovehannopotuto,con lemazzeoconladinamite,glionnipresentileonidiSanMarco,compresoquello - magnifico - del Sanmicheli, che abbelliva la PortaMarinadiZara(solooggiparzialmenterestaurato).

Hanno abbattuto il celebre Leone Andante, splendidobassorilievodiNiccolòFiorentinoeAndreaAlessi risalenteal1471, che campeggiava all’interno dellaLoggia Pubblica diTraù.

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Hanno demolito e distrutto, con i vari Leoni Veneti sparsiovunque, anche la bellissima statua bronzea di NiccolòTommaseo (vera gloria di Sebenico: un letterato, non unpolitico) che campeggiava in quella città, per sostituirla conunmonumentoalcroatoPetarKrešimirIV,dettoilGrande,redi Croazia dal 1059 all'anno della sua morte, nel 1074, manato(ironiadeldestino!)proprioaVenezia.

Insomma, si sono comportati in modo analogo a quantohannocompiuto(tral’esecrazionemondiale)italebaniconladistruzione delle enormi statue di Buddha di Bamyan inAfghanistan o - più di recente in Iraq - i barbari sanguinariappartenenti al sedicente Stato Islamico (DAESH), pur senzaaverne le farneticanti motivazioni pseudo-religiose, ma innomediun’altrettantovaneggiante“slavitàculturale”.

Senzacomprenderechelastoriadiunpopoloèsemprefattadi contatti fra genti diverse, di commistioni culturali, dimescolanzedisaperiedivalori,chearricchiscono,sviluppanoefannoprogredirel’umanità.

Le civiltà che non hanno fatto tesoro di questa esperienza,che si sono rinserrate in una propria orgogliosa e vuota“unicità culturale”, sono scomparse senza lasciare tracciasignificativa19.

19 “nella “storia lunga” dell’umanità, chi ha tentato di fermarepregiudizialmente il cammino degli altri si è trovato nella paludedell’isolamento e si è autoescluso dalla costruzione del futuro, chi haraccolto con coraggio la difficile sfida dell’incontro, del dialogo e dellacondivisione ha accettato di esserne protagonista, insieme al migrante”.(G.Chelazzi:”InquietudineMigratoria”-2016)

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L’ostilità verso una serena accettazione e convivenza diquesta “pluralità” di culture, valori, religioni, lingue,consuetudini, tradizioni e (perché no?) anche di abitudinialimentari diverse, nonderiva, secondome, solo dal timorecausatodalleattualiondatedi immigrati in fugadalSuddelmondo.

Inrealtàavvertiamooggidistintamente,enonsoloinEuropa,unacrescenteintolleranzaneiconfrontidel“diverso”.

Insofferenze, avversioni e ostilità - queste - purtroppo nonnuove, e già ambiguamente presenti anche nel nostrorecente passato (in Italia la Lega Nord Padania contro ilMeridione e altrove in Europa: Fiamminghi contro Valloni;CechidistintidagliSlovacchi;ladivisionetraScozzesieInglesi;traSpagnoli,BaschieCatalani,ecc.).

Questo spirito d’intolleranza e di ostilità si sta oraripresentando, ancora più minaccioso, nella nostra vecchiaEuropa,esimanifestaconlarealizzazionediinvisibilibarrieresocio-culturali, ma anche con l’innalzamento di recinzionifisicheconcrete,enonsolodimurimetaforici.Ostacoli e sbarramenti che si stanno elevando tra Paesiconfinanti, nonostante le imploranti parole del PapaFrancesco che ha raccontato il sogno di un'Europa che èstata,echeoranonèpiù."Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vanenostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa lesue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimoeuropeo"-hadettoilSantoPadre.

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"Sognoun'Europagiovane, capacedi essereancoramadre",haaffermato ancoraaileadereuropeiarrivatiinVaticanoperassistere alla cerimonia del Premio Carlo Magno, che gli èstatoassegnatoperilsuo"impegnoafavoredellapace,dellacomprensioneedellamisericordia inunasocietàeuropeadivalori".

"Sogno un'Europa che si prende cura del bambino, chesoccorre come un fratello, il povero e chi arriva in cerca diaccoglienzaperchénonhapiùnullaechiederiparo"."Sognoun'Europa,incuiesseremigrantenonsiadelittobensìun invito ad un maggior impegno con la dignità di tuttol'essereumano".

Un discorso infervorato, quello del Papa argentino,pronunciatodavantiadunaplateadileader,re,ambasciatori,rappresentanti politici e internazionali di un'Europa che hadefinito "stanca". Vecchia, una "nonna, vecchia e sterile"senzapiùricordi."Lacreatività,l'ingegno,lacapacitàdirialzarsiediusciredaipropri limiti appartengono all'anima dell'Europa" haaffermatoilPontefice.Che poi però, rivolgendosi ai leader presenti, ha aggiunto:"Checosatièsuccesso,Europa?"

àààTemoquindicheunasocietàgenerosa,tolleranteebenevola,comefupersecoliquellaveneziana,equindianchedalmata,finiràperesseresoffocata,disprezzata,irrisaedimenticata.Matuttociòpotrà, forse,essereancorafermatodallamanodeigiovani,cuiappartieneilfuturo.

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Sono infatti solo i giovani l’ultima speranza dell’Europa edell’Italia.Giovani che dovrebbero scuotersi e risvegliarsi da questotemporaneo “sonno della ragione” e, come i giovani che lihanno preceduti quando hanno ideato l’unità Europea,riprendanoainseguireilsognodiununicograndeContinenteeuropeo che, sia pur con lingue diverse e consuetudiniparzialmente differenti, possegga una forte consapevolezzadisé,deipropriinteressiedeipropricomunivalori.

Maanchedellapropriaimportanteedindivisibileunicità,cheha costituito il fulcro e la base dell’intera area culturaleoccidentale,ediunagrande,irripetibile,stupefacente

STORIAUMANA.

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Breve bibliografia essenziale per conoscere la Dalmazia e la sua storia:

• Storia della Città di Zara, di V. Brunelli - ed. Lint Trieste - 1974

• Storia del Regno di Dalmazia e Croazia, di G. Lucio - ed. Lint Trieste - 1983

• Vocabolario del dialetto veneto-dalmata, di Luigi Miotto - ed. Lint - 1984

• Per l’Italia - 150 anni di storia dalmata (1797-1947) - ed. Zara Ancona - 1987

• Profumo de Dalmazia, di Gioia Calussi - ed. Del Bianco - 1995

• Apoteosi e morte di una città, di Ferruccio Predolin - ed. Alberti - 1996

• Sapori de Dalmazia, di Gioia Calussi - ed. MGS Press - 1997

• Visioni e voci di Dalmazia, di Sergio Brcic - ed.A. Ausilio - Padova 1999

• “Per trecento settantasette anni”, di G. M. Pilo - ed. della laguna - 2000

• Architettura Adriatica, voll. 2, di Luigi Gigi Tomaz - ed. ANVGD Ve - 2001

• Dalmazia (Storia, arte, cultura), di Dario Alberi - ed. Lint - 2008

• La…”liberazione” di Zara 1944-1948, di T. Vallery - ed. Scuola Dalmata - 2011

• Storia di Zara, di Lucio Toth - ed. Biblioteca dell’Immagine - 2016