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1/21 –OTTICA GEOMETRICA ED APPLICAZIONI - C. Calì - DIEET-UNIPA (2007-rev_10/11) - Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica OTTICA GEOMETRICA ED APPLICAZIONI L'ottica geometrica rappresenta la propagazione della luce mediante raggi, ossia segmenti che, rispettando semplici regole, subiscono una variazione di direzione nell’interfaccia fra materiali dielettrici differenti. Un’infinità di raggi pressoché paralleli fra loro e che occupano uno spazio limitato è chiamato fascio. Un’infinità di raggi paralleli fra loro che occupano l’intero spazio equivalgono ad un’onda piana di estensione infinita. Il raggio rappresenta, secondo i casi, la direzione di propagazione del fascio o dell’onda piana. Mediante l'ottica geometrica è possibile spiegare in modo semplice il comportamento dei componenti ottici elementari come specchi, lamine, prismi e lenti, ed il funzionamento di base di diversi strumenti ottici. Rifrazione e riflessione Un raggio luminoso incidendo con un certo angolo sulla superficie di discontinuità fra due differenti materiali trasparenti è in parte trasmesso (rifrazione) ed in parte riflesso (riflessione). Indicando con θ 1 e θ 2 gli angoli di incidenza e di rifrazione rispetto alla normale sulla superficie di discontinuità e con n 1 ed n 2 gli indici di rifrazione dei corrispondenti mezzi attraversati, vale la seguente legge della rifrazione (o di Snell): n 1 sin θ 1 = n 2 sin θ 2 Indicando poi con θ 1 ' l'angolo di riflessione ed adottando la convenzione che il segno di un angolo è positivo se questo aumenta ruotando il raggio in senso antiorario, vale la seguente legge della riflessione: θ 1 = - θ 1 ' ossia l'angolo di riflessione è uguale, in valore assoluto, all'angolo di incidenza. Inoltre raggio incidente, riflesso e rifratto giacciono tutti sullo stesso piano. La figura 1 illustra quanto affermato. Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Quando si passa da un mezzo di un certo indice di rifrazione ad uno di indice più basso si parla di riflessione interna. Questo si verifica, ad esempio, passando dal vetro all'aria, ma non viceversa.

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OTTICA GEOMETRICA ED APPLICAZIONI

L'ottica geometrica rappresenta la propagazione della luce mediante raggi, ossia segmenti che, rispettando semplici regole, subiscono una variazione di direzione nell’interfaccia fra materiali dielettrici differenti. Un’infinità di raggi pressoché paralleli fra loro e che occupano uno spazio limitato è chiamato fascio. Un’infinità di raggi paralleli fra loro che occupano l’intero spazio equivalgono ad un’onda piana di estensione infinita. Il raggio rappresenta, secondo i casi, la direzione di propagazione del fascio o dell’onda piana. Mediante l'ottica geometrica è possibile spiegare in modo semplice il comportamento dei componenti ottici elementari come specchi, lamine, prismi e lenti, ed il funzionamento di base di diversi strumenti ottici. Rifrazione e riflessione Un raggio luminoso incidendo con un certo angolo sulla superficie di discontinuità fra due differenti materiali trasparenti è in parte trasmesso (rifrazione) ed in parte riflesso (riflessione). Indicando con θ1 e θ2 gli angoli di incidenza e di rifrazione rispetto alla normale sulla superficie di discontinuità e con n1 ed n2 gli indici di rifrazione dei corrispondenti mezzi attraversati, vale la seguente legge della rifrazione (o di Snell): n1 sin θ1 = n2 sin θ2 Indicando poi con θ1' l'angolo di riflessione ed adottando la convenzione che il segno di un angolo è positivo se questo aumenta ruotando il raggio in senso antiorario, vale la seguente legge della riflessione: θ1 = - θ1' ossia l'angolo di riflessione è uguale, in valore assoluto, all'angolo di incidenza. Inoltre raggio incidente, riflesso e rifratto giacciono tutti sullo stesso piano. La figura 1 illustra quanto affermato.

Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3

Quando si passa da un mezzo di un certo indice di rifrazione ad uno di indice più basso si parla di riflessione interna. Questo si verifica, ad esempio, passando dal vetro all'aria, ma non viceversa.

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Riflessione interna totale La legge della rifrazione mostra che per la riflessione interna, al di sopra di un certo angolo di incidenza, non esiste più il raggio rifratto: essendo l'angolo θ2 maggiore dell'angolo θ1, esiste un valore di θ1 (angolo critico) per cui si verifica che θ2 è pari a π/2: θ1c = sin-1(n2/n1) In questo caso si parla di riflessione interna totale, ossia il raggio è completamente riflesso. Nel caso di passaggio dal vetro (n ≈ 1,5) all'aria (n ≈ 1) si ha che θ1c ≈ 42°. Guida ottica La riflessione interna totale spiega il funzionamento delle guide ottiche ed in particolare delle fibre ottiche, ossia guide ottiche di sezione circolare, per le quali l'angolo di accettazione è il valore massimo che può formare un raggio luminoso con l'asse della fibra affinché rimanga confinato all'interno della stessa. Questo angolo dipende dall’angolo critico e quindi dal rapporto fra indice di rifrazione della parte più interna della fibra (nucleo o core) e la parte più esterna (mantello o cladding). Prisma riflettente Sulla riflessione interna totale è basato il funzionamento dei prismi riflettenti. In figura 2 sono mostrati due modi differenti di utilizzare uno stesso prisma isoscele con un angolo di 90°. Nel primo caso il raggio torna indietro nella stessa direzione di provenienza mentre nel secondo caso è deviato di 90°. Il vantaggio di utilizzare questo tipo di specchi è che questi sono privi di perdite a causa dell'assenza di metallo. Le uniche perdite presenti sono sulle discontinuità di ingresso nel prisma e di uscita (aria-dielettrico e dielettrico-aria) che comunque possono essere notevolmente ridotte con un opportuno strato di adattamento, come si vedrà successivamente. Altri vantaggi sono l'inalterabilità nel tempo (a differenza dei metalli, i dielettrici non si ossidano) e la resistenza alle elevate intensità luminose (l'assenza di cariche mobili, tipiche dei metalli, esclude la possibilità di innalzamento di temperatura e conseguente danneggiamento dovuto alla dissipazione). Un prisma con tre facce riflettenti disposte ad angolo retto fra loro (figura 3) può essere visto come una estrapolazione nello spazio del primo prisma della figura 2. Questo tipo di prisma è detto retroriflettore, o più comunemente catarifrangente, ed è in grado di rinviare i raggi indipendentemente dalla direzione di provenienza. Prisma rifrangente Un raggio luminoso, dipendentemente dagli angoli di incidenza sulle due superfici di discontinuità, può attraversare un prisma subendo una deviazione del suo percorso. L'angolo di deviazione δ può essere facilmente determinato osservando la figura 4. La relazione fra gli angoli del triangolo ABC è: α + (π/2 – φp) + (π/2 – φ'p) = π

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ossia: α = φp + φ'p Nell'ipotesi che gli angoli φ, φp, φ'p e φ' siano piccoli, per la legge di Snell applicata sulle due facce del prisma: φ = n φp e φ' = n φ'p L'angolo di deviazione è dato da: δ = (φ – φp) + (φ' – φ'p) Utilizzando le tre relazioni precedentemente trovate: δ = (n – 1) (φp + φ'p) = (n – 1) α

α

φP

φ φP'

φ'

δ

A

BC

n

Fig. 4

Si osservi che, almeno per piccoli angoli, l'angolo di deviazione è indipendente dall'angolo di incidenza mentre dipende dall'angolo al vertice α e dall'indice di rifrazione del prisma. Poiché l’indice di rifrazione dei materiali dipende dalla lunghezza d’onda è possibile realizzare strumenti (spettrometri) in grado di separare le lunghezze d’onda. A causa della dispersione non molto elevata, gli strumenti così realizzati presentano una scarsa risoluzione. Risoluzioni molto più elevate possono essere ottenute utilizzando reticoli di diffrazione o risuonatori accordabili, come si vedrà successivamente. Lenti Una lente, almeno quella classica, è costituita da un volume dielettrico delimitato da due superfici sferiche. Per spiegare il comportamento di una lente è utile inizialmente analizzare il percorso di un raggio che incide sulla superficie di discontinuità sferica fra due differenti dielettrici. Con riferimento alla figura 5 si consideri un punto A da cui parte un raggio che raggiunge in P la superficie sferica, il cui centro si trova in C. Il raggio, subendo una

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rifrazione in P, interseca la retta (asse del componente ottico) passante per A e C in A'. Il punto A' è detto immagine di A. Si deve stabilire la relazione che intercorre fra la posizione di A e quella di A'. Si adotta la convenzione che tutte le quantità che si trovano nello spazio (spazio oggetto) a sinistra della discontinuità sono rappresentate prive di apice ('), viceversa quelle a destra (spazio immagine). Inoltre le distanze sono positive se riferite a punti che si trovano a destra o in alto rispetto al punto O, intersezione della superficie sferica con l'asse passante per A e C. Per quanto riguarda gli angoli, i segni sono determinati trigonometricamente; ad esempio l'angolo u è negativo perché è negativa la sua tangente, essendo data dal rapporto fra una quantità positiva (y) ed una negativa (l). Per il triangolo PAC si ha: u + α + (π - i) = π dalla quale: i = α + u e per il triangolo PCA': u' + (π - α) + i' = π dalla quale: i' = α – u'

Fig. 5

Si adotta l'approssimazione parassiale, ossia si ipotizza che i raggi formano angoli piccoli con l'asse e conseguentemente y è piccolo rispetto ad l, l' ed R, così come sono piccoli gli angoli i ed i' e quindi i seni e le tangenti degli angoli possono essere approssimati agli stessi angoli. Inoltre in queste condizioni si può supporre la base del segmento y coincidente con il punto O, intersezione della superficie sferica con l'asse che passa per A e C. In queste condizioni la legge di Snell applicata nel punto P è: n i = n'i'

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Sostituendo ad i ed i' le espressioni precedentemente trovate: n (α + u) = n' (α – u') Sempre per l'ipotesi raggi parassiali: u = y/l, u'=y/l', α=y/R e la precedente diventa: n (y/R + y/l) = n' (y/R - y/l') Dividendo per il fattore comune y ed ordinando: n'/l' + n/l = (n' – n)/R Infine per la convenzione dei segni la distanza l deve assumere segno negativo e quindi la relazione che lega la posizione dell'oggetto A alla sua immagine A', nell'ipotesi di raggi parassiali, è:

R

n'nn'n −=−ll'

I punti A ed A' sono detti punti coniugati, così come coniugate sono le distanze l ed l'. Quando non è più valida l'ipotesi di raggi parassiali (distanza del punto P da O non trascurabile) i raggi, dipendentemente dalla distanza y, incidono sull'asse in punti nell'intorno di A. In questo caso si dice che l'immagine soffre di aberrazione. Una lente, come detto in precedenza, è costituita da un dielettrico racchiuso da due superfici sferiche quindi la relazione che lega la posizione dell'oggetto alla sua immagine può essere trovata facilmente utilizzando la relazione precedente nell'ipotesi che la distanza fra le due superfici sia piccola rispetto alle altre quantità (l, l', R). In questo caso si parla di lente sottile. Ipotizzando che la lente di indice di rifrazione n si trova in aria (n ≈ 1) e con riferimento alla figura 6, la posizione (l1') dell'immagine dovuta alla prima superficie di discontinuità di raggio R1 à data da:

1R

1n1n −=−ll '

1

Il raggio non raggiunge il punto A1' perché è intercettato dalla seconda superficie di discontinuità di raggio R2.

Fig. 6

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La seconda superficie si comporta come se l'oggetto fosse posizionato in A1', alla distanza l1' dal centro della lente. Applicando nuovamente l'equazione della discontinuità per la seconda superficie si ha:

2R

n1n1 −=−'1

' ll

Sommando le ultime due equazioni ed eliminando l1' si ottiene l'equazione dei fabbricanti di lenti:

−−=−

21 R1

R1

)1n(l1

l'1

Definendo la quantità:

−−=

21 R

1

R

1)1n(

'f

1

la precedente può essere riscritta nel seguente modo:

'f

111 =−ll'

che prende il nome di equazione della lente. La quantità f' prende il nome di lunghezza focale della lente e rappresenta la posizione dell'immagine del punto oggetto che si trova all'infinito o il punto dove convergono tutti i raggi paralleli all'asse che provengono dall'infinito. Questo punto è chiamato punto focale secondario ed è indicato con F' in figura 7. Analogamente per i raggi paralleli all'asse che provengono da destra si definisce il punto focale primario, indicato con F in figura 7.

Fig. 7

Dall'equazione della lente risulta che f = -f'. Costruzione dell'immagine L'immagine di un punto generico appartenente ad un oggetto può essere determinata graficamente applicando al percorso dei raggi due delle tre regole seguenti: - un raggio parallelo all'asse passa per il fuoco della lente dopo averla attraversata;

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- un raggio che passa per il fuoco della lente procede parallelo all'asse dopo averla attraversata (duale della precedente); - un raggio che passa per il centro della lente non subisce deviazioni. Le prime due regole derivano dalla definizione di fuoco della lente, la terza dalla considerazione che in prossimità dell'asse la lente ha un comportamento da lamina, essendo le facce piane e parallele. Classificazione delle lenti Le lenti sono classificate in positive o convergenti, ossia quelle che deflettono su un punto dell'asse tutti i raggi paralleli all'asse che la attraversano, e negative o divergenti, che hanno un comportamento opposto. Come si può osservare nella figure 8 e 9, le lenti positive sono caratterizzate dall'essere più spesse al centro. Il contrario si verifica per le negative. Inoltre le lenti possono essere classificate in base alla capacità o meno di proiettare un'immagine su uno schermo. Nel caso questo sia possibile si parla di immagine reale. Una lente positiva proietta un'immagine reale invertita (figura 10a) se l'oggetto è posto alla sinistra del suo punto focale primario F; quando l'oggetto si trova sul fuoco l'immagine è proiettata all'infinito; quando l'oggetto si trova fra il punto focale primario F e la lente, l'immagine è eretta e virtuale (figura 10b).

Fig. 8 Fig. 9

Fig. 10

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Una lente positiva non deve avere necessariamente tutte e due le superfici convesse (lente biconvessa, fig. 8a): una può essere piana (lente piano-convessa, fig. 8b) o concava (menisco convergente, fig. 8c) purché sia più spessa nella parte centrale. Le lenti negative sono caratterizzate dall’avere il fuoco secondario nello stesso semipiano da cui provengono i raggi e quindi la quantità f ' è negativa e non possono proiettare un'immagine reale di un oggetto. Le lenti divergenti generano immagini virtuali erette (figura 10c). L'unico caso in cui una lente negativa genera un'immagine reale è quando intercetta l'immagine generata da una lente positiva e la allontana (figura 10d). Le lenti negative non devono avere necessariamente entrambe le facce concave (lenti biconcave, fig. 9a): una può essere piana (lente piano-concava, fig. 9b) o convessa (menisco divergente, fig. 9c) purché sia più sottile nella parte centrale. Specchi sferici Il formalismo sviluppato per le lenti può essere esteso agli specchi. La legge della riflessione θ1' = - θ1 può essere riscritta formalmente, nell'ipotesi di raggi parassiali, nel seguente modo: 1·sin θ1 = -1·sin θ1' che non è altro che la legge della rifrazione. Quindi uno specchio può essere visto come una superficie di discontinuità fra due dielettrici di indice di rifrazione n = 1 e n' = -1 e conseguentemente, applicando la relazione che lega la posizione dell'oggetto con quella della sua immagine, si ottiene:

R

2

l

1

l'

1 =+

dove R è il raggio di curvatura della superficie dello specchio. Con le stesse considerazioni fatte per le lenti: f' = R/2. Gli specchi sono classificati in concavi e convessi. Gli specchi concavi, così come le lenti convergenti, proiettano un'immagine reale capovolta se l'oggetto è posto oltre il piano focale (figura 11a) mentre quelli convessi un'immagine virtuale eretta (figura 11b).

Fig. 11

Lenti spesse Nel caso in cui la lente non può essere considerata sottile esistono due piani che la individuano e consentono di poterla trattare come una lente sottile.

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Si tracci il percorso di un raggio parallelo all'asse ottico che attraversa una lente spessa. Il raggio è sottoposto a due rifrazioni sulle superfici di discontinuità. I prolungamenti del raggio incidente e del raggio emergente, indicati con tratteggio in figura 12, si intersecano in un punto (Q' in figura) che giace su un piano ortogonale all'asse della lente in P'. E' come se in P' si trovasse il centro di una lente sottile di lunghezza focale pari alla distanza P'F'. Il punto P' ed il piano passante per P' sono chiamati rispettivamente punto principale secondario e piano principale secondario. Se si prova a tracciare un raggio che parte dal fuoco primario F e si ripete la costruzione si ottiene un altro punto ed il corrispondente piano che interseca l'asse nel punto P. Punto P e piano passante per il punto prendono il nome rispettivamente di punto principale primario e piano principale primario. In genere P e P' non coincidono e in alcuni casi possono trovarsi all'esterno della lente.

Fig. 12

La stessa costruzione può essere applicata ad un sistema di più lenti, individuando i punti di intersezione dei prolungamenti dei raggi entranti e di quelli uscenti. Si troveranno due piani principali sui quali si può pensare possa essere sistemata una lente sottile, dipendentemente se i raggio provengono da sinistra o destra, come mostrato in figura 13.

Fig. 13

I quattro punti F, F', P e P' sono chiamati punti cardinali della lente e consentono la costruzione dell'immagine di un oggetto, come indicato in figura 14.

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Fig. 14

Si osservi che nell'intercapedine fra i due piani principali i raggi non subiscono alcuna variazione di quota. La regione fra i due piani principali è chiamata spazio morto della lente. L'equazione trovata per le lenti sottili è valida anche per le lenti spesse purché le distanze dell'oggetto e della sua immagine vengano misurate con riferimento ai punti P e P'. Si definisce la distanza di lavoro come la distanza fra il fuoco e la superficie della lente. Ovviamente questa distanza non coincide con la distanza focale. Le regole illustrate per la costruzione dell'immagine nelle lenti sottili sono ancora valide per lenti spesse, se si prendono in considerazione i piani principali, come è possibile vedere nella figura 14. Ingrandimento L'ingrandimento (lineare) è definito come il rapporto fra la dimensione dell'immagine e quella dell'oggetto ed è anche pari al rapporto fra la distanza dell'immagine e la distanza dell'oggetto dai piani principali secondario e primario, come è possibile vedere in figura 15.

Fig. 15

Nel caso rappresentato l'ingrandimento è negativo perché dato dal rapporto fra una quantità positiva (l') ed una negativa (l). Si osservi il capovolgimento dell'immagine rispetto all'oggetto. Esistono disposizioni in cui l'ingrandimento è positivo, come ad esempio quello rappresentato in figura 10b.

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Forma di Newton dell'equazione della lente Con riferimento alla figura 16, dai triangoli simili di sinistra: h/x=h'/f e da quelli di destra: h'/x'=h/f' Risolvendo entrambe le equazioni rispetto a h'/h ed eguagliando, si ottiene: x x' = f f' Poiché f ed x sono quantità entrambe negative non è necessario cambiare il segno nell'equazione. Per una lente in cui entrambe le facce sono a contatto dell'aria f'=-f e quindi: x x' = -f'2

Fig. 16

Questa è chiamata forma di Newton dell'equazione della lente ed è particolarmente utile quando è difficile individuare il piano o i piani principali. I piani focali sono più facili da individuare sperimentalmente. Apertura relativa Si definisce apertura di un componente ottico (specchio o lente) il rapporto fra il diametro e la distanza focale. L'apertura è responsabile della quantità di raggi (ossia di energia luminosa) raccolti. Maggiore è l'apertura e maggiore è l'angolo solido entro cui si trovano i raggi che convergono sul fuoco e che provengono dall'infinito. In campo fotografico l'apertura si misura con il suo inverso (distanza focale / diametro) e l'unità di misura è lo stop. Aberrazioni e cenni sulle possibili correzioni Negli specchi e nelle lenti è presente l'aberrazione sferica. A causa dall'apertura elevata i raggi non possono essere considerati parassiali e conseguentemente non tutti i raggi paralleli all'asse si intersecano esattamente nel fuoco. L'aberrazione sferica si manifesta con disco luminoso più o meno esteso sul piano focale quale immagine di una sorgente luminosa puntiforme che si trova a grande distanza. L'aberrazione sferica può essere ridotta o eliminata utilizzando specchi o lenti con superfici paraboliche anziché sferiche.

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Altra aberrazione dovuta alla geometria e presente sia negli specchi sia nelle lenti è l'astigmatismo. Lo si può avere anche quando il componente ottico è caratterizzato da un'apertura piccola ed è dovuto al fatto che i raggi luminosi incidono sul componente lungo una direzione che forma un angolo grande rispetto al suo asse, ed equivale ad utilizzare una zona laterale di un componente molto più esteso e quindi di grande apertura. L'astigmatismo si manifesta con un'area luminosa ellittica più o meno schiacciata sul piano focale quale immagine di una sorgente luminosa puntiforme che si trova a grande distanza. L’astigmatismo può anche essere causato dall’attraversamento con angolo grande di una lamina da parte di un fascio (insieme di raggi), come mostrato in figura 17.

Fig. 17

L'aberrazione dovuta alla dipendenza dell'indice di rifrazione dalla lunghezza d'onda (dispersione), quindi non presente negli specchi, è l'aberrazione cromatica. Questa si manifesta nel mettere a fuoco su piani diversi i colori di oggetti policromatici. Per una lente convergente in vetro la lunghezza focale del blu è minore della lunghezza focale del rosso, come è possibile vedere dall’equazione dei fabbricanti di lenti e ricordando che l'indice aumenta con il diminuire della lunghezza d'onda. La tecnica di correzione dell'aberrazione cromatica è basata sull'utilizzo di una coppia di lenti, una convergente e l'altra divergente, realizzate con materiali di differente dispersione. Per comprendere il meccanismo è conveniente analizzare il comportamento di un prisma attraversato da un raggio che, come già visto, devia un raggio luminoso della quantità: δ ≈ (n – 1) α ossia l'angolo di deviazione, per angoli piccoli, è indipendente dall'angolo di incidenza e dipende, oltre che dall'angolo α, dalla quantità (n-1), in modo analogo a quanto si verifica per le lenti (equazione dei fabbricanti di lenti). Nella tabella I è riportata la quantità (n-1) per due diversi tipi di vetro e per tre differenti lunghezze d'onda, nonché le variazioni al cambiare del materiale e nel passare da un estremo all'altro del campo visibile. Si osserva che il valore medio della quantità n-1 per il vetro Flint è circa il 20% più grande mentre la dispersione è doppia. Conseguentemente un prisma di vetro Flint genera un allargamento angolare dei raggi policromatici doppio di quello generato da un prisma di vetro Crown e quindi per compensare la dispersione dovuta ad un prisma di tipo Crown di angolo al

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vertice α è sufficiente utilizzare un prisma di vetro Flint ribaltato con un angolo al vertice pari a α/2. E' però ancora presente una deviazione complessiva dei raggi perché gli angoli di deflessione sono uno il doppio dell'altro mentre la variazione di indice è solo del 20%.

Tabella I rosso giallo blu ∆n rosso-blu

Vetro Flint 0,644 0,650 0,665 0,021

Vetro Crown 0,517 0,520 0,527 0,010

∆n Flint-Crown 0,127 0,130 0,138

Ragionamento analogo può essere esteso alle lenti, immaginando che queste siano costituite da un insieme di tronchi di prisma. Occhio umano Il sistema ottico dell'occhio umano (fig, 18) è costituito dalla cornea, calotta sferica trasparente, e dal cristallino ("Lens" in figura). L'interno dell'occhio consiste in un fluido trasparente il cui indice di rifrazione è 1,33, pari a quello dell'acqua. Il cristallino ha un indice di rifrazione più alto, circa 1,4. L'occhio mette a fuoco le immagini sulla superficie fotosensibile, la retina, mediante la contrazione di muscoli involontari che deformano il cristallino e conseguentemente ne fanno diminuire la lunghezza focale.

Fig. 18

I punti principali dell'occhio sono pressoché coincidenti e localizzati a circa 2 mm dietro la cornea ed a 22 mm dalla retina. Inoltre l'occhio è dotato di un diaframma variabile, l'iride, posto immediatamente davanti il cristallino. L'iride, anch'essa

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azionata dalla contrazione di muscoli involontari, controlla la quantità di luce che raggiunge la retina. Nell'ottica fisiologica, anziché di lunghezza focale, si parla di potenza di una lente, definita come il rapporto fra l'indice di rifrazione del mezzo in cui si trova immersa la lente e la lunghezza focale (espressa in metri) della lente. L'unità di misura è la diottria (D). Una lente convergente la cui lunghezza focale è pari ad un metro che si trova immersa nell'aria (n ≈ 1) ha la potenza di una diottria. Si preferisce utilizzare questa quantità perché le potenze di lenti adiacenti si sommano algebricamente. La potenza della cornea di un occhio normale è circa 43 D, quella del cristallino 17 D. Quindi la potenza totale dell'occhio è circa 60 D. L'attitudine dell'occhio a focalizzare oggetti vicini mediante contrazione dei muscoli del cristallino è chiamata accomodamento. Questa attitudine diminuisce con l'età per cui, mediamente oltre i 40 anni, è necessario utilizzare "lenti da lettura". La minima distanza a cui l'occhio è in grado di focalizzare un oggetto, che dipende dall'accomodamento, è chiamata distanza di visione distinta "dv" ed è definita pari a 25 cm. Questa è la distanza di visione distinta di un individuo medio di 40 anni di età. I bambini possono mettere a fuoco facilmente oggetti posti a distanze di pochi centimetri. La perdita di accomodamento è chiamata presbiopia e la si corregge con lenti convergenti. Se la potenza dell'occhio è eccessiva e quindi la superficie focale si trova prima della retina si parla di miopia e la si corregge con lenti divergenti. Se la potenza dell'occhio è insufficiente e quindi la superficie focale si trova oltre la retina si parla di ipermetropia e la si corregge con lenti convergenti. L'astigmatismo è dovuto al fatto che a volte la superficie della cornea non è una calotta sferica ma una calotta di un ellissoide più o meno schiacciato e si lo corregge con le lenti cilindriche. Le contrazioni dell'iride adattano l'occhio a differenti livelli luminosi. Tipicamente l'apertura dell'iride varia dai 2 agli 8 mm, passando dalla luce intensa al buio. Si può assumere che in condizioni normali l'iride ha un diametro di 5 mm. La retina è costituita da piccoli sensori di radiazione luminosa chiamati bastoncelli e coni. I coni danno l'informazione sui colori ma sono poco sensibili mentre i bastoncelli danno informazione sulla sola intensità ma sono più sensibili. Questo è il motivo per cui in condizioni di bassa luminosità è pressoché impossibile distinguere i colori. I coni sono più addensati in prossimità della fovea quindi in questa area si ha la massima risoluzione. L'occhio, fissando un oggetto, tende istintivamente, agendo sulla rotazione del bulbo, a formare l'immagine in prossimità della fovea. I bastoncelli sono posizionati per la maggior parte al di fuori della fovea, dove sono presenti pochi coni ed inoltre pochi bastoncelli occupano la zona della fovea. Per questo motivo è difficile una visione distinta in condizioni di scarsa illuminazione.

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I coni in prossimità della fovea sono distanziati in modo tale da sottendere un arco, centrato sui punti principali, pari a circa 0,15 mrad. L'occhio è in grado di distinguere due punti se le loro immagini sono separate almeno di un cono ossia quando i due punti sottendono un arco, centrato sui punti principali, maggiore od uguale a circa 0,3 mrad. Per un oggetto posto alla distanza dv questo corrisponde ad una risoluzione limite poco inferiore a 0,1 mm, che è pressoché uguale a quella che si può calcolare con la teoria della diffrazione considerando una lente del diametro di 2mm (apertura dell'iride in presenza di elevata luminosità) e una lunghezza focale pari a quella dell'occhio. In sostanza, una maggiore densità dei coni non produrrebbe una migliore risoluzione. L'occhio umano è in grado di percepire lo spettro luminoso compreso approssimativamente fra 400 e 700 nm. I coni sono più sensibili alla radiazione verde (campo attorno a 550 nm) che corrisponde al massimo dell'emissione solare nel visibile. I bastoncelli sono più sensibili alle lunghezze d'onda minori, ossia a quelle che si avvicinano al blu. Camera fotografica Come l'occhio, la camera fotografica è costituita da una lente (obiettivo), un'iride (diaframma) e da un piano sensibile alla luce dove è posta la lastra fotografica o, più modernamente, un insieme di fotorivelatori (CCD). Inoltre è presente un otturatore che consente di esporre la lastra fotografica, o il suo equivalente, per un intervallo di tempo opportuno. La messa a fuoco avviene agendo sulla distanza dell'obiettivo dal piano della lastra. Normalmente l'obiettivo è costituito da un insieme di lenti in grado di correggere le varie aberrazioni che nascerebbero dall'utilizzo di una semplice lente. Fra le lenti dell'obiettivo è inserito il diaframma la cui apertura può essere variata meccanicamente e usualmente è calibrata in stop. Nel passaggio da uno stop all'altro l'apertura (rapporto fra la distanza focale della lente e il suo diametro) varia nel seguente modo: 1,4 - 2 - 2,8 - 4 - 5,6 - 8 - 11 - 16 - 22, ossia è una progressione geometria di ragione pari a circa (2)1/2. Il passaggio da uno stop al successivo cambia l'esposizione di un fattore 2, ossia dimezza, o raddoppia, la quantità di luce (numero di fotoni) che raggiunge la superficie fotosensibile in un dato intervallo di tempo (apertura dell'otturatore) perché il diametro della lente varia di 21/2 e la sezione si dimezza o raddoppia. L'otturatore può trovarsi fra le lenti dell'obiettivo o in prossimità del piano focale. Spesso il tempo di apertura dell'otturatore è indicato in frazioni di secondi: 1/2000 – 1/1000 – 1/500 – 1/250 – 1/125 – 1/60 – 1/30 – 1/15 - ... ossia ciascun tempo di esposizione differisce dal seguente di un fattore 2. Dal punto di vista quantità di luce (numero di fotoni) che raggiunge la superficie fotosensibile, dimezzare il tempo di esposizione equivale a dimezzare l'area utile della lente ossia aumentare di uno stop l'apertura. In sostanza, quando si vuole diminuire il tempo di esposizione si deve

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aumentare l'apertura dell'obiettivo se si vuole mantenere invariata la quantità di luce che raggiunge la superficie fotosensibile. Una quantità d'interesse in campo fotografico è la profondità di campo. Osservando la figura 19 si vede che un punto posto a distanza diversa da quella per cui era stato posizionato l'obiettivo è focalizzato su un piano diverso da quello in cui si trova l'elemento fotosensibile. Su questo, anziché un punto si forma un'area circolare più o meno estesa.

Fig. 19

Si definisce profondità di campo l'intervallo di distanze per le quali l'area circolare che si forma ha dimensione uguale o inferiore al singolo elemento fotosensibile. E' ovvio che in questo campo l'immagine di un oggetto, visto come un insieme di piccole aree, risulta ancora nitida. La profondità di campo diminuisce con l'aumentare dell'apertura. Infatti ad una apertura maggiore corrisponde un angolo solido maggiore e, con riferimento alla figura 19, anche l'area circolare risulta maggiore. Per ritrovare la stessa area circolare è necessario spostare il piano verso destra, ossia diminuire δ. Sistemi di proiezione Nei sistemi di proiezione l'oggetto, ossia la pellicola semitrasparente nella quale sono registrate le informazioni da proiettare, è illuminato da una lampada da proiezione, L in figura 20, di elevata intensità. La lente CL (condensatore) e lo specchio M hanno la funzione di convogliare la maggiore quantità possibile di raggi luminosi emessi dalla lampada sulla superficie dell'oggetto, oltre che illuminarlo uniformemente. La migliore efficienza di ottiene quando la lente CL genera l'immagine della lampada L sulla lente di proiezione PL, riempiendola totalmente. Pertanto la lampada L non deve essere puntiforme ma deve avere una superficie emittente piuttosto grande. Normalmente queste lampade sono costituite da diversi filamenti disposti in modo tale da occupare complessivamente una superficie rettangolare o quadrata. Contrariamente alla lente PL, lo specchio M e la lente CL non devono essere necessariamente di elevata qualità perché hanno la sola funzione di illuminare l'oggetto, non di proiettare la sua immagine. Lo specchio M è di tipo dicroico, ossia

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riflette soltanto la radiazione visibile mentre si lascia attraversare da quella infrarossa. La lente CL poi assorbe la radiazione infrarossa ma è attraversata da quella visibile. In questo modo sia lo specchio M che la lente CL contribuiscono ad evitare il surriscaldamento della pellicola semitrasparente (oggetto) che potrebbe danneggiarsi per una temperatura troppo elevata. Lente condensatrice, specchio dicroico e lampada sono comunemente raffreddati da un flusso forzato di aria.

Fig. 20 Lente di ingrandimento o microscopio semplice Volendo esaminare i dettagli di un oggetto, questo lo si deve avvicinare all'occhio; in tal modo aumenta l'angolo visuale, dato dal rapporto fra la dimensione (h) del particolare e la distanza (d) oggetto-occhio: h/d. Questo angolo visuale, affinché il dettaglio possa essere distinto dall'occhio umano non deve essere inferiore a 0,3 mrad, come detto a proposto del funzionamento dell'occhio. Ma la distanza d non può essere ridotta oltre un certo limite perché al di sotto di questo (dv) l'occhio non è più in grado di mettere a fuoco. Quindi l'angolo visuale massimo è h/dv. Mediante una lente convergente di lunghezza focale opportuna è possibile ridurre questa distanza e quindi aumentare l'angolo visuale, come descritto più sotto.

Fig. 21

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Se un oggetto si trova sul fuoco di una lente convergente di lunghezza focale f la sua immagine è proiettata all'infinito e l'angolo visuale con cui l'occhio vede l'immagine dell'oggetto è: h/f, come mostrato in figura 21. Con riferimento a questa figura l'occhio deve trovarsi immediatamente a destra della lente. L'ingrandimento, ossia il rapporto fra l'angolo visuale in presenza di lente e quello in assenza, è: (h/f)/(h/dv), ossia dv/f. Affinché si abbia effettivo ingrandimento è necessario che la distanza focale della lente sia inferiore a dv, ossia 25cm. Si osservi che utilizzando una lente di ingrandimento l'immagine si forma all'infinito o quasi e quindi l'occhio lavora nelle condizioni migliori (muscoli del cristallino rilassati). Utilizzando lenti semplici, ossia non corrette dalle aberrazioni, non è possibile raggiungere ingrandimenti superiori a 5 ed ottenere immagini di buona qualità. Utilizzando lenti composte (chiamate oculari) è possibile raggiungere ingrandimenti dell'ordine di 10 ed oltre. Microscopio o microscopio composto. Il microscopio è costituito, concettualmente, da due lenti: obiettivo ed oculare. Come si vede in figura 22, l'oggetto è posto in prossimità dell'obiettivo, ad una distanza un poco superiore alla sua distanza focale (Fo'), e la sua immagine è proiettata su un piano nel quale si trova il fuoco (Fe) dell'oculare. In questo modo l'occhio, posto in prossimità dell'oculare vede l'immagine dell'oggetto proiettata all'infinito, come avviene nel microscopio semplice. La distanza fra il fuoco secondario dell'obiettivo (Fo') ed il fuoco primario dell'oculare (Fe) è chiamata lunghezza del tubo (g), standardizzata e nella maggior parte dei microscopi commerciali pari a 160 mm.

Fig. 22

Osservando la figura 22, l'ingrandimento (lineare) dovuto all'obiettivo è –g/fo', mentre l'ingrandimento (angolare) dell'oculare, come visto a proposito del microscopio semplice, è dv/fe. Pertanto l'ingrandimento complessivo è il prodotto dei due ingrandimenti, ossia -gdv/(fo'fe). Il segno meno indica un capovolgimento dell'immagine.

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Avendo fissato la lunghezza del tubo, l'obiettivo può essere identificato dall'ingrandimento. Si parla di obiettivi da 10X, 20X, 40X, ... Un obiettivo da 10X ha quindi una lunghezza focale di 16 mm. Dell'obiettivo, così come in tutti le lenti, si specifica anche l'apertura numerica, ossia il rapporto fra la lunghezza focale della lente equivalente ed il suo diametro. Telescopio, filtro spaziale ed espansore di fascio Il telescopio è utilizzato per osservare oggetti relativamente grandi posti a grandissima distanza. Come il microscopio, l'obiettivo del telescopio proietta l'immagine dell'oggetto sul piano focale di un oculare al quale si avvicina l'occhio, come mostrato in figura 23. Si supponga che l'oggetto sia molto distante ma abbastanza grande da essere visto ad occhio nudo con un angolo visuale α. L'occhio, utilizzando il telescopio, vedrà l'immagine dell'oggetto con angolo α'. Si definisce l'ingrandimento del telescopio il rapporto fra l'angolo visuale in presenza di strumento ed in assenza (α'/α), in modo analogo a quanto fatto per la lente di ingrandimento. Dalla figura 23 risulta che α=h'/fo' e α'=h'/fe', pertanto l'ingrandimento è pari a - fo'/ fe'. Il segno negativo giustifica il capovolgimento dell'immagine. Per ottenere un buon ingrandimento è necessario utilizzare una lente obiettivo di grande lunghezza focale ed un oculare di piccola lunghezza focale.

Fig. 23

Con riferimento alla figura 24, se sul piano focale comune alle due lenti si inserisce un diaframma il cui foro è centrato sull'asse del sistema ottico, è possibile bloccare tutti i raggi che formano con l'asse un angolo superiore ad un dato valore. Tale dispositivo viene chiamato filtro spaziale e può essere utilizzato per "pulire" un fascio, ossia eliminare i raggi che formano con l'asse un angolo differente dal voluto. Si osservi che se oculare ed obiettivo hanno la stessa lunghezza focale l'ingrandimento è unitario e la presenza di un diaframma sul piano focale comune "pulisce" il fascio che rimane inalterato nella dimensione trasversale.

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Viceversa un sistema costituito da due lenti di lunghezza focale differente è in grado, oltre che di "pulire" il fascio, di trasformarlo, ossia di espanderlo o restringerlo. In questo caso si è realizzato un espansore di fascio. Il telescopio descritto provoca un capovolgimento dell'immagine. Questo non è un problema per le osservazioni astronomiche ma lo è per quelle terrestri. Per ottenere l'immagine dritta si può utilizzare un telescopio galileiano (figura 25) nel quale l'oculare è costituito da una lente divergente il cui fuoco (negativo) è sovrapposto ancora al fuoco dell'obiettivo, oppure si può utilizzare una terza lente che ha la sola funzione di capovolgere nuovamente l'immagine, come mostrato in figura 26.

Fig. 24

Fig. 25

Fig. 26

La necessità di avere a disposizione lenti di lunga distanza focale per ottenere un buon ingrandimento costringe ad utilizzare lenti di grande diametro se si vuole avere un'apertura tale da raccogliere un'energia luminosa sufficiente. Lenti di grande diametro sono pesanti e costose per cui si preferisce sostituire alle lente obiettivo uno specchio. Su questo principio sono state messe a punto diverse soluzioni, alcune delle quali sono rappresentate in figura 27. Gli aggiustamenti fini di puntamento del telescopio vengono usualmente compiuti sugli specchi di rinvio (o sulla lente oculare, nel telescopio di Herschel) perché questi hanno dimensioni molto minori dello specchio obiettivo.

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Fig. 27

Bibliografia - M. Young, "Optics and Lasers", Springer-Verlag - W.J. Smith, Modern Optical Engineering - McGraw-Hill - B. Rossi, "Optics", Addison-Wesley Problemi 1 - Due specchi piani formano fra loro un angolo α minore di π. Un raggio luminoso incidendo su uno dei due specchi con un angolo a viene riflesso ed inviato sull'altro specchio dal quale emerge con un angolo b. Determinare l'angolo δ formato dai raggi incidente ed emergente. 2 - Un raggio luminoso incide con un angolo θ sulla superficie di un prisma di vetro di angolo α. L'angolo θ è scelto in modo che il raggio uscente dal prisma formi anch'esso un angolo θ con la normale alla faccia da cui esce. Questa è la condizione per cui si verifica il minimo di deflessione. Ricavare un'espressione per l'indice di rifrazione del materiale di cui è costituito il prisma. 3 - Una fibra ottica di diametro d è piegata in modo con il raggio di curvatura del suo asse sia r+(d/2). Un fascio di raggi di luce incide normalmente su una estremità della fibra. Calcolare il valore minimo del rapporto r/d affinché tutta la luce che entra nella fibra possa essere ritrovata in uscita. 4 - Determinare la lunghezza focale della combinazione di due lenti sottili di focale f1 e f2 in contatto fra loro.

5 - Determinare la lunghezza focale della combinazione di una lente di focale f e di uno specchio di raggio di curvatura r in contatto fra loro. 6 - Dimostrare che, per angoli piccoli, una lamina di vetro allontana l'immagine di un oggetto della quantità d(1-1/n), dove d è lo spessore della lamina ed n il suo indice di rifrazione.