Mulini Acque Signori

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Alessandria. South Piedmont - Italy. A beatiful city

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Storie di mulini., di acque e di signoridi Claudio Zarri

Anni fa, durante una visita alIa chiesetta campestre di S.Zeno di Montecastello, in unvano-ripostiglio, che una volta doveva essere la sagrestia, mia moglie ed io abbiamo

trovato per terra due pezzi di legno, due assicelle rettangolari che ci hanno incuriosito.

Asportata la polvere, da una pulizia sommaria abbiamo capito che si trattava di un ex

voto spezzato. II soggetto era curioso: un mulino che il fiume in piena stava per

travolgere, sullo sfondo di un paese sul fianco di una collina, con delle case che

sembravano rovinare a valle. La Madonna su un lato e sotto la data 1846.

Insomma non la solita tavoletta votiva, con una persona malata a letto, un carro che si

rovescia sul conducente 0 il bambino che cade da una scala a pioli.

Veramente non eravamo entrati nella chiesetta per gli ex voto che conti ene, pureinteressanti, rna per scattare qualche foto dell'intemo e dell'antico affresco di

S.Defendente (un tempo protettore contro i lupi) da utilizzare per un incontro al

castello di Montecastello sul tema delle strade medievali della zona (e la chiesa sorge

presso l'antica strada della Serra, oggi poco pili di un sentiero rna un tempo molto

frequentata anche dai pellegrini perche collegava la collina aIle porte di Torino e la

strada di Francia con l'area tortonese e quindi le vie per scendere aRoma). Anche il

ricordo di S.Defendente, abbastanza diffuso da queste parti, ci serviva per ricordare

che anticamente le nostre terre erano infestate dai lupi, grosso problema per i

viandanti, e poi una tradizione locale vuole che pres so la chiesa sia esistito un ospizio

per pellegrini.

Insomma il posto meritava di uscire dall'anonimato e non di essere nota solo agli

abitanti di Montecastello.

E adesso avevamo questa ex voto, altro motivo di curiosita, di cui nessuno ricordava

I'esistenza.

Ottenuto il permesso del parroco e del sindaco, ci siamo portati i due pezzi della

tavoletta a casa per il restauro, quindi l'ex voto e tomato nella chiesetta di S.Zeno, e

quando il museo della Gambarina e stato inaugurato il sindaco di Montecastello prof.

Clemente Gay, recentemente scomparso, l'ha offerto in comodato, concessionericonfermata dall' attuale sindaco dott. Carlo Piccotti.

Nel 1846, data dell'ex voto che certo riguardava un mulino natante sul Tanaro sotto

Montecastello, c'e stata una disastrosa piena del fiume, l'imbarcazione e stata

strappata dalla riva e trascinata a valle rna si e salvata con il mugnaio e il carico; si e

avuta anche una frana che ha danneggiato qualche casa del paese. Questo per la

cronaca.

E I' ex voto ha voluto testimoniare questa tragico momento, privato e collettivo

msieme.

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Fino a tutto I'Ottocento mulini come quello dell' eX'"voto erano numerosi sui nostri

fiumi, suI Po, sul Tanaro e su Bormida. Erano imbarcazioni a doppio scafo (come i

traghetti e i porti fluviali) ancorate alIa riva, di solito in prossirnita di piarde 0 rilievi

sabbiosi dove la corrente era pili vivace.

Avevano ruote a pale, a volte esteme, a volte situate all'intemo tra i due scafi.Sui fiumi, rna pili spesso su corsi d'acqua minori (Scrivia Orba Stura Lemme Curone

ecc.) 0 su canali artificiali c'erano altri mulini ad acqua, rna fissi, non mobili.

Ma il mulino natante, come quello dell' ex voto, aveva il vantaggio di funzionare

anche in regime di magra del fiume e non necessitava, a differenza degli altri, dicostose opere per la costruzione dei betali, cioe dei canali alimentatori.I

Fisso 0 natante, il mulino ad acqua e tra le pili importanti realizzazioni tecnologiche

del Medioevo, e in area alessandrina compare intomo all'XI sec. come bene esclusivo

della feudalita laica ed ecclesiastica, che sola possiede i diritti sull 'uso delle acque e imezzi per costruirlo.

Tra i pili antichi documenti che attestano questa situazione e un atto del 1009 da cui

risulta che un mulino sul Lemme presso Basaluzzo appartiene a un monastero di

Pavia. Del 1027 e un diploma imperiale che conferma ad un altro monastero di Pavia

i mulini di Tanaro e Bormida nella zona di Pavone. Centocinquant'anni dopo il

marchese Guglielmo del Bosco dona il mulino sull'Orba presso Boscomarengo ai

monaci cistercensi di Tiglieto, dietro un canone annuo di 20 moggia di grano.

Le vicende del mulino di Boscomarengo sono tipiche di una situazione conflittuale i

cui attori sono signori e contadini, e vale la pena di ricordarle brevemente.

I fatti sono questi: nel 1202 il podesta di Alessandria, chiamato come giudice

arbitrale nella vertenza tra gli abitanti di Bosco e l'abate di Tiglieto circa la proprieta

del mulino, sentiti vari testimoni, si pronuncia a favore dei frati di Tiglieto. La gente

del paese si oppone al verdetto osservando che il marchese anni prima aveva

concesso la fondazione del comune e che quindi anche il mulino dev'essere

considerato un bene della collettivita. La vertenza di trascina per un decennio, rna

intanto gli abitanti, esasperati, hanno dato aIle fiamme il mulino. Viene fuori che il

mulino conteso e sempre stato dei marchesi e che passando ai monaci di Tiglieto e

stato pacificamente usato dal paese dietro il pagamento di un giusto canone. E poi il

diritto di uso delle acque e stato concesso dallo stesso imperatore al monastero e chi

ha l'acqua per forza ha anche il mulino. Insomma la vincono i frati.

I documenti ricordati attestano una presenza precoce e non certo sporadica dalle

nostre parti di queste nuove macchine per la molitura, rna fanno capire anche che i

mulini creano tensioni a non finire.

Nato come concessione del sovrano, il mulino e imposto ai contadini che dietro il

pagamento di una tassa (multure) vi portano i grani da macinare rinunciando, pur tra

mille reticenze, ai tradizionali piccoli impianti domestici.

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II ceto rurale 10 odia, 10 vede 'come un'imposizione monopolistica che ingrassa i

signori drenando nelle loro casse fino al 10% della farina prodotta. E in un' epoca

come il Medioevo, afflitta da bassissime rese agricole, l' onere e per i piccoli

contadini un vero incubo.

II banno, cioe il monopolio della molitura, a volte crea contrasti violenti: i rustici

incendiano il mulino signorile e l'aristocrazia sequestra e spezza le mole domestiche,

rna alIa fine la spuntano sempre i signori.

Va anche detto pero che il mulino bannale, cioe del signore laico 0 ecclesiastico,

libera il contadino dalla logorante attivita molitoria permettendogli di curare meglio

la sua terra. E poi il mulino diventa un luogo dincoritro, un'occasione di scambi e

notizie, insomma un centro d'aggregazione sociale come accade alIa piazza del

mercato, al sagrato della chiesa 0 I'osteria, anche se San Bernardo 10considera un

luogo di perdizione perche attira malintenzionati e prostitute. Detto per inciso: forse

San Bernardo, nel formulare un giudizio cosi severo, dimentica che I'ordine deicistercensi da lui fondato e all' avanguardia nella costruzione e gestione dei mulini.

Nel Due e Trecento l'espansione dei comuni cittadini nelle campagne mette in crisi il

potere signorile sui mulini. Con Ie buone 0 con Ie cattive, l'aristocrazia laica ed

ecclesiastica rinuncia ai privilegi feudali, compreso il banno sui mulini, e questi, una

volta posti sotto la giurisdizione comunale, sono venduti 0 dati in gestione a privati.

Qualche caso: nel 1217 il feudatario di Calamandrana vende al comune di

Alessandria alcune terre che ha nella zona piu i mulini e i canali per farli funzionare.

Lo stesso fa un nobile dalle parti di Canelli, e settant'anni dopo il marchese

Lanzaroto del Bosco vende a Genova la quarta parte del mulino di Roccagrimalda emeta del mulino e del canale di Belforte.

Lentamente comuni grandi 0 piccoli, da Alessandria a Casale, da Acqui a Ovada, a

Masio, Capriata ecc. , liquidano il potere signorile e incrementano la costruzione di

mulini e di canali, cercando anche di disciplinare il regime e 1uso delle acque fluviali

con opere d'ingegneria idraulica complesse e dispendiose.

Dove le leggi comunali si impongono, tutte le questioni relative ai mulini, oneri,

diritti e doveri dei mugnai e dei clienti, uso delle acque, dislocazione delle chiuse ecc.,

vengono sottoposte a precise norme, e le autorita locali tentano di risolvere i conflitti

tra privati per controllare, con il mulino, i diritti di molitura, fonte di reddito moltoconsistente.

Cosi, ad esempio, nel 1293 il comune di Alessandria concede ad alcuni cittadini dei

mulini sul Tanaro a titolo d'enfiteusi, cioe in fitto perpetuo, rna ha cura in seguito che

essi non siano usurpati da qualche potente famiglia per il ripristino del monopolio

della macinazione. In quest'ottica e da vedere l'ordine rivolto nel 1337 ai Marazzi

della Pietra e ai Bellingeri di Rivarone perche restituiscano al comune i mulini situati

sul Tanaro presso Montecastello.

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Una scorsa veloce a qualche statuto -medievale e ci accorgiamo che la questione dei

mulini non e affatto trascurata, anche se tra le varie norme vengono fuori disposizioni

spesso cunose.

Ad esempio gli statuti di Alessandria ordinano, tra l'altro, che sul Tanaro fra un

mulino e l'altro ci dev'essere la distanza pari a un tiro di martello.

Ad Acqui i proprietari dei mulini di Bormida devono tenere barche per il trasporto di

persone e merci, e devono metterle a disposizione del comune quando questo glielo

chiede.

A Ovada i mugnai devono macinare prima il grano degli ovadesi e solo dopo quello

dei forestieri. '

Una norma degli statuti di Casale stabilisce che un corpo di polizia appositamente

designato vigili sulle rive del Po dove sono attraccati i mulini. .

A Masio i responsabili dei tre mulini suI Tanaro devono disporre di tre barche, sei

asini per il trasporto del macinato e sei garzoni; devono inoltre consegnare la farinaentro tre giomi da quando ricevono il grano.

A Valenza il mugnaio disonesto e colpito da multa e sequestro dell' asino.

Una curiosita: per i mulini di Gavi si usano mole provenienti da cave di Carrosio e di

Arquata; trasporto e collocazione delle mole sono a cura del comune e sono poi

rifinite dai mugnai.

Alcuni statuti che ho esaminato fissano gli obblighi dei mugnai e la quota loro

spettante sul macinato, che pero non varia molto da un posto all'altro: a Capriata e

del 5%, a Serravalle supera di poco il 3% per il grano macinato da luglio a Natale e

del 6,25% nel resto dell' anno. Pill 0meno e 10stesso a Cassine, dove il compenso del

mugnaio da fine giugno a novembre (esattamente da San Giovanni a San Martino) ela meta di queUopercepito da novembre a giugno.

La normativa comunale prevede che i mugnai e i loro aiutanti giurino solennemente

davanti al podesta 0 a un suo rappresentante, ogni anno, di esercitare la loro attivita

con la massima onesta, di calcolare la parte loro spettante di macinato secondo Ie

leggi locali, di tenere in ordine imagazzini e di curare I'integrita del prodotto.Negli statuti di Sale c'e una norma supplementare, di carattere igienico: nel trasporto

dei sacchi di grano e di farina i mugnai non devono stare seduti sul carico.

Parlando di mugnai credo istruttivo il caso di Pontestura. Vicino al paese, sul Po,

c' erano vari mulini dove confluivano i grani dei centri vicini, corne Villadeati, chenon avevano un mulino proprio. Da meta Trecento fino a tutto il 400 il marchese di

Monferrato si riservo un terzo del cornpenso pagato dai contadini ai mugnai di

Pontestura, con comprensibile irritazione di questi che si sentirono, e non a torto,

vittime designate di un sistema feudale duro a morire.

E in effetti, se neUe citta i medievali privilegi signorili sono messi in discussione e

devono cedere di fronte alIa politica economica degli organismi comunali, in

ambiente rurale tali privilegi si mantengono a lungo, a volte fino a tutto il Settecento.

Tipica la situazione del mulino di San Michele sul Lemme, appartenente ai

Domenicani di Fresonara: secondo un documento del 1605 i contadini dei dintomi

sono obbligati a servirsi di questo mulino; vietato rivolgersi altrove.

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Visto che prelievi cosi consistenti come quello di Pontestura non erano affatto rari,

non sorprende che qualche mugnaio abbia cercato di rivalersi sui clienti, insomma si

sia ingegnato per rimettersi in pari. Non sorprende nemmeno che per secoli il

mugnaio sia stato guardato con diffidenza dai contadini e gli siano stati attribuiti

guadagni sospetti. E fioccano proverbi sulla presunta disonesta dei mugnai: in

Germania si dice: "le cicogne non fanno mai i nidi sui mulini perche hanno paura che

il mugnaio rubi loro le uova"; ecco un detto di Sale: "cambiare mugnaio vuol dire

cambiare ladro".

E c'e tutta una letteratura sulle ruberie dei mugnai. ~ualche caso: nei Racconti di

Canterbury di Chaucer (sec. XIV) uno dei personaggi e un mugnaio che "rubava suI

grano e si prendeva il triplo di quanto gli spettava"; in una novella di Mattero

Bandello (sec. XVI) i mugnai sono definiti "pubblici ladroni". Sia come sra, un

mugnaio povero non s'emai visto.

Storicamente parlando, le fonti medievali confermano la progressiva crescita di

prestigio dei mugnai, e infatti li troviamo spesso, a partire dal 300, tra i fmnatari di

importanti atti in rappresentanza di un' intera comunita.

Come dice Riccardo Bacchelli nel suo romanzo II mulino del Po, quella dei mugnai

era una categoria professionale molto influente, anche se costretta a una vita dura,

sempre minacciata dai capricci del fiume.

Pare che in epoca tardomedievale a Valenza, a Casale e a Pontestura i mugnai siano

organizzati incorporazione, con tanto di consoli e peso politico.

Per secoli nell'opinione dei contadini il signore locale e il mugnaio sono della stessa

razza, veri sfruttatori. Del resto e noto che il controllo di un mulino e un affare d'oro.

A tale proposito mi pare significativa una nota dei beni feudali di Grognardo del 1644:

tra tutte Ie voci di reddito che vi sono registrate, quella del mulino e di gran lunga la

pili alta, rappresentando da sola circa il 50% del totale (cioe redditi di terre coltivate,

boschi, pedaggio sul torrente Visone ecc.).

Su Tanaro e Bormida esistono mulini prima ancora della nascita di Alessandria, ed e

normale che la citra abbia fin dalle origini sfruttato la sua posizione tra i due fiumi

incrementando, su queste vie d'acqua, non solo i commerci, rna anche l'attivitamolitoria.

Solo nel tratto cittadino del Tanaro fino ai piedi di Montecastello nel Cinquecento ci

sono almeno 28 mulini natanti, a cominciare dalla zona del ponte, e pili numerosi

lungo la riva sinistra, verso Borgoglio, dove la corrente del fiume e pili rapida.

Al principio del Seicento i mulini del Tanaro sono una quarantina, come ci dice una

dama del tempo, Isabella Sori, nel suo Panegirico di Alessandria: "SuI fiume longa

schiera siedono di continuo circa 40 molini in loco sicuro pel bisogno della citta e

contomo".

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iI proprietari sono famiglie facoltose e aristocratiche, rna anche piccoli borghesi riuniti

in societa, monasteri, e qualche mulino appartiene all'ospedale dei SS.Antonio e

Biagio.

Un caso particolare e quello degli Umiliati, movimento pauperistico presente in citta

con varie sedi di cui la principale era il convento di S. Giovanni del Cappuccio (oraisolato di San Rocco). Questi frati erano attivi nella produzione tessile e utilizzavano

nei loro laboratori macchine idrauliche (gualchiere, torchi ecc.) che funzionavano con

l'acqua del canale della Rosta, un condotto artificiale derivato da Bormida, nota

come "il Betale" e che, attraverso ramificazioni, alimentava i mulini posti all'intemo

di Alessandria. Naturalmente anche gli Umiliati possedevano mulini natanti, rna su

questa punto siamo poco informati.

Meglio nota la situazione del monastero delle clarisse di S.Maria degli Angeli (era in

via Milano ang. Via Inviziati, dove ora c'e il seminario, ex istituto S. Chiara). Le

notizie ci vengono da suor Cecilia Dellavalle che nella seconda meta del Cinquecentoscrive una cronaca della sua comunita,

Dalla Cronaca apprendiamo, tra l'altro, che il monastero possiede mulini suI Tanaro

e che nel corso del Quattrocento ottiene donazioni di una certa entita da privati

convinti cosi di salvarsi I'anima: ad esempio la quarta parte di un mulino e del canale

alimentatore, poi la terza parte di un altro mulino con le sue pertinenze. Nel 1444 una

giovane di buona famiglia, Caterina Taccone, e accolta in convento portando in dote

la quarta parte di un mulino i cui utili pero si fanno desiderare a causa dei disordini

bellici del momento. Tra parentesi, per entrare nel monastero non basta la vocazione,

occorre una dota sostanziosa.

Nel 1539, a causa di momentanee ristrettezze, il monastero vende un mulino sui

Tanaro che gli era stato regalato da un ricco privato. Le suore, passata la crisi,

vorrebbero ricomprarlo tre anni dopo, rna il nuovo proprietario se 10 tiene con gran

dispetto delle pie donne.

All'interno della citta nel Cinquecento ci sono almeno tre mulini alimentati dal

Betale: di S.Andrea, delle Beccherie e dei Marchelli, rispettivamente nelle odierne

vie Modena, Milazzo e Verona. Nel 1830, sempre in citta, ci sono nove mulini, di cui

quattro suI canale Carlo Alberto dalle parti di piazza Genova.

Naturalmente non penso di raccontare qualcosa di questi mulini, cosa che sarebbe di

una noia mortale, mentre di mulini situati in altre parti della provincia trovo notizie su

monografie locali che in sostanza portano a queste conclusioni:

1- nel Medioevo c'erano mulini che nell'ovadese sfruttavano i giacimenti ferrosi

della zona, e pare che nell'operazione fossero interessati i Templari.

2- In vari paesi i diritti feudali sui mulini si mantengono a lungo (ad esempio a

Odalengo Piccolo il mulino del Vo e ceduto dal marchese Gozani nel 1703).

3- In epoche diverse vengono impiantati mulini su torrenti poco pili che semplici

fossi, oggi asciutti quasi tutto l' anna (e il caso del citato mulino di Odalengo

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suI rio del Vo, di un mulino. suI rio Riale nella zona di Sale, del mulino di

Fubine suI torrente Grana ecc.).

4- Molti mulini dei nostri paesi, prima di essere superati dal progresso

tecnologico, sono stati distrutti da alluvioni e altre calamita naturali, quando

non ci hanno pensano gli eventi bellici.A proposito di guerra, ricordiamo almena tre casi: nel 1527 il mulino detto del

Tiglieto a Predosa e distrutto da bande di soldati francesi, e ancora francesi sono

quelli che bruciano cinque mulini suI Tanaro tra Bassignana e Montecastello. Ad

Alessandria alcuni mulini sono dati aIle fiamme dai franco-spagnoli durante l'assedio

del 1745. ,

Mentre il mulino deIl'ex voto di Montecastello si salva, un'infinita di altri non ha

resistito alIa furia delle acque dei nostri fiumi.

Qualche caso:

1554-ad Acqui la Bormida in piena distrugge il mulino di San Martino;1616- otto mulini di Alessandria sono trascinati via dalla corrente del Tanaro, anche

se erano saldamente ancorati ai piloni del ponte;

1620- di nuovo ad Acqui vari mulini sono spinti a valle e danneggiati a causa

dell'ingrossamento di Bormida e quindici anni dopo il Po a Valenza trascina via un

mulino che va a sbattere contro un ponte di barche sfasciandolo;

Almeno tre volte nel Settecento la piena del Po distrugge dei mulini di Casale.

Nel secolo successivo danni di questo genere, causati cioe da un improvviso

ingrossamento dei fiumi, sono puntualmente registrati dai giomali, anche se pare non

si contino vittime tra i mugnai e i loro dipendenti.

A volte ci si mettono anche i torrenti normalmente poveri d'acqua, come l'Erro che

nel 1907 danneggia il mulino di Melazzo e il Belbo che nel 1926 esonda e distrugge i

due mulini di Bergamasco.

E poi ci sono i periodi di gelo eccezionale, a cominciare dal tremendo invemo del

1306che ad Alessandria ferma i mulini del Tanaro provo cando penuria di pane.

Situazioni critiche dovute al gelo (con conseguente rischio di carestia) in epoche

diverse si verificano pili spesso di quanto possiamo sospettare. A volte e la neve che

cade tanto copiosa da bloccare Ie pale dei mulini di Alessandria (anno 1600). Altre

volte sono grossi pezzi di ghiaccio che spinti dalla corrente del Tanaro distruggonotre mulini di Solero.

Anche l'eccessiva siccita crea grossi problemi: basti ricordare che per mancanza

d'acqua certi mulini sul Tanaro ad Alessandria si fermano nel 1828 e nel 1861. Ma

gia nel 1734 a Prasco il marchese Spinola si lamenta che il suo mulino funziona a

ritmo ridotto e per mesi resta fermo perche il torrente Caramagna su cui e situato e

spesso IIIsecca.

Lasciando da parte i problemi legati aIle condizioni climatiche critiche, puntualmente

registrate dalle cronache, ci sono i problemi nati da beghe e cause giudiziarie di cui

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esiste un'interessante documentazione nell'archivio di Stato di Alessandria e IIIquello di Milano.

Velocemente diamo una scorsa a questo aspetto.

Nel 1440 i fratelli Nicola e Facino Inviziati hanno dei mulini suI Tanaro a

Montecastello, rna fanno presente alle autorita che altri vorrebbero impiantare unmulino vicino ai loro, ignorando i privilegi ducali di cui dispongono per quanto

riguarda I'uso delle acque.

Nel 1602 il marchese Carlo Guasco se la prende con Nicola Gavigliani che ha

spostato il suo mulino dalla zona degli Orti portandolo vicino a Borgoglio, proprio

davanti ai suoi mulini. '

Lo stesso marchese qualche tempo dopo lamenta il fatto che pescatori e barcaioli

rompano la chiusa dei suoi quattro mulini.

In anni pili vicini a noi (1880-82) troviamo un'intricata storia che riguarda un mulino

natante situato a monte di Pavone, fatto rimuovere dal Prefetto perche ostacolavaquelli preesistenti. II proprietario, certo Giuseppe Lingua di Montecastello, si appella

al Ministero delle Finanze, il comune di Alessandria fa 1 0 stesso presentando le

ragioni di altri proprietari che si ritengono danneggiati dal mulino Lingua, e si

scomoda anche il Genio Civile. Non so come sia finita la questione.

A questo punto viene da chiedersi che cosa resti dei mulini ad acqua di un tempo.

Prima di tutto tracce affiorate qualche anno fa, sul Tanaro ad Alessandria e sul Po a

Valenza, durante un lungo periodo di magra dei due fiumi. Si tratta di palizzate

(jicche e il termine tecnico) collocate obliquamente alla riva, che servivano a

convogliare l'acqua verso i mulini.In provincia i pochi mulini ad acqua superstiti, non pili attivi, costituiscono oggi

motivo di curiosita. Ne ricordo qualcuno: quello di Sorventino presso Roccaforte

Ligure, sopra Arquata, del Pio vicino a Carrega, un altro sul torrente Spinti dalle parti

di Grondona e uno nel comune di Bosio. Di particolare interesse, perche ben

conservato, e quello di Pavaglione, suI torrente Sisola nella zona di Mongiardino.

Questo mulino, che macinava anche le castagne, fa parte di un gruppo di fabbricati

che si affacciano su spazi comuni, un tempo sede di vita comunitaria e di forte

socializzazione. Si vede ancora la roggia che prendeva I'acqua dal torrente e con

un'apposita pendenza riempiva un piccolo invaso di accumulo a monte del mulino.

Dall'invaso una saracinesca regolava il flusso da immettere nella grande ruota di

cinque metri di diametro (detta girante). L'acqua tomava poi al torrente. In uno dei

fabbricati vicini c'era anche una fucina tuttora visibile.

Altri mulini sono in abbandono 0 adattati a cascinali, a magazzmi, msomma non

hanno pili niente dei caratteri originari.

Un esempio l'abbiamo qui vicino: e l'ex mulino di Loreto a Osterietta. E per restare

attomo ad Alessandria, nel giro di pochi anni sono scomparsi vari mulini ad acqua

ancora attivi al principio del Novecento: il mulino Zerba sul canale Carlo Alberto

vicino a Cantalupo, il mulino Manfredi e un altro su canali a ovest di Castelceriolo, eun altro ancora suI canale di Loreto a San Michele. Fino a un'ottantina di anni fa era

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attivo un mulino natante sul Tanaro, ancorato alla riva sinistra, subito a valle del

ponte della Cittadella.

Ne restano poi due 0 tre in val Cerrina, ad Altavilla e a Cuccaro sul torrente Grana,

pochi altri in val Bormida (ad es. a Visone) e nel tortonese lungo 1 0 Scrivia, il Grue eil Curone (tanto per fare dei nomi, oltre a Tortona ricordo Rivalta, Pontecurone e

Castelnuovo).

Concludendo, dai documenti e da altre testimonianze e chiaro che i mulini ad acqua

nell'alessandrino sono stati per secoli una realta molt6 diffusa, una presenza capillare

che ha lasciato segni persino nella toponomastica.

Basta armarsi di pazienza e leggere attentamente una carta dettagliata della provincia

e troviamo nomi che ricordano i mulini del passato, e infatti troviamo Molino dei

Torti, la frazione Molini di Fraconalto sopra Voltaggio, e local ita come Molina

Molinetto e simili nei comuni di Aiessandria, Pecetto, Felizzano, Albera Ligure ecc.

Un'ultima cosa: a mio parere, anche Ia diffusione di cognomi come Molina Molinari

ecc. deve pur dire qualcosa.

Bene, questi cognomi Ii trovo presenti in ben 50 comuni della provincia.