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I Piccoli Fratelli di Gesù Anno XII N° 23 - I Semestre 2010

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I Piccoli Fratellidi Gesù

Anno XII N° 23 - I Semestre 2010

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I PICCOLI FRATELLI DI GESÙ

BOLLETTINO SEMESTRALE

Tribunale Civile di Roma

Sezione per la Stampa e

l’Informazione

n. 00280/95 - 31/05/1995

Direttore Responsabile: A. Patané

Stampa: Parole&Colore Roma, 2010

I Piccoli Fratelli di Gesùc/c 44603447Casella Postale 48410121 [email protected]

Vita nelle viuzze del Cairo!

Non prevediamo unabbonamento per questa

piccola rivista, per nonlimitarne la diffusione.

Le spese di stampa e dispedizione, infatti, sono

contenute. Ognipartecipazione a

queste spese sarà,comunque, gradita.

Ai nostri nuovi lettori

Questo opuscolo ècomposto con brani di

lettere - in Fraternitàvengono chiamati “diari” -

che i Piccoli Fratelli si scrivonoliberamente per darsi notiziedelle loro vite nelle differenti

parti del mondo. Speriamo chequesta loro comunicazione vi

interessi e saremmo contenti dipoter leggere le vostre

impressioni.

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Da quando il no-stro fratello maggio-re, Henri, ha rag-giunto la fraternitàdel cielo, continuia-mo la nostra vita quiin tre. Elias: é partitoall’inizio del mese inColombia per ac-compagnare Rigo-berto e Jorge a Iba-gue, la fraternità inqualche modo ge-mellata alla nostra;si fermerà fino allasettimana prossimapoi ritornerà qui tranoi.

Noël: approfittan-do della sua “giovi-nezza”, è sempre molto attentoalle molteplici occupazioni dellacasa e, allo stesso tempo, cercadi essere più disponibile per il

quartiere visitando l’uno o l’altro,soprattutto perché tra questi a-mici e vicini (di una certa età)non mancano coloro che sono

Leggendo la storia “al rovescio!”di Benito: Santiago (Cile)

La Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù festeggerà que-st’anno i suoi 60 anni in Cile. Benito ci ha vissuto alme-no una trentina d’anni. All’inizio del 1998 ha avuto unagrave emorragia cerebrale, allora era a Lima in Perù.Dopo un anno di cure e di rieducazione, in parte in Eu-ropa, – nonostante il suo handicap- è rientrato in Ame-rica del Sud, e questa volta, di nuovo a Santiago, dovevive tuttora!

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in precarie condizioni di salute oin qualche modo convivono condei limiti particolari. Ora che tut-ti e tre siamo pensionati, è beneche siamo particolarmente at-tenti a loro, siano essi del quar-tiere o meno. È ciò che fa princi-palmente Noël, Elias fa anchelui la sua parte; quanto a me, in-vece, essendo molto limitato,non li seguo che alla lontana,beneficiando io piuttosto dellaloro vigile attenzione quotidianache spesso non manco di disil-ludere.

Poiché, anche se da circadodici anni, il Signore ha per-

messo di situarmi “al rovesciodella storia”, frequentementecome inutile, si è trattato di ungesto d’amore che, da allora,cerco di comprendere.

Si tratta di una ricerca a ta-stoni, il cammino non è semprechiaro, e ancor meno è chiara ecorretta la mia risposta a ogni i-stante. “Che m’importa” mi dicofacilmente; la ricerca tuttavianon cessa di essere appassio-nante e il dialogo mi riempie digioia per i tanti gesti d’incorag-giamento e per le numerose lu-ci che si accendono sul miocammino.

Posso arrischiarmi a rac-contarvene qualcuna tra quelleche riesco a percepire? Provia-mo.

Prima di tutto c’è il Signore,sempre attento in modo mirabi-le, che mi ha lasciato ancora al-cune attitudini sulle quali biso-gna che stia attento cercando diesercitarle per dipendere il me-no possibile dai miei fratelli e a-mici; in altre parole cercare diessere per l’ambiente in cui mitrovo un peso leggero il più pos-sibile.

Ecco chi stabilisce in parten-za buona parte del mio cammi-no. Questo però non impediscedi sentirsi situati “al rovesciodella storia”, incapaci di guarda-re alla vita e a gran parte delleElias, Jancito, Benito, Noël.

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sue attività con gli occhi dellagente “normale”. Non potrebbequesto diventare un’occasionebuona per essere più attento atanti altri che si trovano, an-ch’essi, per una ragione o perun’altra “al rovescio della storia”cercando di essere veramenteun “loro fratello”? Questo mi èdi grande aiuto per il mio lavoroculturale con un gruppo di vici-ni. Oh! Non illudetevi; si tratta diun “lavoro” non ancora chiaro,per lo più indefinibile, un po’pazzo per quanti ci vedono unvalore nascosto e che cercanodi metterlo in evidenza renden-do questo “lavoro culturale” unpo’ più redditizio facendolo usci-re dal suo aspetto puramente

“culturale” e dunque “a lungotermine”. Che il mondo dei po-veri e della gente ordinaria di o-gni sorta sia generalmente rin-viato “al rovescio della storia” èun’esperienza comune.

Perciò parlare di una cultura“popolare”, sembra per moltiuna contraddizione in sé; oltreal fatto che frequentemente c’éuna confusione sul termine “cul-tura”, voi non troverete da nes-suna parte né una facoltà né unsemplice corso su un tema cosìpolemico. Rimane solo il lavorodi ascoltare questa cultura nellavita concreta dove essa si for-gia e si esprime per decifrarla etentare di formularla per darleun “diritto di cittadinanza”. Si

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Noël, Juancito, Benito, Elias (Henri nel quadro retro).

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tratta, allo stesso tempo, di unlavoro nel quale conviene a-scoltare le reazioni, quelle piùsemplici della quotidianità,prendere sul serio la gente inciò che dice e vive, cercare didecifrare il perché e come pren-de le decisioni, per dare, in se-guito, un’espressione comuni-cabile a tutto ciò. Questo per ar-rivare a rendersi conto che, so-vente, le persone semplici sonoi “beati” di oggi che ci indicanofrequentemente i sentieri segre-ti del Regno e della felicità u-mana.

Evidentemente faccio quiuna sintesi in poche righe di unlungo cammino fatto di tentativie pieno di correzioni. Non mipermetto di affaticarvi con i lun-ghi cammini tenebrosi di questainterpretazione, ma vi invito al-meno a indovinare come si puòtrarre profitto e trovare interes-se e gioia in questa mia situa-zione “al rovescio della storia”.Sono incapace di scriverlo cor-rettamente, immerso come so-no in questa cosa bizzarra della“cultura popolare”

Se me lo permettete, questaconsiderazione mi fa prenderecoscienza di come qui, in Ame-rica Latina, ho l’impressioneche abbiamo portato con noi, inmodo generalmente inconscio,la nostra cultura europea che ci

permetteva di inserirci, senzagrandi problemi, in questi paesi“indipendenti” da più di 200 an-ni, in seguito a dei problemi po-litici europei.

Questo cammino era, pro-babilmente il più “normale”, cioèinevitabile, a causa di ciò chenoi eravamo e di quello che e-rano questi paesi, divenuti “indi-pendenti” assumendo la culturacoloniale, cioè europea. Restatuttavia un grande lavoro di in-culturazione, come lo propone-va la Conferenza dei vescovidel Continente, riunita a Pue-bla, una trentina di anni fa, perricuperare la ricchezza dellacultura dei popoli autoctoni cheera stata accantonata “al rove-scio della storia” durante il colo-nialismo, ma che, può darsi sot-to l’influenza del movimento diEvo Morales in Bolivia, ricuperagradualmente una nuova giovi-nezza e nuovo vigore. Culturaprofondamente comunitaria, edunque “orizzontale”, al postodel “verticalismo” europeo chearriva solamente a pensare auna “comunità” partendo daquelli che si situano al di fuori diessa, ritenendosi “ superiori”.

Se tale percezione non ècompletamente errata, mi sem-bra che ci sia molto lavoro perle generazioni future; tenendoconto anche che noi siamo una

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fraternità di “pensionati” qui aSantiago; pensionati dal lavoroproduttivo, certamente, ma nona livello di cammino al seguitodi Gesù di Nazaret che, spez-zando ogni “verticalismo”, ci harivelato che Dio stesso è venu-

to tra di noi in una prospettiva o-rizzontale, come un membrodella nostra comunità, comenostro fratello, venuto per farefraternità con noi, e mi arrischioanche a dire, proprio a partiredal “rovescio della storia”.

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«Come far conoscere la vocazione della Fraternità?Come dare a dei giovani che sono in ricerca

il gusto e la possibilità di entrare da noi? Questi interrogativi ritornano sovente,

come una preoccupazione: “Perché siamo così pochi per tenere viva nella Chiesa e nel mondo

una vocazione così evangelica?»

(Fraternità Generale, questioni al Capitolo del 2008)

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La Regione del Giappone etutti i fratelli mi hanno incorag-giato a seguire un corso di for-

mazione per “formatori”. Hodunque lasciato il mio lavoro e imiei colleghi che stimavo moltoe ho portato con me nelle Filip-pine le lacrime del mio padronee dei miei amici, ma anche la fi-ducia, la gioia e la speranza deimiei fratelli del Giappone. Nonavevo paura di andare a studia-re nelle Filippine, tuttavia ero unpo’ preoccupato a causa dellamia poca conoscenza dell’in-glese.

Sono stato accolto calorosa-mente dai fratelli che mi hannoaiutato a entrare nel program-ma dell’“Istituto della Vita Con-sacrata in Asia” destinato ai for-matori. Mi sono immediatamen-te trovato con molti amici, reli-giosi provenienti dalla Cina, dal-

A ciascuno il suo “Dayenù”di Giang: Wakayama (Giappone)

È stato chiesto a Giang di prendere in mano la forma-zione dei giovani che entrano in Fraternità nella Regio-ne. Per prestare questo servizio egli ha accettato di se-guire prima un periodo di “Formazione per formatori”. Inquesto diario egli utilizza ripetutamente la parola“Dayenù” (ciò mi sarebbe bastato!). Questa parola è larisposta che gli ebrei ripetono durante il rito Pasqualeascoltando la proclamazione di tutti i benefici di Dio ver-so il suo Popolo. Ad ogni dono del Signore essi escla-mano: “E questo ci sarebbe bastato”= Dayenù

Giang - Il giorno della Professione!

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la Corea, dal Giappone, dalleFilippine, dalla Malesia, dall’In-donesia…

Il programma ha cominciatocon lo studio della TeologiaFondamentale, temi di Antropo-logia, insegnamenti sui carismi,le culture e la conoscenza disé… Il punto focale di tutto ilprogramma è la relazione conse stessi, con gli altri e con Dio.Dopo ogni sessione ero assaiaffaticato poiché si richiedevaun costante dispendio di ener-gie del corpo. Ciò tuttavia mi hadato una grande gioia perchéfacendo fiducia agli altri, ho po-tuto farmi conoscere da loro, hopotuto ascoltarli e condividerecon loro, scoprire ciascuna per-

sona come unica e preziosa a-gli occhi di Dio.

Una sessione del program-ma si chiama: “Dayenù”. È unaparola ebraica che significa:“Ciò mi sarebbe bastato”.Il“Dayenù” vuole esprimere le a-zioni meravigliose di Dio nellamia vita. È un modo di riprende-re coscienza della mia storiapersonale con Dio. Tale storia èradicata nelle mie esperienzepersonali di Dio, concrete comela roccia. In altri termini è comese dicessi: dico questo perchéin quegli avvenimenti ho incon-trato Dio personalmente.

Nato in una famiglia tran-quilla del sud del Vietnam, ave-vo otto anni quando ho visto

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Giang (a destra) sul lavoro!

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mio padre assassinato davantiai miei occhi.

- Se Dio mi avesse creato enon mi avesse ripreso il mio a-matissimo padre, ciò mi sareb-be bastato.

Desideravo entrare in unascuola militare per diventare au-tista al termine dei miei studi.Era il momento in cui i comunisticontrollavano tutto il Vietnam.

- Se Dio mi avesse dato unavita di studente felice e non a-vesse interrotto i miei studi, ciòmi sarebbe bastato.

Sono stato inviato in uncampo di concentramento pertre anni dove ho preso la mala-ria e dove ho rischiato vera-mente di morire.

- Se Dio mi avesse lasciatoin vita in quel campo e non a-vesse permesso la malattia, ciòmi sarebbe bastato.

Sono stato salvato dal capodel partito comunista locale emi sono innamorato della suasorella più giovane. Sono poiscappato da quel campo di con-centramento.

- Se Dio mi avesse dato unanuova vita e mi avesse lasciatosposare con la mia amica, enon mi avesse guidato nellamia evasione da quel campo,ciò mi sarebbe bastato.

Alla ricerca di libertà sonoscappato in barca dal Vietnamuno tra i tanti “boat people”. Hopassato cinque notti in maresenza mangiare, ho perso un

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…pulviscolo nell’infinito!

Ecco il mio “Dayenù”:

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compagno di viaggio, la barca èaffondata ed io sono stato sal-vato dagli operai di una piat-taforma per la perforazione delpetrolio in alto mare.

- Se Dio mi avesse liberatoda quel periodo buio in Vietname mi avesse dato una nuova vi-ta una seconda volta senzatroppa sofferenza durante ilviaggio in mare, ciò mi sarebbebastato.

Sono arrivato in Malesia inun campo di rifugiati, scopro ilcristianesimo e mi converto aquesta rivelazione: Dio è Amo-re. Non desidero più altro cheamare per il resto della mia vita.Mi innamoro di nuovo di una ri-fugiata vietnamita nel campo.

La sua partenza per l’Americami fa terribilmente male.

- Se Dio avesse aperto il miocuore all’amore e non avessemandato lontano la mia amica,ciò mi sarebbe bastato.

Mi innamoro di Gesù di Na-zaret e così entro tra i PiccoliFratelli di Gesù in Giappone.

- Se Dio mi è venuto incon-tro come un povero operaio diNazaret e non mi ha cacciatofuori dalla fraternità, ciò do-vrebbe bastarmi!

In tutte le cose “basta” vuoldire “basta”, ma l’Amore nonconosce questa parola!!!

Con una tale sessione sullaconoscenza di se stessi e delproprio “Dayenù”, noi ora siamo

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Giang, Masalu, Ludo.

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diventati più “prossimo” gli unidegli altri, più aperti e più fidu-ciosi come degli amici. In segui-to abbiamo imparato qualcosasulla direzione spirituale e suldiscernimento spirituale. Abbia-mo lavorato in piccoli gruppi(2x2) per imparare in modo pra-tico il ruolo di direttore spiritualee anche per come ricevere unadirezione spirituale nella vitareale. Prima di iniziare il dialogoc’era sempre un momento dipreghiera silenziosa. Con lacri-me e sorrisi ho conosciuto lastoria di un mio amico cinese, lesue ferite, la sua tristezza, lesue difficoltà, ma anche la suagioia, la fede e la speranza…“Un compagno con cui si condi-vide il pane, con cui si condivi-de non solo ciò che sappiamoma anche ciò che siamo, par-lando non solo di Dio in genera-

le ma del mio Dio che mi fa vi-vere”.

“Quando venne il giorno del-la Pentecoste, si trovarono riu-niti tutti insieme: e furono tutti ri-pieni di Spirito Santo e si mise-ro a parlare altre lingue, comelo Spirito dava loro la forza diesprimersi…” (At. 2,1-4)

La lingua utilizzata in questotempo di apprendistato era: fi-ducia, apertura, amore fraterno.Proprio questo vuole esprimereil testo degli Atti nel giorno diPentecoste: “Parlare la linguadell’altro”. È un dono preziosodello Spirito che si sperimentanella vita religiosa. Questo miha permesso di superare le mieansie per la poca conoscenzadell’inglese, d’avere il coraggioe la gioia di continuare il dialogoe di ascoltare gli altri con que-sto linguaggio della FIDUCIA edell’AMORE.

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Da qualche tempo alcunifratelli mi hanno scritto chie-dendo cosa ne è stato di medopo che ho terminato il mioservizio alla Fraternità Genera-le, e tra l’altro chiedono spiega-zioni e, in particolare, per qualemotivo non sono rientrato in Li-bano.

Prima di tutto mi chiedono ilperché io abbia scelto e chiestodi venire in Egitto e poi di rac-contare come mi trovo a Chou-bra el Khayma dopo i primi ottomesi di vita vissuti qui.

Allora: perché ho scelto echiesto al Consiglio regionaledi venire a vivere qui? Sarebbestato più normale e anche più

facile per me rientrare in Liba-no o in Siria dove avevo vissu-

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EGITTO: vita di un fratello nella periferia del Cairodi Domenico (Abdo): Fraternità di Choubra el Khayma

Choubra el Khayma è un quartiere di periferia di circa 2milioni di abitanti al Nord del Cairo. Il Cairo ne conta cir-ca 20 milioni quasi esclusivamente di origine rurale edel Sud del paese.C’è disoccupazione ma ci sono anche alcune piccolefabbriche soprattutto nel settore tessile dove il persona-le è molto mal pagato. Cristiani e Musulmani (la stra-grande maggioranza) vivono in buona armonia, almeno,così mi sembra.La Fraternità c’è da parecchi anni e, praticamente dasempre, ci sono dei fratelli di origine araba (io sonoun’eccezione!).

Abdo.

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to 30 anni. Ho comunque scel-to di venire in Egitto in pienacoscienza delle difficoltà cheavrei incontrato. Come mi tro-vo quindi a Choubra el Khay-ma?

Le mie giornate sono pienedi piccole cose, non molto bril-lanti, ma proprio questo mi ren-de felice.

Concretamente, quasi ogni

giorno, faccio la spesa e mi oc-cupo della cucina.

Sovente, ogni volta che mi èstato chiesto, durante questimesi di vita fraterna comune, hoaiutato Girgis per l’Inglese.

Ogni giorno mi piace pren-dermi del tempo, in modo rego-lare, per pregare e mantenereanche un ritmo mensile per unritiro. Nella mia preghiera desi-

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…il quartiere della Fraternità.

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dero portare tutti i vicini e parti-colarmente quelli che incontromentre vado a fare la spesa dibuon mattino al mercato, e que-sto tutti i giorni.

C’è un gran numero di ra-gazze, nostre vicine, che vannotutte le mattine a lavoro; ci sonotanti disoccupati che non sannocome passare il tempo; in più,donne e bambini che, dal primomattino, cercano nel cumulod’immondizie disseminate nellegrandi stra-de o nellepiccole viuz-ze del no-stro quartie-re; c’è tantagente chearriva pre-sto dai din-torni dellacittà con icarretti pienidi legumi,trainati damuli o asinispesso ri-dotti all’ossoe semprea f f a t i c a t i ,come i loropropr ietar id’altronde:una voltaslegati, mu-

li e asini si mescolano ai greggidi pecore, nere per la sporcizia,e si mettono anche loro a cer-care nella spazzatura.

C’è della gente che dormeper strada; le vecchiette sedu-te ogni giorno allo stesso postoche vendono i pochi legumiche possiedono, qualcos’altrodi cui dispongono; senza di-menticare gli anziani (uomini edonne) sempre seduti a oziareall’ombra di un muro di terra in

… per strada: ispirazione per la preghiera quotidiana!

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ciò che resta del quartiere vici-no dove abitano ancora dei ri-fugiati del Sinai che non sonomai più rientrati da loro.

Queste sono le persone chefrequento ogni mattina e nonsolo fisicamente ma anche den-tro di me. Non vivo come loro,non posso fare grandi cose perloro, ma voglio stare qui per lo-ro: tutto ciò, insieme alla mia re-lazione col Signore, dà un valo-re alla mia vita attuale. Nonpenso che mi sia richiesto di fa-re altro.

È vero che non ho qui unavita di relazioni come prima; inpassato esse erano state sem-pre legate al mio lavoro e al vi-cinato. Qui con i vicini ci scam-biamo un “saluto”, o nelle scaleo subito fuori, con i due o tre fa-legnami che gestiscono i lorolaboratori al piano terra.

Ci sono però dei piccolissi-mi gesti di attenzione che sonocommoventi, per esempio quel-lo di Maria, una bambina di cir-ca quattro anni che abita sottodi noi, e che io non avevo an-cora notato; un giorno in prepa-razione alla Festa dell’Assun-zione, era il momento del “di-giuno della Vergine” , lei hasuonato alla porta senza per-dersi d’animo, per darmi tre

piccoli panini dolci augurando-mi: “Che tu stia in buona saluteogni anno!”.

Anche in parrocchia, an-dando alla Messa o al ritorno,saluto qualche persona che ri-conosco o che mi avvicina, op-pure l’uno o l’altro dei giovaniche vengono alla Fraternità oche appartengono al gruppodella fraternità secolare delquartiere.

Io sono sempre troppo ra-zionale e logico, critico e inquie-to nel vedere il lato negativodelle cose… Mi domando alloraogni volta: è possibile che iopossa cambiare? Di fatto e mol-to difficile che si cambi, ma conl’aiuto dell’età, può darsi che sipossa integrare qualche altracosa,…liberi di ricominciaresempre da capo!

Ad ogni modo nella mia vi-ta qui, mi sono già abituato unpo’ di più alle stradine piene dibuche del nostro quartiere; al-la sporcizia e agli odori chepervadono l’ambiente, soprat-tutto in estate; agli sballotta-menti degli autobus, piccoli egrandi, che mi spaventanosempre un po’ (quando posso,comunque, cerco di evitarliprendendo la metropolitana);alla polvere e all’assenza diverde (c’è ancora qualche

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campo al lato della nostrachiesa parrocchiale e qualchevolta vado di proposito a ve-derli e…persino a passeggiar-vi, ora che li stanno arando).

Ora devo far fronte al calo-re dell’estate, sperimentandol’eccesso di sudore fin dalmattino appena si esce o ap-pena si fa qualche cosa, ser-virmi dei ventilatori che non homai potutos o p p o r t a r ema che biso-gna assoluta-mente utiliz-zare col ri-schio altri-menti di unaspossatezzagenerale. C’èpoi il rumoredella stradas o p r a t t u t t odurante lanotte (in que-sto periodoviene un po’di calma ver-so l’una dopola mezza not-te, o anchepiù tardi), edire che io houn sonnomolto legge-ro! Beati

quelli che possono dormire inqualsiasi situazione, a qualsia-si ora nonostante il fracasso,come i miei fratelli egiziani!

Evidentemente quando ilmorale è un po’ basso, mi chie-do fino a quando posso tenerecon questo ritmo alla mia etàe,…visto chi sono! Tuttavia, al-meno per il momento, mi tran-quillizzo pensando che siamo in

…noi ti preghiamo!

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tanti a vivere questa situazio-ne!…

Ecco, questo è un po’ il tuttodella mia vita attuale al Cairo, inquesto quartiere di due milionidi abitanti, che abbonda di po-vertà materiale e non solo…

Non posso dire di non esse-

re contento, anche se a volte nesento la difficoltà. Ma, in fin deiconti, non è in situazioni comequeste che noi vogliamo vivere?

Fraternamente a ciascunodi voi

Abdo

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«Il filo conduttore delle discussioni durante il Capitolo èstato: “Come suscitare la vita”. - Da qui siamo giunti al-l’interrogativo sull’avvenire della Fraternità. (…) La Fra-ternità è una comunità fragile, non solo perché oggi igiovani fratelli sono pochi e gli anziani sono sempre piùnumerosi in proporzione, ma anche perché la fragilità leè propria, è il suo cammino: è il vuoto che Dio vorrebbecolmare con la sua forza. (…)Per questo i fratelli più anziani, venuti dall’Europa, sonomolto felici del soffio nuovo dato dalla presenza di gio-vani, essi sono generatori di vita, sia per gli altri fratelliche per gli amici. Attraverso di loro, tutta la Regione èringiovanita».

Capitolo di Yaoundé 2002: Atti

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di René:Salute a tutti!Qualche giorno dopo esser-

ci installati nella nostra “NuovaNazaret”, abbiamo tentato di in-trodurci nell’ambiente comin-ciando a farci qualche nuovoamico. Cosa non semplice all’i-

nizio, poiché essendo appenaarrivati, siamo oggetto di diffi-denza e d’interrogativi per lamaggior parte della gente. Colpassare del tempo, però, e conl’aiuto di Dio le cose si sono ag-giustate e ne siamo fieri, es-sendoci già fatti conoscere da

Due giovani fratelli a Douala (Camerun)di René e Pius - Fraternità di New Bell

Due giovani fratelli camerunesi vivono a Douala, gran-de città commerciale nel Sud del Camerun. La vita nelquartiere è marcata dalla povertà, dalla disoccupazionee da una grande violenza. René e Pius ci raccontano illoro primo impatto nell’ambiente e sul lavoro.

Pius e René nel quartiere di New Bell.

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qualche persona intorno o nellevicinanze; cerchiamo così didare forma concreta a ciò cheabbiamo imparato durante ilnoviziato.

Quanto al lavoro, non ne hotrovato uno che mi assicuri unsalario, tuttavia non sono disoc-cupato; faccio il disponibile allafraternità.

Qualche volta mi capita dioccupare il tempo che ho a di-sposizione per incontrare deigiovani che avevo conosciuto aBafoussam (dove ho fatto il no-viziato), sono studenti che oggivivono qui a Douala. Ci incon-triamo per condividere insiemequalche inquietudine sul loroavvenire che sembra abbastan-za incerto, vista la situazionepolitica, spirituale, morale edeconomica del nostro paeseche lascia parecchio a deside-rare. Alcuni di loro (le ragazzesoprattutto) si avvicinano pergiustificare i comportamenti pa-recchio dubbiosi che esse intra-prendono per soddisfare i loromolteplici bisogni; dicono, infat-ti, che i tempi sono duri! Cer-chiamo di arrivare a una certacomprensione almeno su unpunto: bisogna sperare nono-stante tutto, Dio, infatti, sa doveci vuol condurre.

Siamo in un quartiere, doveregna l’insicurezza, ciò mi fa ca-

pire il senso della nostra pre-senza in un ambiente del gene-re: presenza silenziosa e di-screta, strumenti di Cristo alservizio dei suoi fratelli. Nonpassa una sola notte senza chesi senta gridare: “Al ladro, al la-dro;…prendetelo!”, oppure“Aiuto, aiuto!”. A volte mi vienevoglia di uscire dalla mia stanzae di buttarmi in acqua tra que-ste persone disperate!

Sono felice a Douala, dovecomincio a gustare la realtà di“Nazaret” e ad approfondirla. Mipiace vivere qui e mi godo i mo-menti di grazia in quest’atmo-sfera della città che mi fa pro-gredire verso il fine dandomil’opportunità di mettere alla pro-va la mia fede in Dio. So di Chimi sono fidato, e soprattutto sodi avere parecchi fratelli che misostengono in questo camminoverso la Terra Promessa.

di PiusCome sapete, sono un car-

pentiere/muratore. Da quandosiamo arrivati a Douala, io eRené, il 12 Gennaio 2009, hopotuto lavorare ogni giorno indiversi cantieri privati. Lavorocon alcuni amici miei che cono-scevo da prima. Siamo una“equipe” di tre persone. Il fatto

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che siamo tuttie tre muratori cilega e così,quando uno tro-va del lavorochiama gli altridue. Mi piacestare con loroperché c’é unabuona intesa tradi noi, essi san-no che devorientrare a unacerta ora per lapreghiera co-munitaria con imiei fratelli.

Siamo pa-gati alla giorna-ta, abitualmentedi sabato.

Durante il fi-ne settimanacapisco meglio perché i fratellivivono in mezzo alla gente econdividono la loro vita. Ciò chepiù mi fa male è il sabato quan-do non siamo pagati; diventa ungiorno penoso con l’aggiuntadella stanchezza dei giorni pre-cedenti. Il sabato, quindi, abbia-mo l’abitudine di rientrare tardiin fraternità proprio perché dob-biamo aspettare per aver il sa-lario, e qualche volta aspettia-mo finché il proprietario non ar-riva per dirci che non ha i soldi.

Un altro aspetto della condi-

visione di vita con la gente èl’ambiente dove stiamo lavoran-do in questo momento: al mer-cato “Congo” in una moschea.Al mercato “Congo” ci sono tan-te moschee, una affianco all’al-tra, costruite da gente di paesidifferenti come i Senegalesi, iMaliani e tanti altri. Non manca-no i cinesi che vengono, ovvia-mente, per fare del commercio.Siccome ci sono commerciantidi vario genere, c’è pure ungran numero di “Portatori dihandicap”: zoppi, invalidi, cie-

Come sapete, sono carpentiere!

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chi, matti,… per non parlare deiladri! Secondo la categoria diciascuno, essi/e hanno il mono-polio di un posto proprio permendicare.

Gli zoppi e i portatori dihandicap si sistemano piutto-sto lungo la strada; alcuni sononelle sedie a rotelle, ma quan-do chiedono l’elemosina, sisiedono per terra. I matti e iciechi girano, vanno e vengo-no. Sovente i ciechi sono gui-dati da bambini dai sette ai do-dici anni.

La maggioranza delle donnecieche porta un bambino sullespalle, e quando guardi a quelpiccolo sulle spalle e all’altrobambino che conduce la mam-ma per mano, viene subito da

chiedersi: quale sarà l’avveniredi questi bambini?

I ladri sono soprattutto deigiovanissimi ragazzi senza la-voro. Fanno il giro del mercatoin cerca di qualcosa da rubare.Si riconoscono dalla faccia. Ilpiù sovente gironzolano attornoalle moschee, quelli che vengo-no a pregare si lamentano per ifurti delle loro scarpe!

Un giorno ho sorpreso unragazzo che frugava nei nostriabiti laddove abitualmente cicambiamo per il lavoro,…èscappato. Mi sconvolge un po-co il fatto che i ladri siano spes-so dei musulmani che vengonoda altri paesi.

Mi chiedo allora, come han-

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Pius e René: …curare il vicinato.

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no fatto ad arrivare fin qui! Soche si tratta di musulmani per-ché alle sei o alle sette di sera,si raggruppano attorno alla mo-schea centrale per la preghieradella sera.

In quanto alla vita qui nelquartiere, siamo ancora nuoviper i nostri vicini. La gente nonmi conosce troppo perché partoal lavoro molto presto il mattinoe rientro alla fine della giornata.

“Continente ricco per la sua diversità, l’Africa appare co-me un corpo malato, ma la sua frattura più profonda stanella crisi di identità che l’Africano di oggi percepiscenel suo stesso essere,(…) C’è poi la corruzione, l’ingiustizia e il tribalismo cheminacciano la società: (…) E tuttavia, si ha la chiara im-pressione che gli Africani amano vivere, accogliere,cantare, danzare. Essi danzano per la vita e per la mor-te; vera terapia che li preserva dalla depressione e dalsuicidio”.

(Atti del Capitolo di Yaoundé: 2002 “Suscitare la vita”)

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Da quando ho cominciato alavorare a San Rafael (residen-za per anziani diretta dai fratellidi San Giovanni di Dio), misembra di aver imparato, pocoa poco, a essere paziente e a fi-darmi degli altri, a starmi zittoquando bisogna tacere, a difen-dermi quando è necessario, adamare gli anziani sentendomimolto vicino a loro. Ormai rie-

sco ad amarli. Il lavoro richiedemolta pazienza, molto impegnopersonale e tanto spirito di os-servazione. Abbiamo a che farecon delle persone che soventehanno bisogno soprattutto di af-fetto, di tenerezza e di amore.Gli assistenti che hanno cura diloro sono la loro famiglia, sonoloro, infatti, che essi vedonocontinuamente. Le famiglie di

sangue spesso re-stano delle settima-ne senza venire avederli, dei mesi oanche degli anni equalche volta essenon li hanno mai piùrivisti del tutto.

Giorno per giornomi rendo conto se unanziano gode di buo-na salute o meno; seil suo comportamen-to è cambiato; possoinformare l’infermie-re o il medico sul suostato di salute. I soli

“Scena di vita quotidiana”di Raudel - L’Avana (Cuba)

Raudel è un giovane fratello cubano a L’Avana e ci par-la della sua vita, del suo lavoro tra gli anziani, dell’am-biente del quartiere, dei giovani che incontra, obbligati asopravvivere senza soldi e senza lavoro!

Raudel (sinistra).

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giorni che non posso stare conloro sono il Sabato e la Dome-nica che dedico a studiare l’in-glese, stare in fraternità, andarea Messa e incontrare le PiccoleSorelle.

Il lunedì per prima cosa pas-so in infermeria per chiedere sec’è qualcuno in osservazione,passo a salutarli, per vedere co-me stanno e,… se qualcuno èmancato, prego per il suo ripo-so eterno. Questi anziani hannolasciato già un segno nel miocuore, sento tenerezza per loro,li ricordo tutti e mi dispiacequando qualcuno non c’è più.Non è per niente facile lavorareda solo con ventisei anziani sot-to la tua responsabilità: ti stan-chi e hai bisogno di prendertidei momenti di respiro per con-tinuare. Ci sonodue colleghi che,a mio avviso,non trattano glianziani con quel-l’umanità chemeritano, e so-vente bisognatacere per nonavere storie conloro.

Al mio rientroin fraternità, do-po il lavoro, hoappena il tempoper riposare e

per pregare. Non mi è facile de-dicare del tempo alla fraternitàtra il fracasso della musica e deigiochi davanti alla nostra casa.

A Indaya, il quartiere di L’ A-vana dove viviamo, quasi tutti,per far fronte alla crisi, vendonoalla chetichella nella strada ofanno dei piccoli “traffici” o sidanno al gioco. Non so se tuttisaranno capaci di vivere o disopravvivere. La maggior partenon lavora e chi ha un lavoro,spesso gli basta appena percomprare degli abiti alla moda.Altri si dimenano invano per pa-gare i loro debiti e affrontare ledifficoltà economiche.

Cercando di vivere il Vange-lo in mezzo alla gente, ci si ren-de conto come ciascuna perso-na ha qualcosa da apportare al-

La Professione di Raudel.

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la nostra preghiera, qualcosache ha un valore per la vita.Questo per me é “vivere il Van-gelo”, il messaggio di Charlesde Foucauld: essere segno delRegno tra la gente.

Molta gente ci aiuta, ci inter-pella e alimenta il nostro spirito;questo è bello e, quanto a me,devo rendere grazie per averedegli amici che mi aiutano a “to-gliere le spine”.

C’è anche un gruppo dibuontemponi di quelli che vivo-no alle spalle delle loro donne

che poi trattano come schiavefacendole lavorare per mante-nere i loro vizi e la loro poltro-neria. Ci sono pure quelli chevogliono dettare legge, fare i“Maschiacci”, gli approfittatori;gli ubriaconi e….

Mi chiedo che cosa avverràdel nostro popolo cubano, sem-pre in preda a delle “crisi” e og-gi,… con questa crisi economi-ca globalizzata! Fin dove si arri-verà? Può darsi si giunga allascomparsa del “cubano”, alla fi-ne dell’Isola e, allora, su chi fa-remmo ricadere la responsabi-

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…crocchio abituale nei dintorni!

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lità di ciò che accade? Sul bloc-co? Sulla “grande crisi”? …Suche cosa?

È vero che a Cuba, c’è moltagente che non produce niente e,a parte il piccolo commercio, ci

sono molte persone che vivonosfruttando e rubando l’economiadel Paese. Ad ogni modo, oradobbiamo pagare le malefattecreate dall’uomo stesso. Non sipuò vivere in questo modo!

I fratelli di Cuba, al gran completo!

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Carissimo Charles, fratello mio,(...) Una delle grandi cose che tu ci hai in-

segnato è: “Essere umani”, talvolta è il solomodo per rompere le barriere e per parlare diDio.

Al termine della tua vita, tu sei andato dasolo in mezzo ad un popolo sconosciuto, e lasola cosa che hai fatto, è di esserti avvicinato aloro rispettando e valorizzando la loro cultura,e di esserti lasciato accogliere da loro e di cre-dere che Dio operi, anche se sono necessari“dei secoli”, come tu stesso dicevi.

Quando sei morto, Moussa, il capo Tuareg,ha scritto alla tua sorella queste semplici paro-le: “Charles il “Marabut”, non è morto solo per

voi, è morto anche per tutti noi. Che Dio gli dia la Misericordia, eche noi possiamo rincontrarci con lui in paradiso!”.

Oggi, come ben sai, si parla tanto di comunicazione, ma cia-scuno si chiude nel suo piccolo cerchio perché la differenza ci fapaura. Per te, al contrario, la tua passione è stata quella di andareverso il più lontano e lo hai vissuto fino in fondo.

Che spirito ci comunichi! Penso di sapere quali pensieri ti abi-tavano il 13 Novembre, il giorno della tua Beatificazione: avevi unafaccia da “Beato”! Proprio quella che tu hai sulla foto qui affianco.Essa è un po’ mossa, ma si vede chiaramente che sorridi e checammini verso “l’altro”, proteso per l’incontro. Sei proprio tu! Ed èquesto che ci piace di te.

Mi permetterai di finire questa lettera come tu finivi le tue al tuoamico Gabriele: “Ti abbraccio con tutto il cuore come ti voglio bene”.

Marc, tuo piccolo fratello

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Estratto da“Lettera di Marc a fratel Charles”

fratel Charles.

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BUONA PASQUA!

Pasqua - “Pesah” in ebraicovuol dire “passaggio”.

Non è la festa dei “residenti” o degli “arrivati”. La Pasqua è per gli spiriti “migratori”,

per i “ricercatori” di un rinnovo quotidianodella loro “poca fede” e della loro “speranza”

sovente così fragile! Pasqua è Cristo Risorto e Vivente:

dalla morte alla vita!

…e, allora,

BUONA PASQUAa tutti!

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INDICE

Leggendo la storia “al rovescio!”di Benito: Santiago (Cile) pag. 3

A ciascuno il suo “Dayenù”di Giang: Wakayama (Giappone) » 8

Egitto: vita di un fratellonella periferia del Cairodi Domenico (Abdo): Fraternità di Choubra el Khayma) » 13

Due giovani fratelli a Douala (Camerun)di René e Pius - Fraternità di New Bell » 19

“Scena di vita quotidiana”di Raudel - L’Avana (Cuba) » 24

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