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Pour les Ouatchi du Togo sud-orien- tal, la relation presque incessante entre hommes et forces qui habitent le monde de l’invisible structure la vie religieuse, sociale, politique aussi bien que la con- ception de la personne et du soi. Le féti- che, c’est à dire l’objet à travers lequel les hommes cherchent à communiquer avec les forces chaotiques qui gouvernent le monde et en même temps à les contrô- ler, est l’expression matérielle d’un systè- me de relations très complexe. Parmi ces fétiches les amedzodzo ont une place qui n’est qu’apparemment marginale: il s’a- git d’objets qui témoignent le "retour” d’un ancêtre dans un nouveau-né, ils sont donc porteurs d’une relation privilégiée avec le monde des morts aussi bien que garants de la continuité du lignage. Leur genèse et leur aspect ne diffèrent pas beaucoup de ceux des vodu mais leur di- mension plus intime simplifie considéra- blement leur forme et les cérémonies qui les regardent. En tant que signe d’une re- lation personnelle avec l’au-delà et mani- festation d’ouverture et de multiplicité vers l’extérieur, visible et invisible, ils sont importants pour comprendre la con- ception que l’individu a de soi. Lo studio oggetto di queste pagine, è il risultato di una ricerca sul campo svolta tra il 2001 e il 2002 in alcuni villaggi del Togo meridionale, lungo le rive del fiume Mono, che segna il confine con il Benin. Il pano- rama culturale in cui si inserisce quest’area geografica viene definito évhé; la maggior parte dei villaggi visitati (Amegniran, 49 Alessandra Brivio Antropologa, sta conducendo una ricerca in area Évhé-Ouatchi FORME E FORZE: I “FETICCI” TRA VISIBILE E INVISIBILE

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Pour les Ouatchi du Togo sud-orien-tal, la relation presque incessante entrehommes et forces qui habitent le mondede l’invisible structure la vie religieuse,sociale, politique aussi bien que la con-ception de la personne et du soi. Le féti-che, c’est à dire l’objet à travers lequelles hommes cherchent à communiqueravec les forces chaotiques qui gouvernentle monde et en même temps à les contrô-ler, est l’expression matérielle d’un systè-me de relations très complexe. Parmi cesfétiches les amedzodzo ont une place quin’est qu’apparemment marginale: il s’a-git d’objets qui témoignent le "retour”d’un ancêtre dans un nouveau-né, ils sontdonc porteurs d’une relation privilégiéeavec le monde des morts aussi bien quegarants de la continuité du lignage. Leurgenèse et leur aspect ne diffèrent pasbeaucoup de ceux des vodu mais leur di-mension plus intime simplifie considéra-blement leur forme et les cérémonies quiles regardent. En tant que signe d’une re-lation personnelle avec l’au-delà et mani-festation d’ouverture et de multiplicitévers l’extérieur, visible et invisible, ilssont importants pour comprendre la con-ception que l’individu a de soi.

Lo studio oggetto di queste pagine, è ilrisultato di una ricerca sul campo svolta tra

il 2001 e il 2002 in alcuni villaggi del Togomeridionale, lungo le rive del fiume Mono,che segna il confine con il Benin. Il pano-rama culturale in cui si inserisce quest’areageografica viene definito évhé; la maggiorparte dei villaggi visitati (Amegniran,

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Alessandra Brivio Antropologa, sta conducendo una ricerca in area Évhé-Ouatchi

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Yohonou, Afagnagan, Atikesime, Gninu-me) appartengono al mondo ouatchi. GliOuatchi “originari della città di Nuadja,che lasciarono all’inizio del XVII secolo”(Gilli 1997:8), sono essenzialmente agri-coltori e vivono di piccolo commercio edei prodotti della terra. L’area è circondataa Nord dalle zone abitate dagli adja, a suddai ge mina, a ovest dagli évhé e a est daifon. I villaggi di Agbetiko, Agomeseva eAklakou, anch’essi interessati dalla ricer-ca, sono invece prevalentemente ge mina.La lingua degli Ouatchi è molto simile al-l’évhé e l’évhé, il gen, il fon e l’aja, hannoun’origine comune nella città di Tado, cheesiste da più di mille anni e che dalla suafondazione ha mantenuto la medesima fa-miglia reale (Pazzi 1976:3).

“Gli dei oggetto”

Camminando nei villaggi, che emer-gono tra i campi di mais, patate e manio-ca, si incontra un paesaggio profonda-mente caratterizzato dai segni visibili deldialogo continuo dell’uomo con il mondo

dell’aldilà e delle forze invisibili. L’in-gresso delle case, i cortili, le porte di ac-cesso ai templi o ai singoli altari, ma an-che l’accesso ai campi e gli alberi, sonosegnati da oggetti infissi nella terra o rea-lizzati con la terra stessa, da ciotole con-tenenti erbe e acqua, da drappi di tela, daoggetti appesi ai rami degli alberi, ecc.

Questi oggetti, che furono definiti “fe-ticci” dai primi viaggiatori, sono i segni vi-sibili e materiali, che sembrano emergeredalla terra come protuberanze di un mondoultraterreno e non visibile, che pervade espesso domina l’esistenza quotidiana del-l’uomo. La complessità di tale mondo, laricchezza di forme espressive, la moltepli-cità dei significati e dei simbolismi che siaccompagnano alle espressioni materiali,oltre ad avere un forte impatto disorientan-te, sia da un punto di vista emotivo che co-gnitivo, sull’osservatore, dischiudono unmondo difficilmente penetrabile o comun-que solo in parte conoscibile. La religionedegli évhé ha infatti una profonda impron-ta esoterica per cui la conoscenza dei signi-ficati è controllata e protetta dalle figurechiave della società, quali i bokonoh1 i sa-cerdoti dei vodu detti hunô e i féticheurs2.

Le persone non iniziate a un cultoavranno solo una conoscenza superficialedelle energie e delle forze che agiscono neidifferenti contesti sacri, così come di quel-le che animano gli oggetti presenti nelle lo-ro stesse case. Tale superficialità non coin-volge certamente il rapporto che ciascunindividuo, intimamente o collettivamente,può instaurare con il mondo ultraterreno,ma riguarda la capacità di manipolare tuttigli strumenti, che consentono di dialogaree interagire attivamente con tale mondo.

Sotto i segni che scorgiamo lungo icampi, fuori dalle case, ma soprattutto al-l’interno degli altari, si nasconde un mon-do culturale e spirituale estremamentericco, su cui si fondano le concezioni co-

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Il féticheur Sodejedo Kpoheto, detto Kakaklu-lu nella sua casa ad Aklakou, Togo (2002).Foto A. Brivio

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smiche, l’idea di individuo, di vita e dimorte, nonché i fondamenti dell’ordinesociale. Si tratta di un mondo molto dina-mico, perché dinamiche sono le forze concui è abituato a confrontarsi; pronto a per-cepire sia i mutamenti interni che quelliesterni al suo ordine; capace di dare rispo-ste attive e creative a nuovi impulsi e a ciòche apparentemente può sembrare estra-neo alla sua logica.

Gli individui che abitano quest’area,costretti a un’esistenza sicuramente diffi-cile e a confrontarsi costantemente con lamalattia, la sfortuna e la morte, appaionodotati degli strumenti che consentono didecodificare anche la realtà più alienasenza disancorarsi in modo sostanzialedalla cultura tradizionale.

Di fronte ai segni di una sorte nefasta,di fronte al disordine di un mondo spessocaotico e contraddittorio, si ricerca sempreun colpevole visibile o invisibile, e ci si av-vale di tutti i mezzi conosciuti per poter di-fendere se stessi e la propria famiglia, at-traverso la mediazione dell’insieme di for-ze che agiscono nel mondo del non visibi-le. Tale abitudine a muoversi, spesso comeequilibristi, tra forze ambigue e in territoripericolosi, ha reso gli évhé estremamentepronti a plasmare il nuovo e a risponderecon il linguaggio della tradizione.

Tutte le divinità, i vodu, sono entitàspirituali estremamente attive, dotate diuna natura ambivalente e multiforme. Ivodu sono potenze astratte in grado dimanifestare la loro energia ovunque, le-gate alle forze cosmiche (il tuono, la terra,l’acqua, ecc.), a un luogo specifico, a unelemento vegetale (come il logo, cioèl’albero dell’iroko), a un uomo nato incircostanze o con caratteristiche fuori dalcomune (i gemelli, i bambini idrocefali,ecc.) o anche a un particolare oggetto. Es-si “non sono la realtà materiale in quantotale, ma piuttosto la forza o la potenza che

si manifesta in essa e per essa. Il vodu nonè ciò che si vede o ciò che appare, ma es-senzialmente ciò che non si vede e ciò chenon appare” (Gilli 1997:7). Ciascun voduha bisogno di un supporto su cui materia-lizzarsi, ed è con la mediazione di questooggetto, magico e sacro al tempo stesso,che l’uomo entra in contatto con la poten-za di queste entità.

Secondo alcune interpretazioni i vodusono dei mediatori tra il Dio supremo malontano dagli uomini, Mawu e le sue stes-se creature, cioè gli uomini; in tale ap-proccio si è cercato di riconoscere in que-sta religione un “monoteismo primitivo”,che vede in Mawu il dio unico.

Effettivamente oggi, alcuni bokonoh,forse influenzati dalla cristianizzazionedell’area e soprattutto dalle traduzioniche i primi missionari danno della parola,parlano di Mawu, come di Dio, dandogliuna forte connotazione cristiana; maMawu3 pur avendo un ruolo di privilegionel pantheon, è anch’egli un vodu.

I vodu sono garanti dell’ordine sociale,morale e dell’equilibrio individuale di cia-scun individuo, nonché della continuitàdell’ordine cosmico e della tradizione. Ilrapporto tra gli uomini e le divinità è inces-sante poiché la carica di energia da esserappresentata deve essere continuamenteregolata e manipolata dagli uomini attra-verso i rituali. Le divinità non rappresenta-no per l’uomo delle entità semplicementeda venerare o in cui trovare rifugio e prote-zione; esse sono presenze con cui confron-tarsi quotidianamente, entità da ascoltare,nutrire, temere e rispettare in modo che es-se non inizino a comportarsi come agentidi disordine e dolore, tormentando l’uomocon la malattia fisica o psichica, con l’in-successo e con la morte. Il rapporto tra uo-mini e divinità è biunivoco, come scriveMarc Augé “gli uomini e gli dei si assomi-gliano e hanno bisogno gli uni degli altri:

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gli uomini dell’indulgenza e del favore de-gli dei, gli dei delle offerte e dei sacrificidegli uomini” (2002:21).

I vodu fanno parte di un mondo che ri-conosce il disordine e la contraddizionecome elementi intrinseci dell’esistenza econ i quali l’uomo deve costantementeconfrontarsi; essi stessi sono disordine eal contempo fissano le leggi, mutevoli marigorose, che consentono di sopravviveree danno all’uomo gli strumenti con cui di-stricarsi in un’esistenza per nulla sempli-ficata.

Il concetto di vodu nasconde al suo in-terno una complessità inspiegabile, un’i-dea di mistero e di inconoscibile che rima-ne sottesa a ogni realtà. Il vodu, come il co-smo, è mistero e l’uomo, sebbene cerchicon tutti gli strumenti di manipolarne leforze, sembra restare sempre consapevoledello scarto esistente tra ciò che egli puògiungere a vedere e ciò che resterà ignoto.

I féticheurs, le persone che più sono ingrado di manipolare le forze dell’invisi-bile, sono sempre consapevoli dei rischiche la loro professione comporta. Aiutatidai vodu, dalla magia e dalle loro perso-nali capacità psichiche, essi si muovononel disordine, e possono in ogni momentovenirne travolti. La loro collocazione difrontiera è senza dubbio pericolosa poi-ché cercano di raggiungere una posizionedi autonomia sia rispetto agli obblighimateriali e sociali che alle forze spirituali.Indubbiamente i féticheurs sono degli in-novatori, poiché hanno il coraggio di af-frontare le potenze dell’invisibile e dipiegarle alle esigenze del mondo contem-poraneo. Come già notava l’abbé Lafitte“grazie ai féticheurs non passa anno sen-za che qualche nuova divinità trovi postotra quelle più antiche”4.

Il mondo dei vodu è infatti in continuaevoluzione e nuovi vodu si affiancano aquelli tradizionali, mostrando ancora unavolta una società in grado di negoziare,almeno a livello simbolico, tra differentirealtà. Molti di questi nuovi vodu sono inrealtà bo vodu, cioè vodu magici; è im-pensabile e probabilmente inutile traccia-re una linea di separazione netta tra que-ste entità; Gilli li differenzia dai vodu del-le origini o cosmici, poiché” possono es-sere venduti, assieme alla conoscenzadelle erbe medicinali che li accompagna-no, per un prezzo di circa 35.000 CFA”(1997:17). I bo vodu convogliano al lorointerno una notevole carica di energia ne-

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Bo nella bottiglia aAfindegnigba, Togo(2002).Foto A. Brivio

Féticheur nel suoaltare a Afindegnig-ba, Togo (2002).Foto A. Brivio

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gativa o positiva, a seconda di quale sia illoro scopo, che viene attivata dai féti-cheurs o dagli hunô, ma che ciascuna per-sona può gestire quotidianamente. Gilli, lichiama vodu automatici, proprio perchéci si appella a loro per ottenere immediatasoddisfazione dei propri desideri, risul-tando sicuramente di più semplice ap-proccio rispetto ai vodu tradizionali.

Questi vodu sconfinano evidentemen-te nel mondo della magia, degli amuleti edegli incantesimi. I bo sono infatti deglioggetti su cui viene convogliato, attraver-so un rituale definito e delle formule ma-giche, un potere specifico. Esistono boper i più diversi scopi, per fare innamora-re di sé una persona, per proteggersi dailadri, per vendicarsi di un nemico, pervendere al mercato, ecc5.

La funzione e l’efficacia dei bo in partesi sovrappone a quella dell’incantazione,dzoka cioè liana di fuoco; la differenza so-stanziale è che i primi sono oggetti, mentreuno dzoka è costituito da parole attraversole quali una persona può “legare il fuoco”,cioè far sì che il fuoco produca l’effettovoluto. Il fuoco ha infatti una valenza diforza del male, poiché la sua capacità di-struttiva è simbolo del disordine cosmico.

Il mondo degli antenati

A fianco dei vodu vi è l’ancestralemondo degli antenati, il cui ruolo, pur nonessendo così evidente o spettacolare co-me quello dei vodu, è fondante nella vitasociale e nella continuità del lignaggio.

Tra questi due mondi in realtà non vi èuna distanza sostanziale; le divinità sonolontani e mitici antenati che vengono poidivinizzati, l’ancestralità sembra quindiprecedere la divinità ed esserne il fonda-mento. L’identificazione delle divinitàcon gli antenati mitici è tipica di tutta l’a-

rea culturale in cui possiamo inserire gliÉvhé; ad esempio gli Yoruba assimilanola maggior parte delle loro divinità, orisa,a lontani antenati e re fondatori. “L’orisafu in principio un antenato divinizzato,che conseguì durante la sua vita un con-trollo su alcune forze della natura, come iltuono, il vento, le acque dolci e salate, op-pure la possibilità di esercitare alcune atti-vità quali la caccia, la lavorazione del me-tallo e ancora la conoscenza dell’uso edelle virtù delle piante” (Verger 1982:18).

Secondo de Surgy “sia travestiti dapersonaggi di pura finzione, o identificaticon delle forze locali o universali dellanatura, tro e vodu ci appaiono essenzial-mente costituiti dalle anime degli antena-ti” (1988:49).

La genesi dei vodu va quindi cercatanel culto degli antenati, dove questi ulti-mi, spiriti di morti la cui memoria è anco-ra viva, si occupano di una discendenzaridotta, svolgendo ad esempio il compitodi antenato tutelare (amedzoto), mentreviene lasciato agli antenati ormai lontanio mitizzati di occuparsi di una sempre piùampia schiera di persone.

Le anime dei morti, sono comunque alcentro dell’esistenza dei loro discendenti,continuano a muoversi al loro fianco, a in-fluenzare e giudicare le loro azioni; essirappresentano un mondo parallelo checondiziona e determina sia le concezionicosmiche che la vita quotidiana. Il rappor-to tra vivi e morti è un rapporto continua-mente negoziato e che presenta delle zoneestremamente pericolose e di difficile ge-stione. Tali aree sono frequentate dai mortidi morte calda6 (dzogbeku, cioè morte del-la savana), coloro che non riescono a paci-ficarsi e a trovare la via verso l’aldilà; ciòpuò dipendere dal fatto che la morte sia av-venuta in modo “non naturale”, appuntocaldo, oppure che i riti funebri non sianostati celebrati, o lo siano stati non corretta-

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mente. Queste anime tendono a mantenereun legame con i vivi alimentato dal ranco-re, dal desiderio di vendetta e dalla pauradi essere dimenticati. Il mondo invisibile èpopolato da spiriti caldi, estremamenteforti, carichi di energie, irrequieti e temibi-li, che si muovono con il vento, abitano leforeste, vivono ai limiti del villaggio, neicortili delle case oppure viaggiano versoluoghi lontani, e che continuamente solle-citano o tormentano i vivi.

L’uomo si interroga su quale sia la mi-gliore soluzione per placare questi spiriti,alcuni dei quali, sicuramente i più forti epotenti, sono assurti alla dignità di vodu.

Un caso molto interessante è rappresentatodalle trosi, sacerdotesse dedite alla negro-manzia, che venerano il Tro, una divinitàpresumibilmente antecedente ai vodu7. Es-se comunicano con gli spiriti dei morti cal-di, gestendo un carico di energie forti e pe-ricolose. Il loro Tro è lo spirito di unoschiavo, appartenuto nel passato alla fami-glia della sacerdotessa e, come suggerito-mi da Roberto Pazzi, probabilmente sacri-ficato come offerta sull’altare di qualchedivinità. Le trosi adottano gli spiriti deglischiavi, morti caldi e temibili, data la vio-lenza della loro morte, dedicano loro unculto e li utilizzano come tramite per co-municare con il mondo dei defunti. In talmodo esse cercherebbero di limitare la mi-naccia costituita da questi spiriti dimenti-cati, dando loro un ruolo sociale.

Anche il culto dedicato ai seggi8 (togbezikpui) appartiene a questo campo di si-gnificati. È un culto famigliare che com-prende tre tipologie di seggi, quelli degliantenati, quelli della guerra e quelli delleconchiglie cipree, cioè della ricchezza. Gliultimi sono gli altari dove vengono ospita-ti ancora una volta gli spiriti degli schiaviappartenuti alla famiglia, che non avendoricevuto i riti funebri propri della loro gen-te, non hanno avuto accesso al mondo de-gli antenati e si sono installati sui seggi dei

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Gruppo di trosi adAtsassi Djita, Togo(2001).Foto A. Brivio

Altare per il cultodei seggi degli an-tenati, togbesibi,Agbetiko, (2001).Foto A. Brivio

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loro padroni, dove ricevono un culto.Analogamente sui seggi dei guerrieri tro-veranno posto gli spiriti dei nemici che gliantenati hanno ucciso in battaglia (Pazzi1976:194). Le energie esuberanti deglispiriti caldi, vengono manipolate anchedai féticheurs, in particolare quelli che uti-lizzano la magia a scopo offensivo.

L’approccio a questi spiriti è sempreestremamente cauto, a cominciare dalla se-poltura dei cadaveri che avviene in un ci-mitero a loro dedicato, situato fuori dal vil-laggio, sotto il sole della savana o in mezzoai campi. Solo i féticheurs possono toccareil cadavere di una persona morta di mortecalda, senza rischiare loro stessi la morte.Nel caso di morte per fulminazione, feno-meno per niente raro nell’area, si deve in-terpellare il sacerdote di Heviesso e, solodopo aver eseguito le necessarie cerimonieper placare il vodu, si potrà raccogliere ilcadavere e dargli sepoltura. Si raccontaspesso di catene di morti scatenate dal fattoche una famiglia non ha voluto rispettare leregole, offendendo così il vodu a cui ap-parteneva il corpo della persona.

Anche le anime degli antenati morti dimorte naturale, continuano, almeno perqualche generazione, a muoversi nella casain cui hanno vissuto; la loro presenza è me-no forte, ma non viene certo sottovalutata;le cerimonie in onore degli antenati sono in-fatti fondamentali per l’equilibrio e la con-tinuità del lignaggio. Il culto riservato aiseggi degli antenati (togbe zikpui) ad esem-pio è garante della continuità dell’autoritàdel capofamiglia. Come scrive Pazzi:

Si tratta del seggio del fondatore della fa-miglia, ma non è l’antenato stesso che sionora quando si fanno dei sacrifici ad esso.Si può supporre che il seggio fosse già ap-partenuto come oggetto sacro a un prece-dente antenato, che alla sua morte l’ha la-sciato in eredità ai suoi discendenti così co-

me succede per i vodu… in occasione deiriti di insediamento di un nuovo capo fami-glia, si confeziona un seggio in miniaturada abbandonare nella foresta, dove l’ante-nato defunto potrà prenderlo, in sostituzio-ne del vero seggio, che dovrà cedere al suosuccessore (Pazzi 1976: 195).

Il mondo “selvaggio”

Fuori dai confini reali e simbolici delvillaggio troviamo poi il mondo selvag-gio della foresta, luogo di mistero, di for-ze occulte e magiche. La foresta che cir-conda il villaggio è l’archetipo dell’igno-to e il luogo di transizione e passaggioverso il mondo ultraterreno, è lo spaziodella stregoneria - adze -, degli spiriti e

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Vodu Age ad Afindegnigba, Togo (2002).Foto A. Brivio

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delle forze che insidiano l’uomo anchenella sua casa, ma che nella foresta realiz-zano le loro maggiori potenzialità.

Nella foresta si aggirano le anime deimorti caldi e la forma esteriore delle cosee degli animali è solo un’apparenza dietroa cui altre entità si nascondono. La forestaè anche il luogo in cui vivono gli aziza,piccole creature che conoscono tutti i se-greti delle piante e quindi della medicinama che possono uccidere chi accidental-mente incontra il loro sguardo9.

La foresta, anche se oggi quasi pratica-mente scomparsa, mantiene tutta la suaforza simbolica di luogo di transizione, diporta verso l’ignoto e l’inconoscibile, cioèverso l’essenza stessa della divinità. La fo-resta è infatti il luogo dove l’uomo si puòaddentrare solo ritualmente e dove si devespingere per compiere le cerimonie cheaprono la strada a un rapporto più strettocon il mondo ultraterreno e delle divinità.Analogamente la notte, opposta al giorno,periodo dell’attività umana, è il tempo de-gli spiriti e della stregoneria. Come spiegaPazzi: “durante la notte nella quale gli uo-mini riposano e tutto è invaso dal silenzio,la natura diventa pericolosa, poiché è sottol’influsso delle forze malefiche della stre-goneria. Ecco perché, si evita di uscire dalvillaggio in questo momento, fino al cantodel gallo, detto infatti za voe cioè - nottecattiva” (Pazzi 1976:48).

La notte d’altra parte è anche il momen-to in cui avvengono, nei limiti protetti delvillaggio, la maggior parte delle cerimonie edelle veglie in onore dei vodu e in cui i voduentrano e si impossessano dei loro adepti. Intali occasioni di contatto con gli spiriti equindi di massima apertura al mondo invisi-bile, l’uomo è vulnerabile, poiché potrà es-sere “preso” anche da altre presenze. Per ta-le motivo queste feste vengo preparate connotevole anticipo in modo da poter allestiretutti i necessari bo di protezione e difesa.

La stregoneria è molto temuta e l’uo-mo cerca di utilizzare tutte le forze spiri-tuali a sua disposizione, dai vodu ai bo,per difendersi; spesso però ciò che è ingrado di difendere può anche aggredire,per cui si sospetta sempre delle personeche hanno troppi bo. In quest’area geo-grafica si ritiene che la stregoneria possaessere sia femminile che maschile, ma piùfrequentemente le donne sono sospettatedi possedere questo potere nascosto.

L’uomo deve quindi muoversi conestrema abilità e astuzia in un mondo evi-dentemente difficile, insidioso e comples-so, e la magia è uno strumento che egliutilizza più o meno apertamente per aiu-tarsi in quella che spesso appare comeuna battaglia quotidiana. La magia non sitrova ai margini della religione, le duerealtà hanno confini molto incerti chespesso si compenetrano, divenendo l’unail sostegno dell’altra. La magia nella so-cietà contemporanea africana, e in parti-colare in Africa Occidentale, tende spes-so a raggiungere livelli esasperati, cer-cando di porsi come risposta ai cambia-menti, allo sradicamento della strutturatradizionale, alle difficoltà economiche esociali; la magia, così come il timore diessere oggetto di qualche stregoneria per-meano la società, tanto rurale quanto ur-bana e, come abbiamo visto, strumenti didifesa quali i bo, o i vodu automatici sonoestremamente diffusi.

Le espressioni materiali della comuni-cazione tra terreno e ultraterreno

Il mondo del visibile non si oppone inmodo dualistico al mondo dell’invisibile,poiché l’esistenza, in questi contesti cul-turali, è costantemente tesa a superarequesta divisione e a cercare di vedere ciòche “apparentemente” è invisibile:

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Tutto richiede un’interpretazione, dal ma-lessere passeggero o persistente del corpoalla siccità prolungata, dalla scoperta diuna pietra alla constatazione di una rasso-miglianza tra un bambino e suo nonno,perché tutto “fa segno”. Se l’invisibile c’è,è un invisibile che tutti si preoccupano didecifrare, anche a costo di far ricorso a chiha una vista migliore. L’opposizione tra vi-sibile e invisibile non sembra più pertinen-te di quella tra naturale e soprannaturaleper rendere conto di un universo essenzial-mente non dualista, incessantemente sor-vegliato, come il cielo dai nostri radar, daisofisticati strumenti della divinazione, del-la consultazione e della diagnosi: un uni-verso in cui le tracce si moltiplicano e ipercorsi possono offuscarsi, anche se sem-pre relativamente (Augé 2002:47).

La conoscenza esoterica degli iniziati,cioè delle persone che sanno leggere i se-gni e vedere ciò che solo apparentementeè invisibile, è un linguaggio fatto di paro-le e di materia: le piante, le radici, la terra,il legno, il sangue e gli umori corporeiformano il bagaglio di conoscenze attra-verso il quale l’uomo, iniziato ai culti,parla con il mondo ultraterreno.

Le espressioni plastiche sono una delleforme più evidenti e riconoscibili dello

spazio liminale nel quale l’uomo cerca unpunto di contatto con l’invisibile. Molti og-getti, in legno, ma anche in ferro o in argil-la, sono solo la superficie visibile di questomondo di confine; la loro stessa realizza-zione induce a meditare sul valore di ciòche vediamo rispetto a ciò che non potrem-mo mai vedere, ma che anima la forma del-le cose. Il disorientamento, già forte allasola visione di questi oggetti, dall’apparen-za caotica, aumenta ulteriormente nel mo-mento in cui li percepiamo come la superfi-cie esteriore di una stratificazione di signi-ficati che ha il suo fulcro sottoterra. La for-za e la potenza dell’oggetto sacro risiede inciò che è stato sotterrato in una buca al disotto dell’oggetto stesso o al suo interno.

Il concetto di vodu e l’etimologia deltermine, come evidenziato da Gilli, sonoprofondamente legati all’idea di buco e dicavità, a qualche cosa di inconoscibile esegreto che rende inquieto l’uomo.

Durante l’installazione di un vodu,l’atto di scavare la terra per creare un bu-co in cui mettere tutti gli ingredienti che ilvodu stesso richiede, assume quindi an-che un significativo valore simbolico.

La forza dei “feticci” d’altra parte nonpuò essere visibile, né conoscibile perchéciò li renderebbe vulnerabili e neutralizza-bili da parte dei nemici. Gli ingredienti

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Altare vodu ad Ak-lakou Togo (2001).Foto A. Brivio

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che vengono usati devono essere raccoltisecondo delle indicazioni e delle regoleprecise, che non sono determinate dallafantasia del singolo individuo; ma “sareb-be esagerato credere che vengano sceltiapplicando spontaneamente o deliberata-mente un codice simbolico in funzione delquale essi diverrebbero decodificabili”(de Surgy 1994:54). Se così fosse gli og-getti perderebbero tutto il loro mistero equindi la loro funzione magico religiosa.

Gli ingredienti vengono scelti, in fun-zione delle loro caratteristiche sia fisicheche simboliche, per evocare e convoglia-re in un punto le energie necessarie a otte-nere gli effetti desiderati. Ogni singolo in-grediente non avrebbe senso se separatodal tutto ed è solo l’effetto sinergico che

assicura l’efficacia dell’installazione. Gli ingredienti consentono di accumu-

lare forza e di concentrarla all’interno di unparticolare oggetto attraverso il loro soffiovitale (gbôgbô). Le erbe, ama, che sono tragli ingredienti più utilizzati, sono in gradodi “attirare o riprodurre attorno a sé, di in-tensificare ciò che si accorda con la loro so-stanza intima, cioè la potenza vitale, diffu-sa nell’atmosfera, che utilizzano per svi-lupparsi e della quale si ritiene che sianoancora pregne” (de Surgy 1994:56). Èquindi il soffio vitale, che continua a per-meare in parte la materia, anche dopo chequesta si è allontanata dalla vita stessa, cheeserciterà un’attrazione su altre forze che aessa corrispondono, donando potere ed ef-ficacia al feticcio. L’oggetto risulta quindipervaso dagli ingredienti che sono stati in-stallati inizialmente e diventa il ricettore diun soffio vitale che viene periodicamenteriattivato attraverso le cerimonie a lui dedi-cate e il contatto continuo con l’atmosfera.

Sono proprio le ama, la forza e il pote-re del vodu; senza di esse resterebbe soloun pezzo di legno o un ammasso di terraprivo di significato e di valore. “Le erbesono il vodu. Ci inganneremmo se le con-siderassimo solo come “oggetti” sacri alvodu! Sono le erbe che guariscono, sonole erbe che purificano, sono le erbe cheuccidono” (Gilli 1987:49).

I singoli ingredienti vengono quindiscelti in funzione delle loro proprietà me-dicinali, del loro valore simbolico, delluogo particolare in cui sono cresciute,della loro forma, o dell’ambiente a cuiappartengono, per cui è l’utilizzatore chein funzione di una rappresentazione delleforze della natura comunemente accettatae in funzione del suo contesto culturaleunisce e miscela i componenti in base aciò che vuole ottenere.

Come ci ricorda de Surgy, parlando deibo, se inseriamo dei denti o dei capelli di

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Vodu Asagu a Zounhove, Benin (2001).Foto A. Brivio

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morti di “morte calda”, significa che vo-gliamo far morire qualcuno di morte vio-lenta; ma non utilizziamo questi elementiperché desideriamo evocare lo spirito a cuisono appartenuti e chiedergli di agire pernoi, stiamo piuttosto evocando la volontàdi far subire a una persona la stessa fine deimorti di morte calda e quindi ci mettiamoin contatto con tutto il loro mondo.

Il féticheur Sodejedo Kpoheto, nel de-scrivermi un bo, presente in uno dei suoialtari, che consente di ottenere sempre ri-sposte affermative a ciò che si desidera esi domanda (utilizzato soprattutto per ot-tenere soldi), mi spiega che la forza è do-vuta al fatto che sotto il feticcio, tra gli al-tri ingredienti vi è un gatto; i gatti infattimiagolando in continuazione e con unacostanza unica tra gli animali, ottengonosempre ciò che vogliono

Spostandoci verso la superficie dellospazio liminale si arriva a ciò che è visibi-le, all’oggetto, centro di accumulo dienergia. Anch’esso, che sia di legno, diterra o di ferro, non è di facile decodifica-zione. La stratificazione materica che ac-compagna l’esistenza dell’oggetto lo ren-de infatti estremamente complesso e nedeforma spesso la struttura di base. Esi-stono degli elementi comuni, come ve-dremo, che ci consentono di azzardare

un’interpretazione dell’oggetto che stia-mo osservando, di leggere alcuni dei sim-boli con cui viene arricchito e supporrequindi il suo campo d’azione. Ma cercaredi dare un’identità comune a oggetti chesi assomigliano può essere fortementefuorviante; spesso “alla loro apparenza èstata attribuita un’importanza eccessiva,divenuta una dimora coatta” (de Surgy1994:53) e d’altra parte, un informatoredi Suzanne Preston Blier, arriva ad affer-mare che “tutte le sculture si equivalgono,ma è il nome con cui verranno chiamateche le differenzierà” (1995:419).

Sicuramente nessun gesto e nessunascelta che accompagna la realizzazione diun oggetto sacro, dalla scelta dei materialiagli animali da offrire durante la cerimo-nia, è casuale. Per un’accurata compren-sione sarebbe quindi necessario seguiretutte le fasi che precedono e accompagna-no l’installazione dell’oggetto. L’espres-sione materiale, in questo contesto, primadi ogni cosa è infatti un sistema sociale disegni circolante all’interno di una comu-nità specifica; risulta quindi impossibile econtroproducente pensare di trovare unfilo conduttore tra questi oggetti partendodall’osservazione formale e meramenteestetica, poiché facilmente si verrebbetratti in inganno. Con ciò non si possono

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Vodu Sakpata. Zou -n houè, Benin (2001).Foto A. Brivio

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negare delle peculiarità estetiche comuni,che possono aiutare a districarsi nel com-plesso mondo della rappresentazione ma-teriale; non bisogna comunque confonde-re un apparente caos estetico e formalecon l’incoerenza, o pensare che sia il ri-sultato di un approccio alla religione di ti-

po emotivo e non strutturato. La materia ela forma sono un tentativo di esprimereun mondo invisibile, problematico e plu-rale; il caos percepito a livello estetico èparte della complessità e dell’inesprimi-bilità delle forze e delle energie non im-mediatamente visibili.

Le sculture antropomorfe

I feticci o gli “dei oggetto” come ven-gono definiti da Augé, possono avere di-versa natura e diversa materia: possonoessere un oggetto di pietra, di legno, diterra o un elemento della natura – albero,montagna, bosco - un oggetto fabbricato,una reliquia oppure un residuo organico.Le divinità si possono identificare com-pletamente con la materia che vediamo eche spesso ci appare informe – ammassidi legni, pezzi di ferro, cumuli di cocci diterracotta – oppure possono essere rela-zionali, quindi fare riferimento ad altreinstallazioni, altre divinità o altri uomini.

Spesso la loro forma allude in modoinquietante a quella umana, aumentandola sensazione di sgomento e quasi di ag-gressione alla propria essenza corporea,poiché queste forme sono trasfigurate daincrostazioni di olio, farina, sangue, uova,alcool, ecc.

L’antropomorfismo di questi oggetti,che si tratti di vodu, di loro emissari o distrumenti di “comunicazione” con il mon-do invisibile, tuttavia “è appena abbozzato,come un’allusione alla necessità di com-prendere qualche cosa e, simultaneamen-te, all’impossibilità di riuscirci: come se sitrattasse di animare ‘al punto giusto’, percomprendere l’inanimato, l’inflessibile,l’inesorabile, il già là” (Augé 2002:28).

L’oggetto antropomorfo aiuta l’uomo“comune” nella comprensione del so-prannaturale; modellare la materia bruta e

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Il vodu Aclombe,della famiglia diHevisso ad Assedi,Benin (2001).Foto A. Brivio

Altare a Midresu-cong, Togo (2001).Foto A. Brivio

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inerte consente infatti di pensare il so-prannaturale, se con Augé accettiamo che“l’impensabile e, in un certo modo, la po-tenza sono dalla parte dell’inerzia bruta,della pura materialità” (2002:28).

I vodu cosmici, come Heviesso e Sak-pata, per citare alcuni tra i più diffusi, han-no sempre una forma amorfa e incoerente,sono ammassi di materia spesso contenutie nascosti dentro grosse zucche, che sim-bolizzano il cosmo. La forza di questi vo-du è annientante e inesplicabile e la loroforma non può che essere la più incom-prensibile. Essi sono circondati da una mi-riade di altre entità divine, figli, mogli,servitori e animali; spesso i féticheurs uti-lizzano la metafora della famiglia o delpotere politico per cercare di spiegare lapresenza e la funzione di tutte le entità cheruotano attorno a un altare. Molte di que-ste divinità hanno una fisionomia umanaperché si devono relazionare direttamentecon gli esseri umani. I vodu che proteggo-no la casa o gli altari, che viaggiano nellospazio alla ricerca di colpevoli (ladri, as-sassini, etc), che vendicano le offese da lo-ro stessi subite, hanno una fisionomiaumana, perché nel momento in cui ese-guono materialmente il loro compito ap-paiono come veri esseri umani. Un casoemblematico è quello di Heviesso, la cui“famiglia” è particolarmente numerosa earticolata. Quando un essere umano vienecolpito da un fulmine, nell’istante primadi morire vedrà un uomo, in realtà un vodu- Suada - incaricato da Heviesso, di ucci-dere con un colpo d’ascia, la persona ver-so cui il fulmine si sta dirigendo.

La potenza dei vodu è inesplicabile eassoluta come il mondo; la fisionomiaumana dei feticci aiuta l’uomo a com-prendere le leggi dei vodu, a relazionarsicon essi e a difendersi. I féticheurs, uomi-ni che si assumono l’onore e il rischio dimanipolare forze estremamente pericolo-

se, sono circondati da feticci attraverso iquali cercano di mediare e interagire con ivodu. La forma umana serve a rendere piùcomprensibile l’incomprensibile e allostesso tempo ad aumentare l’insicurezzain cui vive l’individuo, poiché in tal mo-do il limite tra corpo umano e corpo divi-

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Vodu Agbade (gran-de), una danzatricedi Heviesso e voduSuada (piccolo), co-lui che uccide conun colpo d’asciaquando il fulmine diHeviesso colpisce lesue vittime, ad Ak-lakou Togo (2002).Foto A. Brivio

Vodu Tolu adAklakou Togo(2002).Foto A. Brivio

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no viene valicato, aumentando ulterior-mente il senso di smarrimento e la com-plessità dei segni che l’uomo deve conti-nuamente decodificare.

Legba, il vodu relazionale per eccel-lenza, antico come tutte le divinità e dasempre connessione tra l’uomo e l’aldilà,ha anch’egli una fisionomia umana. Lesue sculture in argilla, si trovano all’in-gresso di tutti i villaggi (to Legba), ma an-che fuori dalle case o di alcuni altari. Leg-ba, oltre ad avere un volto umano, cioèocchi, bocca, orecchie e naso, è caratte-

rizzato da un fallo prominente ed eretto.Divinità ingannatrice e irascibile, viaggiatra il mondo ordinato della società umanae quello caotico delle origini; gli uominisi devono costantemente ricordare di lui,dandogli le prime offerte in quasi tutte lecerimonie in onore degli altri vodu. Egliassume un ruolo fondamentale nella con-sultazione dell’oracolo Afa e, se non lo sionorasse, gettando a terra della sodabi10

prima di chiamare l’oracolo, egli lance-rebbe le sue energie negative sia contro ilbokono che contro il suo cliente. Legba èvicino all’uomo, la sua immagine lo ren-de pensabile e il suo pene fa sì che spessosia oggetto di scherzi e commenti pun-genti; fisicamente viene riprodotto e mol-tiplicato fuori dalle case, a indicare la re-lazione con i singoli abitanti; il suo corpoè come una riproduzione seriale dellastessa forma. Questo processo riprodutti-vo, così come le parole, a volte poco ri-spettose, con cui viene apostrofato, nullatolgono al suo potere, all’energia, alla po-tenza e alla forza evocatrice che la sua im-magine racchiude.

La forma dei “feticci”, soprattuttoquelli in legno, installati fuori dalle case,dai villaggi, ma anche negli altari è moltoastratta e scarna, priva di dettagli, quasipriva di cura. Gli oggetti, e mi riferisco inparticolare a quelli antropomorfi, sonosolo abbozzati, e anche quelli realizzaticon maggior cura, non cercano mai di ri-produrre con fedeltà il corpo umano; sitratta in molti casi di pali in legno, dove ilmassimo sforzo scultoreo viene concen-trato nella testa e nel volto, senza che peraltro gli occhi, la bocca o il naso siano piùche abbozzati.

La scelta di concentrare l’attenzionesulla testa è sicuramente dovuta al fattoche essa è parte privilegiata del corpo,contiene i tre organi fondamentali dellacomunicazione ed è considerata il seggio

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Legba fuori da unacasa ad Agbetiko,Togo (2001).Foto A. Brivio

Legba e vodu Gba-gabsisi a Gninume-Togo (2002).Foto A. Brivio

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dello spirito dell’uomo. Toccare la testadi un uomo è un atto estremamente grave;nel caso si tratti di un adepto è considera-to un gesto sacrilego che comporta un ritodi purificazione: è dalla testa che le po-tenze invisibili penetrano nei loro adepti.

“La testa, considerata come la partepiù sacra dell’ essere umano, riceve, du-rante i riti, le prime tre unzioni, una sullafronte, una sulla sommità e una sulla nu-ca. Questi tre punti corrispondono d’altraparte rispettivamente all’oriente, allo ze-nith e all’occidente del cielo” (Pazzi1976:148).

L’estrema astrattezza di questi oggettiè comunque una scelta formale dello scul-tore; nello stesso contesto, sia temporaleche spaziale, la realizzazione dei venavi,cioè le statuette legate al culto dei gemelli,segue tutt’altro stile. Nei venavi si notauna maggiore cura per i dettagli, in parti-colare riscontrabile nella ricchezza delleacconciature, e l’uso di attrezzi da intagliopiù fini, che consentono la realizzazionedi superfici omogenee e continue.

Si tratta di contesti simbolici molto di-versi: i venavi sono oggetto di un cultoestremamente intimo e domestico, e in al-cune occasioni sono trattati dalle donne emadri come dei veri bambini. I “feticci”non hanno un rapporto così intimo con gli

esseri umani, spesso la loro funzione èquella di proteggere la casa o il villaggio,di spaventare i malintenzionati, di placareun antenato inquieto, di essere i guardianio soldati di un vodu, o di essere il vodustesso.

La valenza protettiva che, in alcunicontesti, essi assumono, potrebbe quindigiustificare una scelta stilistica, da partedegli scultori, che punta innanzitutto adallontanare e spaventare chi non appartie-ne al lignaggio, chi non condivide il me-desimo sistema di segni e simboli e non èquindi in grado di riconoscere la veraidentità dell’oggetto.

Una chiave interpretativa a questi og-getti può partire da un approccio di tipoemotivo, poiché sicuramente i sentimentiche suscitano sono di disorientamento epaura. Come afferma un informatore diSuzanne Preston Blier, parlando degli og-getti magici: “Si realizzano oggetti capacidi fare paura. Non è solo importante comeun bo lavora, ma anche come appare. Seuna persona lo vede, deve essere in gradodi dire che ha visto qualche cosa” (Pre-ston Blier 1995:59). Un secondo informa-tore, parlando di un oggetto realizzatocon una bottiglia, spiega: “Sono l’acqua,la polvere, l’alcool, presenti dentro labottiglia che fanno il lavoro. Tutto il resto

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Alcune donne con iloro venavi legatialla vita a Assedi,Benin (2001).Foto A. Brivio

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è lì per suscitare paura nelle persone. Simettono alcune cose dentro la bottiglia ealtre si attaccano tutte attorno in modoche quando qualcuno la vede creda nelsuo potere. Con una semplice bottiglianessuno ci crederebbe” (Preston Blier1995: 59).

Gli oggetti antropomorfi che si posso-no trovare attraversando un villaggio, an-che senza addentrarsi negli altari, sonomolti, e molteplici i motivi che hannospinto alla loro realizzazione.

Le sculture, plasmate dal tempo e dal-le intemperie, perdono quasi completa-mente ogni tipo di dettaglio e di peculia-rità; non è raro che nessuno sappia il mo-tivo preciso per cui furono installati, so-prattutto quando sono già passate diversegenerazioni.

In alcuni villaggi mi è stato detto chegli oggetti erano stati piantati a terra per-ché ci si ricordasse, per il tempo a venire,che lì, nel suolo era stata installata unaforza.

Ciò è sicuramente vero per i dema, co-stituiti da semplici pali in legno senza

volto, pali sopra i quali viene appoggiatoun masso, pali tagliati da un ferro o anchesemplici alberi, che segnano la presenzadelle ama (erbe, radici e foglie) interrateper purificare la terra prima di iniziare acostruire una casa, un villaggio o a lavo-rare un campo. “Non si può infatti saperecosa vi sia o vi sia stato su quella terra,magari un cimitero di morti di morte cal-da o altre forze negative, per cui bisognaliberare la zona prima di iniziare a viver-ci. All’esterno si mette un bastone, un al-bero, un bastone con un ferro …dipende,non è molto importante.”11

Come ricorda l’informatore di Suzan-ne Preston Blier, chi vede un feticcio deveessere in grado di dire che ha visto qual-che cosa; ciò significa che pur nella con-sapevolezza che la forza del feticcio è aldi sotto di ciò che vediamo, così come leforze che agitano il cosmo sono al di là diciò che appare, l’uomo deve essere messonelle condizioni di riconoscere e quindivedere l’invisibile. L’uomo messo difronte alla difficoltà di dialogare con unmondo che parla una lingua differente,

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Agbo dodo a prote-zione dell’ingressodi una casa nei din-torni di AgbetikoTogo (2002).Foto A. Brivio

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usa tutte le forme espressive che conosce,per arricchire il suo linguaggio, usando lametafora come strumento di negoziazio-ne tra la sua realtà materiale quotidiana el’aldilà. Il rischio d’altra parte sarebbe latotale perdita di contatto tra i due mondi ela disintegrazione della società stessa.

Nella regione meridionale del Togo,lungo le rive del Mono, sono diffusi deifeticci in legno, affiancati agli agbo do-do12 la cui funzione esplicita è di proteg-gere la casa dai malintenzionati, che sitratti di esseri umani o di forze maligne.

Afanu Kukponu, capofamiglia del vil-laggio di Agbetiko, parlando del suo agbododo13 che fu installato dal padre all’e-sterno della porta di accesso alla casa,racconta che: “tutte le notti lo spirito siaggira nella casa e controlla che nessunoentri con cattive intenzioni; egli ha unaspetto umano perché è come se fosse unapersona e il malintenzionato la notte nonvedrà il legno, ma proprio una persona,per cui scapperà terrorizzato”.

Nei villaggi che si affacciano sulla ri-va beninese del fiume Mono sono diffusi,all’ingresso del villaggio o del singoloquartiere, dei pali in legno antropomorfi,sempre con funzione protettiva, che rap-

presentano, secondo quanto riferitomi,l’antenato del fondatore. Ad essi non è ri-servato un culto specifico, ma vengonoalimentati ogni qual volta nella casa vi siauna cerimonia religiosa.

Ulli Beir scrive, parlano dei botchio,che “si tratta di spiriti guardiani personaliche proteggono l’uomo che li ha installati,e servono come luogo per il culto reso allospirito guardiano stesso… questa creden-za non è dello stesso ordine di quella cheviene legata ai vodu: non comprende némitologia, né rituali complessi, né liturgiané sacerdote… È il capo del villaggio cheinstalla questi oggetti a beneficio di tuttigli abitanti,… ogni membro della famigliapotrà fare dei sacrifici in suo onore ogniqual volta ne senta il bisogno”14.

Spesso le sculture vengono installatealla conclusione di un processo divinato-rio, avvenuto in seguito a una malattia;sono una sorta di offerte, detta vosa¸ cheviene donata alle forze malevole in cam-bio della persona che esse stanno cercan-do di portare via. Queste statue che inarea fon vengono chiamate kudjo bo (bodi scambio con la morte) sono paliformi,sottili, e con i tratti del corpo solo abboz-zati; non incorporano che pochi materiali

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Agbo dodo a prote-zione dell’ingressodi una casa. Agbe-tiko, Togo (2001).Foto A. Brivio

Agbo dodo a protezione dell’ingresso del vil-laggio Zou nhouè, Benin (2001).Foto A. Brivio

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additivi spesso ridotti a un pezzo di stoffalegato attorno ai fianchi.

La loro funzione è essenzialmente diprotezione e sostituzione; l’uomo attra-verso la realizzazione di queste scultureriesce ad allontanare la morte che è stataannunciata da Afa. Le forze del male,giunte alla casa dove la persona malata ri-siede, vedranno la statua e, ingannate,prenderanno quest’ultima.

L’installazione di queste statue è ac-compagnata da una cerimonia che si svol-ge al tramonto, il momento della transi-zione per eccellenza. Come scrivevaMaupoil:

Viene scavato un buco in cui si interra latesta di una capra, la testa di un pollo odelle foglie di Afa … Il bo viene poi fissa-to sulla cima della cavità, quindi non ci sideve più preoccupare di nulla.” Questesculture trovano posto di fronte all’ingres-so principale della casa, oppure di fiancoalla porta della capanna, poiché sono lega-te a una specifica persona, ma Afa puòchiedere di collocarne altre, che rispondoa differenti problemi, anche all’esternodel villaggio, all’incrocio tra due strade osotto un iroko (Maupoil 1943:363).

Gli oggetti installati in seguito allaconsultazione di Afa hanno quindi unadoppia valenza, da una parte sono un ber-saglio contro cui le energie negative sipossono scaricare, dall’altra sono un’of-ferta alla divinità che sta intercedendo peril bene del postulante.

Il desiderio di suscitare paura è moltoesplicito in quegli oggetti la cui immagi-ne sottesa ha radici dirette nel vodu; essisono caratterizzati da tratti distintivi diconferimento di forza e potenza; questi“feticci” sono arricchiti da piercing, damateriale di vario genere legato con stoffa(terra, erbe, pelli di animali, ecc.), da cor-

de legate attorno al corpo, da conchiglie ealtri oggetti che appartengono al mondodel vodu. In questi oggetti c’è quindi unasorta di ostentazione di potenza apparen-temente in contrasto con il linguaggio deivodu, occulto e misterioso. I segreti resta-no comunque preservati poiché nascostiall’interno o sottoterra o comunque nonpercepibili; prevale una sorta di ostenta-zione di potere, di desiderio di suscitaretimore e rispetto in chi si approccia al-l’oggetto. Spesso poi si tratta di ulterioriamuleti per proteggere il feticcio dall’a-zione di potenze spirituali maligne (adesempio erbe legate attorno al corpo) opiù semplicemente di abiti, con cui anchegli spiriti, a volte, amano coprire il pro-prio corpo.

Le sculture legate a Heviesso sono ge-neralmente arricchite da piccole asce chevengono conficcate nel legno, mentrequelle legate a Da15 sono caratterizzate daserpenti in ferro stilizzati. Molto importan-te è anche l’uso delle perle in vetro, perchéogni divinità è associata a un colore e a unaspecifica tipologia di perla, oppure l’abbi-gliamento o le decorazioni del corpo16.

Abbiamo visto come i vodu, per espri-mere la loro energia, abbiano bisogno di

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Vodu Bankoko a Afindegnigba, Togo (2002).Foto G. Pezzoli

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un supporto materiale nel quale focalizza-re il loro potere; un feticcio in legno asso-ciato a Heviesso, non sarà quindi di fattoHeviesso, ma solo una sua parziale ema-nazione.

Come ricorda Suzanne Preston Blier“ogni vodu è caratterizzato da identità epoteri differenti, i quali spesso diventanocentrali nel funzionamento psicologicodelle sculture del genere dei bo vodu”(1995:301). La pratica del vodu concentrainfatti energie psichiche su supporti mate-riali e i vodu possono differenziare le lorospecifiche peculiarità su diversi oggetti.

Altri feticci “senza la complessa stra-tificazione superficiale dei bo vodu sipossono trovare all’interno o vicino aitempli vodu stessi. … essi sono il centrodi cerimonie aventi lo scopo di alimentare(supporto, ricompensa) il vodu. … si ri-tiene che proteggano dai ladri l’altare e lafamiglia che lo ospita…. Questa tipologiadi scultura spesso viene utilizzata percommemorare il deceduto prete vodu eper situare e focalizzare il potere di tali in-dividui” (Preston Blier 1995:306). Spes-so fuori dagli altari si possono infatti tro-vare dei picchetti antropomorfi che con-vogliano al loro interno le energie della

persona che ha introdotto il vodu e che neera sacerdote o che ne ha concesso ad altril’installazione. Il potere di questi indivi-dui consente ai vodu di continuare a lavo-rare a favore della famiglia che ospital’altare e allo stesso tempo garantisce allafamiglia uno scambio positivo di energiecon un individuo “forte”, che in vita ma-nipolò forze e poteri.

I feticci che hanno un legame direttocon il mondo dei vodu, fungono quindi damediatori tra l’uomo e i vodu stessi, di-ventando gli interpreti dei desideri e dellepaure umane, assumendosi il carico di da-re una risposta materiale e concreta a taliinquietudini; i bo vodu convogliano e av-vicinano all’uomo le incommensurabili ecaotiche energie diffuse dalle divinità, ilcui comportamento è sempre ambiguo eambivalente, e consentono all’uomo diessere parte, anche se marginale, delleenergie che agitano il cosmo. Rilevante èil ruolo psicodinamico di tali sculture chepossono condizionare e regolare la vitaquotidiana, diventando degli interlocutoriattivi con cui confrontare le proprie pas-sioni ed emozioni. Evidentemente la for-za e il potere di questi negoziatori dipen-derà poi dalle capacità dell’individuo cheinteragisce con esse, dalla sua abilità nelfar fronte e quindi controllare l’impattoche questo scambio tra terreno e ultrater-reno provoca. Maggiori sono le capacitàdi queste persone – féticheurs, bokonoh ehunô – maggiore sarà la loro confidenzacon l’ultraterreno, e quindi più richiestele loro performance. È normale che nellostesso villaggio vi siano più altari dellostesso vodu e che non tutti abbiano lostesso potere e la stessa efficacia, poichéquesta è strettamente correlata alle “capa-cità” di chi installò l’altare e di chi ora sene prende cura.

Vi sono anche sculture antropomorfeche mettono in evidenza deformazioni

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Vodu Awegibola, protegge la casa e accogliegli stranieri a Afindegnigba, Togo (2001).Foto G. Pezzoli

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corporee e mostruosità; i più diffusi sonoi feticci con due teste o bifronti. Questogenere di scultura viene spesso installatoall’esterno del villaggio, poiché i due vol-ti sono in grado di vedere, e quindi pro-teggere, dal male che arriva dall’esternosenza togliere l’attenzione da ciò che suc-cede all’interno. Sono sculture la cui fun-zione prevalente è quella di difendere dal-la stregoneria, poiché si ritiene che lestreghe siano dotate di quattro occhi e chela seconda coppia di occhi sia in grado didistruggere.

Ad Agbetiko, lungo il sentiero checonduce al fiume, ai confini del villaggio,vi sono quattro pali in legno bifronte, cheguardano verso il fiume e verso le case;furono installati per combattere le forzedella stregoneria e in particolare per fron-

teggiare i tavetono, “spiriti proprietari diquattro occhi”17. Dosu Sogbegi, proprie-tario dei pali, racconta che con il secondosguardo le streghe sono in grado di vederenello stomaco delle persone, laddove ipensieri più segreti si trovano, intuirequindi i desideri e i futuri successi e ucci-dere per invidia. Il legame di questo tipodi sculture con il mondo della stregoneriaviene sottolineato anche da una possibileambivalenza sessuale del feticcio: il voltodell’identità femminile controlla il mon-do notturno, il volto maschile quello diur-no. Altri caratteri morfologici che si pos-sono trovare nei bo direttamente legati al-la stregoneria sono il ventre ampio e gon-fio, i denti prominenti e la bocca larga.

Molto frequenti nell’area ouatchi, so-no i pali in legno, installati, all’interno oall’esterno delle case, allo scopo di placa-re gli antenati che si sono reincarnati inun nuovo nato (amedzodzo). Anche gliamedzodzo sono scarni e privi di dettagli;l’attenzione viene posta nella realizzazio-ne degli occhi, della bocca, del naso e del-le orecchie, poiché sono questi i canali at-traverso cui l’antenato può percepire larealtà, ascoltare e accettare le parole e leofferte dei suoi discendenti.

Questi oggetti, la cui funzione verràmeglio esplicata nei paragrafi successivi,fungono anche da entità protettive dellacasa, da veri e propri guardiani.

Il corpo dei feticci

La corporeità dei feticci è sempre pre-sente anche quando non si tratta di oggettiantropomorfi. Essi si riproducono; la lororiproduzione - una nuova installazione – sirealizza a partire dalla materia di un’instal-lazione preesistente; sono generalmentesessuati, in alcuni casi ermafroditi; hannobisogno di nutrimento e sono soggetti a di-

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Trosi durante la cerimonia di uscita dal con-vento tudede ad Atsassi Djita, Togo (2001).Foto A. Brivio

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vieti “alimentari”. L’aspetto forse più sor-prendente è che possono anche morire, li sipuò uccidere, smettendo di alimentarli odissotterrandoli; chiaramente essi cerche-ranno di richiamare l’attenzione di chi lidimentica attraverso la malattia, ma nonsono rari gli altari abbandonati, sia perchéla persona incaricata è morta, sia perché ilvodu non si è dimostrato capace di rispon-dere alle esigenze dell’uomo.

La parentela del feticcio con l’uomorimane sempre molto stretta e, come ilcorpo dell’uomo, il feticcio può esserepassivo e attivo al contempo. È passivo inquanto oggetto di simbolizzazioni, èquindi segnato, ornato, vestito, maschera-to, così come succede all’uomo quandodeve sancire la sua appartenenza a un vo-du, a una classe di età, ecc. Ma è comun-que anche attivo, poiché parla della suanascita, della sua salute, del suo sesso, deisuoi desideri, delle sue relazioni e dellasua morte.

Il corpo è poi sia interno che esterno,sia ciò che appare come forma immedia-ta, sia ciò che è espresso dalla sua interio-rità organica. Per quanto riguarda l’uo-mo, gli organi interni sono considerati co-me “dotati di vita propria”, ricettacoli ediffusori di emozioni e stati d’animo. Co-me sottolinea Augé:

In Africa il corpo è sempre concepito co-me una parte dello spazio naturale e per-ciò, come ogni oggetto del mondo esterno,pezzi del corpo possono essere socializza-ti, divinizzati, simbolizzati. Inoltre le di-verse componenti psichiche ed energeti-che della persona sono incorporate, anchese questa espressione traduce male le con-cezioni locali che, proprio perché nondualistiche, non riducono mai la corpo-reità e l’attività psichica a un rapporto tracontenente e contenuto (Augé 2002:61).

Anche il vodu è “fabbricato” con altrioggetti (le erbe, le componenti organichee inorganiche), che vivono di vita propria,che interagiscono tra loro, acquisendo co-sì ulteriore senso nel corpo del feticcio.Le ama, sotterrate nel buco, sono gli or-gani interni del divino, e, come per l’uo-mo, ne determinano il carattere, la forza,le peculiarità e le specificità; per analogiapotremmo dire che il “buco” dell’oggettodivino è lo stomaco dell’uomo.

“Il corpo degli dei africani, modellatonell’argilla o intagliato nel legno, è da ognipunto di vista, perfettamente omologo alcorpo degli uomini” (Augé 2002:62). Inte-ressante è il caso del vodu Koku, abbastan-za diffuso nell’area in esame. QuandoKoku viene chiamato e prende i suoi adep-

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Vodu Koku aSénaugah Condiisulle rive del Mono,Togo (2002).Foto A. Brivio

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ti, questi, attratti in modo maniacale da ve-tri e coltelli, appena sfuggono al controllo,si tagliano con violenza, fendendo ancheprofondamente la pelle. Gli iniziati, uomi-ni e donne, hanno il corpo completamentesegnato dalle cicatrici che il vodu gli haprocurato; esse sono evidentemente un se-gno di orgoglio e un’evidenza dell’ombradivina che permea l’uomo. Ma ancheKoku, realizzato in argilla e installato al-l’interno di un altare, ha il corpo profonda-mente segnato dai colpi di un coltello chetiene nella sua stessa mano.

Infine è sempre attraverso il corpo cheavvengono molti degli scambi tra divinoe umano. Il percorso patologico, la malat-tia e la morte sono i più frequenti segnaliche la divinità manda all’uomo; il corpodell’uomo, nel ruolo passivo, diviene ilricettacolo della divinità, viene possedu-to, segnato, invaso da altre personalità epresenze; cambia le sembianze, la voce eanche linguaggio con cui parla. Ma loscambio biunivoco può avvenire e conti-nuare solo perché l’uomo è animato; lasopravvivenza del divino è quindi garan-tita dall’uomo come soggetto attivo.

Penetrare la superficie

Un tratto comune di molte delle scultu-re antropomorfe di questa regione, oltre al-l’essenzialità della forma, è la bocca aper-

ta, che sembra essere colta in un attimo distupore o mentre emette un suono che siorigina nel profondo. Il profondo dell’uo-mo si ritiene abbia sede nello stomaco, il“buco” dove l’uomo nasconde i propri se-greti, sentimenti e pensieri non comunica-bili. Nello stomaco si nascondono le paro-le non dette, esso “è come il cosmo, enor-me, pieno di esseri sconosciuti, relazioni eparole…” (Rosenthal 1998:175).

Il corpo umano, in quanto realtà visi-bile, è l’aspetto esteriore dell’invisibile,cioè della reale personalità nascosta alsuo interno. Possiamo quindi supporreche questa espressione di stupore che se-gna profondamente il volto di molte scul-ture, e che ai nostri occhi può apparire co-me un urlo di paura, sia l’apertura neces-saria attraverso la quale si svela ciò cheabitualmente è nascosto. La bocca apertaè la speranza dell’uomo di poter sapere laverità almeno dalle proprie divinità tute-lari, sentirne le parole rivelatrici, superan-do così la paura di ciò che si nascondedentro l’uomo, nella cavità, lo stomaco,attorno a cui si sviluppa il suo corpo edentro la quale la sua personalità mul-tiforme cambia e si trasforma.

La bocca aperta potrebbe quindi essereil canale da cui fuoriescono la forza e l’e-nergia di ciò che è nascosto nello stomacodel feticcio, simbolicamente rappresenta-to dal buco nella terra in cui sono ripostele erbe. D’altra parte questo buco essendo

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Adepte di Heviessodurante la cerimo-nia di uscita dalconvento. Tabligbo,Togo (2001).Foto A. Brivio

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nella terra è parte del cosmo, capace quin-di di nascondere e svelare i segreti su cuisi fonda il trascorrere stesso della vita.

Le sculture in argilla18 ancora meglioevidenziano il desiderio di mantenere uncanale aperto tra i due mondi; infatti dopoaver scavato il buco in cui sono messi glioggetti e le erbe necessarie, il sacerdotecrea una cavità nella scultura stessa checollega il buco con l’atmosfera esterna e,traslando i significati, garantisce il colle-gamento tra la divinità, sottoterra, e l’uo-mo, sopra la superficie; materialmente ilcanale consente di riattivare periodica-mente, attraverso le cerimonie e il contat-to con l’atmosfera, la presenza attiva del-la divinità. Ancora una volta ci si con-fronta quindi con l’idea di buco,cavità,che è anche sottesa al significato di vodu.

L’azione di impiantare nella terra, dibucare la superficie, di penetrare versol’invisibile è tutt’altro che casuale; alcunifeticci, soprattutto quelli più vecchi, veni-vano infissi in terra anche per mezzo metrodi profondità. Se sottoterra si trova il nu-cleo attivo del “feticcio”, è intuitivo che lasuperficie terrestre venga vista come il li-mite superiore dell’inconoscibile, luogo diforze e di caos; ma l’azione di penetrare laterra, riempiendo un buco, porta con sé al-tre implicazioni, riscontrabili anche in dif-ferenti contesti magico religiosi.

Piantare un picchetto oppure chiudereun lucchetto sono gesti ricchi di valoresimbolico, che spesso sconfinano nellamagia, e che ogni individuo compie nellasperanza che un suo desiderio si verifichi,o che una paura si vanifichi. Nel villaggiodi Agomeseva, lungo le rive del fiume Mo-no, vi è un’area, un residuo di foresta sa-cra, dove chiunque può andare per trovareuna risposta alle proprie inquietudini, sottola protezione del vodu Dagbase. Si ritieneche piantando un picchetto di legno in terrae svolgendo un semplice e codificato ritua-

le, qualsiasi desiderio possa essere realiz-zato. Il luogo ha un notevole impatto visi-vo, poiché migliaia di picchetti spuntanodal suolo creando uno scenario irreale, rea-le territorio di transizione. Chiunque puòandare in questo luogo, senza il bisogno diintermediari, di bokonoh o di hunô, e cer-care di scacciare le proprie paure chiuden-do con un legno il buco in cui si sono na-scosti i propri timori19.

Esistono diversi luoghi simili a que-sto, sempre in prossimità di alberi sacri oa ridosso di templi, in cui picchetti in le-gno vengono piantati nella terra nella spe-ranza che un sogno si realizzi.

Molti feticci sono oggetto essi stessi diquesto processo di penetrazione e chiusu-ra tramite picchetti in legno o ferro, luc-chetti e oggetti d’altra natura. L’azione di

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Picchetti in legno, Agomeseva, Togo (2002).Foto G. Pezzoli

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penetrare e quindi chiudere ha una doppiavalenza, già implicita nell’azione di chiu-dere la porta, di cui questo rituale è dive-nuto metafora; da una parte la porta chiu-sa garantisce protezione e sicurezza, dal-l’altra consente di imprigionare, di nega-re una realtà non desiderata, di uccidere.

Il picchetto, così come il lucchetto20

che verrà chiuso, preservano le parole chel’interessato avrà mormorato nel buco, adesempio il nome di una persona che sivuole in qualche modo colpire. Ogni luc-chetto, legato attorno a un oggetto, è undesiderio e quindi una paura, che si rea-lizzerà grazie alla forza spirituale del fe-ticcio e del féticheur che lo possiede.

La penetrazione del feticcio, in quantooggetto raffigurante un corpo umano,porta con sé anche l’idea di un forte pote-

re psicologico e la paura della violazionedel corpo stesso. Come ricorda SuzannePreston Blier a seconda della parte delcorpo che viene invasa si evocano diffe-renti stati emotivi e fisici. Se l’intrusioneavviene a livello del petto o del cuore, ge-neralmente è per chiedere l’avverarsi diqualcosa di buono e per calmare lo spiri-to, se avviene nel collo è per uccidere,nella testa per causare perdita di memoriao di coscienza, nelle gambe per immobi-lizzare, nelle braccia per impedire un’a-zione offensiva, nello stomaco per convo-gliare emozioni, come gelosia, rabbia opaura, ecc. (Preston Blier 1995:292).

Il corpo del feticcio può essere poi le-gato con corde, stoffa o catene; anchequesto gesto è carico di significati psico-logici, poiché legare “parti del corpo ser-ve sia a attaccare significato (desiderio,paura, energia) che ad aumentare (e dissi-pare) la tensione associata” (Preston Blier1995:293). L’azione di legare, così comequella di chiudere (lucchetto o buco) siassocia alle parole che spiegano lo scopoche si vuole perseguire, in modo che leparole restino nascoste e legate al corpodel feticcio, la cui forza spirituale le potràrendere realtà. Analogo è il significatosotteso alle incantazioni, dzoka: attraver-so la “liana” costituita dalle parole si legal’energia caotica del fuoco e la si inducead agire secondo i propri fini.

Amedzodzo – l’uomo che rinasce

Amedzodzo21 è il nome dato alle scul-ture che vengono installate quando un an-tenato, che chiameremo tutelare, chiedealla famiglia di riconoscere la sua presen-za in un nuovo nato.

L’uso della parola reincarnazione non èappropriata per definire il rapporto che siinstaura tra il bambino e l’antenato, più

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Il “feticcio dei lucchetti” ad Aklakou Togo(2001).Foto G. Pezzoli

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correttamente si può parlare di “antenatotutelare”, poiché, effettivamente egli è pre-sente nel bambino, ma continua a mante-nere il suo status di antenato; la concezionedell’individuo nell’area évhé è estrema-mente articolata e la sovrapposizione tra idue spiriti è solo parziale e non esclusiva.

Le espressioni plastiche associate alculto degli amedzodzo rappresentano unacategoria più omogenea rispetto ai bo vo-du, ai vodu, o alle altre sculture antropo-morfe a cui ho brevemente accennato. Gliamedzodzo, pur inserendosi in un ambitofamigliare, ed essendo quindi decodificabi-li secondo un sistema di segni condiviso dauna comunità ridotta, trovano il loro sensonell’idea e nella concezione di individuo,ampiamente condivise a livello inconscio,quindi meno passibili di rielaborazioni in-dividuali. Anche in questo ambito, comun-que, vi sono notevoli differenziazioni di si-gnificato; l’importanza nel tempo attribui-ta al culto, dipende sia dal successo che glioggetti hanno avuto, in termini prestazio-nali, sia dal carisma dell’antenato con cui siè instaurata la relazione.

In alcuni casi, in particolare quandol’antenato era un hunô o un bokono, il le-game con il mondo dei vodu, sempre sot-teso, è esplicitato, anche in modo forma-le, riprendendo alcuni dei simboli che ri-conducono al vodu dell’antenato.

Queste forme rituali possono apparirecome un aspetto marginale e separato dalcomplesso mondo religioso degli Évhé; inrealtà il processo che porta al riconosci-mento di un antenato, che in tal modo viene“tolto” dall’uniformante mondo dei morti,l’installazione dell’oggetto materiale nelquale l’antenato può far confluire le pro-prie energie e la modalità con cui ci si rela-ziona all’antenato “oggetto”, ripercorre letappe della possibile genesi di un vodu.

Il culto degli amedzodzo si inserisce nelmomento cruciale della vita dell’uomo rap-

presentato dalla nascita; al di là della suaevidente e universale valenza, essa acquisi-sce, in questi contesti, un importante valoreaggiuntivo. La nascita, come momento dipassaggio critico garantisce la continuità trai non ancora nati, i vivi e i morti, andando asaldare la cesura che lo scorrere delle gene-razioni può provocare all’interno della co-munità. Il continuo ritorno dal mondo del-l’aldilà crea un legame molto forte all’in-terno del lignaggio, garantendone l’unità ela coesione, al di là dell’instabile susseguir-si delle generazioni.

Uscendo dal contesto del singolo li-gnaggio, la nascita è il segno tangibile dicontinuità senza il quale l’intero mondosmetterebbe di essere; il solo mondo ul-traterreno, degli antenati e dei vodu, nonpotrebbe infatti esistere se venisse a man-care il dialogo quotidiano con l’uomo.

Gli antenati mantengono uno strettolegame con la famiglia che ancora si trovasulla terra e si ritiene che continuino a oc-cuparsi e interessarsi del suo benessere;in virtù delle maggiori potenzialità spiri-tuali della nuova esistenza ultraterrena, imorti rappresentano una protezione e si-curezza per i vivi; sono inoltre i guardianidella tradizione, della morale e anche de-gli interessi economici della famiglia.

Sono interessati al mondo dei vivi, ser-bano la capacità di vedere, sentire e prova-re passioni; pretendono attenzione e rispet-to da parte dei vivi e chiedono di essere nu-triti con offerte di cibo e bevande. Se unapersona viene colpita dalla stregoneria,dalla malattia o dalla sfortuna probabil-mente significa che gli antenati si sono di-menticati di lei, o peggio sono adirati.

Nel contesto in esame il luogo presceltoper il culto degli antenati è il togbesibi, cioèl’altare all’interno del quale vengono con-servati i seggi dei capofamiglia. Gli amed-zodzo sono un ulteriore strumento con cuil’uomo segna, anche materialmente, la ne-

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cessità della permanenza del lignaggio. Laciclicità delle esistenze, la certezza che gliantenati possano ritornare nella loro fami-glia è rassicurante sia per i vivi, che avran-no il privilegio di avere un “antenato” chevive tra le pareti di casa, che per l’antenatostesso, il quale vede rafforzato e stimolatoil dialogo con i vivi e quindi la possibilitàdi non cadere nell’oblio.

La morte, per quanto momento dram-matico, non assume quindi la valenza diabbandono definitivo o di rottura insupe-rabile. Dopo la morte, dall’aldilà, si puòritornare come antenato tutelare e vivereuna nuova esistenza. Spesso si ritiene cheproprio chi, morendo giovane, non è riu-scito a portare a termine la propria esi-stenza, più facilmente tornerà sulla terra acompiere il proprio destino; i bambinimorti nei primi anni di vita sicuramentetorneranno a vivere nel nuovo bambinoche la madre metterà al mondo.

La nascita

La nascita, cioè l’ingresso dell’uomonel mondo del visibile, è un momento ditransizione carico di significati ed estre-

mamente delicato. Il nuovo nato deve es-sere simbolicamente inserito sia nellospazio sociale e fisico del villaggio, chenel tempo; il bambino appena nato non hainfatti un’identità definita e non si puòneppure affermare che appartenga alla fa-miglia che lo ha generato. Egli può esserel’incarnazione di un antenato, può appar-tenere a un vodu, quindi avere un’originedivina o può cadere vittima della adze, lastregoneria, che approfittando della suavulnerabilità, può impossessarsene.

Nel caso in cui la responsabilità dellanascita sia attribuita a un vodu, a questibambini verrà dato un nome che li conno-terà immediatamente, rendendo evidentela “paternità” sacra; ad esempio, se la re-sponsabilità della nascita è del vodu Da, ilbimbo si potrà chiamare Daklu, Dasi, Da-vi ecc.; come mi ha raccontato Bruno Gil-li, capita spesso che i genitori si rivolganoal bambino chiamandolo direttamente“vodu”. Altre nascite ritenute divine sonoquelle dei gemelli, venavi22 quelle deibambini nati con delle anomalie, toxosu23

o dei bambini nati podalici ago24. La vita di questi bambini sarà segnata

dal contatto diretto con il divino, ogni lo-ro azione sarà evocatrice di un messaggioultraterreno e i loro comportamenti nonpotranno mai essere banali o inutili; percontro essi saranno soggetti a divieti e re-strizioni, e la loro esistenza segnata dalvolere del vodu che li ha “generati”.

La loro nascita sarà quindi accompa-gnata da rituali specifici e dall’installazio-ne di un altare per il vodu a cui appartengo-no; anche per le nascite non direttamenteveicolate da una divinità si dovranno svol-gere delle cerimonie, meno complesse, checonsacrano il fondamentale momento ditransizione dall’aldilà al mondo terreno.La nascita è un momento comunque sacroe legato alle forze femminili della natura,considerate come parte della Grande Ma-

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Gli alberi Ago, dacui prendono nomei bambini che na-scono podalici, checome l’albero, sem-brano avere le radi-ci verso il cielo, To-go (2002).Foto A. Brivio

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dre delle origini, Na. “Essa generò duecoppie di gemelli, da cui poi ebbe originetutto l’Universo oggi abitato. Ancora oggi,ogni donna che partorisce, partecipa inqualche misura della potenza generatricedi Na e ogni bambino che nasce porta in séun po’ del mistero dell’universo gemellaredelle origini” (Pazzi 1976: 259).

L’inserimento nel tempo dei vivi èsancito innanzitutto dando al bambino ilnome del giorno in cui è nato, mentre unsecondo nome lo inserirà nel tempo dellafamiglia, per cui dipenderà dall’ordine dinascita rispetto agli altri fratelli. Un terzonome può essere infine scelto dalla fami-glia e dato al bambino dopo sette o novegiorni di reclusione all’interno della casain cui è stato partorito.

Durante il periodo di reclusione il bam-bino non appartiene ancora al mondo terre-no e i suoi legami con l’ultraterreno sonomolto forti. Il bambino è considerato comeun visitatore che può decidere di fare ritor-no nell’aldilà; per tal motivo verrà trattatocon particolare riguardo in modo che non siarrabbi e le madri a ogni richiesta dovrannodargli il latte, evitando che si offenda. Il pe-riodo di reclusione è poi necessario perproteggere un’esistenza ancora molto de-bole e vulnerabile di fronte alle gelosie e al-le malevolenze che abitano il mondo.

Passato questo periodo viene eseguitauna cerimonia, chiamata videto, con laquale la mamma e il bambino escono dallacasa e quest’ultimo viene definitivamenteintegrato nella vita sociale. In tal modo ilbambino sarà inserito nella famiglia terre-na e presentato a quella ultraterrena, cioèagli antenati. Durante la cerimonia, che sisvolge all’alba, il bambino viene presen-tato per la prima volta al sole. La zia pater-na si occuperà di far uscire fisicamentedalla porta di casa il bambino superando lasoglia per sette volte e al settimo passag-gio, un famigliare in attesa nel cortile, lo

bagnerà, lanciando in aria acqua mista aderbe - ama - fredde; solo a questo punto ilbambino potrà uscire e la sua nascita verràsocialmente riconosciuta, si comunicheràpubblicamente il suo nome e verranno rin-graziati gli antenati.

Il terzo passo è l’integrazione del bam-bino nello spazio che, secondo Gilli (1997:19-33), radica il neonato nella terra che loha originato. Si tratta del rito dell’interra-mento della placenta e del cordone ombeli-cale nella casa in cui il bambino è statopartorito. La placenta appartiene alla ma-dre e viene interrata nel luogo dove lei abi-tualmente si lava, in un posto umido, nellaterra “che possiamo interpretare come ilseno materno, la matrice simbolica checontinua a proteggere il bambino dopo lasua nascita.”25 In tal modo si stabilisce un

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Una donna portasuo nipote fuoridalla casa durantela cerimonia del vi-deto ad Afagnagan,Togo (2001).Foto A. Brivio

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legame forte e inscindibile tra la madre e ilfiglio. Il cordone ombelicale appartiene in-vece al bambino e viene sotterrato in unposto più esposto, spesso all’esterno, inprossimità di un albero, creando un legameindissolubile con la sua terra di origine.

Infine, nel primo giorno di luna nuova,dopo la nascita, ha luogo il rito dettosukuku, che letteralmente significa “l’azio-ne di soffiare alla luna”. Il bambino vienepresentato alla luna, astro che simboleggiail divenire, il nascere e il morire dell’esi-stenza; dalla luna dipende la fecondità delladonna e della terra, e accompagna quindi siasimbolicamente che attivamente le fasi del-l’esistenza di tutto ciò che è vivo nel cosmo.

L’antenato tutelare

Un ulteriore e fondamentale momentodi inserimento del bambino nella vita so-ciale, che sancisce la continuità del susse-guirsi del tempo e delle generazioni e ilradicamento nel nucleo comunitario, èl’identificazione dell’antenato tutelare. Ilprimo segno che si imprime al bambinoconsiste nel dare lo stesso nome che eraappartenuto all’anziano.

Alcuni anziani raccontano che, untempo, già durante la gravidanza ci si re-

cava da un bokono per consultare gli ante-nati e le divinità e conoscere tutti i passinecessari per iniziare in modo correttol’esistenza del bambino appena nato: intal modo si scopriva il nome dell’antena-to responsabile della nascita, le divinitàpiù vicine al bambino e i conseguenti di-vieti da rispettare.

Diversi bokonoh mi hanno riferito chequesta abitudine si è persa, anche perchésempre più spesso le donne vanno all’o-spedale o comunque consultano del per-sonale medico che imprime un diverso si-gnificato alla nascita e ai momenti dellagravidanza26.

Oggi la consultazione del bokono, perquanto ancora estremamente diffusa efrequente, avviene per interpretare un se-gno preciso mandato dall’aldilà. Il segna-le che gli antenati inviano ai loro discen-denti è generalmente veicolato da unamalattia che colpisce il bambino. La ma-lattia, così come la sfortuna, la mancanzadi soldi e la morte (se prematura) non so-no mai accettate passivamente, ma imme-diatamente indagate per capirne le causegeneratrici. Il disordine provocato da unamalattia può essere dovuto al maleficio diuna strega, o di un qualsiasi essere umanoche fa ricorso alla magia, o può risiederenell’opposizione e nel cattivo umore di

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Bokono duranteuna consultazionead Afa gnagan, Togo(2001).Foto A. Brivio

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qualche antenato o di qualche vodu. Intutti i casi solo consultando un bokono,l’uomo può mettersi in contatto con leforze del mondo ultraterreno e interpre-tarne i segnali. Nel caso un antenato o unvodu inviino una malattia, può significareche vogliano richiamare l’attenzione deidiscendenti o dell’adepto, colpevoli diaver trascurato i rituali, interrompendocosì il fondamentale dialogo tra i duemondi; oppure che stiano chiamando unnuovo adepto, o chiedano delle offerte, osiano semplicemente dispettosi. In tutti icasi è compito del bokono indicare a chilo interroga le azioni necessarie per pla-care il conflitto, e soddisfare le richiestedel mondo ultraterreno.

Quando un bambino si ammala neiprimi mesi di vita, spesso significa chel’antenato “reincarnato” cerca il ricono-scimento del suo lavoro e della sua pre-senza. Non tutti gli antenati hanno unamedzodzo: ciò non significa che il pro-cesso ciclico di ritorno dall’aldilà sia spo-radico o interessi solo alcuni individui,ma semplicemente che non tutti gli ante-nati hanno bisogno di richiamare l’atten-zione su di loro; laddove non vi sono se-gni da indagare si tende a dimenticarel’antenato tutelare.

Generalmente è sufficiente dare albambino il nome dell’antenato e svolgerele cerimonie di riconoscimento nel togbe-sibi, ma se l’antenato invia la malattia si-gnifica che la crisi è più grave, la conti-nuità del lignaggio effettivamente a ri-schio, e quindi la richiesta dell’antenatopiù onerosa; egli ricerca, chiedendo l’in-stallazione di un amedzodzo, un rapportoquotidiano e duraturo.

Così come nel caso delle nascite divi-ne, anche questi bambini hanno una rela-zione particolare con l’invisibile e ver-ranno trattati con particolare riguardo.Non possono essere sgridati né tanto me-

no picchiati, perché in loro risiede l’ante-nato, un anziano, che mai accetterebbe leurla o gli insulti di un componente piùgiovane della sua famiglia. Il rischio chesi corre è molto alto; un antenato offeso sidimostra spesso spietato e disposto asmettere di intercedere in suo favore, oaddirittura a collaborare alla rovina dellasua stessa famiglia. Nel caso dell’ amed-zodzo, l’antenato offeso per le poche at-tenzioni ricevute, se ne va portando consé il bambino e causandone quindi lamorte. La tensione dei genitori non puòmai calare neppure dopo l’identificazionedell’antenato e l’installazione dell’ogget-to, e la minaccia della morte rimane sem-pre forte non consentendo all’uomo ditrovare un rifugio rassicurante neppurenel culto degli antenati. Questi bambini,diversi e dispettosi, che possono decideredi andarsene se vengono maltrattati o se sialza troppo la voce con loro, ricordanouno spirito bambino, diffuso in area yoru-ba, che è Abiku27. Abiku e gli amedzodzotestimoniano come il dramma della mor-talità infantile sia temuto, anche per il suopotere destabilizzante, per la minacciarappresentata dalla possibilità di inter-rompere la continuità del lignaggio e il le-game tra mondo dei vivi e di morti.

La persona come entità aperta e multipla

Presupposto di questa particolare for-ma di reincarnazione, di cui l’amedzodzo èun’espressione, è una concezione dell’in-dividuo articolata e multipla, che consentequindi la sovrapposizione di due identità,antenato e bambino, in uno stesso corpo.La pluralità di componenti della persona,elemento comune della concezione di indi-viduo in Africa nera, non è certo sinonimodi non integrazione e disarmonicità. Allabase vi è l’idea del proprio corpo come “li-

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mite valicabile”, dove la molteplicità dicomponenti non corrisponde a una divisio-ne di tipo dualistico tra corpo e spirito.Ciascuno spirito è stato corpo e l’uomo èparte di un fluire continuo tra lo stato cor-poreo e lo stato spirituale, cioè tra il mondovisibile e il mondo invisibile che, come ab-biamo visto, si compenetrano in un conti-nuo dialogo reciproco. Il ritorno degli an-tenati significa che l’uomo è parte di que-sto flusso, e che la morte non è un punto dirottura definitivo.

Il concetto di persona per gli Évhé èflessibile e aperto alle interferenze ester-ne; l’uomo si percepisce come individuo,ma è consapevole di non essere un’entitàchiusa, univocamente definita e connota-ta da una personalità esclusiva.

Ciascun individuo è aperto alla penetra-zione di altre entità e quindi identità; è con-sapevole di poter essere posseduto da unadivinità, fenomeno per nulla raro, di poteressere generato da una divinità, e portare alproprio interno parte dello spirito di un an-tenato che è tornato nel mondo visibile: lodzoto, cioè il padrone della nascita.

L’influenza di un’altra personalità,quella appunto dell’antenato, agisce nonsolo a livello psicologico ma anche sulpiano fisico, confermando come il duali-smo anima corpo non sia possibile. Lo

spirito dell’antenato lascia dei segni evi-denti sul corpo: spesso è proprio a partireda queste somiglianze che si identifica lapresenza spirituale.

La multiformità dell’io non ha certouna connotazione patologica, come risul-terebbe in un’ottica occidentale, ma man-tiene l’uomo aperto al cambiamento; nonsono rari i casi di persone che scopronosolo in età adulta di essere in realtà per-meati da un vodu o da un antenato, e ac-cettano cambiamenti radicali nella pro-pria esistenza, alla ricerca di un’armoniacon il mondo ultraterreno. Accettare diessere pervasi da uno spirito, di portare atermine il destino di un antenato, di acco-gliere un’alterità, anche distante dallapropria realtà contingente, consente al-l’uomo di mantenersi in equilibrio e indialogo con il mondo ultraterreno, garan-tendosi quindi una stabilità e continuitàsociale, morale e psicologica.

Le componenti dell’individuo, nell’a-rea in esame, hanno nomi differenti a se-conda del contesto geografico originarioe delle conseguenti influenze culturali su-bite; ma ciò che mi pare importante met-tere in luce è la dinamica di tali compo-nenti, qualunque sia il nome a loro attri-buito, sia nel concorrere a formare unapersonalità complessa e aperta, sia nel

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Alcuni amedzodzo,in legno e in ferro,fuori da una casa aKletome, Togo (2001).Foto G. Pezzoli

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configurare, a livello sociale, una formadi permanenza del lignaggio.

Una delle parole utilizzate dagli Évhéper definire una delle componenti immate-riali dell’uomo è luvho che si può definirecome quella componente dell’uomo chepiù appartiene al mondo invisibile. Luvhoviene in letteratura generalmente tradottocome anima, ma non bisogna caricare que-sta parola dei significati che hanno valoreall’interno della nostra cultura.

Ellis definì luvho come lo spirito cheabita l’uomo, presente anche negli ani-mali e in tutti i fenomeni naturali. “Illuvho esiste prima della nascita ed è statoprobabilmente lo spirito di una lunga se-rie di persone: dopo la morte diventa nôlio luvho senza residenza.” Per un breve in-tervallo di tempo dopo la morte rimanevicino al sepolcro dove è stato interrato ilcorpo; in seguito abitualmente entra nelcorpo di un nuovo nato e di nuovo diventaluvho (Ellis 1890:102).

Il luvho può abbandonare il corpo,senza che questo apparentemente soffradi alcun disturbo, sia durante il sonno chedurante la veglia e “quando si aggira e la-scia il corpo, è chiamato aklama … la pa-rola aklama deriva da kla che significa di-sertare, abbandonare” (Ellis 1890: 103).

A fianco dello spirito, che secondo El-lis, abbiamo detto, si divide in tre diffe-renti “stati o condizioni”, vi è l’anima,cioè “il fantasma, l’ombra che continual’esistenza del corpo dopo la morte e cheper ciò risponde alla definizione europeadi anima” (Ellis 1890:105). Egli sostieneche spesso anima e spirito vengono con-fusi, ma vi è una differenza sostanzialepoiché quando l’anima, che egli chiamadsi28 si allontana dal corpo significa chel’uomo sta per morire.

Roberto Pazzi, che ha studiato in parti-colare l’area degli Ouatchi, analizza inve-ce le due componenti del luvho: “Il con-

cetto di anima comporta due livelli distin-ti, dove la parte più materiale, che è visi-bile risulta essere come l’immagine del-l’altra, invisibile e spirituale. L’aspettovisibile è costituito dall’ombra del corpoumano. Si tratta dell’ombra densa, che èpiù piccola dell’ombra proiettata da uncorpo esposto al sole. Quest’ultima infattiscompare quando il corpo si ritrae dal so-le, mentre l’ombra densa l’accompagnaovunque, anche quando si trova nell’inti-mità della sua stanza. Quest’ombra èchiamata “anima della vita” (agbè luvho)… tale aspetto visibile e materiale dell’a-nima scompare con la morte, ma l’aspettoinvisibile e spirituale resta. Quest’ultimosi chiama ‘anima della morte’ (ku luvho)”(Pazzi 1976: 294).

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Amedzodzo in legno e in ferro a Klikame, To-go (2001).Foto G. Pezzoli

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Al luvho, che come vedremo può esse-re chiamato anche in modo differente, siaffianca lo gbôgbô, cioè il soffio vitale orespirazione. Lo gbôgbô, spesso tradottocome “spirito”, è la componente che con-sente all’uomo, così come alle cose e aglianimali di essere vivi.

Sempre secondo Pazzi “il concetto digbôgbô è parallelo a quello di anima e an-ch’esso presenta due livelli, uno di respi-razione che cessa con la morte e uno dispirito immateriale, che lascerà il corpoper ricongiungersi con gli antenati nel-l’aldilà”.

I due luvho, della vita e della morte, se-condo de Surgy, durante l’esistenza terrenacollaborano in una tensione continua, do-vuta alla reciproca interferenza, a creare ilcampo di coscienza dell’uomo. L’ agbèluvho è per de Surgy lo spirito vitale da cuidipendono “le simpatie e antipatie”, men-tre ku luvho è lo “spirito immaginario del-l’uomo, quello che riserva all’individuoun punto di inserimento all’interno dell’u-niverso mutevole delle tracce ancestrali, inparticolare nella memoria collettiva e nellinguaggio” (1998: 33).

Con la morte il rapporto tra i due luvhosi affievolisce ed essi acquisiscono reci-proca libertà. L’agbè luvho si allontaneràdal mondo visibile, a meno che l’indivi-duo non abbia subito una “morte malevo-la”, che lo condannerà ad errare sulla ter-ra, e farà ritorno al mondo delle origini. Ilku luvho non si allontanerà dall’ambientee dalle cose che gli erano famigliari du-rante la vita, né dalle persone che gli so-pravviveranno; il legame tra parenti vivi edefunti è quindi rinforzato e assicurato dauna presenza continua, anche se parziale,degli antenati.

L’allontanamento tra i due spiriti nonporta comunque a una dissociazione tota-le, essi continuano a essere partecipi diciò che accade nel mondo visibile, e man-

tengono un’evidente capacità di giudiziosugli avvenimenti, anche se perdono lacapacità di produzione fenomenologica.

Un’ulteriore componente spirituale siaffianca nell’individuo ai due luvho: è lospirito vitale, l’agbè luvho di un parentedefunto, che decide di tornare più attiva-mente nel mondo terreno. Secondo deSurgy lo spirito vitale dell’antenato andràad affiancarsi ai due spiriti che già appar-tengono all’individuo e queste tre entitàsi posizioneranno in tre parti differenti delcorpo. Il proprio spirito vitale, che gover-na l’esistenza corporale troverà posto neltorace che controlla le funzioni corporali;lo spirito immaginante si collocherà nelventre, da dove si ritiene nasca l’intelli-genza, e lo spirito tutelare dell’antenatonella testa, responsabile della condottasimbolica e in particolare del linguaggio.

Ciascun individuo è poi caratterizzatoda un destino, detto se, attraverso il qualel’uomo partecipa al destino universale.“Il grande destino che governa l’universocontiene tutte le forme possibili di realtà:le differenti forme, si ritiene si articolinoin 16 per 16 (256) immagini primordiali”(Pazzi 1976:297). Queste immagini sonochiamate kpoli e ciascun individuo nasce“sotto il segno” di una delle 256 possibilicombinazioni. Conoscere il proprio kpoliè possibile attraverso l’iniziazione all’o-racolo Afa29 ed è quindi una cerimonia acui solo pochi vengono sottoposti.

Lo kpoli accompagna l’uomo per tuttala vita, “unito all’uomo così come la pla-centa lo è al feto durante la sua vita in-trauterina” (Pazzi 1976:297), e lo abban-dona definitivamente con la morte.

Sempre Pazzi riferisce che, secondoopinione abbastanza diffusa, la compo-nente identitaria dell’antenato che ritornanon sia il luvho ma il se, cioè il destino,come testimoniato da alcuni nomi di per-sona Sewa, Sewaxwe cioè “il destino è ri-

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tornato nella casa”, attribuiti in seguito alriconoscimento dell’antenato. (Pazzi1976:299). Effettivamente viene spessoriferito che il bambino dovrà portare a ter-mine l’esistenza dell’antenato, qualoraquesta si sia interrotta prematuramente.Kofi, un abitante di Amegneran che con-divide con un fratello lo stesso antenatotutelare, mi ha raccontato che le loro esi-stenze sono accomunate da avvenimenti(medesime malattie, medesima sfortunacon le donne) che li colpiscono più o me-no contemporaneamente, a riprova di unvincolo di predestinazione dovuta al co-mune antenato

Maupoil a proposito del se scrive:

È invisibile. Ciascuno ha il proprio se edesso è vicino all’uomo come le altre com-ponenti dell’anima. Il se non conosce né lavita né la morte: è immutabile, perché nonsegue la materia nella tomba. Una voltamorta la persona che il se ha protetto, essosi prenderà cura di colui di cui il morto di-venterà joto [cioè l’amedzoto n.d.r.]. Lasua attività è eterna (Maupoil 1943: 381).

L’informatore di Maupoil, Gedegberiferiva:

Del se, in realtà non sappiamo nulla. Tuttociò che conosciamo è lo joto: anche se in-visibile lo joto ci ispira fiducia. Si fa infat-ti fatica ad ammettere che lo sperma da so-lo, cioè “dell’acqua”, sia sufficiente a for-mare la complessa personalità di un esse-re. Con il nome e le qualità di joto, il sediventa più comprensibile (Maupoil 1943:389).

In alcuni casi, se Afa lo richiede, sarànecessario che il bokono realizzi un sup-porto materiale per il se dell’individuoche sta consultando l’oracolo. Questopiccolo oggetto di forma umana, verrà

conservato nel segreto della propria stan-za e ci si rivolgerà a lui nei momenti diffi-cili della propria esistenza. Il destino se,così come il proprio kpoli, non rappresen-tano una gabbia senza soluzioni e l’uomoha lo spazio per intervenire cercando dicomprenderlo per migliorare la propriaesistenza. Se, ad esempio, ciclicamenteuna persona fallisce nelle sue imprese, emetaforicamente continua a sbagliarestrada, può cercare, aiutato da un bokono,di correggere il suo percorso. Le cerimo-nie che vengono eseguite in questi casi,rimandano proprio a immagini di viaggioe di spostamento30.

La ricerca che alcuni conducono, nelcorso di tutta l’esistenza, per leggere, capi-re e interpretare il proprio kpoli, testimoniail desiderio di trovare un’armonia tra l’in-terno e l’esterno, tra l’invisibile e il visibi-le, e la disponibilità alla continua scopertadelle esigenze delle componenti invisibiliche costituiscono la persona. La letturadello kpoli può infatti manifestare la ne-cessità di evitare determinati comporta-menti o situazioni sconsigliate (per lo spe-cifico segno), di nutrirsi solo di certi cibi odi utilizzare particolari erbe, ecc. Anche lokpoli è legato a un oggetto materiale, infat-ti dopo la consultazione nella foresta sacrail bokono darà all’iniziato un sacchetto checontiene parte della terra su cui è stato trac-ciato il segno, le erbe di Afa e altri elemen-ti associati al segno stesso. Questo sacchet-to, sigillato, verrà conservato nella stanzadell’iniziato, e verrà distrutto alla sua mor-te, proprio perché lo kpoli è unico e scom-pare con il suo possessore. “Al di là di kpo-li c’è un campo che nessuno ha saputoesplorare. Il primo Fa consultato per l’es-sere che viene al mondo scopre il nomedello joto, rivela il primo determinismo.Lo kpoli è l’estrema conoscenza che l’uo-mo può acquisire di se stesso e del suo de-stino” (Maupoil 1943: 389) e la conoscen-

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za del proprio kpoli è un’impresa che se-gna tutta la vita dell’ uomo che ha iniziatoquesto cammino.

I passi che l’uomo percorre per analiz-zare quello che noi definiremmo come ilproprio io, ma che in questo contesto nonassume evidentemente un connotato diunicità individuale, riconduce a quelli se-guiti per scoprire le esigenze degli ante-nati o delle divinità, mettendo ancora unavolta in evidenza un approccio sacrale eparzialmente distaccato dell’individuo dase stesso. L’uomo non è infatti padrone disé, perché, anche se con livelli di consa-pevolezza estremamente differenti, sa difar parte di un continuo flusso di materiache unisce il mondo dei viventi all’aldilà,del quale fanno parte la sua vita come lasua morte.

La reciprocità tra uomo e divinità tro-va un senso anche nell’identità pluraledell’uomo. L’unione temporanea di ele-menti ed eredità distinte ha riscontro nella“pluralità identitaria” del divino. L’uomoè pronto a scoprire nuove tracce in se stes-so e a cercarne all’esterno, nel mondo di-vino; i vodu dal canto loro, si moltiplica-no e si differenziano. Uno stesso vodupuò essere installato una, due, dieci volteall’interno del medesimo villaggio, per-ché ogni installazione ha un significato e

una funzione differente, e nuovi vodupossono generarsi e gli uomini così comele altre divinità sono sempre pronti ad ac-coglierli.

Le componenti della persona: alcuneinterpretazioni

Tutti i bokonoh con cui ho avuto mododi parlare, nei villaggi attorno a Afagna-gan, sono concordi nell’affermare che“l’anima” di ogni individuo è costituitada tre componenti, come Ellis evidenzia-va, anche se solo come “stati” differentidi un’unica realtà, cioè il luvho. I nomispesso si scostano da quanto sopra ripor-tato, ma ciò può essere dovuto sia a diffe-renze regionali e linguistiche che a possi-bili cambiamenti di quelli che si ritengo-no essere i saperi tradizionali. I terminiutilizzati per definire le diverse compo-nenti dell’anima variano notevolmente,anche tra bokonoh del medesimo villag-gio. “Il motivo della forte differenziazio-ne che noi troviamo nei termini utilizzatiattualmente dipende dal fatto che questeparole non vengono pronunciate che daglianziani e in circostanze assai rare e sem-pre circondate da mistero” (Pazzi 1976:294). È comunque innegabile che, pur

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Amedzodzo in le-gno ad Atikesime,Togo (2001).Foto A. Brivio

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nelle notevoli differenziazioni riscontra-bili tra villaggi situati a qualche chilome-tro di distanza, e a prescindere dalle moti-vazioni di esse, permane la medesimaconcezione dell’individuo, estremamentecomplessa e aperta.

Mi riferirò di seguito ai villaggi Yoho-nou, Gninume, Atikesime e Amegneransituati tra Afagnagan e Tabligbo, nell’a-rea comunemente definita come ouatchi,nei quali le cerimonie di installazione de-gli amedzodzo, cioè di riconoscimentodell’antenato tutelare, sono molto fre-quenti.

I bokonoh distinguono tre differenti li-velli nell’anima, o meglio, nell’aspettonon immediatamente visibile dell’essereumano, detto luvho; il primo è rappresen-tato dall’ombra, il secondo, è più evane-scente, attaccato al primo ma visibile solodalle persone dotate di particolari energiee il terzo è completamente invisibile.

Secondo un bokono di Gninume,Boko Ametou Kojou, la prima ombra,quella visibile con la luce, ma che non ab-bandona mai l’uomo neppure al buio,tant’è che basta accendere una luce per ri-vederla immediatamente, con la mortescompare e se ne va verso il mare, cioèverso il mondo degli antenati. La secondaanima resta nella casa in cui l’individuo

ha vissuto e mantiene un continuo contat-to con il mondo dei vivi; infine la terzacomponente, completamente invisibile,se ne va nella natura, si muove con il ven-to e può andare in paesi lontani e ritornarea vivere, creandosi anche una nuova fa-miglia. Questa terza anima è la più poten-te e attraverso di essa gli uomini possonocompiere azioni eccezionali. Durante ilsonno o meglio quando l’uomo ha gli in-cubi, significa che questa componente èuscita dal corpo e sta viaggiando in luoghispaventosi e sconosciuti oppure sta com-piendo gesti straordinari che durante laveglia non avrebbe il coraggio o la capa-cità di fare. Essa rappresenta un potenzia-le di stregoneria che è in ciascuno di noi.Le streghe o gli stregoni sono quindi per-sone che hanno potenziato l’energia diquesta componente, o per eredità da unantenato o per scelta “acquistandola” daaltre streghe.

Secondo Boko Ametou Kojou è la se-conda componente, cioè quella che co-munque resta nella casa, detta kla, che an-drà a permeare il nuovo nato; essa è vasta,può quindi entrare in più bambini dellastessa famiglia senza esaurirsi mai, è co-me l’argilla con cui gli antenati plasmanoi corpi e i bokonoh realizzano i vodu: unariserva infinita. La componente dell’ante-

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Preparativi per l’in-stallazione di unamedzodzo, il boko-no Ametou Kojousceglie le erbe ne-cessarie. Gninume,Togo (2001).Foto A. Brivio

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nato si andrà a disperdere nelle tre animee nel corpo del bambino, che infatti asso-miglierà all’antenato.

L’antenato, che qui diventa dzoto o jo-to permea in parte tutte le componentispirituali e il corpo, o forse si giustapponead esse. In ogni caso, il flusso continuoche unisce gli uomini nello scorrere dellegenerazioni, interessa sia l’aspetto spiri-tuale che quello materiale dell’uomo31.

La stessa visione dei tre luvho e deipercorsi che essi seguono dopo la morteappartiene anche a Boko Yao Seghu,bokono di Yohonou, il quale ricorda chesolo una componente abbandona il mon-do per sempre, assieme al corpo, ed èquella che torna da Mawu.

Anche il bokono di Aveglidivi, BokoDegbe Komba, sostiene che in ogni indi-viduo coesistono tre luvho, fintanto chel’uomo è in vita restano uniti e sono visi-bili sotto il sole, mentre con la morte iluvho si separono e diventano invisibili;essi andranno nella natura, lavorerannocon gli amedzodzo e potranno apparire inpaesi lontani. I luvho con la morte diven-tano invisibili, nel senso che venendo amancare il corpo a cui sono uniti, l’uomonon riesce più a vederli,ma ciò non signi-fica che scompaiano, poiché esistono deiféticheurs molto potenti che sono in gra-do di farlo.

Un autorevole bokono ad Afagnaganmi racconta invece che il luvho che vedia-mo alla luce, se ne andrà con il corpo sot-toterra, destinato a diventare con essosemplice argilla. Il secondo livello resteràinvece nel mondo terreno e generalmentesi aggirerà nella natura e nei luoghi doveha vissuto; questa componente è la stessache può “abitare” il togbi ho, cioè l’altaredove si conservano i seggi degli antenati.Esso può anche apparire, come spettro,cioè nôli, prima della conclusione dei fu-nerali, nei luoghi che le sono stati cari se

le cerimonie funebri non sono state svoltein modo appropriato;in questo caso leanime nôli potranno andare, in quantostranieri, in un villaggio dove nessuno leconosce per iniziare una nuova vita32. Laterza componente completamente invisi-bile, che il bokono chiama kla, tornerà nelmondo dei morti per ricongiungersi congli antenati, e sarà proprio la kla a tornaresulla terra per “incarnarsi” in un nuovonato della famiglia. Essa sembra coinci-dere con l’agbè luvho, così come definitoda Pazzi e de Surgy, cioè l’ombra densadei Fon. La seconda anima potrebbe inve-ce essere il ku luvho, che come afferma deSurgy è poco visibile, evanescente e restanel mondo continuando a influenzare i vi-venti.

Il percorso che l’agbè luvho deve se-guire per giungere nell’aldilà passa attra-verso il mare; i morti per essere aiutati nelloro tragitto vengono seppelliti con la te-sta verso il mare. Secondo il bokono sonole onde, che così come portano a riva og-getti, conchiglie e animali, raccolgono lakla dei morti e la conducono verso l’al-dilà. Egli introduce un nuovo elemento,cioè il se, che sarebbe racchiuso all’inter-no della kla, come un seme all’interno delsuo frutto.

Il bokono Alue Sude Hoja di Mo-meajidome sostiene che la terza compo-nente, cioè quella completamente invisi-bile sia il se e che sia proprio il se dell’an-tenato a tornare nel nuovo nato.

Si possono quindi evidenziare, nell’a-rea in esame, due approcci prevalenti; se-condo il primo la componente ancestraledi ciascun individuo è costituita da unodei luvho dell’antenato, mentre un secon-do approccio riconosce nel se, cioè neldestino, la traccia che gli antenati lascia-no in ogni nuovo nato.

Tutti i bokonoh con cui ho parlato af-fermano che il gbôgbô è la respirazione,

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elemento essenziale per la vita dell’uo-mo, che gli consente di essere agbeto, os-sia “colui che ha la vita”; secondo alcunigbôgbô è un sinonimo di luvho, ma que-sta apparente confusione può essere do-vuta al fatto che parole come luvho e klanon sono di uso comune, che sono lin-guaggio specifico dei bokonoh, mentrespesso gbôgbô viene usata proprio nellinguaggio comune per parlare di spiriti eanime, senza ulteriori distinzioni.

Il sapere legato a forme, nomi, funzio-ni e dinamiche delle diverse componentidell’anima, o meglio dell’individuo, nonè condiviso dalla collettività, ma resta co-noscenza esclusiva dei bokonoh e proba-bilmente non di tutti i bokonoh. Nei vil-laggi, le persone, anche se direttamenteinteressate da questi fenomeni e disposteculturalmente ad accettarle, sembranonon conoscere i significati più profondi ei segreti del continuo migrare di spiritiche caratterizza il loro mondo. Si trattainfatti di una società che basa i fondamen-ti morali, etici e spirituali su una religioneche, pur permeando ogni momento del-l’esistenza, è altamente esoterica. I boko-noh sono i veri detentori del sapere, poi-ché oltre a comunicare con gli antenati,con gli spiriti e con i vodu, conoscono ilsegreto delle erbe, per cui hanno a dispo-sizione tutti gli strumenti per manipolareil mondo, controllare gli uomini e sorve-gliare gli spiriti. I bokonoh stessi mettonocomunque spesso in evidenza che alcuniconcetti non sono esprimibili; nonostanteloro sappiano il nome corretto delle com-ponenti dell’uomo, per cui sono in gradodi comunicare con le forze dell’invisibilea tal riguardo, ciò non significa che sianoin grado di vedere l’invisibile per “poter-lo descrivere così come si descrive la vitadel villaggio. Il luvho invisibile non sipuò vedere che a rischio della propria vi-ta, vi sono persone che l’hanno fatto ma

poi sono impazzite” (bokono Alue SudeHoja) e ancora “il se è invisibile, non pos-so conoscerne la forma, ma vedrò i suoisegni sul corpo delle persone che vengo-no al mondo”. Come sostiene Augé:

L’esegesi, l’interpretazione dei simboli, lacostruzione degli oggetti come la specula-zione filosofica sono opera di specialisti odi amatori illuminati. Non a caso i com-menti, le interpretazioni, le incertezzepossono variare sensibilmente da un infor-matore all’altro, da un indovino all’altro.D’altra parte nuovi dei e nuovi culti sonoapparsi nel corso della storia, e con diver-se fortune (Augé 2002:100).

L’identità dell’uomo è in continuo di-venire, una scoperta e una ricerca che puòdurare tutta una vita; è un processo cheinizia con la nascita, quando l’uomo è to-tale alterità (estraneo al mondo terreno ealla famiglia che lo ha accolto) e si defini-sce strada facendo, anche se sempre inmodo provvisorio e oggetto di possibilicorrezioni.

L’uomo per guardare se stesso devesempre guardare il mondo, perché egli è inrelazione all’altro: all’antenato, alle trac-ce lasciate da una serie di dzoto, che po-trebbero portare fino ai tempi mitici del-l’origine, ma anche all’invisibile, al mon-do dei vodu nonché alla stessa stregoneria.

Questo è il sapere dei bokonoh, al di làdelle interpretazioni soggettive, sapercercare nei mille segni visibili e invisibili,interpretare e dare risposte, che plastica-mente si adegueranno alla realtà: “I siste-mi feticisti rendono esplicite insiemel’intuizione del poeta e la scoperta dellopsicanalista: non cessano di ripetere e diimmaginare che l’io è l’altro” (Augé2002:100).

Gli uomini e le donne di fronte ai mi-steri e alle svolte improvvise della vita si

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rivolgono a loro per trovare una risposta esoprattutto una soluzione; essi non sonoperò considerati infallibili e spesso, nellequestioni importanti, si consultano piùbokonoh, alla ricerca della risposta piùconvincente, poiché gli spiriti non sem-brano disposti a perdonare errori di inter-pretazione.

Dzoto, il padrone della nascita

Dzoto, cioè “il padrone della nascita”,non è quindi una componente che si sosti-tuisce o si affianca in modo definito e uni-voco al nuovo nato, ma il nome dato al-l’antenato nel suo ruolo di tutore della na-scita. “ciascuno possiede un joto, i re co-

me gli umili. Quando un bambino nasce,bisogna domandare a Fa, chi l’ha inviatoin questo mondo, a chi assomiglia: perchétutti i nuovi nati assomigliano a un mor-to” (Maupoil 1943: 382).

Il medesimo dzoto può passare di ge-nerazione in generazione, fissando loscorrere del tempo: “Dei bambini che na-scono con la pelle raggrinzita, si dice:questo bambino è molto vecchio – met-tendo in luce che il suo joto deve esseremolto antico” (Maupoil 1943: 382).

Ogni nuova nascita è la riproduzioneparziale di un altro individuo, che ha la-sciato, morendo una traccia importante dise stesso nella generazione futura, che asua volta segnerà quella a venire. Ogni in-dividuo originale è quindi frutto dellacombinazione delle componenti di una li-nea ancestrale che lega il lignaggio in unflusso continuo. Come visto, a prescinde-re dall’apparente contraddittorietà neitermini utilizzati o dai diversi percorsiche le molteplici componenti della perso-na paiono seguire, tutti i bokonoh concor-dano nell’affermare che una delle trecomponenti, dopo la morte, tornerà a per-meare un nuovo nato.

L’installazione di un oggetto è diffusatra gli Ouatchi, mentre in altri villaggi,come Agbetiko o Aklakou, dove prevaleun’influenza culturale ge mina, il ritornodell’antenato viene consacrato nel togbi-ho, cioè nell’altare dei seggi degli antena-ti. Lo spirito dell’antenato, che viene ri-conosciuto, adottato e placato con le of-ferte, garantisce la tranquillità per la fa-miglia e per il bambino interessato. Comescriveva Ellis:

Gli Évhé danno grossa importanza al nôli,come protettore della famiglia: sulla costadegli schiavi, specialmente nei distrettioccidentali, il nôli, che è stato il luvho diuno della famiglia, generalmente uno dei

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Cerimonia di installazione di un amedzodzo:un anziano della famiglia offre da bere agliantenati all’ingresso della casa. Gninume,Togo (2001).Foto A. Brivio

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capi, diventa il protettore della famiglia ea volte anche della piccola comunità o delvillaggio. Egli spesso ha un altare, e a vol-te un’ immagine, in tal modo effettiva-mente diventa un dio di “secondo ordine”,ma in realtà si ritiene di essere sottoposti edi dover venerare gli uomini quasi quantogli dei (Ellis 1890:102).

Sempre Ellis ricorda che i nôli senzacasa si aggireranno, lavorando a fin di be-ne o a fin di male a seconda della loro di-sposizione. “Il bene è generalmente indi-rizzato alla famiglia dell’uomo presso cuiil corpo ebbe l’ultima residenza … lavoraper il male causando malattia, entrandonei corpi degli esseri umani, durante latemporanea assenza del loro luvho e avolte addirittura cercando di sostituirsi aquesta” (Ellis 1890:102).

È evidente che il riconoscimento e l’in-stallazione dell’antenato, il cui scopo èquello di calmare un’anima inquieta, dan-dole un ruolo, una dimora e del cibo appar-tiene all’insieme di azioni che gli uominicercano di compiere per pacificarsi con glispiriti che popolano il loro mondo. Il rico-noscimento dell’antenato tutelare, oltre agarantire la continuità del lignaggio, san-cendo una visione diacronica della societàin cui lo scorrere del tempo sembra contra-stato, è uno dei momenti fondanti del mon-do évhé. Riconoscere uno spirito e dargliuna dimora è il passo iniziale della genesidei vodu. Inoltre il rapporto stretto tra indi-viduo e entità invisibile rimanda al tempomitico delle origini nel quale l’umano e ildivino erano indissociabili.

L’installazione di un supporto materi-co rende poi lo dzoto più vicino al “fetic-cio” e quindi al vodu. Come avevamo giàvisto per il se, che può essere rappresenta-to come un piccolo uomo, per lo kpoli,racchiuso in un sacchetto contenente ele-menti differenti, anche lo dzoto può aver

bisogno, per esprimersi ed essere espres-so, di un oggetto. Il riconoscimento “del-l’altro” raggiunge in questo caso il massi-mo dell’esplicitazione, perché mentre ilse e lo kpoli restano nascosti nella stanza,l’amedzodzo è installato fuori dalla portadi casa, visibile e riconoscibile da tutti.Egli è infatti una traccia che ha percorsotutto il lignaggio e in qualche modo gliappartiene. L’uomo per capire se stessoha bisogno del “feticcio” e della possibi-lità di riconoscersi nella sua complessamateria. La reciprocità tra uomo e divi-nità, più volte sottolineata, trova ancorauna volta riscontro proprio nella sfera piùintima dell’individuo.

Il riconoscimento dell’antenato tutelare:una cerimonia a Yohonou

Il corpo è quasi sempre il tramite attra-verso il quale le divinità parlano all’uomoe la malattia il più diffuso segnale di con-trarietà, rabbia e risentimento che il mon-do dell’invisibile invia sulla terra. L’ante-nato tutelare si palesa sempre attraversoun percorso patologico e la malattia puòagire a livello fisico o psicologico. Neibambini molto piccoli sono frequentil’insonnia e i disturbi del sonno. Nel casodi un bambino di otto anni del villaggio diAkolwepme, vicino a Yohonu, il segnaleè stato dato da problemi caratteriali moltoforti, da un’eccessiva aggressività che gliimpediva un normale inserimento nellavita scolastica e gli provocava crisi di pa-nico notturne.

Il percorso che ha portato al riconosci-mento dell’antenato, nel caso di una bam-bina di un anno di Yohonou, è stato abba-stanza tortuoso. Il padre, che si dichiaracattolico, da principio si era rifiutato diconsultare un bokono e aveva portato labambina all’ospedale, dove le erano state

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somministrate alcune medicine. Dopoqualche settimana di apparente guarigio-ne la malattia era ricomparsa e, dopo aversomministrato altre medicine, gli stessimedici avevano consigliato di rivolgersi aun bokono.

La consultazione aveva messo in luceche una zia defunta, responsabile della na-scita della bambina, richiedeva che il suoruolo venisse pubblicamente riconosciutoattraverso la cerimonia di installazionedell’amedzodzo. Il padre, dopo questaconsultazione, sia per indisponibilità eco-nomica che per una non totale fiducia neiconsigli del bokono, non aveva eseguito ilrituale. La bambina si era ammalata nuo-vamente e il padre aveva quindi deciso diconsultare altri due bokonoh. Questi, con-

fermata la presenta dello dzoto, suggeriva-no di tornare dal primo bokono per inter-pellare l’antenata e scoprire quali offertefossero necessarie, ora che, inascoltato, lospirito sarebbe sicuramente stato più esi-gente33.

La consultazione di più bokonoh è unapratica diffusa e in caso di questioni deli-cate, o qualora le richieste siano eccessi-ve, e non sostenibili economicamente, siconsiglia sempre di consultare almeno trebokonoh differenti.

Nell’area di cui stiamo parlando la ce-rimonia di installazione dello dzoto vienesempre accompagnata dall’installazionedi un picchetto in legno o in ferro. L’ instal-lazione dell’amedzodzo, cioè dell’oggettodove si convogliano le energie dell’ante-nato e dove verranno poste le offerte è trale più semplici del ricco e fecondo panora-ma religioso évhé; il significato di tale ce-rimonia rappresenta comunque un mo-mento fondamentale sia come segno distabilità all’interno della società tradizio-nale, sia perché il linguaggio materiale at-traverso cui si convogliano le forze del-l’invisibile è lo stesso che porta e ha porta-to alla nascita dei vodu. Le cerimonie di in-stallazione nell’area vengono effettuate,pur con una frequenza molto più bassa, an-che dalle trosi, donne che praticano la ne-gromanzia e che in questo loro ruolo ven-gono chiamate xoyoto, cioè coloro che so-no incaricate (to) di effettuare delle evoca-zioni (yo) dentro una capanna (xo).

La cerimonia analizzata in queste pa-gine è stata eseguita a Yohonou e ha avutoinizio verso le quattro di pomeriggio, inmodo da sfruttare la luce del tramonto,simbolico momento di transizione tra vitae morte. L’antenata, tornata come dzoto,era morta di morte calda, dzogbeku. Imorti che appartengono a questa catego-ria vengono sepolti in un luogo appartato,nella campagna e generalmente sotto il

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Il padre e lo zio della bambina per la quale sideve installare l’amedzodzo, parlano agli an-tenati all’ingresso della casa a Yohonou, To-go (2001).Foto A. Brivio

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sole. Qui di seguito descriviamo le variefasi del rituale.

La cerimonia inizia proprio nel cimi-tero dei morti “cattivi”, come vengonogeneralmente chiamati, per indicare sia laviolenza della loro morte che la pericolo-sità della loro presenza. Alla fase inizialedella cerimonia partecipano solo il boko-no, il padre e lo zio della bambina. Lo zioe il padre, in piedi, guardando l’orizzonte,chiamano tutti gli spiriti morti di dzog-beku, gli altri spiriti presenti e tutti gli an-tenati conosciuti e non conosciuti.

L’installazione dell’amedzodzo, pic-colo palo in legno, alto circa trenta centi-metri, avviene prima al cimitero, ma saràsolo un’installazione provvisoria e l’a-medzodzo verrà poi trasferito al villaggio,nella casa della bambina. Secondo ilbokono è stata l’antenata a chiedere dinon essere lasciata sola, ma in realtà il co-sto di una doppia installazione è troppoelevato. Si teme inoltre che questi oggetti,se abbandonati lontani dalla casa, venga-no rubati.

Il bokono con delle foglie di aklikotilava il legno e tre piccole anfore di terra-cotta, quindi riempie una delle tre anforedi parte delle ama34 necessarie e, rivoltoverso est, chiama tutti gli spiriti presentiin quel luogo, gli antenati della bambina e

i suoi stessi antenati, affinché essi vedanoche lui, così come gli è stato ordinato, staeseguendo il rituale e agiscano di conse-guenza, preoccupandosi di proteggere labambina e la sua famiglia. Ci si rivolgeverso oriente “all’inizio dei riti solenni,perché è lì che sorgono gli astri e da lì so-no arrivati gli antenati”. (Pazzi 1976: 44).

Vengono quindi offerte prima agli an-tenati e poi agli astanti quelle che sonoconsiderate le bevande degli antenati, lojasi (acqua con polvere di mais), la soda-bi (distillato di vino di palma), la liha(birra di mais) e la deha (bibita di palma).Ci si sposta ora nel luogo ove la zia de-funta è stata sepolta, viene scavata unabuca all’interno della quale si inseriscel’anfora con le ama e quindi l’amedzodzoposto con il volto verso est. Ora il bokonosi rivolge direttamente all’amedzodzo,come se parlasse all’antenata, le dà da be-re, le chiede nuovamente di proteggere lafamiglia e la veste con i colori dei vodu,bianco, rosso e nero35.

La cerimonia si sposta poi nel villag-gio; il pubblico presente aumenta e vi so-no sia la bambina che la sorella maggiore,la quale funge da sostituta, essendo la pri-ma troppo piccola per capire ciò che suc-cede e per poter parlare. Il bokono aiutatodal padre scava un buco profondo nel cor-

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Installazione di unamedzodzo al cimi-tero dei morti dimorte calda. Yoho-nou, Togo (2001).Foto A. Brivio

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tile della casa, vicino al muro perimetrale.Nuovamente il padre con il fratello, postisulla soglia di ingresso della casa, si ri-volgono agli antenati e offrono loro le li-bagioni. All’interno del buco appena rea-lizzato, la bambina, aiutata dal bokono,inserisce l’anfora di argilla con le ama el’amedzodzo. Entrambi gli inserimentiavvengono dopo che per sette volte glioggetti sono stati sollevati verso il cielo,mentre i nomi degli antenati venivano ri-petuti.

Attorno all’amedzodzo in legno vieneora portata dell’argilla, che verrà plasma-ta con estrema cura dal bokono. Egli daràforma con precisione e lentezza a un vol-to, la cui bocca, orecchie e narici verran-no perforati con un bastone, in modo dacollegarsi al canale che porta alla cavitàin cui sono sotterrate le ama. La forza del-l’antenato è richiamata e concentrata nel-le erbe che devono restare in contatto conl’atmosfera esterna dove si muovono glispiriti; nella rappresentazione antropo-morfa risulta quindi importante che i re-cettori sensibili, il naso, la bocca e leorecchie partecipino a questo scambio.Due conchiglie cauri rappresenterannogli occhi mentre altre cipree36 verrannofissate attorno alla base di argilla assiemea due piccole anfore di terracotta in cui

versare le bevande. Il volto dell’ame -dzodzo viene adornato con strisce di stof-fa bianca, rossa e nera, simbolo del mon-do dei vodu, mentre attorno al collo ilbokono pone una collana di perle di vetro.In questi villaggi è abitudine che anche albambino venga data la medesima collanadi perle multicolore, che egli indosserà fi-no alla pubertà, differenziandosi così da-gli altri bambini.

Finita l’installazione, il bokono, primadell’offerta di sangue, si rivolge nuova-mente agli antenati; ormai l’ora del tra-monto è passata e la cerimonia continuanel buio più assoluto. Egli, sempre rivol-gendosi a est, chiama, con enfasi e con to-no autoritario, l’antenata per cui sta cele-brando la cerimonia, tutti gli spiriti “catti-vi”, i vodu della casa e i suoi stessi vodu eantenati.

Non si tratta di una preghiera, né diuna supplica, ma di una conversazioneabbastanza animata nella quale il bokonospiega, entrando nei dettagli, la succes-sione di sventure che hanno colpito la fa-miglia e la necessità, che non viene ap-punto implorata ma quasi imposta, di unintervento attivo da parte di tutti i soggettiche sono stati chiamati in causa. La paro-la viene lasciata poi al padre della bambi-na, che rivolgendosi ai due animali che

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Il bokono Yao Se-ghu con il padre ela sorella della bam-bina inserisconol'amedzodzo nel ter -reno, dopo averlosollevato sette volteal cielo. Yohonou,Togo (2001).Foto A. Brivio

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verranno offerti, racconta la storia dellasua disoccupazione, della malattia dellafiglia, delle spese per l’acquisto di medi-cinali, rivelatisi inutili, e dell’arrivo deglistranieri, che hanno accelerato i tempidella realizzazione della cerimonia. An-che il bokono ringrazia gli antenati peraver inviato gli stranieri (la scrivente e ilsuo interprete) che hanno contribuito eco-nomicamente all’acquisto dei due anima-li e continua la conversazione, fungendoda intermediario tra il padre della bambi-na e gli antenati, ed elencando i buoni in-tenti delle due parti. La conversazione di-viene una specie di contrattazione, ilbokono un paciere, che cerca la miglioresoluzione per tutti; egli minaccia il padredi ulteriori sventure se non sarà attento aisuoi doveri e l’antenata di perdere le of-ferte che le vengono assicurate per gli an-ni a venire, e di cui ha prova in quel mo-mento, se non si adopererà attivamenteper il benessere di tutta la famiglia.

I due animali, due polli, vengono ab-beverati, perché solo accettando l’acquaaccetteranno anche la missione per cuivengono chiamati e per cui è necessario illoro sangue; prima del sacrificio bisognaplacarli, vengono quindi messi di fronteall’amedzodzo, che riesce a interromperei loro starnazzamenti; il bokono passa le

sue mani e i due polli tra le mani dellabambina, per liberarla simbolicamentedalle catene della malattia e, dopo aver ri-volto gli animali verso i quattro punti car-dinali, li sgozza e asperge del loro sanguel’amedzodzo. Il sangue viene versato an-che sulla parete della casa, alle spalledell’ amedzodzo a formare tre nuclei dif-ferenti, per gli antenati, per i vodu e pergli spiriti caldi, sui quali si appoggerannoanche alcune penne di polli.

Si è raggiunto l’apice della cerimonia esi va verso la sua conclusione. I presenti siuniscono in un canto in cui ancora vienerichiesto agli antenati di “aprire la porta,perché tutto vada bene …che la terra siafertile e gentile per la bambina che devediventare grande …”. I polli vengono oralanciati dal bokono per vedere se l’antena-ta ha accettato l’offerta, se cadranno conle ali aperte a coprire la terra la rispostasarà affermativa, altrimenti negativa. Unodei due polli cade con le ali aperte verso ilcielo, l’antenata non ha accettato comple-tamente l’offerta; il bokono le prometteuna parte più sostanziosa del piatto cheandranno a cucinare, il jenkume, e final-mente l’offerta viene accettata. La bambi-na e il padre si inginocchiano di fronte aipolli e li ringraziano per aver intercesso inloro favore; i polli si fanno infatti carico

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Cerimonia di instal-lazione di un amed-zodzo: si presenta-no le offerte all’an-tenato. Yohonou,Togo (2001).Foto A. Brivio

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del peso della malattia e della sfortuna,portandola via con loro.

Finita la cerimonia si cucinano i polli esi condivide tra tutti gli invitati il piatto, ri-cordando di nutrire per prima l’antenata.

La materia dell’amedzodzo

Gli amedzodzo in legno o in ferro pos-sono essere installati all’interno della ca-sa o all’esterno, assecondando i desideridell’antenato; secondo alcuni bokonoh sisegue la regola secondo cui all’internodell’abitazione può stare solo l’amedzod-zo di chi è morto di morte naturale. Laforza dei “morti caldi” è tale, per irruenzae potenza, da risultare pericolosa, soprat-tutto se posta nell’intimità della casa.

Anche la scelta del materiale con cuirealizzare l’oggetto sul quale si concen-treranno le energie è fatta dall’antenatostesso. Esistono tre tipologie di oggetti in-stallati in queste cerimonie: pali di legnolavorato, steli di ferro e pali di legno grez-zo o rami d’albero. Gli oggetti in legnoscolpito appartengono, almeno dal puntodi vista estetico, all’ampia categoria deifeticci antropomorfi. Si tratta di pali di di-verse dimensioni, con altezze che posso-no variare da poco più di dieci centimetri

a quasi un metro. Non sono particolar-mente accurati e i lineamenti umani inmolti casi appaiono solo tracciati. A vol-te, quando si tratta di un’antenata, si deli-neano i seni; per il resto il corpo non vie-ne delineato, concentrando tutta l’atten-zione sul volto.

Attualmente nell’area in esame sonopiù frequenti le installazioni di oggetti inferro, e quando si sceglie il legno si trattasempre di oggetti di piccole dimensioni,che si discostano notevolmente, per gran-dezza e cura nell’intaglio, dalle installa-zioni più antiche. Ciò è dovuto essenzial-mente a ragioni pratiche, nonché econo-miche; la disponibilità di legno è sempreminore e il legno che scelgono gli antena-ti è generalmente troppo pregiato e raro.Nella cerimonia analizzata nel paragrafoprecedente, l’oggetto è stato intagliatodallo stesso bokono, ma questa non è unascelta obbligata. La famiglia che deveeseguire la cerimonia può infatti sceglieredi commissionare l’oggetto a uno sculto-re oppure affidarla a un componente dellafamiglia stessa.

Ad Atikesime abbiamo incontrato unosculture di oggetti sacri, Sandolika Lotri,il quale ci ha detto che da molto temponon scolpisce amedzodzo, mentre più fre-quenti sono le richieste di vodu e soprat-

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L’ amedzodzo allafine della cerimo-nia. Yohonou, Togo(2001).Foto A. Brivio

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tutto di venavi. Ad Afagnagan, abbiamoincontrato Kofi Tchibozo, il realizzatoredi un amedzodzo, stilisticamente diffe-rente dalla maggior parte degli oggettiche si trovano nell’area. Egli è un com-merciante e realizza oggetti per installa-zioni religiose, perché il mondo dell’in-visibile lo ha chiamato a compiere questolavoro ed egli svolge quindi una sorta dimissione.

Per quanto riguarda gli oggetti in ferroessi sono costituiti da uno stelo, in cima alquale è fissato un piatto. Dal piatto pendo-no dei pendagli “ simbolo dei principalivodu; su tali oggetti si possono chiamaretutte le categorie di spiriti e di vodu” (Gilli1997: 226). Si tratta degli ase, altari “por-tatili” usati per il culto degli antenati. Ven-gono fissati generalmente davanti al murodelle case. Nelle abitazioni dei bokonohsono sempre presenti poiché tali oggetti –che si collocano sempre in una linea dicontinuità con ase di bokonoh defunti - siutilizzano per l’iniziazione ad Afa.

Nei villaggi di Amegneran, Yohonou enelle piccole frazioni attorno a questi cen-tri, la scelta dell’antenato, in rapporto al-l’oggetto da costruire, spesso cade sugliase. Ciò è probabilmente anche dovuto alfatto che si tratta di villaggi in cui la lavo-razione del ferro è molto diffusa e il nu-mero di forge presenti elevato. Gli oggettivengono venduti al mercato, hanno unprezzo relativamente basso e sono sicura-mente più economici di quelli in legno.

La scelta di un legno, non scolpito,cioè di un tronco, che talvolta può anchegermogliare, è meno frequente, ma nonrarissima.

In tutti i casi l’installazione dell’ogget-to è accompagnata dalla realizzazione delcumulo in argilla, supporto tipico del cultodei vodu. Generalmente la parte in argillarisulta essere anche la base su cui viene in-serito lo stelo di ferro o il palo in legno.

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Amedzodzo in legno ad Afagnan, Togo (2002). Foto A. Brivio

Ase nel cortile del bokono Kulu Kojo ad Avencope, Togo (2002).Foto A. Brivio

Bokono Alue Sude Hoja durante l’installazione di un amedzodzo: l’an-tenato ha chiesto un tronco d’albero, a Momeajidome Togo (2002).Foto A. Brivio

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Nel caso dell’installazione di un tron-co di legno, durante una cerimonia a cuiho assistito, a Mome Ajidome, vicino adAmegneran, il bokono, Alue Sude Hoja,ha realizzato il cumulo di argilla a fiancodel legno. Sia per l’argilla che per il legnoil bokono ha preventivamente creato unbuco, all’interno del quale ha inserito lemedesime ama. Secondo quanto raccon-tato da Alue Sude Hoja, il tronco è l’ante-nato, ma la terra, dotata di occhi, bocca,naso e orecchie è fondamentale per con-sentire all’antenato stesso di mangiare,vedere e sentire. La realizzazione in argil-la ha una forte carica simbolica, e la curacon cui i bokonoh la plasmano enfatizzal’importanza di questo momento. Propriocon l’argilla l’uomo viene creato nell’al-dilà; l’antenato incaricato della nascitainfatti “tagliando l’argilla primordiale(eka ko) realizzerà il corpo del bambi-no”(Pazzi 1976: 299). Ritualmente du-rante la cerimonia si rivive il passaggiodal mondo invisibile a quello visibile. Ilbokono dona simbolicamente, come in ungioco di specchi, una nuova vita all’ante-nato. Lo scambio tra i due mondi è in talmodo biunivoco e la continuità del li-gnaggio nonché il lavoro dell’antenatoviene così ricordato e onorato.

Il bokono effettivamente crea l’ame -dzodzo e non si tratta di una operazionesimbolica, poiché esso è di fatto un accu-mulo di materia organica, vegetale e mi-nerale e in queste materie trova la suaidentità e la sua energia vitale. “Nella fab-bricazione del dio vodu, chi foggia gli dàuna forma che gli conferisce una identitàtipica. L’abbondanza e la diversità dellematerie utilizzate costituiscono da soleuna sorta di interrogazione oggettiva suciò che esso è” (Augé 2002:81).

Il bokono Boko Degbe Komba di Ave-glidivi nel descrivere i passi da seguireper la cerimonia di installazione di un

amedzodzo, racconta che la mattina ilbokono andrà al cimitero, fisserà nellaterra l’ase (altare portatile per gli antena-ti), offrirà delle bevande e chiamerà l’an-tenato. Quando questi sarà giunto, si po-trà togliere l’ase e si raccoglierà un po’ diterra che verrà, la sera della cerimonia, in-serita con le ama, sottoterra nel punto incui si fisserà l’installazione. Egli affermache in questa terra è concentrato anche unpo’ dello spirito dell’antenato, dimostran-do ancora come lo spirito o l’anima nonsiano comunque mai completamente se-parati dalla materia37.

Come ricorda il bokono Alue SudeHoja, senza le ama non potrebbe essercila presenza dell’antenato; esse sono lasua energia e l’antenato continuerà a sta-re, o meglio a ritornare, dove è stato in-stallato il feticcio, poiché solo lì vi è un“deposito di forza” in cui egli si può iden-tificare.

Nel caso dell’installazione, a cui hoassistito, realizzata da Alue Sude Hoja,l’antenata aveva richiesto oltre alle amapiù abituali, anche delle alghe. Il mare èun luogo di tesori e ricchezze e l’antenataera una donna ricca. Il bokono nella suacreazione cerca quindi il più possibile diinterrogarsi sull’essenza dell’antenata, suquelli che possono essere stati i suoi desi-deri e le sue peculiarità. Egli deve riusciread amalgamare gli “ingredienti” cercandodi ricreare l’identità dello spirito con cuista negoziando la tranquillità sua e delladella sua cliente.

Come ricorda Pazzi, anche nelle instal-lazioni dei vodu si inseriscono “gli oggettiche simbolizzano il vodu stesso” (1976:299). Le modalità di realizzazione dei sup-porti materiali nonché le tipologie di ceri-monie eseguite per l’installazione di unvodu e di un amedzodzo, sono da moltipunti di vista i medesimi. Il bokono AlueSude Hoja, svelando il nome di alcune del-

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le erbe inserite sotto l’amedzodzo, sottoli-nea come esse possano essere fondamenta-li anche nei procedimenti di installazionedei vodu. È il caso della gbediaghe, erbafredda38 molto forte, fondamentale all’in-terno delle “ricette” del bokono Alue SudeHoja che consente allo spirito di “parlare”e realizzare ciò che gli viene chiesto.

Ancora una volta ci viene ricordatoche non possiamo fissare dei confini tra ilmondo degli antenati e il mondo dei vodu,gli uni possono diventare gli altri, così co-me i vodu possono essere stati antenati.Anche la materia difficilmente ci può aiu-tare a discernere con certezza, poichéogni singolo feticcio, analogamente aogni singolo uomo, è stato creato e pensa-to con un’identità singolare ed esclusiva.Ogni classificazione è inutile e contropro-ducente perchè il mondo dell’invisibilecosì come quello che noi vediamo e per-cepiamo, è in flessibile, fluido e in conti-nuo divenire.

Relazione tra antenato tutelaree nuovo nato

Secondo alcuni bokonoh non è possi-bile che lo dzoto di un antenato morto didzogbeku possa tornare, perché la mortecalda è quasi sempre una morte voluta daivodu, per cui si tratta di spiriti cattivi, chenon hanno il diritto di tornare sulla terra eche nessuno vorrebbe accettare in sé. An-che Maupoil scriveva che “tutte le perso-ne decedute hanno il diritto di essere so-stituite sulla terra da un nuovo nato, senon hanno fatto nulla di malvagio nel cor-so del loro ultimo soggiorno sulla terra”(Maupoil 1943:382).

I bokonoh intervistati affermano, tran-ne qualche eccezione, che qualsiasi ante-nato ha il diritto di ritornare tra i vivi; gliuomini per contro hanno la possibilità e il

dovere di richiedere all’antenato che “ri-torna” una condotta morale ineccepibile.Se un antenato in vita fu un ladro, gli siimporrà di abbandonare la sua inclinazio-ne al furto e assicurare al nuovo natoun’esistenza fortunata e moralmente ret-ta, pena l’oblio.

Gli esseri umani pur essendo soggio-gati al volere sia degli antenati sia dei vo-du, che li condizionano attraverso la ma-lattia e la sfortuna, sono anche in grado diimporsi a queste entità, decidendo dellaloro “morte” tramite la soppressione deldialogo, delle offerte e delle libagioni. Seun antenato non si adopera per la fortunadella famiglia, ma lascia che la miseria lasovrasti, verrà dimenticato dai suoi di-scendenti e il suo amedzodzo abbandona-to all’usura del tempo.

Dopo la morte dell’uomo che era statoscelto dall’antenato, è possibile che lascultura venga tolta e messa sotto terracon il defunto; se l’antenato avrà dimo-strato un vero interessamento alla vita ditutta la famiglia e delle doti straordinariecon le quali sarà intervenuto nella vita ter-rena, potrà restare ed essere oggetto diculto anche per le generazioni successive.Esiste quindi una sorta di gerarchizzazio-ne tra gli amedzodzo su basi prettamentemeritocratiche.

Nel cortile di un di féticheur di Agome-seva, vi è l’amedzodzo del nonno da cuiegli ha ereditato i vodu e tutto il sapere chegli consente di svolgere il proprio lavoro.In questo caso l’amedzodzo ha una funzio-ne importantissima e un ruolo cruciale; ilféticheur prima di lasciare la casa per i fre-quenti viaggi che la sua professione gli im-pone, si rivolge innanzitutto all’amedzod-zo. Questi si occuperà di proteggere la casadurante la sua assenza e di coadiuvare isuoi interventi nella sfera delle forze invi-sibili; il suo lavoro con il vodu Heviesso, dicui lui è sacerdote, non funzionerebbe, an-

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zi potrebbe essere estremamente pericolo-so se non vi fosse l’appoggio e l’interme-diazione dell’antenato.

Secondo quanto riferito da Judy Ro-senthal è anche possibile liberarsi dallo jo-to, qualora sia causa di comportamenti an-tisociali, di maltrattamenti nei confronti diqualche componente della famiglia o siasemplicemente poco amato, attraverso unacerimonia condotta da un bokono esperto.Un informatore della Rosenthal affermainfatti che: “se mio zio recentementescomparso volesse tornare nel figlio chemi sta per nascere, farei rimuovere lo joto.Non andavo d’accordo con quello zio, nonmi ha mai aiutato …” (1998:179).

Il rapporto tra vivi e morti è continua-mente negoziato e mai nulla viene datoper scontato e per acquisito definitiva-mente; entrambe le parti devono dimo-strarsi attive nel reciproco dialogo, al finedi mantenere un equilibrio che sia profi-cuo per tutti, per gli antenati che scongiu-reranno l’oblio e la rottura della conti-nuità del lignaggio e per i vivi, che nonverranno completamente esclusi dal com-plesso mondo delle entità invisibili checondiziona così profondamente la loroesistenza quotidiana.

Sempre più spesso gli amedzodzo ven-gono lasciati dai figli alle cure dei genito-

ri o dei parenti più anziani che restano nelvillaggio e che si fanno carico di garantirela continuità del lignaggio. Durante unacerimonia a cui ho assistito a Aveglidivi,l’amedzodzo è stato reinstallato dopo chele intemperie lo avevano praticamente di-strutto; il tramite comunicativo è stata lanonna della bambina per cui originaria-mente era stata fatta l’installazione, e cheora vive a Lomé. L’antenata ha ritenutoresponsabile l’anziana donna dello statodi abbandono in cui era stata lasciata l’in-stallazione e l’ha colpita con la malattia.Solo dopo diverse consultazioni e dopoaver escluso che si trattasse di un messag-gio mandato dai vodu di cui lei è adepta,l’anziana ha scoperto la vera ragione del-la sua malattia e ha quindi provveduto ariattivare il canale comunicativo che siera interrotto, effettuando la cerimoniache l’antenata le chiedeva.

Il problema dell’interruzione della di-scendenza è molto forte e la divisione dellafamiglia, dove i figli sempre più spesso la-sciano il villaggio natale, rappresenta unserio rischio di disgregazione. Gli stru-menti in mano agli uomini, agli antenati eai vodu sembrano comunque in grado disuperare i limiti spaziali dovuti all’emigra-zione e allo sradicamento territoriale. Tuttii bokonoh e féticheurs con cui ho parlato,

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Il bokono AmetouKojou con la sua an-ziana cliente duran-te l'installazione del-l’amedzodzo. Gni-nume, Togo (2001).Foto A. Brivio

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hanno sempre sottolineato che il poteredelle entità invisibili non ha limiti geogra-fici, essi sono in grado di proteggere e col-pire anche i figli che si trovano in Europa.Effettivamente spesso questi figli, se siammalano o sono perseguitati dalla mala-sorte, tornano al villaggio per farsi curare.Nel caso dell’anziana donna, lei stessa si èfatta carico di colmare la rottura con ilmondo degli antenati, poiché è evidenteche la funzione e quindi la responsabilitàdi chi è nel villaggio, cioè nell’ambientedove gli antenati continuano a muoversi, èmolto più forte e cruciale.

Il rapporto che i famigliari instauranocon queste installazioni lascia ampio spa-zio alla soggettività delle relazioni fami-gliari e spesso vengono messi in giocosentimenti molto intimi e delicati39; è co-munque evidente che i genitori, soprattut-to i più anziani, vedono nelle sculture an-che i propri figli e le considerano lo stru-mento attraverso cui restare in contattocon i figli lontani, continuare ad occupar-si di loro e mantenere un costante control-lo del loro stato di salute e benessere.

Il rapporto tra feticcio e spirito dell’an-tenato non si esaurisce con la guarigione; illegame che si instaura deve essere più dura-turo. Emblematico è il caso dell’installazio-ne eseguita dal bokono, Alue Sude Hoja:

era infatti coinvolta una donna già adultache, avendo lasciato il villaggio natale dopoil matrimonio, aveva abbandonato anchel’amedzodzo, che era stato installato pochimesi dopo la sua nascita. Come ci raccontail bokono, l’antenata chiedeva di essereportata nella nuova casa della donna, peressere nutrita quotidianamente e ricordatacon maggiori attenzioni. In questo caso ilsegnale dato dall’antenata non è stato vei-colato dalla malattia, ma da continui falli-menti dell’attività commerciale della gio-vane donna, la quale era stata ingannatanell’acquisto di alcune sementi. L’antenatatutelare, dimenticata dalla donna e dalla suafamiglia, si stava quindi comportando comeagente di disordine, portando sfortuna econtrastando il benessere famigliare. Non acaso gli ingredienti scelti durante la realiz-zazione dell’amedzodzo evocavano la ric-chezza dell’antenata. Probabilmente, pro-prio seguendo il filo conduttore costituitodal successo negli affari, il bokono è giuntoall’identificazione del problema ed è riusci-to a far emergere la figura dell’antenata.Molteplici sono infatti le cause che possonoportare all’insuccesso economico e che unesperto bokono deve analizzare: prima fratutti l’invidia degli altri.

Il rapporto tra esseri umani e spiritinon è infatti casuale e anche se a volte

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L'amedzodzo è statocoperto con un drap-po di stoffa per pro-teggerlo dal fred-do. Gninume, Togo(2001).Foto A. Brivio

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l’uomo può apparire schiacciato dal mon-do dell’invisibile, coloro che più lo cono-scono, come i bokonoh, cercano delle ri-sposte che vadano in parte anche a soddi-sfare le esigenze psicologiche dei loroclienti, le loro paure e aspettative, sce-gliendo degli schemi interpretativi facil-mente condivisibili e aderenti all’imma-ginario comune. Non ha senso chiedersise i bokonoh siano in buona fede o inveceabusino del loro potere; in ogni caso essisvolgono la funzione che da sempre è sta-ta a loro attribuita, cioè quella di riequili-brare le forze in azione, dando risposteche ricollochino l’uomo in un punto chia-ro e riconoscibile, salvandolo tempora-

neamente dal disordine. Il concetto didzoto, come evidenziava Maupoil, aiutal’uomo a concepire e immaginare la suaidentità individuale e a collocarsi in unarealtà sociale.

Ogni uomo è già tutto l’uomo; ogni vita èanche tutta la materia; ogni individuo èanche tutti gli altri. L’antenato sopravvivesolo nella filiazione. Egli si preoccupa delculto che gli devono rendere i suoi succes-sori, tormentandoli nel corpo e richiaman-doli all’ordine, solo perché sa, come noiabbiamo sempre saputo, che c’è soloun’alternativa: vivere al plurale o moriresolo (Augé 2002:137).

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Note

1 I bokonoh sono geomanti iniziati alla scien-za di Fa, l’oracolo, (colui che conosce tutti i se-greti del mondo); hanno un ruolo sociale fonda-mentale poiché, attraverso la loro interpretazionedei segni divini, danno risposte alle inquietudinidell’esistenza e cercano sempre di ristabilire l’e-quilibrio e l’ordine, sia sociale che esistenziale. Ibokonoh costituiscono sicuramente la casta pri-vilegiata della società tradizionale; vengonoscelti da Afa stesso, considerato il padre e il prin-cipe della conoscenza, inviato tra gli uomini perindicare il comportamento necessario al fine divivere in armonia con l’universo.

2 Il termine generico designa coloro che la-vorano con i “feticci”, cioè li creano, li attivanoe gestiscono i loro poteri.

3 Mawu “è stato introdotto ad Abomey dallamadre del re Tegbesu e, come la maggior partedegli altri vodu, vive in coppia e gli osservatorinon sanno se considerare Mawu-Lisa come unacoppia o l’insieme Mawu-Lisa come una divi-nità ermafrodita” (Augé 2002:20).

4 Le Dahomè, souvenirs de voyage et de mis-sion, Tour, 1872 in de Surgy, 1995:9.

5 Uno dei bo più diffusi è il “fucile del mé-lange” così chiamato poiché si crede che un mé-lange di oggetti (capelli, aghi, lische di pesce,ecc.) venga inserito nel corpo della vittima, pro-prio come se fosse un proiettile.

6 Generalmente le morti calde sono quelleconseguenti a un incidente e quindi riconducibi-li alla volontà di un vodu, come ad esempio lamorte per fulminazione, imputabile a Heviesso,vodu che ha il controllo dei fulmini o l’incidentestradale, imputabile a Gun, vodu legato allaguerra e al ferro. In generale tutte le morti pre-mature, in quanto innaturali appartengono allacategoria delle morti calde.

7 “Gli Ovatchi hanno adottato come religio-ne il culto dei vodu, ma qualche gruppo conser-va ancora il culto di Nyigbla e il culto del Tro”(Gilli 1997:9). Secondo Pazzi (comunicazionepersonale) la stessa tro, che tra gli Évhé dell’o-vest è spesso utilizzata come sinonimo di vodu,ha una radice linguistica moto più antica, testi-mone di una realtà e di un culto preesistente eche nell’area viene conservata con il suo signifi-cato originario.

8 Questi seggi sono generalmente costituitida due piani paralleli, il più piccolo dei quali co-stituisce l’appoggio a terra. Nella zona interme-dia vi sono quattro gambe laterali attorno a unacolonna centrale.

9 Vi sono molte storie legate agli aziza, entitàche fanno capo al vodu Agè. Essi sono uominimolto piccoli e vecchi, con capelli e barba lun-ga, che vivono tra gli alberi della foresta. Si ri-tiene che siano loro a svelare l’uso e il nome ditutte le piante agli esseri umani, ma un incontronon ritualizzato può costare la vita; ad esempiofinire accidentalmente con un piede su una loroimpronta, costa al malcapitato la totale perditadella memoria e della capacità di ritrovare ilsentiero verso casa.

10 La sodabi, distillato di vino di palma, è unabevanda alcoolica tradizionale, utilizzata in tuttele cerimonie e molto apprezzata da tutti i vodu

11 Da un’intervista semi strutturata a DegbeviKpoti, notabile del villaggio di Zounhoué (Benin).

12 Agbo dodo (la porta è stata messa) è un ba-stone di legno posto obliquamente a bloccaremetà dell’ingresso della casa famigliare; a ogniluna nuova, dopo aver svolto una breve cerimo-nia, il bastone viene spostato nell’altra metà del-l’ingresso. “E’ una forma di dema destinato aimpedire l’ingresso degli spiriti malvagi, chetroveranno la strada sbarrata” (Pazzi 1976:93).

13 Nel corso di un’intervista semi strutturata,Afanu Kukponu mi racconta che Agbo dodo è ingrado di avvisare la famiglia se qualche cosa dibrutto sta per sopraggiungere (malattia, sfortunanegli affari) e funziona anche per i famigliariche vivono in un altro villaggio. Agbo dodo co-munica l’avvicinarsi del “male” attraverso deisegni quali l’apparizione di cerchi di sangue sulpavimento oppure la morte improvvisa di unanimale che prima godeva di ottima salute. Inseguito a questi segni viene sempre consultatoAfa, il quale indicherà le misure necessarie perscongiurare o ridurre le conseguenze di tale av-venimento nefasto.

14 Ulli Beir in C.Merlo, Les botchio en civili-sation béninoise, Musée d’Ethnografie, Genève1977, p. 99.

15 Il vodu Da, simbolizzato dal serpente edall’arcobaleno, è legato all’idea della vita edella continuità.

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16 Ad esempio gli oggetti associati a Sakpata,vodu della terra e del vaiolo, spesso sono copertida macchie bianche.

17 Dosu Sogbegi mi spiega che in seguito alcrescente numero di persone affogate o ucciseda ippopotami e alligatori presenti nelle acquedel Mono, fu consultato Afa il quale rivelò chenon si trattava di semplici animali, ma di perso-ne che prendevano queste sembianze, per ucci-dere i componenti della famiglia. Si trattavaquindi di una stregoneria e fu suggerito di instal-lare i “guardiani” lunga la strada del fiume, perallontanare gli spiriti del male, che proprio dalfiume venivano. Attualmente le statue sonomolto rovinate, i due volti quasi scomparsi, e in-fatti il proprietario mi dice che dovrebbe sosti-tuirle. A fianco a ciascuna vi è una pentola diterracotta all’interno della quale vi sono sia leerbe (ama) che servono a dare forza ai “guardia-ni” sia le offerte che chiedono per continuare asvolgere il loro compito.

18 Queste sculture sono realizzate in argilla,hanno la forma di un cumulo, nel quale vengonodelineati gli occhi, spesso fatti di cipree, il nasoe la bocca; in alcuni casi dall’argilla, a livellodel suolo si ricavano anche le braccia posiziona-te ad arco in modo da contenere le offerte.

19 La cerimonia che viene eseguita è estre-mamente semplice; sono necessarie una botti-glia di sodabi, una bottiglia di olio rosso, dellapolvere di Guinea e una noce di cola a quattrospicchi. Sul posto si comprerà il picchetto di le-gno di hati; gli ingredienti vengono in parte ver-sati sulla testa del picchetto, quindi mentre lo sicolpisce per affondarlo nella terra si ripete ilproprio desiderio e contemporaneamente si fauna promessa. Per verificare che la promessa siastata accettata da Dagbase si gettano gli spicchidella noce di cola, se due spicchi su quattro ca-dono “ coperti” la promessa è stata accettata, al-trimenti si deve aumentare il valore dell’offerta,passando ad esempio da un gallo a una capra.Quando il desiderio si sarà realizzato sarà neces-sario tornare sul posto con l’offerta promessa,offrirne una parte al vodu Dagbase quindi cuci-nare la restante carne e condividere il cibo congli uomini che vivono attorno a quest’area.

20 Nell’area in esame mi è stato più volte rife-rito che i feticci con i lucchetti vengono utilizzati

dalle persone che hanno problemi con la legge,evocando quindi in modo esplicito la paura dellareclusione e dell’impotenza. Lo stesso significa-to secondo la Preston Blier può essere associatoanche ai feticci legati, dove la corda evoca laschiavitù e quindi ancora timore dell’imprigio-namento e della perdita della propria incolumità.

21 Il significato letterale della parola amed-zodzo è: “l’uomo nato”, dove ame significa uo-mo, dzo nascere, dzodzo nato.L’antenato vieneinvece chiamato amedzôtô, cioè “proprietariodell’uomo nato”, il suffisso to indica infatti laproprietà.

22 Tra gli Évhé il parto gemellare è un casofrequente, e il culto attribuito ai gemelli,così co-me in molte aree dell’Africa occidentale, è estre-mamente diffuso. La nascita di due o tre gemelli èsempre accolta come un avvenimento con unaforte valenza di sacralità; questi bambini appar-terranno sia alla famiglia che alla natura. “Sonostati i primi esseri viventi ad apparire sulla terraquando era ancora umida. Si crede che abbiano inessi tutta la complessità del dinamismo positivo eanche delle tensioni negative” (Pazzi 1976: 259).Secondo la cosmogonia tradizionale i gemelli esi-stono da prima della comparsa dei vodu e per talemotivo sono a essi superiori. “Il principio di ge-mellarità sembra essere all’origine del mondo.Presso i Fon del Bénin si racconta che Nana Bu-luku, la madre primordiale, mise al mondo unacoppia di gemelli Mawu e Lisa. Da questa coppianasceranno quattordici vodu, che si divideranno ilcontrollo del mondo, ciascuno nel suo dominiospecifico” (Gilli 1997:105). I gemelli non potran-no quindi diventare adepti di un vodu, ma avran-no rituali specifici ed erbe esclusive con le qualivenire curati in caso di malattia.

La nascita dei gemelli viene sempre accoltacome segno di fortuna ma porta con sé anche ap-prensione e timore, date le forze che vengonomesse in gioco.

23 I vodu Toxosu sono proprio i bambini naticon delle deformità, la cui” apparizione nelmondo sembra compromettere gli equilibri e ri-velare l’impotenza dell’uomo di fronte alle for-ze disordinate e imprevedibili del cosmo” (Gilli1997:139). I bambini toxosu sono “i re dell’ac-qua”, poiché si ritiene che dopo la loro morte, cheavveniva e spesso ancora oggi ancora avviene nei

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primi mesi di vita, essi vadano a popolare le sor-genti e le lagune. Il culto dedicato a Toxosu fu in-trodotto ad Abomey, in onore dei figli della fami-glia reale e dei maggiori dignitari, nati con gravideformazioni. Spesso nelle rappresentazioni pla-stiche il vodu Toxosu è un uomo con due teste.

24 Il vodu Ago, che viene riconosciuto nellenascite podaliche, è secondo Gilli associato alrônier, una palma nella quale il diametro deltronco è maggiore all’altezza della chioma che aquella delle radici. “ Questo albero è apprezzatoper la solidità del suo tronco che non viene man-giato dalle termiti. ... I due Ago sono intima-mente legati, il rônier è un albero sacro al bam-bino ago, il quale non potrà utilizzare alcune sueparti, anche se le foglie sono presenti nell’altareche la famiglia avrà installato dopo la nascita delbambino podalico” (1997:37).

25 Montilus in Gilli, 1997:29.26 Nell’area, ad Afagnagan, vi è uno dei più

grandi ospedali del Togo, che attrae, soldi per-mettendo, persone anche dai villaggi più isolati.

27 Abiku dispettoso, sovversivo e poco inte-ressato al benessere dei vivi è uno spirito bambi-no il cui destino è quello di migrare da un corpoall’altro e ricondurre i bambini in cui si incarna,di solito della stessa famiglia, nel mondo deglispiriti. Gli sforzi fatti dagli uomini per bloccarequesto flusso di vita e morte giungono fino allamutilazione dei corpi dei bambini morti in mododa renderli indesiderati dagli spiriti e consentireloro di rimanere vivi nella futura reincarnazione.

28 Secondo Ellis dsi significa “l’interno delmondo” e l’espressione gbôgbô dsi significa“respirare il fantasma”, cioè morire. La defini-zione di Ellis potrebbe coincidere con quello chegeneralmente si intende per gbôgbô e che tradu-ciamo come spirito o respirazione.

29 Si tratta di una consultazione molto com-plessa, diretta da un bokono anziano, aiutato daaltri colleghi. Quando la combinazione vienescritta sulla tavoletta di divinazione allora ibokonoh “cantano all’iniziato il messaggio ma-gico del suo kpoli e gli raccontano le leggendelegate ad essa, poiché questa è l’immagine idea-le i cui tratti egli dovrà riprodurre nel corso dellasua vita” (Pazzi, 1976: 297).

30 L’anziano bokono Kofi Kojo di Afagnaganracconta che è necessario percorrere tutte le stra-

de che il “cliente” percorre, la strada per il poz-zo, per il mercato, per i campi, ecc. In ognuno diquesti luoghi ci si fermerà a interrogare il se e glisi offrirà dello jasi. Con la terra raccolta laddovesi sono fatte le offerte si tornerà a casa per laconsultazione ad Afa il quale rivelerà “cosa ènecessario fare per correggere la via ed evitare lasfortuna; spesso si scopre che la persona non harispettato le indicazioni del suo kpoli e quindisarà possibile intervenire. Ma se nello kpoli vi èscritto che si deve morire, si morirà”.

Il bokono Alue Sude Hoja, di Mome Addo-me racconta invece che bisogna fare una ceri-monia in onore del proprio se: con il legno diagliko si realizza una piccola piroga, all’internodella quale si stendono delle ama e sopra si ada-gia la statuetta che rappresenta il se. “Questo og-getto si conserva nella propria camera, e lo sitratta con estrema cura, facendo attenzione a te-nerlo sempre pulito, offrendogli profumi, bi-scotti, dolci, ecc.”

31 Maupoil scrive: “Qualche anziano ci hafatto capire che l’anima di un morto, al posto direincarnarsi in un neonato, viene semplicementea toccare, sfiorare il corpo del nuovo nato”(Maupoil 1943:25).

32 Secondo il bokono Boko Ametou Kojou diYohonou la seconda anima dal momento dellamorte fino all’interramento resta vicino al cada-vere, seduta al suo fianco finché resta nella casae sopra la bara mentre questa viene portata versoil cimitero. Egli ci racconta che mettendosi a te-sta in giù, con la testa tra le proprie gambe è pos-sibile vedere l’anima seduta sulla bara, ma nes-suno osa farlo perché si rischia di scatenare le iredel defunto e di impazzire.

33 Effettivamente le richieste dell’antenataerano aumentate in modo sostanziale: veniva in-fatti richiesta una capra, quando solitamente perquesto tipo di cerimonie e sufficiente un pollo.Quando, con il nostro arrivo, si è palesata la pos-sibilità di essere di aiuto nell’acquisto degli ani-mali da sacrificare, il bokono, con un’ulterioreconsultazione è riuscito a trovare un compro-messo con l’antenata, per la quale alla fine sonostati sufficienti due polli.

34 Difficilmente i bokonoh rivelano i nomi ditutte le ama con cui realizzano le loro “ricette”,proprio perchè si tratta del loro segreto più perso-

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nale, importante e ottenuto con fatica attraversola frequentazione degli anziani e complessi ritiiniziatici. Elencare i nomi di tutti gli “ingredien-ti” rende i bokonoh vulnerabili. Altri bokonoh oféticheurs rivali possono carpire tali segreti e uti-lizzarli come armi di offesa contro il bokono cheingenuamente si è scoperto. Se un bokono svela ipropri segreti e la notizia passa di casa in casa,egli perderà prestigio e quindi clienti. Infine, se-condo alcuni bokonoh, svelare i segreti delleama, significa rischiare di perderne il controllo,perchè gli spiriti che abitano la brousse toglie-rebbero ai bokonoh i loro poteri e, a seconda del-la gravità dei fatti, anche la vita stessa.

35 Le fasce di colore bianco, nero e rosso, so-no presenti in tutti i luoghi sacri, ove vi sono de-gli altari, dei vodu, ecc. “Questi colori simboliz-zano la pienezza del dinamismo vitale, poichéricordano l’arcobaleno” (Pazzi, 1976:46).

36 Il numero di conchiglie cauri viene fissatodall’antenato durante la consultazione del bokono.

37 Anche nel caso degli amedzodzo valgonotutte le considerazioni fatte per i vodu circa

l’importanza di ciò che viene inserito sottoterrae la necessità che tale contenuto mantenga uncontatto con l’atmosfera esterna che consenteuna costante riattivazione dei principi “vitali”delle sostanze stesse.

38 Nella realizzazione degli amedzodzo siutilizzano solo erbe fredde (ama fafa), cioè ingrado di proteggere, placare ed equilibrare leforze. Le erbe calde possono “eccitare” e sonogeneralmente di aggressione; non avrebbe sensoinserirle perché lo scopo è quello di riuscire acontrollare le forze di un antenato che vuole an-darsene con la sua ”creazione”.

39 Sempre ad Aveglidivi, l’anziana donna havoluto che l’amedzodzo, oltre ad essere installa-to all’interno della casa, venisse anche protettocon una drappo di stoffa, in modo che non do-vesse più in alcun modo soffrire a causa delfreddo e delle intemperie. La donna, a riprovadella sensibilità con cui affrontava la situazione,ci ha raccontato che la stoffa utilizzata era partedel vestito che lei stessa aveva indossato per ilsuo matrimonio.

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