Dietro la Deposizione, una faida di famiglia · 2006-05-05 · da Raffaello per la cappella...

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L’EVOLUZIONE DI UNA SCENA UN DIPINTO CHE DIVIDE I DISEGNI PREPARATORI IL Q UADRO Atalanta Baglioni vollecelebrare il figlio morto. E il pittore prese spuntoda Leonardo eMantegna C’è chi si entusiasmò per la gestualità perfetta e chi la giudicò un esercizio stilistico troppo cerebrale P oco più di un secolo dopo il suo compi- mento, la notte tra il 18 e il 19 marzo 1608, il Trasporto di Cristo al sepol- cro, tavola centrale della pala dipinta da Raffaello per la cappella Baglioni nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, fu oggetto di un clamoroso e romanzesco trafugamento. Un vero e proprio ratto, or- ganizzato per conto del cardinale Scipione Borghese, nipote del pontefice Paolo V, con la forzata complicità dell’allora governato- re di Perugia, del padre provinciale dei Mi- nori Conventuali e dei tre frati più anziani del convento, i quali avevano peraltro espresso al cardinale forte preoccupazione per il sinistro concetto che ne prenderebbe la città vedendo che egli si privino della più bella cosa ch'abbino. Qualche settimana più tardi, quando non fu più possibile tenere celata la sparizione del dipinto, scoppiò in effetti il pubblico tu- multo e all’inizio di aprile il Consiglio dei Priori delle Arti e dei Cambi inviò una peti- zione al papa e al cardinale per esprimere il dispiacere et sdegno universale contro i frati che avevano privato la città di una delle più belle opere che dipinse la felice mano di Raffa- ello da Urbino. Ogni protesta risultò natural- mente vana. Al Consiglio dei Priori fu anzi comunicato che il cardinale, informato dei tumulti, aveva manifestato grandissimo di- sgusto et sdegno et contro il pubblico et con- tro molti particolari, parendoli che il tutto si facci per disprezzo della persona sua. La con- troversia si concluse rapidamente con il mo- tu proprio del pontefice Paolo V (11 aprile 1608) che stabiliva la donatione pura, mera, perpetua et irrevocabile del dipinto al Cardi- nal Nepote. La vicenda documenta in modo esempla- re il mutare tanto della funzione quanto del- le ricezione da parte del pubblico del dipin- to di Raffaello, concepito come parte del- l’arredo liturgico di una cappella funeraria e divenuto, un secolo più tardi, oggetto di contesa tra i tumultuanti perugini, che lo consideravano ornamento precipuo della cit- nonché bene inalienabile, e lo spregiudica- to cardinale che l’aveva loro sottratto per collocarlo come gemma preziosa nella sua quadreria principesca. A Perugia erano allora presenti numero- se altre opere di Raffaello, la cui fama già intorno alla metà del primo decennio del se- colo andava soppiantando quella della glo- ria locale, il Perugino. Tra queste, la pala della Incoronazione della Vergine per la cap- pella Oddi sempre in San Francesco al Pra- to (ora nella Pinacoteca Vaticana), la Ma- donna Connestabile (ora all’Ermitage di San Pietroburgo), la Pala Colonna per le monache del convento di Sant’Antonio (ora nel Metropolitan Museum di New York), la Pala Ansidei (ora nella National Gallery di Londra), oltre all’affresco raffigu- rante la Trinità e santi nella chiesa di San Severo. Nessuna godeva però del prestigio e della universale ammirazione della Pala Ba- glioni che, per le circostanze stesse della sua commissione, risultava tra l’altro legata alla storia di Perugia e, in particolare, a sangui- nose vicende che avevano, qualche anno ad- dietro, coinvolto membri della medesima fa- miglia nella lotta per il potere sulla città. Il Vasari descrisse il dipinto con espressio- ni di viva ammirazione e a lui risale, oltre alla tradizionale identificazione della com- mittente con Atalanta Baglioni, un accenno alle sue particolari intenzioni, di cui l’artista avrebbe tenuto conto nel dipingere la tavo- la. Atalanta era madre di Grifonetto Baglio- ni, il quale, la notte del 3 luglio 1500, aveva preso parte a una congiura che condusse al- l’assassinio, nel sonno, del «tiranno» Guido Baglioni e di suo figlio Astorre, condottiero pontificio. Alla strage tuttavia scampò Giampaolo, un altro figlio di Guido che, ri- preso il controllo della città, riuscì a cattura- re e a far trucidare i congiurati. Atalanta, che alla notizia dell’eccidio compiuto dal fi- glio lo aveva maledetto, era in seguito accor- sa accanto a lui morente insieme con la nuo- ra Zenobia. Nella versione finale, il dipinto (datato 1507) è il frutto di una lunga e complessa elaborazione, che è possibile in gran parte ricostruire grazie ai numerosi disegni prepa- ratori giunti fino a noi. Inizialmente Raffael- lo, in accordo con le intenzioni e le aspettati- ve della committente, studiò il tema del «compianto», prendendo spunto da una del- le opere più celebri e ammirate del Perugi- no, il Compianto su Cristo morto dipinto nel 1495 per il monastero fiorentino di Santa Chiara. Si propose però di accentuarne la carica espressiva in quanto lo schema com- positivo del Perugino doveva apparirgli troppo inerte e allentato di fronte a esempi di rappresentazione drammatica, con nume- rose figure coinvolte in una azione, come quelli che proponevano in quegli anni a Fi- renze Leonardo e Michelangelo. Evidente appare, soprattutto nei disegni, l’intento di conferire forte individualità ai personaggi attraverso la gestualità e l’espressione degli affetti e delle passioni, Dal tema prevalentemente lirico e con- templativo del «compianto» si passa così gradualmente a quello più dinamico e dram- matico del «trasporto». La trasformazione risulta ormai compiuta in un disegno ora al British Museum, con i portatori in movi- mento, la Maddalena che si china a baciare la mano di Cristo come in un estremo saluto e la Vergine che segue il corteo insieme con due delle pie donne. Raffaello trae ora spun- to da altre fonti figurative, in particolare una incisione del Mantegna e il rilievo di un sarcofago romano raffigurante il Trasporto della salma di Meleagro, già menzionato dall’Alberti nel De Pictura come esempio di soggetto particolarmente adatto alla pittu- ra di storia. Si fa strada prepotentemente l’aspirazione del giovane artista a compete- re sul terreno della rappresentazione dram- matica ed eroica con i suoi grandi modelli contemporanei, Leonardo e Michelangelo. Il tema del «compianto» probabilmente meglio rispondeva alle intenzioni di Atalan- ta, che vedeva rispecchiato nello strazio di Maria il suo dolore di madre, ma quello del «trasporto» dovette comunque essere da lei accettato, purché accompagnato dal moti- vo dello «spasimo», lo svenimento della Ver- gine, solitamente connesso con l'andata al Calvario o con la Crocifissione. Si giunge così alla messa a punto definitiva dell’imma- gine, con una quasi ostentata ricerca di va- rietà nelle attitudini e nella mimica delle fi- gure e con citazioni non solo dal sarcofago di Meleagro e dall’incisione mantegnesca, ma da opere recentissime di Michelangelo, come la Pietà vaticana, per il corpo di Cri- sto, l’incompiuta statua di San Matteo, per uno dei portatori, e il Tondo Doni, per il gruppo dello svenimento della Vergine. Ogni motivo appare però rivissuto e trasfor- mato in un nuovo contesto, come se l’artista avesse ricercato intorno a sé le forme più rispondenti alla sua visione. Risulta evidente il proposito di Raffaello di condensare le potenzialità drammatiche dell’immagine in forme assolute ed esempla- ri — «classiche» nel senso più pregnante del termine — anticipando l’elaborazione di quello «stile tragico» che troverà piena espressione a Roma, qualche anno più tar- di, nell’Incendio del Borgo o nei cartoni per gli arazzi destinati alla cappella Sistina. Proprio nell’attentissima definizione del- la mimica e della gestualità dei personaggi va riconosciuta la radice sia dell’entusiasmo suscitato dal dipinto presso i contempora- nei e fino in epoca neoclassica e romantica — dal Winckelmann a Jacob Burckhardt e da Ingres a Géricault — sia di talune riserve formulate in tempi a noi più vicini, con accu- se di cerebrale esercizio stilistico o di enfasi statuaria e declamatoria: riserve che appaio- no assai meno incidenti oggi, grazie anche ai recenti interventi di restauro che hanno consentito di riportare in evidenza come i rapporti tra i gruppi e i personaggi siano mi- rabilmente calibrati, oltre che dallo studio dei moti e delle attitudini, da una stesura cromatica particolarmente brillante, per piani luminosi e quasi smaltati, che conferi- scono alle figure un risalto di straordinaria energia, mentre la veduta di paese sullo sfon- do sembra accompagnare dolcemente il rit- mo solenne dell’azione. Pierluigi De Vecchi è professore di iconologia alla Statale di Milano Dietro la Deposizione, una faida di famiglia di PIERLUIGI DE VECCHI DINAMICO La «Deposizione Borghese», detta anche «Trasporto di Cristo al sepolcro» per il movimento che Raffaello riuscì a conferire alla scena Inizialmente (prima foto) Raffaello prende spunto dallo stile del suo maestro, il Perugino. Ma la composizione gli appare statica, legata all’iconografia del Compianto. Attraverso lo studio di Mantegna e dei sarcofagi antichi, si confronta con le scene più dinamiche di Leonardo e Michelangelo. Si passa così al Trasporto (le altre due foto) 4 Corriere Eventi C ORRIERE DELLA S ERA U M ARTEDÌ 9 M AGGIO 2006

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L’EVOLUZIONE DI UNA SCENA

UN DIPINTO CHE DIVIDE

I DISEGNIPREPARATORI

IL QUADRO

Atalanta Baglioni volle celebrare il figlio morto. E il pittore prese spunto da Leonardo e Mantegna

C’è chi si entusiasmò per lagestualità perfetta e chi la giudicò unesercizio stilistico troppo cerebrale

P oco più di un secolo dopo il suo compi-mento, la notte tra il 18 e il 19 marzo1608, il Trasporto di Cristo al sepol-cro, tavola centrale della pala dipinta

da Raffaello per la cappella Baglioni nellachiesa di San Francesco al Prato a Perugia,fu oggetto di un clamoroso e romanzescotrafugamento. Un vero e proprio ratto, or-ganizzato per conto del cardinale ScipioneBorghese, nipote del pontefice Paolo V, conla forzata complicità dell’allora governato-re di Perugia, del padre provinciale dei Mi-nori Conventuali e dei tre frati più anzianidel convento, i quali avevano peraltroespresso al cardinale forte preoccupazioneper il sinistro concetto che ne prenderebbe lacittà vedendo che egli si privino della più bellacosa ch'abbino.

Qualche settimana più tardi, quando nonfu più possibile tenere celata la sparizionedel dipinto, scoppiò in effetti il pubblico tu-multo e all’inizio di aprile il Consiglio deiPriori delle Arti e dei Cambi inviò una peti-zione al papa e al cardinale per esprimere ildispiacere et sdegno universale contro i fratiche avevano privato la città di una delle piùbelle opere che dipinse la felice mano di Raffa-ello da Urbino. Ogni protesta risultò natural-mente vana. Al Consiglio dei Priori fu anzicomunicato che il cardinale, informato deitumulti, aveva manifestato grandissimo di-sgusto et sdegno et contro il pubblico et con-tro molti particolari, parendoli che il tutto sifacci per disprezzo della persona sua. La con-troversia si concluse rapidamente con il mo-tu proprio del pontefice Paolo V (11 aprile1608) che stabiliva la donatione pura, mera,perpetua et irrevocabile del dipinto al Cardi-nal Nepote.

La vicenda documenta in modo esempla-re il mutare tanto della funzione quanto del-le ricezione da parte del pubblico del dipin-to di Raffaello, concepito come parte del-l’arredo liturgico di una cappella funerariae divenuto, un secolo più tardi, oggetto dicontesa tra i tumultuanti perugini, che loconsideravano ornamento precipuo della cit-tà nonché bene inalienabile, e lo spregiudica-to cardinale che l’aveva loro sottratto percollocarlo come gemma preziosa nella suaquadreria principesca.

A Perugia erano allora presenti numero-se altre opere di Raffaello, la cui fama giàintorno alla metà del primo decennio del se-colo andava soppiantando quella della glo-ria locale, il Perugino. Tra queste, la paladella Incoronazione della Vergine per la cap-pella Oddi sempre in San Francesco al Pra-to (ora nella Pinacoteca Vaticana), la Ma-donna Connestabile (ora all’Ermitage diSan Pietroburgo), la Pala Colonna per lemonache del convento di Sant’Antonio(ora nel Metropolitan Museum di NewYork), la Pala Ansidei (ora nella NationalGallery di Londra), oltre all’affresco raffigu-rante la Trinità e santi nella chiesa di SanSevero. Nessuna godeva però del prestigio edella universale ammirazione della Pala Ba-glioni che, per le circostanze stesse della suacommissione, risultava tra l’altro legata allastoria di Perugia e, in particolare, a sangui-nose vicende che avevano, qualche anno ad-dietro, coinvolto membri della medesima fa-miglia nella lotta per il potere sulla città.

Il Vasari descrisse il dipinto con espressio-ni di viva ammirazione e a lui risale, oltre

alla tradizionale identificazione della com-mittente con Atalanta Baglioni, un accennoalle sue particolari intenzioni, di cui l’artistaavrebbe tenuto conto nel dipingere la tavo-la. Atalanta era madre di Grifonetto Baglio-ni, il quale, la notte del 3 luglio 1500, avevapreso parte a una congiura che condusse al-l’assassinio, nel sonno, del «tiranno» GuidoBaglioni e di suo figlio Astorre, condottieropontificio. Alla strage tuttavia scampòGiampaolo, un altro figlio di Guido che, ri-preso il controllo della città, riuscì a cattura-re e a far trucidare i congiurati. Atalanta,che alla notizia dell’eccidio compiuto dal fi-glio lo aveva maledetto, era in seguito accor-sa accanto a lui morente insieme con la nuo-ra Zenobia.

Nella versione finale, il dipinto (datato

1507) è il frutto di una lunga e complessaelaborazione, che è possibile in gran partericostruire grazie ai numerosi disegni prepa-ratori giunti fino a noi. Inizialmente Raffael-lo, in accordo con le intenzioni e le aspettati-

ve della committente, studiò il tema del«compianto», prendendo spunto da una del-le opere più celebri e ammirate del Perugi-no, il Compianto su Cristo morto dipinto nel1495 per il monastero fiorentino di SantaChiara. Si propose però di accentuarne lacarica espressiva in quanto lo schema com-positivo del Perugino doveva apparirglitroppo inerte e allentato di fronte a esempidi rappresentazione drammatica, con nume-rose figure coinvolte in una azione, comequelli che proponevano in quegli anni a Fi-renze Leonardo e Michelangelo. Evidenteappare, soprattutto nei disegni, l’intento diconferire forte individualità ai personaggiattraverso la gestualità e l’espressione degliaffetti e delle passioni,

Dal tema prevalentemente lirico e con-

templativo del «compianto» si passa cosìgradualmente a quello più dinamico e dram-matico del «trasporto». La trasformazionerisulta ormai compiuta in un disegno ora alBritish Museum, con i portatori in movi-mento, la Maddalena che si china a baciarela mano di Cristo come in un estremo salutoe la Vergine che segue il corteo insieme condue delle pie donne. Raffaello trae ora spun-to da altre fonti figurative, in particolareuna incisione del Mantegna e il rilievo di unsarcofago romano raffigurante il Trasportodella salma di Meleagro, già menzionatodall’Alberti nel De Pictura come esempio disoggetto particolarmente adatto alla pittu-ra di storia. Si fa strada prepotentementel’aspirazione del giovane artista a compete-re sul terreno della rappresentazione dram-matica ed eroica con i suoi grandi modellicontemporanei, Leonardo e Michelangelo.

Il tema del «compianto» probabilmentemeglio rispondeva alle intenzioni di Atalan-ta, che vedeva rispecchiato nello strazio diMaria il suo dolore di madre, ma quello del«trasporto» dovette comunque essere da leiaccettato, purché accompagnato dal moti-vo dello «spasimo», lo svenimento della Ver-gine, solitamente connesso con l'andata alCalvario o con la Crocifissione. Si giungecosì alla messa a punto definitiva dell’imma-gine, con una quasi ostentata ricerca di va-rietà nelle attitudini e nella mimica delle fi-gure e con citazioni non solo dal sarcofagodi Meleagro e dall’incisione mantegnesca,ma da opere recentissime di Michelangelo,come la Pietà vaticana, per il corpo di Cri-sto, l’incompiuta statua di San Matteo, peruno dei portatori, e il Tondo Doni, per ilgruppo dello svenimento della Vergine.Ogni motivo appare però rivissuto e trasfor-mato in un nuovo contesto, come se l’artistaavesse ricercato intorno a sé le forme piùrispondenti alla sua visione.

Risulta evidente il proposito di Raffaellodi condensare le potenzialità drammatichedell’immagine in forme assolute ed esempla-ri — «classiche» nel senso più pregnante deltermine — anticipando l’elaborazione diquello «stile tragico» che troverà pienaespressione a Roma, qualche anno più tar-di, nell’Incendio del Borgo o nei cartoni pergli arazzi destinati alla cappella Sistina.

Proprio nell’attentissima definizione del-la mimica e della gestualità dei personaggiva riconosciuta la radice sia dell’entusiasmosuscitato dal dipinto presso i contempora-nei e fino in epoca neoclassica e romantica— dal Winckelmann a Jacob Burckhardt eda Ingres a Géricault — sia di talune riserveformulate in tempi a noi più vicini, con accu-se di cerebrale esercizio stilistico o di enfasistatuaria e declamatoria: riserve che appaio-no assai meno incidenti oggi, grazie ancheai recenti interventi di restauro che hannoconsentito di riportare in evidenza come irapporti tra i gruppi e i personaggi siano mi-rabilmente calibrati, oltre che dallo studiodei moti e delle attitudini, da una stesuracromatica particolarmente brillante, perpiani luminosi e quasi smaltati, che conferi-scono alle figure un risalto di straordinariaenergia, mentre la veduta di paese sullo sfon-do sembra accompagnare dolcemente il rit-mo solenne dell’azione.

Pierluigi De Vecchi è professore diiconologia alla Statale di Milano

Dietro la Deposizione, una faida di famigliadi PIERLUIGI DE VECCHI

DINAMICO La «Deposizione Borghese», detta anche «Trasporto di Cristo al sepolcro» per il movimento che Raffaello riuscì a conferire alla scena

Inizialmente(prima foto)Raffaello prendespunto dallo stiledel suo maestro,il Perugino. Mala composizionegli apparestatica, legataall’iconografiadel Compianto.Attraverso lostudio diMantegna e deisarcofagi antichi,si confronta conle scene piùdinamiche diLeonardo eMichelangelo.Si passa così alTrasporto (lealtre due foto)

4 Corriere Eventi CORRIERE DELLA SERA U M ARTEDÌ 9 M AGGIO 2006