Culti Gentilizi Culti Degli Antenati (Sepolti Tra i Vivi)

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  • Scienze dellantichitStoria archeologia antropologia

    14/2

    (2007-2008)

    UniverSit degli StUdi di roma la Sapienza

  • dipartimento di Scienze Storiche archeologiche e antropologiche dellantichit

    Direttore responsabilegilda Bartoloni

    Direzionem. Barbanera, B.e. Barich, g. Bartoloni, g.m. Forni, g.l. gregori,

    m. liverani, p. matthiae, l. michetti, l. nigro, c. panella

    Segretaria di redazionei. Brancoli verger

    UniverSit degli StUdi di roma la Sapienza

  • ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE

    SEPOLTI TRA I VIVIBURIED AMONG THE LIVING

    EVIDENZA ED INTERPRETAZIONE DI CONTESTI fUNERARI IN ABITATO

    Roma, 26-29 Aprile 2006

    A cura di Gilda Bartoloni e M. Gilda Benedettini

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    Accedendo alla scheda dei volumi, nella sezione catalogo, si potr consultare la lista completa dei contenuti, corredata da brevi abstract, e scegliere se acquistare lintero volume, le sezioni o i singoli articoli.

  • 1. Qualche osservazione preliminare largomento di questo contributo di grande in-teresse, ma anche difficile da sintetizzare in uno spazio limitato. parlando di culti gentilizi la prima domanda da porsi : cosera la gens? la costante attenzione di storici e giuristi verso questa struttura sociale e giuridica, che informa di s una parte non piccola della storia monar-chica e repubblicana di roma, motivata dalla possibilit di capire come si formi un organismo complesso a partire da aggregazioni pi modeste, e dalla qualit delle fonti che, per la loro lacunosit e laconicit, sollecitano la speculazione e la passione combinatoria degli studiosi. Se si aggiunge che non pochi istituti di diritto privato (tutela degli impuberi, successione ab intestato, gestione della terra) e pubblico (curie, plebe, clientela) sono coinvolti nei problemi di organizzazione della gens, e che essa si situa sullo spartiacque tra discipline diverse, diritto pubblico e privato, studi storico-religiosi, analisi, anche comparativa, delle societ e delle eco-nomie antiche, e perfino filosofia politica (per quanto attiene allorigine della propriet e dello stato), la continuit di questo interesse risulta pienamente giustificata.

    ma qui sorge subito una difficolt, perch le fonti che la definiscono sono tutte molto tarde, al massimo del i secolo a.c.: quella di Q. mucio Scevola ricordata da cicerone, Top., 29: Gentiles sunt inter se qui eodem nomine sunt. Non est satis. Qui ab ingenuis oriundi sunt. Ne id quidem satis est. Quorum maiorum nemo servitutem servivit. Abest etiam nunc. Qui capite non sunt deminuti. Hoc fortasse satis est. Nihil enim video Scaevolam pontificem ad hanc definitionem addidisse; e quella di l. cincio conservataci in un lemma dellepitome di paolo diacono, gentilis, 83 l.: Gentilis dicitur et ex eodem genere ortus et is qui simili nomine appel-latur, ut ait Cincius (fr. 21 hu.): Gentiles mihi sunt qui meo nomine appellantur. entrambe, con accenti vari, sottolineano la comunanza del nomen, che ovviamente implica la discendenza di coloro che eodem nomine sunt da un capostipite comune1. ma a noi questa definizione non basta: si tratta di un semplice rapporto di parentela, qualitativamente analogo alla fami-lia communi iure di cui parla Ulpiano in una definizione conservata in d. 50, 16, 195, 2, o di

    1 Sul nomen gentilicium, con accenti diversi, cfr. Colonna 1977a, pp. 175 ss.; FranCiosi 1984a, pp. 3 ss. emblematiche dellincertezza che attanaglia i ricer-

    catori sui rapporti tra struttura familiare e gentilizia sono le antiche rassegne critiche di ZanCan 1936-37 e di FreZZa 1947.

    Mario Fiorentini

    cUlti gentilizi, cUlti degli antenati

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    qualcosa di diverso2? Se pensiamo che, secondo la famosa formula di livio (10, 8, 9), semper ista audita sunt eadem penes vos auspicia esse, vos solos gentem habere (usualmente ricordata con il brocardo plebeii gentem non habent), mi pare evidente che la gens delineata nelle fonti tardorepubblicane sia la struttura di riferimento dellaristocrazia. ma sappiamo che a roma e nel lazio un ceto aristocratico non nasce con la citt ma dopo: lo rilevano gli archeologi, che rimarcano la profonda difformit tra una societ in cui i morti sono deposti con differenze di corredo correlate verosimilmente al prestigio e al ruolo occupato nella comunit, ipotizzati sia in base alla diversa configurazione del cinerario (urne a capanna, urne con coperchio a forma delmo, cinerari semplici), sia per le peculiarit del corredo, come le statuette che accompagna-no il defunto, comunque siano da interpretare3, o i dischi di bronzo trovati in due tombe del Foro di cesare della fase ii a, interpretati da colonna come scudi bilobati di tipo saliare, che fanno pensare al rango sacerdotale ricoperto in vita dai due individui4; e una societ i cui morti sono seppelliti con segni di distinzione di ricchezza non solo individuale ma di lignaggio; e questo progressivamente gi a partire dallviii secolo a.c.5.

    mi pare allora verosimile dedurne due forme distinte e successive di gens: una originaria, caratterizzata da una tendenziale omogeneit sociale, in cui il prestigio determinato dalle qua-lit individuali (sacerdote, pater familias, capo della comunit, guerriero, matrona), ed una suc-cessiva, che nel lazio pare gi profilarsi nel corso dellviii secolo, determinata da vari fattori economici e sociali su cui non mi posso dilungare, in cui si afferma la potenza del lignaggio6. Questo un punto di grande incertezza nella discussione: ricordo il lavoro di carmine ampo-lo sui mutamenti sociali nel lazio nellviii secolo e le accese discussioni che ne seguirono7; ma ricordo come gi pietro de Francisci avesse insistito nel differenziare la struttura della famiglia

    riconoscersi in un culto familiare e in antenati comu-ni, e dunque in gentes; struttura in seguito trasforma-tasi in una forma di dominio aristocratico. in linea generale questa scansione mi pare persuasiva. Un pro-blema ulteriore quello dellesistenza di un capo della gens: senza riandare a Bonfante, lbtow 1955, pp. 36 ss., la ammetteva; a mio parere pi aderente a una struttura sociale larga come la gens, dotata di vincoli di solidariet ma non di gerarchia (se non forse nei fatti: ma la struttura giuridica prescinde spesso dalla pras-si), lesclusione dellesistenza del pater gentis durante la vita ordinaria del gruppo; salva la sua creazione in casi straordinari come una migrazione (esemplare il caso di Atta Clausus) o una guerra. ipotesi nelle quali un capo era indispensabile. Sui mutamenti dei corre-di tombali come segno delle trasformazioni sociali in senso aristocratico aMpolo 1972, pp. 469 ss. il suc-cessivo aMpolo 1984 indaga invece la veridicit delle norme decemvirali sulle limitazioni al lusso funerario, che giustamente la. ritiene del tutto veritiere.

    7 aMpolo 1970-71, pp. 37-100. Sulla questione della possibile organizzazione gentilizia presso la ple-be cfr. in senso negativo FranCiosi 1984C, pp. 162 ss., sostanzialmente accettabile nonostante qualche affer-

    2 Ulpian., 46 ad edictum, d. 50, 16, 195, 2: Com-muni iure dicimus omnium adgnatorum: nam etsi pa-tre familias mortuo singuli singulas familias habent, tamen omnes, qui sub unius potestate fuerunt, recte eiusdem familiae appellabuntur, qui ex eadem domo et gente proditi sunt. De FranCisCi 1959, pp. 159 ss.; FranCiosi 1995, pp. 276 ss.; serrao 2006, p. 56.

    3 il significato delle statuette nei corredi delle tombe laziali vivacemente dibattuto: bietti sestieri 1992; torelli 1996=1997; bietti sestieri 2000, pp. 17 ss. ai miei fini sufficiente losservazione, comune ai due autori, che le statuette sono indicative di rango, non di lignaggio.

    4 Colonna 1991, pp. 55 ss.; De santis 2001, pp. 269 ss. Sulle differenze di rango nelle sepolture delle prime due fasi della civilt latina, gi torelli 1974-75, pp. 40 ss.

    5 aMpolo 1980; bietti sestieri 2000, pp. 15 ss., sulle tombe di osteria dellosa; bartoloni 2003, pp. 93 ss.; De santis 2001, pp. 269 ss. e gi torelli 1974-5, pp. 41 ss.

    6 a unoriginaria strutturazione della gens come unit parentelare tra varie familiae pare credere to-relli 1988b, p. 241, secondo cui pi familiae possono

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    allargata dalla gens, e ancora prima lo stesso edoardo volterra avesse messo in guardia dal ritenere la familia un gruppo politico8. Un altro problema di grande interesse il carattere rurale o cittadino della gens. non posso dilungarmi su questo punto, ma mi pare che, se nel periodo precivico va da s che le gentes dovessero fondare la prosperit economica sullappro-priazione della terra, distribuendosi per pagos, la nascita della citt abbia creato una situazione inedita di fronte alla quale la risposta dei gruppi gentilizi sar stata di continuare a controllare le zone rurali ma inurbandosi per avvicinarsi al centro del potere, che ormai era urbano. non credo, infatti, a certe ricostruzioni che propongono una lotta tra poteri civici e poteri gentilizi rimasti ostinatamente rurali, che assomiglia troppo alle vicende della lotta tra liberi comuni e signorie feudali nellitalia medievale, finendo per riproporre una sorta di niebuhr aggiornato: non dimentichiamo che, quando atta clauso emigra a roma cinque anni dopo lespulsione dei tarquinii, se crediamo alla cronologia di Svetonio (Tib., 1), ottiene un territorio rurale trans Anienem per i suoi gentiles e clienti, ma viene cooptato in senato, ed il sepolcro gentilizio non situato nellagro, ma sotto il Capitolium9.

    in questo contesto, quale posto occupato dal culto? non semplice rispondere a questa domanda, anche perch non sfuggir, nelle due definizioni ora ricordate, un dato abbastanza sorprendente, lassenza della menzione della comunanza dei sacra tra gli elementi caratterizzanti della gens. il che sconcerta soprattutto nella definizione di un pontefice massimo come Q. mucio. unomissione di cui difficile dare una spiegazione esauriente, tenendo conto che il controllo sul culto privato era, a detta di cicerone, una delle competenze fondamentali dei pontefici.

    anche per le difficolt ora delineate, i culti gentilizi come argomento autonomo hanno raramente attratto lattenzione degli storici, e a maggior ragione dei giusromanisti, che ne ac-cennano appena come indizio del carattere di comunit politica che la gens avrebbe rivestito fin dalle sue origini10 (ed difficile pensare altrimenti; ma fermarsi a questa constatazione non mi pare sufficiente a spiegarne le dinamiche interne e nei rapporti con la civitas), unitamente al ricordo di decreta gentilicia che, in alcune prospettive critiche, dimostra unoriginaria autono-mia normativa delle gentes.

    anche gli storici della religione o dedicano loro solo qualche accenno sbrigativo, pi at-tratti dai grandi sistemi cultuali pubblici e dal mai risolto problema della religione senza miti, o li studiano con una prospettiva che privilegia la funzione che le presunte mentalit collet-tive delle gentes avrebbero rivestito allinterno del complessivo apparato del culto arcaico, non

    na 2003, pp. 19 ss. Sulla migrazione dei Claudii, Ca-pogrossi Colognesi 1980, pp. 48 ss.

    10 Su questo punto quasi superfluo citare pie-tro Bonfante e la sua teoria della natura politica rive-stita dalla gens nel periodo precivico (bonFante 1916). anche i non molti decreta gentilicia conservati dalle fonti sembrano confermare il carattere di entit do-tate di autonomia normativa, rivestito in origine dalle gentes: manCuso 1988 e gi Volterra 1949, pp. 525 ss. contro la caratterizzazione politica della gens, gi arangio-ruiZ 1914.

    mazione discutibile (come quella che fa nascere la vera e propria Urbs a cavallo tra il vii e il vi secolo a.c., ibid., p. 168). va da s che anchio, come il compian-to a., ritengo Mnager 1980 sprovvisto di qualsiasi plausibilit.

    8 Volterra 1949, pp. 521 ss.; De FranCisCi 1955, pp. 137 ss.

    9 la caratterizzazione paganica della gens stata sostenuta soprattutto da Capogrossi Colognesi 1992, pp. 141 ss. troppo caratterizzata in senso rurale appare la gens nella ricostruzione di aMoroso - barbi-

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    di rado elaborando sistemi religiosi e rappresentazioni partendo dal dato etimologico e lingui-stico e dalla comparazione storico-religiosa. Questa prospettiva evoca richiami talora espliciti, pi spesso indiretti, allidea dumziliana secondo cui le narrazioni storiche dei primi secoli di roma, lungi dal contenere nuclei storici da ricavare con un paziente lavoro esegetico, costi-tuirebbero una sorta di specchio deformato nel quale intravedere strutture, funzioni sociali e mentalit conservatesi immutate fino almeno al iv secolo a.c. non diversamente dai racconti relativi ai fatti dei primi secoli della storia di roma, le fonti relative ai culti gentilizi andreb-bero perci lette come eco distorta delle strutture mentali arcaiche, che poi sarebbero quelle archetipiche della societ indoeuropea primitiva non ancora sommerse dagli influssi etruschi e greci, e che avrebbero, anchesse, subto in sguito quella sorta di Entmythisierung a cui, secondo Karl Koch, ma con ben altra consapevolezza storica, sarebbe andato incontro tutto il patrimonio mitologico romano arcaico11. esempi illuminanti di questottica mi appaiono la triple fondation de Rome che dominique Briquel collega allideologia trifunzionalistica di dumzil12; o una certa esegesi delle leggende dei Fabii, reinterpretate come se nascondes-sero caratteri sacri inalterati dalla preistoria romana (come ad es. la ferinit dei lucerci o la fabiet come dato mitico, secondo la prospettiva di montanari, che ritengo sprovvista di qualsiasi plausibilit13), o del culto lupercale come se fosse la trasposizione sul piano rituale della lotta tra il desordre rituel di fine anno, collegato a Fauno, ai Luperci Fabiani e quindi ai Fabii, e lordre jovien, impersonificato dalla sodalitas dei Luperci Quinctiales collegata alla gens Quinctia, con una prospettiva calendariale proposta, sulle orme di dumzil, da marinella corsano in un pur importante contributo14. con la prospettiva incentrata su questi temi qua-si inevitabile la sconfortata conclusione, espressa da Jrg rpke in un suo recente libro sulla religione romana, secondo cui noi non sappiamo quasi nulla dei sacra gentilicia15. Un esito deludente, ma forse meno drastico di quanto sia apparso allo studioso tedesco, forse troppo condizionato dalle fonti a cui ha attinto per la sua ricerca.

    Senza entrare nella controversia fra struttura e funzione (ch non mi sento allaltez-za di ricoprire il ruolo di arbitro tra lvi-Strauss e dumzil16), personalmente trovo questo

    pi esaurienti sono le trattazioni pi antiche, a par-tire da wissowa 1912, per giungere a DuMZil 1977, secondo cui la religione gentilizia si esaurisce nei riti personali e familiari. diversa era la consistenza dellindagine di De MarChi 1896, che al culto gen-tilizio dedicava unaccurata, anche se ormai molto datata, ricerca.

    16 MoMigliano 1984=1988, pp. 45 ss., come sempre lucidissimo nellevidenziare le falle della costruzione dumziliana. prosDoCiMi 2002, pp. 126 ss., respinge sia la ricostruzione trifunzionalistica dumziliana, sia quella strutturalista di lvi-Strauss. anche se le ragioni di questo dissenso non sono ov-viamente quelle che avanzerebbe un giusromanista, esse appaiono comunque decisive (soprattutto con-tro dumzil) per negare attendibilit a quelle che mi sembrano eleganti ma inconcludenti esercitazioni

    11 KoCh 1986. 12 briquel 1976, pp. 145 ss.13 Montanari 1976, p. 143, nota 97. la matrice

    dumziliana di questa impostazione evidente.14 mi riferisco allo studio, per altri aspetti im-

    portante e con molti rilievi di notevole acutezza, di Corsano 1977, pp. 137 ss. particolarmente rilevante e, a mio parere, da condividere, la considerazione secondo cui, nonostante i nomi gentilizi delle due sodalit, esse non sono formate da membri delle due gentes (o almeno non solo da loro). anche holleMan 1976, pp. 212 ss., argomenta dalla posizione del rito nel contesto dei Parentalia per trarne inferenze su na-tura e scopo. Sul punto torner tra breve.

    15 rpKe 2004, p. 31, che ai culti gentilizi dedica solo un rapido accenno, e con unimpostazione su cui converr, in seguito, spendere qualche parola. n

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    filone di studi non particolarmente attraente, direi di pi, scarsamente produttivo, almeno ai fini dello studio delle strutture giuridiche romane arcaiche, mentre mi sembra pi vantaggioso esaminare le fonti relative alla storia (e la mitistoria) delle singole gentes combinandole con quelle sui culti, per tentare di collocare correttamente queste allinterno della societ romana, ed il culto gentilizio nel pi generale contesto delle forme del culto romano.

    inoltre in dottrina non sempre la locuzione culto gentilizio impiegata con propriet. vi si include spesso di tutto, per esempio il culto degli antenati, che essenzialmente culto dei defunti. Su un piano probabilistico niente vieterebbe di classificare le cerimonie per gli antenati come sacra gentilicia: in linea astratta si pu affermare che le cerimonie funebri per gli antenati servissero a riaffermare e consolidare i vincoli fondati sul nomen che, certificando la comune discendenza dal capostipite, attestavano il rapporto gentilizio. Questa , per esempio, la rap-presentazione che dei Parentalia di febbraio propone Sabbatucci17. tuttavia i modelli interpre-tativi devono, per quanto possibile, approssimarsi alle rappresentazioni antiche; e purtroppo nelle classificazioni pervenuteci che, pur essendo tardorepubblicane, rispecchiano forme di organizzazione del culto molto conservative, i culti gentilizi, inclusi tra le forme del culto pri-vato, sono definiti semplicemente sacra pro gentibus, ossia culti officiati per la prosperit del gruppo gentilizio nel suo insieme, come affermato nella classificazione, forse da attribuire ad ateio capitone, conservata da Festo (publica sacra, 284 l.). in essi non sono inclusi i riti per gli antenati.

    infatti le feriae denicales sono annoverate tra le feriae privatae in unaltra classificazio-ne riferita da Festo (privatae feriae, 282 l.: Privatae feriae vocantur sacrorum propriorum, velut dies natales, operationis, denecales). Si tratta dunque di ricorrenze esclusive ad ogni singolo soggetto, corrispondenti ai sacra pro singulis hominibus della classificazione di capi-tone. nean che le parentationes sono sacra gentilicia, come affermano ad esempio Sabbatucci e Fraschetti sulle orme di John Scheid18. i Parentalia di febbraio, la celebrazione degli antenati defunti, erano culti funerari privati, cui si affiancava la parentatio pubblica che apriva il novem-diale19. Sabbatucci li ha collegati alla ricognizione rituale dei iura sanguinis collegati ai vincoli agnatizi, mentre ai riti volti a rafforzare quelli di cognatio erano riservati i Caristia (non a caso detti anche cara cognatio) del 22 febbraio, il giorno successivo al termine del novemdiale dei Parentalia. ma vincoli di agnazione non vuol dire legami gentilizi, bens rapporti di parentela allargata ai collaterali, tanto vero che anche nella norma delle Xii tavole relativa alla succes-

    date di avvenimenti salienti della vita degli antenati, per poter effettuare le parentationes. Queste registra-zioni potrebbero avere costituito parte di quegli ar-chivi privati tante volte ipotizzati dagli studiosi.

    19 sabbatuCCi 1999, pp. 58 ss. pi suggestiva mi pare la spiegazione della presenza della parentatio pubblica attuata dalla virgo Vestalis il primo giorno del novemdiale, come tentativo della civitas di impa-dronirsi della festivit in funzione antigentilizia. Sui riti funerari come sacra pro familiis, harMon 1978b, pp. 1600 ss.; Kaser 1978, pp. 19 ss.

    intellettuali. contro le ricostruzioni di dumzil si era gi pronunciato granDaZZi 1993. a mio pare-re le critiche espresse da pouCet 2000, pp. 424 ss., non scalfiscono la validit della presa di posizione di grandazzi.

    17 WarDe-Fowler 1912; sabbatuCCi 1999, pp. 58 ss.

    18 sCheiD 1993, pp. 188 ss.; FrasChetti 1998, p. 741. peraltro, la. propone su questo punto alcuni ri-lievi di grande interesse, come lipotesi che le gentes (o meglio, le famiglie) disponessero di registrazioni delle

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    sione ab intestato (Tab. v, 4-520) la successione degli agnati tenuta rigorosamente distinta da quella dei gentiles. Si tratta cio di due ordines ben distinti anche nellassetto altorepubblicano e quindi, a maggior ragione, in et monarchica. in pi va osservato che i Caristia non erano inseriti nel ciclo dei Parentalia ma ne rimanevano al di fuori, pur in una posizione di stretto collegamento, per cui lautonomia delle due feste (pur in un contesto temporale omogeneo) ribadisce la differenza tra gli stessi vincoli di agnazione e di cognazione. come si vede, secondo le classificazioni romane, il culto degli antenati non culto gentilizio.

    chiarito questo punto, che mi pare essenziale, dobbiamo porci un altro problema preli-minare, quello delle fonti sui culti.

    notizie frammentarie provengono da opere sulle gentes. di alcune di esse abbiamo i titoli: de familiis Romanis di valerio messala rufo e di t. pomponio attico (corn. nep., v. Att., 18, 2); de familiis Troianis di varrone e unomonima di igino; un liber commentarius de familia Porcia citato da aulo gellio (N. A., 13, 20, 17), il libellus di Q. elogio ad Quintum Vitellium Divi Augusti quaestorem menzionato da Svetonio (Vitell., 1, 2): tutte fonti al massimo del i secolo a.c. per il totale naufragio di questa letteratura praticamente impossibile stabilire da quali fonti tali autori abbiano tratto le notizie, e ci ha suscitato unondata di diffidenza sulla loro affidabilit: penso alla sprezzante valutazione del lavoro degli annalisti sui primi secoli di roma espressa da elias Bickerman, degradato a invenzioni per riempire i rotoli di papiro21. la dottrina storica francese, profondamente influenzata dallo strutturalismo di levi-Strauss e dal funzionalismo di dumzil, forse la pi scettica in assoluto. sufficiente citare il nome di un caposcuola: Jacques poucet. anche Wiseman ha pi volte espresso la sua critica radicale del-le opere genealogiche, che ritiene invenzioni per nobilitare personaggi di dubbi natali dellet triumvirale o dei primi anni augustei22. le vedute dello studioso inglese sono, a mio parere, imprescindibili per una corretta comprensione della temperie politica e culturale che spira a roma dallet mediorepubblicana; ma rischia di veicolare limmagine di una citt la cui storia inizia nel iii o al massimo nel iv secolo, come se si trattasse di una societ senza memoria, che si sveglia improvvisamente e si inventa un passato di comodo.

    Questa strada pu portare o alla paralisi della ricerca per mancanza di fonti affidabili, o alla sostituzione delle invenzioni degli antichi con miti moderni, creati in base a sup-posizioni, ad associazioni libere tra fatti diversi, o a deduzioni fondate sul buon senso23 o sulla logica (che , ovviamente, quella di noi che viviamo nel nostro secolo), gi combattuti da massimo pallottino negli anni 60 nella sua polemica con gjerstad24. Se facile sbarazzarsi

    21 biCKerMan 1969, pp. 399 ss.22 wiseMan 1974, pp. 153 ss. prospettive ribadite

    in wiseMan 1983. le ricerche di traina 1993-1994 hanno in parte riabilitato queste tradizioni, riportate a pi complesse motivazioni e a memorie interne dei gruppi gentilizi. dinamiche gi affrontate pi volte da mario torelli, ad es. in torelli 1991.

    23 il merito riconosciuto alle ricerche di Jac-ques poucet da Meurant 2006, p. 21 s.

    24 pallottino 1963.

    20 Tab. v, 4: Si intestato moritur, cui suus heres nec escit, adgnatus proximus familiam habeto. 5. Si adgnatus nec escit, gentiles familiam habento. tala-ManCa 1998. con una prospettiva per molti versi nuo-va ariC anselMo 2000, nota 88, secondo cui la nor-ma di Tab. v, 5 non sarebbe una semplice recezione di un antichissimo mos, ma una norma profondamente innovativa sul sistema della successione ab intestato. Qui mi limito a segnalare questo contributo senza po-terlo ovviamente analizzare.

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    delle tradizioni dei Familienarchive con la condanna inappellabile di falso (per la datazione al i secolo a.c. con laggravante dellimitazione di modelli greci, come gi opinava Soltau, ai primi del novecento, in relazione ai modelli storiografici25), io, invece, non sono mai riuscito a districarmi da unobiezione di fondo: in una societ ristretta come quella aristocratica urba-na, anche tardorepubblicana, in cui il reciproco controllo sociale doveva essere massimo per arginare e bilanciare le spinte egemoniche delle gentes, una falsificazione grossolana sarebbe stata accolta dagli altri casati aristocratici con disinteresse o acquiescenza26? di questa vigi-lanza abbiamo esempi eloquenti: cn. gellio negava credibilit alle genealogie di gentes che asserivano di discendere da numa pompilio che, secondo lui, non avrebbe avuto discendenza maschile27. e i freni allostentazione gentilizia non si limitano alla storiografia. livio (43, 13, 6) menziona la reazione ai prodigi che, nel 169 a.c., accompagnarono la vigilia della terza guerra macedonica: i decemviri sacris faciundis esclusero due prodigia dal novero di quelli per i quali ordinarono azioni di culto, uno dei quali quod in privato loco factum esset - palmam enatam impluvio suo T. Marcius Figulus nuntiabat. dalla natura privata del luogo in cui si svolge il prodigium discende la sconfessione dellinteresse statuale: trattandosi di presagio trionfale, pare evidente che i decemviri mirassero a contrastare scalate politiche fondate su tali prodigi. poich quellanno il fratello di Figulo rivest il consolato lobiettivo di arginare le velleit dei marci, veicolate nel presagio trionfale, appare fin troppo scoperto.

    Se dunque la societ nobiliare romana aveva, in un certo senso, gli anticorpi per tenere a freno le ambizioni politiche dei gruppi, non credo, con Besnier, che si debba accordare fiducia cieca alla diffidenza manifestata da livio e da cicerone28. essa giustificata riguardo ai falsi triumphi, plures consulatus, genera etiam falsa et ad plebem transitiones, come afferma cice-rone (Brut., 61), ossia alla storia genealogica e di avvenimenti confluita nella seconda annalistica e poi nella storiografia augustea: comprensibile linteresse che i gruppi plebei potevano avere a vantare inesistenti origini patrizie, poi perse con unimmaginaria transitio ad plebem. invece le informazioni su mores, culti e rituali funerari gentilizi, essendo in linea generale neutre, a mio avviso dovrebbero essere vagliate con sano scetticismo ma senza pregiudizi e furori icono-clasti. ci non significa prendere per buoni i fatti narrati dalle fonti; ma studiare le tradizioni pervenuteci, per tentare di collocarle nel loro contesto culturale e giuridico e ricostruirne la genesi, potr permetterci di ipotizzare con qualche verosimiglianza che almeno alcune delle tradizioni raccolte dagli antiquari della tarda repubblica possano provenire da archivi gentilizi o da laudationes funebres, di cui Santo mazzarino sottolineava la rilevanza nella trasmissione

    Gevllio" Gnai'o" iJstorei', qugatevra movnhn, ejx h|" ejgevneto Agko" Mavrkio". plutarco (Numa, 21, 2), senza nominare la fonte, conferma questa differenza, elencando anche le quattro gentes presunte discen-denti di numa: Pomponii Pinarii Calpurnii Mamerci. Su questa polemica gabba 1967=2000, p. 43; russo 2005, pp. 16 ss.

    28 besnier 1953, p. 9; brunt 1982, pp. 5 ss., pi possibilista.

    25 soltau 1909, pp. 181 ss. opposta la valutazio-ne di tonDo 1981, p. 18: gli storici greci, nel loro sfor-zo di informazione dei loro lettori, dovevano essere particolarmente scrupolosi nel descrivere le istituzio-ni romane.

    26 un pensiero gi espresso da gabba 1995= 2000, p. 65.

    27 dion. hal., 2, 76, 5: genea;n de; katalipwvn, wJ" me;n oiJ pleivou" gravfousin, uiJou;" tevttara" kai; qugatevra mivan, w|n e[ti swvzetai ta; gevnh, wJ" de;

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    di generazione in generazione delle genealogie gentilizie, in sguito recepite in quella che il maestro defin incisivamente let della pretesta29. Si tratta cio di ripensare quel criterio er-meneutico che gi pugliese carratelli defin pseudocritico piuttosto che ipercritico che porta a diagnosi patologiche sul grado di attendibilit delle fonti antiche30.

    Unultima osservazione. Quando studiamo le origini di roma difficile sottrarsi allim-pressione che la ricerca soffra di una sorta di schizofrenia: a seconda che lanalisi provenga da un archeologo, da uno storico o da un giurista leggiamo storie radicalmente differenti, come se provenissero da pianeti diversi. Qualche frizione, derivante dalle diverse fonti utilizzate dalle quali vengono dedotte divergenti interpretazioni dei processi di crescita e trasformazione della civitas, in fondo inevitabile, perch adottando prospettive diverse abbastanza naturale che si ricostruiscano dinamiche diverse. tuttavia una cos totale incomunicabilit a me pare inac-cettabile: la storia una e sarebbe a mio avviso necessario tentare di avvicinare i quadri storici. Se, studiando i corredi delle tombe dellorientalizzante laziale, si nota che a decima solo nelle tombe femminili si trovano oggetti legati al consumo del vino, prima di dedurne il particolare rapporto della domina con il consumo del vino31, sarebbe necessario incrociare questo indubi-tabile dato archeologico con un dato giuridico, quello della lex Romuli sul divieto di bere vino imposto alle donne (FIRA, 12, Leges regiae, Romulus 7). cos come, quando si studia la norma decemvirale sul divieto di seppellire i defunti con oro e argento, tranne nel caso in cui essi por-tassero protesi dentarie doro (Tab. X, 8: Neve aurum addito, at cui dentes iuncti escunt, ast im cum illo sepeliet uretve, se fraude esto), prima di affermare che questa norma incompatibile con la depressa civilt latina del v secolo a.c.32, sarebbe opportuno verificare se per caso siano documentate tombe con defunti con denti doro; e infatti almeno in un caso, a Satrico verso la fine del vii secolo a.c., fu inumato un uomo provvisto di una protesi dentaria aurea. gi pietro de Francisci aveva tentato di armonizzare le testimonianze della storia delle istituzioni romane arcaiche con quelle archeologiche33; opportuno non perdere quella lezione di metodo. lincrocio delle documentazioni potrebbe contribuire a unificare interpretazioni che tendono a divergere anche sensibilmente, fornendo immagini dei medesimi fenomeni storici discordanti ed eccessivamente contraddittorie tra loro34.

    2. Classificazioni tardorepubblicane Sul posto occupato dal culto gentilizio allinterno delle strutture cultuali romane disponiamo di due fonti fondamentali, entrambe conservate da Festo.

    i) Fest., publica sacra, 284 l. la prima la notissima classificazione composta alla fine della repubblica o nei primi anni del principato da un anonimo, gi da reitzenstein identifi-cato con buona plausibilit in ateio capitone35, e riportata da Festo (publica sacra, 284 l.=fr. 70 Suppl. Strzel.): publica sacra, quae publico sumptu pro populo fiunt, quaeque pro montibus, pagis, curis, sacellis; at privata, quae pro singulis hominibus, familiis, gentibus fiunt.

    ne di metodo, come nel precedente De FranCisCi 1955.34 Fondamentali mi sembrano, a questo propo-

    sito, le riflessioni sul metodo di pallottino 1993, pp. 48 ss.

    35 reitZenstein 1887. ma gi MarquarDt 1878 lo aveva riportato al diritto pontificale.

    29 MaZZarino 1972, p. 58.30 pugliese Carratelli 1981, pp. 10 ss.31 Dagostino 1999, p. 84.32 roMano 1981.33 De FranCisCi 1959; ma tutta la sua produzione

    relativa ai primordia era fondata su questa impostazio-

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 995

    il testo opera una rigida bipartizione tra due categorie di culti, la cui discriminante indi-viduata in due parametri: quello dei destinatari del culto (pro), in base al quale sono pubblici i culti svolti in favore del popolo nel suo complesso o nelle sue partizioni, curie, montes e sacella, mentre quelli svolti in favore dei singoli, delle famiglie e delle gentes sono privati; e quello della provenienza del sumptus: i sacra publica sono compiuti publico sumptu. con questa premessa indispensabile non mi pare che rpke, nel suo studio gi citato, abbia interpretato correttamen-te la fonte di capitone, dato che individua come principale carattere distintivo la provenienza del finanziamento per il culto, da assicurare publico sumptu: un criterio sicuramente presente nella classificazione di capitone, ma non quello fondamentale, anzi direi sicuramente seconda-rio rispetto allaltro36. necessario inoltre ribadire che il culto pubblico se svolto in favore del popolo, non dal popolo: i culti a cui partecipa il popolo nel suo complesso erano definiti popu-laria da labeone (Fest., Popularia sacra, 298 l.=fr. 16 hu.): Popularia sacra sunt, ut ait Labeo, quae omnes cives faciunt nec certis familiis adtributa sunt: Fornacalia, Parilia, Laralia, porca praecidanea. essi rispondevano ad un criterio del tutto diverso: quello della partecipazione di tutti i cittadini, ciascuno nella ripartizione a cui apparteneva, ad esclusione dei culti certis familiis adtributa. labeone elencava infatti tra i sacra popularia i Fornacalia, culto pro curiis, i Parilia, di cui varrone affermava la natura al contempo pubblica e privata, i Lararia e la porca praecidanea, tipici rituali funerari privati, familiari ma non riservati ad una sola famiglia37.

    capitone cataloga dunque come pubblici i culti celebrati non solo a vantaggio del popolo, ma anche nelle minori articolazioni che, sotto il profilo cultuale, egli giudica autonome rispet-to al populus, e che classifica seguendo un percorso discendente, dalla ripartizione maggiore (il populus), scendendo verso quelle minori: prima cita i montes, articolazione di settori urbani comprendente il Septimontium, che labeone descrive come ancora vitale al suo tempo38 (sacra

    ne a singole gentes. Una posizione ribadita in MoMM-sen 1887, p. 19, ove ladtributio era interpretata come Verleihung. in contrario, e giustamente, De Fran-CisCi 1959, p. 170 e nota 341, faceva notare che, se la ricostruzione mommseniana fosse stata esatta, non si spiegherebbe la presenza della porca praecidanea che, in quanto rito dedicato ai di parentes, appare uno dei pi tipici sacra familiaria. Sul punto cfr. anche Cata-lano 1974, pp. 123 ss.

    38 Fest., Septimontio, 476 l.: Septimontio, ut ait Antistius Labeo (fr. 14 Br.), hisce montibus feriae: Pa-latio, cui sacrificium quod fit, Palatuar dicitur; Veliae, cui item sacrificium; Faguali, Suburae, Cermalo, Oppio, Caelio monti, Cispio monti. labeone impiega il tempo presente per qualificare il sacrificio palatino, che potrebbe implicare la vitalit del rito al suo tempo. linterpretazione della festa tuttora oggetto di acceso dibattito: con pareri discordanti FrasChetti 1984 (ri-badito in FrasChetti 1990, pp. 134 ss. e in FrasChetti 2002); CaranDini 1997 (confermato in CaranDini 2006). penso che vada abbandonata la visuale della festa come manifestazione di una sorta di lega religiosa tra uguali,

    36 rpKe 2004, p. 25: il pi importante criterio per distinguere i sacra publica dalle altre pratiche cul-tuali consiste nel guardare al finanziamento, ovvero nella risposta alla domanda: chi paga per celebrare questi culti?. ovviamente laspetto dei destinatari non assente dalla visuale della. tedesco: per non occupa, come secondo me dovrebbe, il posto centrale. anzi, la provenienza del finanziamento non mi pare neanche requisito fondamentale: in tal caso le opere edificate con denaro privato non potrebbero mai esse-re pubbliche: e invece levergetismo privato che finan-zia la costruzione di luoghi sacri o templi pubblici una delle manifestazioni peculiari della civilt romana fin dallet repubblicana.

    37 Sui Parilia, varr. ap. Schol. Pers., 1, 72: Varro sic ait: Palilia tam privata quam publica. pare evi-dente che, se questa festa veniva celebrata a livello sia pubblico sia privato, non poteva essere definita cer-tis familiis adtributa. raDKe 1994, p. 57. dal verbo adtribuere MoMMsen 1834, p. 10, era portato a co-struire una figura di culti gentilizi pubblici, statali quanto alla costituzione ma affidati per la celebrazio-

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    pro montibus); poi i pagi urbani, partizioni di cui non sono chiari i rapporti con i montes, ed a cui appartengono i Paganalia39; le curie (Fornacalia, Fordicidia e Quirinalia: sacra pro curiis); e infine i sacra pro sacellis, in cui saranno da identificare Strenia, volupia, cloacina (i cui luoghi di culto sono designati come sacella), i sacella ricordati da varrone (L. L., 7, 84), secondo cui in aliquot sacris et sacellis habemus Ne quod scorteum adhibeatur, ideo ne morticinum quid adsit, riferendosi palesemente ad una lex sacra relativa a luoghi di culto pubblici, che vieta di insozzare materialmente (e contaminare sul piano rituale) con carogne di animali; e forse Argei. al contrario i culti celebrati a favore dei singoli, delle famiglie e delle gentes sono catalogati fra i culti privati. da notare che per i sacra privata capitone impiega un andamento contrario a quello adottato per i sacra publica, ascendente dal pi semplice (i singuli) al pi complesso (le gentes).

    Qualche parola va spesa sui sacra pro sacellis. nella presenza di questa species dei sacra publica taluno40 ravvisava una tensione nel lemma di capitone, per la loro eterogeneit rispetto agli altri sacra publica che, con i sacra pro populo, pro montibus, pagis, curis fanno riferimento a partizioni cittadine, mentre i sacella non sarebbero identificabili in nessuna di esse. Si tratta di una critica meramente stilistica che non inficia limportanza della fonte. pi significativo un altro rilievo. i sacella erano edifici cultuali generalmente di modeste dimensioni, come risulta dalle definizioni tardorepubblicane, di trebazio testa riportata da aulo gellio (N. A., 7, 12, 5=fr. 4 hu.) e di verrio Flacco (sacella, 422 l.)41. per questo erano pi facilmente appropriabili dai privati, come dimostra una serie di fonti tardorepubblicane di cui mi limiter a segnalare alcune pi rilevanti. in una lettera del 50 a.c., m. celio rufo informa cicerone (ad Fam., 8, 12, 3) di avere intrapreso uniniziativa giudiziaria contro ap. claudio, fratello di clodio: Praete-rea coepi sacellum, in domo quod est, ab eo petere. Si tratta verosimilmente di un piccolo edi-ficio di culto che claudio aveva accorpato alla sua abitazione. linterpretazione pi attendibile di questo accenno sibillino , a mio avviso, quella di tyrrell e purser42, secondo cui si sarebbe trattato di un sacello pubblico illecitamente privatizzato da claudio. ancora pi sfortunata fu

    esclude unidentificazione delle feriae Sementivae di fine gennaio con i Paganalia, a cui accenna varrone (L. L., 6, 24). il rapporto tra le due entit esaminato da FrasChetti 1990, pp. 173 ss.; CaranDini 2006, pp. 140 ss., inserisce i pagi nel contesto del processo che porta alla nascita di roma, nel quale essi sono inseriti come prima fase preurbana.

    40 ad es. MoMMsen 1907, iii, p. 539. 41 au. gell., N. A., 7, 12, 5 (= fr. 4 hu.): sa-

    cellum est locus parvus deo sacratus cum ara.. Fest., sacella, 422 l.: sacella dicuntur loca dis sacrata sine tecto. la marcata discrepanza tra le due fonti risolta da Coarelli 1983, pp. 124 ss., accordando fiducia alla definizione di trebazio. non tutti i sacella che cono-sciamo sono a cielo aperto, mentre tutti sono prov-visti di unara per la celebrazione del rito; alcuni ne hanno pi di una, come il sacellum Mutini Titini sulla velia, a cui accenner subito. la soluzione di coarelli mi pare la sola accettabile.

    42 tyrrell - purser 1969, iii, p. 268.

    in cui ciascun villaggio conservava la sua indipenden-za, come pensava ancora De FranCisCi 1959, pp. 479 ss. vi sono anche testimonianze epigrafiche di sacra pro montibus, come il rito che si svolgeva nel sacellum at-testato da una epigrafe urbana (CIL, 12, 1003=ILLRP, 698): M et flamines / montan(orum) mon-tis / Oppi / de pequnia mont(anorum) / montis Oppi / sacellum / claudend(um) / et coaequand(um) / et arbo-res / serundas / coeraverunt. il sacellum di pertinen-za dei montani e i lavori sono finanziati a loro spese; non credo quindi che si possa trattare di un luogo di culto pubblico: valutando il rito che vi si svolgeva alla stregua della classificazione di capitone, pare evidente che non appartenesse ai sacra pro sacellis, ma pro mon-tibus. Sui montani montis Oppii, palMer 1976, pp. 50 ss.; FrasChetti 1990, pp. 174 ss.

    39 Capogrossi Colognesi 2002, pp. 43 ss.; tar-pin 2002, pp. 186 ss.; CaranDini 2006, pp. 140 ss. in questa sede non posso affrontare una discussione sullipotesi di sabbatuCCi 1999, pp. 41 ss., che non

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 997

    la sorte toccata al sacello di Mutinus Titinus, secondo un lemma di Festo (Mutini Titini, 142 l.), Mutini Titini sacellum fuit in Veliis, adversum murum Mustellinum in angi, de quo aris sublatis balnearia sunt facta Cn. D Calvini, cum mansisset ab urbe condita ncipatum Augusti . anche in questo caso abbiamo lo smantellamento di un piccolo e antichissimo luogo di culto pubblico, con la rimozione delle are in esso contenute e la trasfor-mazione del corpo di fabbrica in balnearia privati43. Quello che pu sorprendere lassenza di reazione degli organi preposti alla tuitio, censori ed edili44: fenomeno che si pu riportare alla mancata elezione di censori nellet delle guerre civili e fino al 22 d.c. Ben diversa era stata la risposta in una situazione identica, nel pieno della repubblica, descritta da livio (40, 51, 2): i censori del 179 a.c. complura sacella publicaque usu occupata a privatis publica sacra ut essent paterentque populo curarunt. il sacellum distrutto da domizio calvino, invece, non fu mai rivendicato. cos come accadde in parecchi casi ricordati da cicerone nel de haruspicum responsis, a partire da quelli distrutti da Sex. atilio Serrano (de har. resp., 32: A Sex. Serrano sanctissima sacella suffossa, inaedificata, oppressa, summa denique turpitudine foedata esse nescimus?), per giungere a quello distrutto ed accorpato da clodio alla sua casa (de har. resp., 30: Sequitur de locis sacris, religiosis.[] in iis aedibus quas tu, Q. Seio, equite Romano, viro optimo, per te apertissime interfecto, tenes, sacellum dico fuisse aras. Tabulis hoc censoriis, memoria multorum firmabo ac docebo). c unapparente contraddizione in quanto dichiara loratore: prima afferma che parler di loca sacra e religiosa, che per loro na-tura non possono appartenere a nessuno, essendo cose sottratte al commercium; poi dichiara di avere le prove di quanto ha appena affermato nelle registrazioni delle tabulae censoriae. poich in esse era contenuto lelenco di tutti i beni di cui il singolo cittadino era proprietario, ne discenderebbe che il sacello in parola fosse di propriet di Seio. la composizione di questa discrepanza andr forse cercata nel fatto che nella sua professio Seio avr dichiarato anche tutti i beni comunque nella disponibilit privata, indipendentemente dal loro essere in sua propriet. Se questa interpretazione corretta, avremmo un caso rilevante di sacellum racchiuso in una propriet privata, ma aperto al culto pubblico.

    Finora abbiamo visto sacella pubblici, i cui culti quindi rientrano nella species dei sacra pro sacellis. tuttavia le fonti ci mostrano anche sacella privati, ove si svolgevano riti non pubblici, o addirittura sacella adibiti al culto gentilizio di diverse gentes, come ci mostra inequivocabil-mente un testo di cicerone (de har. resp., 32) secondo cui molti membri dellordine senatorio eseguivano culti gentilizi a diana in un sanctissimum sacellum sul celicolo: L. Pisonem quis

    tellato da calvino in seguito. Sappiamo che costui era ancora vivo nel 21 a.c. (MnZer 1903, col. 1422); potrebbe quindi avere compiuto lempia azione poco prima di morire. Sul rapporto tra il sacello di Titinus e Venus Calva, e le relative implicazioni in tema di culti gentilizi, convincentemente ipotizzati da torelli, qualche rilievo pi sotto. ottimi rilievi su tutto il pro-blema in paloMbi 1997, pp. 88 ss.

    44 De ruggiero 1925, pp. 148 ss.; 229 ss.; palMer 1965, pp. 319 ss.

    43 lidentificazione di calvino con il cn. domi-zio calvino console nel 54 a.c. e autore del restau-ro della Regia pontificum nel 36 a.c. (torelli 1984, p. 154) convincente. la. identifica lincendio che distrusse ledificio poi ricostruito da calvino con lo stesso evento che gli avrebbe permesso di impadronir-si del sacello di Titinus. ma Festo afferma che esso so-pravvisse intatto fino ncipatum Augusti, una formulazione che difficilmente si concilia con la data dellincendio. pu darsi pertanto che il sacello non fosse andato distrutto nellincendio e sia stato sman-

  • 998 m. Fiorentini Sc. Ant.

    nescit his temporibus ipsis maximum et sanctissimum Dianae sacellum in Caeliculo sustulisse? Adsunt vicini eius loci; multi sunt etiam in hoc ordine qui sacrificia gentilicia illo ipso in sacello stato loco anniversaria factitarint. va evidenziata la particolare forma di esercizio di questo sacello di diana: luso cultuale ne aperto ad una molteplicit di gentes. ci significa che nes-suna gens ha lesclusiva dellesercizio del relativo culto. ma c di pi: il sibillino accenno di cicerone parrebbe sottintendere un esercizio collettivo di questo sacello da parte dei gentiles, ciascuno dei quali vi celebra il suo rito gentilizio45.

    i sacra pro sacellis implicano unaltra difficolt: lattendibilit della proposta di includervi i sacra Argeorum. lobiezione principale consisteva nel fatto che il nome tecnico delle cap-pelle degli argei, come risulta da varrone, non sacella ma sacraria46; ma varrone, dopo aver affermato (L. L., 5, 45) che reliqua urbis loca olim discreta, cum Argeorum s a c r a r i a sep-tem et viginti rell., poco dopo (L. L., 5, 48) nomina lArgeorum s a c e l l u m sextum della regio Suburana, evidenziando una certa variabilit terminologica dei relativi luoghi di culto47. pi interessante il problema della determinazione della partizione cittadina alla quale essi avrebbero afferito. Su questo punto non mi pare convincente una certa tendenza a incardinare gli Argei nel sistema delle curie48. Se cos fosse, nelle classificazioni tardorepubblicane dei sacra essi sarebbero ricompresi nei sacra pro curiis; il che non , dato che la processione ai sacraria svolta da sacerdoti pubblici (le vestali, la flaminica Dialis, i pontefici), e pertanto non coinvolge nessuna struttura curiale. inoltre lincompatibilit tra il sistema degli argei e quello delle curie dimostrata dalleterogeneit dei ventisette sacraria degli argei con le trenta curie; e inaccetta-bile lantico tentativo di normalizzarne il numero con le quattro regiones serviane, ipotiz-zando un numero di ventiquattro sacelli49; n persuasivo mi sembra il tentativo di concordare i due numeri ipotizzando un aumento del numero delle curie da ventisette a trenta, ad opera di romolo: un intervento di tale importanza che, se ci fosse stato, le fonti non avrebbero mancato di ricordarlo. esatta, invece, la collocazione degli Argei nella fase proto-urbana, proposta da carandini50. a mio parere gli Argei rispecchiano una fase del popolamento antecedente non

    staD 1973, p. 39. contro il collegamento Argei-curie si era pronunciato gi MagDelain 1976-77=1990, p. 172, a mio avviso correttamente, e pur nel contesto di unipotesi sulla collocazione cronologica del rituale argeo che non ritengo plausibile.

    49 saglio 1877, p. 404; contra sCullarD 1981, pp. 120 ss.: paloMbi 1997, pp. 86 ss., con una persuasiva deduzione tratta da unintegrazione della seconda parte di Fest., Mutini Titini, 142 l., nella quale com-pare un extum et vicesimum (accolta anche da to-relli 1984, p. 154), convincentemente identificato nel ventiseiesimo sacrario argeo. ci ovviamente sarebbe sufficiente a escludere che la locuzione di varrone (L. L., 5, 45) Argeorum sacraria septem et viginti pos-sa essere considerata un errore del reatino o, peggio, della tradizione manoscritta (che sul passo, a quanto mi consta, non conosce varianti testuali).

    50 CaranDini 2006, pp. 201 ss.

    45 Un non pi recente commento allorazione ci-ceroniana infila un paio di perle in relazione a questo sacello: prima sospetta che esso sia stato apparently dedicated by a private person or family, poi collega la distruzione del sacello ad una vigorous action against the Egyptian cults () destroying their alta irs, ve-dendo una possibile connessione tra i due eventi especially if this cult of Diana were foreign, orgiastic, or in any way unruly. non riesco a vedere dignitosi e severi membri dellordine senatorio compiere un cul-to orgiastico: lenaghan 1969, p. 165.

    46 cos ad es. geiger 1920, col. 1661.47 poe 1978, pp. 150 ss.48 storChi Marino 1995; sabbatuCCi 1999, p.

    123; ma gi cos palMer 1970, p. 85; p. 126, pensava che un sacello destinato a sacrifici di famiglie (sic) no-bili avrebbe potuto svolgere al meglio il suo ruolo if it were a sacred enclosure belonging to a curia; gjer-

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 999

    solo alla divisione della citt in quattro regiones, come affermato da van doren sulla scia delle appropriate osservazioni di collaart51, ma anche alla concentrazione della popolazione in cu-rie. del resto non mi pare persuasiva, nonostante la sua suggestivit, la proposta di gianfranco maddoli di collegare gli argei al culto greco di Hera Arghea introdotto durante la monarchia etrusca52. n tanto meno ritengo accettabile lipotesi formulata da magdelain che, argomen-tando dalla circostanza che la processione avrebbe seguito un percorso concepito in modo da toccare tutti i sacella di ogni regione serviana prima di passare alla seguente, deduceva la dipendenza del rito dallassetto quadripartito dellUrbe serviana, e quindi la seriorit degli uni in confronto allaltra53.

    ii) Fest., sacer mons, 424, 14 ss. l. la segregazione dei culti gentilizi nellambito dei culti privati, asserita nel testo di capitone, rispecchia una fase della storia romana nella quale le gentes, avendo perso qualsiasi rilievo ed essendo state respinte al di fuori della vita della res publica, sono state relegate nella sfera privata, considerate tuttal pi nel contesto dei rapporti di parentela e del diritto delle successioni54. Una prova di tale declino unanimemente rico-nosciuta nella supervisione sul culto gentilizio esercitata dal collegio pontificale: un fenomeno implicante il sostanziale venir meno dellautonomia cultuale delle gentes.

    Festo (sacer mons, 424, 14 ss. l.) riferisce una preziosissima testimonianza di questo con-trollo; un testo che, vorrei far notare, non stato influenzato dalla classificazione di capitone essendone sicuramente anteriore: Gallus Aelius (fr. 5 Br.) ait sacrum esse quocumque modo [linds.; quodcumque more lachm.] atque instituto civitatis consecratum sit, sive aedis, sive ara, sive signum, sive pecunia, sive quid aliud quod dis dedicatum atque consecratum sit; quod au-tem privati suae religionis causa aliquid earum rerum deo dedicent, id pontifices Romanos non existimare sacrum. At si qua sacra privata succepta sunt, quae ex instituto pontificum stato die aut certo loco facienda sint, ea sacra appellari, tamquam sacrificium; ille locus, ubi ea sacra pri-vata facienda sunt, vix videtur sacer esse.

    Una considerazione preliminare si impone: elio gallo cita materiali pontificali. Queste fonti in genere hanno fino a tempi recenti sollecitato scarse attenzioni, come se i pontefici fossero qualcosa di sostanzialmente estraneo al patrimonio della sapienza giurisprudenziale romana: nel giusromanista essi in genere suscitano interesse solo laddove la loro attivit si in-contri col diritto profano, lasciando agli specialisti di storia della religione lanalisi dei responsi pontificali in materia di culto55.

    55 ad es. sChulZ 1968, p. 19: la storia della scienza giuridica romana, peraltro, si occupa del dirit-to sacro solo in quanto il diritto sacro tocchi il profano e presenti con il medesimo parallelismi; materia pura-mente di culto appartiene alla storia della religione. nello stesso senso mi pare caratteristico dellatteg-giamento dei giusromanisti nei confronti della giuri-sprudenza pontificale il sostanziale disinteresse ma-nifestato, in un articolo peraltro di notevole spessore critico, da wieaCKer 1986, p. 347 s. che, ricordata la

    51 Doren 1958, pp. 39 ss.; aMpolo 1988, p. 166, invece, ritiene gli argei organicamente distribuiti se-condo la citt delle quattro regioni serviane; ci che gli suggerisce la conclusione che lelenco, nella forma in cui ci pervenuto, debba risalire ad et successiva al vi secolo a.c. Una conclusione che mi lascia parec-chi dubbi.

    52 MaDDoli 1971.53 MagDelain 1976-77=1990, pp. 171 ss.54 talaManCa 1998; Masi Doria 1999.

  • 1000 m. Fiorentini Sc. Ant.

    Francesco Sini ha evidenziato bene le ragioni che hanno indotto la critica del secolo XiX, alla quale ancora oggi in sostanza facciamo riferimento, a marginalizzare questi materiali, rite-nuti appunto estranei alla nostra tradizione giuridica perch riguardanti settori diversi, come il ius sacrum56. in realt, lattivit dei collegi sacerdotali nel campo del diritto pubblico in et re-pubblicana va ricondotta alla sua reale portata, che quella del controllo della correttezza delle procedure dei riti. lungi dal rilevare esclusivamente nellambito religioso, essa vale ad assicu-rare il gradimento delle divinit e, in definitiva, larmonioso rapporto tra queste e la civitas. Si tratta perci di funzione strettamente collegata al diritto pubblico. la descrizione dellattivit pubblica degli uguri fatta da cicerone (de leg., 2, 31) determinante. dal momento che quella che i romani chiamavano pax deorum era una componente essenziale del corretto funziona-mento della civitas, i pontefici e gli uguri erano chiamati a governare un settore fondamentale della vita politica romana57. mi pare che sia questo il senso pi pregnante della formula, altri-menti francamente ambigua, secondo cui nellet arcaica non si pu tracciare una reale cesura tra diritto e religione58. vedremo in sguito come questo rilievo possa essere proficuamente speso nellanalisi di un testo importante di cicerone (de leg., 2, 58) relativo allaedes Honoris extra portam Collinam.

    nel lemma Sacer mons la citazione da elio gallo, finalizzata alla delimitazione della no-zione di res sacra, pu essere suddivisa in tre parti:

    i) definizione di sacrum, limitato solo a quanto (aedis, ara, signum, pecunia, quid aliud) sia stato consecratum atque dedicatum da un mos o da un institutum civitatis;

    ii) le stesse res, se destinate dai privati suae religionis causa, non sono considerate sacrae dai pontefici59;

    iii) vi sono sacra privata che un institutum pontificum impone ai privati di compiere stato die aut certo loco: questi sono sacra, e il locus ove si deve svolgere latto di culto , pur con qualche riserva (vix), considerato locus sacer.

    re la confusione tra sacro e profano nelle pronunce pontificali, ranDaZZo 2004.

    56 sini 1995, pp. 28 ss., sullespulsione dei frag-menta extra Digesta tradita, secondo la logica co-struttiva (ma meglio sarebbe dire, come fa giustamen-te Sini, omissiva) del lenel della Palingenesia Iuris Civilis. la complessit dei materiali giuridici utilizzati da elio gallo fu messa in risalto da bona 1987, pp. 119 ss.

    57 VoCi 1953, pp. 49 ss.; sini 2002, pp. 68 ss.58 lambiguit che si riscontra in alcuni accenti

    del pur denso contributo di VoCi 1953. non ambiguo invece Fabbrini 1968, nellattribuire alla religio arcaica un significato non circoscritto alla religio sepulcrorum ma esteso a coprire tutte le manifestazioni del sacro. Una visione confutata da albanese: albanese 1969, a mio avviso determinante, nonostante la replica di Fab-brini 1970, pp. 197 ss.

    59 albanese 1969, pp. 208 ss., nota 8.

    profonda compenetrazione tra sacro e civile nellespe-rienza romana arcaica, lamenta che i testi pontificali unterrichten nicht direkt ber ihre (scil. dei pontefici) Methoden und Vorstellungen zum profanen Recht: wir knnen auf diese nur zurckschlieen aus Sakralfor-meln und Sakralgutachten (ibid., p. 348, nota 2), che la. esclude dal suo esame, in quanto ritenute estranee allattivit profana dei pontefici. invece a mio parere Sakralformeln und Sakralgutachten sono parte del peculiare orizzonte giuspubblicistico romano di et repubblicana e non possono essere messi da parte in ossequio ad una visione liberale della separazione tra diritto e religione (cos anche VoCi 1953, p. 45). Una nozione che, se al giorno doggi sarebbe del tutto au-spicabile (oltre che, a torto, ritenuta pienamente rea-lizzata), non risponde a pieno alla mappa delle strut-ture pubblicistiche romane, neanche di et imperiale: figuriamoci a quelle monarchiche e repubblicane. pi equilibrato, bench ancora orientato nel senso di nega-

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 1001

    come si vede il lemma molto pi articolato di quanto sia considerato da coloro che lo leggono come prova della pura e semplice sorveglianza del collegio pontificale sui culti privati. mommsen lo ritenne prova del fatto che lo stato avrebbe usato conferire culti pubblici alle gentes, anzi, avrebbe attuato una vera e propria Mandirung eines Geschfts60: un fatto non solo inspiegabile (perch conferire un culto ad una gens invece di affidarlo a sacerdozi pubbli-ci?), ma contraddetto proprio dal passo di elio gallo. in esso, infatti, i pontefici non affidano ai privati un culto pubblico, ma accolgono culti privati nella categoria dei sacra qualora sussi-stano determinati requisiti, in particolare la cadenza temporale (stato die) o la determinazione del certus locus in cui latto di culto deve svolgersi; ne deriva lestensione della qualit di sacer al locus in cui si svolge latto cultuale.

    la considerazione pi interessante mi pare per unaltra: la classificazione di elio gallo certamente anteriore a quella di capitone, e in essa sono gi menzionati i sacra privata, ancora privi di quella caratterizzazione definitoria che contraddistingue la definizione di capitone, ma certamente gi strutturati come contenitore di quelle forme del culto che non rispondo-no ai criteri elaborati dai pontefici per la ricomprensione nella categoria del sacrum.

    Un altro rilievo mi pare di grande valore: lesclusione di quanto i privati abbiano costi-tuito suae religionis causa il frutto di un intervento interpretativo dei pontefici, come appare evidente dal verbo existimare che esprime lautorevole pronuncia del collegio sulla soluzione di una controversia o di un quesito portato alla sua attenzione. infatti, non esistendo una let-teratura scientifica pontificale nella quale potessero maturare opinioni sullambito semantico di un termine tecnico, il verbo in parola allude allesito dellattivit di controllo del collegio, espresso in un decretum61.

    lintervento pontificale delineato in questi testi si era reso necessario per assicurare la continuit di culti gentilizi che dovevano essere in immediato pericolo di estinzione. le fonti, almeno a partire dal ii secolo a.c., sono prodighe di informazioni sugli espedienti escogitati non solo dai privati ma anche dalla giurisprudenza cautelare dei pontefici per permettere agli onerati di sottrarsi ad obblighi che non solo dovevano essere sentiti sempre pi economica-mente gravosi e costrittivi, ma, aggiungerei, nei cui confronti, per la dispersione dei gruppi gentilizi in entit sempre meno compatte, la determinazione concreta dellonerato doveva esse-re sempre pi problematica. il lungo testo del de legibus di cicerone (2, 48-54), contenente una serrata polemica con gli Scevola pontefici, accusati dallarpinate di avere, con i loro interventi cautelari in materia di obbligati ai sacra, contribuito pesantemente al declino della religione gentilizia, venendo sostanzialmente meno allattivit di controllo esercitata tradizionalmente

    nato poco sopra. Quanto alla forma assunta da questa pronuncia pontificale, data lespressione usata da elio gallo (existimare), sarei orientato a ritenerla un de-cretum. Sulla differenza tra le due forme di intervento pontificale mi pare che si sia correttamente pronun-ciato ranDaZZo 2004. cfr. anche ManCuso 1988, pp. 78 ss.; FalCone 1991, pp. 234 ss., di cui, in assenza di pi precisi riscontri cronologici, trovo convincente la datazione di elio gallo ai primi anni del i secolo a.c.

    60 in realt il pensiero di mommsen, oltre che pi articolato di come lho ora presentato, ha subto una profonda evoluzione, dal libro giovanile sui collegia (MoMMsen 1834) al maturo Staatsrecht (MoMMsen 1887).

    61 che i collegi sacerdotali dovessero non di rado risolvere questioni attinenti alla qualificazione pubblica o privata delle materie di loro competenza evidenziato dallepisodio narrato da livio, relativo ai decemviri sacris faciundis (43, 13, 6), cui ho accen-

  • 1002 m. Fiorentini Sc. Ant.

    dal collegio, appare emblematico in proposito: la penetrante lettura proposta dal compianto Ferdinando Bona al convegno di copanello del 1988, che confermava con altri argomenti la cautela verso lattendibilit delle critiche ciceroniane manifestata da eberhard Bruck nel suo lavoro del 1945, mi pare la pi affidante, e ad essa rinvio senzaltro62. dir di pi: abbiamo almeno una testimonianza quasi in presa diretta di questo fenomeno di abbandono dei sacra, risalente alla prima met del ii secolo, lepisodio dellespulsione di l. veturio dal ceto degli equites ad opera di catone, su cui torner tra breve. Queste testimonianze rispecchiano dun-que unet di disgregazione progressiva della solidariet gentilizia in materia cultuale, specchio di un pi generale fenomeno di sfaldamento della gens come struttura sociale: un fenomeno che gi nel ii secolo fa avvertire i primi scricchiolii (anche se, come vedremo, lo stesso secolo presenta episodi che ne attestano anche uninsospettata vitalit).

    nellottica della giurisprudenza pontificale cui accenna elio gallo, pertanto, tra i culti privati fatta una bipartizione: culti privati di stretta pertinenza privata, e culti privati che, a sguito dellintervento di un institutum pontificum, sono assimilati a culti pubblici. anche in questo secondo caso siamo in presenza di culti privati, dotati per di un grado particolare di coercitivit proprio a causa dellinstitutum pontificum. Questa duplicit dei culti privati con-fermata da unanalisi, necessariamente rapida, dei singoli sacra gentilicia.

    3. Sacra gentilicia le fonti attestano lesistenza di culti rimasti sempre nel chiuso della vita delle gentes. Si tratta di culti e rituali che non hanno mai influenzato la vita della civitas. tra questi il pi insolito senzaltro quello ricordato da plinio il vecchio (Nat. Hist., 34, 137) a proposito della gens Servilia: Unum etiamnum aeris miraculum non omittemus. Servilia familia inlustris in fastis trientem aereum pascit auro, argento, consumentem utrumque. Origo atque natura eius incomperta mihi est. Verba ipsa de ea re Messallae senis ponam: Serviliorum familia habet trien-tem sacrum, cui summa cum cura magnificentiaque sacra quotannis faciunt. Quem ferunt alias crevisse, alias decrevisse videri et ex eo aut honorem aut deminutionem familiae significari.

    il testo cos singolare da avere provocato una sorta di reazione di rigetto tra gli studiosi63. il motivo evidente: messalla descrive un rituale di pronostico celebrato in onore di un triens sacer che, nel corso di un sacrificio annuale, viene alimentato con oro e argento per ottenere un pronostico sulle sorti future della gens, da ricavare dal gradimento delle offerte manifestato dal presunto aumento o meno delle sue dimensioni. cosa era questo triens?

    2, 50): Sed pontificem sequamur. Videtis igitur omnia pendere ex uno illo, quod pontifi cum pecunia sacra coniungi volunt, isdemque ferias et caerimonias adscribendas putant. FranCiosi 1964.

    63 nonostante la sua lunghezza, esso non fu re-cepito nella raccolta di husChKe (seCKel - Kbler) 1908, mentre fu inserito in quella di breMer 1896 (Br.). perfino un contributo che fin nel titolo riprende alla lettera le espressioni pliniane non ha sentito la neces-sit di soffermarvisi: Vones 1978.

    62 bruCK 1945, pp. 6 ss.; bona 1990, pp. 215 ss., con unacuta disamina dei rapporti tra lattivit pon-tificale e il ius civile nellottica non disinteressata di cicerone. che fosse laspetto del peso economico connesso alla celebrazione dei riti gentilizi il maggiore responsabile di disaffezione e tentativi di abbandono, soprattutto al momento dellapertura della succes-sione, mi pare dimostrato dal criterio elaborato dai pontefici per individuare lobbligato ai sacra, incar-dinandone la trasmissione al patrimonio. questo il nucleo concettuale che ci trasmette cicerone (de leg.,

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 1003

    il problema stato spesso risolto proponendo lidentificazione con una moneta della serie enea di un terzo dasse64. Una soluzione davvero banale, inadeguata a spiegare non solo il carat-tere alimentare del rito, non attestato in nessun altro culto, ma anche la materia del simulacro di culto, il bronzo. non si capisce perch i Servilii avrebbero scelto un oggetto di culto di cos scarso valore come una moneta di bronzo, per di pi di una frazione ponderale. oltre tutto, in questo caso, il rito non potrebbe essere pi antico della pi antica monetazione romana in bronzo che, anche accettando la datazione pi alta, non sarebbe pi antica della seconda met del iv secolo a.c. invece il simulacro del culto servilio si armonizza con un periodo in cui il bronzo era considerato materia dotata quasi di una virt magica, a cui veniva offerto un pasto altrettanto prezioso come oro e argento. Un parallelo potrebbe essere costituito dal divieto di utilizzare strumenti di ferro, imposto al flamen ed alla flaminica Dialis, o dallanalogo obbligo di impiegare solo strumenti di bronzo nei restauri del pons Sublicius, secondo una serie di testi-monianze la pi completa delle quali fornita da aulo gellio (N. A., 10, 15)65. gi trenta anni fa Jean gag aveva proposto uninterpretazione del rituale a mio avviso esatta, leggendovi un caso rarissimo di sopravvivenza di magia dei metalli, unita ad una minente dignit de laes66. non mi pare che vi sia alcun altro rituale, nelle pur variegate forme del culto romano, dotato di un simile valore: dal punto di vista della tipologia del rito, siamo in presenza di un vero e proprio unicum: lidentificazione con un aes signatum mi pare nel complesso la pi plausibile.

    Saremmo pertanto portati in piena et arcaica quando, come ricorda varrone in un testo proveniente da agostino (civ. Dei, 4, 31), che pure ha sollevato non infondate perplessit, i romani veneravano immagini di culto aniconiche, come il lapis manalis portato in processio-ne durante lAquaelicium, o il lapis silex dei feziali che, come ricorda Servio (ad Aen., 8, 641), antiqui Iovis signum lapidem silicem putaverunt esse, o il delubrum che, secondo un lemma festino conservato nellepitome di paolo diacono (delubrum, 64 l.) avrebbe preso nome da un fustem delibratum, hoc est decorticatum, quem venerabant pro deo. Questa fase storica della religione romana ben si accorda con la grande antichit della presenza dei Servilii a roma: essi infatti sono menzionati da livio (1, 30, 2) tra le gentes Albanae coattivamente trasferite a roma dopo la distruzione di alba longa ad opera di tullo ostilio: principes Albanorum in patres

    rapporto con questo pronostico del futuro associato allaumento o diminuzione delle dimensioni potreb-be forse essere rintracciato in testimonianze di sortes imminutae, come presagio di calamit, ricordate da livio (21, 62, 5 a Caere, scoppio della seconda guerra punica; 22, 1, 11 a Falerii, disastri del trasimeno e di canne). Si tratta di mera analogia esteriore mancando, nel caso delle sortes, lelemento per cos dire alimen-tare, essenziale nel rito servilio in quanto preliminare al riscontro del gradimento dellofferta. in Fioren-tini 1988, p. 124 s., proponevo anche due eccezionali paralleli etnografici, tratti da Van Der leeuw 1975, p. 24 (pesatura annuale di una catena doro a goa, ove ogni famiglia ha oggetti di culto da cui dipende la pro-sperit) e p. 552, nota 50 (ewe del togo), interpretati alla luce delle teorie dinamistiche di Wagenwoort.

    64 per lidentificazione in una moneta gi MoMM-sen 1860, p. 107, che collegava la notizia di messalla alla serie di c. Servilio del 134; De MarChi 1896, p. 107, che lo riferiva ad un culto familiare; h. le Bon-niec, nel commento al l. 34 della Naturalis Historia accolta nella coll. delle Belles lettres (p. 302); gag 1958, p. 476, richiam lopinione di adrien Blanchet, secondo cui si sarebbe trattato di une monnaie an-cienne considre comme un souvenir sacr.

    65 De FranCisCi 1955, pp. 119 ss.66 gag 1976, pp. 241 ss.: si sarebbe trattato di

    survivances dune magie des metaux rarement attes-te Rome. ancora pi ragguardevole il rapporto istituito dalla. tra il bronzo dei Servilii e la riforma monetaria di Servio tullio, attestata da plin., N. H., 33, 42-47, su cui aMpolo 1974, pp. 382 ss. Un lontano

  • 1004 m. Fiorentini Sc. Ant.

    ut ea quoque pars rei publicae cresceret legit, Iulios, Servilios, Quinctios, Geganios, Curiatios, Cloelios. Quale che sia il grado di attendibilit della lista liviana, lappartenenza dei Servilii al nucleo pi antico della popolazione romana mi pare certa67, cos come innegabile che il rito presuma un mondo ideale di pertinenza strettamente gentilizia nel quale il simulacro di bronzo venerato alla stregua di una divinit.

    Un altro culto su cui vorrei fermare lattenzione quello tributato dalla gens Nautia a mi-nerva, la cui rilevanza data dal fatto che vi coinvolto il palladium: Servio (ad Aen., 5, 704) ri-corda che Nautiorum familia Minervae sacra retinebat, quod etiam Varro docet in libris quos de familiis Troianis scripsit. dunque, secondo varrone, la gens Nautia avrebbe tributato un culto a minerva, nella rara epiclesi di Tritonia68. a lui, mi pare, si collega esplicitamente virgilio (Aen., 5, 704-719) nel descrivere il capostipite della gens in questi termini: tum senior Nautes, unum Tritonia Pallas / quem docuit multaque insignem reddidit arte / haec responsa dabat, vel quae portenderet ira / magna deum vel quae fatorum posceret ordo. la provenienza troiana asserita da varrone confermata da dionisio di alicarnasso (6, 69, 1): infatti il capostipite della loro gens nauzio, sacerdote di atena poliade, era uno di coloro che con enea allestivano la colonia, e portava emigrando il simulacro della dea, che i membri della gens dei Nautii si tramandarono trasferendoselo luno dopo laltro69.

    vi sono alcune discrepanze: per dionisio il capostipite della gens, Natios, avrebbe tra-sportato il palladio da troia: la stessa versione di virgilio. in altre fonti, invece, lo avrebbe ricevuto da diomede. anche questa seconda versione tramandata da Servio (ad Aen., 2, 166), che la colloca nellambito del viaggio di enea (il capostipite degli Iulii) a cui il protagonista della storia, diomede, tenta di restituire il palladio; ma si verifica un imprevisto che consente a Nautes di impadronirsi della statua: transeunti per calabriam Aeneae offerre conatus est. sed cum se ille velato capite sacrificans convertisset, Nautes quidam accepit simulacrum: unde Miner-vae sacra non Iulia gens habuit, sed Nautiorum. purtroppo stavolta Servio non ricorda il nome dellautore da cui ha tratto la notizia.

    Questa tradizione relativa alla gens Nautia va raffrontata con quella narrata da cassio emina e conservata da Solino (Coll. rer. mem., 2, 14=fr. 7 p.=fr. 8 S.): Nec omissum sit, Aenean aestate ab Ilio capto secunda, Italicis litoribus appulsum, ut Emina tradit, sociis non amplius sexcentis, in agro Laurenti posuisse castra: ubi dum simulacrum, quod secum ex Sicilia adve-xerat, dedicat Veneri matri, quae Frutis dicitur, a Diomede Palladium suscipit, tribusque mox annis cum Latino regnat socia potestate, quingentis iugeribus ab eo acceptis. cassio emina non fa cenno alla presenza del senior Nautes di virgilio (Aen., 5, 704)70: enea riceve direttamente il palladio dalle mani di diomede. Qui non posso affrontare il problema, ben studiato da marta Sordi, della pluralit dei palladi, tra quello laviniate e quello romano, senza contare quello di

    diefuvlatton a]lloi par a]llwn metalambavnonte" oiJ tou' gevnou" o{nte" tou' Nautivwn.

    70 neanche le figurazioni vascolari greche rac-colte da Schauenburg nel 1960 accennano a Nautes: ZeVi 1981, pp. 145 ss. ci conferma lorigine gentilizia della narrazione del senior Nautes.

    67 nello stesso senso cfr. Vones 1978, pp. 3 ss.68 Sulle derivazioni greche del culto di Tritonia a

    lavinio, bearZot 1982, pp. 43 ss.69 dion. hal., 6, 69, 1: oJ ga;r hJgemw;n aujtw'n tou'

    gevnou" Nauvtio" ajpo; tw'n su'n Aijneiva/ steilavntwn th;n ajpoikivan ei|" h\n, Aqhna'" iJereu'" Poliavdo", kai; to; xovanon ajphnevgkato th'" qea'" metanistavmeno", o{

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 1005

    Fimbria71, ma rilevo che la versione anonima della tradizione nauzia pare incunearsi in quella incentrata sulla restituzione del palladio ad enea: Nautes si inserisce nel momento della con-segna della statua, di cui si impossessa approfittando del fatto che enea, in quel momento, occupato a svolgere, velato capite, un sacrificio a Venus Frutis.

    appare evidente che virgilio e Servio (ad Aen., 5, 704) abbiano attinto al de familiis Troianis di varrone come fonte del racconto. al di l di dettagli fittizi72, ricco di significato che varrone trattasse di una gens ormai praticamente estinta73. lacme dei Nautii si situa nel v secolo a.c.: dionisio (6, 69, 1) definisce questa gens, al tempo della secessione della plebe del 494, casata illustrissima74; livio ricorda quattro consolati dal 484 al 404; uno nel 316 e uno nel 287, dopo di che la gens soffre un inarrestabile declino per sparire dalla vita pubblica nel i secolo a.c.75. per questo motivo la collocazione dellopera varroniana proposta da trai-na mi pare solo in parte convincente76: nel caso dei Nautii linteresse di cesare per le origini troiane postulata dalla. si sarebbe scontrato con una tradizione gentilizia che sottraeva alla

    appresa, a suo dire, para; tw'n ejgcwrivwn, torelli 1984, pp. 158 ss. lo scetticismo dichiarato da turCan 1983, p. 47, sullidentificazione del tumulo scoperto a lavinio con lhe r. on di enea di cui parla ancora dionisio (1, 64, 5), pur basato su reali discrepanze tra le fonti scritte e le risultanze degli scavi, mi pare forse troppo radicale.

    73 un rilievo simile a quello proposto da aM-polo 1970-71, pp. 42 ss., a proposito dei Veturii e dei Volumnii in relazione alla saga di coriolano.

    74 dion. hal., 6, 69, 1: oijkiva lamprotavth.75 in et imperiale nota solo attraverso docu-

    menti epigrafici di liberti: CIL, 11, 8269, da terracina, menzionante un C. Nautius C. l. Trupho, fu trovata insieme a una fistula aquaria coi nomi di Settimio Se-vero e caracalla (CIL, 11, 22893): Fiorentini 1988, pp. 143, note 79 e 80. condivido in pieno wiseMan 1974, p. 157, secondo cui, dato che non conosciamo senatori della gens dopo il 287 a.c. (mentre unaltra gens albana, quella dei Geganii, sembra sparire anche prima, nel iv), the story of their Trojan origin proba-bly goes back a long way.

    76 Sulla scorta di uno studio di toohey, traina 1993-1994, p. 627, inquadra il de familiis Troianis nel contesto della politica cesariana e del connesso in-teresse di cesare per il mito di romolo e la leggenda troiana. ci possibile; resta per che la narrazione varroniana sottrae agli Iulii la prerogativa del culto di minerva tritonia; e va aggiunto, se la narrazione di Servio (ad Aen., 5, 704) proviene da varrone, con una sorta di furto con destrezza. centra qualcosa la pro-venienza della gens, che potrebbe essere indiziata da uno dei suoi cognomina pi antichi, Rutilus / Rutulus, portato dai consoli del 488, del 475, del 458, del 424, e dai tr. mil. cos. pot. ?

    71 sorDi 1982, pp. 65 ss., anche in relazione alla notizia, tramandata da Servio (ad Aen., 2, 166), del rinvenimento del palladio da parte di Fimbria: quamquam alii dicant, simulacrum hoc a Troianis ab-sconditum fuisse intra extructum parietem, postquam agnoverunt Troiam esse perituram: quod postea bello Mithridatico dicitur Fimbria quidam Romanus inven-tum indicasse: quod Romam constat advectum.

    72 Bisognerebbe a mio avviso indagare meglio i rapporti tra queste tradizioni e quelle connesse ai nostoi, soprattutto nel punto in cui enea viene fatto incontrare con odisseo sul lido laviniate. il rappor-to tra enea e odisseo in italia ambiguo: secondo dionisio di alicarnasso (1, 72, 2), ellanico descri-ve enea che arriva in italia met Odussevw"; una tradizione, nota a licofrone, li descrive come alleati (se nelleroe greco che va identificato il misterioso nnos di Alex., 1244); ma Festo (Saturnia, 432 l.), riporta la tradizione opposta in cui i due eroi sono nemici: Italici auctore Aenea velant capita, quod is, cum rem divinam faceret in litore Laurentis agri Veneri matri, ne ab Ulixe cognitus interrumperet sa-crificium, caput adoperuit atque ita conspectum ho-stis evitavit. Sul percorso seguito dal mito di enea per giungere da lavinio a roma, sorDi 1989, pp. 19 ss., privilegia la pista etrusca a preferenza di quella greca, riproposta ancora da braCCesi 2000, pp. 58 ss. con (p. 62) una rilevante interpretazione sul nnos di licofrone, associato, oltre che a odisseo, al Nnos re pelasgo fondatore o conquistatore di cortona di cui parla ancora dionisio (1, 28, 3). Su questi pro-blemi, aMpolo 1992, pp. 321 ss. Sul problema dei santuari laviniati in rapporto alle tradizioni sullar-rivo di enea e odisseo, anche in rapporto allimpor-tante versione di dionisio di alicarnasso (1, 55, 1-2)

  • 1006 m. Fiorentini Sc. Ant.

    gens Iulia lonore dellintroduzione del palladio a roma. varrone infatti attribuisce il pal-ladio non agli Iulii ma agli oscuri, e quasi scomparsi, Nautii e, a quanto possibile dedurre dalle fonti, senza giustificarne il successivo passaggio da questi agli Iulii. vero che forse a cesare poteva non fare ombra una gens praticamente estinta: ma in un agone politico in cui anche le priorit temporali facevano aggio sulla potenza gentilizia, resta il fatto che varrone attestava come il culto di minerva tritonia non fosse di pertinenza degli Iulii, ma dei Nau-tii. peraltro, evidenziando la precedenza storica dei Nautii sugli Iulii nel culto di minerva, varrone potrebbe avere sfruttato notizie sui Nautii in funzione anticesariana, rispecchiando i suoi trascorsi pompeiani; ma leventuale strumentalit della narrazione non pu nascondere che essa si deve essere basata su notizie molto pi antiche, delle quali tuttavia impossibile stabilire la provenienza.

    Un altro culto sicuramente gentilizio quello della gens Aurelia, attestato solo in un lemma di Festo epitomato da paolo diacono (Aureliam, 22 l.): Aureliam familiam ex Sa-binis oriundam a Sole dictam putant, quod ei publice a populo Romano datus sit locus in quo sacra faceret Soli, qui ex hoc Auseli dicebantur, ut Valesii, Papisii, pro eo quod est Valerii, Papirii.

    a lungo, e anche di recente, ne stata dichiarata la natura pubblica, congetturata sulla base della concessione publice del locus destinato al culto77. ma la concessione pubblica del locus il solo indizio che permetta di giungere a questa conclusione, mentre in contrario milita losservazione che le fonti fanno frequenti riferimenti a concessioni di fondi, aree sepolcrali individuali o collettive, case, emanate publice in favore di privati particolarmente benemeriti; esse, tuttavia, non rimangono pubbliche ma rientrano nella piena propriet dellonorato. mi riferisco alle testimonianze relative alle case dei Valerii, note da molte fonti, e in particolare da asconio (in Pisonian., 13, 8 ss. clark) e da cicerone (de har. resp., 16); ai prata Mucia, di cui parlano livio (2, 13, 5) e Festo (paul. Fest., Mucia prata, 131 l.); alla domus concessa publice sulla Sacra via a c. Scipione nasica Corculum, pontefice massimo dal 150 a.c., cui accenna pomponio (l. sing. ench., d. 1, 2, 2, 37); per non parlare del locus sub Capitolio concesso ai Claudii come sepolcreto gentilizio78. per nessuna di queste si parla di pagamento di un vectigal che, fin da et repubblicana, connota luso privato di beni pubblici, mentre evidente che, nei casi ora in esame, siamo in presenza di beni che ricadono nella piena propriet dei beneficiati. particolarmente significativo quanto dichiara cicerone (de har. resp., 16) sullo status giuridi-co della domus di valerio publicola: P. Valerio, pro maximis in rem publicam beneficiis data est domus in Velia publice illi locus illi quam i p s e p r i v a t o i u r e t u e r e t u r . il richiamo alla tutela privatistica assicurata a valerio, a prescindere dalle motivazioni che avevano spinto

    conseguenze sul regime giuridico del locus. la natura pubblica del culto stata ribadita ancora pi di recen-te da riCharD 1976, pp. 915 ss., in un pregevole con-tributo che mi trova in disaccordo su questo unico, bench centrale, punto.

    78 per unanalisi delle fonti in materia mi permet-to di rinviare ancora a Fiorentini 1988, pp. 132 ss.

    77 Una rassegna critica sarebbe troppo lunga; sufficiente ricordare che gi MoMMsen 1834, p. 10, lo aveva ritenuto pubblico poich in agro publico fie-ret; e wissowa 1912, p. 315, aveva dichiarato la natura pubblica del culto aurelio ohne Zweifel. eppure gi willeMs 1883, pp. 347 ss., aveva affermato che il pu-blice del lemma festino avrebbe significato solo che la concessione era avvenuta a spese dello stato, senza

  • 14, 2007-2008 culti gentilizi, culti degli antenati 1007

    cicerone a menzionare lepisodio79, vale ad assicurarci che la casa di publicola era di pieno diritto privato. Un regime giuridico attribuito anche alla domus di un altro membro della gens Valeria, secondo una notizia fornita da valerio anziate e trasmessa da asconio (in Pisonian. p. 13, 8 ss. clark): M. Valerio Maximo, ut Antias tradidit, inter alios honores domus quoque publice aedificata est in Palatio, cuius exitus quo magis insignis esset in publicum versus declina-retur, hoc est, e x t r a p r i v a t u m a p e r i r e t u r . la concessione dellarea di culto agli Aurelii segue le stesse modalit.

    abbiamo dunque una gens sabina, come i Claudii e i Valerii, che, trasferitasi a roma, vi ottiene unarea per la celebrazione del culto. da notare letimologia del nomen gentilizio: Au-selii < Sol80, come se il nome della gens derivasse dalla divinit a cui i suoi membri celebravano il culto. evidente che siamo nel contesto del pi ristretto patrimonio cultuale gentilizio, in cui perfino il nome si fa derivare dalla divinit a cui viene reso il culto.

    anche i Claudii avevano uno o pi culti propri: lo attestano alcune testimonianze, invero piuttosto sibilline, su un sacrificio espiatorio annuale e su un culto reso a Saturno. Sul primo ci informa una definizione di ateio capitone conservata in un lemma di Festo (propudialis porcus, 274 l.): propudialis porcus dictus est, ut ait Capito Ateius (fr. 19 Strzel.), qui in sacrificio gentis Claudiae velut piamentum et exsolutio omnis contractae religionis est. capitone menziona dunque un sacrificio gentilizio nel corso del quale veniva sacrificato un porcus propudialis per lespiazione di una religio contracta81. la situazione alla quale si riferisce il giurista augusteo piuttosto oscura, e solo un esame dei termini chiave (propudialis, religio e piamentum) da lui adoperati pu consentirci di collocarla genericamente.

    i primi due termini si riferiscono ad una colpa che ha dato luogo ad una rottura dei rap-porti col mondo divino. due lemmi dellepitome di paolo diacono ci permettono di instradare la discussione per tentare di comprendere la natura di questa colpa: paul. Fest., propudium, 253 l.: propudium dicebant, cum maledicto nudare turpitudinem volebant, quasi porro puden-dam. Quidam propudium putant dici, a quo pudor et pudicitia procul sint; e paul. Fest., pro, 257 l.: pro ponitur [] pro privandi facultate, ut in propudio, prohibendo, quia utrumque abnuit in his esse pudorem potestatemque. in entrambi i testi il valore di propudium deli-neato come antitetico ai valori del pudor e della pudicitia. dunque nellambito del disordine sessuale, che aveva dato luogo a una situazione permanente di contaminazione, che deve essere collocata la religio, per purificare la quale i Claudii sacrificavano annualmente un porco.

    il termine piamentum fa invece riferimento esplicito al mezzo necessario al ristabilimento dellarmonico rapporto con la divinit: si tratta di un piaculum, ossia di un sacrificio riparato-re della contracta religio. prosdocimi ha ben messo in luce che il piaculum pu servire in una serie molto ampia di situazioni: quando si tratta di compiere una violenza, volontaria ma necessaria, a un elemento naturale che potrebbe essere consacrato a qualche divinit, come un

    di una tutela anche rituale.80 Unetimologia esatta: sul liber linteus di zaga-

    bria e sul fegato di piacenza il nome del Sole Usil.81 Fiorentini 1988, pp. 185 ss.

    79 Si tratta del raffronto, invero un po vanitoso, tra la fonte della concessione a valerio, a cui la casa donata dal popolo romano con un regime privatistico, e quella a lui restituita grazie a responsi di aruspici e a pronunce dei pontefici e degli auguri, e quindi dotata

  • 1008 m. Fiorentini Sc. Ant.

    bosco o le messi, come ricorda catone (agr., 134 e 139-140); o per riscattare infrazioni sociali; o in seguito a portenta come fulmini o monstra82. il piamentum della gens Claudia si pone in questa funzione espiatoria, con la differenza che i piacula per i portenta e quelli catoniani sono compiuti una tantum, quando se ne presenti la necessit; mentre quello claudio perpetuo per espiare una colpa inestinguibile. Se si pensa al crimine di cui la tradizione storiografica accusa il decemviro ap. claudio, ossia loltraggio a virginia, la sua uccisione per mano del padre, con cos tanti particolari apparentemente romanzeschi narrati da livio (3, 48), forte la tentazione di collegare il porcus propudialis a questo episodio tuttaltro che edificante della storia gentilizia dei Claudii. ovviamente questa solo una suggestione: mancando le controprove necessarie, la correlazione proposta pu essere ipotizzata solo in via indiziaria.

    tuttavia luccisione del porcus propudialis non appare lunico atto di culto attribuito dalle fonti alla gente claudia. in realt abbiamo altre fonti che ci prospettano la celebrazione di un culto tributato dai Claudii a Saturno. Si tratta di un altro testo, molto mutilo, di Festo (, 462 l.): sacrificium fit cap Metellus pontifex set adesse[t], ut eum pici Ser. f. inaugret se sacra sibi faplicandum esset capite adesset, futurum, ut cum ap facienda esset, pontif; Claudius provocavit; tifici esse, et Claudius fl Saturno sacra fecit rem.

    il testo, a parte le gravi lacune, pone alcuni problemi di difficile soluzione, primo fra tutti quello della cronologia. in genere lepisodio viene datato al i secolo a.c., identificando i perso-naggi rispettivamente in Q. cecilio metello pio e in appio claudio console nel 54 a.c., esperto augure83. il dato problematico di questa collocazione cronologica costituito dallappellati-vo di metello: Metellus pontifex senza altre note identificative costantemente denominato il l. cecilio metello console nel 251 a.c., protagonista del famoso episodio del salvataggio del palladio nellincendio del tempio di vesta che, nella ricostruzione mitistorica dellevento, gli sarebbe costata la vista84; e a mio parere questa lidentificazione giusta.

    Un altro punto discutibile la qualificazione del culto come familiare. Bona, nel 1963, laveva accettata senza discutere; ma gi nel 1949 volterra lo aveva, a mio avviso correttamente, classificato come culto gentilizio85.

    Un altro problema posto dal lemma festino la collocazione temporale del sacrificio. Un testo di livio (43, 23, 6) potrebbe contribuire a risolvere la questione. narrando le vicende del

    83 MnZer 1920, p. 267, nota 1; Catalano 1960, p. 221; bona 1963, p. 319, n. 18; bona 1964, p. 81; sZeMler 1972, p. 175 e n. 4, senza prove, data lepiso-dio al 63 a.c., lanno della morte di metello pio.

    84 la dimostrazione di Coarelli 1969, p. 149 nota 1, con le fonti a sostegno dellidentificazione, ac-cettata poi da Morgan 1973, p. 36.

    85 risp. bona 1963, p. 319; Volterra 1949, p. 526.

    82 prosDoCiMi 2002, pp. 133 ss. non ho la possi-bilit di approfondire un altro punto di una certa im-portanza, ossia il tipo di animale sacrificato, un porco. Fiorentini 1988, pp. 187 ss. ta