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Streghe e sciamane. La religione delle donne dalla Lapponia alle Alpi Michela Zucca Bisogna ammettere che gli stregoni erano un tempo molto meno numerosi di quanto non siano oggi. Stavano in disparte nelle montagne e nei deserti, oppure nei paesi del Settentrione come la Norvegia, la Danimarca, la Svezia, la Gotia, l’Irlanda, la Livonia: perciò le loro idolatrie e i loro malefizi erano largamente sconosciuti, e spesso venivano ritenuti favole o racconti di vecchie (1). E’ Pierre de Lancre, uno fra i più feroci persecutori di streghe di tutti i tempi, che, a distanza di quasi quattrocento anni, ci rimanda l’immagine di un rapporto stretto che lui, fine conoscitore dell’offensiva lanciata da Satana contro il genere umano, non fatica a distinguere. E così, accosta le seguaci di Diana dei Pirenei francesi agli sciaman i lapponi descritti da Ol aus Magnus e da Peucer. Indivi duando un tr att o comune, caratteristico di entrambe le culture, quella genericamente stregonesca e quella nordica: la trance, l’estasi diabolica, che da qualcuno viene interpretata come la capacità dell’anima di uscire dal corpo, per “mettersi in viaggio”. Dopo quattro secoli, sulla scia delle ricerche pionieristiche di Carlo Ginzburg, approfitt ando della permanenza a pi ù riprese in Lapponia quale project manager di un progetto europeo, dal 1999 al 2001, che mi ha consentito di svolgere lavoro di campo come antropologa e ricercatrice culturale, cercherò di riannodare le fila di un’antica trama, che dalla Siberia avvolge l’Europa fino all’Irlanda, percorrendo i sentieri dell’immaginario e della ritualità. Ricordi archetipi, sfocati, che si sono conservati principalmente sulle Alpi e sui Pirenei, le montagne che sono riuscite, più di altri territori, a mantenere un substrato cultuale arcaico, di origine misteriosa, che si traduce in riti e tradizioni che rimandano ad un passato animista e sciamanico. Anni in cui era la donna che amministrava il potere supremo. Come sacerdotessa, ma anche come divinità. E come madre. L’Europa dei nomadi Uomini che non hanno né città né mura fortificate, ma portano con sé le proprie case e sono tutti arcieri a cavallo e vivono non di agricoltura, ma di allevamento, e hanno le loro case sui carri, come potranno non essere invincibili e inattaccabili? (2) Un tempo si pensava che l’evoluzione delle società umane fosse caratterizzato da vari stadi successivi: prima i cacciatori-raccoglitori, poi i pastori (entrambi nomadi) e infine gli agricoltori (3). In realtà, queste classificazioni un’invenzione dei sedentari: le popolazioni che occupano territori ampi e difficili quasi sempre hanno appartenuto alle tre catego rie insi eme. E, se necessario, sono passate dall’una all’al tra con relativa facilità. A guardar bene, l’Europa preistorica sembra percorsa in lungo e in largo da genti che si spostano e si rimescolano continuamente, tramite migrazioni epocali ad ondate che si trascinano dietro miti e culture. Quando si pensa al Vecchio continente di millenni e millenni fa, lo si immagina vuoto, attraversato da orde che, in mancanza di meglio, si fanno genericamente provenire da un non meglio identificato ”bacino dell’Indo”, da

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Streghe e sciamane. La religione delle donne

dalla Lapponia alle Alpi

Michela Zucca

Bisogna ammettere che gli stregoni erano un tempo molto meno numerosi di quanto

non siano oggi. Stavano in disparte nelle montagne e nei deserti, oppure nei paesi del

Settentrione come la Norvegia, la Danimarca, la Svezia, la Gotia, l’Irlanda, la

Livonia: perciò le loro idolatrie e i loro malefizi erano largamente sconosciuti, e

spesso venivano ritenuti favole o racconti di vecchie (1).

E’ Pierre de Lancre, uno fra i più feroci persecutori di streghe di tutti i tempi, che, a

distanza di quasi quattrocento anni, ci rimanda l’immagine di un rapporto stretto chelui, fine conoscitore dell’offensiva lanciata da Satana contro il genere umano, non

fatica a distinguere. E così, accosta le seguaci di Diana dei Pirenei francesi aglisciamani lapponi descritti da Olaus Magnus e da Peucer. Individuando un tratto

comune, caratteristico di entrambe le culture, quella genericamente stregonesca e

quella nordica: la trance, l’estasi diabolica, che da qualcuno viene interpretata come la

capacità dell’anima di uscire dal corpo, per “mettersi in viaggio”.

Dopo quattro secoli, sulla scia delle ricerche pionieristiche di Carlo Ginzburg,

approfittando della permanenza a più riprese in Lapponia quale project manager di un

progetto europeo, dal 1999 al 2001, che mi ha consentito di svolgere lavoro di campo

come antropologa e ricercatrice culturale, cercherò di riannodare le fila di un’anticatrama, che dalla Siberia avvolge l’Europa fino all’Irlanda, percorrendo i sentieri

dell’immaginario e della ritualità. Ricordi archetipi, sfocati, che si sono conservatiprincipalmente sulle Alpi e sui Pirenei, le montagne che sono riuscite, più di altri

territori, a mantenere un substrato cultuale arcaico, di origine misteriosa, che si

traduce in riti e tradizioni che rimandano ad un passato animista e sciamanico.

Anni in cui era la donna che amministrava il potere supremo. Come sacerdotessa, ma

anche come divinità. E come madre.

L’Europa dei nomadi

Uomini che non hanno né città né mura fortificate, ma portano con sé le proprie case

e sono tutti arcieri a cavallo e vivono non di agricoltura, ma di allevamento, e hanno

le loro case sui carri, come potranno non essere invincibili e inattaccabili? (2)

Un tempo si pensava che l’evoluzione delle società umane fosse caratterizzato da vari

stadi successivi: prima i cacciatori-raccoglitori, poi i pastori (entrambi nomadi) e

infine gli agricoltori (3). In realtà, queste classificazioni un’invenzione dei sedentari:

le popolazioni che occupano territori ampi e difficili quasi sempre hanno appartenuto

alle tre categorie insieme. E, se necessario, sono passate dall’una all’altra con relativa

facilità.A guardar bene, l’Europa preistorica sembra percorsa in lungo e in largo da genti che

si spostano e si rimescolano continuamente, tramite migrazioni epocali ad ondate che

si trascinano dietro miti e culture. Quando si pensa al Vecchio continente di millenni e

millenni fa, lo si immagina vuoto, attraversato da orde che, in mancanza di meglio, sifanno genericamente provenire da un non meglio identificato ”bacino dell’Indo”, da

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cui sarebbe stata originata la “civiltà indoeuropea”, come se l’umanità fosse nata là e,

a poco a poco, avesse popolato un mondo vuoto. In realtà, questa è solo una

supposizione: di sicuro, la realtà è molto più complessa. Perché, mentre la

navigazione per mare presuppone un punto di partenza e un punto di arrivo in cui chi

viaggia rimane uguale a se stesso, il tragitto degli uomini e delle forme nella steppa

avviene con movimenti browniani: scambi, fusioni, contaminazioni che confondono lepiste, fanno perdere le tracce. Ciò che parte non è mai esattamente ciò che arriva.Esaminando i ritrovamenti fossili oltre che archeologici, si sa che, con il lento ritiro

dei ghiacci, le renne e parte delle tribù cacciatrici, che su questo animale totemico

basavano la propria alimentazione e identità, si spostano verso nord. Chi rimane si

fonde con chi viene da sud, cioè dal Mediterraneo. Alla renna, che non è bestia di

montagna, subentra, nelle valli alpine ora abitabili, il cervo, che diventa anche

simbolo di fertilità. Ciò può essere dimostrato analizzando le tecniche di caccia delle

popolazioni polari, basate sull’impiego di esche sessuali, per cervi, alci, bovini

selvatici, che, fino al Medio Evo erano diffuse molto più a sud, fino alla Germania (4).Secoli e secoli più tardi, dall’VIII sec. a.C. popolazioni nomadi provenienti dalle

steppe dell’Asia centrale, dall’Altai e dalla Siberia, cominciarono a compiereincursioni ai confini dell’altopiano iranico, a occidente, e nella fascia compresa fra la

Mongolia e la Cina, a oriente. . Fra loro, gli Sciti, di matrice sicuramente protoceltica,

si stabilirono, alla fine, nel Caucaso e sul Mar Nero. All’inizio del VI sec. a.C. nuclei

consistenti di Sciti lasciarono le rive del Mar Nero e si spostarono verso occidente.

Varcarono il Dniestr e il Danubio, per insediarsi in Dobrugia. Dove si trovavano già i

Traci, che riconobbero la supremazia degli Sciti. Qui confluirono, all’inizio del IV

sec., tribù celtiche che, dopo aver investito una parte della penisola balcanica,

fondarono colonie in Asia Minore. Tutto ciò è documentato dal IV libro di Erodoto,dedicato, appunto, agli Sciti; e da un’incredibile somiglianza delle forme artistiche in

cui si esprimevano queste antiche genti: un figurativismo animalista e fantastico, dovesi distinguono esseri che ancora oggi appartengono al folklore delle popolazioni

alpine: draghi, sirene, leoni alati, grifoni…..

Il territorio dei nomadi copre una fascia erbosa nel cuore del continente euroasiatico,

tra il 40° e il 50° parallelo, che corre dal Fiume Giallo al Danubio per più di 5mila

chilometri. L’immagine fisica che ci restituisce, ad ovest della steppa, l’arte greco-

romana, con una precisione quasi etnografica, è quella di uomini dai lunghi capelli

lisci, spesso barbuti e baffuti, con il volto ovale e un naso diritto molto marcato. Tutti

i testi, greci o cinesi che siano, suggeriscono una predominanza di capelli biondi orossi e una carnagione chiara, per non dire lattea (5). Gli Sciti, come, d’altra parte, i

Celti, straordinariamente affini come tratti somatici e acconciature, indossano un

indumento caratteristico, sconosciuto ai Greci e ai Romani: i pantaloni. Oltre ad unlungo copricapo a cono: quello attribuito dalla tradizione a Merlino, ai maghi, agli

gnomi, alle fate.

La steppa unisce e non divide, neppure d’inverno: anzi, le immense torbiere

acquitrinose che dalla Lapponia si estendono fino a Vladivostok erano sicuramente

più trafficate nei mesi freddi, sulle slitte trainate dalle renne prima che dai cani, che si

muovevano agevolmente sui ghiacci, piuttosto che d’estate, periodo in cui la melma e

le zanzare rendevano difficoltosi gli spostamenti. Ricordiamo Caterina di Russia, cheper raggiungere il promesso sposo (e diventare imperatrice) preferisce viaggiare a

temperature polari, sepolta sotto le pellicce, per non subire i disagi di probabili derive

nel fango.

La sequenza delle migrazioni, quindi, potrebbe essere stata questa: nomadi dellesteppe e dell’artico-Sciti-Traci-Celti, a sud; nomadi delle steppe-Sami a nord.

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Le Alpi dei nomadi

L’erranza, l’abitudine al viaggio, la capacità di sopportare la solitudine per lungo

tempo, di misurarsi con lo “spazio vuoto” (la prateria d’alta quota, il ghiacciaio),

considerato parte del proprio universo territoriale, insostituibile e bello anche sepericoloso, come la steppa gelata, o il deserto, l’abilità di parlare più lingue e diriconoscere immediatamente il proprio simile, come anche la marginalità, talvolta

volontaria; e poi l’isolamento, la disponibilità a dare rifugio al perseguitato, non sono

solo condizioni imposte da un ambiente difficile, o reazioni di difesa ad una società

ostile che tenta la conquista e l’assimilazione. Sono coordinate culturali, che, nella

loro presenza o assenza, distinguono i popoli stanziali, le società gerarchizzate in cui

esiste solo la proprietà privata della terra, dalle tribù nomadi, che si spostano su

estensioni enormi di uso collettivo (ma non per questo non regolate). Un certo tipo di

determinismo ottocentesco vedeva nel nomadismo la manifestazione eclatante dellasoggezione dell’uomo alla natura. Ed anche quando vi si riconosceva una cultura,

questa sembrava troppo esile, di scarso spessore, incapace di superare icondizionamenti dell’ambiente, inconsistente. Oggi, questa affermazione va

capovolta. Proprio una civiltà originale e specifica, dotata di valori propri, autonomi,

identitari, ha consentito alle comunità migranti di vivere in territori sconfinati, in cui

le risorse erano disperse su estese distanze o a vari livelli altimetrici; di mediare fra

storia ed ecologia.

Per tutti questi motivi, al di là del pastore in senso stretto, mestiere specializzato che

in molte zone delle Alpi è di origine recente, possiamo trattare, antropologicamente, la

maggior parte delle genti alpine come assimilabili, culturalmente, alle zone in cui sipraticava o si pratica ancora la pastorizia transumante. Cioè possiamo considerarle

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nomadi. Basti guardare alla storia dell’emigrazione ottocentesca in Italia: a parità di

condizioni di vita, chi ha scelto di imbarcarsi non sono stati i proletari e sottoproletari

urbani, o gli abitanti delle pianure e delle coste: sono stati i montanari, che venissero

dalle Alpi o dagli Appennini. Eredi di una cultura nomade, che considerava normale

Il grafico è tratto da Eugenio Turri, Gli uomini delle tende, Edizioni di Comunità, Milano, 19831. Nomadismo arabo sahariano o nomadismo beduino (o beduinizzante)2. Nomadismo saheliano

3. Nomadismo degli altipiani montuosi irano-anatolici

4. Nomadismo delle steppe asiatiche boreale

5. Nomadismo boreale degli allevatori di renne

6. Nomadismo alpino, balcanico e mediterraneo

7. Grandi muraglie per difendersi dai nomadi

lo spostamento. La casa non era un particolare posto o edificio: il concetto di “casa”comprendeva l’intero territorio che l’occhio poteva abbracciare (“le mie montagne”).

Proprio per questo, una delle caratteristiche fondamentali e tipiche dei popoli alpinisarebbe, secondo Sebesta, la non sedentarietà, tanto che il nomadismo si è conservato

nelle pratiche dell’alpeggio e della transumanza, oltre che dell’emigrazione

stagionale, e del quasi monopolio di molti mestieri specializzati, sia maschili che

femminili, che causavano spostamenti continui e prolungati; così come nei

pellegrinaggi transavallivi, che portavano uomini e donne lungo interminabili sentieri

tracciati su piste preistoriche, ad adorare e a propiziarsi le divinità (quasi sempre

femminili) dei monti e delle cime trasformate in Madonne sante e vergini.

Dall’antichità, e in molti casi anche adesso, dove continua la tradizione dell’alpeggio,la transumanza verso i pascoli alti non è svolta da professionisti: questo presuppone

già un’economia che ha superato la fase della sussistenza, per entrare, in qualchemisura, sul mercato. Al contrario, gran parte dell’alpicoltura è portata avanti (dalle

donne) come appoggio al bilancio familiare, non si serve di salariati ma si esaurisce

all’interno della famiglia. Ragion per cui quando si spostano le mucche, e cioè due

volte all’anno, trasloca il paese, spesso anche il prete: chi ha bestie, per dar loro da

mangiare l’erba fresca; i figli seguono le madri; gli altri, vanno in villeggiatura per

non stare “al piano” da soli. In ogni modo, ci si muove con tutte le masserizie, e sono

principalmente le donne che iniziano lo spostamento: una volta si mettevano viveri e

figli piccoli nella gerla, poi in macchina, negli ultimi anni si usa perfino l’elicottero:ma fermi, mai. Gli uomini raggiungono le mogli nei fine settimana, perché di solito

hanno un lavoro fisso “nel piano”, che non possono abbandonare perché rappresenta

l’entrata cash sicura.Anche se oggi quasi nessuno lavora più la campagna, l’abitudine e l’attitudine allo

spostamento sono duri da cacciar via dalla sensibilità: e quando arriva il periodo

giusto, maggio-giugno-luglio, nasce, difficilmente sopprimibile, l’esigenza di

muoversi verso l’alto, “sui monti”. Tanto che, appena si è potuto, si sono restaurati gli

antichi maggenghi; e si è capito che, magari, si sta meglio lì che al mare. E poi,

l’orgoglio di rimettere in piedi ciò che i padri e le madri hanno tirato su, pietra su

pietra (letteralmente, senza metafore!) nei secoli. Ciò è stato notato anche in altreciviltà nomadi: per esempio, fra gli aborigeni australiani, che per diversi mesi all’anno

vanno a fare ”un giro in giro” in uno degli ambienti più inospitali della terra: il

deserto. Dei Sami diremo più avanti.

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Le donne, signore degli animali

La caratteristica principale dei popoli nomadi è quella di viaggiare con il bestiame:

l’uomo è parassita dei suoi animali; le loro esigenze vengono prima di ogni altra cosa.

Un filo diretto, un rapporto reciproco di dedizione-dipendenza li lega l’uno all’altro. E

li lega ancora di più alla donna: perché è lei che ha iniziato l’allevamento; e perché èlei che, anche in una società di cacciatori, ne assicura la riproduzione attraverso ritualidi magia simpatica (ovvero: se si moltiplica la specie umana attraverso le donne,

anche la generazione di animali potrà essere propiziata da chi assicura la nascita dei

bambini: la madre).

L’attitudine dei maschi, specie se cacciatori, verso gli animali adulti è marcata da

tratti di crudeltà: a caccia li mutilano o li feriscono con estrema noncuranza, talvolta

per divertimento. Anche le bestie domestiche non vengono trattate meglio. Il

comportamento è diverso, invece, nei riguardi dei cuccioli, di cui si prendono cura

quasi esclusivamente le donne, che sono tolleranti, e spesso vi si affezionano, oggicome, presumibilmente, e a maggior ragione, nella preistoria.

La renna e il cervo (spesso indistinguibili fra loro, anche a livello linguistico)occupano un posto centrale nell’alimentazione, così come nella religione, nella

mitologia e nelle rappresentazioni rupestri delle popolazioni sia alpine che nordiche.

In Francia, nella Langerie Basse, è stata rinvenuta un’incisione del Tardo

Maddaleniano che rappresenta una donna gravida che succhia il latte di una renna:

l’azione di succhiare è quella che ha preceduto la mungitura. D’altra parte, le renne

sono state munte, in Lapponia, almeno fino agli anni ’50. Nella Villa dei Misteri di

Pompei si vedono donne che allattano cerbiatti (e capretti). Ad Ercolano erano

rappresentati neonati umani che succhiavano latte di cerva. Latte di cerva, e latte dicamoscia erano impiegati per fare formaggi (anche questo, compito quasi

esclusivamente femminile). Sulle Alpi numerose sono le leggende che parlano dibambini allevati dal latte di una cerva, della trasmutazione di donne in cerve

(bianche), di cervi che parlano….

Immagini di cervi e renne si ritrovano dall’Anatolia alla Carelia, dalla Valcamonica

alla penisola iberica, alla Scandinavia. Spesso, portano segni di fecondità (simboli

solari, spirali) fra le corna, curiosamente simili, se non identici. L’allevamento dei

cervidi (come tuttora quello della renna) si svolgeva in maniera abbastanza

rudimentale. Esso quindi venne integrato e gradualmente sostituito con quello di vari

animali addomesticati successivamente: caprovini, bovini, equidi, anche se, inoccasioni diverse (cerimonie, rituali) riemerge l’antica tradizione: non si poteva

abbandonare d’un colpo il cervo, animale sacro e divino, su cui era basata la propria

civiltà. E così, in una tomba siberiana della metà del I millennio, a Pazyrykkian, sonostate rinvenute delle maschere da cervo per cavalli.

Il cervo era consacrato al dio germanico Freir; il principio fecondatore celtico, il dio

Cernunnos, portava corna di cervo sulla testa. Ma, se andiamo ancora più indietro nel

tempo, scopriamo che la connessione più stretta non è fra uomo e cervo ( o renna), ma

fra donna e cervo (o renna).

Le sacerdotesse di Artemide venivano raffigurate su carri trainati da cervi. La stessa

dea veniva rappresentata accompagnata da un cervo, o su un cocchio tirato da cervi.Ma Artemide non è che la traduzione, in ambito greco, di una divinità ben più antica,

forse la più arcaica, adorata già dalle popolazioni precedenti: la Signora della foresta e

degli animali(6). A Diana, in ogni angolo del mondo celtico, sono associate le

Matronae, le tre madri, a cui sono dedicate una gran quantità di iscrizioni. Di solitocommissionate da donne. Diana, Madonna Oriente, la Signora del Buon Zogo è allo

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stesso tempo la signora delle streghe, e anche degli animali, selvatici e domestici.

Nelle prime confessioni del sabba, quando l’Inquisizione non ha ancora creato

un’immagine stereotipata di questi misteriosi culti estatici, alla festa partecipavano

anche le bestie; e la Dea (spesso nominata espressamente come Diana, cioè col nome

latino di Artemide) è la signora degli animali, gran conoscitrice di erbe officinali.

Ma Artemide era anche associata all’animale sacro per eccellenza da un capo all’altrodell’Artico: l’orso. O meglio, l’orsa.La sollecitudine dell’orsa verso i propri cuccioli era proverbiale nell’intero mondo

antico: forse per questo motivo, divenne simbolo di maternità. Esisteva una dea

celtica, in forma di orsa, chiamata Artio: epigrafi dedicate a lei sono state ritrovate sul

Palatinato Renano presso Buitburg, in Germania settentrionale, forse in Spagna. In

antico irlandese, orso è art ; in gallico, *art . L’immagine della dea, in forma prima

ursina e poi umana, è associata alle Matres, e ricalca quella di Demetra seduta. Il

nesso dea ursina-dea nutrice emerge anche nei culti di Artemide Kalliste e Artemide

Brauronia, oltre che nei miti e nei culti cretesi. Esiste la possibilità di un rapportolinguistico fra Artio, Artemis (il significato reale del nome è ancora sconosciuto) e

Artù.Gli Sciti veneravano una dea mezzo donna e mezzo serpente, che richiama

immediatamente il mito di Melusina, arcaica divinità della foresta umiliata dalla

società patriarcale e costretta a fuggire da questo mondo (ma si trascinerà con sé l’arte

e la sapienza magica). Dea che è raffigurata quasi ovunque sulle Alpi, spesso nella

forma a doppia coda (7). D’altra parte, ancora oggi, sulle Alpi, e certamente molto di

più nella società tradizionale, le bestie rappresentano entità dotate di anima, sensibilità

e intelligenza; talvolta, di saggezza superiore a quella degli umani. Comunque, esseri

coi quali ci si rapportava quanto meno da pari a pari; in alcuni casi, il trattamento cheveniva loro riservato porta le tracce di un’antica divinizzazione. In Val di Fassa, nei

villaggi preistorici, le costruzioni più protette dalle valanghe, dalle frane, e dalleintemperie non sono le case, ma le stalle.

In una società dove spesso l’uomo è assente, perché nell’antichità è fuori a cacciare,

oppure, negli ultimi secoli, è addetto ai lavori agricoli più faticosi (falciare, vangare)

chi quotidianamente si occupa delle mucche, come delle pecore e delle capre, a cui

sono addette le ragazze più giovani e i bambini, le munge, le porta al pascolo, le cura

con le erbe quando si ammalano, sono le donne di famiglia.

La padrona riconosce ognuna delle sue bestie alla voce. Ogni vacca ha un nome

proprio; esistono nomi specifici per loro. Parlare alle mucche (spesso in maniera piùgentile di come si interloquisce con gli altri esseri umani) è considerato normale. “Le

bestie, o si tengono bene, o non si tengono”. L’animale prova dei sentimenti, per cui,

nel limite del possibile, non bisogna farlo star male (“tutte le bestie piangono”); manon solo: ogni bestia è dotata di un carattere differenziato, e va trattata in un certo

modo. C’è chi ha parlato, per questa forma di dedizione dei popoli allevatori “di

interesse etnografico” (cioè “primitivi”), di “boolatria”, come se alle mucche si

attribuissero qualità sovrannaturali. Le Alpi non fanno eccezione.

D'altra parte, non bisogna trascurare di ricordare che il rapporto con gli animali, per

quegli uomini, e specialmente per quelle donne, era sempre stato molto stretto:

abitavano le stesse stanze e gli stessi territori. Quando facevano una festa, le bestie,libere, non venivano cacciate; e con ogni probabilità stavano vicino alle padrone nella

speranza di ricevere qualche buon boccone, dandosi a dimostrazioni di gioia e di

affetto per il cibo ricevuto, partecipando alle danze. Gli animali erano ritenuti esseri in

grado di intendere e di volere, riconosciuti colpevoli perfino dai tribunali: pensiamo ai

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numerosi processi istituiti, da un capo all'altro dell'Europa, contro la processionaria

(che era un insetto!).

Gli Alpini, poi, hanno dormito nelle stalle fino a poco tempo fa: e non per ragioni di

spazio (8), ma per una certa "sacralizzazione della bestia". Abitudine che ha sempre

suscitato scandalo e commiserazione in antropologi e "osservatori esterni". Ma non

solo: nel corso dei millenni, gli alpicoltori (ma forse tutti i contadini. Solo che sulleAlpi certe tradizioni si sono tramandate quasi fino ai nostri giorni) hanno elaborato unsistema di comunicazione con gli animali basato sulla modulazione della voce, che

raggiunge certe frequenze (anche molto acute) in un ritmo quasi cantato, che è

riconosciuto dagli animali anche dopo anni, e che non è ripetibile da chi non ha

sentito certi suoni fin dall'infanzia.

Per quanto riguarda la "sacralizzazione della bestia", all'inizio del nostro secolo

illustri studiosi come Freud, Frazer e Robertson Smith erano ancora convinti che le

religioni partissero dalla convinzione che l'umanità discendeva da varie specie

animali, e che l'esistenza di clan e tribù separate fosse dovuta al fatto che alcunipensavano di discendere dai lupi, altri dai serpenti, altri dalle volpi... se non,

addirittura, da alcune specie di piante, come nel caso di molte stirpi celtiche. Diconseguenza, queste creature erano oggetto di venerazione e non di disprezzo. Ma sin

dall'inizio, in ambienti "colti", cominciò ad affermarsi una contromitologia, che

attribuiva all'uomo una creazione e un destino separati, non toccati dalla catena di

metamorfosi nelle quali si mescolavano e si fondevano, continuamente, gli elementi

divini, umani, vegetali ed animali.

Tuttavia, solo nella tradizione giudaico-cristiana-islamica, con il mito dell'uomo

creato a immagine e somiglianza di Dio, si è arrivati alla determinazione assoluta

della superiorità della razza umana sui suoi fratelli e sorelle privi di parola.Analogamente, poiché soltanto l'essere umano è modellato a somiglianza del suo

creatore, Dio poteva essere raffigurato unicamente ad immagine sua: le bestiecominciano ad essere schifate, e così gli uomini che con loro in qualche modo si

mischiavano.

Ma se boolatria c’è, rientra in una visione funzionalista dell’esistenza. Senza le renne

nell’Artico, senza le mucche sulle Alpi gli uomini non avrebbero potuto sopravvivere.

Streghe che vengono dal freddo

Madre, domani attingiamo,

attingiamo meritatamente (9)!

Secondo Ginzburg, il trait d’union fra sciamani lapponi e la variegata popolazionestregonesca europea, alpina e pirenaica specialmente, dispersa nello spazio e nel

tempo, che parla lingue mitiche diverse, ma legate da parentele strettissime, (di

comportamento rituale e di credenze, oltre che di modi di vivere) era costituito dal

viaggio del vivente nel mondo dei morti. In realtà, però, le similitudini si spingono

ben oltre.

I pascoli di montagna, “dove l’aria è più sottile”, possono essere accomunati alle

praterie dell’estremo Nord, perché alzarsi in quota, a parte alcuni endemismibiogeografici legati a vicissitudini storiche particolari (ritiro dei ghiacci, ecc.) è come

salire in latitudine. Le enormi estensioni pascolive di proprietà collettiva sono quanto

di più simile rimane dell’arcaica civiltà delle tribù che hanno colonizzato le Alpi, in

cui non esistevano terre private e in cui le differenze sociali erano molto sfumate:quelle caratteristiche che più associano gli Alpini agli antichi popoli nomadi del Nord

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e dell’Est. Quegli spazi fanno parte di una dimensione fisica ed ambientale ma anche

fantastica, di cui la donna, e la donna-strega-matriarca, esercita ancora un potere

indiscusso.

Le estasi delle seguaci della dea richiamano irresistibilmente quelle degli sciamani,

uomini e donne ma soprattutto donne, della Siberia, fino all’isola di Hokkaido e agli

Ainu giapponesi (10), e della Lapponia (11). In entrambe ritroviamo gli stessielementi: il volo dell’anima verso il mondo dei morti, in forma di animale, in groppaad un animale o ad altri veicoli magici. Il forte richiamo sessuale. Il bastone degli

sciamani lapponi si può accostare al manico di scopa con cui le streghe affermavano

di recarsi al sabba. Il nucleo folklorico del sabba – volo magico e metamorfosi –

sembra derivare da un remoto, remotissimo substrato euoasiatico. Nei voli notturni

descritti dalle streghe e dagli stregoni del Valais, processati all’inizio del ‘400 ed

estranei allo stereotipo inquisitoriale, si può riconoscere l’eco stravolta di un culto

estatico di origine prima celtica, e poi nordica. E così pure in innumerevoli

confessioni di streghe e stregoni da un estremo all’altro del Vecchio Continente.La religione che sta alla base di queste credenze sembra straordinariamente simile,

nelle Alpi e nel Nord Europa, sia per quanto riguarda le credenze e la ritualità, sia perciò che concerne la conformazione dei luoghi sacri . La divinità principale è una dea

madre, che è la terra e tutto l’universo (12), e, fra i Sami, è rappresentata dal sole.

Anche in un ambiente piatto come la Lapponia, viene adorata principalmente sulle

alture, le “montagne sacre” (13), e segnalata da steli di pietra: anzi, si può dire che

l’abitudine di definire un luogo sacro con i menihir, o con i cromlech, è diffusa dalla

Lapponia alla Siberia, dai Pirenei alle Alpi fino al bacino del Danubio e alla Mongolia

(14). Rocce che, nei Grigioni, sono tuttora chiamate moma velha, madre antica, e

devono essere baciate dagli alpeggiatori giovani che salgono ai pascoli alti con lebestie, per evitare i percoli della montagna. I pastori di renne Sami mi hanno

raccontato che “quei sassi”, chiamati sieidi nella loro lingua, gli parlano, gli dannoconsigli, su questioni personali ma anche su questioni inerenti l’allevamento delle

renne, come, per esempio, dove portarle a pascolare, o come salvarle da un’epidemia.

Ognuno di loro, oltre a recarsi in alcuni posti in cui si trovano le rocce sacre

riconosciute a tutti, ne hanno una personale, messa magari da qualche antenato in un

luogo particolare, che non rivelano a nessuno, se non ai figli, o ai parenti stretti. Ed è

proprio attorno a queste località segnate dalla pietra che l’antica religione sciamanica

dei popoli del Nord si sta lentamente riorganizzando, dopo le persecuzioni cristiane

prima e marxiste (nelle versioni sovietiche e cinesi) poi.La conformazione dei siti sacri alpini, celtici o pre celtici, sembra ricalcata su quella

dei Sami, e dei popoli nordici. Che adoravano le loro divinità in posti segnati da

cascate, imponenti formazioni di roccia, grandi massi, caverne, fenditure di roccia,sorgenti, laghi, e siti sacrificali rotondi (15), segnati da sassi (cromlech), da muretti a

secco, palizzate, recinti, e così via. Con ogni probabilità, il disco sacro si ricollega

direttamente alla religione della Dea Madre: perché il primo recinto fu quello del

parto, luogo di vita ma anche di morte, in cui si consumava il mistero della

procreazione, da cui gli uomini erano rigorosamente esclusi. I simboli rotondi,

riempiti di raggi e di segni solari (o di ciò che noi interpretiamo come tali), associati, è

bene ricordarlo, al principio femminile, e non maschile, sono stati incisi, per secoli eper millenni, sulle cassapanche delle spose, che dovevano portare figli; sulle soglie

delle porte, che segnavano il confine fra l’universo protetto della casa e l’esterno, fra

la luce, il sole, il giorno, e l’ignoto, il pericolo, il buio, gli spiriti della notte, da cui

bisognava difendersi; sulle travi delle case (e delle tende dei nomadi), chesostenevano il tetto, fornivano un rifugio all’uomo, caldo e sicuro: un altro utero in

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cui essere curati e protetti dalla Madre. Con ogni probabilità, il sole è stato

accomunato all’uomo in un secondo tempo, col passaggio al matriarcato, quando la

donna è stata relegata alla notte: pericolosa e oscura ma necessaria per la

riproduzione, indecifrabile come la luna, arcana e vendicativa, potente, benefica e

malefica, vita e morte, ci vollero millenni per riuscire a tenerla a bada.

Nell’Artico come sulle Alpi, gli spiriti aleggiano ovunque, ma i più importanti sonoquelli degli alberi sacri e delle sorgenti, specie se stanno sottoterra in grotte. Nellecaverne buie delle viscere della terra, da cui sgorga l’acqua, legate alle simbologia

femminile della fertilità, spesso, in entrambe le culture, si nascondeva un essere che in

seguito verrà demonizzato, ma che non perderà mai il suo potere positivo: il drago. La

bestia più forte, dannatamente bella, che parla la lingua degli uomini, calda (sputa

fuoco) e fredda (è un rettile) nello stesso tempo, rappresenta le qualità sessuali e

generative della donna: irresistibili, consentono al mondo di continuare la sua

esistenza. Da sempre, fa compagnia prima alla Dea, poi alla Madonna, o alla Santa

che hanno sostituito l’arcaica divinità femminile nell’iconografia cristiana.Altro mito che accomuna i popoli alpini con quelli dell’estremo Nord è la presenza

dell’Uomo selvatico (16). Nudo, stranamente rosso, coperto soltanto da una pelle invita, barbuto e capelluto, brandisce una clava, oppure un albero sradicato, protegge

Rovaniemi e la Lapponia. E’ documentato, e raffigurato sulla moneta del Giubileo del

re Carlo IX di Svezia nel 1606 (a quel tempo, la Lapponia era parte della Svezia).

Pochi, però, sanno chi è veramente: fra i Sami, è ricordato come Varaldenommai, dio

della fertilità degli uomini e delle renne. E’ rappresentato coperto del sangue delle sue

renne, mentre tiene in mano una giovane betulla con le radici rivolte verso l’alto (17).

In realtà, però, la stessa figura di Babbo Natale, o Santa Klaus, alias San Nicola,

sarebbe la trasposizione dell’Antenato Mitico (18), selvatico non tanto perché incivile(al contrario, è un eroe civilizzatore) ma perché proviene dalle selve, dalle foreste:

cioè dal mondo altro, o dall’altro mondo. L’Uomo Selvatico è presente, comepersonaggio mitologico, in tutta la Siberia, fino all’isola di Sakhalin e alla civiltà degli

Ainu giapponesi. E non solo è simile nell’aspetto esterno, e svolge lo stesso ruolo, del

suo corrispettivo alpino: fa anche la stessa fine: arrabbiato con gli uomini perché

trattano male la natura (“le renne e il pesce”), ritorna nel mondo divino da cui era

venuto, ovvero scompare senza lasciare traccia (19).

Il sabba, la droga e l’estasi sciamanica

In Scizia sono molti gli indovini….

Gli Sciti dunque raccolgono il seme di questa canapa, e si mettono sotto le coperte e

poi buttano il seme sulle pietre roventi; queste allora fanno fumo e danno un vaporecaldo tale da superare quello di qualsiasi bagno di vapore ellenico. Gli Sciti gridano

per il piacere…(20)

Il concetto di Nord, artico, è, nello stesso tempo, ecologico e mitico. La parola deriva

dal greco arktos, orso. E il mito non è facile da distruggere. Perché nacque in territori

vastissimi, impiegò un’enormità di tempo per autocostruirsi, elaborarsi, rifinirsi, per

poi conservarsi e trasmettersi in una catena di infinite generazioni di uomini.Superficialmente, queste tradizioni si sono trasformate in storia e in geografia: in

realtà, rimangono nell’inconscio, nella memoria archetipa, nell’arte, nella speranza,

nei sogni, nelle allucinazioni, nelle paure senza nome.

Nel Kalevala, il poema epico dei finnici, l’eroe sale in Lapponia per trovarsi unasposa, che deve chiedere alla regina (non al re) di Pohjola, potentissima sciamana.

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Pohjola è chiamata anche Pimentola, terra delle tenebre, Untamola, terra di Untamo,

villaggio del gelo, in cui si divorano gli eroi. Quando la madre (sempre lei!) cerca di

proibire al figlio di recarsi al Nord, gli rivolge queste parole:

Non conosci la lingua di Turja, né sai il magico idioma di Lapponia

Intendendo non la lingua in senso stretto, la parlata quotidiana, ma la capacità dilanciare incantesimi e magie, considerata peculiare per Pohjola.

Fino a pochi decenni fa, tutti i Sami venivano considerati stregoni; si sconsigliava di

frequentarli alla gente perbene e cristiana, perché potevano lanciare malefici, e, le

donne, incantare. Fino a pochi anni fa, si pensava (e si leggeva sulle pubblicazioni per

specialisti) che l’antica religione sami e i riti magici del tamburo fossero stati

sradicati, e fossero quindi scomparsi, fra il XVII e il XVIII secolo, conseguentemente

alla cristianizzazione. I Lapponi praticarono lo sciamanesimo ufficialmente fino al

1687, quando, ultimi in Europa, furono convertiti al cristianesimo da evangelizzatorisenza pietà (che si sostituirono ai monaci, presenti dal 1000 circa, i quali avevano

tentato, invano, di acculturarli con metodi meno cruenti) che impiccavano chi nonabiurava l’antica fede. Le conversioni continuarono, annotate nei registri parrocchiali,

fino al XIX secolo. Ciò significa che la Lapponia è il territorio, sul Vecchjio

Continente, in cui si è mantenuta più a lungo nel tempo la civiltà più arcaica:

insomma, è la regione che conserva le radici culturali dell’Europa pre cristiana.

Questo può significare che le testimonianze raccolte e i confronti che possiamo fare

fra la civiltà stregonesca alpina e quella sciamanica lappone potrebbero portare a

risultati interessanti.

Le analogie fra il sabba, la festa delle streghe, e il viaggio sciamanico degli stregonilapponi, sono numerose. Prima di tutto, il mezzo per ottenere l’estasi: la droga, la

musica, il ballo.Per quanto riguarda l’uso di sostanze allucinogene, oltre alle testimonianze di

Erodoto, ci sono i reperti archeologici che provano l’impiego rituale degli psicotropi.

Per esempio, nella necropoli di Pazyryk 2, in Siberia, in cui era sepolto un uomo

completamente coperto di tatuaggi (come la mummia del Similaun!), si è rinvenuto un

cratere di bronzo dove erano collocate delle pietre tra le quali si trovavanoi semi di

canapa parzialmente combusti. Semi di camapa erano conservati anche in un

recipiente vicino, a cui si accompagnava un frammento di cuoi, decorato con grifi che

azzannano alci: un oggetto identificato come una cappa, destinata a coprire il volto ela testa di chi volesse fare inalazioni. La canapa, bruciando, emana vapori

allucinogeni (21) (“e gridavano per il piacere….”). D’altra parte, sulle Alpi le

proprietà della canapa sono ben note: i semi venivano dati ai canarini che così“cantavano meglio”… E il papavero da oppio, su licenza statale, viene ancor oggi

coltivato in Alto Adige perché i suoi semi servono per la preparazione di alcuni piatti

tradizionali… sembra molto strano che la gente non ne conoscesse anche altri

impieghi. Tanto che l’”oppio tebano” viene nominato esplicitamente nella ricetta della

pomata delle streghe fornita da Gerolamo Cardano nel 1547: fonte colta, quindi; ma il

papavero è fra gli ingredienti della pomata nel 1700 inoltrata, in una ricetta di fonte

popolare.Molteplici rapporti dal Nord, redatti da viaggiatori come il mantovano Giuseppe

Acerbi alla fine del ‘700, o da sacerdoti, raccontano dell’uso dell’Amanita muscaria, il

fungo rosso a pallini bianchi, per raggiungere lo stato di trance, da parte degli

sciamani. Il fungo veniva mangiato, secco o fresco, oppure veniva assunto comeprincipio attivo concentrato nell’orina di chi l’aveva mangiato qualche ora prima,

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secondo modalità ancora oggi praticate presso alcuni popoli sudamericani con la

psilocibina.

L’impiego dell’amanita muscaria per raggiungere la trance è sicuramente

antichissimo. Ragioni linguistiche fanno pensare che risalga ad almeno 4000 anni

prima di Cristo, quando ancora esisteva una lingua uralica comune. Un gruppo di

parole che designano l’amanita muscaria, i funghi in generale, la perdita di coscienza,il tamburo sciamanico, nelle lingue ugro finniche e samoiede deriverebbero daun’unica radice (22).

In antropologia, si distinguono le culture micofile da quelle micofobe: probabilmente,

i raccoglitori di funghi sono gli eredi di un antichissimo retaggio sciamanico, in cui i

vegetali erano addirittura divinizzati. L’uomo del Similaun portava funghi nella sua

“sacca della medicina”. La muscaria, sulle Alpi, è a tutt’oggi il fungo magico per

eccellenza; appare nelle figure delle fiabe; e, manco a dirlo, anche nelle ricette

popolari delle pomate delle streghe, micidiali miscugli di principi attivi miscelati e

allungati col grasso, da assorbire per contatto cutaneo e sfregamento nelle zone ricchedi capillari e vicine alle ghiandole linfatiche (le ascelle, le mucose vaginali, l’interno

delle cosce e dei gomiti, il collo).

Unguento verde delle streghe: ricetta del 1737 

Si mescolino i succhi di atropa belladonna, giusquiamo, amanita muscaria, aconito,

datura, digitale, papavero e conium con grasso; si spalmi l’unguento sul viso, sotto le

ascelle, sulle mani. Volerete (23).

Questa ricetta, del XVIII secolo inoltrato, testimonia la permanenza sulle Alpi di

pratiche antichissime, che molti studiosi considerano cancellate con l’Inquisizione e ilConcilio di Trento. E dimostrano anche la conoscenza e l’uso degli stessi psicotropi,

sulle nostre montagne e nelle steppe artiche.Altrettanto indiscutibile l’affinità fra amanita muscaria e rospo. Perfino in Alaska le

rane, malgrado siano rarissime, sono associate con lo sciamanesimo (24). Ancora

oggi, spesso i rospi sono raffigurati sul fungo più bello, e compaiono normalmente nei

giardini in questa posizione. A lungo si è pensato che questo rapporto fosse

inspiegabile. Fino a quando si è scoperto che la pelle di rospo contiene i bufadielonidi,

sostanze chimiche la cui azione come anestetici locali è 90 volte più forte di quella

della cocaina, sintetizzati e isolati pochi anni fa da G. R. Pettit dell’università

dell’Arizona, in una ricerca congiunta con l’università di Miami. Si tratta di strutturechimiche complicatissime, potentissimi anestetici locali, la cui azione sul cuore

umano è simile a quella della digitale.

La conoscenza stregonesca delle essenze naturali era talmente profonda da permetterealle specialiste l’impiego di sostanze pericolosissime, specie su organismi che

dovevano essere in stato di denutrizione quasi cronica, sia in funzione terapeutica che

allucinogena, per “aprire le porte della percezione” e per “entrare in un’altra

dimensione”. Per arrivare ad interpretare la volontà degli spiriti, oppure magari

soltanto per estraniarsi da una realtà fatta di dolore, miseria e fame, si procuravano

uno stato allucinatorio in cui facevano dei veri e propri viaggi nel “mondo di là”..

E’ Adam Lonicer che, per primo, descrive scientificamente la Claviceps purpurea,ovvero la segale cornuta, nel 1582. Ma della cultura medica popolare, soprattutto

femminile, la segale cornuta faceva parte, verosimilmente, da molto tempo. Le sue

proprietà erano conosciute e controllate: le levatrici la somministravano per affrettare

le doglie. In antico francese si chiama siegle ivre (segale ubriaca), in tedesco Tollkor ,grano pazzo. Esisteva una “madre della segale”, Roggenmutter , raffigurazione

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tipicamente sciamanica, associata al lupo della segale e al lupo mannaro (25). Ancora

oggi, in Amazzonia, gli stregoni parlano del principio attivo degli agenti psicotropi

allucinatori come “madre” (madre dell’ayahuasca, per esempio, la sostanza

allucinogena usata tra il Perù, il Brasile e la Colombia). L’ipotesi che la segale

cornuta venisse consapevolmente usata per ottenere stati alterati di coscienza è resa

più plausibile da questa ricchezza di associazioni mitiche.Con l’assunzione dello psicotropo, mentre si cade in catalessi, o “ci si addormenta”,esce l’anima dal corpo: in altre parole, si entra in uno stato modificato di coscienza,

che, per una cultura sciamanica, è caratterizzato dal viaggio, o dal volo. A cavallo di

una scopa, per le streghe alpine; le quali, però, riferiscono (specie nelle confessioni

più antiche) anche di voli in groppa ad animali come il caprone, o addirittura

trasformazioni in animali. Anche nei territori artici, l’anima dello sciamano,

trasformata in lupo, orso, renna, pesce, oppure in groppa da un animale (cavallo o

cammello) che, nel rito, è simboleggiato dal tamburo, abbandona il corpo esanime.

Passato un certo tempo, più o meno lungo, lo sciamano esce dalla catalessi per riferireagli spettatori del rito che cosa ha visto, che cosa ha imparato, che cosa ha fatto

nell’altro mondo. Olaus Magnus racconta che i maghi lapponi portavano perfino unanello o un coltello come prova tangibile del viaggio fatto. Stessa storia per le streghe:

che sostenevano di essersi veramente recate al sabba, di aver davvero incontrato la

Signora del Buon Zogo con ogni specie di animali, e di aver ricevuto da lei

conoscenze e consigli sulle erbe terapeutiche. Il diavolo arriva in seguito, prima come

spirito ausiliario, poi come signore degli Inferi: imposto e creato, però, a forza di

torture.

Sui tamburi degli sciamani è stata riconosciuta, in molti casi, una mappa del mondo

dei morti. Ma anche i protagonisti del culto estatico documentato in ogni angolo delcontinente europeo si consideravano, e venivano considerati, agenti mediatori fra i

vivi e i morti. In entrambi i casi, le cavalcate in groppa agli animali esprimevanosimbolicamente l’estasi: la morte temporanea segnata dall’uscita, in forma di animale,

dell’anima dal corpo.

Altra analogia fra le due civiltà riguarda l’uso e la tipologia delle maschere indossate

durante i riti sciamanici: maschere che presentano tratti molto simili fra loro. Per

esempio, la presenza delle corna, caratteristiche anche della divinità celtica

Cernunnos, dio degli animali, e di diverse rappresentazioni di sciamani preistorici pre

celtici. L’espressione oscena, la lingua fuori: che, se da una parte allude sicuramente

ad una sessualità esasperata, dall’altra sembra voler assaggiare tutto, divorarel’universo intero. Stessa cosa per gli occhi: sbarrati, senza espressione, spiritati,

iniettati di sangue, spalancati di fronte all’incredibile visione del mondo degli spiriti,

che viene da dentro, dal sé, suscitata dagli psicotropi, non da oggetti toccabili; apertiall’interpretazione dell’inconoscibile, dell’indicibile, dell’insopportabile: l’amoralità

della natura (26). Perché il mondo delle creature non è né buono né cattivo, è, e basta:

il compito dello sciamano (e della strega) consiste nell’assicurare la sopravvivenza

della comunità, con ogni mezzo: dal sacrificio propiziatorio di un essere vivente

all’infanticidio dei piccoli che non si possono trasportare durante un trasferimento, o

che la collettività non può mantenere.

Tanto è vero che uno degli choc culturali che colpisce gli appartenenti ad una civiltàdi religione non animista, atei compresi, è il vedere come chi crede negli spiriti accetti

“naturalmente” l’idea, e la pratica, della morte. I genitori, davanti ai propri figli morti

di fame, o di malattia, non solo non si ribellano, ma liquidano la perdita con riti

funebri brevi e sbrigativi, mentre esistono cerimonie molto complesse per la dipartitadei membri importanti e adulti della comunità. Ricordiamo che, anche nelle campagne

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europee e alpine, quando la situazione di povertà e di dipendenza dall’ambiente

esterno erano gravi, e il cristianesimo aveva soltanto scalfito le credenze precedenti, la

morte degli individui deboli, quando non era deliberatamente provocata (con la

mancanza di cure, se non con l’omicidio vero e proprio) era vissuta come una dura

necessità, che provocava ben pochi rimorsi.

Yoikos e jodlers: le musiche della trance

Sedette sulla rupe della gioia, si assise sulla pietra del canto (27)

Dopo l’assunzione dell’agente psicotropo, la seduta sciamanica, così come il sabba

delle streghe proseguono a suon di musica. Si tratta di ritmi particolari basati sulle

percussioni. Sembra che i colpi dei tamburi, tarati sui rumori interni (il pulsare del

sangue nelle vene, per esempio; il battito del cuore), ripetuti per ore, si prestino, più di

altre musiche, ad indurre la trance. Forse è per questo motivo che, sulle Alpi, laChiesa e i difensori dell’ordine costituito si accanirono per decenni contro gli

strumenti a percussione, che sono documentati sia nell’iconografia che nelletestimonianze scritte, ordinandone, a più riprese, la distruzione. Infatti, non sono

sopravvissuti: erano troppo ingombranti per essere nascosti, al contrario di altri arnesi

“atti a far musica”, come la ghironda, che riuscì a scampare la condanna rimanendo

nascosta per diverse generazioni nei fienili e nelle cantine occitane.

Ecco come Virdung, nel suo “Musica generale”, nel 1511, descrive quegli antichi

tamburi di cui, nella tradizione popolare musicale alpina, non è rimasto nemmeno il

ricordo:

Sono enormi tamburi rombanti. Essi disturbano le persone anziane e rispettabili, i

sofferenti e i malati, quanti nei monasteri si dedicano allo studio, alla letteratura, alla

preghiera, e io ritengo, son convinto che il diavolo li abbia fatti e inventati.... (28).

Lo sciamano lappone è l’agente della propria trance, che ottiene suonando il tamburo:

non sono gli altri che suonano per lui. Per questo motivo viene usato, coscientemente,

il crescendo e l’accelerazione del ritmo. Il suono può variare anche di intensità,

altezza e timbro, a seconda dell’effetto che si vuole suscitare (su se stessi e/o sul

pubblico), obbedendo a regole musicali tramandate in funzione segnaletica, descrittiva

e simbolica.Respiri rauchi, abbai, sospiri, fischi, grida, invocazioni, ansiti, sono il segno della

presenza degli spiriti. Lo sciamano racconta ciò che vede, e fissa nella memoria,

grazie anche alla musica, un testo lunghissimo, e, nel frattempo, si caricamagicamente. Ogni sciamano ha un suo canto personale che usa per invocare gli

spiriti. Spesso, la lingua segreta è un’imitazione “totemica” delle grida degli animali

(29).

I canti finnici sono di due tipi: canti narrativi, come il Kalevala, e canti magici, quelli

degli sciamani. Spesso però la distinzione non è poi così netta.

La melodia lappone è esclusivamente un’arte vocale, incentrata sugli yoikos,

antichissimi canti cerimoniali, di cui si è perso il significato. Lo yoik  gioca un ruoloimportantissimo nel rituale sciamanico. Era anche un mezzo per cadere in trance.

Tanto è vero che i missionari proibirono il canto degli yoikos, anche se non

contengono un vero e proprio testo. Di solito, la strofa consiste di poche parole

coerenti fra loro, a cui si sovrappongono vocalizzi affini a quelli degli jodlers, cherichiamano il verso degli animali. Queste vocalizzazioni monosillabiche, che

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appaiono senza significato, in realtà esprimono l’opinione di chi canta nei riguardi

della persona di cui si parla, o che ha di fronte.

Pare che questi strani suoni vogliano deliberatamente nascondere, secretare, le parole,

che in nessun caso venivano rivelate agli stranieri. Probabilmente, perché in origine

erano formule magiche, che ci trasmettono l’eco delle più arcaiche condizioni di vita

della razza umana. In generale, si può dire che gli yoikos venivano composti percomunità di ridotte dimensioni, talvolta all’interno di una sola famiglia estesa, in cuianche una piccolissima allusione, totalmente incomprensibile agli esterni, poteva fa

capire il significato. Col tempo, per mantenersi tra una persecuzione e l’altra,

diventarono canti esoterici, segreti: ancora oggi, i loro testi vengono mantenuti

all’interno di una ristretta cerchia di persone. D’altronde, chi canta non sempre

capisce il significato dei nomi e delle parole: semplicemente, li ripete così come li ha

sentiti cantare dagli anziani; ma in questo modo si sono conservati nel tempo.

In un quadro come questo, la particolare modalità di canto dei Sami rappresenta una

forma estremamente sofisticata di arte musicale, affine alla musica colta. Attraversosuoni e gorgheggi si manifestano sentimenti: la tecnica deve essere molto raffinata.

Anche perché vengono imitati, ed espressi, i suoni della natura: la voce degli animali,il rumore dell’acqua, ma anche il sole che sorge e che tramonta…. Per invocare

l’aiuto degli spiriti, per parlare con l’invisibile.

L’unica cosa che si può paragonare agli yoikos lapponi sono gli jodlers alpini,

anch’essi, in origine, canti magici che non descrivevano ma esprimevano la natura e il

trascendente, imitando spesso la voce degli animali. Persino i due sostantivi sono

acusticamente simili, anche se non posso avanzare supposizioni su una loro possibile

origine comune.

La conoscenza degli animali è così profonda, presso i popoli delle Alpi, da costituirela loro grande sapienza. Poveri di tecnologia, esplicano tutta la loro esperienza sul

mondo animale, tanto che il canto tipico dell’alpeggio, lo jodler , pare fosse, inorigine, un richiamo per animali. Ed era diffuso su un areale molto più vasto di quello

odierno (per esempio, comprendeva anche la Valtellina e la Val Chiavenna). Fare

musica imitando le voci dei non umani non è prerogativa dei popoli pastori: ma

mentre i cacciatori dell’antichità producevano rumori con vari mezzi, allo scopo sia di

richiamare che di spaventare gli animali e di ucciderli, i pastori cercavano di

ammansire le bestie, di attirarle e di stringere un legame con loro. La musica era un

aiuto. Se una capra si perdeva fra i dirupi, sentendo il suono del flauto poteva

orientarsi e ritrovare le compagne. Se due armenti si incontravano ad una sorgente e simescolavano, i pastori cantavano ognuno il proprio leit motiv e gli animali lo

seguivano. Per questo ripetono sempre, all’infinito, lo stesso motivo, monotono e

familiare. Per chi non è abituato queste nenie sono spaventosamente uniformi, propriocome le praterie di alta quota. Anche se hanno raggiunto un livello tecnico di

esecuzione vocale (il gorgheggio, il canto a tir) molto difficile da imitare, il loro

suono risulta “stonato” per chi ascolta musica armonizzata, moderna. In questa forma

d’arte tipicamente alpina, legata, nelle sue origini, agli animali, l’esatto contrario

dell’arte e delle bellezza secondo la “cultura colta”, sono ancora una volta le donne ad

eccellere, perché iniziano i cori, danno l’acuto, trascinano sempre più in alto le voci

dei cantori. E si ricordano le canzoni.In Lapponia, il canto degli sciamani assumeva il carattere di una recita musicata dei

nomi degli spiriti, ma la persecuzione cristiana fece terminare le esibizioni pubbliche.

Gli sciamani furono costretti al silenzio, i nomi magici divennero segreti, e poi,

gradualmente, vennero dimenticati (?!) dalle generazioni successive di Lapponi rieducati. Le melodie, però, riuscirono a conservarsi, perché costituivano il nutrimento

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musicale della gente, che ha sempre fame di cibo spirituale, che soddisfa la mente,

oltre che la pancia. I nomi proibiti degli spiriti furono sostituiti da quelli della gente

comune della vita quotidiana. Il rituale propiziatorio del canto piano piano sparì, per

essere rimpiazzato dalle descrizioni di uomini e situazioni normali, che non erano

vietate dalle leggi cristiane. Soltanto in questi ultimi anni, si stanno portando avanti

ricerche più approfondite, che cercano di collegare gli yoikos con la culturasciamanica.

Sessualità, peccato, trance e sabba

Streghe alpine e sciamane artiche assolvono la stessa, importantissima funzione:

curano il disagio mentale, o la malattia fisica, che spesso derivano da una causa

connessa con la sessualità, considerata peccato dalla morale cristiana, senza chiedere

o discutere sulle cause della sofferenza, alleviando i sensi di colpa e fornendo una

spiegazione, o una giustificazione, plausibile all’evento. Le ragioni del dolore sonosempre scaricate sulla malevolenza di uno spirito. D’altronde, le donne delle tribù

animiste non dovevano combattere soltanto contro il cristianesimo, che avrebbepreteso di relegarle ad un puro ruolo riproduttivo, e quindi condannava ogni pratica

contraccettiva e qualsiasi uso non generativo del sesso. I monaci buddisti, che

tentarono di convertire (e di acculturare) i popoli di religione sciamanica della

Mongolia, dell’Altai, del nord del Giappone, spesso preceduti da eserciti di potenti

stati centralizzati, come la Cina o il Giappone stesso, ritenevano, tanto quanto i

colleghi cristiani, che la natura congenita della donna fosse quella di commettere

peccato.

Non sposarsi, abortire, abbandonare o ammazzare un bambino, erano tutte azioni chel’avrebbero condannata in eterno e sprofondata nelle tenebre dell’inferno. Ma, date le

condizioni di estrema penuria e l’ambiente avaro da cui dovevano sopravvivere quegliantichi popoli, contraccezione, aborto e infanticidio erano comunemente praticati.

Inoltre, la concezione animista non divide in maniera netta la vita dalla morte, dato

che l’una era considerata la conseguenza dell’altra; e, in caso di bisogno, la

soppressione degli elementi deboli, o inutili, o semplicemente l’abbandono degli

individui di troppo, non erano considerati degli atti gravi ma delle conseguenze dettate

dalla necessità. Il potere centrale, invece, sanzionava duramente ciò che normalmente

si faceva: ma la religione istituzionale era organizzata e centrata attorno agli interessi

degli uomini, non delle donne.Streghe e sciamane offrono conforto, sollievo, e redenzione alle persone che patiscono

sofferenze insopportabili. L’itako, la sciamana cieca degli Ainu giapponesi, chiama

gli spiriti dei bambini morti. Le madri possono risentire le voci dei figli scomparsi, e,di solito, le anime dei bimbi non le rimproverano, ma le consolano con parole gentili,

le salutano con affetto. In lacrime, le donne chiedono il loro perdono: e la sciamana

alleggerisce le pene psicologiche e solleva dai rimorsi le donne colpevolizzate per la

loro sessualità (30).

Streghe e sciamene sono forzatamente e inscindibilmente legate al sesso. Le streghe

raccontavano di essere state amanti del demonio. Ma anche gli sciamani buriati

intrattengono relazioni strettissime con i loro spiriti guida, tanto intime da arrivareperfino al rapporto sessuale. D’altronde, l’intera seduta sciamanica consiste nel

suonare il tamburo ad una velocità sempre più intensa, fino a raggiungere la trance,

con movimenti simbolici che mimano l’atto sessuale (31), considerato l’azione

fondante della continuità demografica della comunità.

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Si tratta di uno degli ingredienti principali della seduta sciamanica, soprattutto se

condotta dalle donne. La sessualità esasperata trova una sua spiegazione negli antichi

culti della fertilità, necessari per propiziare la riproduzione degli esseri umani, degli

animali ma anche delle piante, e quindi per salvare il mondo dalla rovina ed assicurare

il cibo a tutti i viventi. Per mezzo dell’imitazione (senza dubbio, una volta non si

trattava di sola imitazione, perché il sabba delle streghe assumeva spesso e volentiericarattere orgiastico), cioè della magia simpatica, si inducevano gli organismi delcreato, qualunque essi fossero, a congiungersi e a riprodursi, per prevenire le

comunità dall’estinzione. Estinzione che, sia sulle Alpi che nelle steppe artiche,

doveva essere un’eventualità temuta perché di facile realizzazione. Per fame, per

freddo, per abbandono, per malattia, per razzia. O anche per ”malinconia”: la

depressione, che conduce alla morte o al suicidio, era un male ben conosciuto in

entrambe le culture. Sulle Alpi, si pensava che fosse addirittura contagiosa; e come

tale ne parlano i medici fino al XIX secolo.

A questo proposito, l’antropologo russo Anutshin, che svolse il suo lavoro di camponell’estremo Nord all’inizio del secolo, pubblicò nel 1914 questa eccezionale

testimonianza, raccolta durante le festività del 10 giugno 1907 nel distretto diKaljagino.

La seduta sciamanica è tenuta da una donna, Salda, che comincia cantando una

canzone:

Uomini e donne, guardate che cosa sta facendo la vecchia Salda…

Ragazzi e ragazze, guardate…

Sono una straniera per voi? … No, sono vostra madre…

Ho vissuto per molto tempo…

Ho dato da mangiare a molta gente: alcuni sono ancora vivi,

altri sono morti….

Date qualcosa alla vecchia Salda, lei danzerà bene…

Lei ha sempre danzato bene….

Hei, uomini, datemi della vodka…

Hei, donne, buttate un po’ di legna nel fuoco…

Gli ascoltatori le davano vodka, e aggiungevano ceppi al fuoco. Dopo aver bevuto,

Salda comincia a urlare e a saltare selvaggiamente attorno al fuoco, tenendo i seni in

mano, e proseguendo le sue canzoni.

Brucia bene, il fuoco…

Il fuoco è caldo, il fumo è amaro…Il davanti è caldo per il fuoco, il didietro è freddo per il vento…

Il davanti è caldo per l’uomo, il didietro è freddo per la terra…

L’uccello ha molto cervello, l’orso ha molto cervello…

Perché non sono un uccello, perché non sono un orso…

Ogni notte il sole sprofonda nella terra ed esce fuori…

Il mio vecchio era un buon lavoratore, il mio vecchio era come il Sole…

Non vi ricordate di lui, non siete i suoi figli?…

Il mio vecchio era bravo a riscaldarmi…

Lui faceva così e io facevo così…

A questo punto, l’anziana donna cominciava a fare gesti che richiamavano l’attosessuale.

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Adesso che il vecchio è andato, io sono diventata come la terra gelata…

Hei voi, che ancora fate del sesso, perché state seduti?

Venite qui, balliamo insieme…

Dopo diversi richiami, una parte delle donne si unisce a Solda e comincia a muoversicon pudore. Gli uomini e le ragazze non partecipano alla danza; stanno seduti,parlano, fumano, di tanto in tanto ridono alle parole oscene della vecchia che si

muove come se posseduta.

Se la mia vulva avesse i denti, taglierei i peni, così che potessero restare lì per 

sempre.

La seduta sciamanica continuò fino all’alba. Il cerchio dei danzatori si muoveva

soltanto in senso orario (anche le danze sabbatiche sono balli in cerchio).Attraverso questo racconto, si può rintracciare un substrato culturale sincretico, che

lega la sessualità alla continuità delle relazioni del clan al ciclo dell’anno, dellavegetazione, della riproduzione. La sessualità è sacralizzata e proiettata nell’universo.

L’audience condivide gli stessi sentimenti con la totalità del creato, nella rotazione

lunare che è mensile e annuale. I movimenti della sciamana rendono possibile

esprimere l’unità lunare e cosmica di tutta la comunità (32).

Le donne Sami, ieri e oggi

Per parlare delle donne Sami mi rifarò ai dati che l’antropologa statunitense MyrdeneAnderson, della Purdue University, West Lafayette, ha raccolto nel corso di diversi

anni di lavoro di campo fra il 1972 e il 1980 in Norvegia del Nord. Territori in cui,malgrado gli sforzi del governo, che vorrebbe trasformare l’allevamento delle renne in

un’industria produttrice di carne, integrata con l’economia di mercato e fondata sul

denaro contante, e quindi gestita quasi soltanto dagli uomini, gli sforzi e la volontà

delle donne hanno permesso, fino ad ora, il permanere di un’economia di sussistenza

diversificata, che ha conservato l’ambiente oltre che la cultura. Perché una civiltà

continua nel tempo se riesce a mantenersi il sistema economico-ecologico che l’ha

originata, che l’ha nutrita, che l’ha fatta crescere. Quando le renne verranno

considerate soltanto carne da macello, i Sami si saranno estinti.Prima di tutto, bisogna dire che, se qualche cosa dell’antica religione dei Sami si è

conservata, è potuto succedere grazie alla resistenza culturale delle donne. Perché,

mentre gli uomini, considerati capi famiglia, erano costretti a presenziare e apartecipare alle cerimonie cristiane, e quindi ad andare alla messa domenicale, a

portare i figli a prendere i sacramenti, nel frattempo le loro mogli trovavano più

facilmente una scusa per starsene a casa, e continuare a pregare gli spiriti come

avevano sempre fatto: la distanza dalla chiesa, la neve e il freddo, la cura dei bambini

piccoli…

In realtà, la religione del potere trascurava le donne, non dava loro molta importanza;

ai preti bastava che gli uomini partecipassero alle funzioni, che battezzasseroregolarmente i loro figli con padrino e madrina. Non avevano capito, i missionari, che,

nella società sami, chi decideva il nome non era il padre, ma la madre; non avevano

compreso l’importanza che in una cultura animista, di antico retaggio matriarcale,

rivestiva l’imposizione del nome. Così, si praticava il battesimo lappone: il papàportava il neonato in chiesa, e veniva battezzato con l’acqua santa. Una volta a casa,

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la mamma lavava via l’acqua santa con la sacra cenere del focolare, dedicata alla dea

del fuoco, e lo ribattezzava con un nome sami.

Per secoli, gli uomini del Nord hanno dovuto far vedere, all’esterno, fuori di casa, nei

gruppi dei pari durante le occasioni pubbliche, in cui erano presenti anche

rappresentanti dell’autorità costituita, che avevano abbracciato la nuova fede. Di

sicuro, qualcuno di loro si sarà pure convinto. Viceversa, l’altra metà del cielo erasottoposta a meno pressioni, perché non conduceva una vita di pubblicarappresentanza: così ha potuto continuare ad officiare i riti arcaici, nella noncurante

ignoranza del potere. Ancora una volta, le donne custodi della memoria. Ancora una

volta, due comunità distinte per genere, in cui alcune cose della vita sono se non

precluse agli uomini, quanto meno affare di donne, da gestire in maniera matriarcale e

matrilineare: all’interno del clan della madre.

Passando dal passato al presente, si possono delineare alcune caratteristiche nella vita

delle donne sami di oggi, che fanno riconoscere l’eredità culturale di una civiltà che

assegnava (e assegna tuttora) alle signore un ruolo molto importante, e lascia loro unagrande libertà di movimento.

Il primo figlio, e talvolta anche i primi due, spesso nascono fuori dal matrimonio: manon sono la conseguenza di “sviste” adolescenziali: contraccezione e aborto erano e

sono largamente usati in questi casi; in passato, si praticava anche l’infanticidio. I

bambini nati fuori dal matrimonio non si possono neanche considerare ”prove di

fertilità”: semplicemente, sono desiderati e vengono reincorporati all’interno della

famiglia estesa (della madre). Sono benvenuti sia per i parenti paterni sia per quelli

materni, ma è la nonna materna che, normalmente, si occupa del bimbo.

In effetti, non esiste contraddizione fra famiglia estesa e libertà personale: il

corteggiamento informale è uno dei modi in cui si passa il tempo durante la gioventùprolungata, anche in presenza di figli di altri partners. In una società matriarcale, o di

ascendenza matriarcale, in cui tutto quanto è connesso ai figli è affare di donne e delladiscendenza matrilineare, non ha senso sposarsi per uscire di casa (e vivere finalmente

a modo proprio). Anzi: la costituzione di un nucleo familiare indipendente, e le spese

che ne conseguono, sono considerate quanto meno frivole per una coppia sola, e

perfino in presenza di uno o due figli: ecco perché spesso le donne fra i 20 e i 30 anni

fanno uno o due bambini. Li curerà la nonna, e, in subordine, l’intero clan della

madre. Nel frattempo, la neo mamma può lavorare e viaggiare senza difficoltà: ancora

una volta, lo spostamento è alla base di questo sistema di vita. Poi, quando avrà

raggranellato i soldi necessari per una casa propria (di solito, dopo i 30 anni di età)uscirà dalla famiglia dei genitori, con un uomo (non necessariamente il padre dei figli)

o da sola. Ma manterrà rapporti strettissimi con la famiglia di origine: perché la

visione della famiglia fra i sami non è nucleare, isolata dal contesto, ma clanica,inserita nei rapporti di vicinato, amicizia, solidarietà e parentela, ben più della madre

che del padre.

All’interno delle comunità sami, gli uomini si muovono principalmente con le

motoslitte, mezzi con cui raggiungono i siti di pascolo delle renne. Le donne, invece,

hanno la macchina: ovvero, godono di una notevole libertà di movimento. Sono loro

che si occupano delle pubbliche relazioni del clan: con i potenziali ospiti-partners, con

i commercianti, con gli amici, con i parenti, con i proprietari della fattorie con cuiscambiano beni e con cui litigano peri danni prodotti dalle renne che scorrazzano nei

campi devastandoli o cibandosi dei germogli, con i centri commerciali, con i turisti.

Sono i diplomatici, gli agenti di commercio, le guardie di confine (territoriali ma

anche culturali), che dominano i meccanismi di distribuzione dei beni e dirigono le

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attività di consumo all’interno della famiglia così come nei confronti del mondo

esterno.

Statisticamente, hanno un livello di istruzione più alto dei loro compagni, spesso

parlano due o tre lingue. Ciò rende più agevole il lavoro di comunicazione e di

estensione della rete di relazioni, amicali ma anche lavorative e politiche, che le

signore svolgono senza sosta, stando fuori talvolta diversi giorni di seguito. Lanecessità di consolidare i rapporti dà loro la scusa per passare gran parte del tempo inmacchina, per andare a trovare questo e quello. I figli sono con la nonna e, quando

diventano più grandicelli, vengono portati portano dietro perché fanno compagnia, e

intanto “imparano qualcosa”. Se i propri non sono cresciuti a sufficienza, si prendono

a prestito da una sorella, o da un’amica. Viaggiare con un bambino significa anche

evitare, o almeno ridurre, la possibilità di proposte indesiderate da parte maschile.

Mantenere un network amicale sufficientemente esteso (ed introdurvi i ragazzi fin da

giovani) assolve anche un’altra importantissima funzione: rinsaldare le relazioni fra

generazioni, ribadire l’identità culturale. Scegliendo oculatamente come amicipersonali individui che hanno figli della stessa età dei propri, abituandoli a

frequentarsi fin da piccoli, vuol dire anche aprire dei “canali preferenziali” ai possibilimatrimoni, che si realizzano così all’interno della comunità (e della cultura di

appartenenza), senza forzature apparenti. In questo modo, usando metodi moderni

(impiegati anche da altre comunità. Per esempio, dagli ebrei, in cui le famiglie si

scambiano i bambini per mesi, per ”fargli imparare le lingue”) si realizza un antico

scopo: conservare i beni, materiali, come le renne, ma anche immateriali, come le

tradizioni, per mezzo dello scambio matrimoniale fra famiglie amiche, in cui ognuno

conosce i difetti degli altri e ci si sopporta in nome del bene comune, passando sopra

alle cose meno importanti.Nelle famiglie di allevatori di renne, anche le bambine ricevono in regalo animali vivi.

Ancora oggi, un Sami, maschio o femmina che sia, se viene da una famiglia diallevatori, non si muove senza il suo coltello appeso alla cintura.

Le case, così come le tende, in cui vive una donna adulta sono considerate sua

proprietà: l’uomo non ci deve mettere il becco. Le uniche residenze che possono

essere possedute da un maschio sono quelle occupate esclusivamente durante i periodi

in cui le renne pascolano lontano da casa e dalla famiglia, e non c’è nessuna matriarca

nei paraggi. L’artigianato, e l’economia monetaria, è in gran parte in mano alle donne:

gli uomini fanno i lavori più pesanti con le renne, anche se le signore partecipano

comunque alla selezione degli animali da macellare, alla distribuzione della carne,delle carcasse e dei guadagni conseguenti. Ma sono le donne che gestiscono la rete

complessa di relazioni sociale ed economiche che collegano le comunità al mondo

esterno: scambi commerciali, flussi di energia, informazioni. Sono loro che scoprono,scelgono, o scartano i beni che in vario modo offre il mercato.

Malgrado la mobilità a largo raggio, sono le donne che rafforzano l’identità etnica:

indossano e cuciono continuamente gli abiti tradizionali, per sé e per l’intera famiglia,

e cercano di riservare il privilegio di portarli ai membri delle sole comunità sami.

Ancora una volta, sono loro i custodi della memoria.

Ecosciamanesimo?

Non saprai niente. Sei troppo giovane, e troppo stupido, per qualcosa di tanto

importante!

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Questa la risposta di un vecchio lappone, Lill-Marten, ad uno studioso, Torsten

Boberg, che, avendo intuito che l’amico adorava gli antichi dei, lo supplicò per anni di

mostrargli il luogo in cui portava le offerte. Ma morì senza soddisfare la sua curiosità.

Il seite (dio) di legno fu ritrovato, cinquant’anni più tardi, vicino ad un ripido scoglio,

a 900 metri di altezza (per il Nord, si tratta già di una quota ragguardevole), a meno di

un chilometro di distanza dalla casa di Boberg. Marten morì nel 1924; Boberg scrissela sua storia nel 1946. La scultura lignea fu rinvenuta da Rolf Kjellstrom, altrostudioso, nel 1972.

Le cerimonie col tamburo vennero segretamente praticate, e sono documentate,

almeno fino alla metà del XIX secolo, trasformate in tradizione di famiglia. Non solo:

i sacrifici agli dei continuano fino al XX secolo. Fino al 1950, i siti sacrificali erano

frequentati, curati e considerati importanti. Si credeva che la fortuna abbandonasse le

famiglie che smettevano di rispettare i vecchi dei. Nel 1945, un antropologo, Ernst

Manker, cercò di visitare uno di questi luoghi, vicino a Tjakkeli, in Svezia, ma i suoi

informatori sami si rifiutarono di indicarglielo in maniera precisa. Quando luicomunque riuscì ad arrivarci, successe una cosa meravigliosa: apparvero sei vipere

nella zona sopra il limite delle conifere, dove non erano mai state viste prima. Nonbasta: l’uomo che gli aveva indicato (vagamente) la zona, cominciò a sentire un tal

dolore alla gamba che dovette andare a Stoccolma a farsi visitare. In seguito riferì che

il male era iniziato proprio nel posto in cui aveva rivelato a Manker dove si trovava il

sito sacrificale.

Luoghi di culto segreti, e poi dimenticati, in cui si sono depositate offerte in corna di

renne, e praticati i culti arcaici, sono stati ritrovati a decine: e mostrano segni

inequivocabili di essere stati assiduamente frequentati fino agli anni ’50 almeno (33).

Ancora oggi, quando vanno a pescare, sono molti i finlandesi non sami che sputanonell’acqua, ringraziando la Madre Terra per il pesce. E’ credenza comune, poi, anche

fra i docenti universitari di Rovaniemi, che chi vive al Nord, Sami o no, riesca, inqualche modo, a prevedere il futuro. Parlare tranquillamente, fra vicini, dei propri

sogni premonitori è considerato normale argomento di conversazione.

Ciò significa che o i “vecchi credenti” sono rimasti attivi fino a pochissimo tempo fa,

o sono ancora praticanti. D’altra parte, i Sami, per difendere la propria cultura, spesso

hanno fatto la scelta di non parlare.

Le genti del Nord, nel corso dei millenni, hanno elaborato e costruito una civiltà

molto avanzata, ben adattata alle condizioni climatiche estreme. L’intensità dei

cambiamenti stagionali, segnati anche dalla lunghezza dei giorni e delle notti artiche,che durano per mesi; la scarsità di risorse naturali e le durissime condizioni di vita

hanno condizionato le strutture sociali. Le tribù dell’artico hanno creato dei mestieri e

delle professionalità specifiche, che hanno consentito la loro sopravvivenza, che sonostati conservati e si sono evoluti, e continuano a costituire la base per l’economia e la

vita degli indigeni. Non solo: la cultura si è espressa in forme originali, in modelli

artistici e decorativi particolari, in una poetica ben distinta da tutte le altre. Tra i

popoli siberiani, è cresciuta un’ideologia umanistica in cui la natura e l’uomo

costituiscono un’entità organica: da qui il profondo rispetto per l’ambiente e

l’ecologia.

La loro religione, al contrario di quelle rivelate, non è stata fondata né rielaborata daesseri umani: interconnette e racchiude la natura, l’economia, la società, i sentimenti,

la sessualità, senza differenziare e dividere il sacro dal profano. Lo sciamanesimo è

parte integrante ed essenziale dell’identità culturale contemporanea delle genti del

Nord, dalla Lapponia alla Siberia.

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In Siberia, lo sciamanesimo sta rifiorendo; anzi, sta diventando il principale segno di

identità delle popolazioni del Nord. A Tuva, in Mogolia, è stato dichiarato religione di

stato. Fra i Khanty, tutte le famiglie possiedono un tamburo; e la capacità di usarlo in

senso sciamanico e terapeutico è diffusa e condivisa (34). Il messaggio potrebbe

consistere in un programma, che sta crescendo nell’estremo Nord del mondo, per un

nuovo sciamanesimo, ecologicamente conscio, che persegue la protezionedell’ambiente: un ecosciamanesimo. Che, forse, potrebbe portare ad unariaffermazione identitaria, ad un rinnovato orgoglio di appartenenza etnica e culturale:

il primo passo per uscire dalla attuali condizioni di estrema marginalità, miseria e crisi

in cui versano queste popolazioni.

Note

1. Pierre de Lancre, Tableau de l’inconstance des mauvais anges et démons, Parigi1613, p.253 e segg., cit. in Carlo Ginzburg, Storia notturna, Einaudi, Torino,

1989, p. 115 

2. Erodoto, Storie, IV libro 

3. Eugenio Turri, Gli uomini delle tende, Edizioni di Comunità, Milano, 1983, p. 9-

10, 48

4. Gaetano Forni, Gli albori dell’agricoltura, Ramo editoriale degli agricoltori,

Roma, 1990, p.123

5. Véronique Schiltz,. Gli Sciti dalla Siberia al Mar Nero, UniversaleElecta/Gallimard, 1995, p.101, 128-130

6. Gaetano Forni, Gli albori cit., p. 38, 43, 126, 128, 131, 140-1417. Michela Zucca, I draghi delle Alpi, in AA.VV., a cura di Michela Zucca,

Frammenti di cultura alpina ( r ) esistere in quota, report n° 18, Centro diecologia alpina, Trento, 199, p. 109-111 

8. Giacomo Doglio, Gerardo Unia, Abitare le Alpi, Cuneo, L'Arciere, 1980, p.53 e

segg; e Arnolf Niederer, Economia e forme tradizionali di vita nelle Alpi, inStoria e civiltà delle Alpi, a cura di Paul Guichonnet, vol II, Milano, Jaca Book,

1987, p. 74-75.

9. Detto pronunciato il giorno dei Morti dai bambini ancora oggi a Roana (Vr), fra le

comunità cimbre, che testimonia le antichissime credenze ancora vive nella Madre

Terra. Tratto da: Bruno Shweizer, Le credenze dei Cimbri sulle forze della

natura, Taucias Gareida, Giazza, Verona, i984, cit. in Oltre – Rivista di culturaintegrata per la sostenibilità ambientale, n° 5, marzo 2001, Italia Crea, Milano,

p. 32.10. Kira van Deusen, The Flying Tiger: Women Shamans and Storytellers of the

Amur, Mc Gill-Queen’s University Press, Montreal, Canada, 2001; TakashiIrimoto, Ainu Shamanism, in AA.VV., a cura di Takako Yamada e Takashi

Irimoto, Circumpolar Animism and Shamanism, Hokkaido University Press,

Sapporo, Giappone, 1997, p. 31, 42; Bo Lundmark, Rijukuo-Maia and Silbo-

Gammoe: toward the Question of Female Shamanism in the Saami Area, in

AA.VV., a cura di Tore Ahlback, Sami Religion, Almqvist & Wiksell

International, Stoccolma, Svezia, 1987, p. 158-169

11. AA.VV., a cura di Tore Ahlabck, Sami Religion cit.

12. Takako Yamada, The Concept of Universe and Spiritula Beings Among

Contemporary Yakut Shamans, in AA.VV., a cura di Takako Yamada e TakashiIrimoto, Circumpolar Animism cit., p. 218

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13. Olog Petersson, Sami Ideas about the realm of the Dead , in AA.VV., Sami

Religion cit., p. 72

14. Nacunbuhe, Stone Worhip in Mongolian Shamanism, in AA.VV., a cura di

Takako Yamada e Takashi Irimoto, Circumpolar Animism cit., p.255-259

15. Ornuly Vorren, Sacrificial Sites, Types and Function, in AA.VV., a cura di Tore

Ahlabck, Sami Religion cit., p. 94-109; AA.VV., a cura di Louise Backman e AkeHultkrantz, Saami Pre-Christian Religion, Stockholm Studies in ComparativeReligion n°25, Almqvist & Wiksell International, Stoccolma, Svezia,1985

16. Michela Zucca, Chi è salvatico si salva: l’uomo selvatico sulle Alpi, in AA.VV.,

a cura di Michela Zucca, La civiltà alpina – R – esistere in quota, IV Vol.,

L’immaginario, Centro di ecologia alpina, Trento, 1998

17. Odd Mathis Haetta, The Ancient Religion and Folk Beliefs of the Sami, 

Fagttrikk Alta as, Alta Museum, 1994, p. 15

18. Libro su uomo selvatico a Madruzzo

19. Takashi Irimoto, Ainu Shamanism, in AA.VV., a cura di Takako Yamada eTakashi Irimoto, Circumpolar Animism cit., Hokkaido University Press, Sapporo,

Giappone, 1997, p. 26-2720. Erodoto, Storie cit.

21. Chiara Silvia Antonini, Religione e mitologia nell’arte degli sciti-siberiani, in

AA.VV., Siberia, Electa, Milano, 2001, p. 64

22. Carlo Ginzburg, Storia cit., p. 286 

23. Questa, ed altre ricette della pomata delle streghe, sono riportate da Martha

Canestrini, Orti in Tirolo e in Trentino, supplemento al n° 21 di Arunda, Silandro

(Bz), p. 97. Ed ecco la Ricettta di Gerolamo Cardano, trattadal De Subtilitate, del

1547: Si prenda un grano di loglio, giusquiamo, cicuta, papavero rosso e nero,

lattuga e portoloca in quattro parti uguali, e si prepari l'unzione a regola d'arte.

Per ogni oncia del miscuglio aggiungere uno scrupolo di oppio tebano

24. Ann Fienup-Riordan, The Human Hand in Yup’ik Eskimo Iconography and 

Oral Tradition, in AA.VV., a cura di Takako Yamada e Takashi Irimoto,

Circumpolar Animism cit., p. 180

25. Carlo Ginzburg, Storia cit., p. 284-287.

26. Joan Halifax, Shaman: the Wounded Healer, Thames and Hudson, Londra, 1982,

p. 32 e 82 

27. Kalevala, runo III, Mondadori, Milano, 1988, p. 58

28. C Sachs, Storia degli strumenti musicali, Mondadori, Milano 1980, p. 388

29. Gregorio Bardini, Musica e sciamanesimo in Eurasia, Società editrice

Barbarossa, Milano, 1996, p. 12-13, 19

30. Takefusa Susamori, Healing Arts of the Itako, in AA.VV., a cura di TakakoYamada e Takashi Irimoto, Circumpolar Animism cit., p. 45, 53

31. Mihaly Hoppal, Animistic Mythology and Helping Spirits in Siberian

Shamanism, in AA.VV., a cura di Takako Yamada e Takashi Irimoto,

Circumpolar Animism cit., p. 201

32. Juha Pentikainen, Shamanism and Culture, Etnika Co, Tampere, Finlandia,

Gummerus Printing, 1998, p. 53-56

33. Rolf Kjellstrom, Continuity of Old Sami Religion, in AA.VV., a cura di ToreAhlabck, Sami Religion cit., p. 24-33.

34. Juha Pentikainen, Toimi Jaatinen, Idikò Lehtinen, Marjo-Ritta Saloniemi,

Shamans, Tampere Museum Publications n° 45, Tampere, Finlandia, p. 22, 26,

42, 44