Silvano Fausti - Giovanni Cc. 10-16

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    26. IO-SONO LA PORTA, IO-SONO IL PASTORE.

    10,1 21

    10,1 Amen, amen vi dico:

    chi non entra per la porta

    nel recinto delle pecore,

    ma sale da unaltra parte,

    costui ladro e brigante.

    2 Chi invece entra per la porta

    pastore delle pecore.

    3 A lui il portiere apre

    e le pecore ascoltano la sua voce

    e chiama le proprie pecore per nome

    e le conduce fuori.

    4 Quando ha espulso

    tutte le proprie (pecore),

    cammina davanti a loro;

    e lo pecore lo seguono,

    perch riconoscono la sua voce.

    5 Un estraneo invece non seguiranno,

    ma fuggiranno da lui,

    perch non riconoscono la voce degli estranei.

    6 Questa similitudine disse loro Ges;

    ma quelli non capirono

    cosa fosse ci che diceva loro.

    7 Allora disse di nuovo Ges:Amen, amen vi dico:

    Io-Sono

    la porta delle pecore.

    8 Tutti quelli che vennero prima di me,

    ladri sono e briganti;

    ma le pecore non li ascoltarono.

    9 Io-Sonola porta:

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    se uno entra attraverso di me,

    sar salvo

    ed entrer ed uscir

    e trover pascolo.

    10 Il ladro non viene

    se non per rubare, immolare e distruggere.

    Io venni

    perch abbiano vita

    e labbiano in abbondanza.

    11 Io-Sono

    il pastore bello:

    il pastore bello

    espone la sua vita

    a favore delle pecore.

    12 Il mercenario e chi non pastore,

    al quale le pecore non appartengono,

    vede venire il lupo

    e abbandona le pecore e fugge;

    e il lupo le rapisce e disperde,

    13 perch mercenario

    e non gli interessa delle pecore.

    14 Io-Sono

    il pastore bello

    e conosco le mie

    e le mie conoscono me,

    15 come il Padre conosce mee anchio conosco il Padre;

    e dispongo la mia vita

    a favore delle pecore.

    16 Anche altre pecore ho

    che non sono di questo recinto:

    anche quelle bisogna

    che io conduca;e ascolteranno la mia voce

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    e diventeranno un solo gregge,

    un solo pastore.

    17 Per questo il Padre mi ama,

    perch io depongo la mia vita

    per prenderla di nuovo.

    18 Nessuno la toglie da me,

    ma io la depongo da me stesso:

    ho il potere di deporla

    e ho il potere di prenderla di nuovo.

    Questo comando ho preso

    dal Padre mio.

    19 Ci fu di nuovo una divisione tra i giudei

    a causa di queste parole.

    20 Ora dicevano molti di loro:

    Ha un demonio

    e delira.

    Perch lo ascoltate?

    21 Altri dicevano:

    Queste parole non sono di un indemoniato:

    pu forse un demonio

    aprire occhi di ciechi?

    1. Messaggio nel contesto

    Io-Sono la porta, Io-Sono il pastore, dice Ges a quei farisei ciechi (9,40s) che

    pretendono di essere le guide del popolo. Si rivolge a loro per illuminarli sulla loro cecit, facendovedere la bruttezza di ci che seguono e fanno seguire.

    Egli si proclama la porta attraverso cui si entra nella vita, il pastore che conduce verso la

    libert. infatti il Figlio, venuto a condurre i fratelli fuori dalle tenebre e dalla morte. I farisei, che

    stanno davanti a lui dopo la guarigione del cieco nato, sono falsi pastori, che opprimono e sfruttano

    il gregge dei loro fedeli, perseguitando chi uscito dal loro controllo.

    A noi oggi non piace limmagine delluomo pecora che segua un pastore. A differenza

    dellanimale, programmato dallistinto, luomo libero. Non necessitato dai propri bisogni, mossodal desiderio di ci che ritiene essere meglio per lui. Di sua natura luomo cultura, aperto a un

    cammino e un progresso sempre maggiori. Ma la cultura nasce e cresce secondo degli ideali che si

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    propongono, o impongono, da imitare: unimitazione dei desideri dellaltro. Oggi, coi mass-

    media, questo meccanismo, ancor pi oleato ed efficiente, lascia spazi sempre minori alla libert. I

    nostri modelli culturali, incarnati da persone concrete che li rappresentano, sono i pastori, i capi che

    seguiamo. Il modello da seguire e raggiungere, eventualmente da superare, in un crescendo di

    competizione e rivalit, prima con gli altri e poi con il capo stesso. Si tratta di una sudditanza

    inquieta che genera lotta e violenza, tenuta a bada da regole, perch non ci si distrugga a vicenda.

    La legge dettata dal pi forte, che si impone perch pu eliminare chi si oppone. Il risultato che

    siamo sudditi del modello-pastore vincente, che sempre quello in grado esercitare maggiore

    violenza. Chi si ribella perdente, emarginato o ucciso, a meno che sia tanto forte da prenderne il

    posto. la legge della giungla: luomo un lupo per laltro uomo e domina chi pu nuocere di pi,

    a spese dellinnocente (cf. Gdc 9,7-15).

    Di questo sistema oppressivo non si accorge chi sta in alto, ma chi sta in basso e ne fa le

    spese. La violenza un coltello: chi sta dalla parte del manico, non sente alcun male, a differenza di

    chi sta dalla parte della lama. Ma anche questi pensa di essere felice se riesce a impugnare il

    manico. Ne nasce un mondo di carnefici e vittime, nel quale giochiamo tutti al medesimo gioco:

    seguiamo ciecamente lo stesso pastore, che presto o tardi ci beffa tutti. In questo modo la violenza

    aumenta e aumenter a dismisura, fino a quando le spade non si trasformeranno in vomeri e le lance

    in falci (Is 2,4). Ci possibile nella storia dellumanit quando anche i potenti si scoprono

    vulnerabili come tutti; allora anchessi conoscono laffanno dei mortali, perch sono colpiti

    come gli altri (Sal 73,5). In questo modo cade la maschera che li inganna e possono scoprire

    quanto indesiderabile e brutto ci che ritengono bello e desiderabile. Ma, fino a quando non si

    sperimenta sulla propria pelle quanto sia male ci cui si aspira come a sommo bene, tutto continuer

    come prima: Luomo nella prosperit non comprende, come gli animali che periscono; suo

    pastore la morte: condotto agli inferi, dove prima ha condotto gli altri (cf. Sal 49,13.15.21).

    Chiss che ci non avvenga presto, costatando quanto debole lonnipotenza della tecnologia: un

    colosso dai piedi dargilla, tanto affascinante e tremendo quanto fragile (cf. Dn 2,31-35). Forseoggi, per la prima volta nella storia, se apriamo gli occhi e superiamo il complesso dello spettatore,

    televisivo o meno, vediamo che vero quanto dice Ges a proposito dei galilei trucidati da Pilato e

    del crollo della torre di Siloe: Se non vi convertite, tutti allo stesso modo perirete (Lc 13,3.5).

    Ges propone un modello alternativo, che fa uscire da questo gioco di morte: offre alluomo

    di realizzare la sua umanit, chiamandolo a diventare come Dio. Propone infatti di imitare non i

    desideri dellaltro con i conflitti che ne derivano , bens quelli del Padre, che non rivale di

    nessuno, ma principio di vita e libert per tutti. Facendo come lui diventiamo figli, adulti e uguali alui, come da sempre abbiamo desiderato. Linganno originario stato quello di pensare Dio come

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    nostro antagonista e di averlo preso come modello, rendendoci impossibile la vita. Come pu vivere

    uno, se gli contro suo padre? Sar contro di lui, contro di s e contro gli altri, diventando simile al

    padre che detesta.

    Ges si presenta come il Figlio che conosce lamore del Padre e ha i suoi stessi desideri:

    comunicare vita e libert ai fratelli. Per questo si propone come il pastore bello, vero, in

    contrapposizione al pastore brutto e falso, del quale siamo succubi. Seguendo lui, diventiamo ci

    che siamo: figli del Padre e fratelli tra di noi. Solo cos usciamo dalla tenebra e veniamo alla luce

    della verit, che ci rende liberi. A una cultura di competitivit, rivalit e violenza, subentra una

    cultura di fraternit, solidariet e amore. Finalmente una vita bella, vivibile, da Dio: felicit e

    grazia ci saranno compagne tutti i giorni della nostra vita e abiteremo nella casa dei nostri desideri

    (cf. Sal 23).

    Ges pastore ci libera dal brigantaggio che governa i nostri rapporti, con il dominio del

    pi violento di turno. In realt colui che prendiamo come modello non che un pastore di morte, la

    cui fine scontata sin dallinizio: la vittima designata dal gioco stesso che sta giocando, quando

    arriva un bandito pi nocivo di lui.

    Se nel c. 9 si parlava di luce che apre gli occhi su una realt nuova, quella del Figlio, ora si

    parla del pastore-modello che guida verso un nuovo tipo di vita. Laccostamento suggerito anche

    dal libro di Enoch (composto prima del 164 a. C.), che presenta la storia di Israele come quella di un

    gregge alle prese con i lupi: purtroppo i montoni alla guida del gregge sono ciechi, sino a quando

    viene il pastore che rid loro la vista. Vedere la realt necessario per vivere senza farsi troppo

    male. Per salire rapidamente una scala al buio, non bene spiccare un poderoso balzo verso la

    rampa che scende!

    Il discorso di Ges una polemica con i capi del popolo, che per lex cieco non sono pi il

    modello da seguire. Ges qui mostra la diversit tra il suo ed il loro modo di agire: lui libera, d

    luce e vita, essi invece opprimono, depredano e tengono schiavo il gregge.

    Sullo sfondo del discorso c unimmagine familiare in Palestina. Il rapporto particolare chec tra gregge e pastore figura di quello tra re e popolo, simile a quello tra Dio e i suoi fedeli.

    lantica figura del re pastore, di Dio stesso come pastore (cf. Sal 23; Is 40,11).

    Abramo e i patriarchi erano pastori; Mos, Giosu e Davide sono chiamati pastori del

    popolo, guidato da loro in nome di Dio. La vita del pastore dipende dalle sue pecore e quella delle

    pecore dal loro pastore. Senza di lui esse sono in balia di fiere e predoni, senza alcuno che le

    conduca ai pascoli e alle acque.

    I profeti hanno parlato spesso dei capi del popolo come di pastori cattivi e infedeli. Sono deilupi, che usano i noti metodi della favola sul lupo e lagnello. La promessa dei profeti mantiene viva

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    lattesa di veri pastori, anzi di Dio stesso come pastore (cf. Ger 23,1-6; Zc 11,4-17; Ez 34,1ss; Sal

    23). Ges si presenta come il vero pastore, che conosce e fa il suo lavoro in favore delle pecore:

    mentre gli altri le fanno morire, lui d loro la vita, la sua stessa vita di Figlio.

    Il discorso si presenta come una progressiva rivelazione di Ges e della sua opera di Figlio

    per i fratelli.

    Si pu articolare il testo in due parti diseguali, ognuna delle quali contiene le parole di Ges

    e le reazioni di chi ascolta.

    La prima parte(vv. 1-6) un racconto simbolico, in cui si contrappone il pastore e il ladro.

    Il primo entra dalla porta, riconosciuto dal guardiano e dalle pecore che conoscono la sua voce; le

    chiama per nome, le espelle dal recinto e cammina davanti ad esse, che lo seguono. Il secondo

    evita la porta e sale da unaltra parte; ma le pecore non riconoscono la sua voce e non lo seguono,

    anzi, fuggono da lui. Si sottolinea che gli ascoltatori non capiscono. Infatti sono ciechi che credono

    di vedere (9,41); neppure ammettono che ci sia altro modo di agire rispetto al loro. Per chi invece,

    come il cieco nato, illuminato, il racconto chiaro.

    Nel recinto le pecore sono custodite di notte. Con Ges, luce del mondo (8,12), venuto il

    giorno (cf. 11,9s). Di giorno le pecore restano nellovile per essere munte e tosate, vendute o

    macellate; comunque languiscono e muoiono di fame e di sete. In altre parole: i capi tengono il

    popolo al chiuso, spogliato dei suoi beni e ucciso nella sua libert. Si comportano da briganti, non

    da rappresentanti dellunico pastore. Hanno ridotto il tempio stesso a luogo di mercato (cf. 2,16).

    Ges, il pastore vero, venuto a salvare i fratelli da questa schiavit, dando inizio ad un nuovo

    esodo; li espelle dal recinto del tempio e, camminando innanzi a loro, come JHWH nel primo

    esodo, li conduce ai pascoli della vita. Lazione dei capi, che hanno espulso il cieco guarito

    (9,34), diventa, per ironia divina, la stessa del Signore che espelle le sue pecore fuori dalle loro

    mani. Questespulsione un atto di nascita, come quello di Israele dallEgitto.

    C unorribile schiavit, la peggiore, che quella ideologica e religiosa (probabilmente la

    stessa cosa, che cambia solo abito). Ogni religione e ideologia che non rispetta luomo, perfino nellasua libert di sbagliare, anche contro Dio, soprattutto quando lo fa in suo nome. In ogni dialogo

    religioso la vera domanda teologica da porsi antropologica: mortifica o vivifica luomo? Il

    rispetto che si ha per luomo corrisponde alla verit o meno dellimmagine che si ha di Dio. Infatti

    accettare Dio, lAltro, significa in concreto accettare lalterit di ogni altro. In nome di Dio quali

    intolleranze e abomini contro lumanit, soprattutto contro la donna che, in una cultura maschilista,

    il primo altro, rimosso e negato! Maschio e femmina sono lalterit originaria. Negarla

    togliere alluomo la sua limmagine e somiglianza con Dio (Gen 1,27).

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    Pi che lateismo, forma antidolatrica di derivazione ebraico-cristiana, oggi il problema

    quale Dio si propone: uno che principio di ogni alterit nellamore, oppure uno che fagocita ogni

    altro e riduce tutto a nulla? Giustamente stato osservato un forte legame, anzi una specularit

    perfetta, che genera una guerra santa bilaterale, tra il Mac-Mondo della globalizzazione e il

    fondamentalismo religioso. Rende davvero un cattivo servizio a Dio e alluomo chi pensa che Dio e

    luomo siano come pensa lui!

    Nella seconda parte (vv. 7-22), Ges passa a un discorso in prima persona, dicendo: Io-

    Sono la porta, Io-Sono il pastore bello. Rivela progressivamente la sua identit, sempre in

    contrapposizione ai capi, che sono ladri, predoni e mercenari.

    Ges la porta delle pecore: attraverso di lui si accede ai pascoli della vita. In altre parole:

    ci fa uscire dalla schiavit della legge alla libert del Figlio (vv.7-10). Ci dona infatti la sua vita

    stessa vita di Figlio, rendendoci partecipi del suo rapporto di conoscenza e di amore con il Padre

    (vv. 11-15).

    Ma il Figlio non pastore solo di Israele : il salvatore del mondo (4,42). Il Signore non

    vuole fare un unico recinto in cui chiudere tutti come schiavi. Vuole invece tirar fuori gli uomini da

    ogni ovile per fare di tutti un popolo libero, abbattendo ogni steccato e inimicizia (cf. Ef 1,3ss; 2,14-

    18). Come Israele, cos anche gli altri uomini saranno da lui portati alla libert. Il nuovo popolo

    composto da persone libere, al di l di ogni recinzione religiosa e culturale (v. 16). Il Padre ama

    Ges, perch il Figlio che fa dono della sua vita ai fratelli. Questo il potere, libero e liberante,

    del Figlio, il comando ricevuto dal Padre (vv. 17-18): quello dellamore.

    Davanti alla sua rivelazione c, come sempre, una duplice reazione: gli uni lo dichiarano

    pazzo delirante, gli altri lo difendono come uno che apre gli occhi ai ciechi (vv. 19-21). la duplice

    reazione che avviene anche tra noi e dentro di noi che ascoltiamo.

    In questo capitolo la Parola vuol operare, nei capi che ascoltano e in noi che leggiamo, la

    stessa illuminazione del cieco: intende cambiare il falso modello di uomo che ci tiene schiavi della

    menzogna e della morte.Ges pastore in quanto agnello di Dio, che con la sua mitezza vince la violenza dei

    fratelli. Egli ci libera dai capi che ci tiranneggiano, e per di pi con il nostro consenso. Infatti

    seguiamo tutti il loro falso modello e ci riconosciamo in loro, invece di considerarli come dei malati

    di cui avere cura. Con lui cessa il sistema di violenza che, da Adamo e Caino in poi, ha regolato il

    nostro rapporto con il Padre e i fratelli: inizia il nuovo esodo, verso la libert del Figlio, che ama

    come amato.

    La Chiesa non prende come modello da imitare i vari pastori che schiavizzano luomo con ilpotere e la violenza. Segue il pastore bello, che non conosce altro potere che quello di servire, altra

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    violenza che quella di amare, altra ricchezza che quella di donare, altra vittoria che quella di

    perdonare. La neutralit che la chiesa dimostra nei vari conflitti, e giustamente quando non si tratta

    di prendere le difese del povero, deve venire solo da qui e non da palesi o occulti opportunismi.

    2. Lettura del testo

    v. 1:Amen, amen. Sono parole di rivelazione, con autorit divina.

    vi dico. Ges si rivolge ai farisei, pastori ciechi (cf. 9,39-41), per illuminarli.

    chi non entra per la porta nel recinto delle pecore . Nella Bibbia la parola recinto (in

    greco: aul) non indica lovile, ma il cortile, in genere del tempio o della tenda del convegno. Le

    pecore sono il popolo di Dio, tradizionalmente designato come suo gregge. Abbiamo gi trovato

    le pecore destinate al sacrificio, che Ges espelle dalla casa del Padre suo insieme ai buoi (2,14ss).

    Con esse si identifica pure il popolo di oppressi che giacciono nelle vicinanze della porta

    Pecoraia, da dove entravano le pecore per essere immolate nel tempio (5,2).

    Le pecore nel recinto stanno di notte. Quando viene il giorno, arriva il pastore, che le

    conduce fuori al pascolo, altrimenti muoiono di inedia.

    Ges rimprovera i capi del popolo, che gli stanno dinanzi, di non essere pastori: non entrano

    dalla porta. Come il serpente nel giardino, entrano subdolamente, aggirando e raggirando

    lintelligenza e la libert, che sono la porta delluomo verso Dio. Il loro potere sul popolo abusivo.

    Non rappresentano Dio: ne hanno usurpato il posto e fanno il contrario di lui.

    costui ladro e brigante. I capi del popolo hanno rubato a Dio il suo gregge: sono ladri. E

    sono briganti: opprimono ed esercitano violenza.

    Ladro Giuda, che si appropria di ci che appartiene a tutti (12,6). Brigante Barabba, che

    voleva vincere con la violenza (18,40; cf. Mc 14,7p). In realt un brigante fallito, perch non

    abbastanza potente da vincere chi ha il potere: un bandito diventato vittima, perch non riuscito

    a prendere il posto del capo, facendolo sua vittima.Il modello che regge la societ quello del ladro/brigante, impersonato dai capi. Ges,

    con il suo fango posto innanzi agli occhi del cieco, ha proposto un nuovo modello di uomo, a

    immagine di Dio: non ruba ma dona, non opprime n uccide ma d libert e vita.

    v. 2:chi invece entra per la porta pastore delle pecore . Il pastore, a differenza dei ladri e

    dei briganti, entra per la porta, perch di casa. Ai capi Ges oppone se stesso come pastore

    legittimo e unico: il pastore il Signore stesso (cf. Ez 34,11ss) e il suo Messia (Ez 34,23), che

    prende il suo posto, usurpato dai falsi pastori. La sua opera di liberazione consiste nellilluminarci:ci fa vedere la realt, mostrando quanto sono falsi i modelli di vita che ciecamente seguiamo.

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    v. 3: a lui il portiere apre. Limmagine significa che il pastore riconosciuto come tale.

    Ogni uomo riconosce ed apre il suo cuore alla libert, allamore e alla vita, che sa ben distinguere

    dalla schiavit, dallegoismo e dalla morte.

    le pecore ascoltano la sua voce . Il popolo oppresso riconosce chi gli propone una via di

    uscita. Lex cieco, che ha ascoltato il pastore, stato espulso dal tempio ed venuto alla luce.

    Anche Lazzaro udr la sua voce e uscir dalla tomba (11,43s). Il popolo, in quanto oppresso,

    sensibile alla voce della libert: quando si fa udire, la ascolta volentieri. Il modello delloppressore

    gli sempre come un paio di scarpe troppo strette, prese incautamente a prestito.

    chiama le proprie pecore per nome. Per ladri e briganti le vittime non hanno n volto n

    nome: una massa anonima da soggiogare e spogliare. Se pensassero di aver davanti persone come

    loro, agirebbero diversamente. Il che pu avvenire, eventualmente, quando capita loro, presto o

    tardi, di subire la stessa sorte. Per il pastore, invece, ogni pecora ha il suo nome: chiama ciascuna

    per nome, in un rapporto personale di amicizia. I pastori di Palestina, ai tempi di Ges, davano il

    nome alle pecore, come i nostri contadini lo davano alle mucche e noi oggi ai cani.

    le conduce fuori. Quando viene la luce, il pastore conduce le pecore fuori dal recinto. Ges

    luce del mondo, porta il popolo fuori dal recinto della legge e del tempio, per farlo camminare alla

    sua luce.

    v. 4: quando ha espulso tutte le proprie (pecore). Espellere ci che hanno fatto i capi

    con lex cieco (9,34.35) e con quanti hanno accolto il Messia (9,22; 15,21). Ges assume come

    propria lazione dei ladri/briganti e la capovolge: lespulsione dellex cieco da parte delle tenebre

    diventa la sua stessa azione che lo fa venire alla luce. Lex cieco il prototipo delle pecore che

    hanno raggiunto la libert, il primogenito dei molti fratelli che seguiranno.

    Giovanni ebreo, come la sua comunit. Vive il dramma dellespulsione dei cristiani dal

    popolo eletto e lo interpreta alla luce della croce di Ges. Essa rappresenta il sommo male, il

    peggiore che possa capitare; eppure il Signore ne ha fatto la salvezza per tutti, giudei compresi.

    Questi stanno tanto a cuore allevangelista, che indirizza il c.10 ai loro capi religiosi, perchriconoscano il pastore promesso. Solo in questa luce si possono leggere correttamente le polemiche

    antigiudaiche di Giovanni: sono violente e passionali come quelle dei profeti, testimonianza di un

    amore ferito che si ostina a proporsi, con forza pari alla resistenza che incontra.

    cammina davanti a loro. Come JHWH nellesodo, Ges guida il suo popolo verso la terra

    promessa.

    le pecore lo seguono. Infatti lui stesso la via che conduce alla vita (14,6): vive in pienezza

    lamore del Padre e dei fratelli.

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    riconoscono la sua voce. Come appena detto, si ripete che ogni uomo sa riconoscere la voce

    della verit da quella della menzogna. I falsi pastori ci opprimono con subdola menzogna e,

    alloccorrenza, con violenza, terrore e paura; il vero pastore ci rende liberi, capaci di amare e

    servire, di sperare e osare. Ognuno in grado di sentire la differenza tra le due voci.

    v. 5: un estraneo invece ecc. Le pecore, davanti al ladro e al brigante, hanno un

    atteggiamento opposto a quello che hanno davanti al pastore. Il giudizio sulla verit del pastore

    compiuto dalle pecore stesse, non dai sondaggi o dalle pressioni dei capi. Come lex cieco, ogni

    uomo preferisce la verit alla menzogna, la libert alla schiavit, la vita alla morte; a meno che sia

    ingannato e manipolato. Se segue cattivi maestri e pastori il ventesimo secolo ci offr straordinari

    esempi, diversi dai precedenti solo per la maggior capacit di nuocere; cosa ci riserver il nuovo? ,

    lo fa solo perch mentalmente clonato da chi detiene il potere e lo configura a propria immagine e

    somiglianza.

    non riconoscono la voce degli estranei. Luomo oggi cos estraniato da s, che Dio pare sia

    lunico estraneo. Ascoltiamo tutte le voci pi strane, ma non quella della coscienza; siamo sedotti

    da qualunque mercante ci voglia comprare, ma non da colui che ci ama di amore eterno.

    v. 6: questa similitudine disse Ges. Quanto Ges ha detto, pi che una parabola o metafora,

    uno specchio preciso dellatteggiamento dei capi del popolo. Sono cos ciechi che fanno

    esattamente il contrario di ci che bene, pensando che sia il meglio.

    ma quelli non capirono, ecc. Anche levidenza pu essere non vista. Dal cieco appunto! Se

    linteresse miope, il potere accieca: non fa vedere la realt, ma i propri deliri che purtroppo poi

    si realizzano, in una forma di pazzia cos contagiosa da diventare collettiva. Ci che Ges dice

    comprensibile a chi, come lex cieco, ormai fuori dalla cecit del consenso che il potere induce.

    Ne pu uscire chi ne subisce gli svantaggi; ma solo se apre gli occhi e sa resistere a inganni e ricatti

    di ogni tipo. Il fine dei vv. 1-6 convincere i farisei che, con la loro immagine di Dio e di uomo,

    sono ciechi dalla nascita: non hanno mai visto e non vedono ancora la differenza tra il pastore e il

    ladro/brigante. Il riconoscimento di questa cecit principio dilluminazione. Con il discorso chesegue, Ges pone davanti ai loro occhi il suo fango, il modello di uomo vero, perch, se vogliono

    ascoltare la sua Parola, possano aprire gli occhi e vedere. La narrazione del cieco, che diventa uomo

    libero, suscita in noi il desiderio di essere come lui. Infatti se tutti siamo ciechi, prima del racconto

    di uno che ci vede, neppure sappiamo di essere ciechi.

    v. 7:disse di nuovo Ges. Ges chiarisce quanto ha detto, ampliando la metafora della porta

    (vv 7-10) e del pastore (vv 11-18): mostra se stesso come porta di salvezza in quanto vero pastore.

    Ai capi, che hanno un falso modello di uomo, egli si presenta ora come il modello vero di uomo,a immagine del Dio vivente.

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    Io-Sono la porta delle pecore. Nel v. 1 Ges diceva che il ladro/brigante non passa dalla

    porta; ora dice: Io-Sono la porta, attraverso la quale le pecore possono uscire in libert e

    raggiungere la vita. Lui stesso infatti, Parola diventata carne, la porta tra terra e cielo. La porta

    dove il muro della prigione rotto. Chi chiuso dentro pu uscire; se non vuol uscire, brilla

    comunque ai suoi occhi la luce del giorno.

    La tradizione ha per lo pi applicato questa parola ai pastori: solo attraverso Ges, buon

    pastore, comportandosi come lui, hanno accesso legittimo alle pecore. Il tema per quello delle

    pecore che, attraverso lunico pastore legittimo, possono uscire dal recinto e vivere in libert.

    v. 8: tutti quelli che vennero prima di me, ladri sono e briganti . Chi vuol essere capo del

    popolo, un falso pastore; a meno che abbia come modello colui che ha lavato i piedi ai suoi

    discepoli. Salvo improbabili eccezioni, non pare che sia proprio cos. Il Pastore bello ci quanto sia

    brutto ci che consideriamo normale, anzi appetibile: il Figlio ci fa vedere come il nostro stare

    insieme sia latrocinio e brigantaggio, negazione della fraternit.

    I profeti hanno sempre denunciato lingiustizia e loppressione dei capi del popolo. Colpisce

    il fatto che tutti siano falsi pastori. Nessuno, infatti, prima di Ges, ha visto il Padre: da Adamo in

    poi, tutti abbiamo una falsa immagine di Dio e, quindi, un falso modello di uomo. Quello

    dominante, impersonato da re, sacerdoti e capi, proprio di chi si impone con violenza e, per

    giunta, si fa chiamare benefattore (cf. Lc 22,25), per coprire le sue malefatte. Grande il potere

    della parola, sia vera che menzognera. La differenza, non trascurabile, che la prima fa essere ci

    che , mentre la seconda fa apparire ci che non e riduce a nulla ci che .

    ma le pecore non li ascoltarono. Anche se il popolo ha introiettato il falso modello, tuttavia

    lo avverte come estraneo. Appena gli si propone la luce, subito viene alla luce, come lex cieco.

    v. 9:se uno entra attraverso di me, sar salvo . La salvezza non entrare nel tempio come

    pecore da macello, ma uscire con lui per entrare in lui, il Figlio, che ci d la vita e in abbondanza

    (cf. vv. 15-18). Egli infatti lintelligenza amorosa del Padre: salva la nostra umanit, aprendola

    alla luce della sua verit.entrer ed uscir. Questo entrare ed uscire si intende di solito come metafora della libert di

    entrare ed uscire dallovile. Ma Ges non propone di uscire dallovile per entrarci di nuovo, bens di

    entrare in lui, che la porta, per uscire definitivamente dalla schiavit. Si pu, quindi, intendere che

    chi entrer (in lui) uscir (dallovile), trovando finalmente cibo e acqua. Lui stesso infatti il

    pascolo del gregge, il vero pane di vita (6,33.35.48), che soddisfa ogni fame e sete (cf. 6,35).

    v. 10:il ladro non viene se non per rubare, immolare e distruggere. Quelli che non hanno

    lui come modello, vengono nel recinto solo per sfruttare e rubare le pecore, per immolarle nel loro

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    tempio e distruggerle. Per i capi religiosi il popolo un gregge su cui spadroneggiare, da sacrificare

    alla legge, di cui sono i padroni, oltre che le prime vittime.

    io venni perch abbiano vita e labbiano in abbondanza. Ges il pastore/agnello di Dio

    che toglie il peccato del mondo (1,29): venuto per liberare le pecore e dare loro la vita, la sua vita

    di Figlio. Sar quanto illustra la parabola del pastore bello.

    v. 11: Io-Sono il pastore bello. Dopo aver detto di essere la porta della salvezza, Ges si

    identifica con il pastore bello. Bello significa vero, autentico, buono, che sa fare il proprio

    lavoro; richiama per anche qualcosa di piacevole, di bello appunto. importante vederne la

    bellezza e provarne piacere. Questa bellezza salver il mondo, rendendoci spiacevole ci che

    riteniamo piacevole. Solo allora cambieremo pastore, perch luomo agisce sempre seguendo ci

    che pi gli piace, la delectatio victrix (S. Agostino).

    Ges non un, ma il pastore, il pastore modello, che si prende cura delle sue pecore. Si

    propone come tale perch espone (vv. 11-13), dispone (vv 14-16) e depone (vv 17-18) la propria

    vita in loro favore. Egli pastore in quanto agnello immolato e vittorioso, che guida il gregge alle

    fonti dellacqua di vita (Ap 7,17). il pastore promesso (Ez 34,1ss), il Signore stesso che si fa

    pastore (Sal 23). Lalternativa a seguire il pastore della vita avere come pastore la morte (Sal

    49,15). Cos fanno i perversi, che si vantano della loro ricchezza e in essa fanno consistere la loro

    vita (Sal 49,6s).

    espone la sua vita a favore delle pecore. Ora Ges fa vedere il suo modo di essere pastore:

    espone la sua vita a favore delle pecore. Pi avanti dir anche che dispone e depone per loro la sua

    vita. la bellezza dellamore che si mostra in azione! Questa espressione esce uguale ai vv.

    15.17.18. In greco non c il verbo dare (ddomi), come in 6,51, quando Ges promette che dar

    la sua carne da mangiare. C invece il verbo porre ( tthemi), che nei diversi contesti, con un

    procedimento caro a Giovanni, assume significati diversi. Nella traduzione abbiamo lasciato il

    verbo porre, con dei prefissi: qui Ges es-pone, al v. 15 dis-pone, ai vv. 17-18 de-pone la propria

    vita a favore delle pecore.Qui non si vuole dire che il pastore offre o d la sua vita nel senso che muore. Infatti, se

    muore, le pecore sono rapite e disperse. Si vuol dire che la prima caratteristica del pastore lamore

    e il coraggio impavido con cui difende le pecore: egli, a differenza del mercenario, es-pone per

    loro la sua vita ad ogni pericolo.

    v. 12:il mercenario e chi non pastore, al quale le pecore non appartengono . Per il pastore

    le pecore sono sue: gli appartengono e ne ha cura come della propria vita. Il mercenario, invece,

    preoccupato del suo salario: le pecore sono a servizio della sua vita, non lui della loro. Per questonon si es-pone: agisce per vile interesse (cf. 1Pt 5,2s). Nel momento del pericolo fugge da chi lo

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    ha seguito. Lidolo, dopo averci sedotti e spremuti, ci abbandona sempre nel momento del bisogno:

    non mantiene la promessa e delude la speranza riposta in lui.

    vede venire il lupo, ecc. Il lupo, nemico tradizionale del gregge, rappresenta le forze ostili

    del male. Ges stesso ha mandato i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi (cf. Lc 10,3). Ogni

    epoca ha i suoi lupi. Talora hanno nome e cognome. Ma per lo pi sono anonimi. Allora sono pi

    insidiosi: indicano la mentalit diffusa, il falso modello di uomo, la moda che serpeggia e fa

    strage allinterno del gregge.

    La venuta del lupo evidenzia chi pastore e chi mercenario, chi sa es-porre la propria vita e

    chi invece pensa solo a salvare se stesso.

    il lupo rapisce e disperde. Lazione di rapire e disperdere tipica del nemico, il diavolo:

    rapisce alluomo la sua verit e lo fa fuggire dalla sua vita. Egli fa il contrario del Figlio, che

    venuto per dare la vita e raccogliere tutti i dispersi (11,52), riunendoli a s e al Padre.

    Anche i discepoli, nellora del lupo, quando il pastore sar colpito, si disperderanno (Mc

    14,27p; cf. Zc 13,7).

    v. 13:perch mercenario e non gli interessa delle pecore . Latteggiamento del mercenario

    evidenzia per contrappunto quello del pastore bello. Davanti ai lupi, che hanno appena rinnovato

    la decisione di ucciderlo (8,59), Ges non abbandona i suoi e non fugge. Difende le sue pecore

    perch gli interessano (inter-esse = essere-dentro): le ha a cuore perch le ha nel cuore. Anche il

    mercenario ha un interesse; ma non sono le pecore, bens il vantaggio che ne trae. un prezzolato.

    v. 14:Io-Sono il pastore bello e conosco le mie e le mie conoscono me. Ges, dopo aver

    parlato del pastore bello in termini di coraggio, che gli fa esporre la propria vita, ora dice cosa

    dispone a favore delle sue pecore: mette a loro disposizione la sua stessa vita, che la conoscenza

    e lamore del Padre. C una conoscenza, unintimit, un amore reciproco tra pastore e pecore.

    Chiama ciascuna per nome (v. 3): Ti ho chiamato per nome; tu mi appartieni (...), sei prezioso ai

    miei occhi, sei degno di stima e io ti amo (Is 43,1.4). Linsieme delle pecore non un gregge:

    ognuna ha un rapporto personale con lui.v. 15:come il Padre conosce me e anchio conosco il Padre . Il rapporto di conoscenza e

    amore che c tra Ges e ciascuno di noi il medesimo che c tra il Padre e lui: Come il Padre

    am me, cos io amai voi (15,9). Lamore reciproco tra Padre e Figlio, il mistero che la loro

    stessa vita, il medesimo che circola tra noi e lui. Lespressione richiama il detto giovanneo di Lc

    10,21s, dove Ges danza di gioia perch la sua conoscenza reciproca con il Padre comunicata ai

    piccoli (cf. anche Mt 11,25-27).

    e dispongo la mia vita. Se al v. 11 il pastore es-pone, qui dis-pone della propria vita a favoredelle pecore: la mette a loro disposizione, la offre loro. Il verbo al presente, perch la sua vita ci

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    sempre offerta, qui ed ora. Il Figlio infatti non la tiene gelosamente per s: come la riceve cos la

    dona, come amato dal Padre cos ama i fratelli.

    a favore delle pecore. Giovanni non dice tanto che Ges muore al posto delle pecore,

    quanto che egli dona loro la sua stessa vita. Sottolinea la trasmissione della Gloria dal Figlio ai

    fratelli.

    v. 16:anche altre pecore ho che non sono di questo recinto. Questo recinto quello del

    tempio, in cui sta Israele. Ci sono altri recinti, religiosi o laici, che tengono schiavo luomo. Il

    Figlio ha fratelli non solo nel popolo di Dio, ma dovunque: tutto stato fatto per mezzo di lui

    (1,2s), luce e vita di ogni uomo (1,9), che figlio nel Figlio. Per questo il Padre ama il mondo

    (3,16) e il Figlio, salvatore (4,12) e luce del mondo (8,12), sar innalzato non solo per radunare i

    figli dispersi dIsraele, ma per tutti i popoli (11,52). Ges vuol condurre anche questi alla libert. Il

    suo gregge non una setta di eletti: ogni uomo figlio amato dal Padre, che lui non si vergogna di

    chiamare fratello (Eb 2,11).

    Il cristianesimo di sua natura universale (= cattolico): non esclude nessuno. Se si esclude

    qualcuno, si rinnega il Padre, che ama ciascuno, e il Figlio, che come il Padre. Per un cristiano

    non amare i nemici, o addirittura odiarli, negare Dio nella sua essenza di amore. un ateismo

    peggiore di quello di chi lo nega perch non lo conosce o lo misconosce, spesso a causa della nostra

    cattiva testimonianza. Lo stesso concetto di missione non ha nulla a che fare con il proselitismo:

    la spinta interiore dellamore del Figlio verso i fratelli (cf. 2Cor 5,14).

    anche quelle bisogna che io conduca. Bisogna richiama il dono della vita del Figlio

    delluomo innalzato. questo amore che lo fa pastore dei suoi fratelli: come ha espulso dal recinto

    del tempio quelli che sono chiusi dentro (v. 4), cos vuole condurre al pascolo della vita anche quelli

    che sono chiusi in altri recinti.

    ascolteranno la mia voce. La voce del Figlio, che chiama ciascuno per nome (v. 3), e che

    ciascuno nel suo cuore riconosce come vera (v. 4), rivolta a ogni uomo, perch gli fratello.

    diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Ges, mediante la sua croce, ha abbattutoogni muro di separazione tra gli uomini, per fare di tutti, vicini e lontani, un solo uomo (cf. Ef 2,14-

    22): il Figlio, mettendo la propria vita a disposizione di tutti gli uomini (cf. 11,52), ne fa un solo

    popolo di fratelli, un solo gregge.

    Ges dice un solo gregge e non un solo ovile, come spesso si dice. Il Figlio non

    venuto a fare un nuovo ovile, un recinto pi grande dove imprigionare possibilmente tutti; tira

    invece fuori i suoi fratelli da ogni gabbia, religiosa o meno, per farli vivere nella legge di libert (Gc

    2,12), che lamore e il servizio reciproco (Gal 5,13). Quanto facile fare edizioni aggiornate, epeggiorate, della proposta ecumenica di Ruggero Bacone, proprio oggi, che siamo un villaggio

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    globale. Egli scriveva: I greci ritorneranno nellobbedienza della chiesa romana, i tartari si

    convertiranno per la maggior parte alla fede, i saraceni saranno distrutti; e ci sar un solo gregge e

    un solo pastore.

    chiaro che lunione tra le chiese non deve essere un solo ovile che racchiuda le varie

    comunit, omologandole e omogeneizzandole. Il corpo di Cristo, vivente nella storia, sarebbe

    irriconoscibile, ridotto a un frullato orripilante: pi che un organismo bello e diversificato nelle sue

    membra, sarebbe una poltiglia indifferenziata, una brodaglia disgustosa.

    Lunione non deve neppure essere un conglomerato di diversi ovili, dove ognuno vuol

    semplicemente affermare la propria differenza sullaltro: sarebbero pur sempre ovili. In pi ci

    sarebbe un pullulare di rivalit e guerre sante, una disgregazione che divide le varie membra e fa

    morire ogni singola parte. Si passerebbe da un corpo di Cristo ridotto a un omogeneizzato

    nellunico ovile, a un suo smembrato in molti ovili.

    Il solo gregge, e non ovile la chiesa una, come il Signore la vuole , un popolo di

    persone libere, che hanno trovato in lui la loro verit di figli e vivono da fratelli. Questo popolo

    nuovo aperto a tutti: cattolico (=universale), globale. Rispetta per ogni differenza come

    luogo di intesa e di crescita. C infatti un solo Spirito che amore, un solo Signore che servo di

    tutti, un solo Dio che opera tutto in tutti; e ciascun membro, come in un unico corpo, mette la sua

    differenza a servizio delle altre membra (cf. 1Cor 12,1ss).

    Lunione tra le chiese e tra gli uomini la chiesa destinata al mondo! la stessa che si

    ritrova in Dio: nellunico amore reciproco, Padre e Figlio sono uno, nella distinzione di ciascuno

    (cf. v. 30; 17,20-23).

    Ges dice: un solo gregge, un solo pastore, non: un solo gregge e un solo pastore o: un

    solo gregge con un solo pastore. Pastore e gregge non sono distinti da congiungere con una e o

    da porre luno con laltro: c identificazione tra pastore e gregge. Infatti chi segue il Figlio

    diventa come lui: a chi accoglie la Parola dato il potere di diventare figlio di Dio (1,12). La

    pecora diventa come il pastore ed passata, come lui, dalla morte alla vita, perch in grado diporre la propria vita a favore dei fratelli (cf. 1Gv 3,14-16). Ogni pecora chiamata, a sua volta, a

    diventare pastore, come lagnello.

    v. 17:per questo il Padre mi ama, perch io depongo la mia vita per prenderla di nuovo. La

    stessa parola, che al v. 11 significa es-porre e al v. 15 dis-porre, qui significa de-porre. Ges

    depone la sua vita volontariamente. Il suo non un morire, ma un realizzare la propria esistenza

    come dono totale damore: pi forte della morte lamore (cf. Ct 8,6). Il suo deporre la vita ha

    come fine il riceverla di nuovo. Ges, dando la vita, la riceve in pienezza: uguale al Padre perchnon solo si sa amato, ma ama i fratelli con il suo stesso amore. In lui la vita diventa ci che :

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    circolazione viva damore, dono ricevuto e dato. Per questo il Figlio diletto, compimento perfetto

    dellamore del Padre.

    v. 18: nessuno la toglie da me, ecc. Nessuno pu togliere la vita a colui che vita di tutto

    (1,3c.4). Egli la depone, mettendola a nostra disposizione, con un atto libero damore.

    ho il potere di deporla e prenderla di nuovo. La vita amore: si realizza nel dono di s. Il

    potere del Figlio lo stesso del Padre: quello di amare. La croce in Giovanni vista non come

    sconfitta, ma come Gloria, manifestazione del Dio amore, che di sua natura si dona.

    questo comando ho preso dal Padre mio. Il Figlio ha dal Padre un unico comando: quello di

    dare la vita come la riceve, di amare come amato. Sar il comando che presto dar ai suoi

    discepoli (cf. 13,34), per farli partecipi della sua vita (cf. 1Gv 3,14-16).

    La vita la perdiamo comunque. Ma non un vuoto a perdere, da riempire il pi possibile di

    cose che pure andranno perse. un vuoto da rendere, svuotato il pi possibile dallegoismo perch

    si riempia damore. In questo senso chi depone la vita, la prende di nuovo: chi la perde, la salva.

    v. 19:ci fu di nuovo una divisione tra i giudei, ecc. La sua parola di amore, invece di unire,

    paradossalmente produce uno scisma: c chi laccetta e chi la rifiuta. Ma anche chi la rifiuta

    accettato; perch lamore, anche se crocifisso, non pu rifiutare di amare.

    v. 20: dicevano molti di loro: ha un demonio e delira (cf. 7,20; 8,48.52). Chi rifiuta il dono,

    considera pazzesca la sua parola, addirittura diabolica. Quanto Ges dice non la stessa proposta

    del serpente: Sarete come Dio (Gen 3,5)?

    perch lo ascoltate? I capi del popolo non vogliono che le pecore ascoltino il pastore bello e

    ne accolgano la proposta.

    v. 21:altri dicevano: queste parole non sono di un indemoniato, ecc . Tra il coro dei molti

    non c mai unanimit: ci sono sempre altri, che mettono in crisi la propria posizione. Per loro le

    parole di Ges non sono deliramenti; sono anzi parole di verit, che aprono gli occhi ai ciechi.

    Questi altri sono coloro che, al sopraggiungere della luce, si sono scoperti ciechi e si sono lasciati

    illuminare.Il pastore bello venuto a guarirci dalla nostra cecit su Dio e su noi stessi: il suo fango

    vuol farci venire alla luce e nascere dallalto, dallacqua e dallo Spirito. Lex cieco del c. 9, seguito

    da questi altri, il modello delluomo libero, quale Ges vuol rendere ciascuno della massa di

    infermi, ciechi, zoppi ed essiccati, che stanno rinchiusi nella piscina di Bethzath, presso la porta

    delle Pecore (5,2).

    3. Pregare il testo

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    a. Entro in preghiera come al solito.

    b. Mi raccolgo immaginando Ges, davanti allex cieco e ad alcuni farisei, che racconta queste

    parabole.

    c. Chiedo ci che voglio: vedere la bellezza del vero pastore, essere come lex cieco che accoglie il

    suo invito, non come quei farisei che preferiscono restare nelle tenebre.

    d. Traendone frutto, medito sulle parole di Ges: mi presentano due modelli di uomo, perch io

    veda la differenza tra ci che d vita e ci che d morte, scegliendo di conseguenza.

    Da notare:

    il recinto delle pecore

    il pastore entra per la porta

    il ladro/brigante non entra dalla porta

    il pastore riconosciuto dal portiere e dalle pecore

    il pastore conosce e chiama ogni pecora per nome

    le conduce fuori dal recinto

    cammina davanti alle pecore, che lo seguono, perch riconoscono la sua voce

    le pecore non seguono lestraneo e fuggono da lui perch non conoscono la sua voce

    Io-Sono la porta delle pecore

    chi passa attraverso di me, sar salvo

    io venni perch abbiano vita e labbiano in abbondanza

    Io-Sono il pastore bello

    il mercenario, davanti al lupo, abbandona le pecore e fugge

    il pastore bello espone, dispone e depone la propria vita a favore delle pecore

    il pastore bello offre la sua stessa vita, che lamore reciproco tra Figlio e Padre

    conosco le mie pecore e le mie conoscono me, come il Padre conosce me e anchio

    conosco il Padre

    ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle bisogna che io conduca

    ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore

    Ges il Figlio perch ha lo stesso potere del Padre: deporre la vita e riprenderla

    liberamente

    il comando di Ges: amare come amato

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    le sue parole ci dividono: se le rifiutiamo siamo ciechi, se le accogliamo veniamo alla

    luce.

    4. Testi utili

    Sal 23; 37; 49; 73; Ger 23,1-6; Ez 34,1ss; Zc 11,4-7; Lc 15,4-7; Gv 17,1ss; 1Cor 12,1ss; Ap 5,1-11.

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    27.IO E IL PADRE SIAMO UNO

    10, 22 - 42

    10,22 Ci fu allora la (festa della ) Dedicazione a Gerusalemme.Era inverno

    23 e Ges passeggiava nel tempio

    nel portico di Salomone.

    24 Allora lo circondarono i giudei

    e gli dicevano:

    Fino a quando ci togli la vita?

    Se tu sei il Cristo,diccelo con franchezza.

    25 Rispose loro Ges:

    Ve lo dissi

    e non credete.

    Le opere che io faccio

    nel nome del Padre mio,

    queste testimoniano di me.

    26 Ma voi non credete,

    perch non siete mie pecore.

    27 Le mie pecore ascoltano la mia voce

    e io le conosco

    e mi seguono;

    28 io do loro vita eterna

    e non periranno nei secoli,

    n alcuno le rapir

    dalla mia mano.

    29 Il Padre mio,

    riguardo a ci che mi ha dato,

    pi grande di tutti

    e nessuno pu rapire

    dalla mano del Padre.

    30 Io e il Padre siamo uno.

    31 Portarono di nuovo pietre i giudei

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    per lapidarlo.

    32 Rispose loro Ges:

    Molte opere belle vi ho mostrato dal Padre:

    per quale opera di quelle mi lapidate?

    33 Gli risposero i giudei:

    Non ti lapidiamo

    per unopera bella

    ma per una bestemmia:

    che tu, essendo uomo,

    ti fai Dio!

    34 Rispose loro Ges:

    Non scritto nella vostra legge:

    Io dissi: Siete di?

    35 Se disse di coloro

    ai quali fu (rivolta) la parola di Dio

    e non si pu sciogliere la Scrittura

    36 colui che il Padre

    santific

    e invi nel mondo,

    voi dite:

    Bestemmia!

    perch dissi:

    Sono Figlio di Dio?

    37 Se non faccio le opere del Padre mio,

    non credetemi;

    38 ma se (le) faccioe non credete a me,

    credete alle opere,

    affinch sappiate e riconosciate

    che il Padre () in me

    e io (sono) nel Padre.

    39 [Allora] cercarono di nuovo

    di catturarlo;e usc dalle loro mani.

  • 7/28/2019 Silvano Fausti - Giovanni Cc. 10-16

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    40 E and di nuovo al di l del Giordano

    nel luogo dove prima Giovanni battezzava

    e dimor l.

    41 E molti vennero a lui

    e dicevano:

    Giovanni non fece alcuno segno;

    ma tutte quelle cose,

    che Giovanni disse di costui,

    sono vere.

    42 E l molti credettero in lui.

    1. Messaggio nel contesto

    Io e il Padre siamo uno, risponde Ges agli avversari che gli fanno linterrogatorio. Dopo

    lilluminazione di chi venuto alla luce, c il giudizio delle tenebre contro il Figlio delluomo, luce

    del mondo (8,12). Alla fine lo eleveranno sul lucerniere, da dove splender in tutto il suo fulgore,

    facendo conoscere Io-Sono (8,28) e attirando tutti a s (12,32). Anche chi cieco capisce bene le

    sue affermazioni e lo accusa: Tu, essendo uomo, ti fai Dio (v. 33).

    Il processo a Ges, iniziato nella sua prima venuta nel tempio (2,13ss), condotto avanti nella

    seconda con la volont di ucciderlo (5,1-18), sviluppato nella terza in una lunga sezione (7,1-10,21),

    culmina in questa quarta venuta, in cui si formula il motivo della condanna. La decisione di

    ucciderlo o di catturarlo non pu ancora essere eseguita (vv. 31.39). Sar sentenziata dal sommo

    sacerdote in 11,50 e richiamata in 18,14, quando Ges comparir davanti a lui.

    Giovanni mette a questo punto linterrogatorio sullidentit di Ges che gli altri vangeli

    pongono davanti al Sinedrio (cf. Mc 14,53-64p), con particolari assonanze con Lc 22,67-71.

    Giovanni non riferisce il processo davanti al Sinedrio, perch presenta tutta la vita di Ges come un

    processo. Allo stesso modo non racconta la trasfigurazione, perch legge tutto alla luce della

    trasfigurazione. Il suo vangelo , dallinizio alla fine, un processo: il processo delluomo che

    accoglie o rifiuta la Parola che lo fa diventare figlio di Dio. il dramma delluomo; ma anche di

    Dio, che gli Padre. Nel giudizio che noi facciamo su Ges, il Figlio, dato il giudizio che noi

    facciamo su noi stessi. Luccisione, che di lui decretiamo ed eseguiamo, svela quella violenza che

    nel nostro cuore, la quale decreta ed esegue la nostra condanna, uccidendoci nella nostra verit di

    figli e fratelli. La sua uccisione per ci salva. Egli infatti pastore in quanto agnello che toglie ilmale del mondo (1,29).

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    Siamo allultimo incontro/scontro tra Ges e i giudei, tra il Figlio e il nostro non volergli

    essere fratelli. Avviene dinverno, nella freddezza, anzi nella tempesta che prelude la passione. Il

    destino di Ges, gi segnato dallinizio, voluto e preordinato da lui stesso, che prende liniziativa.

    Anticipando a questo punto i capi daccusa, levangelista mostra con chiarezza il motivo della sua

    condanna. Il processo il luogo di testimonianza della verit! La verit di Ges il suo essere

    Cristo e Figlio di Dio, il suo essere Cristo in quanto Figlio di Dio. Sar ucciso perch presenta un

    Cristo e un Dio altro da quello che noi pensiamo.

    Si pensava allora, e si penser anche in seguito, a Dio e al suo Messia come a qualcuno che

    si impone su tutti, con una forza capace di vincere ogni potere avverso, compresa la malattia e la

    morte. Ges presenta un Dio e un Messia che non corrisponde alle nostre attese e ai nostri timori:

    Signore in quanto servo, pastore in quanto mite agnello, salvatore in quanto d la vita. Ci salva

    mostrando chi Dio per noi e chi siamo noi per lui: Dio Padre che ama e noi suoi figli amati nel

    Figlio, che si fa nostro fratello, nonostante ogni nostra resistenza o rifiuto.

    Le nostre idee sul Messia e sulla salvezza sono ambigue come le nostre concezioni di vita e

    di morte, di Dio e di uomo. Da qui il segreto messianico, comune a tutti i vangeli e tematizzato

    espressamente da Marco. La stessa funzione hanno gli equivoci giovannei. Il Signore infatti compie

    le sue promesse, non le nostre attese.

    Ges riprende qui delle immagini del brano precedente: le pecore, la conoscenza reciproca,

    lunione con il Padre, il dare la vita, il rubare, il non ascoltare la voce, il seguire e ascoltare la voce.

    Il luogo ancora il tempio, il tempo una festa che richiama quella delle Capanne (7,1ss). infatti

    la hanukkh, che celebra la riconsacrazione del nuovo tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la

    profanazione. Ges passeggia liberamente nel portico di Salomone, che corre lungo la facciata

    orientale del grande cortile esterno del tempio. Si trova nella casa del Padre suo, che i suoi avversari

    distruggeranno e che lui rinnover dopo tre giorni (cf. 2,13-22). Qui dir che lui stesso la casa del

    Padre, come il Padre la casa del Figlio (v. 38). Egli infatti il nuovo tempio, il vero pastore, il

    Signore stesso che conduce le sue pecore al pascolo della vita, e della vita in abbondanza. Offre,infatti, a tutti di partecipare alla sua vita di Figlio.

    Il testo, che inizia nel tempio, termina al di l del Giordano (v. 40), dove Ges era apparso

    allinizio (1,28ss). Qui le folle riconoscono che vero quanto Giovanni aveva detto di lui (vv. 41s;

    cf. 1,20-36). Si chiude cos il cerchio della sua attivit di Figlio, accreditata dal Padre con i segni

    che ha compiuto. Levangelista li ha raccontati perch noi crediamo che Ges il Cristo, il Figlio di

    Dio e perch, credendo, abbiamo la vita nel suo nome (20,30s).

    Tra la cornice di un tempo e un luogo determinato festa della Dedicazione e tempio (vv.22-23) e di un tempo e luogo indeterminato, dove Ges dimora ed riconosciuto (vv. 40-42), c

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    il suo processo diviso in due parti (vv. 24-31.32-39), ognuna delle quali sfocia nella volont omicida

    degli ascoltatori (vv. 31.39). Le due parti riguardano lidentit di Ges, rispettivamente come

    Messia e Figlio di Dio. Siamo al nocciolo della fede cristiana.

    La prima parte inizia con una provocazione a Ges perch dica con chiarezza se il Messia.

    Egli risponde che lha gi detto, ma non vogliono credergli. Le sue opere e parole il rinnovo

    dellalleanza e del tempio (c. 2), la nascita dallalto (c. 3), il dono dellacqua viva e della vita (c. 4),

    la guarigione dalla paralisi (c. 5), il dono della manna (c. 6), dello Spirito (c. 7), della verit che ci

    fa liberi (c. 8) e della luce (c. 9) lo mostrano come Messia (vv. 24-31). lui il pastore, il Signore

    stesso che viene a prendersi cura del suo popolo (10,1-21).

    La seconda parte una provocazione di Ges a riconoscerlo come Figlio di Dio (vv. 32-39).

    Egli apre lattesa messianica a una prospettiva inaudita: il Messia il Figlio stesso di Dio, la

    salvezza che porta il dono della sua vita. Il sogno di Adamo, diventare come Dio (Gen 3,5), il

    dono che Dio vuole fargli. Ma la mano, chiusa nel tentativo di rapirlo, non in grado di accoglierlo.

    C un crescendo nella storia del male: se il padre Adamo neg il Padre e suo figlio Caino uccise il

    fratello, i suoi discendenti uccideranno il Figlio che si fa loro fratello. Ci che suona come

    bestemmia (v. 33) la verit di Dio: Dio amore e Ges verr ucciso in quanto Figlio che ama i

    fratelli con lo stesso amore del Padre.

    Ges testimonia la verit della sua rivelazione attraverso le Scritture e le sue opere, che lo

    manifestano come Figlio di Dio, che nel Padre come il Padre in lui (vv. 34-39). Siamo al

    culmine della sua rivelazione. A noi accoglierlo o rifiutarlo, ucciderlo o credere in lui.

    Ges il Cristo e il Figlio di Dio. Cristo in quanto Figlio: libera la nostra libert

    rivelandoci che Dio Padre amante e noi suoi figli amati. Sar ucciso perch si proclama Figlio; ma

    proprio in quanto ucciso, offrendo la vita per noi, rivela la gloria di Dio e salva ogni uomo.

    La Chiesa ha come centro della propria fede ci che per i religiosi scandalo e bestemmia:

    un Dio che ama luomo, si fa suo simile e gli dona la propria vita.

    2. Lettura del testo

    v. 22: Ci fu allora la (festa della) Dedicazione. La festa ricorda la consacrazione del tempio ad

    opera di Giuda Maccabeo dopo la profanazione di Antioco Epifane. la hanukkh (consacrazione),

    detta in greco egkaina (rinnovazione) perch la ri-consacrazione del tempio. una festa simile a

    quella delle Capanne, collegata alla consacrazione del primo tempio di Salomone, nella quale

    Giovanni situa il suo racconto da 7,1 a 10,21. Anche se le due feste vengono a distanza di tre mesi,nel racconto si passa direttamente dalluna allaltra.

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    era inverno. La hanukkh cade a met dicembre: la festa invernale delle luci. Linverno la

    stagione morta, senza vita, con tempo brutto e burrascoso. In questo clima gelido si svolge il

    processo a Ges, che porter alla decisione di ucciderlo. Deve passare ancora una brutta stagione

    prima che i fiori appaiano nei campi e la voce della tortora, insieme a quella del diletto, si faccia

    udire nella gioia di pasqua (cf. Ct 2,10-13).

    v. 23: Ges passeggiava nel tempio. Qui, a pi riprese, hanno cercato di catturarlo

    (7,30.32.44; 8,20), di lapidarlo o ucciderlo (7,1.19.25; 8,37.40.59). nella casa del Padre suo (2,16)

    e vi passeggia in libert. Alla fine del processo ne uscir, sfuggendo alle loro mani (v.39). Nella

    festa della rinnovazione del tempio sar decisa la distruzione di quel tempio che lui ricostruir dopo

    tre giorni, come disse nella sua prima visita al tempio (2,13-22).

    v. 24:lo circondarono i giudei. Richiama il Sal 22,17, dove i nemici circondano il Messia.

    accerchiato, senza scampo, come vittima designata. lultimo scontro tra Ges e i suoi nemici

    prima della passione. Come al solito in Giovanni, i giudei non sono il popolo dIsraele, ma i suoi

    capi, che non hanno accettato la testimonianza di Ges e si oppongono a lui e ai suoi discepoli.

    fino a quando ci togli la vita? Il pastore, che pone la sua vita a vantaggio delle pecore (cf.

    brano precedente), accusato di togliere la vita. Lespressione, carica di significato nel contesto,

    vuol dire: togliere il fiato, non lasciar vivere, lasciare in sospeso, in dubbio mortale. Effettivamente,

    se Ges il Messia, devono morire le false attese dei capi. Devono anzi morire loro stessi come

    capi.

    se tu sei il Cristo, diccelo. la stessa domanda che negli altri vangeli posta nel processo

    davanti al Sinedrio (Lc 22,67a; cf. Mc 14,61; Mt 26,63). Nei discorsi precedenti Ges si rivelato

    come il Cristo, il pastore promesso, anzi Dio stesso pastore del suo gregge. Ma la sua rivelazione

    scandalo e follia: pastore in quanto ucciso dai sapienti, Signore in quanto crocifisso dai potenti

    (1Cor 1,23). Se questo il pastore, i capi del popolo sono i ladri e briganti, ai quali Dio venuto a

    strappare di mano il suo gregge (cf. Ez 34).

    con franchezza. Provocano Ges a dichiararsi apertamente Messia per poterlo accusaredavanti ai romani, che non erano teneri con chi coltivava aspirazioni messianiche. La domanda ha

    lo stesso scopo di quella del tributo a Cesare (cf. Mc 12,13-17p). Ges finora si rivelato con

    franchezza solo alla Samaritana (4,25s), che, dopo aver scoperto la sua sete, era disposta a credere;

    si fatto vedere anche dallex cieco, perch illuminato.

    v. 25:ve lo dissi e non credete. la medesima risposta che Ges d in Lc 22,67b davanti al

    Sinedrio. Quanto egli ha fatto e detto, e levangelista ha raccontato, ha infatti un unico scopo: che

    noi crediamo che lui il Cristo, il Figlio di Dio (20,30s). Ma quelli che gli stanno davanti non

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    possono vedere e credere: sono infatti ciechi che credono di vedere (9,40s). Altrimenti non

    avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1Cor 2,8).

    le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste testimoniano di me . La risposta di

    Ges centrata sulle opere che compie nel nome del Padre suo. Lultima sua opera stata quella

    di aprirci gli occhi per farci venire alla luce. Per luomo, depositario della Parola, determinante

    vedere la realt, conoscere la verit, perch in lui tutto il creato venga alla propria luce e

    raggiunga il suo senso pieno. Tra poco compir anche lopera di dare la vita a Lazzaro, il morto.

    Sono le sue azioni che parlano in suo favore.

    Il criterio per riconoscere che la sua azione da Dio, il fatto che ci apre gli occhi, dandoci

    vita e libert. sbagliato dire che si crede alla sola Parola, per pura fede. Ogni parola esprime

    sempre un evento, colto nel suo significato: non altro che la realt in quanto capita e comunicata.

    La parola di Ges fa leggere le sue opere come segno di quel Dio che d luce, vita e libert. Sono

    esse che testimoniano di lui come Messia.

    v. 26:voi non credete, perch non siete mie pecore . I suoi avversari non possono credere in

    lui: non seguono lui, il pastore bello, ma un altro pastore, la morte. Credere o meno non una

    questione teorica, ma pratica: un atto di libert nostra, in cui decidiamo quale fondamento

    scegliere per la nostra esistenza. Luomo comunque vive di fede e crede in ci a cui affida la sua

    vita, si tratti di cose, idee o persone. Se non si affida a chi d la vita, si affida ai suoi idoli, che gliela

    tolgono (cf. Sal 115).

    Ma il Figlio non taglia il dialogo con i fratelli: anche chi non crede chiamato a seguirlo.

    Tutti infatti siamo suoi, predestinati a essere figli nel Figlio. Da 9,41 Ges si sta esplicitamente

    rivolgendo a chi non crede, perch veda la propria cecit e desideri la luce. il pastore bello che va

    in cerca della pecora smarrita.

    v. 27:le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono . un aggancio al

    discorso precedente sul pastore (vv. 1-21). Anche gli avversari sono chiamati ad ascoltare la sua

    voce. Sta parlando proprio a loro.v. 28: io do loro vita eterna e non periranno nei secoli. Chi crede nel Figlio mandato dal

    Padre, ha vita eterna (3,16): la sua stessa vita di Figlio, che egli venuto a mettere a disposizione di

    tutti, perch non perisca niente di ci che il Padre gli ha dato (6,39). una vita che vince la morte

    (cf. 8,51), una fonte di acqua zampillante (4,14), offerta a chiunque ha sete e viene a lui (7,37s).

    n alcuno le rapir dalla mia mano. La mano indica la forza, il potere, la capacit di agire.

    Il pastore bello rassicura le sue pecore: la sua mano, che la stessa del Padre, le difende

    efficacemente da ladri, briganti e lupi. Ges, proprio mentre in preda ai nemici suoi e del gregge,rinfranca i discepoli. Subiranno scandalo dalla sua morte e dalle difficolt che incontreranno (cf.

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    13,36-38): Percuoter il pastore e le pecore saranno disperse (Mc 14,27). Ma il risorto le riunir

    dopo pasqua. Allora capiranno che la sua mano onnipotente in quanto inchiodata al legno della

    croce.

    v.29: il Padre mio, riguardo a ci che mi ha dato, pi grande di tutti . I manoscritti

    presentano di questa frase quattro varianti principali, dovute al genere neutro o maschile del

    pronome (h oppure hs) e dellaggettivo pi grande (me_zon oppure mezn). Ci significa che

    allorigine cera un testo di difficile comprensione, che si cercato di interpretare. Abbiamo

    presentato la lezione pi difficile, col pronome al neutro e laggettivo al maschile, che meglio si

    accorda a ci che segue. Unaltra lezione, col pronome e laggettivo concordati al maschile, che ben

    si accorda al contesto e pu essere una semplificazione intelligente, suona cos: Il Padre mio, che

    mi ha dato (le pecore), pi grande di tutti. Una terza lezione, col pronome e laggettivo

    armonizzati al neutro: Ci che il Padre mio mi ha dato, pi grande di tutto non si adatta bene al

    senso. Infine, una quarta, col pronome al maschile e il predicato al neutro, si potrebbe tradurre: Il

    Padre mio, che mi ha dato (le pecore), (qualcosa di) pi grande di tutto. Il significato di fondo

    rimane comunque invariato: il potere del Padre e del Figlio a favore delle pecore superiore a

    quello di ogni ladro e brigante.

    e nessuno pu rapire dalla mano del Padre. Prima si parlava della mano del Figlio, ora di

    quella del Padre, per concludere subito dopo che Padre e Figlio sono uno. Per questo il loro potere

    il medesimo: quello di Dio, amore pi forte della stessa morte.

    v. 30:io e il Padre siamo uno. il culmine della rivelazione di Ges. Corrisponde alla sua

    affermazione sul Figlio delluomo che siede alla destra della potenza di Dio (Lc 22,69). Il Padre

    e il Figlio sono piena comunione damore, un unico essere e agire, capire e volere. il mistero di

    Dio che uno, ma non solo: perfetta unit damore tra Padre e Figlio. A chi gli aveva chiesto se

    il Cristo, Ges risponde che lo , ma in modo altro: lAltro, Dio stesso, il Figlio che una cosa

    sola con il Padre.

    v. 31:portarono di nuovo pietre i giudei per lapidarlo. Ges sar ucciso in quanto Figlio diDio, portando su di s il nostro peccato, che quello di aver ucciso il nostro essere figli del Padre.

    v. 32:rispose loro Ges. La scena volutamente strana. Invece di sottrarsi alla lapidazione,

    Ges, con impassibilit divina, si mette a parlare. Il suo un discorso di autodifesa, fondato sulle

    opere che giustificano le sue parole.

    molte opere belle vi ho mostrato dal Padre . Le opere belle di Ges sono quelle di rifare la

    creazione come era al principio, di salvare il mondo dalla morte. Lopera di Dio creazione e

    liberazione continua; e ci che il Padre opera, anche il Figlio opera (5,17). Ges non rispondeaccampando privilegi: d come credenziali del suo essere Figlio le proprie opere a favore dei

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    fratelli. E lopera bella, per eccellenza, si va compiendo adesso: d la sua vita a vantaggio di chi lo

    vuole lapidare.

    Il processo contro Ges diventa un processo contro i suoi avversari, che culmina nel loro

    peccato e nel suo dono.

    per quale opera di quelle mi lapidate? Ges ucciso perch fa il bene: Non ha fatto nulla

    di fuori posto (cf. Lc 23,14s.41b.47). Altrimenti non potrebbe essere lagnello che toglie il peccato

    del mondo (1,29).

    v. 33:non per unopera bella, ma per una bestemmia. Ges non ucciso per le sue opere o

    per la violazione del sabato (cf. 5,15ss), ma per la sua pretesa di essere Figlio di Dio, definita qui

    bestemmia. Il cristianesimo effettivamente una bestemmia, la pi grande blasfemia che orecchio

    pio, di qualsiasi religione, possa udire.

    tu, essendo uomo, ti fai Dio. Si esprime laccusa, gi formulata in 5,18. La sua bestemmia

    consiste nel fatto che uomo e si proclama Dio. Non questa somma empiet (cf. Gen 3,5)?

    Luomo Ges Dio; anzi, pi precisamente, Dio luomo Ges! La sua umanit ci rivela un Dio

    totalmente diverso da quello che le religioni professano e che gli atei negano. Ci che per ogni

    religione suona bestemmia, lessenza del cristianesimo ed la salvezza delluomo. Tutte le

    opere di Ges, soprattutto quella di deporre la vita a favore dei fratelli, lo rivelano come il Figlio

    che ama con lo stesso amore del Padre. Se Ges non fosse Figlio di Dio, sarebbe il pi grande

    impostore della storia. Ma se lui Figlio di Dio, la pi grande impostura della storia lidea che noi

    tutti abbiamo di Dio. In nome del dio che immaginiamo, togliamo la vita allunico che d la vita!

    Il nostro peccato non fu quello di aver pensato di diventare come Dio, ma quello di far

    diventare Dio come lo pensiamo noi: un dio di schiavit e di morte, geloso della libert e della vita

    alluomo. Il male non che luomo sia come Dio, ma che Dio sia come luomo lha pensato. Il

    Figlio delluomo ha fatto piazza pulita di ogni falsa immagine di Dio e di uomo, rivelandoci quel

    Dio che amore di Padre verso il Figlio.

    v. 34:rispose Ges. La risposta di Ges si articola in due tappe: i vv. 34-36 argomentanodalla Scrittura, i vv. 37-38 dalle opere.

    non scritto nella vostra legge. Per legge si intende tutto lAT. Ges dice vostra non

    perch non la ritenga anche sua, ma perch essi se ne ritengono gli interpreti autorizzati. Proprio la

    legge parla di lui: Se credeste infatti a Mos, credereste anche a me, perch di me ha scritto

    (5,46). Le Scritture infatti gli rendono testimonianza (cf. 5,39).

    io dissi: Siete di,ecc. (Sal 82,6). Qui Ges, usando il metodo dei rabbini, leva dal contesto

    unaffermazione del Sal 82,6 e la applica alla sua situazione, con unallusione a Es 7,1 LXX, doveDio dice a Mos che, con i segni che compir, lha fatto dio sul faraone. Il suo ragionamento a

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    fortiori: se sono di e figli di Dio quelli che ricevono la parola di Dio, a maggior ragione sar Dio

    e Figlio di Dio colui che la Parola e compie opere superiori a quelle dello stesso Mos.

    v. 36: colui che il Padre santific e invi nel mondo . Il Padre santific Ges con il suo

    Spirito (cf. 1,32-34): il Figlio inviato nel mondo per salvarlo (3,17). Colui che da sempre rivolto

    verso il seno del Padre, diventato carne per rivolgersi ai fratelli e narrare loro il mistero di quel

    Dio che nessuno mai ha visto (1,18).

    voi dite: bestemmia. Ci che i suoi avversari ritengono una bestemmia, la rivelazione

    stessa di Dio, che nel Figlio manifesta agli uomini il suo vero volto. Con Ges messa in crisi ogni

    immagine religiosa di Dio e del suo rapporto con luomo. Ci che riteniamo devozione, empiet;

    ci che riteniamo bestemmia, conoscenza vera di Dio e delluomo. La sua croce, frutto di questa

    bestemmia, la distanza infinita che Dio ha posto tra s e ogni idolo. Il peccato delluomo, religioso

    o empio, sempre lidolatria. Un Dio crocifisso, crocifisso dalluomo e per luomo, il grande

    mistero che rivela Dio.

    sono Figlio di Dio. Ges non dice: sono il Figlio di Dio, perch il Figlio di Dio, nel

    linguaggio di allora, poteva significare il Messia; Ges ha gi affermato al v. 25 di essere il

    Messia. Ora rivela che lui il Messia salvatore in quanto unigenito Figlio di Dio. Dicendo di essere

    Figlio di Dio, intende attribuire a s, come ogni figlio, la stessa natura del Padre: realmente uguale

    a lui.

    v. 37: se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi. Ges ritorna ancora

    sullargomento delle opere (v. 25): si pu credere alla sua Parola solo perch corrisponde alle opere.

    v. 38:ma se (le) faccio e non credete a me, credete alle opere . Ges ritiene che le sue opere

    siano motivo sufficiente per credere: sono infatti il segno che d del suo essere Figlio, sono la

    rivelazione del Padre. Lagire manifesta lessere.

    affinch sappiate e riconosciate. La fede un sapere e riconoscere che il Figlio nel Padre

    e il Padre nel Figlio.

    che il Padre () in me e io (sono) nel Padre . Il Padre in me significa che il Figlio dimora del Padre; io sono nel Padre significa che il Padre dimora del Figlio. Come fa uno a

    dimorare nellaltro e viceversa? Uno sta di casa dove sta col cuore: abita dove ama e dove amato.

    Padre e Figlio si amano reciprocamente; dimorano quindi ambedue luno nellaltro. In questo senso

    il Padre e il Figlio sono uno. Queste dichiarazioni di Ges avvengono nella festa della

    Rinnovazione del tempio. lui il nuovo tempio, la dimora di Dio tra gli uomini, inviato al mondo

    per salvarlo. E lo salva in quanto Figlio condannato e ucciso dai fratelli, ai quali offre lo stesso

    amore suo e del Padre.

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    v. 39:cercarono di nuovo di catturarlo (cf. 7,30; 8,20.59). Le parole di Ges provocano in

    chi ascolta una reazione: o crede in lui (vv. 41-42) e ha la sua stessa vita di Figlio, o uccide il Figlio

    (v. 39) e la propria realt di figlio. Ma astuzia di Dio e salvezza nostra! luccisione sua diventa il

    dono supremo che il Figlio fa di se stesso, testimonianza di amore incondizionato per i fratelli.

    usc dalle loro mani. Le tenebre non possono soffocare la luce (1,5): afferrandola, ne sono

    sconfitte. un anticipo dellesodo pasquale.

    v. 40:and di nuovo al di l del Giordano, ecc. Ges torna nel luogo in cui era comparso

    allinizio, non si sa da dove, quando scese su di lui lo Spirito e fu manifestato come Figlio di Dio

    (1,29-34).

    v. 41:molti vennero a lui. Ges diviene il luogo di riunione di chi accoglie la luce.

    Giovanni non fece alcun segno, ma tutte quelle cose, ecc. Giovanni non ha fatto alcun segno;

    ma lui stesso il segno per eccellenza: voce della Parola (1,23), la cui verit si mostrata nelle

    opere di Ges. Ci che egli ha detto sul conto suo, ora chiaro: davvero Ges il Figlio di Dio (cf.

    1,34).

    v. 42:molti credettero in lui. Ges, con ci che fa per noi, compie ogni promessa di Dio.

    Aderire a lui, aderire a Dio e trovare la vita. Se al v. 20 molti lo rifiutano, qui molti credono

    in lui. Sono lanticipo dei tutti che, volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto (19,37),

    saranno attirati a lui (12,32).

    3. Pregare il testo

    a. Entro in preghiera come al solito.

    b. Mi raccolgo immaginando Ges che passeggia nel tempio, circondato dai suoi avversari.

    c. Chiedo ci voglio: credere che lui, giudicato e condannato, il Messia che mi salva, il Figlio di

    Dio che mi dona la sua vita.

    d. Traendone frutto, medito sul processo di Ges.

    Da notare:

    la festa della Dedicazione del tempio

    inverno

    Ges cammina nel tempio

    i nemici lo circondano

    fino a quando ci togli la vita? Se sei tu il Cristo, diccelo con franchezza

    ve lho detto e non credete

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    le mie opere testimoniano di me

    voi non credete, perch non siete mie pecore

    alle mie pecore do la vita eterna

    nessuno pu rapirle dalla mano mia e del Padre

    io e il Padre siamo uno

    lo vogliono lapidare

    Ges continua a parlare

    per quale opera bella lo uccidiamo?

    la bestemmia: tu, essendo uomo, ti fai Dio

    Ges risponde citando la Scrittura e ricordando le sue opere

    le opere di Ges manifestano che Figlio di Dio: il Padre in lui e lui nel Padre

    Ges sfugge alla cattura e torna dove aveva iniziato il suo ministero

    a. molti accolgono la testimonianza di Giovanni.

    1. Testi utili

    Sal 82; 22; Is 52,13-53,12; Lc 22,66-71; Gv 5,19-47; 8,31-59; 1Cor 1,17-216; 1Pt 2,21-25.

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    28. IO-SONO LA RISURREZIONE E LA VITA:CHI CREDE IN ME, ANCHE SE MUORE, VIVR

    11,1 - 54

    11,1 Cera un infermo,

    Lazzaro di Betania,

    del villaggio di Mariae Marta sua sorella.

    2 Ora Maria era quella che unse il Signore con profumo

    e asciug i suoi piedi con i suoi capelli;

    suo fratello Lazzaro era infermo.

    3 Le sorelle dunque inviarono da lui

    per dirgli:

    Signore, ecco:

    colui che ami

    infermo.

    4 Ora Ges, avendo ascoltato,

    disse:

    Questa infermit non per la morte,

    ma per la gloria di Dio,

    perch attraverso di essa

    sia glorificato il Figlio di Dio.

    5 Ora Ges amava Marta

    e sua sorella

    e Lazzaro.

    6 Quando dunque ascolt che era infermo,

    allora dimor nel luogo dovera

    due giorni.

    7 Poi, dopo questo, dice ai discepoli:

    Andiamo di nuovo in Giudea.

    8 Gli dicono i discepoli:

    Rabb,

    ora i giudei cercavanodi lapidarti

    e di nuovo vai l?

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    9 Rispose Ges:

    Non sono forse dodici

    le ore del giorno?

    Se uno cammina nel giorno,

    non inciampa,perch vede la luce

    di questo mondo.

    10 Ma se uno cammina nella notte

    inciampa,

    perch la luce non in lui.

    11 Queste cose disse

    e dopo di questo dice loro:

    Lazzaro, il nostro amico,

    dorme;

    ma vado a risvegliarlo.

    12 Allora gli dissero i discepoli:

    Signore,

    se dorme

    sar salvato.

    13 Ora Ges aveva parlato della sua morte;

    quelli invece pensarono

    che parlasse della dormizione del sonno.14 Allora dunque disse loro Ges apertamente:

    Lazzaro morto.

    15 E gioisco per voi

    che non eravamo l,

    affinch crediate.

    Ma andiamo da lui.

    16 Allora Tommaso, detto gemello,

    disse ai condiscepoli:

    Andiamo anche noi

    a morire con lui.

    17 Venuto dunque Ges,

    lo incontr

    che gi da quattro giorni

    era nel sepolcro.

    18 Ora Betania era vicina a Gerusalemme

    circa quindici stadi (=3 Km).

    19 Ora molti dei giudei

    erano venuti da Marta e Maria

    a consolarle per il fratello.

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    20 Quando dunque Marta ascolt

    che Ges viene,

    gli and incontro.

    Maria invece sedeva nella casa.

    21 Disse dunque Marta a Ges:Signore,

    se fossi stato qui,

    non sarebbe morto mio fratello!

    22 Ma ora so

    che tutte le cose che chiedi a Dio,

    Dio te (le) dar.

    23 Le dice Ges:

    Risorger tuo fratello!

    24 Gli dice Marta:

    So che risorger

    nella risurrezione

    nellultimo giorno.

    25 Le disse Ges:

    Io-Sono la risurrezione e la vita:

    chi crede in me,

    anche se muore,

    vivr.

    26 E chiunque vive e crede in me,

    non morr in eterno.

    Credi questo?

    27 Gli dice:

    S, Signore!

    Io credo

    che tu sei il Cristo,

    il Figlio di Dio

    che viene nel mondo.28 E, detto questo, and

    a chiamare Maria, sua sorella,

    dicendo di nascosto:

    Il Maestro qui

    e ti chiama.

    29 Ora quella, appena ascolt,

    si dest veloce

    e veniva da lui.

    30 Ora Ges non era ancora giunto nel villaggio,

    ma era ancora nel luogo

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    dove lo aveva incontrato Marta.

    31 Allora i giudei

    che erano con lei in casa

    e la consolavano,

    avendo visto Mariarisorgere veloce

    e uscire,

    la seguirono,

    credendo che andasse

    al sepolcro a piangere l.

    32 Quando dunque Maria venne

    dove era Ges,

    vistolo,

    cadde ai suoi piedi

    dicendogli:

    Signore,

    se fossi stato qui,

    non sarebbe morto mio fratello.

    33 Allora Ges, quando la vide piangere

    e piangere i giudei venuti con lei,

    fremette nello spirito

    e si turb

    34 e disse:

    Dove

    lavete posto?

    Gli dicono:

    Signore,

    vieni e vedi!

    35 Ges vers lacrime.

    36 Dicevano allora i giudei:

    Guardacome lo amava!

    37 Ma alcuni di loro dissero:

    Non poteva costui,

    che apr gli occhi del cieco,

    fare che anche questi non morisse?

    38 Allora Ges, di nuovo fremendo in se stesso,

    viene al sepolcro.

    Era una grotta

    e una pietra giaceva sopra di essa.

    39 Dice Ges:

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    Sollevate la pietra!

    Gli dice Marta,

    la sorella del defunto:

    Signore,

    gi puzza: infatti di quattro giorni!

    40 Le dice Ges:

    Non ti dissi

    che, se credi,

    vedrai la gloria di Dio?

    41 Allora sollevarono la pietra.

    Ora Ges sollev gli occhi in alto

    e disse:

    Padre,

    ti ringrazio

    perch mi ascoltasti.

    42 Ora io sapevo

    che sempre mi ascolti,

    ma lo dissi

    a causa della folla che sta intorno,

    perch credano

    che tu mi inviasti.

    43 E, dette queste cose, con gran voce

    url:

    Lazzaro!

    Qui fuori!

    44 Usc il morto,

    legato ai piedi

    e alle mani con bende,

    e il suo viso

    era avvolto da un sudario.Dice loro Ges:

    Slegatelo

    e lasciate che se ne vada!

    45 Allora molti dei giudei,

    che erano venuti da Maria

    e avevano viste le cose che fece,

    credettero in lui.

    46 Ma alcuni di loro andarono dai farisei

    e dissero loro

    le cose che fece Ges.

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    47 Allora i capi dei sacerdoti e i farisei

    riunirono il sinedrio

    e dicevano:

    Che facciamo?

    Questuomo fa molti segni.48 Se lo lasciamo cos,

    tutti crederanno in lui;

    e verranno i romani

    e porteranno via il nostro luogo

    e la nazione.

    49 Ora uno di loro, Caifa,

    essendo sommo sacerdote in quellanno,

    disse loro:

    Voi non sapete nulla!

    50 Non calcolate che vi conviene

    che un solo uomo muoia

    per il popolo

    e non perisca tutta quanta la nazione?

    51 Ora non disse questo da se stesso,

    ma, essendo sommo sacerdote in quellanno,

    profet

    che Ges stava per morire per la nazione;

    52 e non solo per la nazione,

    ma per radunare in unit

    i figli di Dio dispersi.

    53 Da quel giorno dunque deliberarono

    di ucciderlo.

    54 Allora Ges non camminava pi in pubblico

    tra i giudei,

    ma se ne and di l

    in una regione vicina al deserto,nella citt detta Efraim,

    e l dimor con i discepoli.

    1. Messaggio nel contesto

    Io-Sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivr , dice Ges a Marta. Egli infatti

    vita e luce, luce che splende nelle tenebre, vita che risveglia dalla morte.

    Lultima opera del Messia stata lilluminazione del cieco: ci ha aperto gli occhi sulla realt, mostrando la

    verit di Dio e delluomo. Ora ci d la libert davanti al nostro limite ultimo: la risurrezione di Lazzaro ci apre gli occhi

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    sulla morte, ipoteca di tutta la vita. Guardare negli occhi la morte e scrutarne il mistero, necessario per vivere.

    Altrimenti la nostra esistenza rimane una fuga, coatta e inutile, da ci che sappiamo essere il sicuro punto darrivo.

    Luomo lunico animale cosciente di morire: sa di essere-per-la-morte. Per questo, di sua natura, cultura. La

    cultura infatti una macchina di immortalit; ogni nostro sapere e potere finalizzato ad affrancarci dalla morte e

    avere pi vita. una macchina splendida e imponente. Ma anche assurda ed impotente: non potendo vincere, cerchiamodi rinviare e rimuovere, o, nel migliore dei casi, interpretare lappuntamento ineluttabile. La morte comunque, finch

    viviamo, ci costringe al suo gioco e ci tiene sempre in scacco, che, presto o tardi, matto. Salvarci da essa il desiderio

    che detta ogni nostra mossa, ma sappiamo gi in anticipo che sar frustrato. Non siamo liberi di perseguire la nostra

    aspirazione: ci sentiamo incantati e dominati dal Fato, che vanifica ogni nostra opera. Restiamo in attesa che sia reciso il

    tenue filo che ci tiene sospesi nel vuoto, per ricadere nel nulla, noi e ogni nostra fatica. Lesistenza una condanna. A

    pensarci bene, lunica libert che abbiamo quella di chi deve essere giustiziato da un momento allaltro, con la tortura

    di non sapere quando.

    Ges ci salva non dalla morte. impossibile: siamo mortali. Ci salva invece nella morte. Non ci toglie

    quel limite che ci necessario per esistere, n la dignit di esserne coscienti; ci offre per di comprenderlo e viverlo in

    modo nuovo, divino. Ogni nostro limite, compreso lultimo, non la negazione di noi stessi, ma luogo di relazione con

    gli altri e con lAltro. Invece di chiuderci in difesa o in attacco, possiamo aprirci alla comunione e realizzarci a

    immagine di Dio, che amore.

    Ges non ci offre una ricetta, menzognera, per salvarci dal comune destino; ci fa invece vedere come si pu

    vivere lamore fino a dare la vita. Questa, come il respiro, non possiamo possederla e trattenerla: morremmo subito.

    Siamo per liberi di spenderla nellegoismo o investirla nellamore, sapendo che: chi ama la sua vita la perde e chi

    odia la sua vita in questo mondo, la conserver per la vita eterna (12,25). Noi conosciamo una vita che per la morte;

    Ges ci rivela una morte che per la vita.

    Siamo allultimo dei segni, che rivelano la gloria del Figlio di Dio. Dopo questo racconto seguir la sua

    passione, che realizza il significato di tutta la sua azione: Ges il Figlio perch comunica la propria vita ai fratelli, e la

    comunica perch il Figlio.

    Ges, come Lazzaro e ogni uomo, muore. Egli per ha il potere di offrire la vita e di riceverla di nuovo. Anzi

    proprio perch la offre, la riceve come Figlio uguale al Padre, datore di vita. Questo il comando ricevuto dal Padre

    (10,18), che lo costituisce Figlio e lo rende nostro fratello.

    Questultimo segno richiama il primo: rivela la gloria del Figlio delluomo (vv. 4.40; cf. 2,11!), donata a ogni

    figlio duomo. quella gloria che apparir sulla croce: la gloria dellUnigenito del Padre (1,14b), che d, a chi lo

    accoglie, il potere di diventare figli di Dio (1,12).Ges, dando la vita a Lazzaro, sar condannato a morte (v. 53). Chi dona vita, riceve morte; ma, proprio

    ricevendo morte, d vita. il paradosso della croce, ormai allorizzonte. Essa esprime lapice sia del male che

    nelluomo, sia del bene che Dio gli vuole: manifesta la sua gloria, amore senza limiti, che si fa carico di ogni nostro

    limite. Nel piano di Dio il nostro male assunto come luogo in cui egli si rivela pienamente e ci salva.

    Ogni segno, che Ges finora ha compiuto, illumina un singolo aspetto della Parola come vita e luce degli

    uomini. La risurrezione di Lazzaro, invece, un segno globale: dare la vita a un morto significa la vittoria sul nemico

    ultimo delluomo (1Cor 15,26). Siamo al culmine del libro dei segni.

    vero che Lazzaro morir ancora. Ma il suo ritorno alla vita indica che la morte non pi padrona delluomo

    ed segno della risurrezione, che sar comunione di vita con il Padre della vita. Ges ci rivela che c morte e morte,

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    come c vita e vita. C una vita morta, propria di chi, schiavo della paura di perderla, si chiude nellegoismo per

    trattenerla; e c una morte vivificante, intesa come dono della vita, atto supremo di amore.

    La risurrezione credere in Ges: chi aderisce a lui, gi fin dora in comunione con il Figlio e, anche se

    muore, vivr (v. 25). Anzi, chi vive e crede in lui, non morr in eterno (v. 26). Infatti partecipa della vita di Dio, che

    amore: Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perch amiamo i fratelli: chi non ama rimane nellamorte (1Gv 3,14).

    Il ritorno in vita di Lazzaro segno di ci che accade alle sorelle Marta e Maria: il fratello esce

    momentaneamente dal sepolcro, ma per tornarci ancora, mentre le sorelle escono dal villaggio di afflizione e dalla casa

    di lutto per incontrare, gi adesso su questa terra, il Signore della vita. Il vero risorto non Lazzaro, tornato alla vita