Shoot Magazine - Dì quello che vuoi dire!

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SHOOT DÌ QUELLO CHE VUOI DIRE! HAKUNA MATATA, NO STRESS! “Lo Hobbit” finisce un sogno durato 13 anni UN TRUCCO DA PAURA be different i tempi sono Cambiati suoni ribelli ATTUALITÀ MUSICA ARTE CULTURA NERD VIAGGI Hipster, Emo, Punk, Metallari, Hip Hop N.0 FEBBRAIO 2015

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ATTUALITA' - VIAGGI - MUSICA - ARTE - CULTURA NERD

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SHOOTDÌ QUELLO CHE VUOI DIRE!

HAKUNA MATATA, NO STRESS!

“Lo Hobbit”finisce un sogno

durato 13 anni

UN TRUCCO DA PAURAbe different

i tempi sono Cambiati

suoni ribelliATTUALITÀ MUSICA

ARTE

CULTURA NERDVIAGGI

Hipster, Emo, Punk, Metallari, Hip Hop

N.0 FEBBRAIO 2015

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SHOOT

in copertina/ alessio picciniphoto by/ gabriele bencreati

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DIRETTORe / GIUDITTA GENTILE

VICEDIRETTORE/ JACOPo piergentili ART DIRECTOR/ ZOE ACCARDI CAPOREDATTORE/ CARLo BIGAZZI

PHOTOEDITOR/ GABRIELe BENCREATI

ILLUSTRAZIONI/ MICHELA ALBU

REDATTORI/ RACHELE MOGLIA, GENNY PETRUCCI, MICHELA ALBU, CARLO BIGAZZI, ZOE ACCARDI, GABRIELe BENCREATI, JACOPO PIERGENTILI, MARTA CONTI

Viale S. Lavagnini, 42 - 50129 FirenzeT. +39.055.21.89.50www.shootmagazine.com [email protected]

La mattina del 7 Gennaio del 2015, Parigi è stata lo scenario di molteplici attentati terroristici.La vittima eclatante del terrorismo islamico è la tagliente e irriverente satira di Charlie Hebdo e della sua redazione di giornalisti e vignettisti. Il mondo di unisce sotto un unico motto, uno spirito rinato di fratellanza nasce e ci si stringe intorno a coloro che piangono il sangue versato sulla loro patria. I francesi, popolo simbolo della libertà, è a capo di tutti per testimoniare che non si può perdere la vita per ciò che è scritto sulla carta. La risposta a questi eventi di Charlie, dopo l’intenso lutto nazionale, è stata il perdono con l’ultimo numero uscito dopo l’attentato il 14 Gennaio, un’arma più efficace di qualsiasi arma da fuoco o dissacrante satira giornalistica, per combattere l’odio. Shoot Magazine non tratta di certo le tematiche di Charlie Hebdo, che nel loro genere sono certamente discutibili. Mi voglio appellare alla loro passione e coraggio, che sia d’esempio per tutti coloro che scrivono o si dedicano al giornalismo. Noi parliamo bensì di tematiche più pacate, passiamo dagli argomenti di stretta attualità a quelli più spensierati, viaggi, musica, arte, svago. Scriviamo ciò che si potrebbe discutere con un amico, di cose a noi care o di più semplicemente di giudizi e opinioni che vogliamo esprimere su ciò che ci circonda, sull’attualità per lo più. Ci rivolgiamo principalmente ai giovani e a coloro che più vivono la quotidianità come una scoperta. Il nostro tentativo di offrire uno spunto a voi lettori per scoprire, cercare, osservare.

Lasciatevi dunque incuriosire e trasportare dai nostri contenuti con la speranza, mia e della redazione, che possiate trovarli di vostro gradimento.Un caloroso saluto e un augurio di buona lettura!

Spariamo gocce d’inchiostro

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in copertina/ alessio picciniphoto by/ gabriele bencreati

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Sardegna e magiadi Marta Conti

Un paese da scopriredi Michela Albu

il Tōdai-ji, il cuore spiritualedel Giapponedi Carlo Bigazzi

Creta, L’isolada esploraredi Jacopo Piergentili

La voce elettronicadi Flying Lotusdi Jacopo Piergentili

Il miracolodella musicadi Zoe Accardi

La classifica di SHOOTdi Marta Conti

Voglia di concerti?di Gabriele Bencreati

Lavoro, giovani,luoghi comunidi Jacopo Piergentili

Uominiora basta!di Zoe Accardi

Ma quanto èdifficile insegnaredi Zoe Accardi

Un anno liquorosodi Marta Conti

Ayahuascadi Marta Conti

Le discotecheoggidi Gabriele Bencreati

Guerrilla Marketingdi Rachele Moglia

Hakuna Matata,No stress!di Genny Petrucci

Attualità

FEBBRAIO 2015IN QUESTO NUMERO:

Musica

I tempi sonocambiatidi Zoe Accardi

Si scrive autoscatto,si legge selfiedi Genny Petrucci

Be diffetentdi Gabrele Bencreati

Hipster, la ribaltadell’anticonformismo vintagedi Carlo Bigazzi

Nel carrellodi Marta Conti

Top 5 delle cosepiù odiatedegli smartphonedi Zoe Accardi

I veri uomini non usano il profumodi Zoe Accardi

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viaggi

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• Steve McCurrydi Rachele Moglia

L’evoluzione dei videogamesdi Michela Albu

Un mondo di cartae inchiostrodi Jacopo Piergentili

Con la trilogia de“Lo Hobbit”finisce un sogno durato 13 annidi Carlo Bigazzi

Dai fratelli Lumiéread Avatardi Genny Petrucci

La creazionedi un mondodi Michela Albu

Steet art, arte a 360°di Rachele Moglia

Pablo Picassodi Genny Petrucci

Curiosità sul mondo dell’arte:

• L’artista dei toastdi Rachele Moglia

• Arte in punta di ditadi Rachele Moglia

• Yarn Bombingdi Rachele Moglia

• L’artista della polveredi Rachele Moglia

• L’artista delle miniaturedi Rachele Moglia

• Tatuaggi: arte o moda?di Rachele Moglia

Londra?méta o sogno?di Gabriele Bencreati

La musica è morta?di Gabriele Bencreati

La pirateriaMusicaledi Gabriele Bencreati

La pop starche non esistedi Michela Albu

Suoni ribellidi Rachele Moglia

Un trucco da pauradi Michela Albu

Arte viventedi Michela Albu

Videocamerabatte pennellodi Jacopo Piergentili

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Il cambiamento l’ho vissuto sulla mia pelle. Tutto è iniziato con l’invito di un’amica. Situazione:Suono il campanello ed entro in casa entu-siasta: “Ehi ciao!! come stai!!!?” chiedo, “Bene bene! v in camera!!”“Certo!” credevo ci saremo raccontate le ulti-me novità universitarie all’alba dei nostri di-ciannove anni, sedute sul letto oppure mentre ci truccavamo per uscire; e invece… no.Nel momento in cui mi ha detto di andare in camera era già scomparsa, entro e la trovo da-vanti al pc.-starà studiando- penso. “Che fai studi?” le chiedo ingenuamente. “No sono su Facebook!”“Ah... si ne ho sentito vagamente parlare…che cos’è?”“Ma è Facebook!”mi risponde lei… “Capisco…certo, ora si che è tutto chiaro”inizio ad agitarmi… “Uhuhuhuhu” ride lei.“Cosa c’è di divertente?” La guardo con un sor-riso, magari rido anch’io; ma lei subito si spe-gne e mi dice “Niente sto sentendo un amico”.Mi innervosisco...“Ah…” sbircio quello che sta facendo e vedo una schermata con immagini e una minusco-la chat e non capisco cosa ci sia di straordina-rio. “Perché è cosi interessante?”“Perché ti fai i #@*+@## di tutti!! è come una droga!” “Ah”. Intanto penso -ma che diavolo! io sono

I tempi sono cambiati

qui, sono venuta a trovarti e tu sei al computer a scrivere su una tastiera!? Ma che t’importa degli altri!?- Nel frattempo entra la sua coin-quilina. Non mi presenta neppure, a malape-na ci diciamo ‘Ciao’, e subito si mettono in-sieme davanti al pc a parlare di altre persone che io ovviamente non conosco... “Che cosa fate?” chiedo timidamente, non mi rispondo-no. Continuano a ridere e a dire maldicenze su altre ragazze più belle di loro. Ora inizio ad arrabbiarmi. “Che cosa fate!?” chiedo con tono più alto e questa volta la mia amica risponde “Guardiamo il profilo di una #@*+@##”, un po’ confusa rispondo “Ah... e perché è una #@*+@##?” “Perché si” “… Ok…” allorché ini-zio a disegnare sul mio blocco da disegno. Di-segno la Sirenetta. Regalo il disegno alla mia amica che le piace molto e me ne vado.Lei dispiaciuta mi chiede “Ma come, vai già via?”. Mi sento a pezzi… dannato Facebook… non riesco a capire…che senso ha? Dov’è finita la mia amica che conosco da quando ho undici anni? Non è neanche un mese che è all’univer-sità! E poi questo Facebook… (mentre scrivo, Text Edit me la da come parola già esistente e mi corregge la mia f minuscola in maiuscola).La mia amica di sempre non sarebbe più stata la mia amica di sempre, non mi ha neanche chiesto come stavo, non mi ha offerto un caf-fè, non abbiamo fumato una sigaretta, non mi ha presentata… per tutto il tempo ha solo spia-to la vita degli altri senza vivere la sua e spara-re cattiverie su gente che vagamente conosce.

di Zoe Accardi

ATTUALITÀ

La società moderna porta gli adolescenti a crescere prima del solito. Noi a dodici anni giocavamo con le bambole, oggi sono sempre fissi ad uno schermo.

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Da mesi, il mito di questo ra-gazzo prodigio sconvolge l’Ita-lia, soprattutto gli adolescenti. Stiamo parlando si Gabriele Dotti (in arte Francesco Sole), Youtuber ventiduenne di suc-cesso venuto dal nulla che grazie alla sua passione e alle sue sole forze è riuscito a scon-figgere i malvagi, gli invidiosi e a fare del proprio sogno una professione più che remunera-ta, ha iniziato postando video su Youtube dove parlava del-le dinamiche quotidiane che i giovani devono affrontare, problemi con le ragazze, con Facebook, con WhatsApp, con lo studio, con l’invidia e via di-cendo… e ora sta scrivendo un libro per Mondadori, ha pre-sentato un programma televi-sivo “Tu si que vales” e presta la sua immagine in pubblicità! Insomma Francesco Sole ce l’ha fatta! Allora c’è speranza per tutti ed è vero che i sogni ogni tanto si avverano!Ma…. sarà vero??? Ebbene

Francesco Sole e la bufala

ATTUALITÀ

Adesso i tempi sono cambiati e dopo sette anni esistono smartphone, tablet, smartwatch, go-ogleglass, e quando siamo a cena fuori anziché parlare tra noi stiamo al telefono a controllare i fatti di tutti sui nostri duecento profili di-versi, sappiamo tutto di tutti in tempo reale e chi non vuole avere Facebook è costretto ad adeguarsi per un motivo o per l’altro. Si è per-sa di vista la vera realtà, il senso del tempo, il suo valore, la privacy, siamo sempre costante-mente reperibili, le nuove generazioni non sa-ranno più in grado di cavarsela da soli senza tecnologia, la cosa peggiore è che non si sa più qua l’è la realtà. Questo è il mondo di oggi.Prima si scrivevano lettere, oggi si mandano

mail, sms o si chatta istantaneamente.Si incidevano le iniziali sugli alberi circonda-te da un cuore con una freccia, oggi si impia-stricciano i muri con bombolette spray.Si suonava il campanello della porta, oggi si mandano messaggi con scritto “Scendi” o “Sto arrivando”. Si telefonava a casa, si affronta-vano i genitori, oggi vai sul sicuro sentendo direttamente la persona. Prima se una perso-na non c’era, non c’era. Oggi la doppia spunta blu di WhatsApp ci obbliga ad esserci sempre. Oggi non si aspetta più, non si conosce il sacri-ficio, il piacere dell’attesa, della conquista. La generazione odierna potrebbe essere riassun-ta così: “Tutto e Subito”.

no. In realtà sembra che die-tro all’immagine di Francesco Sole ci siano manager, spon-sor, raccomandazioni, soldi, video maker professionisti e molto altro! Insomma… tutto falso. Era incredibile infatti che con pochi video e con follo-wers dove la maggior parte sono persone che lo seguono per poterlo insultare, questo ragazzo avesse fatto il gran-de salto. In realtà intorno a lui c’era molta pubblicità, io stes-sa l’ho conosciuto grazie alla pubblicità e non grazie al suo talento o grazie a quello che aveva da dire. Ce da chieder-si… perché? Perché tante ener-gie per intortarci e farci crede-re, sperare nei sogni… in questi sogni così poveri e senza valo-ri? Le ragazze oggi vogliono diventare fashion blogger o truccatrici blogger o modelle facebookiane o attrici o pro-stituirsi per comprare l’iphone ecc… i ragazzi invece modelli con sopracciglia ad ali di gab-

biano, perfettamente depilati e lucidati, musicisti, cantanti famosi venuti da “X Factor” e via dicendo..Insomma quello che voglio dire è SVEGLIATEVI perché nessuno vi regala mai niente, queste cose sono frivole, la vita non è questo, sono niente, imparate qualcosa, qualcosa di vero, di bello, di utile qual-cosa che vi arricchisca, queste cose impoveriscono, i soldi fìniscono, la fama è infelice e la giovinezza svanisce. Noi siamo fatti di storie, di momenti belli e semplici, con persone vere in carne ed ossa, affetti veri, non virtuali. Quando siete a tavola con i vostri genitori posate lo smartphone, spegnete la tv, parlate con loro, ascoltateli, non ci saranno per sempre e non saprete mai quali fantasti-che storie hanno da raccon-tare ed esperienze abbiano vissuto, forse ancora non lo sapete ma sono i vostri migliori amici, sono veri.

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Il fenomeno del momento. Nient’altro che un autoscatto. Una pratica esiste da sempre, quella dell’autoscatto, che oggi il web ha voluto riportare nel mirino attribuendole però un nuovo nome. È più trendy dire selfie che autoscatto. Ne vengono in soccorso le nuove tecnologie e i social network; eppure molti di voi non sanno che la nascita del selfie avvenne all’inizio del ‘900. Il selfie dunque nasce all’inizio del XX secolo, quando la duchessa russa Anastasia Nikolaevna si fece il primo autoscatto davanti allo specchio. L’autoscatto nasce fondamentalmente per ritrarre se stessi ed essere allo stesso tempo soggetto passivo e attivo della fotografia. L’Oxford English Dictionary, il dizionario inglese più famoso del mondo, l’ha addirittura nominata parola dell’anno 2013. Il nuovo trend è pubblicare foto al mattino senza trucco e parrucco, e la sera c’è chi preferisce fotografare il proprio viso che esprime la delus ione di una brutta giornata che scriverne un lungo post. Viviamo in un era fatta di tempi stretti e cosa c’è di più rapido ed indolore di un autoscatto con la smartphone? Ma sui solcial network nessuno posta una foto tanto per postare una foto; lo si fa per farsi fare i complimenti e aumentare cosi la nostra autostima. Una corsa frenetica al

Si scriveautoscatto si legge selfie!

like e alla conquista di un nuovo follower o semplicemente un momento di vanità. A renderlo virale ci hanno pensato anche i vip. Dalla notte degli Oscar,ai sexy scatti di Rihanna e Lady Gaga, a Justin Bieber fino a quelli di Papa Francesco e Barack Obama e le sue figlie. D’altra parte il selfie è giunto fino nello spazio! Le prime foto con il tag #selfie sono comparse a partire dal 2004. Così una ricerca del Pew Research Center, condotta su oltre 800 teenager degli Stati Uniti, ha rilevato che addirittura il 91% ha

di Genny Petrucci

ATTUALITÀ

Selfiamoci! Un fenomeno diventato mondiale

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Gioconda;il varco.nel

ATTUALITÀ

postato le foto di sé online. Nell’ottobre 2010 viene lanciato Instagram che raggiunge oltre 100 milioni di utenti attivi nel 2012. L’applicazione consente di condividere foto attraverso gli smartphone e dalla data di lancio sono state caricate oltre 23 milioni di foto con l’hashtag #selfie. Nel giugno 2013 l’applicazione lancia la quarta versione del software con un app per video di 15 secondi; entrando così anche nell’era del “selfie movie”. Tecnicamente non c’è nessuna differenza, potremmo dire che l’autoscatto è fatto semplicemente per comparire come soggetto in una foto, mentre il selfie è destinato ad uno scopo più complesso: creare commenti, gradimenti o il contrario. L’autoscatto inizia e finisce nel momento in cui si scatta la foto, il selfie invece è destinato a durare nel tempo e diventare sociale. Il selfie ha preso campo anche nelle

pubblicità; a partire dalla “Medicus Traveller Assistance” con gente comune ad arrivare a quella della Turkish Airlines con testimonial Messi e Kobe Bryant. Per non parlare della Wind, anch’essa adeguata ai nuovi stili e propone come testimonial Fiorello. Anche Pittarosso, non potendo rimanere indietro, propone la sua pubblicità selfie dove il protagonista sei tu. Tutto sta nel girare un video mentre stai ballando quell’odiosa canzoncina. I registi si sono divertiti anche a rendere i personaggi dei cartoni “vittime” dei selfie. Sul web girano anche immagini dove le più importanti opere d’arte vengono riproposte mentre si stanno selfando. Tutti i campi si stanno adeguando alla nuova era o meglio nuova moda del momento. Ma una domanda comunque non avrà mai risposta: perché quando si chiamava autoscatto nessuno lo considerava?

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Lady Gaga; i.dailymail.co.uk Rihanna; rolling out.com

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Una novità assoluta per l’Italia e per il mondo delle tlc: lo “spot selfie”. Wind e Fiorello sono tornati insieme in tv con una campagna pubblici-taria in cui le riprese sono effettuate dal testimonial interamente attraverso uno smartphone.Da cosa nasce quest’i-dea innovativa?Essenzialmente dalla creatività di Rosario Fio-rello, nostro storico testi-monial. Da anni l’artista ha dato vita a Edicola Fiore, appuntamento quotidiano sul web in cui, insieme a gente co-mune e a personaggi noti, produce una sorta di rassegna stampa per immagini utilizzando lo smartphone come terzo occhio sul mondo. Que-sto format innovativo si è tradotto nello “spot sel-fie” di Wind. Fiorello, re-gista di se stesso e arma-to di uno smartphone, ha compiuto vere e proprie

CON LO SPOT SELFI E ABBIAMO DATO I L VIA AD U NA N UOVA ERaincursioni in alcuni ne-gozi Wind di Milano e Bologna, prendendo alla sprovvista gli addetti alle vendite e i clienti presen-ti in quel momento nel negozio.Nessun attore profes-sionista?Assolutamente no. E in-fatti le persone coinvolte hanno firmato la libera-toria per autorizzare la messa in onda. Lo stes-so Fiorello teneva molto all’improvvisazione, ter-reno sul quale si muove da maestro. Ad esempio non è voluto entrare per due volte nello stesso negozio proprio per sal-vaguardare la spontanei-tà delle riprese, temendo che si spargesse la voce e la gente accorresse ap-posta per essere filmata.E dal punto di vista tec-nologico? Ci sono stati problemi di qualità del-la ripresa?In termini assoluti si tratta di riprese sostanzialmen-

te buone. Se paragonate alle immagini degli spot tradizionali salta agli oc-chi la differenza: solita-mente le pubblicità tele-visive sono ritoccate e un po’ edulcorate, mentre la nostra si distingue per essere in qualche modo amatoriale e grezza. Ma è esattamente questo l’effetto che cercavamo.Anche la presenza fi-nale di Gabriele Salva-tores punta sull’effetto sorpresa?Sì, è stata una sorpresa anche per noi. L’idea è nata pochissimi giorni prima di girare gli spot perché abbiamo pensa-to che sarebbe stato in-teressante far comparire, al termine delle riprese volutamente amatoriali, un personaggio inaspet-tato, un maestro della re-gia come il premio Oscar Salvatores. E lui, nono-stante il breve preavviso, è stato entusiasta di ap-parire in questo cameo.

ATTUALITÀ

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ATTUALITÀ

Oggi parliamo e sentiamo di continuo questa parola, “HIPSTER”. Uno stile modaiolo nato dapprima in Inghilterra, ben presto sviluppa-tosi negli Stati Uniti e che a partire dal 2008 si è diffuso anche in Italia. Come la maggior parte dei movimenti, anche questo nasce da un riferimento musicale, cioè l’Indie Rock, da sempre considerato un genere musicale di nicchia. Si, perché essere hipster significa proprio questo: essere assolutamente anticon-formisti e indipendenti a livello politico e di pensiero. Lo stile hipster è seguito soprattutto da giovani fra i 20 e i 30 anni un po’ artistoi-di, che lavorano nel mondo della moda, della musica e dell’arte, e che si ripromettono di ri-fiutare i canoni estetici imposti dalla società. Quindi ecco che si punta a un abbigliamento che appaia superficiale, che dia l’idea di esse-re stato scelto senza pensarci troppo su. C’è da dire che poi anche troppo spesso questo anti-conformismo esasperato sfocia in un vero e proprio conformismo, che detta le regole sulla musica da ascoltare e sugli indumenti da in-dossare. Non è un caso se gli hipster si ricono-scono soprattutto dai pantaloni, che indossa-no strettissimi: i classici skinny alla caviglia. Alcuni uomini arrivano persino a comprare modelli di pantaloni da donna e ci si strizzano dentro. Un altro segno distintivo sono gli oc-chialoni da nerd, che vanno indossati sempre anche se ci si vede benissimo (con lenti non graduate ovviamente): devono essere grandi, con montatura spessa e di colore scuro. Solo gli occhiali da vista sono ammessi, quelli da sole sono ritenuti troppo commerciali (anche se poi in realtà anche gli occhiali da sole non sono disdegnati dagli hipster). Le t-shirt sono colorate e abbellite da qualche disegno grafico a contrasto o da qualche scrit-ta, ma vanno bene anche quelle vintage anni ‘70 o quelle della band (rock, ovviamente) del cuore. E, in alternativa alle maniche corte, ecco che vengono usate le camicie di flanella,

Be Different! di Gabriele Bencreati

Hipster

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ATTUALITÀ

quelle a quadri stile boscaiolo, però aderentis-sime. Per tutto il resto, il reparto uomo H&M va benissimo. Le scarpe devono essere ultra-piatte, quindi via libera a Converse, Vans, Toms, polacchine, Dr. Martens, sempre di colo-ri fluorescenti. Anche le Reebok da basket mo-dello primi anni ‘90 sono spesso usate dagli hipsters. Un elemento distintivo fondamenta-le è il cappello da baseball, indossato con visie-ra dritta e alzata, un po’ di lato, di due colori. Così come la sciarpa modello kefia, da sempre simbolo di un’idea politica ben precisa (quella bianca e nera). Ebbene, gli hipsters sottolinea-no il loro pensiero indipendente indossando-la nei colori più disparati e nelle fantasie più strane. Immancabili i baffi sottili portati dai maschietti e gli accessori cool ipertecnologici, di solito marcati Apple. I portachiavi devono essere coloratissimi, le cinture devono essere decorate con spillette, i bracciali devono esse-re di plastica e anch’essi dai colori sgargianti. Alcuni hipsters indossano anche un cappello modello fedora o Borsalino. Come avrete ben capito, la corrente era partita da un’idea asso-lutamente libera, anticonformista e indipen-dente ed è sfociata invece nel conformismo estetico più puro, come spesso è successo a tutte le subculture musicali che si proponeva-no di distinguersi dalle altre proprio perché si era differenti dagli altri, ma alla fine ci si ritrova tutti vestiti allo stesso modo.

emo

Emo, chi sono? Che fine hanno fatto? Tutto è cominciato con un filone musicale nato più di venti anni fa: ma oggi essere Emo non vuol dire solo ascoltare un certo tipo di musica, ma anche seguire una vera e propria moda, che per molti versi è innocente e per altri può apparire preoccupante. Negli ultimi tempi sentiamo sempre più parlare di Emo, non sapendo tuttora esattamente che cosa intendere con questo termine. Inizialmente, pare si riferisse ad un genere musicale com-preso all’interno del punk rock e che nel corso del tempo abbia conseguito diverse modifiche che ne hanno ampliato gli orizzonti melodici.Tutto pare aver avuto origine nel 1985 a Wa-shington, quando Guy Picciotto e Ian Mackaye

idearono uno stile musicale innovativo e per-sonalizzato, che vide Mackaye divenire il fon-datore degli Embrace, uno dei primi gruppi dal genere “Emocore”. Da fenomeno musicale, Emo è diventato il sinonimo di una filosofia di vita che rende i ragazzi che ne fanno par-te, riconoscibili da aspetti legati alla cultura e all’abbigliamento.

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ATTUALITÀ

Pare che quest’ultimo sia caratterizzato da jeans particolarmente stretti, cinture con borchie, una lunga e asimmetrica frangia ed occhi truccati di nero, in definitiva, una va-riante delle primigenie forme di stile. Quello che ci proponiamo di trattare non è tuttavia lo stile musicale, quanto alcuni aspetti della filosofia di vita dei ragazzi Emo, i quali si defi-niscono di estrema sensibilità, da cui l’origine del termine diminutivo di “Emotive” o “Emo-tional”. Quella che però viene etichettata come sensibilità, potrebbe essere il campanel-lo d’allarme di una forma di disadattamento sociale: come emerge dalle dichiarazioni di alcuni giovani Emo infatti, le sofferenze acute e profonde nell’anima costituirebbero un pre-supposto fondamentale per entrare a far par-te di suddetti gruppi. È come se un’incapacità sostanziale di esprimersi si tramutasse nella proiezione di “non essere capiti” e spesso giu-dicati . Emo racchiuderebbe il significato insi-to di tristezza e solitudine travestiti nell’amo-re per qualcosa di veramente importante. “La vita vissuta sulla soglia della sofferenza e l’i-nizio della felicità”, si legge dalle definizioni di giovani Emo. È come se la lunga frangia asim-metrica dei capelli nascondesse le lacrime ma non del tutto: si tratta di giovani intenti a mostrare al mondo ciò che provano, un modo per dire “guardami,sono qui!”, un cercare l’at-tenzione rivolta al cuore, e a tutte le emozioni belle e meno belle che questo regala. Emo è a volte un periodo buio in cui cercare risposte, in cui si soffre nell’attesa della luce. “Emo è la vita vissuta in bilico tra bianco e nero che non arriva mai al grigio”. Fin qui, il pensiero si pla-sma prendendo la forma di estrema dolcezza. Eppure, leggendo bene qua e là tra gli scritti degli Emo, o presunti tali, emergono parole di gran lunga inquietanti, come quelle che ripor-tano che sono nate 2 mode, una esalta l’eccessi-va magrezza e l’altra la mania perversa e peri-colosa di farsi dei tagli sulle braccia. Tagli che non restano nascosti, ma abilmente esposti fingendo di celarli, e che richiamano il chiaro messaggio di un bisogno d’ aiuto. E qual che è peggio, è che il fenomeno interessa sempre di più adolescenti di 16/17 anni al massimo, che fotografano le ferite autoinflitte per esporle su siti internet. Emerge chiaramente che l’au-tolesionismo è più frequente dei tentativi di suicidio, ed indagini portano alla luce che una ragazza su 10 si provoca ferite o graffi, come

quasi per sostituire il dolore dell’anima con quello fisico, molto più facilmente gestibile. Chi sono dunque gli Emo? Ragazzi accomunati dalle stesse passioni musicali, o adolescenti in cerca di una propria identità? A voi le risposte.

PUNK

La parola “punk”, spesso considerata sinoni-mo di delinquenza, cattiveria e criminalità, in realtà rispecchia oltre ad un genere musi-cale nato a Londra attorno agli anni ‘70 anche e soprattutto un modo di vivere e di pensare, con regole più o meno morali. Nei primi anni ‘70, in cantine o locali, gruppi di giovani suo-nano le prime note di un genere musicale che ancora oggi è considerato uno dei più seguiti, dei più espliciti e diretti e purtroppo anche dei più proficui dal punto di vista economico. Caratterizzato da un linguaggio diretto, espli-cito ed a tratti volgare ed antisociale, riscuote subito molto successo tra la gioventù londine-se. Il punk si avvale soprattutto di una ritmica graffiante e distorta, nonché di una sonorità ruvida, rozza ed ignorante. La simpatia e la tendenza di alcuni gruppi verso ideali politi-ci soprattutto anarchici e nichilisti ma anche nazifascisti, raccoglie ancora più seguaci che fanno di motivi quali l’anticonformismo, l’e-gocentrismo e la “tecnica del fai da te” i loro principali ideali affiancati da una provoca-zione costante nei confronti delle autorità politiche e sociali. Fra le formazioni storiche meritano un occhio di riguardo i Ramones, I Sex Pistols e i Clash: gruppi considerati i padri del punk classico. Oggi il punk sta tornando alla ribalta anche se formalmente e musical-mente con forti differenze: come le tendenze a trovare nuove sonorità fondendo vari generi oppure lo sviluppo di una tecnica individuale molto buona da parte dei musicisti. Anche se da alcuni il punk è considerato un fenomeno anticulturale, è al contrario, secondo me, un fenomeno di grande rilevanza sia dal punto di vista musicale che da quello sociale-culturale. Da un po’ di anni ci stiamo accorgendo che il Punk sta ritornando prepotentemente alla ribalta. Chi è appassionato e segue tale movi-mento culturale sa bene che questo fatto non è una novità. Ora però esso sta veramente di-

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ATTUALITÀ

ventando un fenomeno troppo commerciale perdendo così il suo significato di “fai da te”. Sono sempre meno i gruppi che incidono su etichette indipendenti e sempre più quelli che passano a contratti miliardari su majors.WIl Punk, con i fenomeni ad esso collegati, nel 1997 è rappresentato da schiere di gruppi e gruppettini più o meno simili tra loro dai qua-li emergono quei tre o quattro che sono consi-

derati culto fra i kids di oggi.

Consacrati al grande pubblico sono i Nofx, i Rancid e soprattutto i Green Day e gli Of-fspring dei quali è uscito recentemente l’ulti-mo lavoro. Questi ultimi due più che i primi hanno vivacizzato il dibattito sul se sia giusto o no portare il Punk ad un tale livello di com-mercialità e ridurlo a semplici “canzonette”. Chi li considera bravi artisti, chi buffoni, chi incapaci, chi idoli, ma a noi Punk che ce ne im-porta? Sono stufo di sentirmi dire “Che mer-da i Green Day” o “Che schifo gli Offspring”. Io minimizzo e riduco il tutto ad un sempli-ce “Sono musicisti più o meno capaci e più o meno bravi che hanno scelto di dedicare il loro Punk alle masse per specularci sopra!”.

METALLARII Metallari hanno un immagine cupa e trasan-data, questo non significa che siano persone perennemente tristi e afflitte; indossano pan-taloni di pelle, jeans aderenti scuri e vecchi, maglie nere rappresentanti gruppi musicali o scene macabre, magliette a maniche lunghe, felpe scure e giubbotti neri di pelle lunghi. Anche le ragazze sono molto simili, in quan-to sono anche loro vestite così. Magari a vol-te portano gonne, ma accompagnate da calze scure e rovinate. Sono per loro d’obbligo gli anfibi o per i thrasher le scarpe di gomma alta, ma anche gli stivali vengono molto utilizzati e l’’impermeabile alla caviglia o il giubbotto nero di pelle lungo, ma anche un bel chiodo rovinato e borchiato fa la sua scena. Sia ragaz-zi che ragazze hanno i capelli lunghi e poco curati, spesso hanno tatuaggi con teschi e sce-ne macabre, portano grossi medaglioni a sfon-do satanico o guerriero ma anche, soprattutto in uso tra le ragazze, anelli e armature da dito, e non si separano mai dalle loro borchie. I dark si vestono come i metallari, la piccola diffe-renza sta nel fatto che loro scelgono sempre ed assolutamente il nero come il colore dei loro abiti, molto spesso usano acconciature diverse (il mitico crestone dark anni ’80). Nonostante il loro aspetto poco rassicurante, molto spesso si tratta di persone simpatiche e dolci, natu-ralmente con le eccezioni che non mancano mai. Generalmente il metallaro medio, risen-

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te un po’ della vecchia fama di stupratore e poco di buono e per eliminare il pregiudizio che un po’ lo perseguita fa tutto ciò che non ci si aspetterebbe da lui: scrive poesie, canzo-ni, parla in maniera sciolta, suona, legge, di-pinge, disegna, magari si dedica a sport dallo sfondo epico come la scherma. Ma ovviamente le eccezioni esistono in ogni categoria.I metallari e i dark ascoltano diversi tipi di musica tra cui heavy, gothic, black, power, speed e trash, tutti quanti definiti musica me-tal. I gruppi più ascoltati sono i Metallica, i Se-poltura e i Pantera, gli Helloween, gli Slayer, i Death, gli Iron Maiden, questi solo per citarne alcuni, gruppi che aiutano il disperato biso-gno di identificarsi dei metallari in qualcosa e di dare fastidio a tutti gli altri, ma nello stesso tempo bisogna anche non fossilizzarsi e non disprezzare altri generi altrettanto potenti, cosa che spesso accade. I metallari si ritrova-no in locali, che come già detto, rispecchiano sempre l’immagine e la cultura di chi li fre-quenta. Sono quindi luoghi tetri e macabri, dove viene passata musica metal; i locali più popolari sono l’Elf’s Inn, il Midnight, il Wizard e il Transilvania. I dark frequentano spesso i rave, ovvero feste solitamente all’aperto dove su palchi o su carri si suona musica techno e hard core. La polizia locale non tollera questi happening e quindi molto frequentemente non sono abu-sivi. Durano anche più di un giorno e gli l’ob-biettivi principali sono “calarsi” e fare casino. Questi ritrovi sono spesso anche internazio-nali, ovvero raccolgono gente proveniente da tutt’Europa. I dark italiani si spostano all’e-stero per seguire queste feste; le città princi-pali dove si svolgono i rave sono Zurigo e Ber-lino. Dato l’elevato affollamento e l’alto uso di droghe, che in questi posti è molto frequente, parecchie persone si sentono male e finiscono in ospedale. Locali veramente belli per questo stile sono pochi, primo perché le canzoni che mettono sono dei gruppi più conosciuti e quin-di non apprezzati, secondo non si può pogare (come in discoteca si balla, nei concerti o nei locali punk si poga). Il pogo è ballare saltan-do addosso agli altri, spingendosi e picchiarsi, sempre divertendosi. Più la musica è veloce e cattiva, più il pogo è grosso e violento.

Generalmente un Defender, deve superare 4 fasi e, molto spesso anche persone che non

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ATTUALITÀ

ascoltano Metal le passano:1. La scoperta: quando si ritrova nel Metal una parte di noi, quando ci si riconosce in quella musica.2. Rifiuto di se stessi e del mondo: quando si inizia a riflettere e la verità viene a galla, il sentirsi afflitti da un peso enorme e anche la difficoltà di accettarsi e di accettare la realtà.3. Il superpotere: quando va tutto bene, tutto fila per il verso giusto, ci si sente cresciuti, po-tenti si crede di poter spaccare il mondo. È la fase forse migliore per chi la vive e la peggiore per chi vive vicino a questa persona.4. L’abbandono: gli ideali, le idee rimangono salde, ma tutto quello che gira intorno ad esse inizia a scomparire. Capita spesso di vedere metallari vestiti normalmente con i capelli lunghi che non abbandonano la loro musica.

HIP HOP

L’hip hop è uno stile musicale che è nato negli USA, nei ghetti afroamericani, più esattamen-te a New York, nel Bronx degli anni Settanta. L’hip hop è un collegamento tra influenze gia-maicane e nordamericane e il padre dell’hip hop che si chiama DJ Kool Herc è giamaicano. L’Hip hop è creato specialmente all’aperto, sulla strada. Questo stile musicale è costituito di due principali elementi: il rap, cioè il canto, spesso si chiama MCing, e il secondo elemento è il DJing, cioè la musica. “DJing” è derivato dalla parola “DJ” ovvero disk jockey, la persona che lavora con i dischi sul giradischi e comanda mixer e sampler. Al-tri tre elementi dipendenti dai primi sono: il Bboying o breakdance, cioè il ballo, i graffiti, cioè l’arte grafica, e l’ultimo è il beatbox. Be-atbox significa creare della musica con la pro-pria bocca e la voce. Imita suoni di strumenti musicali, più spesso il suono delle percussioni. Allora, l’hip hop non è solo una musica, ma è un gruppo cinque elementi che diventa uno stile di vita. Il termine “hip” significa «di moda» e “hop” significa ballo e movimento. Il rap è molto spesso confuso con il termine “hip hop”, ma è solo una parte dell’hip hop, è una concreta espressione musicale. Anche il rap prende origine dalla Giamaica ed è usato in

altri stili musicali. MC, un cantante è una per-sona con il microfono che fa il rap. Il suo com-pito originario era quello di invitare la gente a ballare e di intrattenere il pubblico nelle pause della musica. Oggi, il rapper è la parte più importante nella musica hip hop perché l’hip hop mette l’accento sul testo e sul mes-saggio più che sul lato musicale. I testi espri-mono idee e la verità nuda e cruda della vita. È una critica della società, molto spesso forte e diretta. La lingua del rapper non è predefi-nita, la scelta delle parole è molto libera. Può parlare come vuole, allora è spesso volgare, ma è un’espressione reale di una situazione specifica.L’hip hop è stato il forte dei neri e ancora lo è perché nel passato parlava dei problemi della gente colore. Nel passato cercava di mettere in risalto le condizioni di vita sfavorevole, la violenza e la povertà dei giovani neri norda-mericani. La musica era la loro manifestazio-ne e una protesta. L’hip hop si è diffuso molto velocemente perché alla gente non occorre niente di speciale per fare la musica e perché lo stile era completamente nuovo e non era trito. Oggi l’hip hop è molto cambiato. Quan-do gli studi musicali l’hanno scoperto, è nato l’hip hop gangster. Questo nuovo movimento è diventato commerciale e i testi sono cambiato totalmente perché il razzismo non è un tema interessante; adesso descrivono party, feste, prostituzione, droghe e crimini. Lo stile mu-sicale iniziale era una rivolta e una protesta contro l’ingiustizia della società e il razzismo, ora ha perso la sua identità originaria. Ma nel-la sua forma di oggi è uno degli stili musicali preferiti nel mondo, specialmente nell’Ameri-ca del Nord.

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Hipster, la ribalta dell’anticonformismovintage

Tra le varie tendenze giovanili che spo-polano al giorno d’oggi, sicuramente una delle più particolari che danno

sull’occhio è quella legata ai così detti Hip-ster. Questa sotto cultura di stampo america-no si basa su un vero e proprio modo d’essere e di comportarsi. Varia dall’abbigliamento, alla musica, negli interessi culturali e per-sino nella spiritualità volendo. In italia la moda si limita per lo più all’abbigliamento. La persona che sceglie un vestiario hipster ri-cerca perlopiù capi vintage, abiti usati, un’e-leganza da radical chic. Gli outfit che sono più frequenti per quanto riguarda l’abbiglia-mento sono i pantaloni molto attillati, le ca-micie a quadrettoni stile boscaiolo canadese, e le scarpe a stivaletto. Questo abbigliamento standard può essere indossato da entrambi i sessi, poi ognuno può personalizzare il pro-prio vestiario rendendolo più alternativo se-condo il proprio gusto. Infatti ciò che ha reso popolare questa moda è proprio la ricerca dell’alternativo, di una tendenza personale che sfondi i canoni.

Le origini e L’evoLuzione neL novecento.

Il termine “Hipster” risale allo scorso secolo in America, ed era un neologismo utilizzato per indicare gli appassionati di musica Jazz all’inizio degli anni 40. Queste persone, che erano perlopiù di carnagione bianca appar-tenenti alla medioalta borghesia, erano soli-te emulare l’abbigliamento dei jazzisti afro-americani, che per l’epoca era considerato

piuttosto rustico e non elegante.La sottocultura hipster cominciò ad am-pliarsi con la Beat Generation grazie anche all’influenza letteraria di quel periodo che li vide protagonisti in prima persona. Scrittori come Jack Kerouac e Norman Mailer descris-sero questa corrente giovanile come un movi-mento di anime erranti portatrici di una loro spiritualità di essere. O come esistenzialisti statunitensi, che vivevano la loro vita cir-condati dalla morte - annientati dalla guerra atomica o strangolati dal conformismo socia-le - e che decidevano di «divorziare dalla so-cietà, vivere senza radici e intraprendere un misterioso viaggio negli eversivi imperativi dell’io». Nel corso dei successivi decenni, il movimento crebbe, ma rimase di nicchia, ri-spetto alle altre sottoculture legate alla mu-sica che in America e nel mondo spopolavano maggiormente. Giungendo al giorno d’oggi dove negli ultimi anni questa tendenza che si stava ormai impolverando è tornata in auge a causa dell’estenuante ricerca dei giovani per una corrente anticonformista e particolare. È stata dunque rispolverata e fatta mutare per esser adattata al nostro tempo, con sostan-ziali differenze sia ideologiche che musicali ed estetiche.Quello che al giorno d’oggi salta più all’occhio oltre all’abbigliamento, e si-curamente la gestione della peluria facciale, per quanta riguarda gli uomini. Infatti una delle peculiarità più frequenti degli hipster maschi sono le forme di barba e baffi decisa-mente inusuali. Baffi arricciolati, o lunghe barbe da pioniere americano, tutte “accon-ciature” di epoche passate. Questa ricerca di

di Carlo Bigazzi

Storia e curiosità di questa moda emergente. Tra baffi, biciclette d’epoca e pantaloni attillati.

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stili perlopiù ottocenteschi, non è causale. Infatti molti hipster sono veri cultori di quell’epoca, e non si limitano ad imitarne l’estetica faccia-le. Abitudini, interessi, vesti-ti e mezzi di trasporto anche. I più immersi nello stile, ri-cercano il vintage estremo in ogni componente della vita quotidiana. Non c’è però uno standard fisso di personalità in questa corrente, possia-mo però dividere i cultori di questa in due categorie che si differiscono alquanto nel-la loro quotidianità. Il pri-mo si riprende strettamente da quello di cui si è trattato prima: feticista di mode pas-sate, adoratore di anni mai vissuti, ricerca ogni piccolo frammento di vita polverosa ovunque. Non si limita alla alla barba o ai baffi, ma agli interessi musicali, letterari, o di mero svago. Passa gior-nate in biblioteche, in quar-tieri storici della città con qualche suo simile e parla del decadentismo inevitabile della società, dello struggen-te minimalismo del Ventune-simo secolo, e di come non si trovi più il tabacco giusto per la sua fedele pipa dal tabac-caio di fiducia. Passeggia, va in bici con la graziella della nonna, frequenta anziane

una presunta valenza cul-turale e filosofica. Il pub per hipster, la discoteca per hip-ster e la straordinaria fratel-lanza tra i componenti e co-munione di questa categoria sono le etichette distintive. Dormono il giorno e vivono la notte. In differenza alla categoria dei cultori del pas-sato, c’è ovviamente il modo di vestire, mentre gli altri ricercano la qualità vestia-ria pagando centinaia una sciarpa o un paio di guanti, questi prediligono abbiglia-menti decisamente meno sfarzosi e molto più economi-ci. In genere hanno un conto

aperto dal botteghino cinese, dal quale passano quotidia-namente per ponderare nuo-vi outfit per la serata. Cultu-ralmente più aperto ad ogni attitudine, quando è da solo, l’hipster mondano si rifugia sui social, Istagram è il suo preferito, pubblica foto del cibo vegano, ascolta hip hop violento, e di rilassa fuman-do erba. Fotografia, Skatebo-ard, arte astratta decadenti-sta e futurista, sono piaceri che non sono disprezzati. No-nostante sia una corrente prevalentemente seguita da uomini, c’è una forte compo-nente femminile, meno va-riegata ma molto orgogliosa della propria tendenza. Ci-tando dal Sole 24 Ore una de-scrizione della componente femminile:

“Si dice che le donne nella sto-ria siano sempre state hip-ster e che la hipster donna è meno connotata del maschio perché le donne si sono sem-pre interessate più degli uo-mini all’aspetto fisico e alla propria collocazione sociale e alle mode. Connotando il proprio aspetto, riempien-dosi la faccia di significanti,

aristocratiche che collezio-nano arte e scrive poesie che pubblica poi sulla sua pagina Facebook. Quello che condi-vide maggiormente con la seconda categoria che vado adesso a spiegare è l’incli-nazione al disprezzo severo di tutto ciò che non è il suo essere hipster. La seconda categoria si è invece unifor-mata alla caotica mondanità del nostro tempo. Sono festa-ioli e ricercatori di ogni tipo d’eccesso. Droga, alcol e ses-so, ma non come facevano i rocker degli anni 70, perché il tutto viene compiuto con

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l’uomo hipster è pari in va-nità alla donna o la supera, creando così la scena hipster. Per lei, jeans stretti a vita alta, leggings, bigiotteria, look da segretaria sadomaso, panta-loncini corti come mutande (anche per lui). Tranne che nel caso dell’omone barbu-to – in estate con t-shirt con maniche strappate – il look è androgino. L’uomo è esperto di sneakers ma ha un calzo-laio di fiducia per le calzatu-re stringate vecchio stile”. In conclusione la moda Hipster, firmata USA, è una moda dalle vecchie radici, uno da-gli stili attuali più seguiti con la storia più lunga, con le evoluzioni, le diramazioni e le sottocategorie tutte per-sonali. Il voler essere di nic-chia coperti dalla bandiera dell’anticonforme, che spes-so, purtroppo o menomale per la società è già omologato e etichettato.

Per l’hipster, Charlie Parker era il modello di riferimento. L’hipster è un uomo sotterraneo, è durante la seconda guerra mondiale ciò che il dadaismo è stato per la prima. È amorale, anarchico, gentile e civilizzato al punto da essere decadente. Si trova sempre dieci passi avanti rispetto agli altri grazie alla sua coscienza. Conosce l’ipocrisia della burocrazia e l’odio implicito nelle religioni, quindi che valori gli restano a parte attraversare l’esistenza evitando il dolore, controllando le emozioni e mostrandosi cool? Egli cerca qualcosa che trascenda tutte queste sciocchezze e la trova nel jazz.

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Nel CarrelloOrmai è da qualche anno che la rete e le sue mille diramazioni hanno rivoluzionato la logi-ca di shopping, i tempi in cui per acquistare un determinato prodotto dovevi avventurar-ti per mezza città, magari sotto la pioggia, magari salendo su un sovraffollato mezzo di linea e girando in un incessante via vai fra ne-gozi e negozi per trovarti a fine giornata con in mano l’unico pezzo disponibile di taglia XXL, che niente contro le taglie forti, ma sem-bra sempre l’unico che resta li, bhe quei tempi sono finiti! Oggi basti pensare ai mille siti di-sponibili a portata di tastiera, inserisci taglia, colore e misura e in men che non si dica (dai 4 ai 7 giorno lavorativi) hai il capo dei tuoi sogni in mano, senza stress, senza camminata, sen-za pioggia, senza bus sovraffollato, solo il tuo capo ben inscatolato, pronto per te, basta una firma al simpatico corriere, una carta pre-pagata ed il gioco è fatto, ma questo è bene? O almeno, lo è completamente? La comodità di non muoversi, di avere tutto a portata di mano, presenta solo lati positivi?Che dire, io non so qui per dare giudizi ma pragmaticamente esporrò una lista di pro e contro dell’e-commerce!

CONTRO• L’acquirente non può accertarsi delle reali

condizioni dell’articolo;• Non è certa l’affidabilità del venditore;• Possibilità di “incappare” nello sconve-

niente imprevisto delle spese doganali in caso di acquisti su siti esteri;

• Non tutti gli articoli presenti nei negozi fi-sici sono necessariamente in vendita sul sito web;

• Possibilità di cadere in truffe, soprattutto quando il venditore è un privato.

PRO• Poter effettuare acquisti in qualsiasi luo-

go e giorno;• Niente stress per lunghe file;• Probabilità più alta di accalappiare delle

grandi offerte;• Acquisti più convenienti a causa della

vendita in rete;• Offerte esistenti unicamente sul web e

non nei negozi fisici (vedi CyberMonday);• Opportunità di scegliere da casa propria

i più disparati articoli da altrettanti negozi differenti.

di Marta Conti

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Fondamentalmente si tratta sempre della stessa azione ma in contesti diversi, ovvero, rispondere al telefono:1. Quando siete a tavola.Questo implica due situazioni possibili, cioè quando porti il telefono a tavola, e quando ri-spondete al telefono a tavola e non avete nes-suna intenzione di alzarvi e di andare in un altra stanza a parlare, ma parlate tranquil-lamente mentre gli altri mangiano e magari erano nel pieno di una discussione che hanno dovuto interrompere perché voi state parlan-do al telefono.2. Quando siete al cinema.Anche qui abbiamo due possibilità: Rispon-dere al telefono e parlare tranquillamente mentre gli altri spettatori cercano di seguire il film, e ancora peggio, rispondere ai messag-gi tranquillamente mentre gli altri spettatori cercano di vedere il film, nel caso non ve ne siete accorti la luce del display da fastidio, molto fastidio.3. Quando parli con una persona convinta che ti sta ascoltando e intanto prende il cellu-

Top Five delle cose più odiate degli smartphone

lare e messaggia con un altra persona.4. Quando parlano al telefono in treno. Non sto parlando dei discorsi che durano due minuti, no, parlo di quei discorsi interminabili dove il “Telefonante” non ha la minima inten-zione di alzarsi per andare a parlare nel cor-ridoio o tra un vagone e l’altro, sfinendo così gli altri passeggeri che o stavano dormendo, o studiando o ascoltando musica o leggendo un buon libro o. Per non parlare di quando la tele-fonata viene fatta da un napoletano/a che non parla, ma urla e ancora peggio si sente persino il dialogo tra lei e la persona dall’altra parte, oppure ancora peggio quando mettono il vi-vavoce. In treno è anche snervante quando i passeggeri mettono la musica ad alto volume.5. Quando sei in qualche ufficio pubblico, o dal medico, o dalle poste, e magari hai fatto una fila di un ora e mezza per essere li, inizi a parlare e a spiegare le tue ragioni e poi all’im-provviso, gli squilla il telefono. Basta è la fine. Sarebbe il tuo turno ma con una telefonata questi ti superano alla grande e tu sei li, come uno stupido, impotente e puoi solo aspettare.

di Zoe Accardi

Sapete no… quelle cose che se le fate voi pensate “Ci sto un attimo” o “Non ce niente di male”, e se qualcuno vi dice qualcosa pensate “Ma che problema ha?”. Però, poi, quando vi trovate dall’altra parte vi rendete conto che di male ne fate, eccome.

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Non fraintendetemi, adoro il profumo da uomo, sono i più buoni in assoluto, quelli da don-na per me sono puzzolenti e ba-sta, troppo dolci, troppo frizzan-ti, troppo forti, troppo alcolici, troppo tutto. Tollero al massimo l’eau de toilette… e comunque quelli naturali, che sanno di mu-schio bianco o presi in erboriste-ria, quelli leggeri e delicati in-somma. Purtroppo… purtroppo perché vorrei tanto essere come una di quelle modelle con indos-so il loro profumo appena spruz-zato di nascosto, che passeggia-no felinamente per la strada, e tutti gli uomini vengono rapiti e sedotti dalla fragranza, e si vol-tano presi da una qualche forma di estasi a guardarle, (come cer-cano di farci credere le pubblici-

I veri uomini non usano il profumo

tà da anni d’altronde). Anche se devo dire, che se succedesse per davvero, sarebbe molto inquie-tante, probabilmente con i tempi che corrono, fuggiremmo tutte in preda al panico col terrore di essere molestate. Vorrei anche entrate in un negozio e chiedere alla commessa “Vorrei un profu-mo che si adatti a me, che gridi il mio nome, con la mia personali-tà: Una persona forte sensuale indipendente… ecc ecc”, ma tan-to mi consiglierebbero solo i so-liti profumi che vanno di moda, ovvero quelli puzzolenti, per me il profumo è una cosa troppo personale, è quello e basta, non si cambia, è tuo, ognuno deve avere il suo profumo, altrimenti sei una persona comune, uguale a tutte le altre. Un profumo per

di Zoe Accardi

Profumo (dal latino Per : Attraverso, e Fumun : Fumo). Il profumo è una miscela a base di alcool o sostanze oleose con sostanze odorose con lo scopo di procurare sensazioni olfattive gradevoli. I profumi erano già conosciuti ed utilizzati dagli egizi circa 5000 anni fa.

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l’estate: Che sappia di sole, di mare, di brezza fresca e uno per l’inverno: Che trasmetta calo-re. Basta. Anche troppi per una persona. Sono questi i messaggi che dovrebbero trasmettere le pubblicità, invece i messaggi non sempre sono dei bei messaggi. Purtroppo. Non so se vi è mai capitato, ad esempio, di sentire un profumo addosso ad una persona che vi ricor-di un altra persona… non è orribile? Abbiamo tutti lo stesso profumo! Ad ogni modo, l’uni-co effetto che ha il profumo è quello di farmi allergia. Purtroppo. Quelli da uomo, come di-cevo, sono davvero buonissimi. Sono talmen-te buoni che li indossano anche le donne. Co-munque ho una domanda: Ma da quando gli uomini usano il profumo? Voi mi direte “Da sempre” con tono saccente magari, ma la veri-tà è che non è mai stato così! È la pubblicità di oggi che ve lo fa credere! Certo, io lo capisco, insomma siamo bombardati di pubblicità in continuazione, ovunque andiamo e qualun-que cosa facciamo…ormai l’idea è già stata immessa dentro di noi molti anni fa, ma dav-vero, non è così! Vi basta guardare anche solo un film vecchio in bianco e nero o le vecchie pubblicità, non si vede mai un uomo mettersi il profumo. Se non mi credete ancora, allora vi sfido a guardare come un uomo indossa il profumo e come lo indossa una donna, che è come andrebbe indossato: Una donna indos-sa il profumo mettendolo in modo preciso e in punti precisi. Il profumo tanto per iniziare

non si compra mai spray, anche quella è una manovra di marketing perché te ne metti tan-to e quindi ne consumi tanto e quindi ne com-pri di più, e quindi fai guadagnare le grandi marche il doppio; no. Il profumo va comprato a tappo, si mette una goccia in un batuffolo di cotone, dopodiché lo metti nei punti precisi (precisi perché in questi punti le vene pul-sano, creando calore e il profumo vaporizza meglio): Tamponi delicatamente il collo, poi dietro le orecchie, poi prendi il batuffolo e lo infili nel decoltè, lo lasci li finché non lo togli per uscire, prendi un altro batuffolo, lo spor-chi con un goccio di profumo e lo passi deli-catamente sui polsi, poi, tamponi l’interno coscia. Ecco, ora immaginatevi questa prati-ca fatta da un uomo. Raccapricciante, vero? Non so se avete mai visto un uomo mettersi un profumo, ma più o meno ci fanno il bagno, se lo spruzzano come un deodorante, come se avessero appena finito una partita di calcet-to con gli amici. E alla fine finiscono sempre per profumare più di voi. Invece l’uomo non lo dovrebbe portare, l’uomo ha sempre portato l’acqua di colonia, il dopobarba e al massimo il deodorante. Punto e stop. Questo semmai è un vero uomo, (in termini di profumi, s’intende) non il profumo di Hugo Boss sponsorizzato da un Gerald Butler che passeggia a caso per la città, troppo sicuro di se, e che comunque non sa dove andare. Il profumo è donna, l’acqua di colonia uomo.

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Quando un giovane cerca occupazione si trova spesso di fronte ai giudizi affrettati del futuro datore di lavorospesso però, sono solo giudizi artefatti...

Lavoro,giovani e luoghicomuni

di Jacopo Piergentili

Sui giovani esistono molti luoghi comuni, frutto di stereotipi che, tuttavia, giocano un ruolo della massima importanza contro l’inserimento nel mondo del la-voro dei giovani sessi. Ma non sempre, rispecchiano la realtà dei fatti. tra i più trendy: “i giovani non trovano fa-cilmente lavoro perché ci sono lavoratori tutelati che impediscono il ricambio generazionale. L’eccesso di rigidità del mercato del lavoro punisce, quindi, proprio gli aspiranti neo-lavoratori»; «i giovani sono poco produttivi per-ché non hanno esperienza in campo

lavorativo. La scuola e l’università non preparano e le imprese non sono nel-le condizioni di permettersi l’investi-mento formativo…”.

La riprova che i luoghi comuni quasi mai aderiscono alla realtà fattuale è data dall’e-sperienza maturata in tale campo. Per pri-ma cosa, la tradizionale contrapposizione tra giovani e anziani nella realtà occupazio-nale e sul campo stesso di lavoro è un dato puramente fittizio, più funzionale allo scar-dinamento delle tutele accordate a parte dei lavoratori che al sostegno dell’occupazione giovanile. La mobilità dei soggetti nel siste-

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ma occupazionale - e, quindi, la possibilità per i soggetti attivi di trovare o cambiare occupazione e attività lavorativa e per gli inattivi di accedere al lavoro - non dipende, però, in alcun modo dal venir meno delle protezioni e delle tutele accordate ai lavo-ratori ora occupati a tempo indeterminato. Semmai essa è garantita dalla presenza di diverse occasioni di lavoro, non solo e non tanto nei settori esistenti. La diversificazione della specializzazione del tessuto economico è, infatti, un fattore cruciale per attrarre e pro-durre nuovi mestieri e nuove professionali-tà, in piena coerenza con l’articolazione delle funzioni che interessa tutti i settori economi-ci. L’altro fattore cruciale è rappresentato dal riconoscimento delle competenze acquisite durante il percorso lavorativo: si tratta dell’op-

portunità, specie per i lavoratori che hanno oc-cupazioni discontinue, di formalizzare le com-petenze che sono acquisite nei diversi rapporti di lavoro, al fine di poterle trasferire e quindi attribuire loro valore e riconoscimento econo-mico. Questi fattori sono, però, il prodotto di strategie governative ben precise che sono sle-gate dalla contingenza e si riconducono, inve-ce, a decisioni di politica economica, fiscale, di politica industriale, della formazione e dell’i-struzione, e del lavoro. In questi diversi ambiti, le istituzioni governative del nostro paese, non da oggi, hanno dato prova di assoluto disinte-resse, se non elaborando, in termini disorgani-ci, progetti di riforma del tutto incongruenti con i bisogni dei lavoratori e delle imprese.In questa fase di crisi accentuata che vede un lungo susseguirsi di licenziamenti, precariz-

Indice sugli articoli riferiti alla ricerca di

occupazione visti alla lente

d’ingrandimento

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ATTUALITÀ

zazione della popolazione più giovane, è dav-vero possibile asserire la presenza di una divisione tra lavoratori garantiti, con con-tratti a tempo indeterminato e lavoratori precarizzati, occupati in modo discontinuo con contratti atipici? Nel 2010 l’Inps ha au-torizzato quasi un miliardo di ore di cassa integrazione (tra ordinaria, straordinaria e in deroga) rispetto ai 245 milioni del 2005 mentre 142.863 sono stati i beneficiari del trattamento di mobilità. Senza contare i trattamenti di disoccupazione. In Veneto, nel 2010, sono state 124.817.662 le ore di cassa integrazione autorizzate. La crisi sta colpendo in termini difformi tutte le fasce d’età e tutti i settori economici. Segno che la crisi internazionale ha urtato contro i pro-blemi della struttura economica nazionale. Pare, quindi, che l’attuale dibattito politico sulle riforme possibili sia molto distante dalla realtà dei fatti.

LA SituAzione euroPeA. Eppure in altre parti d’Europa la crisi impatta diversamen-te: secondo i dati OECD nell’ultimo trimestre del 2011 il tasso di disoccupazione giovanile nella fascia 15-24 anni è pari al 30,3% in Ita-lia, al 49,2% in Grecia, al 48,1% in Spagna, al 33,8% in Portogallo e all’22,1% in Francia e in Gran Bretagna ma all’8,1% in Germania, all’8,3% in Norvegia e al 14,1% in Danimarca. Mentre sono in aumento i NEET (youth Nei-ther in Employment nor in Education and

Training), giovani che non sono impegnati né in attività formative e in percorsi di stu-dio né in attività lavorativa. In Italia, come mostrano i dati del Rapporto sulla coesione sociale Istat (2011), i giovani NEET sono circa 2,1 milioni, di cui 938 mila maschi e 1,17 mi-lioni di femmine. Il 38 % ha un’età compresa tra i 20 e i 24 anni (800 mila giovani) ed il 14 % è di nazionalità straniera. Il 46% ha al massimo la licenza media, il 34% sono disoc-cupati e il 30% sono inattivi scoraggiati. Nel Nord i giovani NEET sono 660 mila (247 ma-schi e 362 mila femmine) mentre nel Mez-zogiorno il loro numero sale a 1,2 milioni (564 mila maschi e 635 mila femmine). Gli studi dell’OECD evidenziano che i NEET sono giovani scoraggiati e marginalizzati, spesso costretti all’inerzia a causa di svan-taggi multipli (bassa scolarità associata a

Infografica che introducesimbolicamentei valori statistici dell’articolo.

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ATTUALITÀ

Eppure il sistemaoccupazionale italiano

pullula di stage che,oltre a non avere alcuna forma di retribuzione, spesso non permettonoai giovani nemmeno di acquisire le competenze cui questi sono mirati

disagio familiare, problemi di salute, po-vertà e altre forme di esclusione sociale). Si tratta di una fascia della popolazione che con maggior evidenza sta subendo gli effetti dei processi di scardinamento dello stato sociale che, in diversi paesi, hanno prodotto la dismissione dei piani di lotta all’esclusione sociale e hanno leso pesan-temente il diritto allo studio e all’accesso ai servizi sociali e sanitari. I problemi che incontrano i giovani italiani a trovare una qualche direzione e a emanciparsi dalla fami-glia di origine, posticipando, quindi, l’ingres-so nell’età adulta sono anche il riflesso della struttura del sistema occupazionale.

LA ForMAzone LAvorAtivA. In Italia, la ricerca di personale delle imprese assume spesso contorni paradossali che si manife-stano con inserzioni che aprono con: “cer-casi apprendista qualificato” o “cercasi ne-olaureato con esperienza”. Si tratta nella maggior parte dei casi di annunci che mo-strano da parte dell’impresa una certa in-disposizione a farsi carico della formazione delle persone che intende assumere, anche

se a tempo determinato. Se è vero che parte delle competenze tecniche si acquisiscono con l’esperienza è, tuttavia, indispensabile che vi sia una qualche forma di preceden-te conoscienza anche, superficiale del ruo-lo che il giovane si appresterà a svolgere in fase lavorativa, per poter aumentare le sue

Nella foto sopra: Un ragazzo che fa richiesta ad

obbiettivo lavoro

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probabilità di venire assunto. Tanto più che sono proprio le imprese a lamentare la di-stanza tra le conoscenze acquisite dai giovani nei percorsi di studi e le competenze neces-sarie all’attività lavorativa. Eppure il sistema occupazionale italiano pullula di stage - che oltre a non avere alcuna forma di retribuzione, spesso non permettono ai giovani nemmeno di acquisire le competenze cui questi sono mirati.Il risultato? Un mercato del lavoro fin troppo

flessibile, al punto da permettere alle imprese di sperimentare il lavoratore, giovane e adulto, attraverso l’utilizzo di forme di contratto pre-cario e, poiché discontinue, scarsamente re-tribuite che spesso non permettono nemmeno l’accesso alle misure di sostegno al reddito. Inol-tre, nel mercato del lavoro italiano si può indi-viduare una grande difficoltà riguardo all’in-contro di “domanda” ed “offerta” lavorativa e, per rimanere in tema di stereotipi, sarà colpa dei giovani mediterranei che non si adattano?

PArLiAMo Di SovrAiStruzione. Una vasta letteratura socio-economica ha osservato in ambito internazionale la diffusione del feno-meno della sovraistruzione. Per sovraistruzione s’intende lo sbilanciamento presente tra il bas-so livello di istruzione richiesto o neces-sario per lo svolgimento di una determi-nata mansione e l’alto livello effettivamente posseduto dal soggetto. Gli studi svolti in Italia evidenziano che il fenomeno della sovraistru-zione interessa una porzione elevata dei neo-laureati italiani. Sulla rivista ‘Stato e Mercato’ (2010), il ricercatore Marco Terraneo osserva che oltre un quarto dei neolaureati italiani oc-cupati, a tre anni dal conseguimento del tito-

Nella foto sotto:Ragazzo con un cartello con su scritto “looking for a job” (cerco lavoro) seduto su una scalinata

I neolaureati italiani occupati, è impegnato in un’attività lavorativa per la quale il possesso della laurea è non necessario e spesso eccessivo, per il lavoro che deve svolgere.

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ATTUALITÀ

Nella foto sotto:Ragazzo con un cartello con su

scritto “looking for a job” (cerco

lavoro) seduto su una scalinata

lo, è impegnato in un’attività lavorativa per la quale il possesso della laurea è non necessario e spesso addirittura eccessivo, per le mansioni che viene chiamato a svolgere.È chiaro, allora, che esiste una difficoltà tut-ta interna al sistema economico italiano ad assorbire forza lavoro con istruzione elevata. Questa difficoltà del sistema economico, come già evidenziato, è riconducibile alla sua specia-lizzazione, attagliata a settori manifatturieri e di servizio, caratterizzati da bassa innovazione tecnologica e alta intensità di lavoro umano. Gli stessi settori che oggi stanno urtando in misura maggiore contro gli effetti della crisi. In Veneto, come risulta dai dati di Veneto La-voro, nel 2011 l’industria ha perso 13.800 posti di lavoro (quasi 60.000 su base triennale, di cui 20.000 nel metalmeccanico). Alta la con-trazione nelle costruzioni (-4.800 unità) men-tre nell’ambito del manifatturiero, i risultati principali, tutti negativi, sono quelli del me-talmeccanico (-1.800 unità), del legno- mobilio (-2.000), del tessile-abbigliamento (-2.300). I settori tradizionali del  made in Italy. Gli uni-ci comparti con saldi positivi, sia nell’anno osservato che nel triennio 2009-2011, sono la

farmaceutica e le  utilities. Il settore dei ser-vizi nel 2011 ha perso -1.800 posti di lavoro, soprattutto i servizi turistici e quelli dell’istru-zione del commercio all’ingrosso. Aumentano invece i posti di lavoro nei servizi di pulizia, nei trasporti, nella sanità e nei servizi sociali. Nel complesso del triennio 2009-2011, i servi-zi hanno registrato una caduta di 9.000 posti di lavoro, concentrata nel turismo, nel com-mercio all’ingrosso, nei trasporti (nonostante il recupero dell’ultimo anno) e nella Pubblica amministrazione. Sono cresciuti i comparti della sanità e dei servizi sociali (+4.500 posti), i servizi di vigilanza e i servizi di pulizia. Alle basse qualifiche richieste dalle imprese, così come evidenziano le analisi Istat sull’anda-mento occupazionale, si associa, però, un nu-mero crescente di laureati che hanno investito nel conseguimento del titolo. Essi si auspica-no di trovare in fretta un’occupazione almeno dignitosa, in termini di reddito, e funzionale ad acquisire delle competenze formalizzate per dare valore al percorso di studi effettuato. Quanto tempo servirà ancora per realizzare questa legittima aspettativa?

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Non so voi donne... ma io, nella mia vita lavo-rativa sono sempre stata migliore rispetto agli uomini, la più veloce, la più gentile, quella che lavorava di più, che ci teneva e otteneva risul-tati migliori. Fin qui tutto bene no? Credete che mi pagassero più degli uomini? Assoluta-mente no. Sono solo una donna, perché dovrebbe-ro. Vi faccio un esempio qualsiasi. A venti anni lavoravo in un bar come cameriera, dieci ore lavo-rative pagate in nero, ora-ri dalle 17:00 alle 03:00 di notte, il tutto per 35 € al giorno. Ovviamente non era giusto ma volevo lavorare ed ero conten-ta così. Le mie mansioni erano fare tutto e in più fare quello che i capi e il barman non volevano fare, cioè niente. Ma io volevo lavorare, ero con-tenta così. Senza contare tutti quei clienti che venivano a sbavare e mi mancavano di rispetto e il mio capo non dice-va nulla, erano clienti. Qualcosa di familiare donne? ma va beh, andando avanti nel tempo mi sono impegnata molto ottenendo grandi risultati diventando io barman del locale, fi-nalmente le cose sarebbero cambiate! Ero io il capo, avrei finalmente ottenuto quello che da sempre desideravo: Rispetto.

Uomini, ora basta

Non è andata così. Avevo studiato per diven-tare Barman e non solo, avevo perfino vinto “La lotta dei cocktail” arrivando al primo po-sto, sia nella teoria scritta, che nella pratica, inventando un cocktail tutto mio che chia-mai “Schiacciadita”, mettendo K.O. tutti gli

altri, che erano usciti dall’alberghiero o che possedevano perfino un bar. Insomma ero dav-vero brava e potevo solo migliorare. Quell’anno presero come cameriere un ragazzo più grande di me, e una ragazza della mia età, e loro dovevano stare a quello che dicevo io. Secondo voi com’è an-data? Zero rispetto, non mi ascoltavano, se gli dicevo di fare qualcosa mi rispondevano di far-mela da me, facevano le cose male e con lentezza, avevo già fatto il loro la-

voro perciò sapevo quali erano i ruoli, ma non facevano nulla di quello che dovevano. In pra-tica, oltre a fare la barman facevo anche il loro lavoro, ho fatto presente questa cosa al capo diverse volte ma non mi ha mai ascoltato, per non parlare delle continue umiliazioni e mo-lestie che subivo da parte di clienti uomini e donne: Gli uomini perché ci provavano e le donne perché erano gelose (vi risparmio i det-

di Zoe Accardi

Le competenze e le capacità delle donne sono spesso sminuite e vengono pagate meno dei loro omologhi maschili anche quando svolgono lo stesso lavoro.

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tagli). E io, che cercavo solo di fare il mio lavo-ro. Inutile dire che il cameriere maschio veni-va pagato quanto me. La cameriera femmina no. Ma il maschio si. Fine. Vi sembra familiare? Vi sembra giusto? Certamente non lo è; è una vergogna. Quante di noi accettano situazio-ni degradanti come questa per poter andare avanti nella vita? Quante di noi sono costrette a vivere così, a nascondere la loro femminilità perché considerata oltraggiosa, a fare solo il loro lavoro ed avere come unica colpa il fatto di essere brave, e se sono anche belle… per loro è la fine. E se ci fossero relazioni tra colleghi, chi credete che sarà a pagarne le conseguen-ze? La donna ovviamente, non sia mai che una donna abbia un bambino, oggi la cosa più na-turale e pura del mondo, che è un sacrosanto diritto di ogni donna è considerata un difetto, una colpa, una scusa per stare a casa a “Non far nulla”, per essere pagata nonostante non lavori, quindi la donna incinta viene vista come la peste e deve essere allontanata subi-to. Siamo troppo buone e gli uomini se ne ap-profittano, e quindi troppo sensibili e incapaci di fare qualcosa; siamo sicure, professionali, pratiche, obiettive, lavoriamo sodo e siamo “Antipatiche”, “Stronze”, “Sole” e “Senza vita sociale” (non vado oltre, ma ci sono insulti peggiori); siamo sociali, sorridenti, scherzo-se e lavoriamo esattamente come fanno gli

uomini? eh ma allora sicuramente ci stiamo provando con tutti e vogliamo fare carriera attraverso altri modi; se qualcuno ci fa un torto e ci arrabbiamo cercando di far valere le nostre ragioni e i nostri diritti, allora siamo acide e non capiamo gli scherzi o non siamo professionali o. Credete che a noi piaccia es-sere così sul lavoro? Non ridere mai, indossa-re abiti orrendi seri, avere il viso contratto da uno sguardo glaciale che non esprime nulla, non parlare mai di cose che non riguardano il lavoro e non allacciare rapporti con i colleghi? Tagliarci i capelli corti da maschio? Tutto nel-la nostra immagine ben costruita urla “Sono una persona seria e professionale e voglio solo lavorare”, no. Non ci piace, ma siamo costret-te ad avere due facce. Una nella vita privata e una sul lavoro. L’uomo non ha bisogno di avere due facce. Noi si, noi siamo costrette e nean-che questo basta, dobbiamo faticare il doppio per avere buoni risultati e per avere soprat-tutto, quella che non ti danno mai, una pacca sulla spalla. L’unica cosa che vogliamo è esse-re prese sul serio. Purtroppo la verità è questa, in Italia, al momento non ce meritocrazia e la donna non viene vista come un collega di pari livello, ma viene vista come qualcosa che di-sturba, che ruba, che rovina, che provoca, che deve solo ringraziare se ha un opportunità e se la perde non ne otterrà un altra.

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Alzi la mano chi non ha mai avuto problemi con gli insegnanti, e intendo dire con tutti gli insegnanti: Dall’asilo all’università. Probabil-mente nessuno. Tutti almeno una volta nella vita siamo stati vittime di ingiustizie, sia lo studente eccellente, sia quello che si impegna-va poco. Per la maggior parte degli studenti, andare a scuola è un peso, quando invece do-vrebbe essere una cosa bella. La maggioran-za, dopo anni che ha finito la scuola si ricorda una manciata di cose soltanto (tra cui legge-re e scrivere), e, diciamocelo, niente che con-ti davvero nella vita di tutti i giorni. Quando finisci il liceo, a parte quelli che si iscrivono all’università “Perché ci vanno tutti”, vieni scaraventato in un mondo nuovo, un mondo diverso, crudele, che non credevi esistesse, o non te lo aspettavi così: La realtà. E tu? Non sai come comportarti! Sei solo un pollo pron-to per essere spennato dal furbo di turno. Ti rendi presto conto che non sei tu che cambie-rai il mondo, ma che sarà il mondo a cambiare te. E t, piccolo, triste, pollo pensi: “Ma perché diavolo nessuno mi ha avvisato prima!?”. Quel nessuno, sono due figure in genere: I genitori e gli insegnanti. In teoria la scuola dovrebbe prepararci alla vita vera, la maggior parte dei genitori si preoccupa dei voti quando vai a scuola, e di nient’altro, non delle ingiustizie

Ma quanto è difficile insegnare

che subisci da parte di compagni e insegnanti, o di quello che ti piace fare o per la quale sei portato. In qualche modo l’immagine che dai di te è sempre più importante di quello che sei veramente. In realtà sono gli insegnanti i veri responsabili, per quanto uno possa avere pro-blemi a casa, gli insegnanti sono anche dei tu-tori ed educatori, non sono li solo per sputare sentenze. Noi passiamo tredici anni di vita a scuola (elementari, medie e superiori) e quello che resta dopo è pressoché inesistente. Tredi-ci anni sui banchi. Ma va bene, però alla fine di tredici anni di studio dovremmo essere in grado di affrontare tutto e invece non è così, e non perché gli studenti sono stupidi ma per-ché le cose non sono spiegate adeguatamente, abbiamo sempre bisogno dei consigli degli adulti: Mamma e papà. Non ci viene spiegato niente a scuola, non esiste l’orientamento sco-lastico, non si parla mai veramente, gli inse-gnanti sono presi dalle ansie di “Dover segui-re il programma”, non perdono tempo dietro a te, o ai tuoi problemi. Qualunque domanda che fai, per loro è una scusa per non essere interrogato. È un età già abbastanza difficile, non servono loro a complicarla; e credetemi, lo fanno:- Ci sono quegli insegnati che hanno le prefe-renze, vi sarà sicuramente capitato genitori di

di Zoe Accardi

Chi non riesce insegna? Ma anche no! La verità è che insegnare è molto difficile e non tutti possono farlo.

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sentirvi dire dai figli “Quello ce l’ha con me è un mostro!” e figli di sentirvi rispondere dai genitori “Si certo ce l’hanno tutti con te”. Vi assicuro che se i vostri figli vi dicono così è perché realmente è così. I trattamenti speciali ci sono sempre stati e al momento ci sono an-cora. Molto spesso questi trattamenti vengono dalla posizione sociale dei genitori, da quanto guadagnano, oppure se uno studente prende bei voti, e non sto dicendo nulla sullo studente che prende bei voti, ma che comunque pren-dere voti alti non lo rende migliore o più intel-ligente degli altri. - Ci sono insegnanti che pensano che l’unico voto che conta è il primo che prendi il primo giorno di scuola. Hai preso la prima volta 5? Avrai sempre 5. Anche se il tema dopo vale 8. Hai preso la prima volta 8? Non scenderai mai di un 7. I più superficiali mi direbbero “Bhe prendi 7 la prima volta”, e avreste ragione guardandola da questo orribile punto di vista, ma a volte le cose non vanno come vorremmo.- Ci sono quegli insegnanti, invece, che si di-vertono a metterti in difficoltà, a farti sentire stupido. Esempio: Fine di un interrogazione, Voto 5 - - (a parte il fatto che voto è 5 - - !?) “Pro-fessoressa ma io ho studiato” risposta “ Non mi sembra proprio”, questo perché su 10 doman-de non hai risposto perfettamente ad una. Poi ovviamente arriva il preferito, quello furbo, che non studia mai ma prende comunque bei

voti perché è simpatico, che risponde alla tua stessa domanda con la tua stessa risposta ma con parole leggermente diverse e prende 8; e magari ti senti anche dire dall’insegnante “Vedi Cinzio? Dovresti applicarti di più come Giovanni!” E tu provi a controbattere, a lotta-re, ma presto ti rendi conto che è inutile, che non puoi farcela, che sei solo. Completamente solo, ah, e ovviamente stupido. Il problema è, che credono che caricarci di compiti e infinite pagine da studiare ci renderà più preparati. Invece dovrebbero lasciare perdere i para-grafetti e spiegarci i concetti fondamentali veramente importanti, assicurarsi che tutti abbiano capito, poi allora puoi raccontare le curiosità. Ma se uno studente è rimasto indie-tro, come puoi andare avanti e disinteressarti di lui? Invece basta che abbiano capito i soliti tre, punto; per loro va bene così, il loro lavoro l’hanno fatto. Verso i diciotto anni, iniziai ad avere più coraggio e finalmente iniziai a fare domande e a dire quando non avevo capito e se potevano rispiegarmelo. O mio Dio non mi hanno mai rispiegato niente, ma mi dicevano che non avevano tempo da perdere e semmai di cercarli nei 5 minuti di pausa. Fantastico! Il problema era che nei 5 minuti di pausa non riuscivi mai a trovarli, e se li trovavi beavano con altre insegnanti davanti alle macchinette del caffè e facevano finta di non vederti e poi magicamente suonava la campanella. Ops.

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La verità è, che non basta dire di studiare, ma dovete spiegare il perché. E poi ci sono quegli insegnanti, quei veri insegnanti. Quelli che ci tengono, che si affezionano, che ti danno consigli, che basta uno sguardo e sai che puoi fidarti, che perdono tempo dietro a te, che per qualunque cosa ci saranno sempre, che rin-contri dopo anni e li abbracci, che speri sem-pre che gli vada tutto bene, che sanno farsi rispettare senza darti dei 2 o delle note nega-tive o perché semplicemente loro rispettano te. Quelli che ti insegnano la vita e ti lasciano qualcosa dentro; quelli sono veri insegnanti.Ho sempre fatto schifo in matematica. Stra-ordinariamente in fisica ero molto brava, ma in matematica ero zero, anzi…uno; come i voti che prendevo e andavo pure a ripetizione! Un giorno cam-biai insegnante di ripetizione che chiamerò Max. Max è stato uno di quegli insegnanti che mi ha cambia-to la vita, lui mi ha fatto capire la matematica. L’ho capita così bene che presi 8 al sag-gio, prendendo più dei secchioni e dei preferiti. Ma quale fu il risul-tato?! Il mio inse-gnante mi accusò di aver copiato, e mi diede un soprannome : “L’ispettore Gadget”. Ispettore Gadget perché secondo lui ero molto abile a copiare, e per questo nessuno, mi avrebbe mai beccato. Cer-to, come se fosse possibile copiare la matema-tica. Ecco questo è un esempio di cattivo inse-gnante. Anzi che dirmi “Ben fatto, continua così.” mi ha umiliata davanti a tutta la classe, e questo perché avevo fatto bene il compito. Invece Max, mi ha accolta, mi ha chiesto a quale anno ero, che scuola facevo, poi mi ha chiesto a che punto era il programma. Gli ri-sposi che non ne avevo idea. Così diede uno sguardo ai miei quaderni. Dopo averli atten-tamente analizzati per circa 20 secondi, dis-se: “Dunque, state facendo i limiti”, e iniziò a spiegarmi dal principio, con calma; prima la teoria, poi la pratica, nel modo più semplice e fantastico che si possa immaginare. Il tempo

volava, la matematica iniziava a prendere for-ma, colore, ad essere accattivante e spiegava esattamente col metodo che l’insegnante usa-va. Max si metteva sullo stesso livello dello stu-dente e spiegava esattamente come volevi che te la spiegasse, senza giudicarti mai, ma ti ca-piva anzi, e tutto questo in meno di un ora. La matematica era diventata non solo compren-sibile per me, ma persino facile e bella. E poi l’accusa di aver copiato. Avevo solo diciassette anni, ero una ragazzina ma oggi non ci avrei messo ne uno, ne due a mangiargli la faccia, andare dal preside a denunciare la cosa. Ok forse non l’avrei fatto; ma queste cose davvero succedono ed è inconcepibile. Loro sono pagati per insegnare, non per umiliare gli studenti. Si parla tanto del fatto che l’istruzione non fun-

ziona a causa del sistema, può darsi ma il primo posto dove iniziare a correggere sono proprio gli insegnan-ti e i loro me-todi. Se uno studente fal-lisce è perché l ’i n seg na nte fallisce. È così. È così e basta. Invece tutt’og-gi sento anco-ra dire dagli

insegnanti “Io il mio lavoro l’ho fatto, se non hai capito è un tuo problema”, questa gente dovrebbe fare allora dell’altro nella vita, ma di certo non insegnare. Ci sono molti insegnanti validi disoccupati, che non trovano una catte-dra, come Max ad esempio che potrebbero fare davvero la differenza. Come viene valutato un insegnante? Io non lo capisco. Un insegnante dovrebbe essere scelto in base al carisma, in base a quello che apprendono gli studenti e non quei due o tre studenti, ma tutti gli stu-denti di tutte le classi. Se il loro metodo non funziona allora dovrebbero cambiarlo. Se la maggior parte dei ragazzi di adesso è maledu-cata, superficiale e materialista, la responsa-bilità è anche degli insegnanti perché non solo devono insegnare le materie, ma devono edu-care gli studenti, dato che la maggior parte del tempo lo passano a scuola.

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Un annoliquoroso

di Marta Conti

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Come ogni anno l’azienda Pantone, che è di-ventata il massimo riferimento nel campo della moda, della grafica e di tutti quei settori che hanno a che fare con il mondo dei colori, ha decretato quale sarà il “colore simbolo” del 2015. Quest’anno la scelta è caduta sul Marsala, ov-vero il colore del famoso vino prodotto in Sici-lia nella città da cui prende il nome. La scelta di questa nuance è stata, come ogni anno, ela-borata in seguito a vari studi dell’azienda sui colori predominanti nella società, a partire dalle passerelle dell’haute couture, per finire nelle scelte dei colori in campo artistico e ci-nematografico. Nel 2015 infatti il Marsala “arricchirà la men-te, il corpo e l’anima, emanando sicurezza e stabilità” come afferma Leatrice Eiseman, di-rettore del Pantone Color Institute, “proprio come il vino liquoroso da cui il nuovo colore deriva il suo nome, questa tinta raffinata in-carna il soddisfacente sapore di un pasto ap-pagante, mentre le sue stabilizzanti radici ros-so-marroni emanano la sofisticata e naturale concretezza della terra. Questa tonalità vigorosa, ma al tempo stesso elegante, ha un fascino universale e si applica facilmente alla moda, alla cosmesi, al design industriale e all’arredamento”.

Ogni anno, a partire dal 2000, Pantone sceglie un colore rappresentativo dell’anno stesso in quanto il colore risulta un mezzo di comuni-cazione interlinguistico fortissimo, l’azienda analizza i trend attuali per poi prevedere, a distanza di 6 mesi, quale sarà il colore predo-minante nelle nostre vite l’anno successivo.Quest’anno il Marsala sarà forse una costan-te tutta italiana nella nostra colorata vita, ma attenzione, siate moderati nel suo utilizzo o cadrete in un forte stato di ebbrezza.

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Ayahuascadi Marta Conti

Parliamo di Ayahuasca la misteriosa bevanda allucinogena che gli antichi popoli del suda-merica consideravano come una porta in gra-do di mettere a contatto l’uomo con i grandi spiriti, il termine deriva da aya-spirito e hua-scha-liana, quindi liana degli spiriti, nomen-clatura che simboleggia, appunto, la capacità di stabilire un contatto con altri mondi insita in tale bevanda; l’assunzione rituale segue un iter guidato da uno sciamano, che assiste e conduce lo “psiconauta” per tutto il suo viag-gio. In epoca moderna l’utilizzo di tale sostan-za è tornato in voga, si dice che l’esperienza sia introspettiva e in grado di risolvere,o me-glio mettere in luce per poi risolvere,traumi nascosti nell’inconscio dell’uomo che vi sia sottopone,ma come è possibile?L’esperienza allucinogena è causato dal prin-cipio attivo delle due liane che si utilizzano nel decotto, ovvero la DMT un derivato della triptasimina del peso molecolare di 188 uni-tà molecolari (poco più grande del glucosio) e rintracciabile in altre 60 specie di piante diffuse nel pianeta, in diversi mammiferi e rettili e anche nell’organismo umano. Tratta-si di una sostanza endogena al nostro corpo che sembrerebbe un componente necessario al funzionamento del cervello umano e alla percezione della realtà. Abbiamo a nostra di-sposizione una sterminata bibliografia sugli effetti e sulle esperienze date da questa “be-vanda magica” e sulle proprietà benefiche della stessa, ma per darci un idea ancora più approfondita su questa “sacra sostanza” ri-porteremo la testimonianza scritta di un re-porter che tratta dell’argomento:

“All’inizio —chiamiamola la parte bella— le ombre sui muri hanno iniziato a perde-re la loro forma. Piccoli sen-tieri dorati mi sfrecciavano davanti agli occhi. Fin qui, una cosa piuttosto normale

per chi ha già fatto uso di acidi, funghetti o altre

sostanze psichedeliche. Intorno a me, la gente era china sui secchi in preda ai conati. Il rumore che emettevano era paragonabile a quello di vac-che impalate sui cartelli stradali. Io non avevo la nausea. Per niente! Ero nel bel mezzo di un colla-ge panoramico fatto di frattali e colori luminosi e vegetazione giunglesca e benessere estremo. Non esagero, quel momento è stato uno dei più estatici della mia vita. E non lo dico così per dire o perché non ne ho esperienza. Ero un assiduo frequentatore di rave, e ho passato buona parte degli ultimi dieci anni ad abbracciare sconosciu-ti e a preoccuparmi di quant’acqua avessi o non avessi bevuto. Era come se l’universo mi stesse avvolgendo in un abbraccio fatto di braccia mu-tanti. Ero pieno d’amore. Ho visto Dio. Ero Dio, e tutto quello che mi circondava era Dio. Per quasi tutta questa parte, la parte bella, sono rimasto sdraiato sul dorso con gli occhi chiusi, in una piccola bolla euforica. Se solo quella sensazione fosse durata ancora un po’... perché poco dopo è arrivata la parte brutta. In un incidente dopo l’altro ho rivisitato i capitoli più traumatici del-la mia infanzia. Mi si presentavano come le re-trospettive sulle celebrità, solo che invece degli episodi più memorabili della mia lunga carrie-ra, ero costretto ad assistere ai momenti che più mi avevano ferito. Ero nel ventre di mia madre e

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sentivo la tensione della mia famiglia, a scuola, in fuga dai bulli, e nel letto della mia adolescen-za mentre ascoltavo gli Smashing Pumpkins e scrivevo poesie con rime come “lame smussa-te” e “vite accorciate”. Nel pieno di questo trip pieno di miseria ho improvvisamente iniziato a sudare. Sentivo di dover vomitare. Ma, come ho detto, temevo che il recipiente non avrebbe retto la gettata di vomito, così mi sono alzato e sono corso in bagno. Avevo lo stomaco sotto sopra, ma non riuscivo a fare fuori, così ho provato a cagare. Era come se mi fossi convinto che l’unico modo per arrivare alla fine di quel tour inferna-le consistesse nello spingere fuori l’ayahuasca dal mio corpo attraverso qualunque buco fosse apparso abbastanza docile da permettermelo. Certe sostanze ti permettono di vederti da una certa distanza. Se l’ayahuasca fosse una di quel-le, immagino sarei finito a osservarmi mentre, coi pantaloni della tuta tirati giù, mi riprodu-cevo in una specie di lapdance misto twerking per stimolare l’intestino. Sconfitto sono tornato nella stanza, mi sono ridisteso sul materassino e ho ripreso a soffrire. Soffrivo davvero. Quando non ero troppo spaventato versavo grandi lacri-me tristi. In sentieri dorati andavano e venivo, e ricordo di aver visto il mio pene lì davanti a me, come una torre gigante che bucava le nuvo-le —visione non del tutto spiacevole. Ma più di tutto, continuavo a soffrire. Poco dopo ho visto i miei amici sgattaiolare fuori dalla stanza ver-so il balcone. Ho cercato di raccogliere il corag-gio e seguirli. Immaginatevi un disastro aereo, con la parte frontale dell’aeroplano che esplode, si apre in due, e la parte posteriore che cade a terra. I passeggeri delle ultime file sopravvivo-no. Immaginatevi le loro facce. Erano le nostre. Siamo rimasti per un po’ sul balcone a fumare,

e di tanto in tanto vomitavamo nei secchi. Cer-cavamo di dare un senso alla situazione finché qualcuno non si è offerto di darci un passaggio. Era un’idea tanto bella quanto terribile, perché non ci sarei mai arrivato da solo, ma il guida-tore non era ancora in grado di distinguere tra il rosso e il verde. Dicono che una notte sotto ayahuasca vale come dieci anni di sedute dallo psicologo. Non è una sostanza ricreativa. Men-tre tornavamo a casa abbiamo pensato di an-dare in un locale, ma alla fine l’unica cosa che volevamo era farci avvolgere in un batuffolo di cotone ed essere lasciati in un angolo con un po’ d’acqua fresca. Mi sono addormentato e il giorno successivo mi sono svegliato presto. Mi sentivo benissimo. Da allora, la situazione non è cambiata. Sono una persona ansiosa, non riesco a dormire, sono timido e non so mai decidermi. Ma per ora tutte queste difficoltà sono scomparse. Qualunque cosa sia successo quella notte ha sciolto tutti i miei blocchi.”

Che dire,non sta sicuramente a me dare giudi-zi morali sull’utilizzo di sostanza psicotrope, ognuno è libero di vivere la sua vita come me-glio crede, ma un piccolo appunto mi sento in dovere di farlo; nel XXI secolo, dove la droga ricreativa, fatta per “scappare” dai problemi, come un letale palliativo ad una vita troppo o troppo poco frenetica, è alla portata di tutti e investe la società entro tutti i suoi strati, una sostanza in grado di dare una visione intro-spettiva di se stessi è davvero da considerarsi droga? A voi la risposta.

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Al giorno d’oggi, il fatto di andare in disco-teca sembra indispensabile per i ragazzi della nostra età; Ovvero età che sta tra i 13 ai 30. questo perché, oltre che a divertirsi, c’è anche la possibilità di conoscere nuo-ve persone con cui fare amicizia. C’è chi è talmente convinto della necessità di fre-quentare questo ambiente da considerare “disadattati” tutti quei ragazzi che abitual-mente non lo fanno. Ma il punto è questo: è davvero indispensabile andare in disco-

Le discoteche oggi

teca per farsi dei nuovi amici? E cosa suc-cede davvero nelle discoteca all’insaputa dei genitori? Nonostante molti ragazzi da-rebbero una risposta affermativa a questa domanda, sono più che mai convinto che la maggior parte di essi sia d’accordo con me nel credere che esistano tantissimi am-bienti diversi dalla discoteca dove poter conoscere nuove persone e farsi nuovi ami-ci. Per quanto possa riguardare quello che succede all’interno di ogni club, nessuno

di Gabriele Bencreati

Come sono le discoteche oggi ? Luogo sicuro o semplice spazio di svago e divertimento?

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ne vorrà mai parlare, garantendo tutto il contrario. Bisogna comunque considerare che frequentare regolarmente una discote-ca comporta una spesa a dir poco notevole per chi non ha uno stipendio, ma solamen-te una paghetta settimanale. Un semplice esempio di quanto una semplice persona va a spendere un fine settimana per entra-re in discoteca e quella delle 25/50 €, per esempio l’entrata per la maggior parte dei club è quella di 20€, aggiungendo 10€ per due Drink e 5€ di guardaroba per tenere borsa e giacca, solo per queste 3 semplici cose siamo già a una somma di 35€! ma chi finanzia tutto ciò? Per i più giovani i geni-tori ovviamente, ma per i più adulti, che si lamentano tanto della crisi! Perché com-piono questi gesti allora? Quindi plausibile che, dovendo scegliere, molti ragazzi prefe-riscano luoghi più economicamente acces-sibili, che non per questo sono da giudicare come meno divertenti o come più antiquati. Per i motivi sopra elencati, credo di non sba-gliare nel dire che il dover “fare amicizia” non sia la priorità di un ragazzo che entra in una discoteca: altrimenti non si spieghe-rebbe il motivo per cui preferisca questo, ad altri luoghi solitamente molto più popo-lati da gente della nostra età. Penso invece che l’attrazione della discoteca sia un’altra: la musica ad alto volume, gli alcolici, le ra-gazze seminude, quella sensazione di star facendo qualcosa di proibito sono tutti ele-menti che fanno sentire i ragazzi “più gran-di” e di conseguenza più “alla moda”. Infine, penso sia probabile che questa smania di voler conoscere persone sem-pre nuove sia provocata dalla mancanza di amicizia vera tra la gente della nostra età: mancanza che si traduce nel voler cercare nuove amicizie lontano dall’ambiente nel quale si è vissuti fin da bambini. Oramai le vere amicizie non esistano più.Detto questo, non credo che i ragazzi che frequentano una discoteca siano da con-dannare, almeno finché questa non diven-ta una dipendenza per loro: credo che sia solamente un luogo come tanti altri dove ritrovarsi e divertirsi, niente di meno ma neanche niente di più. Non è quindi indi-spensabile frequentarla e non si dovrebbe essere considerati “disadattati” solamente perché si preferiscono altri modi di stare con gli amici e di conoscere nuove persone.

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Avete mai sentito parlare di guerrilla Mar-keting? tranquilli, non ha nulla a che ve-dere con qualche particolare tipo di guer-riglia straniera; niente armi ma solo tanta creatività ed idee geniali per fare pubbli-cità! Letteralmente il termine guerriglia rappre-senta una tattica di lotta armata condotta da piccole formazioni irregolari contro un eser-cito regolare, che si sviluppa con attacchi brevi ed improvvisi. Si tratta generalmente di una lotta di popolo e per questa ragione il guerrigliero ha una conoscenza diretta del territorio in cui opera. Che il fine sia la libera-zione da un dominio straniero oppure che si tratti di un progetto rivoluzionario, il guerri-gliero è sempre motivato dall’obiettivo finale e per questa ragione non ha alcun motivo di accettare quelle regole che convenzionalmen-te regolano uno scontro militare. Al contrario, impone attacchi a sorpresa, imboscate, sabo-taggi, la sottrazione delle armi al nemico e la trasformazione creativa di qualsiasi materia-le in una nuova arma non convenzionale.Proprio come in una piccola guerriglia, i grandi marketer guerrieri che credono nella strategia di questo nuovo tipo di marketing agiscono con attacchi a sorpresa e creativi per conquistare il consumatore.Il termine guerrilla marketing forse è una pa-rola che avete sentito solo di recente, ma sap-piate che si tratta di una forma di comunica-zione che risale agli anni ‘80.

Guerrilla Marketing

Nasce precisamente nel 1984 e padre di tale strategia è Jay Conrad Levinson.Possiamo definire il guerrilla marketing come un sistema non convenzionale di comunica-zione a budget ridotto e limitato che punta sulla creatività - a volte ai limiti dell’etica - piuttosto che su grandi investimenti econo-mici.Per potersi realizzare il guerrilla marketing rivitalizza tutto un campionario di metodi tradizionali di comunicazione quali ad esem-pio il passaparola, l’uomo sandwich, graffiti, murales, pubblicità subliminale ecc. Nonostante sia nato negli anni ‘80 il guerril-la marketing è sicuramente una strategia che ha avuto successo ed è stata presa in consi-derazione da parte delle più grandi imprese multinazionali solo negli ultimi anni. Questo perchè negli ultimi anni l’economia mondia-le ha subito mutamenti continui e dal ritmo vertiginoso e tale cambiamento ha costretto molte imprese a rivedere dalle fondamenta le loro strategie di marketing rispetto a quel-le degli anni precedenti. Il termine guerrilla marketing sta ad indicare proprio una presa di coscienza di tali cambiamenti in atto nella società e nei consumatori, e quindi la neces-sità di identificare strategie più creative ed innovative per inserirsi con successo all’in-terno di queste dinamiche. Molto spesso la tecnica del guerrilla marketing agisce anche ad insaputa del consumatore, e forse in certi casi anche in modo non estremanete etico, e

di Rachele Moglia

I guerrieri del marketing sono approdati tra noi.Tenete gli occhi aperti!

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Guerrilla marketing, coinvolgimento e sorpresa.

ti ritrovi “ guerrillato “ senza neanche render-tene conto. Proviamo a fare un piccolo esem-pio storico per far comprendere lo spirito del guerrilla marketing. Sono gli anni ‘80 e sei in discoteca a divertirti, quando ecco avvicinarsi a te una bella ragazza che si siede al tuo fianco sussurandoti “ mi offri da bere? “ e tu ovvia-mente, incredulo e con la bocca aperta fin dal primo momento che l’hai vista avvicinarsi a te, accetti immediatamente. Stranamente lei insiste su una particolare marca di vodka rac-contandoti perchè ama prorpio quella marca.Tutto contento, mentre alzi il colletto della camicia e fai l’occhiolino ai tuoi amici, ti di-rigi al bancone del bar per prendere da bere ma ancor prima che tu te ne accorga lei è già sparita tra la folla e tu rimani li, da solo, un pò confuso ma con in testa la vodka della bella

signorina. Bello, sei stato “ guerrillato ”.Quella delle ragazze “ comprami da bere “ è stata una delle prime e più efficaci strate-gie di guerrilla marketing utilizzata anche ai giorni nostri. Molte idee vincenti alla base del guerrilla marketing si presentano proprio come idee banali. Cose che ti fanno sorridere, e per un attimo riflettere ma non vanno sot-tovalutate. La potenza del guerrilla marketing sta proprio nel colpire dove non ci si aspetta. Come il guerriero si muove nella boscaglia, colpisce nel punto preciso dove può ottenere il massimo risultato, e si allontana prima che l’avversario capisca cos’è successo, così que-sto tipo di strategia di marketing richiede di sapersi muovere con attenzione sfruttando i propri punti di forza e quelli dell’ambiente circostante.

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Ikea e il guerrilla marketing

Il guerrilla marketing, come abbiamo già detto precedentemente, fa della creatività il suo punto di forza e grazie ad essa si possono ottenere dei risultati davvero straordinari. Un insieme di creatività, genialità, elemen-ti dinamici che prevedono uno studio inten-so e mirato in grado di stupire e affondare il consumatore che si imabatte in questa tecnica! Dobbiamo anche affermare che molte im-prese al giorno d’oggi sono ancora un pò scettiche sui reali profitti ricavabili da que-

La capacità di Ikea di essere sempre all’avanguardia in tema di guerrilla marketing è ormai nota. La multinazionale dell’arredamento contiunua a sorprendere per le sue abilità di arrivare alla gente con idee nuove e creative.Ecco alcuni esempi.

sta strategia poichè preferiscono le tradi-zionali tecniche di pubblicità, ma è anche vero che coloro che hanno avuto il coraggio di buttarsi su questa strategia alternativa, e forse diciamolo, a volte anche un pò folle, non sono più tornate indietro.Insomma il guerrilla marketing è una stra-ordinaria ed innovativa tecnica di fare pub-blicità, lasciatevi stupire dalle campagne di marketing che ci circondano e tenete sem-pre un occhi aperto perchè il guerrilla at-tacca di sorpresa!!!

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Stella marina; ph Genny Petrucci

Hakuna Matata,No Stress!

di Genny Petrucci

Attraversando l’Africa: un solo continente più stili di vita.

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Bambina kenyota;

ph Genny Petrucci

Cos’è il mal d’Africa? È contagioso, si può trasmettere con un raffreddore? No,

pultroppo no! Come si fa a trasmettere ad altre persone una grande emozione qua-le è l’Africa? Non si puo’! Il mal d’Africa si contagia solo laggiù, solo dove puoi sentire l’odore, puoi assaporare la natura, puoi ca-pire i problemi. Si tratta di una patologia assolutamente popolare. Non conosce limi-ti di età,di provenienza geografica, di ceto sociale o di catetgoria professionale e si manifesta sotto diverse forme. C’è chi dice che il Mal d’Africa scoppi in occasione di un viaggio nell’Africa Nera e c’è chi dichiara di essere stato colpito durante i suoi viaggi sahariani,tra quel vuoto denso di contenuti, e c’è anche chi teorizza che il contagio si ma-nifesta quando,rientrando da un viaggio in Africa,si avverte un disagio nel riprendere il proprio stile di vita. C’è chi dice che sia l’at-trazione per una natura vergine e inconta-minata. C’è chi dice che si esprime sotto for-ma di una profonda nostalgia per una civiltà perduta, per un passato primitivo in cui si esalta il valore della tradizione.

Inizialmente l’entusiasmo mi portava a raccontare a chiunque, parenti e amici, e a volter anche a “sconosciuti”, la mia espe-

rienza, le mie emozioni. Mancava poco che mi mettessi a descrivere le tribù delle per-sone incontrate. Con mio grande dispiacere però, mi accorgevo che le reazioni non erano quelle sperate. Alcuni mi rispondevano con un “ Ah si... bello deve essere!” e poi torna-vano a giocare alla playstation o a bere una birra al bar; altri invece “Ma come facevi a toccare quei bambini sporchi? E se prendevi qualche malattia? Sai laggiù ce ne sono mol-te! Io non lo fare mai!”. È veramente difficile trasmettere quello che ho visto e provato in quel breve periodo trascorso li! Ma fortuna-tamente non tutti reagivano così, infatti al-cuni amici hanno iniziato a farmi domande e ad interessarsi molto, chiedendomi anche quando sarei ripartita e se potevano venire con me nel prossimo viaggio, anche infilan-dosi in valigia volendo. Il fascino e il mistero del mal d’Africa risiedono proprio nella sua difficile classificazione; ecco che quando mettiamo piede in Africa ci sentiamo inspie-gabilmente a casa. L’Africa sembra appar-tenerci da sempre. Le immagini dell’Africa evocano emozioni e pensieri, sucitano molto interesse, raggiungono la nostra anima fino nel profondo, quelle immagini rimangono incancellabili, sono immagini che porterai con te tutta la vita.

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Giraffa nella savana kenyota; ph Genny Petrucci

Sotto: Savana; ph Genny Petrucci

Il mal d’Africa è quel senso struggente di no-stalgia che assale il viaggiatore che ha avuto la fortuna di avvicinarsi a quel continente. Per chi c’è già stato tornarci è quasi un ob-bligo, per chi non lo ha ancora fatto, sarebbe un peccato non avvicinarcisi. Ho imparato a conoscere due tipi di questo male: il nostro (il mal d’Africa del viaggiatore), che è posi-tivo, provoca sensazioni forti e fa sognare, ed il loro (il mal d’Africa degli abitanti) che è negativo, è un incubo. Per noi il così det-to mal d’Africa è un bellissimo ricordo, per loro un triste futuro. Sono stata in vari stati del continente africano, ma poche volte ho visto l’Africa che sognavo da bambina, l’A-frica dei documentari. Meraviglia, stupore, felicità e tranquillità sono solo alcune del-le emozioni che la mia mente e il mio cor-po hanno provato attraversando la terra del Kenya. Paesaggi che ti lasciano senza fiato, dove il caldo, il vero caldo non ti pesa, dove il paesaggio è formato principalmente da due colori, il rosso della terra e il verde de-gli alberi. Ogni tanto si incontrano piccoli villaggi, fatti di capanne di foglie, pietre e qualche pezzo di legno. Spiccano tra queste capanne i loro abitanti, con i loro abiti va-

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Sotto: Bambini africani. A

destra: Tribù kenyota.

riopinti, colori forti che rispecchiano la loro personalità. Due giorni trascorsi in Safari nello Tsavo Est alla ricerca degli animali della savana, girando per un vastissimo ter-ritorio per ore ed ore senza avvistare alcun animale, ma quando meno te lo aspetti, le-oni, giraffe, gazzelle, elefanti, coccodrilli e tanto altro... La notte trascorsa nel campo tendato mi ha regalato tranquillità e sereni-tà, anche se fino a quando non hanno allon-tanato l’elefante dalle camere non era così. Le tende, il fuoco acceso, ed il cielo inconta-minato, senza inquinamento atmosferico e luminoso. Le stelle sono vivissime e anche la Via Lattea (che in Africa è anche chiamata la grande schiena della notte) appare subito in tutta la sua gloria anche all’osservatore più distratto. Sono emozioni che non riesco a descrivere, uno le dovrebbe veramente provare! Tappe importanti anche quelle del mercato cittadino e del centro città che in una sola settimana mi hanno fatto riflettere sulle loro condizioni di vita. Hakuna Matata (nessun problema) è il loro motto, soffrono la fame, la sete, provano dolore, non hanno luce elettrica e acqua corrente ma anche in situazioni estreme di sopravvivenza, sorri-dono sempre!

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Vista della costa kenyota; ph Genny Petrucci

Vista della costa kenyota; ph Genny Petrucci

Jambo Jambo BwanaHabari Gani Muzuri Sana

WageniMwakari Bishwa

Inchi YetuHakuna Matata

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Mare e bambini di CapoVerde; ph Genny Petrucci

Table Mountain e vista della safana SudAfricana

Capo verde è un arcipe-lago composto da dieci isole di origine vulcani-ca. Si trova nell’oceano Atlantico e dista 500 km dalla costa del Senegal. L’acqua è limpida e di un verde spettacolare, le spiagge lunghe, larghe e incontaminate con una sabbia bianca e finis-sima. Le persone sono gentili e molto disponi-bili. Sempre sorridenti e il oro motto di vita “No stress” si impossessa di te appena metti piede sull’isola. La bellezza del “niente” che offre questo arcipelago è la caratteristica che ti farà innamorare delle sue isole. Escursioni poche ma interessanti e molto belle. Capo verde sareb-

Il mal d’Africa sud africa-no è molto paragonabile a quello kenyota. Con la sua sbalorditiva natura, i profumi, i paesaggi moz-zafiato, il popolo cordia-le, le città’ cosmopolite e la prelibata cucina, il Sud Africa ti fa innamorare di sé facendoti scoprire perché è chiamato “Il Mondo in un Paese”. An-che qui vieni sopraffatto oltre che dalle bellezze naturali anche dai colori, dall’allegria,giovialità e gentilezza dei suoi abi-tanti. Viene data molta importanza alla pulizia. Momenti indimenticabili si possono passare spe-

CAPO VERDE : UN MAL D'AFRICA DIVERSO

SUD AFRICA : SENTIRSI A CASA

be da visitare in ogni sua isola in quanto ognu-na è diversa dall’altra. Alla fine del viaggio un pezzo di cuore rimane li e sei dunque “costret-to” a farvi ritorno. No-nostante non sia nell’A-frica nera anche Capo Verde lascia il suo mal d’Africa alle persone che lo hanno visitato.

cialmente nella savana, andando alla scoperta dei suoi animali nel loro habitat. Esperienze che rimangono indimentica-bili. Li ti senti davvero a casa e il mal d’Africa si fa sentire subito appe-na rimetti piede in Italia.

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Sardegna e magia

di Marta Conti

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qualche paese sono più cattive e dispettose e i paesani le chiamano mala janas.Le mala janas sono crudeli, ma qualcuno le confonde con i margiani e le “janas e muru” o “janas e mele” (fate del muro e del miele) ovvero le volpi e le donnole. A volte abitano anche i nuraghi e in questi casi non sono minute ma anzi gigan-tesse dagli enormi seni. In alcuni paesi hanno caratteristiche negative, come a Tonàra, Isilli e Asùni, dove vivono in caverne, rapiscono i bambini e hanno una regina, Sa Jana Maìsta, che assale gli uomini che passano vicino alla sua grotta per succhiargli il sangue e poi rin-chiudersi nella caverna e partorire dei figli.

iS AniMeDDASOgni anno, per la festa di Ognissanti, si ani-mano nell’Isola antichi riti, denoninati “Su mortu mortu”, “Is Animeddas”, “Su Prugado-riu” o “Is Panixeddas”, che prendono spunto dalle leggende relative alle anime dei mor-ti. Narra la leggenda che, in occasione della notte dedicata a tutti i defunti, le anime dei trapassati abbiano libera circolazione fra i vivi. Tali leggende, durante i secoli, hanno assunto la forma di misteriosi quanto sim-patici riti a uso e consumo dei bambini e dei ragazzi. I bambini sardi nella magica not-te, vagavano vestiti di stracci, quasi a voler simboleggiare le anime dei piccoli defunti e bussavano di porta in porta domandano se-condo una formula che differisce di località in località, una piccola offerta per le anime

DoMuS De JAnASLe Janas sono le fate del mondo fantastico sardo. Eccetto che per alcune regioni dove mantiene il suo aspetto vampiresco, la jana ha comportamenti tipici della sfera fatata. So-litamente vengono descritte come di piccole proporzioni, vestite di rosso vivo, con il capo coperto da un variopinto fazzoletto, ricama-to con fili d’oro e d’argento. Al collo portano grandi collane d’oro lavorato a filigrana. Si dice che siano di una bellezza abbagliante, con una pelle delicatissima. Di giorno non escono mai, il sole, per quantopallido, le scotterebbe facendole morire. Abi-tano in piccole grotte sui costoni delle alturesarde; le case delle fate sono conosciute come domus de janas, dentro ogni cosa e a misuradi jana. La loro vita trascorre in gran parte a filare il lino, a tessere su telai d’oro e a cucire stoffe preziose che trapuntano con fili d’oro e d’argento. Di notte, quando e luna piena, sten-dono i panni sui prati ad asciugare. Alcuni dicono che tramite i veli stesi alla luce della luna, incantassero di meraviglia i viandan-ti, che venivano quindi rapiti da servili nani crudeli. La notte scendono nelle case degli uomini, si accostano alle culle e cambiando l’intensità della loro luce stabiliscono il desti-no del bambino, nessuno sa come decidano se un bambino sarà fortunato o meno. Le janas in

La Sardegna è da sempre associata a luoghi magici e misteriosi, una magia creata dai molteplici luoghi incantevoli e suggestivi, come le baie,le scogliere e la tipica macchia mediterranea dell’entroterra,ma l’aspetto di cui i più non sono a conoscenza è quello che riguarda le tradizioni e le usanze tipiche dell’isola. Molte di queste derivano da attitudini pagane e in un certo qual modo legate alla sfera dell’occulto. Quello che vi proponiamo oggi è un tour fra le leggende che da secoli si tramandano fra gli abitanti sardi.

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costrette fra il paradiso e l’inferno. Secondo l’uso locale, che lentamente si sta riscopren-do, potreste dunque sentirvi chiedere, ripe-tuto in cantilena: “seus benius po is animed-das” oppure “mi das fait is animeddas” o ancora “su bene de sas ànimas” o “carki cosa po sas ànimas”. Non temete, vi domandano semplicemente un piccolo dono per le sfor-tunate animelle del purgatorio, che in quel-la notte vengono ricordate più che in ogni altro giorno. Se vi ritenete accaniti prose-cutori della tradizione, disdegnate d’offrire di caramelle confezionate, o dolciumi spon-sorizzati. Assomigliereste molto di più ai vostri padri abbandonando nelle tasche dei bambini papassini[2], mandarini, mandor-le, noci, caramelle, limoni, castagne, pane o melagrane, tipico frutto votato ai morti. I più poveri un tempo, pur di donare, rega-lavano ceci e fagioli. Nella notte, nelle case in cui la tradizione è tenuta maggiormente in gran conto, si accendono piccole lanterne (lantias) e si lasciano le tavole apparecchiate perché le anime possano sentirsi a casa.

Su MAScAzzuÈ un folletto dispettoso di aspetto goffo e grasso, alto come un bam-bino di due o tre anni. Si diverte a tor-mentare gli esseri umani sedendosi sul loro petto du-rante il sonno. Prende diversi nomi in base alle varie parti dell’isola ma il

nome con cui è maggiormente conosciuto è “folletto dalle sette berrette”. Corre velocis-simo appena sfiorando il terreno, la superfi-cie dell’acqua o del bosco, e varcando a volo qualsiasi ostacolo che gli si pari davanti. Si posa lieve dove gli pare, non solo sul terreno, ma indifferentemente sugli alberi, sui tetti, sull’acqua, su scogli o picchi di roccia. Può apparire all’improvviso dovunque, sot-to qualsiasi forma, e scomparire all’istante. Si crede che durante il giorno questa crea-

tura dispettosa se ne stia ben nascosta nelle viscere della terra, dove custodisce pentole piene d’oro e altri tesori favolosi. Tali tesori non appartengono quasi mai al folletto, ma sono da lui stati rinvenuti nelle profondità della terra e il più delle volte erano destina-ti, per volontà di chi li aveva nascosti, alle persone di cui si prende gioco. Uno dei modi per rendere innocuo questo demonietto, e impossessarsi così delle sue ricchezze e dei tesori che porta sempre con sé, consiste nel-lo svegliarsi mentre siede ancora sul proprio petto, sottraendogli con velocità e destrezza una qualsiasi delle sette berrette. Se si rie-sce a prendergli il cappuccio, è costretto, per riaverlo, a rivelare un tesoro nascosto. Tut-tavia non cede facilmente: egli vi va dietro e attorno, chiedendolo, con un pianto che fa molta pena e con tante promesse di ogni bene. Occorre essere molto furbi ed avere un cuore di pietra per resistere a quel pianto e a quelle promesse. Perciò in genere il follet-to riesce a farsi restituire il suo cappuccio. Dopo che lo ha riavuto, non solo non man-tiene le promesse, ma si dilegua per non riapparire mai più. Si narra che ad Isili un bambino riuscì a farsi consegnare un tesoro gettando al collo del folletto un rosario.

BreBuSIl termine sardo per parola è fueddu, allega, peraula, ma brebu ha un significato decisa-mente più forte e significa “verbo“, cioè pa-rola attiva, parola che genera cose, che pro-duce effetti. Probabilmente la definizione di brebu per lo scongiuro è dovuta all’avvento del cattolicesimo, ma le origini delle magi-che parole sarde non lo sono di certo ed in-fatti i sardi distinguevano attentamente tra brebus e preghiere. Nella maggior parte dei casi i brebus andavano, (e vanno ancora) re-citati all’interno di un ben articolato rituale, composto da parti, molte di chiara influenza cattolica e altre di origine assolutamente pa-gana. È interessante notare come anche nei brebus dove vengono nominati Dio e i santi, questi vengono interpretati abbastanza li-beramente e Dio viene concepito come una delle tante entità che popolano l’universo sardo. Esiste la credenza che i brebus debba-no essere tramandati da anziano a giovane: chi cede “La parola” perde la facoltà tera-peutica e miracolosa che passa così a colui che la riceve. Si narrava dell’esistenza di

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persone che possedevano anche 50, 60 bre-bus. Un’altra regola relativa all’efficacia del “Verbo” sancisce che è assolutamente proi-bito ricevere un compenso di qualsiasi natu-ra per l’esecuzione di un brebu perché ciò ne vanificherebbe gli effetti. Queste pratiche di medicina tradizionale sono ancora oggi

largamente utilizzate. Sono avvolte da un alone di mistero che le rende estremamen-te affascinanti, grazie anche al fatto che sia chi ne usufruisce che chi le utilizza, tende a nasconderlo, o per la segretezza che tali pratiche richiedono, o per il senso di colpa indotto dal dannosissimo cattolicesimo.

Si trova nella provincia di La Spezia, Li-guria, immersa nel verde accanto al pae-sino di Biassa. Questo castello è uno dei luoghi più magici e misteriosi al mondo che attira ogni anno studiosi e scienzia-ti. Sembra che in questa rocca ci sia un continuo flusso di energia che fa in modo che la temperatura resti invariata in tutte le stagioni. L’energia proviene da un mi-sterioso foro all’esterno dell’edificio, che ha la funzione di aumentare la capacità decisionale, è chiamato anche “Flusso di purificazione”, le persone particolarmen-

te sensibili sentono molto forte questa energia e il più delle volte vengono colpi-te da forti giramenti o stati di malessere. Il nome di Coderone deriva da “Codem”, sperone di roccia. Fu costruita nella metà del XIII secolo per scopi difensivi, esisteva anche un piccolo borgo con una chiesa de-dicata a Santa Maria Maddalena, oggi sono visibili i ruderi. Tra il XV e XVI secolo con la perdita d’importanza strategica divenne residenza signorile dove vissero i signori di Biassa. Successivamente, ormai in declino, Coderone venne adibito anche a cimitero.

La rocca di coderone

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Un paese tuttoda scoprire

di Michela L. Albu

La Romania, un paese che spesso non viene considerato come meta turistica,ma che in realtà nasconde misteri e meraviglie.

una meta turistica molto affascinante, ma poco

conosciuta è la romania. Questo paese vi trasporterà in una dimensione totalmen-te diversa, una dimensione impregnata di antiche tra-dizioni e meravigliose leg-gende. Cominceremo questo viaggio partendo da Buca-rest, capitale che si è merita-

ta il nome di “piccola Parigi” per il suo stile architettonico fatto di ampi viali ed edifici in stile Belle Epoque, e come Parigi anche questa città possiede un proprio Arco di Trionfo. A Bucarest i monu-menti da non perdere sono l’antica corte delle principes-se del Quattrocento chiamata Curtea Vechie, il bellissimo

parco naturale Herestrau, le varie chiese in stile ortodosso ed inoltre in questa città tro-viamo anche 37 musei, 24 te-atri e varie biblioteche. Quasi sicuramente però rimarrete più stupefatti visitando la cit-tà tra le montagne, Sinaia. Un bellissimo paesino di monta-gna situato tra la Transilva-nia e la Valacchia ai piedi dei

Castello Peles

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Castello Branmonti Bucegi ed immersa nel verde smeraldo dei boschi. Da qui potrete raggiungere a pie-di il Castello Peles, il castello più bello della Romania e tra i più belli d’Europa costruito tra il 1875 e il 1883 per volere di re Carlo I. Costituito da più di 160 stanze,di cui visibili solo 10, tutte arredate ma-gnificamente con lampadari sfarzosi in vetro di murano, specchi giganteschi, affre-schi impressionanti, sculture in vari materiali, armi ed ar-mature da collezione e molto altro, questo castello vi reste-

rà sicuramente nel cuore. Nel tragitto Sinaia-Peles, inoltre troverete anche un bellissi-mo monastero. Per gli amanti della natura invece, c’è la pos-sibilità di arrivare in cima ai monti a quota 2.000, a piedi o con la funivia che preferiate, ed ammirare un paesaggio mozzafiato che vi farà senti-re i padroni del mondo. Data la zona in cui ci troviamo ora, un altro must è il castel-lo Bran conosciuto anche col nome di Castello di Dracula. Molto più antico, ma anche molto meno sfarzoso, qui tro-

verete ad attendervi le leg-gende sul conte Vlad Tepes, e scoprirete che tale sovrano era considerato dagli abitanti del luogo un grande re pieno di ideali, che proteggeva i più deboli e puniva i malfattori. Da non perdere, inoltre, ab-biamo anche il delta del Da-nubio che raggiunge Dobro-gea per poi gettarsi nel Mar Nero in uno dei delta meglio conservati d’Europa ed il se-condo in quanto grandezza. Da qui inoltre potrete facil-mente dirigervi a Mamaia op-pure a Costanza per una

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Viene narrato che Danubio fosse una bellissima stella alla corte degli spiriti del cielo, tanto bella che il Sole se ne innamorò, tuttavia la Luna invidiosa con l’ingan-no la gettò sulla terra. A quel punto Danubio invocò il po-tere degli spiriti dell’acqua ed i fiumi si unirono al mare per alzarla fino a toccare il cielo, ma non bastò. La tor-re d’acqua crollò e da allora il fiume che si era formato prese il suo nome Dunarea ovvero Danubio.

DanubioMonastero della

Corte di Argesbreve sosta sulle spiagge del Mar Nero. Inoltre vi consi-gliamo di visitare anche la corte d’Arges che possiede una delle chiese ortodosse più belle di tutta la Romania. Una chiesa con alle spalle la leggenda di un uomo di gran-de virtù, costretto a murare viva la moglie per volere del proprio re ma soprattutto del proprio Dio, e che nel momen-to della propria morte ha dato vita ad una fonte d’acqua che realizza i desideri d’amore, come monito ad altri, che non facciano il suo errore.

La Romania è un paese mera-viglioso e tutto da scoprire. Possiede alcuni dei castelli e dei monasteri più belli di tutta europa, il tutto incorni-ciato da un paesaggio natura-le mozzafiato. Immergetevi nei misteri e nelle antiche leggende di questo territorio e lasciatevi trasportare dal-le antiche tradizioni ancora vive e saldamente radicate nella cultura di questo paese. Noi speriamo di avervi incu-riositi riguardo a questa ter-ra, quindi vi auguriamo buon viaggio e attenti agli orsi.

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Il Tōdai-ji, il cuore spirituale del Giappone

di Carlo Bigazzi

Uno dei monumenti più importanti e maestosi del paese del Sol Levante. Un luogo ricco di spiritualità, fascino e imponenza.

il todai-ji è un tempio buddista, situa-to nella città di nara, nella parte meri-dionale del giappone. il tempio, il quale nome significa letteralmente, grande tempio orientale, è uno nei monumenti più importanti del paese tanto che è sta-to dichiarato patrimonio dell’uneSco insieme ad altre sette strutture religiose (tra templi e altri santuari) nella città di nara. Il tempio venne edificato sotto il dominio dell’imperatore Shomu, al fine di esaltare la magnificenza del Vairocana Buddha, e serviva non solo come luogo di preghiera, ma anche come centro di ricerche delle dottrine buddiste. La fondazione si deve a Roben, capo della setta buddista Kegon. L’inizio della costruzione è stato datato intorno al 743, dopo che, a seguito di va-rie epidemie, l’imperatore Shomu aveva emanato un editto per promuovere la co-struzione di tempi in tutta l’area. Quello di Todai-ji fu nominato Tempio provin-ciale della Provincia di Yamato, nonché principale tra tutti i templi provinciali. Nel 743, l’imperatore emanò una legge con la quale obbligava tutta la popolazione a partecipare attivamente alla costruzione di templi buddisti in tutto il Giappone, al fine di chiedere al Buddha protezione da ul-

La grande statua del Buddha, posta all’interno del tempio.

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teriori disastri. Secondo quanto rinvenuto negli archivi conservati all’interno di To-dai-ji,  oltre due milioni di persone contri-buirono alla costruzione della Grande Sala del Buddha e della statua, con lavori che du-rarono ben tre anni. In particolare, la testa e il collo furono forgiati come un elemento a parte. Il Buddha fu portato a termine nel 751. L’anno successivo si tenne una cerimo-nia per la cosiddetta “apertura degli occhi”, cui parteciparono diecimila persone. Fu il sacerdote indiano Bodhisena ad esegui-re la cerimonia per l’imperatore Shomu. In origine il complesso comprendeva anche due pagode, che all’epoca erano seconde in altezza solo alle piramidi d’Egitto, ma che andarono distrutte durante un terremo-to. Si dice che la grande statua del Buddha abbia richiesto una quantità tale di bronzo da aver mandato quasi in bancarotta l’eco-nomia giapponese. La statua è composta da un corpo di bronzo placcato d’oro. A causa dei danni subiti a seguito di vari eventi si-smici, la statua fu ricostruita varie volte: le attuali mani risalgono al periodo Momoya-ma (1568-1615), mentre la testa al periodo Edo (1615-1867). Dal momento della sua realizzazione, la statua ha subito varie ri-parazioni e restauri. Persino la testa è ca-

Il Tōdai-ji di Nara, la più

grande strut-tura lignea

al mondo. Patrimonio

dell’UNESCO.

duta una volta. La base della statua che si può ammirare ancora oggi risale all’ 8° se-colo, mentre la parte superiore, compreso il capo, è stato in gran parte rimaneggiato nella seconda metà del 12° secolo. Il Todai-ji era grande come quattro isolati della ca-pitale, oltre ad essere munito di mura e di edifici, e aveva quattro porte, una per lato, che lo collegavano alla città. La più impor-tante di queste è la porta Nandaimon, dove ancora oggi sono visibili due grandi statue in legno a funzione di guardia e di protezio-ne dalle forze maligne, realizzate nel 1203 dalla scuola Kei: sono i cosiddetti  Nio, che raffigurano l’inizio e la fine, più precisa-mente Ungyo, con la bocca chiusa, e Agyo, che ha la bocca aperta. Fin dal momento della loro realizzazione, le due statue non sono mai state spostate dalla loro nicchia.Una delle colonne all’interno della Grande Sala del Buddha presenta un foro nel mez-zo, che si dice sia della stessa grandezza delle narici del Buddha stesso: la leggenda racconta che  colui che riuscirà a passarvi attraverso riceverà una benedizione per la vita futura, ossia quella dell’illuminazio-ne, ecco perché molti visitatori provano a passarvi al suo interno, benché solo i bam-bini vi riescano senza problemi.

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La statua del guardiano dell’entrata del Tōdai-ji.

iL PArco Di nArAIl Todai-ji è situato nel Parco di Nara, una enorme distesa verde, situata nella città di Nara ai piedi del monte Wakakusa. Questo parco ospita molti santuari e templi di di-mensioni inferiori al Todai-ji, le dimensio-ni ufficiali dell’area sono di 502 ettari. La principale attrazione del parco, per la qua-le vengono molti turisti a visitarlo, sono i cervi e cerbiatti che vivono in libertà per la distesa. Secondo il costume locale, il cervo di quest’area era considerato sacro e oppor-tuno per una visita da uno dei quattro dèi del Santuario Kasuga, Takenomikazuchi-no-mikoto. Era detto di essere stato invitato da Kashima (Ibaraki), e apparso sul Monte Mikasa-yama cavalcando un cervo bianco. Perciò il cervo era considerato divino e sa-cro dal Santuario Kasuga e dal Kōfuku-ji. L’uccisione di uno di questi sacri cervi era un delitto capitale punibile con la morte fino al 1637, ultima data in cui questa legge fu in vigore. Dopo la seconda guerra mon-diale il cervo fu ufficialmente spogliato dal suo stato sacro/divino, e fu invece nomina-to come Tesoro Nazionale e protetto come tale. Oggi i visitatori possono comprare i cracker per i cervi, in modo da nutrirli nel parco.

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I cervi di Nara.

viaggi

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Creta, l’isolada esplorare

di Jacopo Piergentili

C’è un’isola che più che un isola è un continente, così appare creta, l’isola che con più di 4 millenni di cultura alle proprie spalle non smette mai di affascinare.

Creta è più di un isola, è un continente mera-viglioso. La particolarità del suo territorio, la varietà dei suoi paesaggi, le straordinarietà delle sue vicende storiche, l’originalità della sua cucina e il carattere fiero dei suoi abitanti la rendono un’esperienza unica rispetto a tut-to il resto della Grecia. Creta è più di una terra antica, è quella che Enea chiamava la “Gran Madre”. La sua civiltà era fiorente e raffinata già 4600 anni fa, quando calpesterete le pie-tre delle città minoiche, sfigurate da guerre furiose e terremoti tremendi, pensate anche che il Colosseo ha solo 2000 anni, la Muraglia Cinese 1800, Chichen Itza 1400, Angkor 1200 e Machu Picchu 600. Creta non è un’isola faci-le da visitare e, in un certo senso, resta sempre un mistero, come il suo famoso Labirinto. A di-spetto del turismo di massa che la frequenta, conserva luoghi stupefacenti, magie inaudite e una cultura autentica che possono ancora riservare emozioni da terra inesplorata: forse è per questo che desideriamo ancora tornar-ci. Questo racconto è il frutto di più viaggi a Creta, non vi troverete le notizie che, agevol-mente, potete leggere sulle numerose guide turistiche dedicate all’isola e neppure recen-sioni su hotel o studios che, facilmente, potete

trovare nei siti specializzati. Questo racconto parlerà dei luoghi e degli appuntamenti “im-perdibili” con qualche dritta per viverli al me-glio; questo racconto parlerà di luoghi meno noti, di “dettagli” e “sfumature” che potranno

sotto:Scorcio della spiaggiadi Avion

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dare un’impronta particolare al vostro viag-gio; parlerà delle persone, dei profumi e delle luci, che, più di tanti libri ed opuscoli, ci hanno rivelato l’essenza di Creta. Questo racconto è dedicato a chiunque voglia andare o tornare a Creta, sia ai viaggiatori indipendenti e deter-minati a scoprirla, viverla ed apprezzarla fino in fondo con un viaggio itinerante, sia a coloro che, non volendo rinunciare ad una comoda vacanza di mare, desiderano comunque fare qualche piacevole escursione. Questo racconto è un viaggio di 3 settimane per l’intera isola, articolato in brevi capitoli, in modo che pos-siate anche spezzarlo e ricomporlo, seguendo la vostra ispirazione, interesse e curiosità, in viaggi più brevi, 1 o 2 settimane, o semplice-mente utilizzarlo per singole escursioni da dove avrete scelto di soggiornare.MA ORA IN VIAGGIO!Prendete in mano una cartina di Creta ed os-servatela: 300 km circa di lunghezza e una lar-ghezza che varia fra i 60 Km della zona centrale e i 15 km della valle che collega Ierapetra al gol-fo di Mirabello; tre altissime catene montuose,

i Monti Bianchi ad ovest, il massiccio del Monte Ida al centro e i Monti Dikti a est, tutti oltre i 2.000 mt e a picco sulla costa meridionale; il nord dell’isola, piuttosto pianeggiante, percor-so da est ad ovest da una sorta di autostrada che collega le città principali, i porti e gli ae-roporti; un fitto reticolo di tortuose strade che scendono a pettine da nord a sud scavalcando intrepide i monti. Questa è Creta. Risulta evi-dente che pensare di visitarla tutta facendo

Sopra: pianta della casadi Knosso

a destra:mappa pianta

del labirintodi Knosso

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base in un solo posto e spostarsi ogni giorno in auto è una vera follia, passereste la vacan-za in macchina, su e giù per le valli, correndo in continuazione, arrivando alle spiagge più belle nei momenti peggiori e rinunciando alla magia che alcuni luoghi esprimono in modo indescrivibile al tramonto, alle prime luci del

Sotto:spiaggia di Balos, dove è situata la fortezza veneziana.

mattino o sotto un mantello di stelle. Se acqui-state un pacchetto turistico con soggiorno in resort, è quindi opportuno visitare e godere il più possibile delle zone più vicine e lasciar per-dere quelle più lontane, se invece siete viag-giatori indipendenti, la cosa migliore da fare è spostarsi, cambiare spesso dimora accorcian-do il più possibile il raggio di esplorazione e costruire il proprio itinerario strada facendo, decidendo di giorno in giorno dove fermarsi di più e dove di meno. Creta ha una ampia offerta di alberghi, studios, rooms-to-let e campeggi, anche nel mese di agosto non vi sarà difficile trovare una sistemazione anche negli angoli più remoti. In ogni caso, qualunque cosa deci-diate di fare, sono certa che troverete la vostra Creta inesplorata, perché quello che ciascuno di noi vede, non è mai stato visto da nessun altro, perché ogni viaggio a Creta è unico e ir-ripetibile. Ecco dunque il nostro viaggio, la no-stra Creta inesplorata che, tappa dopo tappa, continua a farci battere il cuore

Ecco dunque il nostro viaggio, la nostra Creta inesplorata che, tappa dopo tappa, continua a farci battere il cuore

viaggi

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MUSICA

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La voceelettronicadi Flying Lotus

Flying Lotus, per gli “Amici” FlyLo, è la promessa dellamusica elettronica dell’ultimo decennio, col suo stile sperimentale ed inconfondibile si è affermato in breve tempo sul panorama mondiale del genere..

di Jacopo Piergentili

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Flying Lotusin una delle prime fotodopo l’esordio.

Amato fino al punto di diven-tare una delle icone di culto della musica sperimentale, capace di osare e spingersi oltre è riuscito a portare l’hip hop a livelli mai immaginati donandogli una dimensione cosmica, quasi psichedelica ma comunque permeata di uno stile funky quasi fisico che avvolge durante l’ascolto.Stiamo parlando di Steven Ellyson, conosciuto in campo musicale come Flying Lotus, un giovane afroamericano che non ha paura di osare e sperimentare. – dote rara e fondamentale per emergere in qualsiasi campo artistico - Si perché, FlyLo ( così ab-breviato dai fan e dalla cri-tica ) Raramente cade nella trappola del creare musica puramente commerciale; come già detto, infatti, non ha paura di cercare l’impre-visto e di optare per la strada difficile, quella inesplorata e con un sentiero poco battuto.Ma questa voglia di osare, quando si possiede il talento di Flying Lotus risulta quasi na-turale, specialmente se si pen-sa al suo grado di parentela con la famiglia Coltrane anch’essa

Nata a Detroit, Michigan, comincia a studiare musica classica con Bud Powell. Ha iniziato a suonare jazz da professionista nella città na-tale, con il suo trio Terry Pollard. Dal 1962 al 1963 ha suonato con il quartetto di Terry Gibbs e, durante quest’esperienza, ha conosciuto John Coltrane. Ha cominciato sostituendo McCoy Tyner al piano nella band di Coltrane nel 1965. Nel 1966 sposò John, con il quale continuò a suonare nella sua band fino alla sua morte. John Coltrane divenne, così, pa-trigno della figlia di Alice Michelle. La coppia ebbe tre figli: il batterista John Jr. e i sassofo-nisti Oran e Ravi. John Jr. morì in un incidente d’auto nel 1982. Il 1990 ha visto un rinnova-

Alice Coltrane,un volto del Jazz

to interesse per il suo lavoro, che ha portato al rilascio della compilation Astral Meditation e, nel 2004, pubblicò il suo album di ritorno Translinear Light. A seguito di una rottura con il pubblico durata venti-cinque anni, tornò sul palco per tre apparizioni negli Stati Uniti nell’autunno del 2006. La sua ultima apparizione fu a San Francisco il 4 novembre 2006, con il figlio Ravi, il bat-terista Roy Haynes e il bassi-sta Charlie Haden.

musica

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fautrice di importanti pagine della storia della musica mon-diale. FlyLo esordisce nel 2006 dopo la pubblicazione di “Re-set”- il suo primo album - dove grazie al linguaggio innovato-re e prettamente legato alla musica elettronica riesce nel 2007 a firmare un contrat-

to con la Warp records di cui diventa subito uno dei capi saldi. Sempre con la Warp re-cords pubblica il suo secondo album, questa volta registra-do in studio “Los Angeles” e successivamente a questo grazie a “Cosmogramma” - il terzo album – FlyLo viene pre-

miato dell’indipendent music awards, viene incaricato di fare il remix dell’intero album “the king of limbs” dei Ra-diohead e successivamente pubblica un ulteriore album “Until the quiet comes” (2012 ) e poi nuovamente il suo quinto ed ultimo album datato 2014 “You’re dead!”. Quest’ultimo riassume e porta a livelli più alti tutta l’esperienza matu-rata da FlyLo nelle precedenti pubblicazioni con un album totale, avvolgente, coi suoi riferimenti al jazz-rock anni ‘70 (e le sue collaborazioni con artisti come Herbie Hancock, Snoop Dogg, Kendrick Lamar), così come sempre più totali ed avvolgenti sono le esibizioni dal vivo di Ellison: la voglia di creare un vero e proprio macrocosmo di sensazioni e stati emotivi estremi con cui innervare le sue architetture hip hop “evolute” è diventata un imperativo assoluto.

Una foto di Flying Lotus con la sua apparecchiatura.

Sotto: Il logo con cui Flying

Lotus si mostra negli spettacoli

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La sua musica, sperimentale soprattutto nell’approccio, tocca diversi generi della mu-sica elettronica, incorporando filoni musicali appartenenti all’hip hop (principalmen-te quello più sperimentale) ma toccando anche IDM, jazz rap, glitch hop e nu jazz, non è protagonista di molti live set dove sarebbe ad uso e consu-mo del pubblico più distratto

e modaiolo, anzi, è carica di esperienza complesse dove fornisce un mix in bilico tra euforia, immediatezza hip hop, ed inquietanti derive che pescano a piene mani da mil-le fonti. In poche parole: uno dei più grandi talenti emersi nell’ultimo decennio. E, fortu-natamente, anche uno dei più coraggiosi ed inclassificabili.

“L’elettrico” J-DillaNato a Detroit nel febbraio del 1974 James Yancey, vista la fa-miglia con grandi propensioni musicali (il padre bassista jazz e la madre cantante d’opera), a soli 2 anni inizia a collezionare 45 giri e a cantare sui dischi del padre. Cre-scendo sviluppa una forte passio-ne per la cultura hip hop. Trascorre la sua infanzia cominciando a pro-durre le sue prime strumentali con

Sotto:Flying lotusin una foto del suo album: You’re dead

Sopra:Flying lotusin una foto del suo album: You’re dead

un’attrezzatura minimale, centro di tutto un registratore a cassette. A 18 anni incontra Amp Fiddler (un musicista di Detroit) che lo avvici-na per la prima volta all’Akai MPC, campionatore che diventerà suo simbolo. È considerato tra i più innovativi ed importanti produt-tori del panorama statunitense, e fonte di ispirazione per tantissimi artisti nel corso degli anni.

musica

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Era il lontano 1876 quando un neanche tren-tenne Thomas Alva Edison fece l’invenzio-ne che avrebbe per sempre cambiato l’intera umanità: il Fonografo, dal greco “Suono scrit-to” (fonos = suono, grafos = scrivere), permet-teva di registrare e riprodurre il suono. Da qui ci fu un vero e proprio Bum! Venne inventato il grafofono(1881), e nel 1887 Emile Berliner inventò, quello che oggi è considerato, il primo giradischi della storia: il grammofono.Nel 1926 venne inventato in Svizzera l’ante-nato dell’attuale iPod: il Mikiphone; una sorta di fantastico grammofono in miniatura che potevi portare ovunque con te. Fino a questo punto la registrazione, che veniva prodotta su larga scala, era stata solo di tipo acustico, cioè venivano sfruttate le vibrazioni dell’aria pro-dotte da voci e incanalate in imbuti metallici. Ma negli anni ’20 ci fu il passaggio alla regi-strazione elettrica: le vibrazioni erano rece-pite dal microfono (dal greco Micro = piccolo, Fono = suono) e venivano poi trasformati in segnali elettrici. Con la registrazione elettrica era possibile percepire anche i suoni più debo-li, i quali con la registrazione acustica, invece, si disperdevano. Nel 1939 fu la volta del Ma-gnetofono o “Registratore a nastro”, fu realiz-zato e brevettato dalla AEG (Società Generale di Elettricità). Oltre a registrare, riascoltare, permetteva la cancellazione di quello che era stato precedentemente inciso. Contempora-neamente all’evoluzione delle tecniche per la registrazione, si sviluppò la radiofonia il cui precursore si può dire che fu Guglielmo Mar-

Il Miracolodella Musica

coni con il suo “Telegrafo senza fili” (1895) : tramite onde radio si ricevevano e si ascolta-vano suoni anche a grande distanza. Nel 1948 fu l’anno del Jukebox (dall’inglese: Scatola che fa ballare) era un fonoriproduttore di notevo-li dimensioni, in grado di riprodurre il brano scelto dall’utente all’interno di una lunga lista di titoli che corrispondevano ai dischi conte-nuti nell’apparecchio. Erano presenti in mol-ti bar e locali a partire dagli anni ’50. Iniziò a diffondersi la concezione di portatilità: venne ideato infatti il Walkman, un piccolo lettore di musicassette con ascolto in cuffia creato da Akio Morita, Masaru Ibuka e Kozo Ohsone, e prodotto dalla Sony. Il primo Sony Walkman fu venduto il 1 luglio 1979. Dal Walkman si arrivò al Lettore cD portatile negli anni ’90 e negli anni 2000 alla lettura di file MP3. Il CD (Compact Disc) sfruttava la riproduzione del suono digitale che sostituì i dischi in vinile, inoltre i CD potevano essere usati nei PC. Con l’avvento dei computer e di internet, si arrivò alla creazione dei file MP3, ovvero file audio che viaggiano in rete. La diffusione degli Mp3 e dei software per la loro riproduzione, ha cambiato l’universo musicale e il suo mercato.Infatti gli utenti prendono tutt’oggi diretta-mente dalla rete i propri brani preferiti, cre-ando compilation personalizzate selezionan-do direttamente il singolo brano a prescindere dall’album e dall’artista di appartenenza.Attualmente uno dei lettori di musica digitale più diffuso è l’iPod della Apple. Conclusione: Dalla riproduzione meccanica e “scomoda” di

di Zoe Accardi

musica

Musica = dal greco “Mousikos” è relativo alle muse, figure della mitologia greca e romana, in origine il termine non indicava una particolare arte, bensì tutte le arti delle muse, riferendosi quindi a qualcosa di perfetto. Oggi, quest’arte è alla portata di tutti grazie all’evoluzione dei dispositivi per l’ascolto della musica.

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Fonografo 1876

Mikiphone 1926

Lettore CD anni ‘90

Lettore MP3 anni 2000

Grafofono 1881

Magnetofono 1939

Grammofono 1887

Jukebox 1948

iPod I generazione 2005 iPod Nano VII generazione 2012

Radio 1895

Walkman 1979

evoluzione audio

più di un secolo fa si è arrivati all’odierna pro-duzione digitale e semplicissima. Infatti basta una connessione a internet per avere tutta la musica che desideri in pochi clic. Rimane in-variata in tutta questa evoluzione tecnologica

la posizione dell’ascoltatore: Che si tratti del fonografo o dell’iPod si assiste al “Miracolo” dell’ascolto di suoni, voci e strumenti di per-sone che non sono presenti nel luogo e mo-mento in cui avviene l’ascolto.

musicamusica

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di Marta Conti

La classifica di Shoot

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Il 2014 si è appena concluso, è innegabile che il mood dell’anno,in tema musicale,è stato l’hip hop, non si era mai visto un periodo tanto prolifico per questo genere nato negli USA sul finire degli anni ’80, c’è da dire che nel bel paese abbiamo conosciuto fieri esponenti di questo genere già nella prima decade dei 90, come Sottotono e Articolo 31 per citarne due, adesso i rapper spuntano come funghi, il che può essere un bene in quanto il margine di scelta per gli appassionati del genere si è ampliato, ma non solo in positivo, quindi cari lettori di Shoot è arrivato il momento di avventurarci nel mondo del ritm ’n blues e stilare una bella top /flop 5 di cosa quest’anno ci ha regalato in tema musicale e di cosa potevamo tranquillamente evitare, a noi e al nostro sistema auditivo.

1)ghemon - orchidee (maggio 2014)Ghemon all’anagrafe Gianluca Pica-riello è un rapper e cantautore avel-linese membro dei due collettivi in-die Blue-Nox e Unlimited Struggle, il 32enne è un artista navigato,ha alle spalle 3 album, 2 mixtape e 3 ep nei quali si è contraddistinto per il suo modo di proporsi al microfono lonta-no dallo stereotipo del rapper cano-nico, liriche ricercate sotto l’aspetto lessicale e prosaico, fanno di lui un rapper, come lui stesso ama definirsi, elegante, con il suo nuovo disco Or-chidee propone un sound nuovo e tra-volgente Ghemon ci regala una nuova visione dell’hiphop nostrano, abban-donando le metriche tradizionali per uno stile più melodico che suona più jazz che rap, strumentali, curatissime e rigorosamente suonate dalla stessa Live Band che fedele lo segue nel suo tour Italiano. Questo disco rappresen-ta, senza dubbio, una delle uscite più fresche dell’anno passato, nonché una conferma del talento dell’artista. Top Track: “Nessuno vale quanto te”

2) Dutch nazari - 10000 lire (ottobre 2014)Dutch (si, è il suo vero nome) classe 89 è un emergente nel panorama ita-liano, ma fidatevi ne sentirete parla-re. Il giovanissimo artista, della neo nata etichetta GiàDaMesi, ha esordito con un EP in freedownload, 10.000 lire,veramente uno dei prodotti più convincenti che abbia sentito negli ultimi anni, tratta tematiche sociali, come di vissuto personale in maniera sublime, senza ricadere nei cliquè del rapper da centro sociale, Dutch ci de-lizia con 8 brani di spessore, rap con-scious dalle tonalità che richiamano la Slam poetry, sound avvolgente,al tempo stesso classico ma innovativo, e le collaborazioni? poche ma d’impat-to sentiamo il suo produttore Dargen D’amico nella traccia “Genio Den-tro” e il controverso Willie Peyote in Falling Crubs. TopTrack: Jenin,Uno storytelling che tratta il vissuto quoti-diano di gente comune, ma sulla stri-scia di Gaza.

TOP track list

3) Hyst - Mantra (settembre2014)Hyst è un attore, cantautore e rapper italiano, figlio d’arte e fratello adotti-vo di un altro figlio d’arte (jesto figlio di Paolo Rosso), il rapper componente come Ghemon delle due indie label unlimited struggle e blue nox sforna un disco a cui non manca niente per fare storia, le liriche come sempre cu-ratissime, prosa priva di retorica che alterna lo storytelling alle riflessioni personali in rima, c’è poco da dire, va ascoltato, fidatevi ne sarete rapiti.Top Track: ”Essere o non essere”, ge-niale riflessione sul pensare comune dell’italiano medio, pungente,critico e musicalmente ineccepibile.

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5) Achille Lauro - Achille idol (immortale) (febbraio 2014)Achille Lauro è un personaggio interessan-te, non si sà il suo vero nome e neanche il suo viso, si dice per problematiche legali, ma non è questo l’importante, il 24enne roma-no esordisce con il suo primo disco ufficiale Achille Idol Immortale, il concept del disco è una sorta di Bibbia di un criminale, nella quale racconta tralci della sua vita in rima, la cosa sorprendente è la capacità del giovane artista (lui stesso non vuole essere definito rapper) di stravolgere le classiche metriche del rap alternando cantato e stilistiche d’ol-treoceano, un lavoro ottimo e innovativo, qualcosa di mai sentito per contenuti e ca-pacità espositive. Top Track: ”Ghost”, “baste-rebbe capire che io ho già scelto la fine come fine per me” poetico, nostalgico e a tratti di un drammatico morrisiano, geniale.

1)club Dogo - nSPQDM (settembre 2014)I Club Dogo non penso abbiamo bisogno di pre-sentazioni, Guè, Jake e Don Joe sono fra gli espo-nenti mainstream più famosi del panorama nostrano, con “Non Siamo Più Quelli Di Mi Fist” gli artisti Milanesi vogliono rimarcare un’evolu-zione musicale già dal titolo (“Mi Fist” è stato il loro primo disco ufficiale) purtroppo nonostan-te le strumentali molto curate, in questo disco sono gli stessi MC a lasciare a desiderare. Ben-vengano le influenze d’oltre oceano, ma adatta-re stilistiche americane o francesi un po’ come viene porta ad un risultato mediocre ai limiti della cover, un vero peccato, ma sempre meglio di Noi Siamo il Club (ndr. il disco precedente del trio). Flop Track:”Week End”, immaginatevi talk dirty di Jason Derulo ma in italiano, con tanto di citazione di Ramazzotti, video all’americana con piscine feste e ragazze cosi otterrete il singolo del trio milanese, un po’ banale.

4)Johnny Marsiglia&Big Joe Fantastica il-lusione (marzo2014)Johnny Marsiglia e Big Joe, rispettivamente mc e beatmaker, sono due giovani palermi-tani che ormai da qualche anno fanno par-lare di se, i due si affermano fra gli artisti più forti ed eclettici del nostro panorama e Fantastica Illusione è un prodotto che ogni appassionato del genere dovrebbe possede-re, sonorità innovative, ma senza snaturare lo spirito hip hop dei dischi precedenti, si al-terna fra critica sociale e racconti in rima, tutto curata in maniera sublime,pochi di-scorsi a questo disco non manca proprio nulla.Top Track: “Angelo in Terra”, racconta in rima un tema scottante come l’aborto senza dare impliciti giudizi morali,ma raccontan-do in rima le storie di due ragazze coetanee e delle loro scelte.

flop track list

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4) rocco Hunt - ‘A verità 2.0 (novembre 2014)Il giovane vincitore di Sanremo ci propone una versione relodead del disco a’ verità, già di per sé non eccelso,aggiungendo fe-aturing importanti (Ramazzotti per dirne uno), purtroppo la situazione non cam-bia, risulta una carta carbone di artisti partenopei storici con influenze pop. Flop Track:”Giovane disorientato”, strumentale pseudo ballabile, lui è giovane disorientato e poeta da isolato, buon pro ti faccia…

5) Fedez - Pophoolista (settembre 2014)Fedez è un giovane “rapper” milanese, con-duttore televisivo, opinionista e ogni tanto scrive qualche articolo per il fatto quoti-diano, il ragazzo ha un grande talento nel vendere la sua immagine, c’è da dargliene atto ma qui parliamo di musica; Avete pre-sente quei dischi che, volente o nolente, si fanno ricordare? Magari per una musicali-tà nuova, un ritmo calzante o la capacità di espressione emozionale del cantante? Bene, Pophoolista non c’entra niente con i dischi sopra citati. Sembra una raccolta di aforismi e luoghi comuni, accompagnata da una mu-sica elettronica che ricorda vagamente gli spot di Gil Cooper. Tanta banalità e pochezza di contenuti danno le vertigini ad un primo ascolto, ma anche al secondo e al terzo.Flop Track:”Magnifico”, ”Stasera dormo sul mio fianco preferito, il tuo”, neanche Fabio Volo sarebbe arrivato a tanto.

2) Moreno - incredibile (aprile 2014)Il giovane mc genovese vincitore del talent amici anche quest’anno ci delizia con un nuovo lavoro, il concept del disco è tutto da capire, perlopiù suona come un egotrip di 55” con metrica elementare, contenuti inesistenti accompagnati da strumentali scialbe, lo ascolti e pretendi un’ora della tua vita indietro, sinceramente continuare a criticarlo sarebbe come sparare alla cro-ce rossa. Flop Track:”Imprenditori”, ”Come Enrico dacci una Letta”,ok ok ok….

3) emis Killa - Mercurio (5 stars edition)(maggio 2014)Il giovane rapper di Vimercate è oggettiva-mente bravo,tecnicamente è ineccepibile e anche a livello vocale non è per niente male, l’unico problema sta probabilmente nei suoi obblighi discografici e nel target del suo se-guito che lo portano ad un certo tipo di pro-dotto, il risultato è un po’ mediocre, a tratti ridondante, niente di nuovo, le tracce una dopo l’altra tendono a confondersi, un lavoro poco incisivo.Flop Track:”Maracanà”, ”questa sera c’è de-lirio al maracanà eeeeeeeh ooooooooh”un coro da stadio praticamente.

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Voglia di concerti?

Tiziano Ferro01/07/2015

BOLOGNA (BO)ore: 21:00

LOCATION: Stadio dall'Ara

Vasco Rossi03/07/2015

NAPOLI (NA)ore: 21:00

LOCATION: Stadio San Paolo

Lorenzo Cherubini04/07/2015

FIRENZE (FI)ore: 21:00

LOCATION: Stadio A. Franchi

Toto05/07/2015ROMA (RM)ore: 21:00

LOCATION: Auditorium Parco della Musica

AC/DC09/07/2015IMOLA (BO)ore: 21:30

LOCATION: Autodromo Inter-nazionale Enzo e Dino Ferrari

Billy Idol10/07/2015LUCCA (LU)ore: 21:00

LOCATION: Lucca Summer Festival

Tony Bennett & Lady Gaga

15/07/2015PERUGIA (PG)

ore: 21:30LOCATION: Umbria Jazz

The Chemical Brothers02/07/2015ROMA (RM) ore: 22:00

LOCATION: Rock In Roma

Counting Crows03/07/2015PISTOIA (PT)

ore: 21:00LOCATION: Pistoia Blues

Calendario concerti band e artisti.

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ciao Federico! Benvenuto su Shoot Magazi-ne! come stai?Ciao e grazie mille per il benvenuto, va alla grande.in che modo ti sei avvicinato alla musica da giovane? e perché hai scelto di produrre musica? che cosa hai trovato in questo tipo di musica che ti ha affascinato così tanto?La musica mi è sempre piaciuta fin da quan-do ero piccolo, mi piaceva ogni tipo di genere amavo canticchiare tutte le canzoni che pas-savano alla radio o sui programmi televisivi, naturalmente era il genere pop del momento però mi è sempre piaciuto e incuriosito questo mondo come lo definisco io un po’ fuori dalle righe. All’età di 10 anni mi feci regalare da mio padre una chitarra per natale, che però poco dopo abbandonai in un angolo di casa a pren-dere polvere perché non era quello che real-mente volevo, crescendo soprattutto entrando nell’età adolescenziale iniziai a scoprire la fi-gura del dj e mi affascinava moltissimo come intratteneva il pubblico nelle serate, infatti mi mettevo sempre li vicino alla console attento e curioso di vedere come faceva e come mixava per capire un po’ i vari meccanismi. A 16 anni comprai la mia prima console, credo che quel giorno non me lo scorderò mai.. era Gennaio un freddo gelido e pioveva a dirotto, venne a prendermi mio padre e andammo in un nego-zietto dove vendevano la strumentazione ap-posita per dj, se non ricordo male erano una coppia cdj pioneer 200 un mixer behringer a 3 canali, un paio di cuffie della sennheiser e

Londra? Meta o sogno?

un amplificatorino di cui mi sfugge la marca, avevo gli occhi che luccicavano dalla gioia e come arrivai in casa mi misi subito a montaretutto e mettermi a suonare con i cd che ave-vo fatto della musica che mi piaceva in quel momento ovvero il pop commerciale. Di lì a poco un po’, anche per influenze di mio cugi-no che mi faceva ascoltare questo genere un po’ strano e particolare non adatta a tutte le persone, ma solo per soggetti particolari che poi a mio avviso questi soggetti si sono rive-lati delle grandissime persone che però pen-savano un po’ più fuori dagli schemi rispetto alla gente più comune. La minimal, che poi si è evoluta in tech house e altri generi era vera-mente un po’ particolare e fuori dagli schemi, ed era questo quello che mi piaceva sicché in-cominciai a suonare quel genere e a spostarmi su quell’impronta un po’ più strana che poi mi portò a scoprire quella che è l’House Music e le sue derivate come la deep house e tante altre che poi esistono da ancor prima che io nasces-si. Per la mia generazione è normale scoprire cose vecchie tramite cose nuove... Comunque per me furono come amore a prima vista, per-ché ho sempre amato le sonorità più calde e squillanti con quei cantati belli potenti che danno subito un clima di festa e di gioia e poi cantare mentre suono è una cosa che mi piace moltissimo e mi fa salire una verve incredibi-le addosso. come mai la decisione di lasciare come nome “Federico Lai” e non qualche nome alla stargate? come tanti dj?

di Gabriele Bencreati

Federico Lai, giovanissimo dj, sta iniziando a farsi conoscere nel settore. Ma scopriamolo insieme con questa intervista.

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Ehehe, questa è proprio una bella domanda sono sincero. Inizialmente ho avuto qualche nomignolo che non ti sto a dire perché non mi sono mai piaciuti, diciamo che per me non conta avere un nome alla stargate o particola-re ma basta saper suonare e intrattenere bene il pubblico facendo quello che più amo. Poi na-turalmente ho anche un altro profilo insieme a un mio carissimo amico di nome Dario Pic-chi, con il quale ho suonato per parecchi anniinsieme. Lui vive a Londra, per studiare mu-sica quindi purtroppo suoniamo quando ne abbiamo la possibilità. Il nostro profilo ha il nome di Aptitude che poi sarebbe quello che a me piacerebbe portare avanti e lasciare perdere Federico Lai. Aptitude sta per atti-tudine e per noi la musica è un’attitudine. A cosa ti ispiri quando produci una traccia?Dipende dalle emozioni che uno ha dentro, come uno scrittore scrive un libro, bisogna avere tanta fantasia. Naturalmente però bi-sogna attenersi a delle regole, comunque come ho detto l’ispirazione è tutta legata a un susseguirsi di emozioni che uno ha den-tro, per esempio non so se lo sapevi ma la mente umana quando è stanca è molto più creativa perché in quel momento è rilassata. Pensi che il genere che suoni sarà sempre più conosciuto nei prossimi anni? e perché ti piace questo genere?Spero e credo di si. Tutto sta nel saper educare le persone e a fargli capire questo tipo di ge-nere, non tutti sono predisposti, però secondo me la figura del dj non è solo quella di propor-re il suo genere in un determinato settore ma spaziare, naturalmente nei limiti, e di capire il pubblico e farlo sentire a suo agio nella pi-sta. Mi piace perché mi trasmette delle emo-zioni indescrivibili che con altra musica non ho trovato, non perché non mi piace l’altra musica, però in questa mi ci rispecchio di più. con chi hai in programma le tue prossime collaborazioni? e attualmente dove suoni?Le collaborazioni non le voglio svelare... prefe-risco che si scoprano una volta confermate al 100%, quindi non faccio anticipazioni. Attual-mente suono al Vibe di Calcinaia (PI) un locale gestito da bravissime persone e bravissimi Dj e proprietari di un’etichetta di nome “Yuma”.Sei giovanissimo! ma con abbastanza esperienza per affrontare anche posti oltre all’italia, giusto? cosa farai dopo che avrai il diploma di scuola superiore? Dopo il diploma l’idea quella di raggiungere il

mio amico Dario a Londra, per continuare il nostro progetto a 360 gradi insieme, per stu-diare il suono e tutti i derivati della musica e fare un’esperienza nuova fuori dal mio paese.Vorrei spingermi oltre quello che ho fatto fino adesso, con determinazione e costanza perché se credi in una cosa devi lottare fino in fondo.Quale programma usi per le tue produzioni?Io uso Ableton Live, un programma molto ver-satile e intuitivo.cosa ne pensi della scena italiana? Quali sono i dj italiani che ti piacciono di più o ai qual ti ispiri?Penso che il mio genere italiano sia veramen-te particolare con tante influenze estere. Il dj italiano al quale mi ispiro è solo uno: Lorenzo Bartoletti che conosco da anni e mi ha sempre dato ottimi consigli su come muovermi in tan-te situazioni. Vi consiglio di dare un’occhiata al suo profilo perché è veramente un grandis-simo dj e produttore. Direi di dare un occhio anche ad Alfa Romero ovvero la collaborazio-ne che ha con un altro dj e produttore di nome Marzio Aricò, e la loro etichetta “Alfa Romero Recordings”, un’etichetta a mio avviso molto valida che propone ottima musica e mai scon-tata.L’intervista è finita! Saluta i tuoi fans!Vi ringrazio per questa esperienza, un abbrac-cio e un saluto a tutti!

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Per la maggior parte di quei favolosi anni no-vanta (che tanto favolosi, in fondo, non era-no), bastava comprare un walkman Sony e andare in giro con le cuffiette per le vie della propria città, fieri e cazzutissimi, mentre una musicassetta girava nella propria tasca con le hits o il disco del momento. Nel corso degli ultimi venti anni il modo di ascoltare la mu-sica è cambiato molto. Prima di tutto, il con-cetto di supporto musicale è andato perso per sempre. Siamo passati da qualcosa di tangi-bile e palpabile, come una musicassetta o un compact disc, a una chiavetta Usb che contie-ne centinaia di file audio, mp3, wave e altro. Nello stesso momento in cui sono cambiate le modalità di ascolto, anche l’ascoltatore ha mutato pelle e orecchi. Negli anni novanta, ad esempio, sentire musica era un modo di es-sere, di esprimersi e di vivere la propria ado-lescenza. Ti influenzava in tutto: dalla scelta dei vestiti al taglio dei capelli. Tutti ricordano il “grunge”, lo stile Kurt Cobain (il compian-to leader dei Nirvana) o quello dei nostalgici metallari, surclassato, pochi anni dopo, dal revival del punk e del rock anni settanta. Una decade, quella della fine anni novanta, segnata dai lettori cd e dalle pile e pile di di-schetti accumulati nelle proprie stanze. È il periodo in cui hanno fatto la loro comparsa i primi computer dotati di masterizzatore; è il periodo in cui qualcosa è iniziato a cambiare davvero. Un lento, ma costante, processo che dal cd ha portato al file compresso (mp3 e al-tro) ed è arrivato al presente, fatto di musica smerciata direttamente sul web. Download, torrent, youtube. E poi ovviamente iPod e smartphone di ultima generazione. Oggi non si aspetta più il disco davanti al negozio per

La musica è morta?

poterlo ascoltare prima di tutti. Perchè il di-sco non esiste. Viene fatto circolare settima-ne prima su internet, tramite torrent. Questa pratica, se da una parte ha dato la possibilità a chiunque di poter ascoltare musica in modo gratuito e veloce, da un’ altra ha distrutto tut-ta la poesia del primo ascolto, di quel feticcio musicale costituito dal disco, dalla “cassetta” e dal cd. Il supporto fisico che aveva una sua consistenza, un suo colore e anche un odore, ha lasciato il posto all’inconsistente “file di informazione” costituito dalla cartella com-pressa che si trova nei download del nostro pc.

La musica rock rischia oggi la capitolazione. Il tema potrebbe apparire vecchio e, in effetti lo è. Se pensiamo che ne parlava il musicista e musicologo Fred Frith già nel 1988 nel fon-damentale saggio Il rock è finito, ci rendiamo conto di quanto il tema sia appassionante e la discussione a riguardo ben lungi dall’esser-si esaurita. Frith infatti diceva: “Sono ormai convinto che l’epoca del rock sia conclusa. Senza dubbio la gente continuerà a suonare e ad apprezzare la musica rock naturalmente, ma il business musicale, non è più organizzato

di Gabriele Bencreati

Come è cambiata la musica dagli anni novanta ad oggi...

Chi salverà la musica? E soprattutto la musica, come disse Bob Dylan, ha davvero bisogno di essere salvata e tutelata

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sul rock, sulla vendita ai giovani di dischi di uno specifico genere musicale.L’epoca rock, nata verso il 1956 con Elvis Pre-sley, giunta all’apice verso il 1967 con Sgt. Pep-per, morta intorno al 1976 con i Sex Pistols, si è rivelata come una fase transitoria nell’evolu-zione della popular music del ventesimo seco-lo più che (come ci parve allora) una specie di rivoluzione culturale di massa. Il rock è stato uno degli ultimi tentativi romantici di conser-vare forme di produzione musicale, l’interpre-te come artista, l’esibizione come condivisione rese sole dalla tecnologia e dal capitale”.Quasi in contemporanea altri intellettuali in altri campi, si affrettavano a decretare in quel periodo la fine di qualcosa. Il più celebre fu Francis Fukuyama che nel 1992 nel saggio The End of History and the Last Man decretava la “fine della storia” dopo la caduta del Muro di Berlino intendendo la storia futura come co-mune progresso verso un punto di evoluzione oltre il quale non sarebbe stato più possibile andare. La storia stessa lo ha smentito con l’11 settembre così come la musica ha smentito le previsioni di Frith con la nascita del grunge.Nel 1991 infatti esce Nevermind dei Nirvana, un disco epocale, che porta il cosiddetto “rock alternativo” ai vertici delle classifiche e quin-di a un pubblico di massa, come nemmeno il punk era mai riuscito a fare. Non a caso il film documentario che celebra l’evento si intitola proprio 1991: The Year The Punk Broke. Quin-di, al contrario di quanto scriveva Frith, non soltanto “l’interprete come artista e l’esibizio-

ne come condivisione” erano ritornate cen-trali ma anche i principi etici e politici a cui il grunge si accompagnava: antiautoritarismo, antimachismo, femminismo (molte le band femminili che nascono in questo periodo, le cosiddette “riot grrrls”). All’inizio una città, Seattle e un pugno di band: Melvins, Mudho-ney, Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam, Alice In Chains ognuna con diverse caratteristiche e come riferimento spirituale i Sonic Youth per l’etica indie e sperimentale e i Led Zeppe-lin per una lentezza che viene contrapposta alla velocità del punk anche se non è una re-gola e i valori del punk sono fondanti per que-sta comunità che a poco a poco dilagherà in

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tutto il mondo e spingerà le major a mettere sotto contratto tutte le band “alternative” a portata di mano. Il suicidio di Kurt Cobain nel 1994 segnò la brusca fine di un sogno: quel-lo dell’underground che riesce a diventare il nuovo mainstream. Il grunge però resta in effetti l’ultima controcultura giovanile pro-priamente detta che si possa identificare e storicizzare in maniera chiara. Il fenomeno attuale degli hipster infatti non ha un’iden-tificazione precisa in campo musicale. Non esiste una musica “hipster” se non nel senso che è hipster qualsiasi musica sconosciuta al pubblico di massa: per esempio se parlassi-mo di artisti hipster su questo giornale quali Julia Holter o Oneohtrix Point Never, cesse-rebbero di essere tali nel momento stesso. E con questo arriviamo alla contemporaneità, luogo in cui, inevitabilmente le cose si fanno più complicate.Chris Anderson, ex direttore della rivista Wi-red, anch’essa nata dalla controcultura e uni-

ca sopravvissuta dal periodo del cyberpunk (all’incirca metà degli anni 80) tra le varie Mondo 2000, Fad e Whole Earth Review, ri-balta quello in cui le aziende hanno per mol-to tempo creduto: nel 2006 con il saggio The Long Tail: Why the Future of Business is Sel-ling Less of More spiega come in definitiva tut-te le nicchie messe insieme costituiscano un mercato più ampio del cosiddetto “mainstre-am”. Un concetto che si esprime in maniera efficace nella celebre frase del commesso di Amazon: “Oggi abbiamo venduto più libri tra quelli che ieri non sono affatto andati di quan-ti ne abbiamo venduti tra quelli che ieri sono andati”. Questo concetto è molto importante per quanto riguarda la musica perché la coda lunga in questo contesto, ovvero la nicchia delle micro case discografiche o degli indi-pendenti assoluti aumenta esponenzialmente rispetto al passato non solo grazie alla rete ma

anche alla possibilità tecnologica di realizzare un disco in casa propria con una miglior qua-lità dei primi album dei Beatles o dei Rolling Stones. La musica dunque sembrerebbe non essere mai stata così viva. Eppure forse non è così. Lo dice Simon Reynolds, probabilmente il critico musicale contemporaneo più influen-te nel suo saggio del 2011, Retromania: “L’era pop in cui viviamo è impazzita per tutto ciò che è rétro e commemorativo. Gruppi che si riformano, reunion tour, album tributo e co-fanetti, festival-anniversari ed esecuzioni dal vivo di album classici: quanto a passione per la musica di ieri ogni anno supera il preceden-te. E se il pericolo più serio per il futuro del-la nostra cultura musicale fosse il passato?”. E aggiunge: “Potrà sembrare un proclama inutilmente apocalittico, ma lo scenario che immagino, più che un cataclisma, è un esau-rimento graduale. È così che finisce il pop: non con i bang del colpo di grazia, ma con un co-fanetto celebrativo di un artista storico il cui quarto disco non trovi la forza di infilare nel lettore del cd”. Due pericoli quindi si stagliano in maniera netta: un’offerta talmente grande da rendere impossibile per il fruitore orien-tarsi nel presente della musica e, come diret-ta conseguenza, un rifugiarsi nel passato, in quei nomi ormai conosciuti che costituiscono una garanzia. Damon Albarn (Blur, Gorillaz)

in un’intervista recente a El País Semanal ne sottolinea un altro: “Nella musica pop oggi è sovversivo essere completamente anonimi. In questo momento quello che sembra più rivolu-zionario è riuscire a smuovere l’aspetto uma-no contro quello del marketing. La musica non deve perdere la sua umanità. La cultura digi-tale elimina la differenza: tutto suona ugua-le e questo è male”. Insomma se chiunque, grazie alla tecnologia, può simulare il suono di un’orchestra, non solo in futuro non ci sa-ranno più orchestre ma la maggior parte dei

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dischi suoneranno simili nella loro perfezione campionata. Ne è convinto anche David Byr-ne, ex Talking Heads e autore del libro Come funziona la musica (Bompiani, 2013): “La per-fezione resa possibile da tali tecnologie della registrazione e della composizione può essere gradevole. Ma può anche essere troppo facile conseguire la perfezione metronomica in tal modo, e la perfezione a buon mercato è spes-so ovvia, ubiqua e in ultima analisi noiosa (…) Una traccia di James Brown o Serge Gainsbou-rg non suonava come un loop. In qualche modo si avvertiva che era stato suonato e risuonato e non clonato”. Un altro tema ancora: l’incor-porazione degli elementi caratterizzanti dei diversi generi musicali, il famoso “crossover” all’interno di uno stesso disco o addirittura di uno stesso brano. Ancora Reynolds: “Invece di esprimere se stessi gli anni 2000 preferisco-no offrire un concentrato di tutti i decenni precedenti: una simultaneità della cronologia pop che abolisce la storia, erodendo l’autoco-scienza del presente in quanto epoca dotata di identità e sensibilità proprie”. Un tema che si potrebbe sintetizzare in una semplice frase del rapper Fabri Fibra, uno dei pochi artisti ca-paci di far emergere nelle suo opere il sentire contemporaneo: “troppo di tutto oggi c’è trop-po di tutto, che vita piatta!”. E qui veniamo all’ultima parte del problema, la più esiziale.Scrive David Byrne in un articolo sul Guar-dian intitolato Internet succhierà via tutti i contenuti creativi del mondo: Una cifra che non paga il conto se è la princi-

pale fonte di guadagno. Ma il problema è un altro: cosa succederà alle band che non han-no una potente hit estiva internazionale?”. Insomma oltre al citazionismo esasperato dal passato che di fatto annulla i generi, il so-vraffollamento di artisti che rende difficile far emergere gruppi nuovi, l’appiattimento provocato dai campionamenti e dal suono di-gitale, sarà proprio l’abbondanza dell’offerta, quella che tanto ci attrae, la cosiddetta musica liquida tutta a nostra disposizione con un solo clic e senza più bisogno di possedere alcun supporto fisico, a distruggere, e questa volta per davvero, la musica? E forse non solo la mu-sica perché lo stesso sta avvenendo per la tv, per il cinema e, tra poco, persino per i libri. C’è troppo di tutto? Siamo abituati a pensare alla musica come costante innovazione ma non è detto che sia così. Forse un ciclo è finito e oggi la vera innovazione sta nella tecnologia: di questi anni forse in futuro non ricorderemo tanto le band quanto i marchi che stanno pro-vocando lo tsunami: Spotify, Deezer, YouTu-be, Pandora, Last Fm e ovviamente il versan-te social dove di musica si discute: Facebook, Twitter e gli altri che sicuramente verranno. Forse, come dice Harper Reed, hacker e al tem-po stesso l’uomo che grazie ai big data ha fatto vincere le elezioni a Obama “oggi la forza in-novativa che aveva un tempo il rock ce l’han-no altre cose: la tecnologia è il nuovo rock e gli hacker e i programmatori che stanno scriven-do il mondo di domani, le nuove rockstar”.

Get Lucky, la canzone dell’estate dei Daft Punk è stata ascoltata su Spotify 104.760.000 volte.

I due componenti della band hanno guadagnato 13.000 dollari a testa.

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La pirateria musicale è un fenomeno di proporzioni rilevanti e con ripercussioni mondiali. La riproduzione illegale, su sca-la industriale, di compact disc musicali ha raggiunto livelli spaventosi. In Italia il 25 % del mercato è nelle mani dei pirati, al Sud oltre il 40 % dei cd in circolazione è falso e i proventi delle vendite arricchiscono organizzazioni malavitose particolarmen-te agguerrite con fatturati miliardari. Tra compact disc importati di contrabbando e prodotti “masterizzati” in loco, ogni gior-no migliaia di pezzi inondano le strade commercializzati da una capillare rete di rivenditori abusivi. L’industria discografi-ca soffre pesantemente di tale situazione, con oltre 350 miliardi di mancato fattura-

La pirateria musicale

to, all’anno, in Italia. Oggi, organizzazioni criminali transnazionali, sono in grado di movimentare milioni di pezzi da un Paese ad un altro nel giro di poche ore. Fabbriche ucraine, bulgare, cinesi, ma anche disloca-te in piccole realtà come Singapore o Macao, macinano quotidianamente enormi quanti-tà di prodotto contraffatto che invade an-che il nostro Paese, grazie alle organizza-zioni delinquenziali che operano su tutto il territorio. Materiale pirata giunge anche in negozi ufficiali con gravi danni per il con-sumatore finale al quale viene venduto un prodotto di scarsa qualità. Sul fenomeno della pirateria musicale si vedano lo studio condotto, con particolare riferimento alla situazione italiana, da F.P.M. e il Music Pi-

di Gabriele Bencreati

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I dati lo confermano, la pirateria musicale è ancora attiva e fiorente

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racy Report, una ricerca a livello mondiale condotta dall’IFPI.

un mondo con diverse facce.Con il termine “pirateria” si intende, soli-tamente, la volontaria violazione del diritto d’autore (copyright) con precisi fini di lu-cro o commerciali. Nel settore musicale il termine si applica generalmente alla ripro-duzione non autorizzata, reato che si può distinguere nelle seguenti categorie: Ri-produzione non autorizzata: la duplicazio-ne di un’opera musicale originale senza il consenso del titolare dei diritti e a scopo di lucro. Solitamente in questo ambito si tro-vano musicassette e CD di qualità inferiori all’originale e con confezioni approssimati-ve. Il tutto commercializzato ad un prezzo inferiore all’originale. Classico esempio di riproduzione non autorizzata è la masteriz-zazione dei cd. Contraffazione: é la forma di pirateria più sofisticata, che genera anche altri gravi reati nei confronti del consuma-tore finale, come, ad esempio, la frode in commercio. Nella contraffazione ci si trova di fronte a prodotti del tutto identici all’ori-ginale compresi logo, ologrammi di autenti-cità e quanto necessario per essere venduti come prodotti originali. Noleggio: è qualsi-asi forma di cessione in uso per un periodo limitato di tempo e a fini di conseguimento di un beneficio economico diretto o indiret-to di originali, copie o di supporti di opere musicali tutelate da copyright senza l’auto-rizzazione del titolare dei diritti. È punito dal nostro ordinamento con sanzioni che contemplano l’arresto sino ad un anno e un’ammenda sino a 10 milioni. Le stesse sanzioni si applicano anche a qualsiasi for-ma di noleggio cosiddetto “camuffato”.

La nuova frontieradi pirateria musicale.Perché esiste?

Con l’avvento del formato di compressio-ne MP3, internet e la rete sono diventati il principale nodo di diffusione di musica illegale. Le nuove tecnologie consentono di distribuire e scaricare canzoni in pochi minuti senza aver bisogno di particolari competenze o attrezzature eccessivamente sofisticate. La comparsa in rete di program-mi di file-sharing come Napster, Kazaa e affini ha reso il tutto ancora più semplice ed ha consentito una diffusione capillare della pirateria digitale. L’anonimato, l’im-mediata disponibilità dei file desiderati, l’assenza di barriere fisiche, la rapidità, concetti base tanto della rete quanto dei software di file-sharing, hanno provocato un aumento esponenziale nella diffusione di musica illegale. Solo qualche numero re-lativo all’anno 2005 per dare l’idea del fe-nomeno: punte di 10 milioni di utenti attivi nello stesso momento, un miliardo e mezzo di brani disponibili per il download illega-le, circa 20 miliardi di brani scaricati. Non bisogna pensare che questa nuova forma di pirateria sia ad esclusivo uso individuale in quanto anche le organizzazioni criminali si stanno indirizzando verso la rete e i suoi facili guadagni abbandonando in molti casi le forme più tradizionali di contraffazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla na-scita di un mercato di musica online legale che ha sicuramente contribuito a contra-stare il fenomeno della pirateria online; nel giro di pochi anni sono nati centinaia di ne-gozi che vendono legalmente tracce singole e album. Nel 2005 sono stati venduti 420 milioni di brani in formato digitale, gene-rando vendite a livello mondiale pari al 6% del fatturato dell’industria discografica.

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La pop star che non esiste

di Michela L. Albu

Miku Hatsune, la stella del pop nipponica che tanto ammirata da Lady Gaga.

il 4 maggio 2014 Lady gaga ha annunciato al mondo

una novità esorbitante. Dal 6 maggio infatti ad aprire i suoi concerti altri non sarà se non la pop star giappone-se Hatsune Miku. Chi è, vi

chiederete voi? Beh la rispo-sta non è chi ma cosa, perché Hatsune Miku, che fa parte di un progetto chiamato Vo-caloid, in realtà è un sinte-tizzatore vocale creato dalla ditta Yamaha nel 2007, un

semplice software al quale sono state affibbiate un ca-rattere ed un’immagine. Beh, come riesce un programma a fare un concerto? Semplice, con gli ologrammi! L’aspetto della cantante infatti viene

Nella foto in alto, Miku Hatsune

Nella foto a destra, i compo-nenti del Pro-getto Vocaloid

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Vocaloid è un sintetizzatore software sviluppato dalla Ya-maha Corporation che per-mette di sintetizzare la voce, semplicemente immettendo il testo e la melodia di una canzo-ne; utilizza un’interfaccia piano roll in cui si possono inserire le note congiunte alle. Yamaha annunciò il suo sviluppo nel 2003, e nel gennaio 2004 fu immessa nel mercato la prima versione del programma. Nel gennaio 2007 la Yamaha ha annunciato una nuova versio-ne del software, Vocaloid2, che apporta miglioramenti nell’interfaccia utente e nella qualità del suono. Diverse case di distribuzione hanno annun-ciato in seguito lo sviluppo di prodotti utilizzabili con Voca-loid2. La Crypton ha lanciato due applicativi per Vocaloid2 chiamati Hatsune Miku e Ka-gamine Rin/Len il 27 dicembre 2007. Un terzo pacchetto ap-plicativo è stato messo in com-mercio nel gennaio 2009 con il nome di Megurine Luka in gra-do di riprodurre voci di lingua inglese e giapponese. Nel giu-gno 2011 è stata annunciata la

PROJECT VOCALOIDversione 3 del software, nella quale sarà possibile utilizzare le voicebanks dell’editor pre-cedente importandole. I primi vocaloid annunciati sono stati Ring Suzune ed Hibiki Lui, a cui sono seguiti SeeU (primo vocaloid di lingua coreana) e Aoki Lapis. Subito dopo nel novembre 2011 sono usciti due nuovi VOCALOID total-mente spagnoli, creati dalla VoctroLabs, Bruno e Clara. Esce inoltre IA, la quale è stata prodotta dalla stessa YAMAHA con due società ben note nella produzione musicale. Nel febbraio 2012 è stato pre-sentato VocaListener 2, è una funzione che una volta era opzionale ma nel VOCALOID EDITOR 3 è diventato funzione permanente. Permette al VO-CALOID, qualsiasi personag-gio, di parlare e di aumentare la qualità della parlata ma an-che della fonetica giapponese. Attualmente la grande famiglia dei Vocaloid comprende circa 54 software prodotti da varie aziende in tutto il mondo, cia-scuno con delle caratteristiche ben studiate e precise.

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modellato ed in seguito fatto muovere grazie alla tecnolo-gia e grafica 3D per poi essere proiettata sotto forma di olo-gramma durante i concerti. Questa geniale idea, ha por-tato ad un grande numero di fans, nel proprio paese e non solo. In Giappone è da molto tempo ormai che la pop star virtuale si esibisce “dal vivo” avendo sempre il tutto esau-rito. Come se non bastasse le sue canzoni e quelle dei suoi “famigliari” (ovvero gli altri membri del Project Vocaloid) finiscono sempre puntual-mente in classifica. A lei sono dedicati svariati film di ani-mazione (come Black Rock Shooter), maga, videogiochi

(Project Diva che consiste nel suonare i brani della dolce Miku e di tutti gli altri Voca-loid) ed è anche protagonista di spot pubblicitari (come quelle per la Toyota). La stessa Lady Gaga, la considera la sua pop star preferita tanto da de-siderare che partecipi ai suoi concerti in giro per gli USA, aprendo così, al programma nipponico, le porte per un pubblico e una notorietà più vasta. Agli ultimi MTV Japan Awards Hatsune Miku ha af-fiancato i Coldplay nella loro esibizione riscuotendo, an-che qui un enorme successo. Chissà che un giorno non ar-rivi a fare un concerto anche in giro per l’Europa?

Nella foto in alto, un design di Miku Hatsu-nerealizzato in 3D« Non si può

pensare a Hatsune Miku come a una popstar umana. Lei è tecnologia. Così, più che dire che lei diventerà una star, sarebbe più appropriato parlare di lei come fosse un movimento. Per esempio, come si fa con l’hip hop»

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Suoni ribelliWoodstock 1968.

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cos’è stato davvero Woodstock? Di sicuro molto più di un semplice festival della mu-sica. Diciamo un evento leggendario...un Sogno rivoluzionario.

Correva l’anno 1969 e 400.00 anime libere e spiriti ribelli si riunirono nella città di Bethel, vicino New York, per il più grande festival di tutti i tempi.Il festival di Woodstock.Organizzato come un semplice festival di pro-vincia a scopo pacifico contava di ospitare circa 100.00 persone che inaspettatamente si quadruplicarono, giungendo da ogni parte dell’America per assistere all’esibizione dei maggiori esponenti della musica rock degli anni ‘60, tra cui Jimi Hendrix, Santana, Janis Joplin e gli Who.Woodstock riuniva persone di tutte le età, spi-riti ribelli, liberi, anime in fiamme.... persone unite dalla voglia di cambiare quel mondo violento che li circondava in un mondo più pacifico. Il contesto storico culturale in cui nasce questo concerto è un contesto molto particolare; il fenomeno del sessantotto vede grandi movimenti di massa socialmente di-somogenei attraversare quasi tutti i paesi

Woodstock

del mondo con la loro carica di contestazione sulla corruzzione e il bigottismo e pregiudizi socio-politici.In America la protesta giovanile si schierò contro la guerra in Vietnam legandosi alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale alla società del capitale.Esordirono nuovi movimenti che mettevano in discussione le discriminazioni in base al sesso, ed è proprio in questo periodo che nasce il femminismo e i movimenti di leberazione omosessuale. Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano il miglioramento della so-cietà sulla base del principio di uguaglianza, l’anti corruzione politica e l’eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discri-minazione razziale.Woodstock risente profondamente di tutti questi movimenti rivoluzionari tanto che na-

di Rachele Moglia

400.00 anime libere riunite per i propri ideali a ritmo di suoni ribelli.

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sce proprio per manifestare il disaccordo con la guerra in Vietnam e proclamare la pace.Il festival di Bethel non è stato dunque solo un grandissimo concerto musicale ma anche un ritrovo di persone che combattevano per i propri ideali, tanto che i presenti definirono lo slogan dell’evento con: “ tre giorni di pace, amore... e musica”.Molto spesso Woodstock viene definito come una sorta di ambiente folle contaminato da droghe e persone amanti dell’eccesso...certo, questi elementi non mancavano, si faceva uso di cannabis ed lsd e molte persone che presie-devano l’evento facevano parte del movimen-to culturale degli hippies, i famosi figli dei fiori, che manifestavano liberamente l’amore tanto contestato dai puritani.Ma sono stati proprio tutti questi elementi mi-schiati insieme che hanno fatto di Woodstock uno degli eventi più importanti della storia

della musica e della cultura degli anni ‘60. La musica si schierava contro la guerra cantando inni di pace tra i popoli.Le chitarre strimpellavano all’impazzita ac-cordi mai sentiti, si sperimentavano nuove musiche... musiche da far venire i brividi per la loro bellezza! Molte carriere musicali sono nate a Woodstock, e alcune si sono concluse sul palco del festival, ma ogni gruppo, ogni interprete, ogni musicista è diventato qualco-sa di più grande di quello che era, e di quella grandezza hanno brillato per riflesso.Ognuno di loro in quei tre giorni, rappresentava non solo sé stesso ma uno spazio nell’universo giovanile, un’idea, un sogno, un avventura diversa; nessuno sembrava essere stato con-vocato per caso, le mille anime musicali del movimento, le mille anime musicali del rock erano li, tutte presenti, tutte mescolate, tutte importanti, tutte unite.

musica

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Non esistevano divisioni in generi e stili, tut-to era rock, i tamburi latinoamericani di Jose Chepito Areas e il microfono roteante di Roger Daltrey, la chitarra folk di Joan Baez e il blues straziante di Jans Joplin, era rock persino il si-tar di Ravi Shankar, perchè lo spirito era quel-lo della nuova comunicazione, e ogni barriera era stata definitivamente abbattuta.Insomma Woodstock è stato un evento straor-dinario che rimarrà impresso nelle menti de-gli amanti del rock e non per sempre...Quegli animi infiammati, accesi d’amore e ribellione rimarranno una leggenda... si, una leggenda perché oggi purtroppo quegli spiriti rivoluzionari non esistono più.

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Fu incredibile, Non potrò mai dimenticare il suono dellamusica che rimbalzava contro un muro di corpi.

Carlos Santana

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Un trucco da paura

di Michela L. Albu

Spesso nei film ci capita di vedere attori trasformati in creature fantastiche, mostri e tanto altro, ma come nascono queste maschere?

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Quante volte abbiamo visto in un film mostri spaventosi che sembravano

estremamente realistici, oppure giovani diventare vecchi in meno di un’ora? tutti noi sappiamo che dietro ci sono degli effet-ti speciali, ma che tipo? e soprattutto come funzionano?La risposta alla nostra domanda si chiama trucco prostetico (chiamato anche “protesi FX”) è il processo di utilizzo di protesi scolpi-te, stampate o fuse, per creare effetti cosme-tici avanzati. Prima di tutto si parte da uno stampo di una parte del corpo, sulla quale gli artisti ricreano l’aspetto finale che il perso-naggio deve avere, in gesso o creta. Una volta finito viene lasciato seccare e ne viene fatto uno stampo in negativo. A questo punto viene utilizzato uno stampo del volto dell’attore e lo stampo negativo del personaggio che ne usci-rà fuori per creare un ulteriore stampo, que-sta volta in silicone o gomma che sarà la pro-tesi finita. Adesso non manca che applicare il tutto sul volto dell’attore e truccare a dovere. Con questa tecnica vengono realizzati intere maschere, che possono variare dal solo vol-to all’intero corpo, oppure anche solo piccoli particolari da applicare. Tuttavia il processo comporta sempre molte difficoltà, poiché ol-

tre a capacità scultoree di altissimo livello, vi è bisogno anche di molta attenzione ed espe-rienza nella miscelazione dei composti per creare la giusta consistenza del silicone. Un ulteriore problema è anche la creazione degli stampi che possono rompersi o rovinarsi co-stringendo gli artisti a ricominciare il lavoro da capo. In fine anche la cosmesi e le capaci-tà pittoriche sono estremamente importanti. Le protesi andranno in seguito colorate, e una volta applicate non si dovrà notare che sono parti morte che non fanno parte della perso-na. A utilizzare questi particolari effetti spe-ciali, sono soprattutto i film Horror e Fantasy, che hanno bisogno di creare personaggi im-maginari, che spesso hanno ben poco di uma-no. Tra i più famosi ritroviamo quelli de “Il Pianeta delle Scimmie” dove quello dei prima-ti parlanti fu uno dei primi trucchi prostetici ad essere visti, ma come dimenticare anche lo spaventoso Freddy Krueger che tormentava i sogni delle sue povere vittime nel film “Night-mare”. Così, passando per le orecchie a punta e gli orribili orchi ne “Il signore degli Anelli” e arrivando a personaggi interamente truccati come Hellboy questa tecnica ha contribuito a migliorare la qualità dei nostri film rendendo il tutto più reale, e forse anche più spaventoso.

A sinistra, due esempi di trucco prostetico

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A destra, fase finale della realizzazione di un trucco protetico

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Questo reality show America-no originariamente trasmes-so sulla piattaforma via cavo Syfy e prodotto dalla Mission Control Media, è un innovati-vo programma che vede sfi-darsi tra di loro makeup artists di medio-alto livello, propo-nendo sfide di ogni genere. Lo show è condotto dall’at-trice McKenzie Westmore (fi-glia del famoso make up artist Michael Westmore) mentre i giudici sono tre, tutti esperti di effetti speciali e protesi: Ve Neill (makeup artist vincitrice di un Award e autrice di capo-lavori come Beetlejuice e Mrs. Doubtfire); Glenn Hetrick (ar-

Face Off, un reality innovativotista di grande talento che ha partecipato alla realizzazione di Buffy l’amazza Vampiri e Babylon 5) e Patrick Totopou-los (designer collaboratore di film come Io sono Leggenda, Resident Evil, Underworld e altri film).Ciascuna settimana, ai parte-cipanti al realtity viene pro-posta una sfida che va dalla semplice cosmesi, passando per bodypainting, per finire in grande con il trucco prosteti-co. Ogni volta vi sono due sfi-de una delle quali, quella più semplice, offrirà un bonus op-pure un aiuto al miglior artista, mentre la seconda che sarà

più complessa decreterà un vincitore della puntata e uno o più eliminati. Il vincitore del reality vincerà US$100,000, più prodotti per il proprio la-voro. In tutto vi sono state 8 stagioni con un totale di 97 puntate ed è in progetto an-che una 9° stagione. Pur essendo un reality show, l’innovativa trovata di mostra-re il dietro le quinte degli effet-ti speciali cinematografici, ha riscosso un enorme successo in America con indici di ascol-to di oltre 2 milioni di telespet-tatori.Non ci resta che augurarvi buona visione.

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Arte Viventedi Michela L. Albu

Il Bodypainting è un’arte che vive da sempre, mutando significato e adeguandosi ai tempi che corrono senza mai smettere di stupirci.

Quest’arte affonda le sue radici nelle usanze di popoli tribali Africani, india-

ni e centro Americani. Una tra le più anti-che popolazioni che fa uso del body painting sono gli aborigeni Australiani: dal 60.000 a.C. queste tribù dipingono il loro corpo con pittu-re create dalla macinazione di minerali con aggiunte di oli e acqua. Gli Egizi ricorrevano alla pittura corporea sia per i defunti sia per i vivi. Nel 4000 a.C. le mummie di due donne erano segnate sull’addome da linee pitturate a mano. Le donne nella vita quotidiana, dipin-gevano la linea inferiore dell’occhio di ver-de, colore a base di malachite (composto dal carbonato di rame), mentre palpebre, ciglia e sopracciglia, erano marcati col carbone. En-trambi i colori erano inizialmente in polvere poi allungati con l’acqua e applicati sul corpo con le dita. Stesse tecniche venivano utiliz-zate dai Sumeri nel 500 a.C. che dipingevano il volto con piombo bianco e rosso vermiglio. In Giappone il body painting a partire dal 550 d.C., a seconda della zona del corpo interessa-ta, distingueva classi sociali diverse. Abolito nel 1847 d.C. dall’imperatore Meiji, tornò ad essere legale nel 1945 d.C. I colori utilizzati erano tutti di origine naturale (argilla, cenere e sostanze vegetali) provenienti dalla flora del luogo dove gli abitanti erano insediati. Veni-vano applicati poi sulle parti del corpo deside-rate, usando le dita o pennelli.

il perché del BodypaintingQuesto tipo di arte, univa al semplice abbelli-mento anche dei significati ben precisi come quello religioso, quello cerimoniale del pas-saggio all’età adulta oppure del matrimonio, quello intimidatorio usato per spaventare i

nemici ed in fine quello sessuale che puntava ad attirar l’attenzione di eventuali partner.I colori utilizzati dalle popolazioni tribali non avevano certo le sfumature di quelle che han-no a disposizione i body painter moderni, ma nelle culture indigene ad ogni colore corri-spondeva un valore: Al rosso veniva accostato il coraggio, il calore e la passione; al nero veni-va accostato il significato del mistero, del buio e della notte; al bianco, colore delle nuvole, veniva accostata la purezza; al blu, colore del cielo, dei mari e dei fiumi, veniva accostata la calma e la tranquillità; al viola, colore destina-to ai sovrani, veniva accostata la superiorità; al giallo, colore dei giovani, veniva accostata l’intelligenza e la speranza; al grigio, colore della barba degli anziani saggi, veniva acco-stata la saggezza, la dignità e la conoscenza.

il Bodypainting oggiL’origine del body painting moderno viene fatta risalire al 1933 quando Max Factor, dopo aver truccato interamente la sua modella con un nuovo make up, la espose alla Fiera Mon-diale di Chicago. Furono arrestati entrambi per disturbo alla quiete pubblica. Questo pare essere il primo esperimento di body painting moderno. Tornò quindi di moda una delle forme d’arte tra le più antiche: ma oltre alla variazione delle tecniche grazie al progresso scientifico, il body painting cambiò signifi-cato. Anche se nelle parti del mondo isolate, come Amazzonia, savane Africane, jungle In-diane il significato del body painting è rimasto invariato, nel mondo globalizzato ha assunto significati completamente diversi. Dagli anni novanta ad oggi il body painting ha subito un vero boom.

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Di fianco un Bodypainting realizzato con lattice liquido.

Nella pagina a seguire, un bodypainting

realizzato con acrilici e

pennarelli

Stumenti e tecnicheNel body painting moderno i colori naturali sono affiancati da colori acrilici e sintetici fat-ti dalle più importanti case di cosmetici inter-nazionali. Sono colori che non recano danni alla salute della pelle né provocano allergie. La durata del disegno varia a seconda dei pig-menti utilizzati: l’henné, di origine naturale, ha una durata che può oscillare da una a due settimane; le tempere, di origine naturale, hanno una durata di qualche ora (svaniscono con la doccia); gli acrilici, di origine artificia-le, hanno una durata che varia da qualche ora ad un giorno (svaniscono con la doccia).Anche gli strumenti di lavoro si sono aggior-nati con il passare degli anni: ai classici pen-nello e spugnetta si sono aggiunte sofisticate tecniche d’ aerografia, che permettono di cre-are chiaroscuri, sfumature e dettagli molto precisi. Il lattice liquido composto da lattice naturale, ammoniaca, acqua e ossido di zinco è appli-cato sul corpo umano come seconda pelle. È consigliato applicarlo su pelli perfettamente rasate, in modo tale da staccarlo più facilmen-te a opera conclusa. Più strati vengono fatti più è facile toglierlo dalla pelle; per questo chi lo utilizza preferisce applicare più strati sopra al corpo. In alcuni casi viene utilizzato come base per applicare colori nocivi che non po-trebbero essere applicati direttamente. Gli acrilici possono essere applicati sul corpo con semplici pennelli o con aerografi. È una tra le tecniche più usate perché secca molto rapidamente, offre una grande elasticità e si adatta senza screpolarsi e senza stropicciar-si alla pelle del corpo umano. È uno tra i me-todi più costosi e dà all’opera un tocco molto professionale. Il colore viene levato lavando il corpo col sapone: i colori acrilici non sono stati pensati per la pelle umana e, benché non sia-no tossici, è comunque bene eliminarli qual-che ora dopo l’applicazione. Il body painting airbrush è una particolare tecnica che arricchisce il body painting dell’a-erografo utilizzato per spruzzare vernici di vario genere nebulizzandole con l’ aria com-pressa. L’effetto è più realistico di quelli per-messi dal pennello e dalla spugna. L’utilizzo dell’aerografo comporta una minore artisti-cità dell’opera: svaniscono i tratti che solo il pennello con le sue linee, riesce a dare all’ope-ra. Come nel pieno stile dell’aerografia, i con-

torni dei dipinti appaiono meno delineati e più sfocati: gli artisti che utilizzano l’aerografo sono specializzati in più campi della pittura, come la verniciatura delle auto, dipinti su car-ta, disegni sui caschi di piloti ecc.Nel nostro mondo questa particolare tecnica artistica viene utilizzata non solo per realiz-zazione di opere d’arte viventi, ma anche per pubblicità spesso di case di cosmetica, ma an-che da altre aziende per promuovere messag-gi e sensibilizzare riguardo un argomento.

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Videocamerabatte pennello

Da sempre l’arte è stata oggetto di sperimentazionitecniche e tecnologiche che hanno anticipatole epoche. oggi la sperimentazione è legata al videoed all’elettronica, che videoarte sia!

di Jacopo Piergentili

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A cosa pensate quando sentire parlare di vi-deo arte? Probabilmente siete portati a pen-sare, sbagliando, che la video arte sia tutto ciò che ha a che fare con videoproiezioni, includendo cinema e televisione. in realtà il termine videoarte indica l’unione di con-cetto artistico e tecnologia. gli artisti legati alla videoarte infatti hanno sempre usato il mezzo meccanico e tecnologico avvicinando-si sempre più a demolire il muro che si frap-pone tra lo spettatore e l’oggetto artistico dando vita, con il progresso delle tecnologie a disposizione, ad installazioni e performance interattive dove lo spettatore stesso diventa protagonista.

La sperimentazione sull’uso della tecnologia nell’arte, partito all’inizio degli anni 50, viene affrontato nuovamente nel gennaio del 1969 all’Armory di New York, dove viene organizza-ta una serie di eventi, 9 evenings, dal gruppo di artisti Eat: Experiments in art and technology. La novità di questi lavori, però, non consiste nella presenza del televisore nell’opera d’arte, ma nel tipo di rapporto instaurato con il mezzo televisivo: per la prima volta, e prima ancora che questa possibilità sia realmente fruibile attraverso le apparecchiature di videoregi-strazione amatoriale, si dimostra come una te-levisione possa essere controllata e prodotta direttamente dall’utente. In queste opere vi

era anche una critica all’industria culturale, al potere economico e ideologico della televi-sione, alla nozione di ‘cultura alta’ e a quella di arte quale esperienza separata dalla vita ordinaria di tutti i giorni. Questo intento era comune ai più diversi movimenti artistici del periodo, da Fluxus, all’Internazionale Situa-zionista, ai Francofortesi, agli Strutturalisti. Sotto il profilo artistico testimoniava il desi-derio e il tentativo di un confronto tra artista, opera d’arte e pubblico, in grado di riformula-re su nuove basi gli obiettivi di tale pratica. I

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modalità espressivee sperimentazioni che sono state ibridatee reinventate creando un linguaggio “meticcio”

Le videoproiezioni stanno assumendo propor-zioni cinematografiche, la tecnologia digitale permette ai creatori di portare l’immaginario video su strade sempre più complesse, con spe-rimentazione di opere collettive che crescono con l’apporto di ciascun utente connesso alla rete e Internet fornisce agli artisti nuovi spazi e nuovo pubblico per il loro lavoro. Da parecchi anni ormai si assiste a una fitta serie di mostre e rassegne internazionali di videoarte, orga-nizzate da enti pubblici, gallerie, associazioni, teatri, scuole e singoli ricercatori, all’insegna del mutamento in corso nel mondo dell’arte e della cultura ‘visuale dei nostri tempi, sia nel caso delle piccole iniziative di provincia che in quello dei grandi progetti molto sponsorizzati Questa stretta relazione tra l’arte e la tecno-

Esposizione video su una

composizione di schermi

diversi modi d’uso di un certo strumento elet-tronico, come la telecamera portatile, da parte di artisti provenienti da campi diversi si sono immediatamente intrecciati, integrandosi con molteplici altri mezzi e motivazioni nel-la loro multiforme attività, e con varie forme di azioni, ambientazioni, modalità espressi-ve e sperimentazioni che sono state ibridate, reinventate, alimentandosi reciprocamente nella creazione di un linguaggio ‘meticcio’. Il lavoro artistico in questo campo si è dunque caratterizzato costantemente come veicolo di scambio tra modelli operativi e modalità di formalizzazione e di visione, contribuendo a spiazzare e a ridefinire la nozione stessa di arte in un territorio intermedio; tanto più in quanto la ricerca degli artisti è stata sem-pre dialetticamente collegata alle tendenze che caratterizzano il panorama delle Neoavanguar-die artistiche, che consideravano le opere come l’unione di diversi processi creativi con cui co-municare un concetto. Oggi l’alta tecnologia, legata a questa forma d’arte, rende particolar-mente vivace la produzione, avvalendosi spes-so di ogni piattaforma e supporto disponibile, analogiche e digitali (in quest’ultimo caso, per esempio, schermi al plasma e LCD, personal computer, il web, minischermi LCD dei qua-li sono forniti gli smartphone) per realizzare proiezioni sempre più luminose e di qualità sempre maggiore, grazie alle nuove possibili-tà offerte dalle tecnologie in alta definizione.

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mette in discussionela posizione dello spettatore, soprattutto nelle opere interattive, che ne confondono il ruolo rendendoloanche lo stesso fruitore.

logia impiegata ha imposto parametri scien-tifici sull’utilizzo rispetto all’arte tradizionale come la pittura, la scultura e l’architettura) e aperto il dialogo e la riflessione sull’incontro tra la produzione ed il progresso tecnologico. Tale unione infatti ha reso possibile grazie allo sviluppo tecnico la riproducibilità del-le opere con copie identiche all’originale. La videoarte, allontanandosi da un utilizzo pas-sivo del mezzo tecnologico, si serve di questo medium per precise finalità comunicative, non fermandosi a una pura documentazione della realtà, ma la sua capacità di intervenire sul reale e sulla percezione mette in discussione la posizione dello spettatore, soprattutto nelle opere interattive, che ne confondono il ruolo facendolo diventare anche lo stesso fruitore.LA viDeoArte oggi. Negli anni Novanta del Novecento prospettive nuove del video sono state indubbiamente aperte dai videoclip mu-sicali, nati per pubblicizzare una canzone e un cantante. Essi diventano un fenomeno nuovo, con una propria autonomia nel campo esteti-co. La necessità di fruire in tempi brevi il vi-deoclip determina un tipo di linguaggio veloce e accattivante, dove si mescolano stili e idee. L’esigenza di persuasione della pubblicità de-termina da una parte l’impoverimento del lin-

guaggio ormai alla portata di tutti e dall’altra utilizza strumenti complessi e raffinati per realizzare effetti speciali e riprese particolar-mente spettacolari. Sicuramente quando negli anni Settanta gli artisti video dichiararono di non avere nulla in comune con la grande te-levisione, hanno commesso sicuramente un atto di orgoglio, contraddetto in qualche modo dagli sviluppi del video e della televisione. Dal-la fine degli anni Novanta a oggi il video si è affermato come medium trasversale e la sua produzione è molto vasta.

Opera diNam June Paik con televisori riciclati

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Arte di strada o arte urbana (in inglese stre-et art) è il nome dato dai mezzi di comuni-cazione di massa a quelle forme di arte che si manifestino in luoghi pubblici, spesso illegalmente, nelle tecniche più disparate: spray, sticker art, stencil, proiezioni video, sculture ecc. La sostanziale differenza tra la street art e i graffiti si riscontra nella tecni-ca non per forza vincolati all’uso di vernice spray e al soggetto non obbligatoriamente legato allo studio della lettera, mentre il punto di incontro che spesso fa omologare le due discipline rimane il luogo e alle volte alcune modalità di esecuzione, oltre all’o-rigine mass-mediatica della terminologia (originariamente semplicemente Writing).Ogni artista che pratica street art ha le pro-prie motivazioni personali, che possono es-sere molto varie. Alcuni la praticano come forma di sovversione, di critica o come ten-tativo di abolire la proprietà privata, riven-dicando le strade e le piazze; altri più sem-plicemente vedono le città come un posto in cui poter esporre. La street art offre infatti la possibilità di avere un pubblico vastissi-mo, spesso molto maggiore di quello di una tradizionale galleria d’arte. A tre decenni dalla sua comparsa il feno-meno socio-culturale del graffitismo ur-bano ha ormai guadagnato, tramite le sue

Street Art:Arte a 360°

influenze sulle arti visive, una rilevanza unica sul panorama della creatività con-temporanea. Una svolta nel campo del graf-fitismo europeo si ebbe a Parigi negli anni ‘90, con artisti quali Stak, Andrè, Honet e altri. I graffiti influenzano la grafica pub-blicitaria, le campagne di marketing, il gu-sto di migliaia di persone.Intorno al 2000, tra Francia, Inghilterra, Spagna, Finlandia e Italia, si assiste a qual-cosa di nuovo e differente per le strade; numerosi creativi (artisti, fotografi, poeti, graffitari) abbandonano l’etnocentricità del movimento del writing e, proponendo lavo-ri su poster, stencil o vernice, traducono la

di Genny Petrucci

Quando si parla d’arte siamo abituati a pensare subitoai musei, tuttavia non ci accorgiamo che ne siamo circondati.

A lato:Murale di Joker

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loro esigenza d’espressione in una tensione costante verso la comunicazione di massa e la partecipazione del pubblico al senso dei propri interventi.Banksy, attivo già a Londra nei primi anni del 2000, ha estrapolato e diffuso più di

chiunque il concetto di street Art: decora-zioni a spray immediatamente traducibili e trasversali rispetto alla società che comuni-cano tematiche sociali quali la necessità di libertà d’espressione, il pacifismo, la bruta-lità della repressione poliziesca, la confor-mità della morale a regole di sola facciata, l’antiproibizionismo e il rispetto della li-bertà sessuale e di coscienza. Questo tipo di arte discende direttamente dalla Pop art e dal Graffitismo, ponendosi però in un nuo-vo panorama a cavallo tra comunità socia-le e mondo dell’arte, verso chi più propria-

mente artista propone i suoi lavori o chi, diversamente, utilizza la strada come luogo ribalta e vettore comunicativo. La street art italiana ha raggiunto una notorietà euro-pea dai primi anni duemila, con l’emersio-ne di tre scuole riconducibili a Milano, Bolo-

gna e Roma. La prima tra le tre si concentra su una massificazione degli interventi per intercettare un pubblico il più vasto pos-sibile, con decorazioni di piccola e media grandezza, sempre in grave contrasto con la municipalità e il governo della città. La seconda ha sviluppato invece uno stile che rende massiccia ogni decorazione più che una serialità serrata di interventi per le strade, che passano talvolta in secondo pia-no rispetto a fabbriche e aree metropolita-ne dismesse. Roma ha la sua importanza per quanto riguarda la tecnica stencil, grazie a

Esempio di StreetArt in Inghilterra

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La TV ha fatto sembrare inutile andare a teatro, la fotografia ha praticamente ucciso la pittura, ma i graffiti sono rimasti gloriosamente incontaminati dal progresso.

Banksy

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Sten & Lex, attivi dal 2001 e considerati tra i pionieri dello “Stencil Graffiti” in Italia. Della scuola bolognese, nonché particolar-mente indicativi rispetto alle esperienze stilistiche e pratiche sopracitate, sono Blu, street artist e video maker ormai di fama mondiale, Ericailcane, il cui immaginario che ibrida uomo e animale l’ha portato ad essere anch’esso uno dei più noti street ar-tist italiani nel mondo, ed Eron, attivo dagli anni novanta tra Rimini e Bologna è stato eletto miglior street artist italiano dalla ri-vista specializzata AL magazine ed ha espo-sto le sue opere in vari musei e gallerie nel mondo. Importante citare il duo di artisti Dado e Stefy grazie anche alla loro passata esperienza nel mondo del writing nostrano. Verso la fine degli anni 2000, il movimento ha preso strade diverse e si è ormai in parte istituzionalizzato nella relazione con le mu-nicipalità in collaborazione con le quali

spesso coopera, con musei, gallerie e grandi corporations. Nel 2014 la Street Art italiana è stata il tema di una mostra allestita presso l’Italian Cultural Institute di New York. La mostra ha presentato il lavoro e il percorso creativo autoriale e personale di una gene-razione di artisti caratterizzati da una forte presenza urbana e dal tentativo di stabilire un dialogo tra avanguardie artistiche. Ne-gli ultimi anni la street art si sta evolvendo molto e accanto alla ormai forma dipinta, si stanno proponendo forme diverse di arte di strada. Banksy, con i suoi interventi in vari musei ha mostrato che l’arte di strada può essere anche intervenire sulla città non solo con i graffiti ma anche con interventi di va-rio genere.

L’arte del disegno è fondamentalmente ancora la stessa fin dai tempi preistorici. Essa unisce l’uomo e il mondo. Vive attraverso la magia.

Keith Haring

Sopra:Esempio di

StreetArt in Brasile

Sotto: Murales sul

muro di Berlino

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Julian Beever è un artista britannico; è nato a Chel-tenham, (Regno Unito) nel 1959, ma è cresciuto a Melton Mowbray. Ha frequentato le scuole statali e poi ha studiato Arte all’Università Me-tropolitana di Leeds.Ha fatto molti lavori nella sua vita, tra cui assisten-te alla fotografia, giar-diniere, installatore di moquette, insegnante di arte e inglese e artista di strada. Quest’ultima occupazione è servita a Beever per finanziare i suoi numerosi viaggi in USA, Australia e Europa. I suoi primi dipinti pa-vimentali rappresenta-

STREET ART TROMPE - L'OEIL

vano persone famose e questo gli garantiva l’at-tenzione immediata dei passanti.Beever ha cominciato ad occuparsi delle illu-sioni pavimentali nella prima parte degli anni ’90 e dalla metà degli anni 2000 ha iniziato ad accettare incarichi com-merciali che gli hanno permesso di esportare le sue opere in 28 paesi. Nel 2001 ha pubblicato un libro intitolato «Pave-ment Chalk Artist» dove illustra le sue opere prin-cipali. Crea disegni trom-pe - l’œil con il gesso su pavimenti e marciapiedi dalla metà degli anni no-

vanta. Le sue opere ven-gono create utilizzando una proiezione chiamata anamorfosi per creare l’illusione tridimensio-nale quando viene visto da una determinata an-golazione ed è sopran-nominato Pavement Picasso. Oltre a queste opere, Beever, esegue pitture murali con vernici acriliche e riproduzioni di opere famose. Lavora come free-lance e crea murales a richiesta. Ha lavorato nel Regno Uni-to, Belgio, Francia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Danimarca, Spagna, Sta-ti Uniti, Australia, Brasile, Argentina e Uruguay.

Esempi di Tromple-L’oil di Julian Bever

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Clet Abraham (Bretagna, 2 ottobre 1966) è un pittore e scultore francese, ed è attivo in Italia dal 1990. Ha fatto i suoi studi presso l’Isti-tuto di Belle Arti di Rennes e, dopo aver esposto presso varie gallerie d’arte in Gran Bretagna, si trasferisce a Roma, dove lavora come re-stauratore di mobili antichi. Ha esposto in numerose gallerie romane, parigine e britanniche e in varie istitu-zioni culturali. Nel 2005 si trasferisce a Firenze, dove risiede ancora oggi. Le sue opere stanno vivendo un notevole successo grazie a dei collezionisti privati di Parigi e New York. Molti enti privati gli hanno commissio-nato lavori proprio in segui-to al prestigio acquisito. Ha partecipato inoltre a tre edi-zioni della mostra collettiva “Fuori Luogo” organizzata dalla Società Chiessi e Fedi nel 2008 a Palazzo Stroz-zi, nel 2009 a Teatro della Pergola e nel 2010 presso la Galleria delle Carrozze

CLET E I SUOI CARTELLI STRADALI

di Palazzo Medici-Riccardi. Clet Abraham non è pro-priamente un artista di stra-da, ma ha recentemente sentito la necessità di un’e-spressione artistica applica-ta alla vita quotidiana. Il suo interesse è attualmente fo-calizzato sulla realizzazione d’interventi urbani. A Firen-ze, Bologna, Roma, Torino, Milano, Londra, Valencia, e in molte altre città, ha appli-cato degli sticker sui cartelli della segnaletica stradale, rispettandone sempre la leggibilità, ma trasforman-doli in simpatiche opere d’arte. Le sue operazioni hanno posto numerosi in-terrogativi per il loro conte-nuto, a volte provocatorio. Ecco come l’autore motiva il senso delle sue azioni: Siamo sempre più invasi dalla segnaletica; lo spazio urbano fornisce una quan-tità di messaggi basilari e unilaterali, sicuramente uti-li, ma per me senza perso-nalità. Il suo più clamoroso intervento urbano ha avuto

luogo nella notte del 19-20 gennaio 2011. Mentre nel-lo Studiolo di Francesco I, veniva accolto il teschio di diamanti di Damien Hirst, Clet installava su di uno sperone del Ponte alle Gra-zie il suo tipico “piccolo uomo nero”, cioè l’uomo comune, con un piede sul ponte ancorato ad esso e l’altro lanciato nel vuoto. Il motivo è stato quello di fornire un’alternativa popo-lare al cranio della pop star cosicché anche gli “uomini comuni” potessero benefi-ciare dell’arte. Per il critico italiano Francesco Bonami, organizzatore dell’esposi-zione Hirst a Palazzo Vec-chio, questa scultura che corre nel vuoto sarebbe la perfetta rappresentazione della caduta e della stagna-zione culturale in Toscana. Di tutta risposta, il comune di Signa ha commissionato a Clet l’installazione della scultura, collocando la stes-sa sulle acque del Parco dei Renai.

Clet e alcunicartelli

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Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad MÀrtir Patricio Clito Ruiz y Picasso

di Genny Petrucci

Tanti nomi per un solo grande maestro

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Picasso era un artista diverso, continuamente proteso alla ricerca del nuovo, ricordando costantemente l’antico. Ecco allora in mostra un Picasso diverso, presentato attraverso opere particolari.

(Eugenio Carmona)

Pablo Picasso (MÀlaga, 25 ottobre 1881 – Francia, 8 aprile 1973) è stato un pittore, scultore e litografo spagnolo di fama mon-diale; e ha trascorso gran parte della sua vita in Francia. Come uno dei più grandi e più influenti artisti del 20 ° secolo, è noto per il co-fondatore del movimento cubista, l’invenzione della scultura costruita, la co-invenzione del collage, e per la grande varietà di stili che ha contribuito a svilup-pare ed esplorare. Picasso, Matisse e Du-

champ sono considerati i tre artisti che più hanno definito gli sviluppi rivoluzionari nelle arti plastiche.Picasso e la modernità spagnola è la mo-stra che si tiene a Palazzo Strozzi a Firenze dal 20 settembre 2014 al 25 gennaio 2015. Ho trovato la mostra su Picasso molto bella e spiegata ottimamente dalle audioguide, in modo conciso e interessante. Una ras-segna di 90 opere provenienti del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid ed è suddivisa in nove sezioni te-matiche che puntano a far comprendere le relazioni tra il genio di Malaga e i suoi illustri colleghi. La parte più sensaziona-le della mostra è senza dubbio la bellissi-ma sala d’eccellenza riservata a Guernica, che ospita i disegni, le incisioni e i dipinti preparatori di Picasso per il grande capo-lavoro. Questa sezione, densa di opere deli-catissime, è assoluta e non è possibile non rimanerne impressionati. Un viaggio at-traverso una selezione di opere del grande maestro, messe a confronto con importan-

Guernica;Museo nacional

centro de artereina Sofia

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ti artisti spagnoli come Joan Miró, Salva-dor Dalí, Juan Gris, Maria Blanchard, Julio GonzÀlez. Tra le opere esposte capolavo-ri come Testa di donna (1910), Ritratto di Dora Maar (1939) e Il pittore e la modella (1963) di Picasso, inoltre Siurana, il sen-tiero (1917) e Figura e uccello nella notte (1945) di Miró, Arlecchino (1927) di Dalí. Stupenda l’iniziativa di Palazzo Strozzi di fornire blocco e matita per fare schizzi di fronte alle opere che colpiscono di più. Spazi ottimali, con possibilità di sederci per ascoltare l’audioguida e disegnare. Questa mostra esprime tutta la potenza e l’influenza di Picasso sul mondo dell’arte e le variazioni sul mostro minotauro rap-presentano il male che divora il bene. Dun-que un percorso vasto ed audace che, se da un lato suscita dubbi sulla sua efficacia, dall’altro ci permette di far luce in manie-ra molto puntuale su connessioni, svilup-pi ed evoluzioni. Una mostra consigliata perché insegna a conoscere un po’ meglio Picasso e le più interessanti idee e novità dell’arte dei primi 50 anni del secolo scor-so. Da vedere con spirito curioso e con una certa calma. Consiglio caldamente questa mostra.

Ritratto di Dora Maar;Musée Natio-nal Picassodi Parigi.

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La pittura è più forte di me;mi costringe a dipingere come vuole lei.

Testa di donna

Les demoiselles d’Avignon; MoMa NYFabrica de horta del ebro

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Arte contemporaneaCuriosità dal mondo dell’arte

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Avete fame ed avete voglia di un toast?c’è qualcuno che potrebbe servirvi in tavola un vero e proprio capolavoro!Si chiama Ida Skivenes ed è una giovane foto-grafa norvegese che ha deciso di unire la pas-sione per la cucina con quella dell’arte, sod-disfando la sua creatività e subito dopo le sue papille gustative.Il suo progetto si chiama “The Art Toast Project” e consiste nel trasformare un sem-plice toast in una tela sulla quale interpretare famose opere d’arte contemporanea.L’artista è diventata famosa fotografando i suoi piatti e mettendoli in rete grazie ad un suo profilo instagram. Se anche voi siete amanti della cucina e avete un po’ di estro mettetevi subito all’opera e provate a realiz-zare un piatto unico e sensazionale, magari potreste diventare i futuri Giotto del Toast!!!

L’artista dei toast

di Rachele Moglia

Fare di un piatto una vera e propria opera d’arte?Si può. L’artista Ida Skivenes ha riprodotto opere d’arti su dei toast.

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Le sue dita colorate hanno già conquistato il web. Lui è Dito von tease, giovane art direc-tor bolognese, che ha avuto la folle e geniale idea di ritrarre personaggi famosi sui pol-pastrelli delle dita.Il progetto si chiama Ditology e nasce nel 2009 quando per la prima volta l’artista deci-de di iscriversi ad un social network e volen-do mantenere la sua identità nascosta si na-sconde dietro ad un dito. “Questo desiderio di sfuggire dalla vita reale mi ha fatto riflettere sull’identità mia e delle persone in generale”, dice il giovane bolognese, “quindi ho scelto l’immagine di un dito per suggerire che tut-ti noi ci nascondiamo dietro ad un immagine che vogliamo dare a noi stessi”. L’artista deci-de infatti di non svelare la sua vera identità ma di nascondersi dietro al nome di Dito Von Tease, ispirato a Dita Von Thease, icona del-lo stile burlesque e vera esperta nell’arte del travestimento. Il suo “Thease”, nella scelta del nome, diventa nel caso del giovane art direc-tor “Teese”, dall’inglese to tease che significa stuzzicare. Il suo scopo principale nella realiz-zazione di questo progetto è quello di invitare ad una riflessione curiosa sul complicato mi-stero dell’identità personale.Al giorno d’oggi molte persone tendono spesso a voler nascondere la propria identità oppure a voler essere qualcun’altro, specialmente con l’avvento dei social network.Questo dovrebbe portare a riflettere molto e Dito Von Tease vuole farlo attraverso un sim-patico gioco artistico.

Arte in punta di dita

di Rachele Moglia

Tutti ci nascondiamo dietro ad un dito.L’artista Dito Von Tease si diverte a ritrarre personaggi famosi sui polpastrelli delle dita

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Yarn Bombing

di Rachele Moglia

Avete dei vecchi gomitoli di lana della vostra nonna in soffitta? Bene, non buttateli via perché possono essere utili agli amanti della yarn bombing!

Abiti multicolori creati appositamente per vestire l’arredamento urbano.

il concetto di arte oggi come oggi si è am-piamente allargato. Possiamo affermare che nel campo dell’arte nulla si butta via ma tutto si ricila ed utilizza per creare delle opere davvero straordinarie.Basta un pizzico di fantasia ed originalità ed ecco che anche con i materiali più impensati si riesce a realizzare qualcosa di unico e de-gno di essere chiamato arte.Avete presente i gomitoli di lana che la vostra nonna utilizzava per farvi quei caldi maglioni invernali a collo alto?... Ecco, diciamo che se con l’uncinetto magari non avete imparato molto dalla vostra nonna, anzi siete proprio negati, ma avete comunque estro e creatività, potreste utilizzare quei go-mitoli di lana per creare delle vere e proprie opere d’arti.Si tratta dello Yarn-Bombing, e rientra nella categoria della street art.Madre di questo movimento è Magda Sayeg e l’inizio risale intorno al 2005 ma questa tec-nica di arte di strada inizia ad avere successo e ricevere quindi attenzione in varie parti del mondo solo nel 2008.Lo Yarn Bombing è dunque una tecnica che consiste nell’utilizzo fi filati colorati per deco-rare alcune parti della città.

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chi di voi non si è mai divertito a scrivere la scritta “lavami”, oppure a realizzare qual-che disegno sulle auto sporche? Beh, c’è chi di questo divertente passatem-po ne ha fatto un vero e proprio lavoro.Lui è Scott Wade e realizza meravigliosi dise-gni proprio sulle auto sporche di polvere stu-pendo tutti coloro che lo osservano.Scott Wade è un designer grafico di origine texana, da tempo noto come l’artista della pol-vere o “Dirty Car Artist”.La fama di Scott Wade ha oltrepassato i confi-ni gli Stati Uniti e si è diffusa in tutto il mon-do attraverso fotografie al limite della realtà e video che mostrano la sua arte unica e rara, messa al servizio per campagne pubblicitarie, ma anche di festival e mostre culturali di ogni tipo. Fino a diventare materia di insegnamen-to in una scuola elementare.Una passione che nasce probabilmente nell’a-bitare nei pressi di una strada sterrata e polve-rosa del texas che, al passaggio degli automez-zi, riempivano di polvere le auto di famiglia così il giovane Scott Wade, invogliato da tanta polvere, iniziò a fare delle auto sporche le tele per i suoi dipinti preferiti. L’unica nemica di Scott Wade: La pioggia!

L’artistadella polvere

di Rachele Moglia

Auto sporca? Nessun problema, ci pensa Scott Wade

Di fronte ad un lunotto polveroso non riesco proprio a resistere, per non parlare dei finestrini ingrigiti.

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L’artista delle miniature

di Genny Petrucci

Piccoli micro mondi ricreati negli scenari urbani

Si chiama Slinkachu ed è un artista britan-nico noto per il suo microcosmo artistico.Il suo progetto si chiama “little people project” e in pochi anni ha fatto il giro del mondo.Possiamo definirlo come un artista di strada anche se la sua arte è difficile da inquadrare, a metà strada tra l’installazione scenica e la fotografia, ma la principale caratteristica dei suoi lavori sta nelle proporzioni.L’artista infatti sfrutta gli scenari urbani per ricreare dei micro mondi alternativi grazie a personaggi in miniatura.

Le opere di Slinkachu sono una rappresenta-zione ironica, e a volte provocatoria, della so-litudine e della malinconia di chi vive in una grande città. Una pallina da tennis dentro una pozzanghera può diventare un isolotto sper-duto nella città e un mozzicone di sigaretta può diventare la meta turistica di due anziani.

Mi piace l’idea che quasi nessuno veda il mio lavoro. Perché noi tutti ignoriamo, intenzionalmente o meno, molto ciò che ci circonda in una città.

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Tattoo mania

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Frasi, farfalle, disegni tribali, volti... ormai quella del tatuaggio è diventata una vera e propria mania mondiale.

Il tatuaggio, ieri simbolo di status sociale e di identificazione personale, oggi diventato for-se una forma d’arte, l’arte di dipingere il pro-prio corpo, o forse una semplice e pura moda.Come tutti sanno, il tatuaggio ha origini anti-chissime, già in età preistorica infatti inizia-no ad intravedersi i primi segni sui corpi delle persone, spesso per identificare l’appartenen-za ad una tribù. Storicamente quindi i tatuag-gi erano un modo per comunicare. Che si trat-tasse di ragioni politiche, religiose , sociali o culturali i tatuaggi hanno sempre voluto rap-presentare un qualcosa.Il tatuaggio nasce perciò come una forma di comunicazione, una sorta di pensiero stampa-to sulla pelle e rappresenta quindi una grande forma di espressione artistica ma è anche vero che negli ultimi anni molte persone si tatuano solo per un capriccio o per seguire una moda, e molti giovani abusano di questa cultura dei tatuaggi che si sta sempre più estendendo e diffondendo. Colpa forse dei mass media, della televisione... il voler imitare la massa, i grandi dello spettacolo... o forse il sentirsi più trasgressivi e ribelli con il corpo ricoperto da scritte e disegni.Fatto sta che la mania dei tatuaggi al giorno d’oggi si sta espandendo a macchia d’olio e sono pochi coloro che resistono a tale tenta-zione.

Tatuaggi:arte o moda?

Tutti vanno alla ricerca di qualcosa che li ren-da unici, speciali, diversi, qualcosa che appar-tenga solo a loro e il tatuaggio è sicuramente una particolarità che ci contraddistingue ma nel momento in cui si cade nella trappola del tatuaggio solo per seguire gli altri esso smette di significare, perde di definizione per diven-tare una forma di manierismo e moda. Credo che il tatuaggio debba rappresentare qualcosa di estremamente personale, un se-gno indelebile sulla pelle che parla di noi, del nostro vissuto, delle nostre credenze e dei no-stri desideri e non bisogna incidersi la pelle solo per manie di esibizionismo.

di Rachele Moglia

Incidersi sulla pelle un pezzo di vita o voler semplicemente imitare la massa?

Tattoo

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Steve McCurryPhotographer

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catturare l’attimo giusto, il famoso carpe diem, non è certamente facile nella fotogra-fia. un grande fotografo in grado di cattu-rare alla perfezione quel momento è sicura-mente Steve Mccurry.Steve McCurry è un fotoreporter statuniten-se, conosciuto principalmente per la fotogra-fia della ragazza afgana, avete presente quella ragazza con gli occhioni verdi che ti colpisce dritto all’anima per la sua espressività? Ecco quella! Steve McCurry è nato nel 1950 in una piccola città di Philadelphia in Pensylvania. Fin da giovane ha sviluppato una grande pas-sione per la fotografia tanto da studiarla all’u-niversità e laurearsi nel 1974.La sua carriera è stat lanciata quando,travestito da abiti tradizionali ha attraversato il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan. Quando tornò indietro portò con sé rotoli di pellicola cuciti tra i vestiti e presto le sue immagini fecero il giro del mondo e mostrarono per la prima volta il conflitto di quei paesi con la Russia. Le sue fotografie vinsero numerosi premi oscar. McCurry ha poi continuato a fotografare i conflitti internazionali e il suo lavoro è stato descritto nelle riviste di tutto il mondo.McCurry si concentra soprattutto sulle conse-guenze umane della guerra, mostrando non solo quello che la guerra imprime al paesaggio ma soprattutto al volto umano.“La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affac-cia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona.

Steve McCurry

Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che po-tremmo chiamare la condizione umana. Vo-glio trasmettere il senso viscerale della bellez-za e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità.”

di Rachele Moglia

Se sai aspettare, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto.

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Passo un sacco di tempo a guardare facce e facce e le face sembrano raccontami una storia.Quando su un volto è scavata qualcosa dell’esperienza di vita,so che la foto che sto scattando rappresenta molto di più di un semplice momento. So che qui c’è una storia.

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Steve McCurry viene soprannominato come il fotografo del colore. Preferisce fo-tografare a colori perché i colori fanno par-te della realtà e non gli è mai passato per la testa di fare foto in bianco e nero. Le sue fo-tografie sono puro reportage scattate istin-tivamente, la vita infatti non sempre si può pianificare e ritiene che i ritratti scattati in modo naturale ed istintivo siano quelli veri, quelli dove si intravede l’anima di una persona.“Il reporter deve imparare a conoscere pri-ma i soggetti delle sue foto, deve respirare la cultura del luogo che vuole fotografare e deve necessariamente fermarsi ad assapo-rare prima di premere il pulsante della sua macchina fotografica.”

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La vita è a colori e per questo la scelta del colore mi sembra la più logica e naturale.Attraverso il colore restituisco la vita così come appare.

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culturanerd

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L’evoluzione dei videogames

di Michela L. Albu

Un fantastico viaggio in tutte le epoche del mondo dei videogiochi, partendo dalle origini fino ai giorni nostri

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CULTURA NERD

il mondo dei videogames rappresenta una realtà complessa da inquadrare. La più

comune definizione è quella di: giochi in cui l’interazione tra i giocatori avviene tra-mite uno speciale monitor o lo schermo di un normale televisore. Questa definizione è fortemente riduttiva, perché i videogames durante la loro evoluzione sono diventati arte, cultura, creatività e comunicazione.La prima consolle ad essere progettata fu quella della Magnavox nel 1972, l’Odyssey progettata da Ralph Baer, che venne messa in vendita lo stesso anno. Nonostante i buoni propositi iniziali, la Magnavox Odyssey, non ebbe un buon successo commerciale perché la consolle venne venduta solo nei negozi Ma-gnavox ed ebbe poca pubblicità, inoltre molte persone furono portate a credere che si pote-va utilizzare solo con televisori Magnavox. An-che il prezzo era molto alto, ci volevano cento

dollari per la confezione base, che comprende-va sei cartucce con dodici giochi, a cui si dove-vano però aggiungere venticinque dollari per l’acquisto di una pistola da usarsi con alcuni giochi inclusi. Uno dei titoli che divenne una pietra milia-re nel mondo dei videogames è sicuramente Pong, che rappresentò il tentativo di offrire alla gente un videogame casalingo e accessi-bile a tutti. Nolan Bushnell, già padre di Com-puter Space, decise di mettersi in proprio e di avviare un’azienda che diventerà uno dei marchi più conosciuti al mondo, la Atari. Sulla stessa scia di Computer Space, decise di voler creare un altro videogame da inserire dentro un cabinet, ma con caratteristiche completa-mente differenti. Pong è un videogioco che simula il ping pong: ognuno dei due giocatori controlla una una piccola linea verticale con la quale deve respingere un puntino luminoso

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oltre la linea dell’avversario. La partita termina solitamen-te dopo quindici reti. Il ga-meplay banale ma intuitivo lo rese il gioco giusto al mo-mento giusto. Il grande suc-cesso della versione cabinet permise alla giovane Atari di iniziarne la commercializza-zione come home videogame, rendendolo famoso a livello mondiale. Nel 1977 l’Atari creò una con-solle per videogiochi chia-mata Atari 2600 o Atari VCS (Video Computer System) che permetteva al fruitore di po-ter giocare comodamente a casa con gli stessi titoli pre-senti nelle sale giochi, unen-

do così al risparmio anche la comodità. Fu tra le prime consolle a utilizzare le car-tucce come metodo di memo-rizzazione per i giochi. Viene ricordata come la prima con-solle di successo mondiale. Nel 1978 una pesante crisi investì il mercato videolu-dico a causa dei troppi con-correnti che proponevano consolle più o meno simili; moltissime aziende chiusero i battenti, l’unica a non soc-combere fu Atari grazie alla realizzazione di giochi sem-pre più innovativi; proprio in quell’anno venne prodotto Space Invaders, il videogioco arcade più influente della sua generazione, un capolavoro mondiale. Space Invaders è stato il primo di quella che sa-rebbe diventata una lunga se-rie di titoli, che esportati dal Giappone, avrebbero contri-buito a creare le fondamenta dell’industria videoludica. In Space Invaders il giocatore controlla un cannone mobile che si muove in linea orizzon-tale sul fondo dello schermo e deve abbattere gli alieni che si avvicinano sempre di più al pianeta Terra. Gli alieni si muovono a zig-zag e lenta-mente scendono verso la Ter-ra tentandone l’invasione che comporta la fine della partita. Man mano che le navicelle aliene vengono distrutte, le rimanenti si muovono più ve-locemente sullo schermo. Il gioco si conclude quando gli alieni raggiungono il fondo dello schermo oppure quando il cannone viene distrutto dal fuoco nemico o da bombe che vengono lanciate dagli alieni. La caratteristica più innovati-va di questo videogioco è l’uso del sonoro che scandisce l’a-vanzamento degli alieni e che

I videogiochi possono essere distinti in base alla piattaforma hardware, al software e al genere. Per quanto riguarda l’har-dware possiamo citare le macchine a gettoni usate nel secolo scorso, che avviavano un videogame inserendo delle monete in un’apposita gettonie-ra. I giochi da consolle, invece, sono collegati ad un televisore e consento-no di giocare con i vide-ogames utilizzando peri-feriche come i joysticks o joypads. Le consolle tascabili sono dispositivi dalle dimensioni ridotte che offrono la possibili-tà di giocare in qualsiasi luogo. Il videogame ha inoltre invaso dispositivi elettronici come cellulari, computer e tablet. Per quanto riguarda i generi abbiamo: i vide-ogiochi di azione che richiedono di esplorare un particolare ambiente eliminando tutti i nemici; quelli di avventura pro-pongono una succes-sione di situazioni che possono essere affron-tate risolvendo enigmi; i giochi arcade hanno come obiettivo quello di migliorare il punteg-gio massimo; nei giochi di strategia il giocatore deve prendere decisioni per lo svolgimento della partita; i giochi di ruolo costituiscono la traspo-sizione elettronica dei giochi di ruolo cartacei, dove il dispositivo elet-tronico a rappresenta il master, mentre quelli di simulazione riproduco-no fedelmente situazioni e aspetti tratti dalla vita reale, come guidare un-auto o gestire un locale.

I gENERI

Schermata del videogioco

Space Invaders

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È diffcile stabilire con certez-za quale sia stato il primo vi-deogame della storia, si narra che nel 1947 fu progettato il primo videogioco da Tho-mas T. Goldsmith Jr. e Estle Ray Mann. Il dispositivo uti-lizzava otto valvole termoelet-troniche e, tramite l’uso delle manopole, simulava il lancio di un missile verso un bersa-glio, ispirandosi agli schermi radar usati durante la secon-da guerra mondiale. In quel periodo la parte grafica non poteva essere totalmente di-segnata elettronicamente, quindi i due creatori decisero di utilizzare dei piccoli adesivi nei punti in cui si trovavano i bersagli da colpire.Altri storici invece attribui-scono la creazione del primo videogioco al fisico William Higinbotham, che nel 1958, notando uno scarso interesse da parte dei suoi studenti in-tervenuti ad un convegno di fisica, cercò di avvicinarli alla sua materia adottando un si-stema che, tramite l’utilizzo in-telligente dell’oscilloscopio, li facesse partecipare in manie-ra interattiva alle lezioni, simu-lando le leggi fisiche presenti

in una partita di tennis. Nac-que così Tennis for two che permetteva a duegiocatori di sfidarsi in una sorta di partita a tennis. Lo scopo del gioco era quello di riuscire a far rimbalzare il pun-tino creato dall’oscilloscopio, cercando di non toccare la rete posta al centro dello schermo. L’idea riscosse un forte interesse da parte dei suoi studenti, ma Higinbo-tham non pensò minimamen-te ad un possibile sviluppo commerciale del suo gioco.Nel 1962, l’informatico sta-tunitense Steve Russell en-trò di diritto nella storia dei videogiochi perché riuscì a far muovere sullo schermo di un computer PDP-1 (Pro-grammed Data Processor-1) dei puntini luminosi: nacque così Spacewar, considerato il secondo videogioco della storia. L’idea di Russell era di creare un programma per computer capace di spiega-re alla gente comune le leg-gi fisiche che influenzano il moto dei corpi nel cosmo. In Spacewar! comparivano due navicelle spaziali, comandate da due giocatori, che simula-

vano una battaglia nello spa-zio; lo scopo del gioco era di-struggere la nave avversaria con un missile, stando bene attenti a non essere risuc-chiati dal buco nero posto al centro del display. Nolan Bushnell, ingegnere elettrico laureatosi all’Univer-sità dello Utah, si interessò ai videogames dopo aver gio-cato a Spacewar! su un PDP-1. Appena laureato decide di creare un clone di Spacewar! con lo scopo di renderlo ac-cessibile a tutti coloro che non potevano permettersi un computer, creando un proto-tipo per televisori introducen-dolo in un guscio di vetroresi-na dove vennero posizionati i comandi di gioco appena sot-to lo schermo. Nacque così il primo coin operated video-game chiamato Computer Space. Il gioco presentava due varianti, in quella a gio-catore singolo si ottenevano punti sconfiggendo le astro-navi aliene,mentre nella mo-dalità a due giocatori (si veda Figura 1.4) vinceva chi riusci-va a distruggere più volte l’a-stronave avversaria in novan-ta secondi.

I PRIMI VIDEOGIOCHI

aumenta gradualmente come un battito cardiaco in preda ad un attacco di panico. Un effetto sonoro accompagna anche il fuoco del cannone e l’esplosione di un oggetto. Un altro elemento fondamentale di questo gioco è l’indicato-re del punteggio massimo, un’innovazione che è diven-tata un punto fisso nell’indu-

stria dei videogames.Nel 1980 viene creato Pac-Man, conosciuto in Giappone con il nome di Puck Man, è un videogioco in formato arcade da sala. A quei tempi giochi arcade erano tutti violenti ed erano pensati per un pubbli-co maschile mentre Iwatani voleva far cambiare le cose in modo da coinvolgere le

ragazze e le coppie ad avvici-narsi a questo mondo. Il gioco colpì l’Occidente riempiendo le sale giochi. Il desiderio di Iwatani di rivolgersi ad un pubblico diverso si avverò perché il fascino di Pac-Man riuscì a coinvolgere non solo gli adulti ma anche i ragazzi-ni e le loro mamme. Pac-Man offre dei piccoli intervalli con

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delle scenette umoristiche che vedono protagonisti Pac-Man e il fantasma rosso, que-ste pause danno la possibilità al giocatore di riposare i polsi per qualche breve istante. Fu il primo gioco a presentare al pubblico un protagonista, portando i creatori dei vide-ogames a ideare personaggi con la quale il pubblico po-tesse interagire o addirittura imitare. L’impatto culturale che Pac-Man ha portato tra la gente è stato sicuramente importante per lo sviluppo di tutti gli altri titoli che sono seguiti, ed è stato uno dei vi-deogames più copiati della storia. Nessun personaggio dei videogiochi è universal-mente riconoscibile come il piccolo tondino giallo!Lo scopo del gioco è quello di controllare un personag-gio rotondo e giallo lungo i corridoi di un labirinto e far-gli mangiare tutti i puntini presenti ed eventualmente i bonus a forma di frutta. Nel labirinto sono presenti an-che quattro fantasmi che se vengono toccati sono letali, ma possono essere mangiati subito dopo aver ingoiato una delle quattro pillole che si tro-vano agli angoli dello scher-mo. Divenne subito popolare e ne sono state pubblicate va-rie versioni per tutte le con-solle e i computer divenendo il più classico dei videogiochi.

La guerra delle consoleIl 1982 risulta essere il primo anno della guerra tra consol-le perché viene lanciata sul mercato la Coleco Vision (si veda Figura 1.10), una consol-le dalle ottime caratteristiche grafiche e migliore sia di In-tellivision che dell’Atari VCS.

Coleco converte i vari coin-op (giochi dei bar o delle sale gio-chi), tra cui Donkey Kong ed ottiene molto successo vista la somiglianza dei giochi con gli originali delle sale giochi.Nel 1984 nasce il Tetris, uno dei giochi più coinvolgenti creati da Pazitnov, che inau-gurò un nuovo metodo di gioco in tempo reale,che sti-molava una parte del cervel-lo umano normalmente non usata nei videogiochi dell’e-poca, dimostrando che non era necessaria una grafica accattivante per vendere i vi-deogames, ma un gameplay solido ed innovativo. In questo stesso anno, in Giap-pone, dalla Nintendo viene creata la prima consolle a 8 bit che viene chiamata Famicom o family computer in Ame-rica cambiò nome, perché si accorsero che le famiglie non giocavano insieme e che la parola famiglia in questo paese se associata all’intrat-tenimento aveva delle conno-tazioni negative, e si chiamò NES (Nintendo Enterteiment System). La Nintendo, quindi, creò la sua prima consolle da home videogame. Nel 1985 fu distribuita insieme a Super Mario Bros che risultò una combinazione assolutamente vincente a tal punto da con-quistare il mercato. Super Mario Bros spalancò le por-te alla rivoluzione dei nuo-vi home videogame, avendo creato il genere dei platoform game. Mario, il protagonista assoluto di Super Mario Bros è un basso e tozzo idraulico ita-liano che abita nel Regno dei Funghi, ha due grossi baffoni e il caratteristico abbiglia-mento composto da cappello rosso e tuta da lavoro. Mario

Nella foto di fianco, vari

personaggi del gioco Super

Mario

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LA rivoLuzione DeLLA grAFicASempre nello stesso anno, 1987, è stato svi-luppato Final Fantasy che è un videogioco di ruolo alla giapponese. Il nome deriva dal fatto che l’azienda era in piena crisi finanziaria e questo videogioco sarebbe stato, forse, l’ulti-mo per la Square; Final Fantasy però non solo riuscì a salvare la compagnia dal fallimento, ma divenne anche il gioco di ruolo più impor-tante su consolle. Da quel momento la serie ha continuato ad avere un’altissima reputazione a tal punto da creare altri quattordici capito-li. I fans e i critici non fanno che discutere su quale sia il migliore tra i tanti Final Fantasy o su quello che ha avuto il maggiore impatto nel mondo videoludico, ma il settimo è pro-babilmente più interessante dal punto di vi-sta storico perché è stato il primo a sfruttare

il formato CD-ROM ed è stato il primo capitolo della saga ad essere convertito ufficial-mente per Windows. Inol-tre è stato il primo capitolo a passare dal 2D al 3D. Final Fantasy VII è uno dei più bei giochi mai realizzati e nel 2006 è anche servito come base per un film animato in grafica computerizzata inti-tolato Final Fantasy VII: Ad-vent Children. Essendo stato il primo videogioco a supe-rare i confini della cartuccia per accogliere lo spazio del CD-ROM, FF7 era destinato a

proporre una nuova generazione per consolle. L’enorme aumento della capacità di memoriz-zazione ha consentito l’introduzione di scene di intermezzo per portare avanti la trama o le storie dei personaggi. Sono state introdotte due importanti meccaniche di gioco: le Mate-ria e i Limit Break. Uno degli aspetti più sorprendenti è la limi-tazione che obbliga i personaggi ad indossare solo un’armatura e una reliquia. La Materia, che hanno la forma di sferette d’energia, pos-sono essere inserite negli oggetti che compon-gono l’equipaggiamento e se ne distinguono cinque di colori diversi con poteri diversi. A differenza dei capitoli precedenti, FF7 è am-bientato in un futuro alternativo che mesco-la elementi fantasy e fantascientifici; ci sono

è un uomo dal cuore generoso, sempre pron-to ad aiutare chi si trova in diffcoltà. La sua missione è quella di salvare una principessa liberandola dalle grinfie di una creatura mal-vagia chiamata Bowser. L’obiettivo del gioco è completare ogni livello prima dello scadere del tempo, in caso contrario Mario perde una vita e deve ricominciare il quadro dall’inizio, o a metà, se ha superato uno dei checkpoint invisibili. I livelli di Super Mario Bros sono stati creati con estrema cura: nemici e ostaco-li sono disposti in maniera tale da aumentare gradualmente la difficoltà. Questo aspetto lo distingue dagli altri platform a scorrimento orizzontale, che solitamente erano più diffici-li sin dalle prime schermate di gioco. Nel 1987, Shigeru Miyamoto crea The Legend of Zelda che viene pubblicato per la consolle giappone-se Famicom. Il gioco fu ispi-rato dalle avventure immagi-narie di Miyamoto nei boschi dietro casa sua quando era bambino, è ambientato in una primitiva incarnazione del regno di Hyrule5e segue le avventure del giovane Link, che deve salvare la Principes-sa Zelda dal malvagio mago di nome Ganondorf o Ganon re-cuperando gli otto frammenti di un oggetto noto come la tri-forza. Accompagnato da una colonna sonora coinvolgente, The Legend of Zelda, diede al giocatore un personag-gio e un mondo nella quale identificarsi per la prima volta. È tutto basato sulla storia, la possibilità di identificarsi con il personaggio principale e con le difficoltà che incontra per migliorare se stesso è un elemento che tocca molte persone. Il gioco è composto da un mi-sto di azione, esplorazione e puzzle ed ebbe un grande successo commerciale. La cartuccia del gioco conteneva una batteria che permet-teva al giocatore di salvare i progressi del gio-co. Il primo Zelda era un gioco molto avanzato per l’epoca perché permetteva di usare decine di oggetti differenti e conteneva dei segreti da esplorare. Il gioco fu enormemente popolare in Giappone, Stati Uniti e in Europa. Fino ad oggi sono stati creati altri sedici capitoli di The Legend of Zelda.

I videogiochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se Pacman avesse influenzato la nostra generazione,

staremmo tutti saltan-do in sale scure, masti-cando pillole magiche e ascoltando musica

elettronica ripetitiva!

Nella foto di fianco, il protagonista di Final Fantasy, Cloud

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per la PlayStation, abbandona i personaggi realistici del capitolo precedente per tornare all’estetica tipica della serie, e anche per que-sto è stato considerato come un ritorno alle origini. Final Fantasy X è uscito nel dicembre del 2001 per la PS2. Per la prima volta le am-bientazioni erano completamente in 3D; tra le innovazioni quella più importante è l’imple-mentazione di espressioni facciali realistiche e dettagliate che si sposano con l’introduzione del parlato digitalizzato.

coMPetizione trA coLoSSiAlla fine degli anni ‘80 la Nintendo era una po-tenza ancora dominante, ma nel 1987 la Sega sviluppa il Master System anch’esso a otto bit, che diventa il nemico più competitivo per la Nintendo, grazie ai giochi di buona qualità e

fabbriche, robot ma anche magia e scontri all’arma bianca. La storia si svolge su Gaia, un pianeta che sta subendo una lenta distruzio-ne. Il personaggio principale è Cloud che du-rante le sue avventure conosce Aerith (ragaz-za dei fiori) e diventa la sua guardia del corpo, da questo momento in poi sta al giocatore de-cidere l’evoluzione della loro storia d’amore. La ragazza è perseguitata dagli agenti di Sol-dier che sono interessati a quella che lei ritie-ne essere inutile Materia bianca. Per quanto FF7 possa essere divertente è anche capace di strappare qualche lacrima ai più sensibili.L’ottavo capitolo della saga è uscito nel 1999, ancora una volta per la PlayStation; in questo capitolo i personaggi assumono un’estetica più realistica, più vicina ai canoni occidentali. Final Fantasy IX fu rilasciato nel 2000 sempre

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alla sua mascotte di nome So-nic che diede filo da torcere a Mario. Sonic è un riccio blu ed il suo nome deriva dalla paro-la inglese che significa sonico e che allude alla capacità del personaggio di muoversi più velocemente del suono. Nel 1995 la Sony inizia a conquistare il mercato pro-ducendo la PlayStation, una consolle a 32 bit grazie alla quale nasce una nuova era nella quale i videogiochi 3D sono ormai obbligatori per via del loro impatto grafico e del potere dell’immedesima-zione che forniscono al gioca-

tore. Dopo soli quattro anni, nel 1999 la Sony presenta la PlayStation 2 o PS2, nel pas-saggio tra la prima e la secon-da, vediamo che riappare il problema che si era verificato nel 1983 ovvero che le case produttrici di giochi si con-centrarono sulla grafica ma non sulla trama, questa situa-zione portò i videogiocatori a lamentarsi perché si ritrova-rono ad acquistare giochi con una durata media tra le sei e le otto ore. La PlayStation 2 può leggere sia CD-ROM che i DVD-ROM ed è compatibile con tutti i giochi per la Play-Station precedente. Il fatto che la PlayStation2 leggesse i DVD-ROM ha permesso di accettare il suo alto prezzo di partenza, ed è anche grazie alla vendita di film in DVD che la consolle ha visto salire le vendite sul mercato por-tando quindi la Sony a dimi-nuire il prezzo di vendita. Nel 2001 la Microsoft deci-de di scendere in campo, di-chiarando guerra a tutte le consolle, producendo l’Xbox la cui novità è che all’interno si trova un connettore ether-net per connessione LAN per il gioco online e un hard disk che varia da 8 a 10 Gb, dando così una bellissima al-ternativa alle memory card della Sony che sono costose e posseggono poco spazio. In questa nuova guerra ciò che interessava di più era avere il possesso delle esclusive, infatti l’utente acquistava la consolle in base al numero di videogiochi disponibili e senza dubbio la Sony era av-vantaggiata visto che aveva le esclusive della prima con-solle come ad esempio Me-tal Gear Solid, Resident Evil, Tekken, Final Fantasy, Prince of Persia, Grand Theft Auto,

ed altri, ma la Xbox si mise subito a lavoro e si fece crea-re diversi giochi ma le quote di mercato della PlayStation 2 rimasero irraggiungibili.Il 2005 è l’anno di nascita del-le consolle di nuova genera-zione: la Microsoft immette sul mercato la Xbox 360, una consolle dalla grafica ecce-zionale e tricore. La consolle è stata considerata rivoluzio-naria solo che per la fretta di farla uscire prima delle con-correnti, la Microsoft, non aveva fatto molto testing sul prodotto, infatti le prime con-solle erano molto rumorose e si surriscaldavano a tal punto che si danneggiavano. Man-cava il wireless e l’ingresso HDMI. La vendita di questa consolle è stata molto buona per il primo anno e mezzo, fino all’uscita delle consolle concorrenti.La più grande rivoluzione per quanto riguarda i controller avviene nel 2006 con la nasci-ta della Nintendo Wii perché si possono utilizzare da uno a quattro Wii Remote Control-ler che sostituiscono il nor-male controller. Ci sono dei led a infrarossi incorporati nelle estremità della Wii Sen-sor Bar, da porre sopra o sotto la televisione che permettono al controller di percepire il puntamento verso lo scher-mo, mentre l’accelerometro permette di percepire l’incli-nazione e la rotazione. I gioca-tori possono anche mimare le azioni e sentirle attraverso la vibrazione invece di premere i pulsanti. In questo modo la Nintendo ha incuriosito tutte le persone che non erano toc-cate minimamente dalle con-solle tradizionali. Infatti sin dall’inizio della commercia-lizzazione, la Wii ha mostra-to un elevato successo e nel

Tutte le versioni mai

uscite di Link, protagonista di

The Legend of Zelda

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ne dell’ambiente in cui ci si trova. La barra del Kinect per-mette all’utente di interagire con la consolle senza l’uso del controller, ma solo attraverso i movimenti del corpo, i co-mandi vocali o attraverso gli oggetti presenti nell’ambien-te. La Nintendo ha annuncia-to il suo 3DS, la prima consol-le portatile ad avere i giochi interamente in 3D senza l’uso di speciali occhialini.

i viDeogAMe onLineNiente ha trasformato i vide-ogiochi quanto l’avvento di internet. Negli ultimi decen-ni è cambiato il modo in cui viviamo le nostre vite e forse la cosa che è cambiata di più

2007 ha superato in vendite l’Xbox 360. Nel 2010 la Nin-tendo dichiara di aver vendu-to circa ottantacinque milio-ni di copie, diventando così la home-consolle Nintendo più venduta di sempre! Verso la fine dello stesso anno anche la Sony produce una nuova consolle: la Play-Station 3 o PS3. La vera novità fu il Blu-Ray Disc che grazie all’utiliz-zo di un laser a luce blu per-mette di raggiungere qualità grafiche di livelli eccezionali. La PS3 ha avuto un inizio dif-ficile visto il prezzo altissi-mo derivante dalla scelta di mettere il Blu-Ray come let-tore standard ma le vendite sono aumentate pian piano,

anche se non ha avuto asso-lutamente lo stesso successo della PS2. Il 2010 si può de-finire l’anno dell’evoluzione dei controller perché la Sony ha sviluppato il Playstation Move, un controller sensibile al movimento simile a quello della Wii. La Microsft invece, ha deciso di utilizzare il corpo del giocatore come controller, grazie al suo Kinect, dotato di una telecamera RGB, doppio sensore di profondità a rag-gi infrarossi composto da un proiettore a infrarossi e da una telecamera sensibile. Di-spone, inoltre, di quattro mi-crofoni orientati in direzioni diverse che vengono utilizzati dal sistema per la calibrazio-

Poster dell’e-spansione di World of Warcraft the Mist of Pan-daria

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combattere con altri possono scegliere tra combattimenti più innocui a campi di batta-glia. Il PvE è probabilmente l’aspetto del gioco più riusci-to perché è in grado di tenere occupati anche i meno socie-voli attraverso varie missioni solitarie. I videogiochi hanno, bene o male, accompagnato molti di noi durante la nostra vita fa-cendoci divertire e rilassare.Ormai non sono più solo in-trattenimento, ma anche, cultura arte ed innovazione. Tuttavia come ogni cosa buo-na o bella che sia, se esage-riamo può farci male, quindi giocate con moderazione.

è il modo in cui ci relazionia-mo tra noi; invece di comu-nicare faccia a faccia oggi interagiamo in spazi condi-visi, spesso virtuali. I patiti dei giochi di ruolo testuali degli anni ‘80 si ritrovarono a poter godere degli affasci-nanti e coinvolgenti mondi tridimensionali degli MMO che rendevano i giochi molto più invitanti. Uno dei primi MMO è stato lanciato nel 1991 ed è Never Winter Nights, ma il primo grande successo del genere fu Ultima Online cre-ato nel 1997. L’elemento chia-ve di questo tipo di giochi non è tecnologico ma sociale perché i giocatori di tutto il mondo che hanno condivi-

so le stesse esperienze in un universo virtuale entrano a far parte di una vera e pro-pria comunità. Forse l’MMO più famoso di tutti i tempi è World o Warcraft, la grafica coinvolgente e la sceneggia-tura avvincente hanno atti-rato tantissimi utenti dando vita ad una sorta di paese, un gioco di ruolo in un mondo che non cessa di esistere ne-anche quando spegni il com-puter ma che continua ad andare avanti per conto suo. Il più importante aspetto di WoW è il bilanciamento tra PvP (scontro tra giocatori) e PvE (Player vs. Environment, cioè giocatori contro ambien-te). I giocatori che vogliono

Poster del gioco League of

Legends

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Un mondodi cartae inchiostro

di Jacopo Piergentili

Il fumetto è un genere letterario sottovalutato dal momento della sua nascita, recentemente sta riuscendo però a far gravare il proprio peso nel mondo dell’editoria e ad occupare il posto che gli spetta in mezzo ai suoi “cugini d’arte”.

<<Alla tua età leggi ancora i fumetti?>> eccola, la più fastidiosa delle domande re-toriche che può essere rivolta ad un letto-re appassionato di racconti a fumetti, sia per l’incomprensibile ed ingiusta limita-zione che a questo mezzo espressivo viene affibbiata (un po’ a voler sottointendere che mentre esistono film e libri per gran-di e piccini, di fumetti ne esistono solo destinati a lettori giovanissimi.), sia per l’intonazione con cui il termine fumetto, con un suono idiota già di per sé, viene usato, risultando una delle più amare cri-tiche possibili.

Il fumetto al contrario di come crede chi igno-ra tale linguaggio, è un’importante media che sta lentamente recuperando strada sui suoi “colleghi” (letteratura, cinema ecc. ) grazie ad un tipo di linguaggio che è si, semplice ed immediato, ma che al tempo stesso può conte-nere, con possibilità molto più ampie, diversi e più profondi livelli di lettura. A differenza de-

gli altri media, nei confronti dei quali la gente ha sempre dimostrato una maggiore apertura mentale, il fumetto ha inizialmente trasmesso un’immagine di sé apparentemente infanti-le dovuto forse al segno grafico tondeggiante che caratterizzava le prime opere commerciali (vedi walt disney).Ci sono stati però degli ama-tori che hanno guardato al fumetto con occhio più attento, scorgendovi delle potenzialità maggiori rispetto a quelle inizialmente còlte.

Superman che si libera da delle catene

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Il suo destino potrebbe essere quello di «one man book», un autore che con un solo libro è riuscito a cambiare il destino di un genere letterario, il fumetto, togliendolo dalle paludi delle cosiddette pratiche basse e in-nalzandolo alla dignità di lette-ratura. Stiamo parlando di Art Spiegelman e di Maus, capola-voro assoluto della graphic no-vel, che a distanza di venticin-que anni dalla pubblicazione e a venti dall’assegnazione del premio Pulitzer (solo due fumet-tari, lui nel 1992 e Jules Feiffer nel 1986, hanno ottenuto il più importante riconoscimento au-toriale americano) riesce ancora a far parlare di sé, in ogni ango-lo del mondo. Con Maus Spie-gelman ha dimostrato la capaci-tà dell’illustrazione di uscire dal

In un mondo abitato solo da bestie, dove gli ebrei sono topi, i nazisti gatti, i francesi rane, gli americani cani, i polacchi maiali e i russi orsi, l’autore si spinge oltre la parabola orwelliana del-la Fattoria degli animali attra-verso un segno netto, crudo e sintetico che lo ha reso incon-fondibile.

Questo ha permesso al fumetto di evolversi, seppur lentamente, con esperimenti grafici ed espedienti narrativi che gli hanno permesso di essere sempre attuale sfruttando anche le mancanze della cultura contemporanea come nell’esempio di Superman, creato negli anni ‘30, che in un momento di crisi come quello americano del momento, regalava ai bambini la speranza di poter diventare uomini capaci di porre rimedio a tutti i mali del mondo e la capacità di immaginarsi una società migliore di quella in cui stavano crescendo. Gli autori di fumetto però continuano a non fermarsi: di fronte ad un mondo sempre più commerciale ed in via di omologazione l’arte del fumetto ha recuperato i vecchi stilemi della propria nasci-ta creando opere e personaggi che suscitano una profonda critica alla società corrotta. Ma perché allora in un mondo in cui regna il digi-tale come quello in cui attualmente viviamo, il fumetto, che è di per sé così commerciale e si prefigge di essere tanto innovativo da far colpo sulle nuove generazioni, continua ancora oggi sulla strada della vecchia editoria cartacea? Ovviamente la risposta non può essere certa, ma azzardando un’ipotesi si potrebbe pensare che la sua capacità di tessere mondi fantasti-ci e visionari unita alla fisicità dell’inchiostro

Art Spiegelman ed il fumetto: ed il fumetto della memoriacliché e di raccontare la Grande Storia, ripercorrendone anche i momenti più drammatici, nella fattispecie il dramma dell’Olo-causto. Da quel libro è nato un filone - le guerre in Russia con Igort, la Palestina con Joe Sac-co - ma nessun altro testo è ri-uscito a eguagliare la potenza drammaturgica del capofila.

stampato, agli odori emanati da questo unito al tipo di carta, aiutino il lettore ad immede-simarsi nella narrazione. Il fumetto dopotutto è multimediale da sempre ed unendo imma-gini iconografiche e rappresentative piuttosto che riproduzioni del mondo, ad un linguaggio semplice e diretto vicino a quello dei ragazzi riesce a spuntare il gioco del corteggiamento alle nuove generazioni sfruttando proprio il calore che lo identifica allontanandolo al fred-do e piatto mondo degli strumenti digitali.

una paginadi Sin Citydi Frank Miller

Illustrazione di apertura del fumetto

“MAUS”di Art Spiegelman

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Con la trilogia de Lo Hobbit finisce un sogno durato 13 anni

Il 17 Dicembre 2014 è uscito nei cinema ita-liani Lo Hobbit - la battaglia delle cinque armate, capitolo conclusivo della trilogia diretta da Peter Jackson.Una trilogia prequel del Colossal fantasy sempre diretto da Jackson Il signore degli Anelli. Dopo il Ritorno del Re, pochi pensavo che Jackson avrebbe dato luce ad altri lun-gometraggi che ci riportassero nella cara Terra di Mezzo, per lo più perché le opere di Tolkien, escludendo appunto Il Signore de-gli Anelli, sono libri di poche centinaia di pagine, poco adattabili a film di due ore e più. Non c’è stato poco stupore, misto a per-lopiù disapprovazione, dagli appassionati di

Tolkien e di Jackson, quando quest’ultimo ha deciso di rendere Lo Hobbit, libro di 342 pagine, in tre film da quasi tre ore l’uno.Difatti ogni trama dei film de Lo Hobbit, viene stirata e allungata. Vengono aggiunte vicende, personaggi, luoghi. Avvenimenti che prendono una piega diversa da quella che pensò Tolkien nel suo libro, che al con-trario della riproduzione cinematografica non trasuda di epicità da ogni poro, è anzi una storia piuttosto tranquilla, a parte vari eventi, narrata con semplicità e spensiera-tezza. Molti cultori delle opere originali, come il sottoscritto, hanno infatti avuto più volte da storcere il naso. Sia per il distorcimento, troppo spesso esagerato, della trama origi-nale, sia per l’evidente distacco qualitativo dalla trilogia precedente sotto molti punti di vista. Volevo dunque approfondire que-sta osservazione, che molti potrebbero non approvare. Elemento che sembra essere il pilone principale della trilogia, anziché la trama sembrano essere gli effetti speciali. Tanti, ovunque, troppi!Bellissimi senza dubbio, ma esagerati, otti-ma ovviamente la realizzazione del drago Smaug, che molti aspettavano di vedere re-alizzato sul grande schermo, ma quello che nella trilogia precedente era un utilizzo ben dosato e ponderato, mai eccessivo degli ef-fetti speciali, qui sembra sia stato innaffia-to immoderatamente, quasi il regista ne sia diventato dipendente.Un esempio evidente della differenze tra le

Il viaggio cominciato nel lontano 2001, è terminato il 17 Dicembre nelle sale cinema italiane.

di Carlo Bigazzi

Locandina dell’ultimo film della seconda trilogia

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due trilogie su questo fattore è la realizza-zione degli Orchi, le creature antagoniste nelle vicende dei vari film. Nella prima tri-logia, queste creature sono state realizzate facendole interpretare a veri e propri atto-ri (comparse), intrise di trucco, costumi, e oggetti di scena vari e riuscivano al pieno a renderli spaventosi e orribili, come doveva-no essere.Nella seconda queste creature sono state interamente realizzate con effetti speciali, rese benissimo certamente, ma a parere di molti la genuinità del Signore degli Anelli era di gran lunga più apprezzabile.C’è da tener conto che il mondo cinemato-grafico che ha visto partecipare la trilogia de Lo Hobbit è assai diverso da quello che vide protagonista il Signore degli Anelli. Gli effetti speciali per i film di azione e avven-tura, sono un Must, e tutti i registi si devono attenere per non risultare poco moderni o contro-corrente.Molto apprezzabili in ogni caso sono gli ef-fetti utilizzati per la realizzazione di pae-saggi e Città. Erebor, Ponte Lagolungo (Esga-roth nel libro), Dale. Queste location reggono meglio o peggio il confronto con quelle della precedente trilogia, Minas Tirith, Edoras, e il Fosso di Helm, sempre comunque meno artificiose ma immortali nella loro bellezza cinematografica.Altra nota dolente per Lo Hobbit: la censura di scene cruente. A qualcuno non è potuto

Martin Freeman interpretaBilbo Baggins da giovane.

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non saltare all’occhio la differenza, questa volta sostanziale tra le due trilogie. Mentre nel Ritorno del Re, l’esercito di orchi che as-sedia Minas Tirith, lancia sulla città le teste mozzate dei soldati uccisi per abbattere il morale degli assediati, ne Lo Hobbit, scene con trafiggimenti, morti violente e crude scene di guerra vengono totalmente evita-te. A questo proposito, per evidenziare la differenza di atmosfera tra i due film, por-tiamo in esempio la scena della battaglia dell’ultimo film uscito, dove il Nano Daìn, dopo essere smontato dal cinghiale coraz-zato (che nonostante non comparisse nel libro è stato comunque un bello spettacolo da vedersi) prende a testate i nemici vicini nel vivo della battaglia, questi, imbottiti di armature pesanti, cascano come pere cotte. La comicità della scena è stata apprezzata in ogni caso.Eccellenti le colonne sonore. Assolutamen-te degne della trilogia precedente. Rendono perfettamente le scene e gli ambienti.

Per le differenze di trama possiamo benis-simo chiudere un occhio, la dove è meglio chiuderlo, ma da apprezzare invece la resa cinematografica di alcune vicende avvenu-te effettivamente nella trama originale de Lo Hobbit, ma mai spiegate dall’autore. Ad esempio il viaggio di Gandalf a Dol Guldur, con il primo confronto con Sauron.Eccellente i vari riferimenti agli avveni-menti del “sequel”, il riferimento a Gram-passo (Aragorn), e la conclusione del film che si riallaccia con l’inzio de La Compa-gnia dell’Anello. In conclusione, la trilogia conclude in maniera del resto degna, sep-pur con alti e bassi, la saga di Tolkien sulla Terra di Mezzo. Ogni film è stato atteso con trepidazione, perché carico nonostante la lontananza d’anni dei sentimenti che ci ha lasciato il Signore degli Anelli. Rivedere l’A-nello, e volti familiari come quelli di Gan-dalf, Re Elrond, Saruman, il vecchio Bilbo e persino Gollum sul grande schermo, è stato un piacere che non rimpiangerò.

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2001La compagniadell’Anello

2012Un viaggioinsapettato

2013La desolazionedi Smaug

Cronologia cinematografica cultura nerd

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Dai fratelliLumière adAvatar

di Genny Petrucci

La storia del cinema: dal muto,al sonoro fino al 3D.

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A lato:Fratelli Lumière

La cinematografia, nella sua storia, ha at-traversato diverse fasi e periodi, che l’han-no portato dai primi rudimentali “espe-rimenti” dei fratelli Lumière ai moderni film digitali, ricchi di effetti speciali rea-lizzati principalmente con la grafica com-puterizzata.

PrecineMALa cinematografia intesa come proiezione di immagini in movimento ha numerosi antenati, che risalgono fino al mondo anti-co. In oriente esisteva la rappresentazione delle ombre cinesi, mentre in Europa ab-biamo studi ottici sulle proiezioni trami-te lenti fin, con la camera oscura leonar-diana. Fu però dal XVII secolo che nacque l’antenato più prossimo allo spettacolo cinematografico, la lanterna magica, che proiettava su una parete di una stanza buia immagini dipinte su vetro e illumina-te da una candela dentro una scatola chiu-sa, tramite un foro con una lente. Simile, ma opposto per modo di fruizione, era il Mondo nuovo, una scatola chiusa illumina-ta all’interno dove però si doveva guardare all’interno per vedere le immagini illumi-nate, rendeva possibile una fruizione an-che di giorno, anche all’aperto.Dopo la nascita della fotografia si iniziò a studiare la riproduzione del movimento in scatti consecutivi. Sfruttando i princi-pi dei dispositivi ottici del passato, si ini-ziarono a cercare modi di proiettare foto-grafie in successione, in modo da ricreare un’illusione di movimento realistica: tra le centinaia di esperimenti in tutto il mondo, ebbero buon fine il Kinetoscopio di Tho-mas Edison e il Cinematografo dei Fratelli Lumière.

i FrAteLLi LuMière e tHoMAS eDiSonL’invenzione della pellicola cinemato-grafica risale al 1885 ad opera di George Eastman, mentre la prima ripresa cine-matografica è ritenuta essere un cortome-traggio di 2 secondi, realizzato nel 1888 da Louis Aimé Augustin Le Prince. La ci-nematografia intesa come la proiezione in sala di una pellicola stampata, di fronte ad un pubblico pagante, è nato invece nel di-cembre 1895, grazie ad un’invenzione dei fratelli Louis e Auguste Lumière, i quali mostrarono per la prima volta al pubblico

del Gran Cafè del Boulevard a Parigi, un apparecchio da loro brevettato, chiamato cinématographe. Tale apparecchio era in grado di proiettare su uno schermo bian-co una sequenza di immagini distinte, im-presse su una pellicola stampata con un processo fotografico, in modo da creare l’effetto del movimento. Thomas Edison nel 1889 realizzò una cinepresa ed una mac-china da visione: la prima era destinata a scattare in rapida successione una serie di fotografie su una pellicola; la seconda con-sentiva ad un solo spettatore per volta di osservare, tramite un visore, l’alternanza delle immagini impresse sulla pellicola. Ai fratelli Lumière si deve comunque l’idea di proiettare la pellicola, così da consentire la visione dello spettacolo ad una moltitu-dine di spettatori.Essi non intuirono il potenziale di questo strumento come mezzo per fare spettaco-lo, considerandolo esclusivamente a fini documentaristici, tanto che si rifiutarono di vendere le loro macchine, limitandosi a darle in locazione. Ciò determinò la na-scita di molte imitazioni. Nello stesso pe-riodo, Edison (negli USA) iniziò un’aspra battaglia giudiziaria per impedire l’uso, sul territorio americano, degli apparecchi francesi, rivendicando il diritto esclusivo

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all’uso dell’invenzione. Nel 1900 i fratelli Lumière cedettero i diritti di sfruttamento della loro invenzione. Il cinematografo si diffuse così immediatamente in Europa e poi nel resto del mondo. Nel frattempo il cinema registrò alcuni clamorosi successi di pubblico. Vennero sperimentati i primi effetti speciali prettamente “cinemato-grafici”, cioè i trucchi di montaggio, le so-vrimpressioni, lo scatto singolo, ecc.

iL cineMA nArrAtivoIl cinema delle origini, detto “delle attra-zioni mostrative”, serviva per mostrare una storia che veniva necessariamente spiegata da un narratore o imbonitore pre-sente in sala. Inoltre le storie erano spesso disorganizzate, anarchiche, più interes-sate a mostrare il movimento e gli effet-ti speciali che a narrare qualcosa. Solo il cinema inglese, legato alla tradizione del romanzo vittoriano, era più accurato.La nascita di un cinema che raccontasse storie da solo è strettamente legata ai cam-biamenti sociali dei primi anni del Nove-cento: verso il 1906 il cinema viveva la sua prima crisi per il calo di interesse del pub-blico. La riscossa però fu possibile grazie alla creazione di grandi sale di proiezione a prezzi molto contenuti rivolte alla classe operaia, come svago economico e diverten-te: nacquero i “nickelodeon”, e per questo i film iniziarono ad essere intelligibili au-tomaticamente, con contenuti più semplici ed espliciti e con le prime didascalie.

iL cineMA Muto HoLLyWooDiAnoCon i primi grandi successi del cinema muto, fu presto chiaro che la produzione di film poteva essere un affare favoloso, tale da giustificare anche l’investimento di forti somme di denaro: un film che ha successo ripaga di molte volte i costi per crearlo e distribuirlo. Quando fu chiaro ai produttori che la gente si affezionava agli attori che vedeva sullo schermo, da una parte favorirono questo attaccamen-to promuovendo pubblicamente gli arti-sti che avevano dimostrato di piacere agli spettatori, per renderli ancora più popo-lari, e dall’altra iniziarono a pagare loro una parte consistente di questi profitti pur di ingaggiarli anche per i film succes-

sivi: gli attori cinematografici di successo iniziarono a guadagnare cifre inaudite e nacquero così i primi divi, le prime star.

Gli editori radiofonici e giornalistici, dal canto loro, furono ben felici di poter at-tingere ad argomenti nuovi e di sicuro in-teresse per i loro lettori: il processo si ali-mentò da solo e diede inizio all’insieme di attività di promozione detto star system. Il fatto che un attore cinematografico non dovesse avere (in apparenza) altre doti che piacere al pubblico, e che la nascente in-dustria cinematografica cercasse costan-temente nuovi attori e pagasse loro delle vere fortune (ma solo a chi sfondava), rese il mestiere di attore del cinema un sogno, un miraggio che catturò la fantasia delle masse: tutti volevano diventare attori.

Le AvAnguArDie euroPeeMentre negli Stati Uniti si sviluppava un cinema narrativo classico, destinato a un pubblico vasto, in Europa le avanguardie artistiche svilupparono una serie di film sperimentali che furono molto importan-ti per il cinema successivo. Un discorso a parte merita la Germania, dove la presen-za di alcuni tra i migliori registi, attori, sceneggiatori e fotografi dell’epoca per-mise la creazione di opere innovative ma anche apprezzate dal pubblico, oltre che capisaldi del cinema mondiale.

introDuzione DeL SonoroLa possibilità di sincronizzare dei suoni

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Il cinema è compostoda due cose: uno schermo e delle sedie. Il segreto sta nel riempirle entrambe.Roberto Benigni

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Charlie Chapilin

in Vita da Cani

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muto risultava esagerata e ridicola: così, dopo alcuni fiaschi le stelle del cinema muto scomparvero dalle scene, e salì alla ribalta una intera nuova generazione di interpreti, dotati di voci gradevoli e di una tecnica di recitazione adatta al nuovo ci-nema.

iL cineMA cLASSicoDal 1917 in poi, si impone il concetto di film come racconto, come romanzo visi-vo: lo spettatore viene portato al centro del film e vi partecipa con l’immagina-zione, esattamente nello stesso modo in cui, leggendo un libro, si ricostruiscono con l’immaginazione tutti i dettagli non scritti delle vicende narrate. E come nella narrativa, iniziano a emergere anche nel cinema dei generi ben precisi: l’avventura, il giallo, la commedia, etc., tutti con delle regole stilistiche ben precise da seguire.Questo salto qualitativo è reso possibile dall’evolversi delle tecniche del montag-gio, le quali permettono di saltare da una scena all’altra e da un punto di vista all’al-tro, senza che il pubblico resti disorienta-to dal cambio d’inquadratura, rendendo quindi le storie molto più avvincenti, e diminuendo i momenti di pausa. Il cine-ma americano capisce subito quanto siano importanti la dinamicità e la rapidità, e già verso la fine degli anni trenta un film americano contiene in media 600-700 in-quadrature, circa il triplo della media di venti anni prima.Tutte queste Regole del Buon montaggio verranno prescritte nel Codice Hays, codi-ci necessari per l’accettazione delle pelli-cole da parte degli studios.Intanto il cinema affermava sempre più la sua importanza come mezzo di comunica-zione di massa.

iL cineMA e HoLLyWooDNella calda e assolata Los Angeles, verso la fine degli anni dieci si riuniscono affaristi desiderosi di investire nel cinema e registi che alla caotica New York preferiscono il clima mite della cittadina californiana per girare pellicole. Nei primi anni venti Los Angeles continua a svilupparsi nel campo industriale e agricolo, e in breve tempo nella zona si riuniscono una serie di case

alle immagini è vecchia come il cinema stesso: lo stesso Thomas Edison aveva bre-vettato una maniera per aggiungere il so-noro alle sue brevi pellicole. Ma quando i vari esperimenti raggiunsero un livello qualitativo accettabile, ormai gli studios e la distribuzione nelle sale erano orga-nizzati al meglio per la produzione muta, per cui l’avvento del sonoro venne giudica-to non necessario e a lungo rimandato. Lo stato delle cose cambiò di colpo quando la Warner, sull’orlo della bancarotta, giudicò di non avere ormai niente da perdere e ri-schiò, lanciando il primo film sonoro. Nel giro di un paio di anni la nuova tecnologia si impose prima a tutte le altre case di pro-duzione americane, e poi a quelle del resto del mondo. La tecnica venne perfezionata ulteriormente nel 1930, creando due nuove attività, il doppiaggio e la sonorizzazione.Questa novità provocò un terremoto nel mondo del cinema: nacquero nuovi con-tenuti adatti a valorizzare il sonoro (come i film musicali) e nuove tecniche. Con il sonoro e la musica, la recitazione teatra-le a cui si affidavano gli attori del cinema

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di produzioni cinematografiche, dalla Uni-versal alla MGM, e così nasce Hollywood, e l’area mitica che tutt’oggi la circonda.In breve tempo il cinema diventa un vero e proprio prodotto commerciale: attori e attrici ricoprono le immagini delle riviste e vengono visti dal pubblico quasi come fossero delle divinità; e i registi alternano prodotti artistici ad altri comandati dagli Studios. Charlie Chaplin, indipendente sia come artista che come produttore, realiz-za le sue comiche prendendosi gioco della società.Negli anni trenta nasce lo studio system: gli Studios comandano a bacchetta le star, e pur esaltandone l’immagine, tendono ad intrappolarli in personaggi stereotipati. Si parlerà del “periodo d’oro del cinema”. In-tanto generi come la commedia e il dram-ma romantico impazzano, ma in seguito alla Grande depressione si faranno strada generi più realistici e socialmente critici, come il “gangster-movie” e il noir, genere quest’ultimo sviluppatosi maggiormente durante la Seconda guerra mondiale. Ma in questo decennio è il musical scacciapen-sieri a far da padrone, che allietano spetta-tori desiderosi di evasione. Parte verso la fine del decennio inoltre la rivoluzione del technicolor, ovvero dei film a colori, come

il celeberrimo Via col vento.Negli anni quaranta lo studio system fini-sce, ma durante la Seconda guerra mon-diale essi non smettono di far faville con-tinuando a produrre star e film di grande valore. Nel 1942 viene girato Casablanca, uno dei film più importanti e celebri della storia del cinema, che pur essendo un film romantico, ha saputo affrontare dignito-samente il problema della guerra, della resistenza partigiana e dell’avanzata na-zista.Nel frattempo però nuovi artisti stravolgo-no il normale modo di fare cinema, e ne-gli anni cinquanta anche la concezione del “divismo” cambia.Contemporaneamente esplode, la commedia all’americana. Negli anni sessanta e settanta ormai la vecchia Hollywood non è che un ricordo, e il “New Cinema” si fa strada criticando ipocrisie e pudori della vecchia America. È una vera e propria rivoluzione all’interno della “vec-chia” Hollywood. Semplicemente si resero conto che le nuove generazioni, contrarie alle politiche americane di perbenismo ed espansionismo ipocritamente maschera-to, volevano sentir parlare esattamente di quello che era censurato dalla produzione.Negli anni seguenti il cinema come con-testazione sarà più una prerogativa del

Scritta Hollywood

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cinema europeo e dopo gli anni ‘70 a Hol-lywood si fa strada il cinema come puro intrattenimento, fino all’esaltazione del-la fantascienza di Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg e Guerre stellari di George Lucas . Seppur con un modo diverso di intendere il cinema e le star, Hollywood continua comunque a re-galare sogni ed emozioni.

iL cineMA e L’euroPASe in America Hollywood era la capitale del cinema, in Europa, in seguito alla Se-conda Guerra Mondiale nacquero in molte nazioni diverse scuole di cinema, ma tutte accomunate dalla voglia di rappresentare la realtà. Diventano importantissimi gli esperimenti di cinema introspettivo rea-lizzati subito dopo la Seconda Guerra Mon-diale, e poi concretizzati in grandi film dai maestri del cinema introspettivo: la realtà non è più analizzata come qualcosa di og-gettivo, tutto diventa soggettivo ed ambi-guo, il ritmo è lento e le scene sono lunghe e silenziose e i registi si soffermano su particolari prima di allora trascurati.È tuttavia in Francia che questo tipo di ci-nema diventa un genere famoso ed apprez-zato in tutto il mondo. I film cominciano ad essere minimalisti, personalissimi e

le problematiche trattate sono intime e non assolute. I film cominciano a ruotare intorno ai problemi, agli interrogativi e ai dubbi dei protagonisti e la soggettività diventa un elemento caratterizzante. Può capitare che gli attori guardino diretta-mente nell’obiettivo della cinepresa, cosa vietatissima nel cinema classico.Il cinema tedesco è invece molto più fi-gurativo e pittoresco, introspettivo e con storie talvolta epiche che fuoriescono dal semplice neoralismo. I registi sembrano afflitti da dolori insanabili e assoluti, che quindi toccano punte di pessimismo as-soluto. Altri registi, invece, pur trattando forti problematiche, proprie e non, si mo-strano più disposti a trovare una soluzio-ne, e anzi girano film pieni di speranza e velato ottimismo.Il cinema dell’est Europa, ha avuto un ra-pido sviluppo tra gli anni ‘20 e ‘30. I film di quegli anni davano un’esasperata e continua immagine del benessere del go-verno bolscevico, immagine talvolta falsa ed imposta dalla censura sovietica. Se da un lato si sfornano film sulla rivoluzione russa o su personaggi storici russi, dall’al-tro altri registi girano film riguardanti il benessere e la felicità delle famiglie nelle campagne russe o film su imprese compiu-

Oliver Hardy eStan Laurel

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te da Stalin. È solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che comincia a nascere una ci-nematografia più ampia anche all’interno delle nazioni del patto di Varsavia. Dopo anni di censura a causa della dittatura di Francisco Franco, ultimamente è emerso il cinema spagnolo, cinema fresco e giovane disposto ad affrontare ogni tipo di tema-tica e ad aprirsi verso prospettive sempre nuove.

iL cineMA DigitALeSino ad alcuni anni fa, cinema e televisio-ne erano due media ben distinti: il cinema fondava la sua forza sulla qualità della pellicola e sulla visione dei film in apposi-te sale dove la proiezione avveniva al buio; la televisione risultava imbattibile per la sua capacità di rappresentare l’evento contestualmente al suo verificarsi, pur se la qualità e la definizione delle immagini erano appena sufficienti per una visione su uno schermo domestico.Lo sviluppo dell’elettronica ha mutato que-sto rapporto. Così come già avvenuto in campo musicale, ove il CD ha soppiantato l’LP analogico, anche nel mondo del cine-ma si sta tentando di imporre sistemi in-teramente digitali di registrazione-ripro-duzione.

È bene ricordare che un’immagine non è altro che una massa di informazioni. E l’informazione, a sua volta, è qualsiasi og-getto fisico capace di distinguersi, di dif-ferenziarsi, di essere diverso da ciò che gli sta vicino. Nel cinema tradizionale, ogni singola informazione dell’oggetto da rap-presentare è raccolta in modo analogico. In particolare l’immagine è ottenuta per mezzo di una emulsione fotosensibile.Nel cinema digitale, invece, l’informazio-ne è raccolta da una cifra (in inglese: digit): dato un certo spazio, si può stabilire che al numero “0” corrisponda il bianco, ed al numero “1” il nero. In questo modo, scom-ponendo un’immagine in punti, è possibile trasformarla in una sequenza numerica. È ovvio che maggiore è la quantità di in-formazioni numeriche raccolte, maggiore sarà l’accuratezza dell’immagine ottenuta.La registrazione e riproduzione digita-le delle immagini comporta due ordini di problemi: il primo riguarda la raccolta di tutte le informazioni necessarie per com-porre l’immagine; il secondo attiene alla gestione di queste informazioni. Ogni sin-gola unità visibile, che può assumere un unico stato cromatico, si chiama pixel.Ma la qualità di un’immagine è data anche da altri fattori, come il contrasto, la lumi-

Walk of Fame,Hollywood

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le stanno investendo soldi ed energie per proporre al mercato pellicole con un pote-re risolvente sempre maggiore.Anche i proiettori meccanici, infine, con-tinuano ad essere oggetto di migliorie utili all’aumento del contrasto e della de-finizione. Allo stato attuale, dunque, non appare così vicino il giorno in cui tutti i film saranno girati e proiettati con tecni-che digitali. Per ora i due sistemi sembra-no, invero, ben collaborare, considerato che l’elaborazione digitale delle immagini viene adoperata in tutta la fase intermedia tra l’impressione del negativo e la stampa del positivo da proiezione. In estrema sin-tesi, questa è l’attuale lavorazione tipica di un film:- sul set si provvede alla ripresa delle im-magini per mezzo di una cinepresa tradi-zionale;- il trasferimento del materiale girato tra-mite telecinema dei giornalieri avviene come per il procedimento tradizionale;- i negativi originali delle scene scelte ven-gono scanditi ad alta definizione per poi essere subito archiviati e conservati;- tutto il processo di finalizzazione e post-produzione avviene per mezzo di appositi computer dotati di grande potenza;

nosità, il numero di colori e la loro pasto-sità, la gamma dinamica: ecco per quale ragione la semplice misurazione in pixel dell’immagine chimica non appare suffi-ciente ad esprimere tutte le caratteristi-che dell’immagine stessa.La registrazione della enorme massa di in-formazioni contenuta in un film di circa due ore non costituisce più un problema, grazie alla capienza dei moderni hard disk e di supporti ottici come il DVD.Per quanto riguarda la proiezione, invece, sorgono altri problemi. V’è da notare, in-nanzi tutto, che l’altissima risoluzione del negativo originale viene perduta durante i vari passaggi. Com’è noto, durante la pro-iezione vengono offerte allo spettatore 24 immagini per secondo. Nella proiezione digitale ogni informazione dell’immagine ha una posizione costante, essendo genera-ta sempre dallo stesso pixel, il quale muta continuamente il suo stato. Nell’immagine chimica, invece, la disposizione dei singoli cristalli è casuale, sì che le informazioni che si succedono al ritmo di 24 per secondo non hanno una posizione costante. A ciò si deve aggiungere che non soltanto il cinema digitale sta compiendo progressi: anche le aziende produttrici delle pellico-

Olivia Newton-John

John TravoltaGrease

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- la sequenza di file risultante viene tra-sferita su un unico negativo;- il negativo o intermediate così originato viene impiegato per ottenere gli interposi-tivi ed internegativi necessari per la pro-duzione in serie delle copie per proiezione. Verso la fine degli anni 2000 si assiste all’avvento del cinema in 3D che ha la sua consacrazione in Avatar di James Came-ron, film dagli effetti speciali straordinari e promotore di una nuova era di film in cui tecnologia HD e film sono diventati una cosa sola.

Robin Williams dal film Patch Adams

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È assolutamente evidente che l’arte del cinema si ispira alla vita, mentrela vita si ispira alla televisione.

Woody Allen

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Avatar è un film di fan-tascienza del 2009 co-montato, co-prodotto, scritto e diretto da James Cameron.Costato 237 milioni di dollari,Avatar ha incas-sato circa 2,8 miliardi, diventando il film di mag-giore incasso nella storia del cinema. È stato distri-buito nei cinema di tutto il mondo tra il 16 e il 18 dicembre 2009; in Italia e nella Svizzera italiana, è uscito il 15 gennaio 2010, a causa della consistente concorrenza cinemato-grafica che si presenta sotto le feste di Natale. Il film è stato pubblicato nel tradizionale formato 2D, ma ha visto anche un’ampia diffusione in 3D. Lo stesso Cameron, che è un forte sostenitore del 3D come futuro del ci-nema, ha dichiarato che si avrebbe un’esperienza più completa guardando

JAMES CAMERON: ANNI DI IDEA PER UN FILM DA MILIONI DI INCASSIAvatar in tre dimensioni, poiché il film è stato da lui appositamente pensa-to per essere visto in quel modo. Il film si è aggiudicato 3 Premi Oscar nel 2010: per la migliore fotografia, la migliore scenografia e i migliori effetti speciali. Avatar è un progetto ci-nematografico ideato nel 1996: in quell’anno il re-gista stese 80 pagine di copione,ma nonostante le buone premesse e la vo-lontà di portare sul grande schermo la sceneggiatura, dovette archiviare il tutto per dedicarsi al tanto atte-so Titanic.Nel 1996 fu stimato che per costruire tutti gli sce-nari galattici e gli altri ca-ratteri fantascientifici del progetto sarebbero serviti oltre 400 000 000 di dol-lari, cifra all’epoca irrag-giungibile anche per una produzione di alto livello.

In agosto, Cameron di-chiarò che sarebbe tor-nato ad Avatar solo dopo aver terminato Titanic, e che un’ulteriore impresa nella realizzazione del ma-stodontico film sarebbe stato filmarlo interamente in digitale.Nell’aprile del 2009 sono state girate alcune se-quenze a Los Angeles e altre in Nuova Zelanda. Il film è composto per un 60% da elementi virtuali creati al computer e per il restante 40% da elementi live-action. Su invito di Cameron, gli amici e registi Steven Spielberg e Peter Jackson hanno visitato il set una volta ultimato. Essi inoltre sono stati i primi a poter testare l’innovativa tecno-logia fotografica. Il set di Avatar, chiamato il “Volu-me”, è un teatro vuoto nel quale gli attori con tute e caschi speciali hanno gi-

rato le scene del film. Il film è stato girato interamente in 3D utilizzando telecame-re progettate dallo stesso James Cameron, con la caratteristica innovativa di permettere al regista e agli attori di vedere in tempo re-ale le scene riprese in modo da poterne immediatamen-te correggere gli errori. Il film ha generalmente rice-vuto recensioni positive da parte della critica cinemato-grafica.Il 17 gennaio 2010 Avatar si è aggiudicato due Gol-den Globe, uno per James Cameron, eletto miglior regista, e il secondo come miglior film drammatico. Il 21 gennaio il film ha ricevu-to otto nomination ai premi BAFTA, vincendone due. Il 2 febbraio 2010 sono state rese note le nomina-tion all’Oscar e Avatar ha ricevuto nove candidature riuscendo a vincere tre sta-tuette.

Scena del film Avatar

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La creazione di un mondo

di Michela L. Albu

Tutti conosciamo il mondo de “Il Signore degli Anelli”, ma pochi conoscono la storia antecedente. Quali sono gli eventi che hanno preceduto la famosa saga degli anelli del potere?

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il genere Fantasy molto spesso parla di ma-gia, creature mitologiche, avventure ed

eroi tormentati. Come tale ha una lunga sto-ria e nasce, ovviamente, dal mito: la mitologia classica, greca e romana della quale ricordia-mo famosi esempi come l’Iliade e l’Odissea di Omero e l’Eneide di Virgilio; la mitologia mesopotamica come l’epopea di Gilgamesh; le saghe epiche medievali e i testi di mitologia scandinava, quali Edda di Snorri, Edda Poeti-ca e Beowulf e le raccolte dei miti celtici come il Mabinogion. Posto altrettanto importante ebbero i cicli romanzi normanni e francesi come il ciclo bretone o arturiano, specialmen-te ad opera di autori quali Chretien de Troyes e Wolfram von Eschenbach. Il XIX secolo vede la nascita della letteratura fantasy contemporanea, che deve tutto al ro-manticismo europeo. In questo stesso periodo (tra Ottocento e Novecento) nasce la fantasy per l’infanzia, che muove i primi passi dalla fiaba popolare, ma più rapportandosi pro o contro la pedagogia del tempo che per rivolta antimodernista. Tra gli esempi sgargianti di questo periodo c’è Il meraviglioso mago di Oz

di Lyman Frank Baum o le avventure di Peter Pan di James Matthew Barrie. Un esponente fondamentale fu lo scrittore e drammatur-go irlandese Lord Dunsany, che incoraggiato da William Butler Yeats scrisse molte opere ad ambientazione fantasy come The Gods of Pegana (prima creazione contemporanea di mondi con mitologie e cosmogonie ben de-finite) e The King of Elfland’s Daughter. Da quest’ultimo venne ispirato lo statunitense Howard Phillips Lovecraft nella creazione dei miti di Cthulhu. Queste fantastiche storie co-stituiranno un importantissimo pilastro del-la letteratura fantasy e horror. Lovecraft fu il portabandiera di tutta una schiera di scrittori in equilibrio tra il commerciale e il letterario che riempirono per tutta la prima metà del Novecento le riviste Pulp americane (Pulp ma-gazine).

iL PADre DeL FAntASy? Intanto ad Oxford un professore inizia ad in-ventare le lingue di popoli fantastici: J. R. R. Tolkien, con Lo Hobbit (1936) e Il Signore degli Anelli (1954-1955), porta all’apice la visione

Gli Ainur più potenti, discesi sulla terra

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una piccola parte). Il nome di tale entità è Eru Ilùvatar, che significa “Colui che sta Solo” e “Padre di Tutto”. Tra i pregi di tale divinità vi è quello di aver creato gli Ainur, esseri spi-rituali equiparabili per certi versi alle divinità pagane op-pure agli stessi angeli ebraico cristiani. Anche questa nuova razza ha avuto un particola-re ha avuto una parte fonda-mentale nella creazione di questo nuovo mondo. Come già detto, la figura di Eru si rifà ai tratti del Dio cristiano: onnipotente, onnisciente e in-commensurabilmente saggio. Secondo questa stessa conce-zione Eru quasi mai intervie-

ne in modo diretto e visibile nelle vicende del mondo: in esso Bene e Male coesisteran-no fino alla fine di Arda. Tutto ciò può essere ricondotto al concetto di libero arbitrio, il cui rispetto,sia dal punto di vista dei singoli abitanti di Arda, sia dal punto di vista delle forze che agiscono nel mondo, richiede agli stessi Valar di porsi al di fuori delle vicende della Terra di Mezzo. Sebbene Eru sia il creatore di tutti gli altri enti, che han-no ricevuto da lui la propria esistenza concreta tramite la Fiamma Imperitura (o Fuoco Segreto è l’essenza divina del

contemporanea della lettera-tura epica medievale, aggiun-gendovi la propria profonda etica cristiana cattolica di ispirazione agostiniana e an-timodernista. Tolkien viene spesso considerato il padre del fantasy, ma in realtà ciò non è corretto. Tolkien è in re-altà il padre esclusivamente dell’high fantasy, che è solo uno degli innumerevoli sotto-generi del fantasy. Ciò nono-stante, Tolkien ha dato gran-de visibilità al fantasy tutto, venendo anche candidato al Nobel per la letteratura. Sulla scorta della grande po-polarità raggiunta dalle opere di Tolkien, la fantasy ha vis-suto una sorta di rinascita e molti autori (tra i più popolari Marion Zimmer Bradley, Ter-ry Brooks e Terry Pratchett) si sono dedicati a questo gene-re, dando origine ad un vero e proprio filone commerciale, con innumerevoli romanzi fortemente ispirati dai luoghi comuni e dai cliché dell’im-maginario Tolkieniano.

LA creAzione DeLLA terrA Di MezzoGuardiamo, tuttavia più at-tentamente il panorama fantastico creato da Tolkein. Questo professore inglese ha messo insieme le ricer-che di una vita per creare quel mondo che noi ora co-nosciamo come “La Terra di Mezzo”. Interamente ispira-to dalle mitologie nordiche, Tolkein ha creato quella che lui definiva un’era passata di questo nostro mondo, mai raccontata prima. In questo fantastico mondo, un unico dio,equivalente per certi ver-si a quello Cristiano ed Ebrai-co, ha creato tutto il mondo conosciuto, ovvero Ea (di que-sto mondo la Terra di Mezzo, chiamata anche Arda, è solo

dio, lo spirito divino di cui sono animate le creature del-la terra di Arda), ha deman-dato la “pianificazione” della sua creazione e l’aggiunta di dettagli agli Ainur: costoro hanno immaginato il mon-do, e alle loro visioni Eru ha successivamente dato vita propria. Questo paradigma fa eccezione con i cosiddet-ti Figli di Ilúvatar o Eruhini, gli Elfi e gli Uomini, che sono invece stati interamente pen-sati e creati da Ilúvatar, senza mediazioni di alcun genere da parte degli Ainur. I Nani, invece, sono cita-ti all’interno delle opere di Tolkien (Il Silmarillion) come un caso di “adozione” da par-te di Eru: creati da Aulë (detto il Fabbro che dai Nani viene chiamato Mahal, che signi-fica “Il Grande” è un Vala nonché uno degli otto Aratar, Fautore della Terra e legato a tutto ciò che riguarda terra, roccia e metallo, che durante la creazione di Arda, fu per-lopiù impegnato nella crea-zione dei continenti e delle montagne) all’interno di Eä, Eru lì accettò e donò loro la facoltà di pensare liberamen-te dal volere e dal pensiero di Aulë, a cui altrimenti la loro esistenza sarebbe stata per sempre incatenata.

iL cAnto DegLi AinurCon l’Ainulindale,o musica degli Ainur, Tolkien descri-ve la genesi di Arda e di tut-to l’universo che la ospita ad opera di Dio, Eru Ilúvatar, e di potenti spiriti, gli Ainur, nati dal suo pensiero. Tutti intonano la melodia che darà origine ad Eä e ad Arda, ma Melkor, il più potente tra gli Ainur (assieme a suo fratello Manwë, secondo in potenza), il quale da sempre bramava il potere di Eru Ilùvatar, sle-

«Chi era Ilúvatar?» chiese Eriol. «Uno degli Dèi?»«No, non lo era - rispose Rúmil- perché li creò. Ilúvatar è il Signore per Sempre che risiede oltre il mondo; che lo plasmò e non è in lui o da lui formato, ma lo ama.»

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ga la sua melodia da quella degli altri Ainur e da Ilúvatar stesso dando origine al male del mondo. L’eco biblica qui è piuttosto sensibile, in quanto Melkor può essere ben rap-presentato come Lucifero, l’angelo malvagio che ebbe la presunzione di voler equipa-rarsi a Dio ma che fu scagliato da esso al centro della. Dopo aver completato la creazione di Eä, Ilúvatar informa gli Ai-nur della venuta prossima dei suoi figli sulla Terra di Mezzo, gli Elfi — i Primogeniti, bene-ficiati dell’immortalità e del-

la perfezione — e gli Uomini — i Secondogeniti o i Succes-sivi, inferiori agli Elfi in molte caratteristiche quali bellezza e prestanza, ma beneficiati del dono della morte, un dono «strano», che «con il consu-marsi del Tempo, persino le Potenze lo invidieranno». Ap-preso ciò, gli Ainur che più amarono l’iniziale melodia creatrice si trasferiscono su Arda per prepararla all’arrivo dei figli di Ilúvatar, trovando non poche difficoltà visto che le loro opere vengono spesso corrotte o rovinate dalla mal-

vagia mano di Melkor. Arda a quei tempi era buia e con solo le stelle a dare un po’ di luce. Gli Ainur decisero allo-ra di realizzare due pilastri in cima ai quali posero dei giganteschi Lumi (o Lampa-de), Illuin (settentrionale) e Ormal (meridionale), che fu-rono consacrati da Manwë, il re degli Ainur. Inoltre tutti gli Ainur percorsero il mondo e lo abbellirono con fiori, al-beri, frutti. Tuttavia Melkor, mentre gli Ainur festeggia-vano la fine delle loro fatiche, abbatté i pilastri facendo ri-

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versare su Arda le terribili fiamme dei Lumi. Gli Ainur utilizzarono tutte le loro energie per salvare il mon-do, rendendosi deboli agli at-tacchi di Melkor. Furono co-stretti a fuggire nella Terra di Aman, dove crearono il regno di Valinor e fondarono la città di Valimar. Gli Ainur presero dunque il nome di Valar, cioè le Potenze del Mondo e furono per sempre coadiuvati da Ai-nur di potenza inferiore, detti Maiar, il Popolo dei Valar.Gli Ainur presero dunque il nome di Valar, cioè le Potenze

del Mondo e furono per sem-pre coadiuvati da Ainur di po-tenza inferiore, detti Maiar, il Popolo dei Valar. Tra i Maiar è sicuramente importante annoverare il potente Sau-ron, non tanto per il ruolo in questo libro che, anzi, risulta essere minore, quanto più per quello che ricoprirà nell’ope-ra Il Signore degli Anelli qua-le assoluto capo delle forze del male. In seguito a due guerre tra i Valar e Melkor, avranno luogo le vicende, prima de “Lo Hobbit” ed in seguito quelle de “Il Signore degli Anelli”.

L’anello del potere, del film Il Signore degli

Anelli Gli altri Ainur guardarono però questa dimora fissata nei vasti spazi del Mondo, che gli Elfi chiamano Arda, ossia la Terra; e i loro cuori esultarono nella luce e i loro occhi, che vedevano molti colori, erano colmi di gioia

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