Moreschini - L'Immanenza Di Dio

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/ ETUDES PLATONICIENNES V Le divin dans la tradition platonicienne Publication annuelle de la Société d'Études Platoniciennes Publié avec le concours de l'Instituto de Estudios Clasicos sobre la Sociedad y la Politica Lucio Anneo Séneca, du Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce et de l'Université de Paris X - Nanterre (équipe d'accueil "Textes, Histoires Et Monuments, de l'Antiquité au Moyen-Age", UMRArScAn, 7041) Paris Les Belles Lettres 2008

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ETUDES

PLATONICIENNES

V

Le divin

dans la tradition platonicienne

Publication annuelle

de la Société d'Études Platoniciennes

Publié avec le concours de l'Instituto de Estudios Clasicos sobre la Sociedad

y la Politica Lucio Anneo Séneca, du Dipartimento di Filosofia dell'Università

degli Studi di Lecce et de l'Université de Paris X - Nanterre (équipe d'accueil

"Textes, Histoires Et Monuments, de l'Antiquité au Moyen-Age", UMRArScAn, 7041)

Paris

Les Belles Lettres 2008

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LIMMANENZA DI Dro NEL MONDO: IL LOGOS E I LOGO!

DELLE COSE NEL PLATONISMO CRISTIANO

CLAUDIO MoRESCHINI

Nel suo profondo vidi che s'interna, legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme ... (Dante, Commedia, Paradiso XXXIII 85-89)

Dio e il mondo sono due entità che il pensiero greco, a partire da Platone, risolse nella dottrina della dipendenza ontologica, dovuta alla 'creazione', dell'uno dall'altro; il mondo avrebbe avuto origine dalla materia informe ed eternamente coesistente a dio. Il cristianesimo, a sua volta, ricorse gradualmente (cioè a partire dalla seconda metà del secondo secolo) alla dottrina, estranea, sostanzialmente, alla Settanta, della creatio ex nihilo: un accenno che avrebbe potuto essere usato per gius­tificarela si trova solo nel tardo Secondo libro dei Maccabei (7,28) 1.

Gli apologeti

È noto che il medioplatonismo, nella quasi totalità delle sue proposte, sosteneva quella che si suole definire l'interpretazione 'allegorica' della creazione del mondo, che si legge nel Timeo: quando Platone aveva affermato (Tim. 28b) che il mondo yÉyovE, egli non avrebbe pensato ad una vera e propria creazione di esso ad opera di dio, come gli aveva obiettato polemicamente Aristotele allo scopo di respingerne la cosmologia, ma ad una dipendenza ontologica, nel senso che era grazie alla attività razionale e benefica di dio che il mondo era propriamente tale, e cioè non materia

1. A tal riguardo cf. G. May, Schopfung aus dem Nichts. Die Entstehung der Lehre von der creatio ex nihilo, Berlin - New York, De Gruyter, 1978.

Études platoniciennes V,p. 101-116, Les Belles Lettres, Paris, 2008

«Cada sindicato sabe hasta qué punto arriesgar salarios a cambio de empleos.» Prat Gay Colegio Cardenal Newman - Universidad Católica Argentina Ministro de Hacienda (=Economía) de Argentina, 2015

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informe, ma, appunto, kosmos2. All'interno della cosmologia medioplatonica trovò un posto, presso uno dei filosofi più originali, e precisamente Plutarco, anche la dottrina dei logoi quali principi ordinatori del sensibile nella forma di enti mate­matici, quali si trovano, ad esempio, nel De Iside et Osiride 373A sq.3.

Fu con tale tematica che vennero a contatto gli apologeti greci. Secondo Giustino, Dio ha creato (o posto in ordine) il mondo per mezzo delLogos, il quale fu, quindi, il mediatore della volontà divina (Apol. II 6,3). Le attestazioni per questa dottrina sono ricavate dai passi classici di Gv 1, 1 sq.; Pr 8, 22 sq.e Sal 32, 6, i quali ci assi­curano che il Logos era presente nella creazione del mondo. Questo presuppone che la materia sia eterna e sia disponibile come un sostrato nella creazione ad opera del Logos (Apol. I 10 e 59,5). In questa cosmologia sono riprese sicuramente le for­mulazioni del platonismo contemporaneo. Nel Dialogo con Trifone (5,2) Giustino osserva che il mondo, se deve essere considerato creato, deve essere stato creato da un principio. Giustino segue qui la spiegazione di Platone (Timeo 28b), ma men­tre per Platone la creazione obbedisce all'esigenza della causalità, secondo cui ogni divenire deve avere avuto un principio, Giustino intende il 'principio' nel significato di 'origine nel tempo'. Ne consegue che 'vi fu un tempo in cui non vi era il mondo': questa affermazione contrasta con quella del 'gruppo di Alkinoos', tra i mediopla­tonici contemporanei di Giustino, e fu sostenuta da Attico e gli altri, secondo i quali« vi fu un tempo in cui il mondo non esisteva »4. InApol. I 10,2 Giustino dice che Dio, grazie alla sua bontà, creò il mondo dalla materia informe a causa degli uomini. Questa interpretazione della Genesi deriva dal Timeo (infatti in Tim. 29a leggiamo che il demiurgo è buono e in 30a che creò il mondo dal caos precedente), ma è uno dei dogmi principali del medioplatonismo. Giustino, quindi, collega il racconto della Genesi con le dottrine platoniche a lui contemporanee.

Anche secondo Atenagora il Logos è l'intelletto di Di6 (Leg. 10,2; 24,2), che contiene in sé la totalità delle idee. Come per Filone, esso funge da paradigma ideale della creazione e come mediatore tra essa e Dio (10,2-3). Dio lo fa procedere fuori di sé e attraverso di lui e secondo il modello delle idee che in lui sussistono pone ordine alla materia; dalla materia Dio produce il mondo, cioè il kosmos, l'ordine (10,39); gli elementi ~mergono dalla materia mediante una 'separazione' (22,2) 5.

La materia, secondo il modello platonico, è indicata da Atenagora come preesis­tente al mondo e la sua origine non è oggetto di discussione da parte dell' apolo-

2. La bibliografia su questo problema è immensa, dal!' oramai classico saggio di M. Baltes, Die Weltentstehung des platonischen Timaios nach den antiken Interpreten, I, Leiden 1976, II, Leiden 1978. Attualmente conviene consultare i due volumi di H. Di:irrie - M. Baltes, Der Platonismus in der Antike ... Band 4. Die philosophische Lehre des Platonismus ... Bausteine 101-124, Stuttgart- Bad Cannstatt 1996; Band 5 .... Bausteine 125 - 150, Stut- · tgart - Bad Cannstatt 1998, che offrono una visione complessiva della problematica, ancor­ché non completa nella considerazione delle varie interpretazioni.

3. Cf. a tal proposito F. Ferrari, La teoria delle idee in Plutarco, Elenchos 17,1996, p. 121 - 141; S. Pieri, Tetraktys. Numero e filosofia tra I e II secolo d. C., Firenze, Ermes 2005, p. 149-150.

4. Tra la numerosa bibliografia cf. C. Moreschini, Apuleio e il Platonismo, Firenze, Olschki 1978.

5. Cf. Alkinoos, didask. 12.

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geta (10,3; 15,2 sq.; 22,2): questo significa che l'idea della creatio ex nihilo non è ancora accolta pacificamente dal pensiero cristiano.

Pochi anni dopo Taziano, e in modo molto più ampio di lui, anche Teofilo discussero il problema della creazione dal nulla. Il secondo libro dell' ad Autolico di Teofilo costituisce il più antico commento alla Genesi che ci sia pervenuto. In modo molto più netto di Taziano, Teofilo afferma che Dio ha creato tutto dal nulla (Auto!. II 4.10.13). Grazie alla chiara spiegazione che egli adduce, la dot­trina della creatio ex nihilo, che sarà confermata poi anche da Ireneo, diventerà nei secoli seguenti la dottrina 'ufficiale' del cristianesimo. Lo stesso Origene (Princip. II 1,4) si domanda come sia stato possibile che studiosi eminenti non la abbiano accolta; solo Clemente rimane fedele alla spiegazione di Filone, dell'esistenza di un mondo intelligibile. Sulla base di questa concezione Teofilo critica ampiamente la dottrina platonica del modello del mondo. Egli esordisce con un breve riassunto delle varie concezioni filosofiche relative ai rapporti tra Dio e il mondo: discute dell'opinione della Stoa, di Epicuro e di Platone. La susseguente confutazione è però rivolta solamente contro Platone. La contestazione di Teofilo si svolge sos­tanzialmente lungo le stesse linee di Taziano. Se, come vogliono i platonici, non solo Dio, ma anche la materia è innata, allora non possiamo più parlare in senso proprio di Dio come creatore del mondo e la 'monarchia' divina è messa a rischio. Dio è non creato, e quindi incorruttibile per natura; se anche la materia fosse non creata, anch'essa sarebbe parimenti incorruttibile, e quindi uguale a Dio. Infine, non vi sarebbe niente di grande, se Dio avesse creato il mondo da una materia pree­sistente: Dio non sarebbe diverso da un artefice umano, che crea quello che vuole da una materia che è a sua disposizione. Il passo di Gen. 1,2 presenta l'esistenza di una materia in certo qual modo creata da Dio, dalla quale poi Dio dà forma e figura al mondo (Auto!. II 10).

Probabilmente fu in seguito alla sua polemica contro l'eretico Ermogene, influen­zato dalla cosmologia del medioplatonismo, se Teofilo di Antiochia, che scrisse un trattato contro di lui (ora perduto), giunse ad affermare per primo tra gli apologeti, e con tanta decisione, la dottrina della creazione del mondo dal nulla.

Anche Ireneo, quando parla della creazione del mondo ad opera di Dio, ha di mira Platone, dal quale gli gnostici, a suo dire, sarebbero stati influenzati (Haer. II 14). Egli traccia una cosmologia che dipende certamente da Teofilo, ma che lo ampia e lo supera. Dio ha creato il mondo per un atto di libera volontà e di bontà (II 1, 1); Dio crea mediante la sua parola, ed in questa affermazione Ireneo riprende la concezione di Teofilo, che le mani di Dio sarebbero la sua parola e la sua sapienza (I 22,l; II 2,4 sq.; 11,1; 27,2). Dio ha creato anche la materia: di conseguenza, la materia non preesisteva in lui prima della creazione, ma solamente Dio è il creatore in senso assoluto. Se esistono immagini originarie delle cose, esse sono prodotte da Dio allo stesso modo della materia (II 30,9). Ireneo nega che Dio nel suo creare si indirizzi ad un paradigma, e presenta questa sua convinzione in un contesto in cui discute con la dottrina platonizzante dei Valentiniani, che il mondo sia un'immagine d~l pleroma (II 7,16; II 8). Già Teofilo aveva detto che non si può immaginare che Dio crei allo stesso modo di un artefice umano, il quale si serve del materiale che sta a sua disposizione; anche secondo Ireneo, Dio non ha bisogno di un modello, e quindi non solo della materia preesistente, ma nemmeno delle idee preesistenti:

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Dio è stato per se stesso l' exemplum e la figuratio (II 7,5; 16,3). In questo modo Ireneo polemizza sia con la concezione valentiniana sia con quella di Platone, che la avrebbe ispirata (II 14,3). Sembrerebbe, quindi, che Ireneo intendesse le idee di Platone come un principio indipendente da dio, e che di conseguenza egli non le considerasse come pensieri di dio. Però egli distingue tra modello e forma delle cose, per cui sembra rifarsi alla dottrina medioplatonica della distinzione tra LOÉa e ELOOS , cioè tra 'forma' e 'forma presente nella materia', come indicano i termini di exemplum e figura o figuratio, da lui impiegati (cf. IV 20,l; I 5,2; 8,1; 7,2; 26,1).

La scuola di Alessandria

Ma Dio, anche se crea il mondo, non può rimanergli estraneo: prima di tutto per evitare ogni forma di dualismo, che sorgerebbe se si considerassero i due come due entità indipendenti l'una dall'altra, ed in secondo luogo perché è inconcepi­bile che Dio sia escluso da alcuna cosa.

Il problema del rapporto tra Dio e il mondo, tra il creatore e il creato (creato pro­babilmente non ex nihilo, secondo i filosofi della scuola catechetica di Alessandria, come sopra si è detto), fu ripreso su basi nuove da Panteno, del quale, purtroppo, non conosciamo quasi niente. La testimonianza più significativa su di lui ci è data da Massimo il Confessore (Ambigua 7, PG 91,1085AB), il quale ci riferisce che Panteno identifica i logoi con la volontà di Dio nelle sue varie forme. Interrogato da alcuni pagani, in che modo i Cristiani pensassero che Dio conosca ouello che esiste, dal momento che i pagani sostenevano che Dio conoscesse in modo intelle­gibile quello che è intellegibile e in modo sensibile quello che è sensibile, Panteno rispose che Dio non conosce né in un modo né nell'altro, in quanto, nella sua tras­cendenza, deve conoscere in modo diverso dagli uomini. Pertanto conosce le cose perché esse sono le sue volontà. Se, infatti, Dio fece tutte le cose, è logico che Dio conosca la propria volontà, con la quale egli le fece.

Clemente, invece, non sembra essersi posto il problema in modo più approfon­dito. Naturalmente, egli conosce la dottrina platonica della creazione del mondo (Strom. II 78,3), perché interpreta la Genesi ricorrendo alla terminologia plato­nica (così diffusa nel cristianesimo dei primi secoli) di Dio come 'creatore e padre dell'universo'. In Strom. IV 25,155,2; V 11,73 egli accenna all'intelletto, che è Dio, come 'il luogo delle idee', alla maniera medioplatonica; non parla però delle idee nel mondo6

.

Diversa è la posizione di Origene, il quale, proprio perché non è interessato in modo particolare alla ipotesi della creatio ex nihilo, riconsidera secondo la dottrina medio platonica la 'creazione' del mondo. Essa è attuata dal Logos mediante il suo pen- -siero7, sì che i pensieri del Logos, che corrispondono alle idee del medioplatonismo,

6. Cf. S.R.C. Lilla, Clement o/ Alexandria. A Study in Christian Platonism and Gno­sticism, Oxford, University Press 1971, p. 202-209, il quale però non considera il problema della creazione del mondo.

7. Crouzel (cf. Origène, Traité des principes, tome II [livre I et II]. Commentaire et fragments par H. Crouzel et M. Simonetti, SC n. 252-253, 1978, p. 25) osserva che il mondo delle idee in senso platonico non esiste, per Origene, in modo autonomo, come

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sono presenti in lui, il quale è la xwpa L8EWV, e contemporaneamente sono nel mondo come E'L8T] EVUÌ\a. Il Logos divino è una sussistenza incorporea di vari 8Ewp~µaTa che contengono i logoi di tutti gli esseri ( Comm. !oh. I 34 [39,243]). La Sapienza divina è concepita come il « sussistere della contemplazione relativa a tutte le cose e dei concetti» (trad. di E. Corsini), che hanno attinenza con la realtà universale (ibid. I 19,111); « ad essa Dio affidò il compito di trasmettere, dagli archetipi che essa conteneva, agli esseri e alla materia, sia la struttura sia le forme e, come io ritengo, anche le sostanze» (trad. di E. Corsini) (ibid. I 19 [22], 115) -vale a dire, il Padre affidò alla Sapienza il compito di creare il mondo inserendovi i TVTIOL esistenti in lei (e TVTIOL sarà impiegato anche da Massimo il Confessore proprio nella considerazione del rapporto tra mondo delle idee e mondo sensibile, cf. p. 111). Dio considerò i logoi di ciascuna cosa e vide in che modo ciascuna è buona, in conformità con i ì\oyOL secondo i quali essa è stata creata ( Comm. !oh. XIII 42,280; cf. anche 45,297). In lui ci sono le ragioni (ì\oyOL) di qualsiasi essere, le ragioni secondo le quali tutte le cose sono state fatte con sapienza8

. Esse costi­tuiscono il mondo intelligibile, tanto più vario di quello sensibile e superiore a esso quanto la ragione dell'universo mondo, assolutamente immateriale com'è, supera il mondo materiale, dal momento che ciò che ordina al mondo la materia prende il suo ordine non già dalla materia, ma dalla partecipazione al Logos e alla Sapienza (XIX 22, 147). Nella sussistenza della Sapienza divina sono presenti ogni virtus e ogni forma (dejormatio) della creatura futura, sia di quelle che esistono come realtà non derivata (principaliter) sia di quelle che sono accidenti; esse sono state formate e disposte dall'inizio grazie alla praescientia di Dio (Princ. I 2,2-3). Altrettanto è ripetuto in Princ. I 4,4-5: nella Sapienza, che ab aeterno era presente nel Padre, era da sempre presente la creazione e la prefigurazione delle cose che sarebbero state fatte, e, se tutte le cose sono state fatte nella Sapienza e tale Sapienza è sempre esis­tita, le cose che furono fatte substantialiter esistevano da sempre in lei secundum praefigurationem et praeformationem9.

I Cappadoci

La tematica non riceve una particolare attenzione da parte dei Cappadoci, per quanto profondamente origenisti essi siano stati, perché furono interessati soprat­tutto al problema trinitario, e non a quello della creazione del mondo e del suo rapporto con Dio. Come osserva il Corsini10, Gregorio di Nissa abbandona (certo,

attesta Princ. II 3,6, ma è contenuto nel Figlio, Mondo intelligibile in quanto sapienza. Già Clemente, a quanto pare, non concepiva un mondo delle idee separate da Dio - e ciò era logico. Ma questo corrisponde esattamente alla dottrina medioplatonica delle idee come pensieri di dio.

8. Questo sembra essere un sintagma tipico di Origene per esprimere la creazione delle cose secondo il modello dell'idea che è in Dio: lo si legge qui e nel passo precedente.

9. Cf anche Contra Celsum V 39 e Comm. Cant. III p. 208. 10. cf. E. Corsini, PlérlJme humaine et plerlJme cosmique chez Grégoire de Nysse, in: M.

Harl (ed.), Ecriture et culture philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse. Actes du col­loque de Chevetogne [22-26 Septembre 1969], Leiden 1971, p. 111-126.

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per una maggiore sensibilità nei confronti delle correnti platoniche contempora­nee) l'antica dottrina delle idee come pensieri di Dio quella e dei 'tre principi', e sovverte la gerarchia Dio - Logos - mondo, che era stata anche di Origene e degli ariani e dei primi difensori della fede nicena, come Atanasio. Egli è il primo a trarre le conseguenze logiche della dottrina della consustanzialità e della perfetta uguaglianza tra il Logos e il Padre, in quanto, secondo lui, il Logos non ha più la funzione di mediatore nell'ordine ontologico. Parimenti elimina o, almeno, tras­forma in modo radicale le funzioni del mondo intelligibile, inteso come mondo delle idee: per Origene, come si è visto, il mondo intelligibile si identifica con il Logos, che è la somma delle idee del Padre e costituisce la discesa dalla realtà tras­cendente ali' essere (il mondo intelligibile, nel Logos, è il vero essere): così Gregorio elimina anche la discesa dal Logos, in quanto paradigma e creatore, al mondo sen­sibile. Questo ruolo mediatore del Logos implicava in Origene e nei suoi seguaci un subordinazionismo del Figlio nei confronti del Padre: questa era stata la posi­zione degli origenisti di tendenza ariana, ed anche dei primi difensori dell' ortodos­sia nicena, che si rifacevano ad Origene. Se per Basilio (Hexaem. I 5) esiste ancora la creazione di un mondo intelligibile prima del mondo sensibile, per il Nisseno il mondo intelligibile non costituisce più un legame tra Dio e il mondo creato -fin qui Corsini. Anche Gregorio di Nazianzo sottolinea nel suo poema Sul mondo (I 1,4,19-23) come la sapienza di Dio abbia creato il tutto, completo di materia e forma, ponendo nella materia le forme esistenti entro di sé.

La dottrina dei logo i torna, invece, ad avere un suo ruolo importante con Evagrio, fortemente origenista. A nostro parere Evagrio deve essere considerato a tutti gli effetti un pensatore che gravita nell'ambito del pensiero dei Padri Cappadoci, dai quali si staccò allorquando lasciò Costantinopoli per vivere nell'ambiente monas­tico egiziano. In seguito a questa sua scelta di vita egli accentuò I' origenismo che, già presente in Gregorio di Nissa, era stato smorzato dal grande Cappadoce11 • Logos, nella traduzione siriaca (quando esiste) delle opere di Evagrio è reso con il suo ter­mine preciso, come osserva il Guillaumont; esso, in francese, è 'intellection', anche se spesso mantiene il significato intrinseco di 'parola', 'discorso', 'spiegazione'; ma tale 'spiegazione' delle cose, che lo gnostico comprende, ha pur sempre un signifi­cato più profondo, cioè di 'ragione delle cose'. Lo leggiamo numerose volte; indi­chiamo solo i seguenti passi:

Centuriae Gnosticae 2,45 (P012, p. 79 = 160-161 Frankenberg13): « Les orga­nes des sens et le nous se partagent les sensibles; mais le nous seul a l'intellection des intelligibles; en effet, lui, il devient un voyant et des objets et des logoi des objets » ; 5,40, p. 193 = p. 334-335: ««La montagne» intelligible est la contemplation spi­rituelle qui est placée sur une hauteur élevée dont il est difficile de s' approcher;

11. Abbiamo pensato di dimostrarlo nel nostro studio su I Padri Cappadoci, Roma, Città Nuova 2008, p. 75 sq.; 200 sq. etc.

12. Cf. F. Graflìn, Patrologia Orientalis, tome XXVIII, fase. 1. Les six centuries des "Kephalaia Gnostika" dEvagre le Pontique ... par A. Guillaumont, Paris, Firmin - Didot 1958.

13. Cf. W Frankenberg, «Evagrius Ponticus ... », Abhandlungen der Koniglichen Gesel­lschaft der Wìssenschaften zu Gottingen, Philol.-histor. Klasse, Neue Folge, Band XIII,2, 1912.

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quand le nous sera parvenu auprès d' elle, il deviendra un voyant de toutes !es intel­lections des objets sous-jacents »14• ~espressione nella formulazione greca originaria è offerta dal Liber gnosticus, 4: (A6ym TWV 1Tpayµchwv ('raisons' traducono Cl. e A. Guillaumont15) o TG.ìv ywoµÉvwv (22; 107; 125). Ricchi di materiale rela­tivo al nostro problema sono gli Scholia in Proverbia16 (cf. 2; 104; 113; 153; 190; 195 etc.). Anche in Gnost. 44, in cui presenta una serie di brevi considerazioni sulle quattro virtù cardinali, che aveva appreso dal suo maestro, " il giusto Gregorio " Nazianzeno17, Evagrio parla dei logoi delle virtù: Cl. e A. Guillaumont intendono logos sia come 'raison' sia come 'principe éxplicatif, théorie' 18 .

Come osserva Guillaumont19, « il logos di una natura è il suo principio, ontologico ed esplicativo insieme, la sua ragione d'essere e la sua ragione »; anche Sinkewicz20

osserva che i logoi sono 'reasons'; e ancora:« per Evagrio questi logoi sono i principi, sia ontologici sia giustificativi, degli esseri. Fino al punto in cui il monaco riesce a raggiungere la perfetta impassibilità può giungere a godere la contemplazione degli esseri invisibili e di quelli visibili: questa è chiamata 'la contemplazione naturale primarià, (cf. Kephalaia Gnostikà 2,4) ... La conoscenza spirituale raggiunta dal monaco nella vita gnostica gli permette di decodificare i logoi delle nature create, il cui vero significato gli era fino ad allora sfuggito»21 •

Ma naturalmente le 'intellections' sono considerate non solo dal punto di vista ontologico, ma anche come un modo della conoscenza umana: è quella conoscenza che costituisce la vera gnosi, della quale, però, solamente lo gnostico perviene a percepire il significato più profondo22

.

Dionigi l'Areopagita

Lo Pseudo Dionigi, probabilmente sotto il rinnovato influsso del neoplatonismo contemporaneo, da lui cristianizzato (come è noto), riprende la dottrina dei logoi, ma trasformandola, in quanto ne sottolinea laspetto dinamico. Dionigi, infatti,

14. Cf. anche Ad monachos 110 e 116 (ed. J. Driscoll, Centro Studi Sant'Anselmo, Roma 1991); 132; 135; Gnost. 36, 44 e 48 (in questo passo Evagrio sta presentando una dottrina di Didimo, anch'egli origenista).

15. se 356, 1989. 16. Ed. P. Gehin, SC 340,1987. 17. Un passo interessante, questo, che attesta l'insegnamento di Gregorio su Evagrio;

un altro ci è fornito dalla sua soluzione del problema del triteismo, che riprende quello del Nazianzeno; cf. a tal proposito le nostre osservazioni in: I Cappadoci, cit., p. 267-268.

18. Cf. ad locum, p. 177. 19. Cf. Evagre le Pontique, Le Gnostique cit., p. 29-30; A. Guillaumont, Un philoso­

phe au désert. Évagre le Pontique, Paris, Vrin 2004, p. 287. 20. Cf. Evagrius of Pontus, The Greek Ascetic Corpus. Translation, Introduction, and

Commentary by R.E. Sinkewicz, Oxford, University Press 2003, p. XXXIV 21. Cf. op. cit., p. XXXVII. 22. Cf. Centuriae Gnosticae I 20 (PO 28, p. 25 = Frankenberg p. 62-63); 1, 23 (PO p.

27 = p. 64-67); 2, 35-36 (p. 75 sq.= p. 154-155 sq.); 5,54 (p. 201 = p. 340-341); 6,54 (p. 239 = p. 394-395); 6,72 (p. 247 = p. 404-405); 5,16 (p. 183 = p. 324-5); 5,23-24 (p. 187 = p. 326-329).

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li interpreta come 'voleri divini', stando a quanto ci dice Massimo il Confessore,

nel medesimo passo sopra indicato (p. 104), in cui riferisce l'opinione di Panteno (Amb. 7, PG 91,1085A): «Orbene, questi logoi di cui abbiamo parlato, il santo

Dionigi l'Areopagita ci insegna che sono chiamati dalla Scrittura 'predefinizioni'

e 'voleri divini' »23 . Massimo si riferisce probabilmente a Div. Nomin. 5,8, PG 3,824C, ove Dionigi parla dei logoi creatori delle sostanze, e li chiama anche 'para­

digmi'. Sviluppando la dottrina di Dionigi e di Evagrio, Massimo presenta questa

spiegazione : «Tutte le cose, in quanto provengono da Dio, partecipano di lui per via diana­

logia, secondo l'intelletto o la ragione o la sensazione o il movimento vitale o la

condizione sostanziale e abituale del proprio essere, come pare al grande e porta­

tore di Dio, Dionigi l'Areopagita» (Amb. 7, PG 91,1080B)24 .

Massimo il Confessore

Massimo rielabora a fondo ed approfondisce gli spunti che trova nei suoi due

predecessori25 , sì da concepire una dottrina dei logoi organica e coerente. Infatti

come conseguenza della derivazione dei logoi dal Logos egli intende i logoi sia come

principio della realtà esistente (secondo la concezione medioplatonica ed orige­

niana) sia come legge naturale basata sul logos presente nel mondo sia come oggetto

principale della conoscenza a cui giunge il perfetto, cioè lo gnostico26 . Innanzitutto

esaminiamo i logoi del primo tipo.

23. Questo passo è stato messo in evidenza da Dalmais (cf. I. H. Dalmais, «La théorie des "logoi" des créatures chez S. Maxime le Confesseur », Revue des Sciences Philosophiques et 7héologiques 36,1952, p. 244-249, p. 244) e, più tardi, tutto il problema è stato riconsi­derato dal medesimo studioso (cf. I.H. Dalmais, «La manifestation du logos dans l'hornme et dans l'Eglise »,in: Maximus Confessor. Actes du Symposium sur Maxime le Confes;eur Fribourg, 2-5 septembre 1980, édités par F. Heinzer et Ch. Schiinborn, Fribourg, Editions Universitaires 1982, P· 13-25). Dalmais, però, pensa che questi eda 8EÀtjµaTa siano dot­trina di Clemente, dottrina che forse si potrebbe rintracciare in un testo che non ci è per­venuto. In realtà Massimo attribuisce questa dottrina a Panteno, come si è visto sopra, ed è

Massimo stesso, non Dionigi, che vede un antecedente di Dionigi in Panteno. 24. Massimo si riferisce a Dian. Areop., DN 4,4, PG 3,700B. 25. Alcune indicazioni bibliografiche su questo tema: oltre ai già ricordati studio di

Dalmais, fondamentali sono P. Sherwood ( 7he earlier Ambigua of saint Maximus the Confes­sor and his Rejùtation of Origenism, Studia Anselmiana 36, Roma 1955) e L. Thunberg, Microcosm and Mediator, Lund 1965 [edizione italiana a cura di C. Moreschini, Milano, Via e Pensiero 2008], p. 67-84); citiamo anche W Viilker, Maximus Confessor als Meister geistlichen Lebens, Wiesbaden, Steiner 1965, p. 58-59; A. Riou, Le monde et l'église selon Maxime le Confesseur, Paris, Beauchesne 1973, p. 54-63). Naturalmente non possiamo dimenticare H.U. van Balthasar (Massimo il Confessore. Liturgia cosmica, trad. ital., Milano, Jaca Book 2001 2

), ma il suo saggio, pur fondamentale per la comprensione del Confessore, è molto rapsodico e meno utile per un esame globale e preciso del problema.

26. Per questa divisione cf. Dalmais, op. cit., p. 246 - 250; Riou, op. cit., p. 62-63; Viil­ker, op. cit. (è lo studio più dettagliato, per il quale daremo altre indicazioni più precise più oltre).

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Il Logos come principio ontologico

Fondamentale a questo proposito è una sezione dell'Ambiguum 7 (sicuramente uno dei momenti più alti della teologia cristiana di lingua greca)27, che trova un'ul­teriore conferma in Ambiguum 42, l 329AC. In questa trattazione Massimo inter­preta un passo di Gregorio Naiianzeno, (orat. 14,7), in cui il Cappadoce cerca di chiarire a se stesso l'ambiguo rapporto che stringe l'intelletto al corpo e, insieme, li divide. « Qual è la saggezza che mi fa agire così e qual è questo grande mistero ? Oppure Dio vuole che noi, che siamo parte di Lui e discendiamo dall'alto etc."28 . Era necessario precisare il significato di quel passo, perché la frase: "noi, che siamo parte di Lui e discendiamo dall'alto » era servita agli origenisti per sviluppare la loro dottrina della preesistenza delle anime e della loro successiva caduta. Ciò induce Massimo a svolgere un'ampia trattazione sulla creazione del mondo e sulla presenza di Dio in esso, appunto mediante i logoi delle cose. Il Logos di Dio è il creatore del mondo; è unico, ma contemporaneamente è molteplice. In quanto presente nel mondo, è, insieme, unito e distinto dalla differenza che esiste tra le varie cose create, per effetto della loro peculiarità non confusa, l'una con l'altra e con se stesse. E viceversa, i molti logoi sono uno solo, perché essi sussistono, ugualmente non confusi, e tutti vengono ricondotti al Logos che è Dio, il Logos di Dio il Padre, esistente in Dio in sostanza e in ipostasi, in quanto principio e causa dell'universo, " nel quale furono create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, quelle visi­bili e quelle invisibili, troni, dominazioni, principati, potestà, tutto è stato creato da lui e attraverso di lui e per lui "29. Il Logos divino, infatti, possiede in sé i logoi di ciò che è stato creato30; essi sussistono in lui prima dei secoli, per effetto del suo volere, che è un volere di bontà31 . Pertanto il Logos fece, e tuttora fa, nel tempo debito tutte le cose con ragione e con sapienza, quelle universali e quelle partico­lari32. Quel medesimo Dio, che con la sua sovreminenza infinita, di per sé è inef­fabile e impensabile e al di là di tutta la creazione ed è il medesimo in tutti gli esseri che da lui derivano, si mostra e si moltiplica in ciascuno33 e ricapitola in se stesso tutte le cose34, poiché in relazione a lui sono l'essere e il permanere e da lui sono le cose create così come sono state create, e per cui sono state create; tutte, insomma, partecipano di Dio. Pertanto gli angeli e gli uomini, che sono creature intelligenti e razionali, e che sono quelle creature che, secondo la dottrina degli

27. Un esame cursorio ne è dato da Riou, op. cit., p. 55-63. 28. Traduzione di Chiara Sani (Gregorio Nazianzeno, Tutte le Orazioni a cura di

Claudio Moreschini. Traduzione italiana con testo a fronte e note di Chiara Sani e Maria Vincelli. Introduzione di Claudio Moreschini. Prefazioni di Carmelo Crimi e Chiara Sani, Milano, Bompiani 2000).

29. Col 1.16. 30. Quindi i logoi non sono emanazioni alla maniera neoplatonica, ma opera della

volontà di Dio, come si è detto; cf Riou, op. cit., p. 59-60. 31. Cf. Eph 1,5; Apoc. 4,11. Era la dottrina di Panteno (p. 104). 32. E quindi il logos di Dio è il pensiero di Dio, secondo la dottrina medioplatonica. 33. Anche questa dottrina della analogia è esplicitamente attribuita da Massimo a Dio­

nigi l'Areopagita (p. 108). 34. Cf. Eph. 1,10.

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origenisti, si sarebbero staccati da Dio in seguito alla loro 'sazietà' (koros), si dice che siano « parte di Dio ,,35 , proprio per il logos per cui furono creati, Logos che si trova in Dio ed è presso Dio36•

In questo, dunque, consiste l'immanenza di Dio nel mondo. Di conseguenza, la creatura razionale non si allontana da Dio, come avevano sostenuto gli origenisti basandosi anche sul passo di Gregorio Nazianzeno, ma, al contrario, si protende verso di lui come suo principio e sua causa, e in tal modo diviene Dio ed è detta 'parte di Dio', in quanto partecipa di lui. La sua apocatastasi consiste nel tornare ad essere conforme a quel logos secondo il quale fu creata, osserva Massimo, dando un significato ortodosso alla concezione origeniana. Presso Dio, dunque, stanno, immobili, i logoi di tutte le cose, secondo i quali si dice che Dio conosca tutte le cose prima che siano state create, in quanto esse sono in lui e presso di lui37, che è la verità stessa di tutte le cose. Luno è sempre Creatore in atto, mentre le cose, alcune sono in potenza, ma non ancora in atto ; perciò i molti logoi costituiscono l'unico Logos e l'unico Logos costituisce i molti logo i; l'unico è i molti in conformità alla processione, benefica e creatrice e conservatrice, dell'unico verso le cose, men­tre i molti sono l'unico in relazione al movimento inverso dei molti verso l'unico38,

e in relazione alla provvidenza che li fa tornare come verso un principio onnipo­tente e un centro di tutte le linee rette che da lì si dipartono.

È in questo senso, dunque, che noi siamo 'parte di Dio', come diceva Gregorio Nazianzeno, e, al contrario, si dice che noi 'cadiamo dall'alto', sempre secondo le parole di quel maestro, perché non ci siamo mossi in conformità con quel logos, preesistente in Dio, conforme al quale siamo stati creati, non ci siamo mossi. Poiché il Logos di Dio è la sostanza di tutte le virtù, come dice l'apostolo Paolo39: «Egli è stato fatto per noi da Dio sapienza e giustizia e santificazione e redenzione », e poiché il Figlio è, secondo la dottrina origeniana che attribuisce al Padre l'unità assoluta e al Figlio la molteplici~à, la sapienza e la giustizia e la santificazione in sé, di conseguenza ogni uomo che partecipa della virtù partecipa di Dio, che è la sostanza delle virtù, e così mostra che l'inizio è identico alla fine e la fine all'ini­zio, o piuttosto, l'inizio e la fine sono il medesimo Logos [ ... ] E quindi si com­pie anche in lui la parola dell'apostolo, che dice: « In lui, infatti, noi viviamo e ci muoviamo e siamo »40 . Nasce, infatti, in Dio colui che non ha corrotto il logos del suo essere, che preesisteva in Dio; si muove in Dio mediante le virtù, secondo il logos dell'essere bene, che preesisteva in Dio; vive in Dio conforme al logos dell' es-

35. Con riferimento al passo di Gregorio Nazianzeno, che Massimo sta commen­tando.

36. Cf. Gv. 1,1. 37. 'Avec' traduce il Riou (p. 57), come corrispondente di 1rnpa. Poiché i logoi sussis­

tono in Dio, e quindi appartengono alle sue ÈvÉpyELm, essi sono anche chiamati 'divini' (cf. Thal 46,420C). Ma, quello che è caratteristico dei logoi è che essi definiscono non solo l'essenza, ma anche la yÉvECJLS' delle cose, in tal modo manifestando l'antiorigenismo di Massimo e il suo giudizio positivo del mondo della realtà nella sua differenziazione (Thu­nberg, op. cit., p. 78-79).

38. E evidente l'origine dionisiana e generalmente neoplatonica di questa asserzione. 39. 1 Cor. 1,30. 40. Act 17,28. Il passo, come è noto, è fortemente influenzato dallo stoicismo.

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sere sempre41, che, anch'esso, preesisteva in Dio. Nell'età futura, poi, grazie alla divinizzazione che sarà donata al perfetto, con l'agape amerà i logoi preesistenti in Dio, o piuttosto Dio stesso, nel quale si trovano i logoi delle cose buone; ed è parte di Dio, in quanto è Dio, a causa del logos del suo essere, che si trova in Dio;è parte di Dio in quanto è buono, a causa del logos del suo essere bene, che si trova in Dio e, in quanto è Dio,è in Dio a causa del suo logos dell'essere sempre, che è in Dio. È, questa, la tripartizione tipica di Massimo, che distingue tra essere, essere buono ed essere sempre buono.

Oltre che in questo passo, Massimo torna sulla sua dottrina dei logoi più volte. La natura intellettuale, egli dice, esiste insieme con i suoi logoi senza intervallo di tempo (Amb. 42,1345B). I logoi si trovano nel Logos prima di tutti i secoli (cf. 1halass. 13, 293D-296A; 60,625A) ed il Logos è, come per Origene, il 'luogo delle idee'. Ogni cosa possiede il suo logos grazie al quale ottiene la sua esistenza parti­colare (cf. Amb. 10,3,1113C; 10,19,1133D; 10,42,1192D), sì che proprio nella varietà dei logoi si può cogliere la causa della varietà delle cose : grazie ad essi ogni cosa.è nata ed esiste e ha preso forma e figura, è stata composta, possiede potenza e capacità di operare e di subire (Amb. 17, 1228AB). Così tutto è determinato fin dall'eternità nel consiglio di Dio e già possiede nel proprio logos la perfezione, che sarà poi realizzata nella vita (Amb. 42, 1340A). I logo i sono le potenze creatrici e conservatrici che esistono nelle cose, una concezione, questa, che, secondo Vi:ilker42,

risale allo stoicismo, mentre abbiamo visto che deriva dalla concezione medioplato­nica delle forme come pensieri di Dio. Nei logoi delle cose si trova nascosto, quindi, il Logos, il quale " si ispessisce ", per cui egli si trova tutto intero in ogni singola cosa, ma contemporaneamente conserva intera la sua trascendenza al di sopra del mondo (Amb. 33,1285D; 21,1248C). In conclusione, i logoi divini sono i modelli di tutta la realtà esistente : questa concezione risale a Platone, secondo Vi:ilker, ma è meglio dire: al medioplatonismo, ed è stata adattata alla dottrina di fede dal pla­tonismo cristiano. Massimo, quindi, precisa i rapporti reciproci tra i due mondi, quello intellegibile e quello sensibile. In 1hal. 63,685D egli spiega che il primo si mostra nel secondo mediante le impronte (TUTTOL), mentre il secondo è nel primo mediante i logoi. Questa concezione è ribadita in Myst. 2, PG 9 l ,669C :

"Tutto il mondo intelligibile appare, a coloro che sono in grado di vederlo, misticamente improntato (TvTTouµEvos) mediante le forme simboliche (To'is auµ~oÀ.LKOLS E'LBECJL) in tutto il mondo sensibile, mentre il mondo sensibile, nell'ambito della conoscenza (yvwCJTLKWS) secondo l'intelletto, è presente, reso semplice (arrÀ.m'.iµEvos) grazie ai logoi, nel mondo intelligibile. Questo nostro mondo, infatti, si trova nell'altro mediante i logoi e l'altro è in questo mediante i TUTTOL, ma l'opera che essi producono è unica".

Il visibile racchiude l'invisibile, mentre l'invisibile contiene in sé il visibile dopo che abbia tolto ad esso l'elemento materiale e lo abbia 'semplificato' in sé, vale a dire, dopo che anche l'elemento materiale è divenuto logos.

41. È la tripartizione, tipica di Massimo, tra essere, essere bene (cioè virtuosamente) ed essere sempre (cioè nell'eternità con Dio).

42. Cf. op. cit., p. 303.

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Secondo il Volker43 , questa dottrina di Massimo deriva da quella di Dionigi. Massimo, infatti, riprende dall'Areopagita la interpretazione dei logoi quali 8ELa 8EÀtjµarn, che definisce àya8à 8EÀtjµarn in Thalass. 13,296A. InAmb. 7,1085A Dionigi è citato esplicitamente: « Orbene, questi logoi di cui abbiamo parlato, il santo Dionigi l'Areopagita ci insegna che sono chiamati dalla Scrittura 'predefi­nizioni' e 'voleri divini' » Questo è un rimando a DN 5,8, 824C, come si è detto sopra (p. 108). In Dio sono riuniti" secondo un'unica unione non confusa i logoi della natura delle singole cose", dice ancora l'Areopagita (DN5,7, 821AB); essi giacciono in lui " in un'unica forma (µovoEL8wc;-) " e sono anche la causa esem­plare di tutto il creato: " Noi diciamo che sono modelli i logoi che in Dio danno sostanza alle cose e preesistono in modo unitario (Évw(wc;-); conformemente ad essi colui che è sovrasostanziale portò all'esistenza tutte le cose» (DN5,8, 824C). Se Dionigi parla dei logoi che creano la sostanza, Massimo parla dei logoi che danno la forma (Amb. 10,3, 1ll3A). Il mondo intero si dispiega come una grande unità, ove tutto partecipa a Dio in modo degradante, secondo l'analogia, perché il logos di tutto riposa in Dio (Amb. 22,1257B). La stessa dialettica tra l'uno e i molti è di tipo dionisiano, sempre secondo il Volker, e concorda con la 'ricapitolazione' di tutte le cose in Dio, di cui parla Paolo44 . Così anche per Massimo esiste la legge della 'processione' e del 'ritorno', fissata dal neoplatonismo dell'Areopagita e di Proda, sì che il rapporto del Logos con i logoi costituisce un caso particolare nel ritmo dell'intero divenire cosmico.

Ma, pur riconoscendo al Volker il merito di avere individuato la corrispondenza tra Dionigi ed il Confessore, non si può escludere nemmeno l'influsso di Evagrio, la cui concezione abbiamo rapidamente esaminato sopra (p. 106-107).

Anche la cosmologia di Massimo ha un precedente in Dionigi45 , come quando l'Areopagita sottolinea la sovreminenza della 8uvaµLS' e della at TLa, che è Dio (cf. CH 14,321A; DN 8,2,889D; 8,3,892B), e anche Massimo dice che tutto è stato creato da Dio, « sapientemente da una causa dotata di conoscenza e di potenza infinita » (Amb. 10,401188B), oppure che dalla immobilità di Dio le cose sono state portate dal non essere all'essere « con un riversarsi di bontà infi­nitamente generoso» (Amb. 35,1288D - 1289A). In Dio tutte le cose hanno la loro sussistenza « come in un fondamento onnipotente » (Amb. 10,40, 1188C; Myst. I,665C), una espressione con la quale Massimo si riferisce esplicitamente a Dionigi, secondo il quale tutto esiste in Dio « come in un fondamento onni­potente» (wc;- Èv rravToKpaTOpLK<{ì rru8µÉvL) (DN 4,4,700B), e in Dio tutto ritorna« come ad un fondamento onnipotente» (DN 10,1,937 A). In lui, come in una fonte che sgorga perenne, si trovano i logoi di tutte le cose buone (Amb. 10,51,1205C; Thal. 13,293D - 296A; 60,625A), ed anche Dionigi definisce Dio una« causa che sgorga perenne» (DN 12,4,972A), o lo esalta come« abborr­dantemente sgorgante nel suo unico incessante, sovrabbondante, non diminuito donare» (DN 13, 1,977B), formulazioni che sottolineano il momento personale dell'opera di Dio. Dio è il creatore, la causa di tutto, la causa creatrice (Amb. 10,20c, l 145A), il che è espresso da Massimo con il termine 'colui che contiene'

43. Cf. op. cit., p. 304. 44. Cf. Eph. 1,10. 45. Qui seguiamo la sintesi presentata dal Viilker, op. cit., p. 57-59.

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(rrEpLEKTLKOV) (epist. 6, PG 91,429C): esso risale al medioplatonismo e alla dot­trina del Logos che penetra nell'universo delle cose in quanto ELOOS EVUÀov. Il motivo della creazione è stata la bontà di Dio, cosa che, in questa forma gene­rale, corrisponde a concezioni sia cristiane sia neoplatoniche.

Il Logos e la legge naturale

Una volta stabilita la presenza del Logos divino (ora divenuto logos della cosa creata) nel mondo, Massimo sviluppa conseguentemente altre considerazioni46 .

Innanzitutto, il logos nel mondo costituisce la legge della natura: « Dicono che è legge di ciascuna natura l'immobile stabilità del logos conforme al quale è ed è nato ». La legge della natura avrebbe dunque il compito di « conservare inviolato il logos della natura». Infatti nei logoi il Logos è presente invisibilmente, penetrato nella varietà delle varie forme e adattato alla loro qualità.

Nel logos della natura non vi è niente che sia contrario alla ragione: « Il logos è anche legge della natura ed è divino, allorquando riceve il moto della volontà, messo in opera in conformità con lui « ( Orat. 901 D); « La legge della natura è il logos naturale, che ha sottomesso a sé la sensazione allo scopo di eliminare la irra­zionalità» (1hal. 64,725D).

Ne consegue che la presenza del Logos nel mondo abbia una rilevanza sul piano dell'etica. In 1hal. 51,477B - 484B Massimo svolge una approfondita discussione sui rapporti che sussistono tra il formarsi delle virtù e la legge della natura. Egli parla dei « i modi, esistenti nella natura, conformi alla legge della natura in funzione della virtù» (477B), vale a dire nella natura umana si tro­vano, corrispondenti alla legge della natura, le forme e le figure (cioè i modi) della virtù. Particolarmente importanti le spiegazioni di Epist. 3, PG 9 l ,409C, che riguardano la constatazione fondamentale: « Mostrano che la mente è uguale alla natura », per cui l'una presuppone l'altra, « in quanto la mente prende da essa, e li possiede, i semi delle cose che sono create ». Dio ne è l'autore, per­ché « da lui vengono deposte preliminarmente nella natura le potenzialità delle cose belle ». Questo concetto, che Dio ha posto nella legge della natura i germi dell'agire etico, si trova anche altrove in Massimo, e se ne deduce la conseguenza che la vita dovrebbe essere condotta secondo la legge della natura. Numerose altre considerazioni di carattere etico si concatenano a questo postulato: la legge della natura, infatti, ha un ruolo nella battaglia contro le passioni. Untelletto le vince " secondo il logos della natura, che è semplice ", per cui il logos della natura si oppone al piacere e alla passione, le cui caratteristiche sono l'essere contro natura e la molteplicità.

46. Seguiamo le considerazioni di Volker, op. cit., p. 203 - 204.

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Il logos e la gnosi

Infine, la dottrina del logos è determinante per la gnosi47. Infatti la gnosi consiste nel conoscere la vera essenza delle cose, materiali e spirituali che siano, per cui lo gnostico deve comprendere i logoi delle cose ed ascendere da essi al Logos. Il gra­dino preliminare è, quindi, la 'contemplazione della naturà. È la stessa esigenza che ha enunciato anche Evagrio, quando ritiene che la sapienza abbia la funzione di "contemplare i logoi dei corpi e delle cose incorporee" (Practicus I 61). La conos­cenza, certo, comincia, al livello più basso, con la sensazione. La sensazione comu­nica all'anima i logoi delle cose, sì che l'anima possa poi, con l'intervento della ragione e dell'intelletto, riprodurre quei logoi in se stessa (Amb. 10,3, ll 13A). La natura, infatti, porta in sé i logoi spirituali, che sono stati inseriti in lei da Dio e con questo rivelano la sapienza divina (Amb. 21, 1248B: «Il Logos Dio viene letto attraverso i logoi delle cose come attraverso delle lettere»). Come si è visto sopra, le cose visibili contengono i simboli delle realtà intellegibili, mentre quelle intel­legibili contengono i logoi delle cose visibili. Perciò Massimo afferma che le cose visibili offrono una « contemplazione simbolica » delle realtà intellegibili, le quali stanno nascote nelle realtà sensibili, e le cose invisibili permettono una « scienza spirituale », allorquando sono conosciuti i loro logoi. Su questo fondamento onto­logico si basa la contemplazione della natura.

È l'intelletto, però, che permette la gnosi in senso pieno: a tale scopo esso deve essere libero da ogni immaginazione legata alla sensazione e deve comprendere i logoi delle cose sensibili liberi da ogni materialità48. Solo percorrendo questa strada l'intelletto può giungere a conoscere le« impronte delle cose intelligibili» (Thai. 27, 353C). Questa contemplazione delle cose, questa gnosi dei loro logoi, è innata nell'uomo, e l'intelletto vive secondo natura, conformemente al suo essere, se si dedica ad essa (Char. IV 45,1057C). Questo è tanto più necessario in quanto la contemplazione della natura non è una conoscenza filosofica del mondo, bensì Ima gnosi di carattere spirituale. Loggetto stesso di questa conoscenza, vale a dire il logos delle singole cose, è costituisce il loro significato spirituale. La contemplazione della natura unisce l'intelletto alla sensazione, e quindi non si limita a quest'ultima, in quanto trasforma in logoi le figure che ricava dalle cose sensibili. Massimo parla di una" contemplazione dei logoi spirituali delle cose "(Amb. 50, 1369B). La mede­sima distinzione si incontra in Evagrio, per il quale la gnosi soltanto per chi è puro è una gnosi spirituale come sopra si è visto, mentre per chi è impuro essa è sempli­cemente una conoscenza della natura.

In questo processo gnostico ha luogo una ascesa dalla molteplicità alla sempli­cità49. Dopo che le forme e le figure delle cose sono state condotte ai logoi, questi, a loro volta, devono essere riportati " ad un pensiero uniforme e semplice ", sì da ottenere una" gnosi unitaria" (Amb. 15,1216B). Si supera la varietà dei dif­ferenti logoi, e si unifica il tutto in un'unità che abbraccia la molteplicità (Thai.,

47. Cf. Volker, op. cit., p. 305. 48. Cf.Volker, op. cit., p. 307 - 309. 49. Cf. Volker, op. cit., p. 310- 311.

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prol. 252B). La varietà, la molteplicità, la differenza e la quantità sono sempre il tratto distintivo della realtà sensibile e materiale, cosicché ogni conoscenza può avvenire in una successione ed è possibile solo mediante una sintesi; la caratteris­tica della realtà divina è invece la semplicità, come il platonismo dell'età imperiale ed il cristianesimo da esso influenzato avevano affermato da vari secoli. Perciò il compito dello gnostico consiste nel " raccogliere con un ragionamento semplice ed uniforme l'intelletto dalla molteplicità e comprendere tutta la conoscenza scientifica delle cose con un atto semplice di intelligenza" (Amb. 45,1352B). Se l'unico Logos si è frantumato nella molteplicità analogamente alla varietà delle cose, ora si verifica un movimento retrogrado: " E di nuovo vedrà mediante il ritorno di tutte le cose al Logos che i molti logoi sono un solo Logos ", come sopra si è detto (p. 110).

A questa forma di conoscenza più profonda e, insieme, più elevata Massimo unisce l'antica prova cosmologica dell'esistenza di Dio50. La contemplazione della natura deve giungere a conoscere il logos della sapienza di Dio muovendo dalle sue creazioni, e i logoi delle cose sollevano colui che li vede alla loro causa, vale a dire a Dio (Thal. 32,372B; 47,421B; Quaest. 67,841C); si può dire anche che dalla grandiosità delle cose si conosce il Logos come loro creatore (Amb. 33, 1285D; 56,1380B).

Il gradino più elevato della visione è.quello dei logoi della provvidenza e del giudizio di Dio, conformemente ai quali ogni cosa è stata disposta nella crea­zione (Amb. 34,1288C). Come si debba intendere tutto questo nei dettagli, lo si può cogliere nella trattazione svolta inAmb. 10,19,l 133B - 1137 A, che costi­tuisce un tutto coerente e di grandissimo interesse per la concezione di Massimo. Egli parte dal fatto che i primi tre logoi, cioè esistenza, movimento e differenza, permettono agli uomini di conoscere Dio come creatore, provvidente e giudice. Questo viene ulteriormente spiegato nel seguito. Con l'esistenza siamo condotti a cercare l'artefice, di cui possiamo comprendere l'esistenza, cioè il fatto che è; il movimento ci rimanda alla provvidenza con cui Dio conserva le cose distinte le une dalle altre, corrispondentemente ai logoi delle singole cose, e ciononostante le riunisce in un unione inesprimibile. La differenza, infine, ci mostra Dio come colui che sapientemente divide i logoi delle singole cose, come si conviene alla «

potenza naturale » della singola cosa. Secondo il Volker51 , tutti questi concetti richiamano Dionigi, ad esempio il suo capitolo sulla giustizia di Dio in DN 8, 7

e 9, 896A- 897C. Con la speculazione di Massimo il Confessore, dunque, la originaria dottrina

medioplatonica delle idee come pensieri di dio e della immanenza della idea nel mondo sensibile quale EL8os EVVÀOV appare organicamente rielaborata e appro­fondita in senso cristiano. Riesaminando il 'dogmà, divenuta da lungo tempo tradizionale, della creatio ex nihilo, Massimo è stato anche in grado di collegare indissolubilmente il mondo creato al creatore, senza cadere nell'errore, da un lato, del panteismo, dall'altro del dualismo52.

50. Cf. Viilker, op. cit., p. 312- 313. 51. Cf. Viilker, op. cit., p. 313. 52. Giusto quanto osserva a questo proposito Riou, op. cit., p. 59 e 62.

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Siamo partiti, con lèxergon che abbiano citato, dai versi di un grande poeta cris­tiano. Certamente Dante non conosceva Massimo ed il linguaggio che egli adopera ha una chiara impronta della filosofia Scolastica, oltre al fatto che la dottrina per cui il mondo sarebbe stato creato secondo le rationes di Dio si trova in Agostino. Ma si può forse ipotizzare che l'elaborazione del grande teologo bizantino sia giunta all' oc­cidente mediante le traduzioni dell'Eriugena (quella degli Ambigua e quella delle Quaestiones ad Thalassium) : questa è una strada che richiede di essere percorsa, e si tratta di un compito che attende gli studiosi. Ma anche Dante ha meditato sulla contrapposizione uno - molti e mondo divino - mondo materiale53.

53. Questo è stato giustamente colto nel recente contributo di J. Hede, «Unity and Difference in Dante's Universal Vision», Classica et Mediaevalia 57, 2006, p. 239 - 281, soprattutto p. 258 - 261.

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