I Piccoli Fratelli di Gesù · I PICCOLI FRATELLI DI GESÙ BOLLETTINO SEMESTRALE Tribunale Civile...

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I Piccoli Fratelli di Gesù Anno X N° 20 - II Semestre - 2008

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I Piccoli Fratellidi Gesù

Anno X N° 20 - II Semestre - 2008

I PICCOLI FRATELLI DI GESÙ

BOLLETTINO SEMESTRALE

Tribunale Civile di Roma

Sezione per la Stampa e

l’Informazione

n. 00280/95 - 31/05/1995

Direttore Responsabile: A. Patané

Stampa: Parole&Colore Roma, 2008

I Piccoli Fratelli di Gesùc/c 44603447Casella Postale 48410121 [email protected]

Anand e un’assistente aiutano a salire una giovane paziente... “sull’ambulanza”.

Non prevediamo unabbonamento per questa

piccola rivista, per nonlimitarne la diffusione.

Le spese di stampa e dispedizione, infatti, sono

contenute. Ognipartecipazione a

queste spese sarà,comunque, gradita.

Ai nostri nuovi lettori

Questo opuscolo ècomposto con brani di

lettere - in Fraternitàvengono chiamati “diari” -

che i Piccoli Fratelli si scrivonoliberamente per darsi notiziedelle loro vite nelle differenti

parti del mondo. Speriamo chequesta loro comunicazione vi

interessi e saremmo contenti dipoter leggere le vostre

impressioni.

LA NUOVA FRATERNITÁ GENERALEAUGURI!

“Mi sono appoggiato sulla verità, o mio Dio! Sei Tu infatti che metterai lefondamenta sulla roccia e l’armatura al livello della giustizia ed il filo apiombo della verità per controllare le pietre sicure, in vista di costruire unsolido fabbricato!”

da “Manoscritti del Mar Morto”

“ Essi portano,davanti a Dio,

alla Chiesa e ai fratelli,la responsabilità

della “Fraternità”.Essi

sono al serviziodell’unità e della fedeltà

di tutti i fratelli.

Costituzioni 172

La nuova fraternità Generale:Francesco, Hervé, Stanko eJosemari.

... passaggio dei poteri da Marc a Hervé.

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RINGRAZIAMENTI

Sono il Bollettino «Piccoli Fratelli di Gesù» e voglio dire il mio“GRAZIE” a tutti coloro che hanno risposto alla mia richiesta, neidue numeri precedenti, di esprimere con “SI-GRAZIE” o “NO-GRAZIE” quale è lo stato di salute dei miei sforzi.

Ho trovato assai incoraggiante e a volte fin troppo generoso ilvostro apprezzamento in rapporto a ciò che vi offro, esso ha supe-rato le mie stesse aspettative.

ECCO LE VOSTRE RISPOSTE

SI - GRAZIE = 884

NO - GRAZIE = 285 (140: per cambio di indirizzo o deceduti)

TOTALE = 1169

G R A Z I ENon scrivo

per fare “apologia”e ancor meno

per fare “propaganda”.È lo spirito della “condivisione”

che mi fa continuare!Tanto mi basta:è il coronamento

di tutti i miei desideri.

È da parecchi anni chenon scrivevo un diario. Du-rante tutto questo periodoho sempre vissuto a Varsa-via (…è da nove anni ormaiche sono entrato in Frater-nità).

Il nostro quartiere cam-bia sempre di più. Le nuo-ve costruzioni dei “ricchi”sorgono affianco ai vecchifabbricati dove vivono mol-ti poveri e parecchia genteemarginata. Da qualche an-no il nostro vicinato diventapiù popolare essendo la“vera città vecchia” di Var-savia l’unico quartiere chericordi il tempo prima dellaSeconda Guerra mondia-le. Il resto della capitale in-

di Mirek - Varsavia (Polonia)

Mirek.

La nostra fraternità (una delle tre che si trovano in Po-lonia) è situata in un quartiere povero di Varsavia (laCapitale) in una strada di dubbia reputazione.Le famiglie sovente sono smembrate e la gente soffremolto…Da qualche anno siamo la fraternità più giovane del mon-do (della nostra Congregazione). Abitualmente viviamo intre o quattro fratelli. Siamo una comunità di studenti chepresto termineranno gli studi, ma anche una fraternitàche dà una mano per l’accoglienza dei giovani.

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fatti è stato completamente di-strutto alla fine della Guerra ein seguito ricostruito in modocaotico e senza nessun gustoestetico. Bisogna ammetteretuttavia che, malgrado le fac-ciate orribili, i palazzi del no-stro quartiere hanno “un’ani-ma” e “uno spirito” propri cheattirano sempre di più gli altriabitanti di Varsavia.

La maggior parte degli abi-tanti ci vive da molte genera-zioni mentre gli altri, a causadella loro povertà e della loro“dubbia reputazione”, sonostati “deportati” qui dallo Sta-to. Per questo c’è un gran nu-mero di poveri di ogni genere,c’è chi ha problemi di alcoli-smo, di droga, ecc. Le fami-glie sono spesso “divise” e lagente soffre tantissimo. Non

mancano tut-tavia delle fa-miglie stabili e“ o r d i n a r i e ” .Non sappiamoquale saràl’avvenire delnostro quar-tiere, l’Ammi-nistrazione in-fatti da moltotempo sta pia-nificando il rin-n o v a m e n t odegli immobili.

La situazione dei vicini ci stamolto a cuore; se da un lato laloro situazione è sconvolgente,per un altro verso ci sentiamototalmente impotenti di fronte ailoro problemi accumulatisi daparecchie generazioni. Ognitanto incontriamo i membri delmovimento “ATD Quarto Mon-do”, che vorrebbero coinvolger-ci di più in certe attività. Ricono-sciamo la necessità di tali atti-vità ma allo stesso tempo sen-tiamo di non poterci impegnare,consapevoli che la nostra mis-sione è di altro genere: piuttosto“essere” con loro che aiutarlicon le opere.

Tuttavia, alcune volte, ci im-battiamo in casi difficili che ciobbligano a prendere una rapi-da decisione, per es. se qualcu-

Varsavia: il quartiere della Fraternità.

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no viene per chiedere da man-giare o per passare la notte,ecc. La scena del Vangelo chesovente mi viene in mente, è ilpasso del cap. 25 di Matteo(…così caro a fratel Carlo…),dove Gesù s’identifica con chi èabbandonato, con i più poveri.Ciò mi sprona ad essere sem-pre aperto alla novità del Van-gelo, ad una realtà diversa chesi impone.

Vivendo come un poverotra la gente semplice, vorrei

impegnarmi di più nelle mie re-lazioni con loro. Ma ci sono an-che tante altre cose che sem-brano essere importanti. Laprima di tutte è il nostro “ciclodi studi”, che non è solo untempo di approfondimento del“sapere” intellettuale ma an-che, e soprattutto, un periododi crescita nella conoscenza diDio e dell’uomo. Per me si trat-ta di una vera e importantissi-ma tappa di formazione, che ciobbliga anche a dedicare il

I fratelli di Varsavia: Sławec, Zbyszek, Mirek.

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tempo necessario allo studio,alla preghiera, ai nostri incon-tri, ecc…

Mi rendo conto che per i fra-telli che vivono altrove, il nostromodo di vivere e le nostre abi-tudini possono sembrare troppo“tradizionali” e rigide. È eviden-te che si tratta di un giudizio re-lativo, se si pensa che in Polo-nia noi siamo considerati piutto-sto “liberali” e progressisti. Tut-tavia vorrei dire che il nostrocammino è una vera ricerca dalpunto di vista spirituale, psicolo-gico e semplicemente umano,si tratta di una vera creativitàche ci impegna in una costanteapplicazione delle nostre ideealla vita.

Inoltre vorrei accennarealla nostra ultima esperienzadi lavoro, che è una dimen-sione importante della nostravita. Come studenti, durantel’anno scolastico, non lavoria-mo molto, ma penso che re-stiamo molto sensibili al fattodi dover far fronte alle spesedella vita quotidiana con il no-stro lavoro. Ce la caviamo, in-somma! Quando Zbyszek è inPolonia lavora a tempo pieno- è la più importante risorsadelle nostre entrate. Durantele vacanze, anche noi cer-chiamo un lavoro per guada-gnarci da vivere (non solo per

i soldi ma anche per essere incontatto con la gente sempli-ce del “nostro ambiente”).Durante queste ultime vacan-ze (Luglio e Agosto 2007),Sławek e il sottoscritto abbia-mo lavorato nella stessa im-presa facendo un lavoro ma-nuale molto semplice. Si trat-tava della fabbricazione diprodotti, generalmente in pol-vere o a partire da “grani” dicereali vari, per i panettieri edi pasticceri. Il lavoro era cosìsemplice che dopo qualchegiorno potevamo lavoraresenza essere aiutati. Ho un ri-cordo meraviglioso di que-st’ultimo lavoro. Penso chesia stato un bene per noi ri-trovarci con gli operai per la-vorare gomito a gomito conloro. Il problema è di portareavanti il contatto con questepersone con le quali si sonointessute delle ottime relazio-ni - è proprio duro interrompe-re bruscamente questi lega-mi, ma d’altra parte, non è fa-cile stabilire contatti con tutti!

Per finire, vorrei dire che misento felice dove sono, guida-to per mano da Dio che nonperde la pazienza, e che mettesulla mia strada delle persone,suoi testimoni, che mi aiutanoa percorrere il mio cammino.

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Momenti di preghiera con degli amici.

Ciascuno di noi è molto importante, molto originale,eccezionale, amato da Dio

e fa parte della Fraternità per quello che é.Siamo inoltre complementari,

un aiuto per arricchirci mutualmente.Vedo come, ai nostri giorni,

una comunità che cerca di vivere i valori evangelicisia un vero segno di un’altra realtà,

non capita umanamente,un segno che il Regno di Dio si è avvicinato.

Sono veramente gratoai fratelli con i quali vivo

(… cosa che esprimo troppo raramente!)

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per il fatto che possiamo vivere insiemeed aiutarci vicendevolmente a crescere

nel nostro cammino verso Dio.Se siamo più vicini a Dio,

ci sentiamo vicini anche gli uni gli altri.

«Viviamo in un mondo minacciato, ed in questo mon-do, il solo valore autentico, è la vita, nient’altro che lavita».

A. RUDNICKI (1912)

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di Yvan - Marrakech (Marocco)

Marrakech, con più di un milione di abitanti, manca delsettore industriale, eccettuato oggi il turismo, ma ha unartigianato molto ricco. Quasi naturalmente i fratelli, alloro arrivo circa 50 anni fa, hanno lavorato come arti-giani in proprio in piccole botteghe in affitto nel cuoredella città vecchia; uno come ebanista e l’altro comefabbro.Questo lavoro condiviso con gli altri artigiani marocchini,ha facilitato la fraternità a mettere radici in questa cultu-ra tradizionale della città. Tale inserimento è stato arric-chito in seguito dal lavoro di altri fratelli nel settore dellasalute pubblica.

Sabato 24 Novembre, alle11, con Paul-François abbiamoconsegnato le chiavi del labora-torio di “fabbro” di Bab Khemis.Breve visita del luogo: i pochimetri quadrati sono completa-mente spogli, puliti; il pavimen-to screpolato, i muri scrostati,anneriti o bruciacchiati, con del-le grosse crepe, il soffitto par-zialmente sfondato: il laborato-rio manifesta anni di lavoro.Una stretta di mano e con que-sta si gira una pagina della sto-ria della fraternità di Marrakech.Gaby aveva cominciato là, in unlocale, nuovo a quel tempo, nelNovembre 1965, 42 anni fa.

Una lunga presenza, …una lun-ga fedeltà!

Alcuni conoscono questo la-boratorio di 10 m2 con un unicoingresso che dà direttamentesulla piazza; di fronte c’è lascuola elementare del quartieree un po’ più in là un collegio; mi-gliaia di bambini vi passano da-vanti ogni giorno. Quelli di 40anni fa vengono a chiedere no-tizie di Gaby; ora essi sono pro-fessori di università o barbonialcolizzati. Questo laboratorio èstato, grazie a Gaby, un formi-dabile luogo di contatti, di lega-mi, di presenza. Io stesso ne hoapprofittato per qualche anno.

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Sono qui da appena 6 anni, maoggi mi è impossibile attraver-sare Marrakech, anche neiquartieri fuori dal centro, senzache qualcuno mi saluti per no-me o dicendo: “eh! ...il saldato-re!”. Non occorre che facciamenzione dei legami creatisicon gli artigiani vicini che miavevano adottato come uno diloro immediatamente; certo ionon ero molto competente maessi dicevano che era un mododi lavorare all’europea, fare tan-ti tentativi, e ricominciare so-vente… E quante volte veniva-no a darmi una mano d’aiuto!

Affianco c’è anche il “moulpneuouat”, colui che gonfia le

ruote delle bici, dei motorini edei carretti; nell’attesa, ai clientiveniva servito il tè ed io mette-vo a disposizione le sedie; ave-vo persino fatto un banco conpezzi di ferro vecchio e con de-gli assi da costruzione. Quelbanco è servito al Commissariodi Polizia della zona, al “moqa-dem” (Capo amministrativo delquartiere), e agli affaticati per iltraino di un “carretto”, alle si-gnore che lo spolveravano perpaura di sporcarsi la “djellaba”(abito tradizionale!). È anchevero che certi giorni si chiac-chierava tantissimo davanti alnostro laboratorio, e non si la-vorava molto…

Nel laboratorio con Gaby.

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Avevo sperato di continuarea lavorare ancora qualche anno;non mi mancano che 5 anni perla pensione (svizzera). Ma hocostatato una certa evoluzionenella clientela. Non ci sono sta-te più delle ordinazioni di ciò cheavevo imparato da Gaby a fab-bricare (lanterne, sedie, letti, at-trezzi per il caminetto…); per legriglie e le balaustre: non sonocompetitivo a causa della mialentezza; e ciò che mi vienechiesto fa parte ormai della “pro-duzione in ferro battuto” indu-striale (grandi porte), oppure unlavoro di lattoniere in cui non so-no competente. Senza una for-mazione specializzata in questo

mestiere, i limiti sono parecchi;ero cosciente di essere un dilet-tante e di improvvisare. Ho do-vuto anche andare spesso a fa-re dei lavori a domicilio, daclienti europei per piccoli servizi.A causa di un soggiorno di tremesi in Algeria durante la prima-vera scorsa, il laboratorio è ri-masto spesso chiuso. Dunquedi scarsa rendita!

Da un anno circa, il proprie-tario mi faceva notare che biso-gnava rivedere il prezzo dell’af-fitto (pagavo l’equivalente di30€ al mese che corrisponde a4 giorni di salario di un operaio).Gli ho risposto che avevo primabisogno delle ricevute dell’affit-

Davanti al laboratorio: ...passanti...

to che da lunga data si rifiutavadi darmi. Più tardi, indirettamen-te (attraverso i vicini) mi comu-nica che i laboratori nel quartie-re valgono almeno tre volte tan-to o anche cinque volte di più.Marrakech, come altre città delMarocco, conosce un’inflazioneenorme dei prezzi nel settoreimmobiliare; i terreni, gli appar-tamenti, i negozi vari si contrat-tano a dei prezzi esorbitanti,paragonabili ai prezzi dellegrandi città europee. E tanti altriprezzi salgono; è la conseguen-za dell’invasione dei turisti! Tut-tavia i benefici di una tale indu-stria “turistica” sono molto maldistribuiti.

Per mesi non ho avuto piùnotizie del proprietario. Poi, nelmese di Ottobre, mi fa sapereche ha bisogno del laboratorioper sé e che scioglie il contrattodi affitto ma ci concede comun-que la proroga che desideria-mo. Tutto è intestato a Gaby.Per qualsiasi reclamo è neces-sario avere una “procura” daparte sua e le trafile ammini-strative - Paul-François ne saqualche cosa - somigliano adun labirinto senza fine. Possolanciarmi in quest’avventura?Tuttavia questa decisione delproprietario non cade poi troppoa sproposito: questi prossimimesi sarò abbastanza occupato

Gaby (2° da sinistra) con gli amici, all’ora del tè.

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al di fuori del laboratorio (alcuniviaggi in Camerun per la prepa-razione del Capitolo, un impe-gno nel Consiglio diocesano deireligiosi, ed un impegno per lapreparazione della riunione deiSuperiori maggiori).

Ecco perché il 24 Novembreassieme a Paul-François siamoandati a restituire le chiavi del“laboratorio di Gaby”.

Già prima mi ero reso conto

di quanto Gaby facesse vera-mente parte del quartiere.

Tutti i vicini criticavano ladecisione del proprietario e nonper ragioni di contratto, di soldio di diritto, ma semplicemente:“Egli non ha il diritto di fare que-sto, si tratta del laboratorio diGaby!”. In quel laboratorio c’è ilricordo, la memoria (in sensobiblico) di un uomo dabbene,non si può toccare! Uno dei mi-

gliori amici di Gaby,fabbro anche lui emolto competente, haricuperato gli schizzi, imodelli, i calibri, laforgia e qualche mac-chinario ormai vec-chio. Un altro amico,uno più giovane chesi è appena messo alavorare in proprio, èvenuto a cercare ilbancone, la grandemorsa e una tranciaquasi nuova. Un ter-zo, artigiano franceseinstallato a Marrake-ch, ha voluto l’incudi-ne, altri attrezzi vari esoprattutto la scorta diribattini importati dallaFrancia tanto tempofa. I bambini hannopensato al ferro vec-chio. In un solo pome-riggio il laboratorio èstato completamenteYvan sul lavoro.

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svuotato. Avevo pensato di te-nere per me qualche attrez-zo,… non si sa mai! Ma tutto èsparito!

Con la chiusura di questo la-boratorio la fraternità perde unluogo di “presenza” straordina-ria. Da una parte è stato un po-sto dove si è vissuta una con-divisione di vita, questa forma dipresenza discreta che rispondealla nostra vocazione, unagrande solidarietà nel lavoro,anche se personalmente nonsono mai riuscito a seguire gliorari pazzeschi degli artigianimarocchini (12 ore al giorno; ecertuni, 7 giorni su 7!); mi pia-ceva lavorare nel marciapiede,vicino ai dirimpettai (attenti alleschegge delle molatrici) mal-grado la mia difficoltà a parteci-pare alle discussioni permanen-ti; e lavorare come loro (non hopotuto imparare a fare diversa-mente!) tenendo in una mano il

pezzo da saldare, con l’altra lapinza con lo stagno, e… sullapunta del naso la maschera dasaldatore! È così che ho costa-tato che si possono prenderedei “colpi di sole” con la salda-tura ad arco…

Questo laboratorio vuol an-che dire una identità: sono un“saldatore”; non sono né un tu-rista né un possidente, come lamaggioranza degli europei chesono a Marrakech. Questaidentità facilita le relazioni, al-meno nel quartiere. Un altrovantaggio: che qualcun altro vilavori non è mai stato un pro-blema; io stesso ho potuto lavo-rare con Gaby per anni (senzaproblemi di formalità ammini-strative).

Molte cose si muovono nellafraternità di Marrakech, saràbene aspettare un po’ per sape-re da che parte ci… spingerà loSpirito.

di Anand - Alampundi (India)

Come lo stesso Anand dice nel testo che presentiamo,egli è in India da due decenni ormai. Ha sempre vissutonella fraternità di Alampundi e durante tutto questo tem-po ha lavorato con le persone marcate dalla sofferenza;ma da molto tempo si sentiva attirato in modo specialeda un ambiente “particolare”: la casta degli “intoccabili”oggi conosciuta come la comunità Dalit.Unirsi a loro e vivere con loro era impossibile per unostraniero. È quindi in vista di questo desiderio che Anandha chiesto la cittadinanza indiana. Dopo lunghe e com-plicate strategie burocratiche, l’ha finalmente ottenuta.

Vorrei parlarvi della mia vitaad Alampundi dove vivo ormaida 19 anni.

Ho vissuto tutti questi annicon Shanti e parte di essi - 13anni - con Visuvasam. È dun-que con loro due che vivo in fra-ternità.

La fra-ternità èm a r c a t adalla vitadel villag-gio con unritmo ap-propriato.Dopo 43anni di pre-

senza, conosciamo la maggio-ranza della gente. La fraternitàresta molto segnata dalle scel-te iniziali, cioè la cura dei ma-lati di lebbra.

Ma c’è anche il marchiodelle scelte prese da Shanti e da Arul, qualche anno prima

del mio ar-rivo: crea-re, con lagente delv i l laggio,un centrodi riabilita-zione per iportatori dihandicap.In fraternità: Alampundi (Anand, Shasnti, due amici e

Visuvasam).

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Kannan: Nel laboratorio per la preparazione delle protesi.

Si trattava, all’inizio, di malati dilebbra, ma poi si è esteso adogni genere di handicap com-prese anche le donne delle fa-miglie più povere del villaggio.È nata così un’organizzazioneche si chiama: “Centro Ruraledi Riabilitazione Gandhi”, conun laboratorio di tessitura.

Grazie a questo centro hopotuto ottenere il “Visto” di resi-denza per lavorare alla riabilita-zione dei portatori di handicap especialmente di handicap men-tale. Al mio arrivo, ho comincia-

to con qualche giovane del vil-laggio un centro per la cura deimalati di polio.

Tutto era nuovo per me: ilpaese, la lingua, la cultura, il la-voro. Allora non sapevo nientesulla polio! Il gruppo è stato for-mato da un’organizzazionechiamata: “Handicap interna-zionale”. Antonio, un giovanedel villaggio, ha cominciato conme e continua ancora oggi. Èstato di grande aiuto. Come pri-mo lavoro abbiamo visitato i vil-

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laggi, circa una sessantina. Cispostavamo con Antonio in biciper rilevare la presenza di tutti iportatori di handicap.

Abbiamo quindi creato unlaboratorio ortopedico, facendonoi stessi, protesi e stampelleadeguate per correggere lecontratture, o presentando imalati agli ospedali vicini,quando era necessario un in-tervento chirurgico. Abbiamodato inizio ad un pensionatoper bambini affetti da polio, perpermettere loro di studiare sen-za doversi spostare ogni gior-no.

Piano piano i nuovi casi dipolio diminuivano e ci siamoparticolarmente dedicati ai casidi bambini e neonati con lesio-ne cerebrale, malati mentali espastici. C’è un centro, dove lemamme vengono due volte lasettimana con i loro bambini.Facciamo insieme gli esercizi einsegniamo loro ciò che dovran-no fare a casa tutti i giorni. C’èin più un centro di accoglienzadiurno, dove i bambini dei vil-laggi vicini vengono quotidiana-mente. Al momento sono in 24a venire. Alcuni di loro sono or-mai già adulti, per loro abbiamocominciato un progetto di riabili-tazione tramite il lavoro. La miavita è stata fortemente marcatadal contatto quotidiano con

questi portatori di handicap. Lafraternità stessa ha una sua im-pronta per l’incontro quotidianocon coloro che soffrono. Shantiè abitualmente in casa ed acco-glie tante persone che deside-rano condividere i loro problemidi salute e chiedere consiglio.Visuvasam lavora come “edu-catore specializzato” in unascuola di una piccola città vici-na; egli cerca di aiutare i bambi-ni ciechi e sordo-muti ad inte-grarsi nella vita normale dellascuola.

Il contatto quotidiano conquesti bambini e con i loro ge-nitori è stato un immenso donoper me. Non è stato sempre fa-cile, soprattutto davanti a tantasofferenza! Spesso quandouna giovanissima mamma miportava il suo bambino affettoda handicap, deformato, rachi-tico, ho vissuto una rivolta inte-riore. Quante volte mi sono ri-trovato in cappella a “combat-tere” come Job davanti a tantamiseria e a tanta ingiustizia!Perché? Perché questo bambi-no non è morto nel grembo disua mamma o durante il parto?Che male ha fatto questa gio-vane e bellissima mamma, peraver un figlio così? Che vitapotrà essa vivere? Come rea-girà il marito? E,… che dire aduna mamma che chiede se ilsuo bambino guarirà? “Potrà il

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mio bambino parlare, cammi-nare, andare a scuola”? Cosarispondere? E quante volte hopersino rifiutato di andare incappella! Quante volte ho pian-to! Molte mamme vengono ainostri centri, disperate, ag-grappandosi ad un’ultima spe-ranza dopo essere state negliospedali e aver speso un muc-chio di soldi. Hanno sentito di-re che ci prendiamo cura amo-revole dei bambini, allora ven-gono.

Ciò che la gente apprezza èche dedichiamo tanto tempo aciascun bambino e ai parenti. Ilcentro allora diventa anche unluogo di incontro e di sostegnotra i parenti. Spesso il coraggio,il sorriso, la speranza di unamamma o di un papà hanno so-stenuto me e mi hanno sprona-to a continuare, a perseverare. Igenitori che sembrano perduti,disorientati, feriti ed umiliati mi

hanno evangeliz-zato.

Quando unbambino vieneper la prima vol-ta nella clinica ètraumatizzato,impaurito. Biso-gna aspettareuno o due mesiper “addomesti-carlo”. Grazie algruppo con cui

lavoro tutto sembra procederebene. Dopo qualche tempo, losguardo del bambino, il suosorriso, il suo desiderio di co-municare e di fare dei progres-si trasformano anche la mia vi-ta e mi infondono il coraggio difare il massimo per lui. Ho avu-to la fortuna di lavorare con unbuon gruppo di operatori che èstato molto paziente con me,mi ha sostenuto ed è diventatoun gruppo di competenti. Labellezza di questo gruppo èche i suoi membri sono tutti delvillaggio, formati attraverso l’e-sperienza e quindi sono sem-pre rimasti molto vicini allagente. Il centro stesso è rima-sto molto semplice, niente diricercato! Gli attrezzi del lavo-ro sono le nostre mani. Anchei parenti scoprono che non so-no necessarie apparecchiatu-re complicate, e che per far delbene basta mettersi in ascolto

Riabilitazione.

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del bambino ed utilizzare leproprie mani.

La nostra vita di Nazaret èall’insegna di questo incontroquotidiano con coloro che sof-frono: lebbrosi, ciechi e sordo-muti, malati di AIDS, portatoridi handicap… Ma essa è an-che fortemente segnata dallavita quotidiana di 43 anni dipresenza. La gente sa chepossono venire da noi quandovogliono. Noi cerchiamo di ac-coglierli, di lasciarci amare daloro ed intenerire dalle diffi-coltà e dalla durezza della lorovita. Non siamo forse chiamatia diventare un altro Cristo, adessere testimoni del Regnoche “avviene” nella vita quoti-diana attorno a noi e ad offriretutto al Padre, in una preghierasilenziosa di ringraziamento edi intercessione?

43 anni di presenza adAlampundi! Bisogna continua-re o no? Essere fedeli agli im-pegni, alle amicizie? È unaquestione che emerge con for-za. È anche l’interrogativo diShanti che ha cominciato que-sta fraternità. Per quel che mi

riguarda, io ho un grande desi-derio di andare a vivere nellacomunità dei Dalit (la casta de-gli “intoccabilit”): essi sono traquelli più disprezzati ed op-pressi in India. Questo mio de-siderio data da lunghissimotempo. Avendo ottenuto la na-zionalità indiana, sarò libero direalizzare questo sogno! Pre-go il Signore che mi dia la sualuce.

Anand.

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di François - Tabriz/Baba-Baghi (Iran)

I contemplativi non hanno un’attività esteriore da realiz-zare, la loro “opera” è di “amare”. Normalmente essi nonpossono raggiungere nella loro vita dei risultati visibili ecalcolabili. Lo stesso vale per noi piccoli fratelli. Per lafede, noi siamo convinti che darsi a un gruppo di perso-ne semplicemente per amarle può riempire una vita econtribuire alla crescita del Regno. Ci sono tuttavia del-le situazioni e dei momenti nei quali questa fede diven-ta particolarmente esigente.Preparandosi a chiudere la fraternità di Baba-Baghi,François fa una rilettura della storia di questa fraternitàe ce ne condivide i suoi sentimenti, convinzioni e rifles-sioni.

Sliwa è partito il 4 Marzo.Definitivamente! Tra qualchemese seguirò lo stesso cammi-no. Ho cominciato a fare la cer-nita, il riassetto e i doni! Ci so-no tante cose da cui separarsinella casa. Conservare le cosedi tutta una vita non vuol diresolo accumulare ma conserva-re un legame con chi amiamo oabbiamo amato, con se stes-si,… con colui che siamo stati,cioè “pezzi di se”, “tratti di vi-ta”….

Siamo a Tabriz, alla fine del-l’inverno; viene la notte. È un’al-tra giornata che finisce. Non èaccaduto quasi niente. Una

giornata né migliore né peggio-re delle altre, nella quale nonabbiamo detto quasi niente,…non abbiamo fatto quasi niente!Nella vita c’è così poco che sipossa comunicare,… che sipossa fare!

“Per favore, aiutami ad at-traversare la strada, qui non cisono semafori, e perdo l’auto-bus, ed ho anche già avuto unbrutto voto a scuola!” Ecco lavoce dolce di un bambino.

“Metti la tua mano nella miae attraversiamo insieme tra lemacchine. Anch’io devo pren-dere l’autobus per tornare a ca-sa…” Prima di lasciarmi mi dice

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ancora tutto felice: “Il mio auto-bus, vedi, mi ha aspettato. Pen-so che gli darò un buon voto”Gli rispondo: “Arrivederci! Madimmi almeno il tuo nome, co-me ti chiami?...”

C’era una volta la fraternitàdi Baba-Baghi, la sua fondazio-ne risale a 48 anni fa, all’iniziodell’inverno 1959, mi sembra!La comunità cristiana caldeanon poteva capire, come noncapisce ancora oggi, un nostroinserimento tra i lebbrosi, e…lebbrosi musulmani. Per noi, ifratelli, ci sembrava una cosanormale, non potevamo imma-ginare che per i cristiani dell’I-ran potesse apparire come unatto provocatorio. Provocatorio

e inaudito; tutt’e due le cose in-sieme - sono cose che vannoinsieme!

Noi fratelli prendevamo inconsiderazione il piano genera-le di salvezza di tutti gli uominimentre i cristiani del posto nonuscivano dal quadro degli inte-ressi della loro comunità; cosaanch’essa rispettabile. A voltemi sorprendo davanti a unaquestione come questa, egoistae interessata: ma dove e quan-do esperimenteremo le bellesorprese delle Parabole, le atte-se di una pesca (miracolosa) odi un (tesoro) nel campo?

Qui a Baba-Baghi non ab-biamo preso niente, non abbia-mo trovato niente, non abbia-

Baba-Baghi.

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mo raccolto niente! Zero, alme-no per le statistiche locali. Sia-mo rimasti come alberi secchi.Tutta una vita vissuta e passa-ta; senza aver visto cambia-menti o quasi. Mistero dellanostra vita e della nostra li-bertà! La nostra immensa pic-colezza. Ciò che era provoca-torio e inaudito per gli altri, perla loro fede, all’inizio della no-stra presenza, diventa ora pro-vocatorio e inaudito per la miafede, mentre preparo la fine diquesta avventura… Ora spettaa me integrare e contemplare ipiani ed il montaggio del veroregista che aveva proposto ecominciato lo scenario, la cui“suspense” scopro oggi sem-

pre di più provocatoria e inau-dita. Frustrato? No. Ma capi-sco un po’ meglio ora, che co-sa significhi l’assenza, la man-canza, il vuoto. Arrivando a Ba-ba-Baghi non lo sapevo; nonconoscevo le mie illusioni. Cre-devo di cominciare un’altra vi-ta, una nuova vita, pensavo diaver lasciato il vecchio uomo erivestito quello nuovo. Il tempoe gli anni intanto sono passati.La traversata della vita con laverità del Vangelo che corrodecosì in profondità tutte le illu-sioni di onnipotenza, mi ponela domanda: che cosa resta deidesideri e delle promesse del-l’inizio, che genere di fede pu-rificata resta ancora? La disil-

...immersi nell’Islam!

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lusione? No. Più lunga e piùlenta infatti è la traversata, epiù vive sono le varie richieste:“Per favore…”, “…aiutami…”.

Un Vescovo diceva, parec-chi anni dopo il nostro arrivo:“La vostra vocazione è bella,ma sarebbe stato meglio, e voisareste stati più utili, se avestelavorato in un ambulatorio cri-stiano per i cristiani”. I nostri“valori di Nazaret” qui, erano erestano svalutati all’asta della“Borsa spirituale” che, comequalsiasi operazione finanzia-ria, deve “produrre”; con le pa-role, le attività e le costruzioniper la comunità.

A Baba-Baghi non abbiamomai accolto un giovane cristia-no iraniano che si interessassealla fraternità. Mai. D’altra par-te sarebbe stato abbastanzanormale che una giovane vo-cazione si mettesse preferibil-mente al servizio della sua co-munità che ha tanto bisogno dicatechesi e di formazione, pri-ma di cominciare qualsiasi av-ventura in fraternità. Le PiccoleSorelle, arrivate un poco primadi noi a Teheran, hanno avuto2 o 3 giovani ragazze ma chenon hanno perseverato. Pos-siamo ricercarne le ragioni?L’inserimento, il servizio e ilperdersi in un ambiente musul-mano hanno costruito un murotra noi e la comunità cristiana,

comunità etnica, che parla ilcaldeo e l’armeno. Qui non vi-viamo in un ambiente laico co-me in Occidente, c’è una scel-ta di campo, o cristiano o mu-sulmano. Si sceglie o nero obianco, pari o dispari, come nelgioco. E si può capire poiché lecomunità cristiane sono stateperseguitate, costituiscono unnucleo etnico e si proteggononella loro identità, restando so-spettose nei confronti dell’I-slam. Sempre… Noi abbiamoattraversato la vita, dando lamano a qualche lebbroso, e al-cuni di loro ci hanno teso lamano e aiutato ad attraversarela vita. Qui la nostra vita haqualcosa di completamenteatipico, estroso e fuori daglischemi. Un parroco o un mo-naco, sono delle persone se-rie, speciali, uomini di tradizio-ne… Si riconoscono immedia-tamente, non ci si può sbaglia-re. Sono i difensori dell’onore edel servizio della comunità. Unlavoro salariato soprattutto seè un lavoro manuale, sarebbeuna perdita di dignità. Questadignità che si esprime anchecon uno stile di vita: un certo ti-po di alloggio, di arredamento,di personale, di macchina ecc.- molto, ma molto distante dalmio autobus!

Una Congregazione femmi-nile, più antica e più classica

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che si occupa della comunitàha accolto, da qualche anno, 7giovani cristiane… I cristianisanno che l’opzione delle Suo-re é quello di promuovere lacultura e la civiltà europea, “ga-ranzia” di essere già nel Re-gno, mentre la Fraternità si èispirata alla cultura dei poverimusulmani di questo lebbrosa-rio. I valori di Nazaret e dellaFraternità restano troppo para-dossali o troppo misteriosida…percorrere… Un Mistero!Ma in più, diversamente da noi- Piccoli Fratelli e Piccole So-relle -, tale Congregazione offrela garanzia di 200 anni dallafondazione in Iran ed in MedioOriente, cioè siamo sul “classi-

co”, “solido”, “visibile”, “utile”, dicui ci si può fidare, poiché sonoal servizio dei cristiani congrandi case e grossi mezzi! Po-trebbe essere che l’apparenzadi sicurezza, e, oso dire la pa-rola, di ricchezza, attiri le voca-zioni? O che il modo di vivere infraternità, appaia, al di fuori delcontesto occidentale, comeuno sconvolgimento troppostraniero e troppo destabiliz-zante in un ambiente tradizio-nale riconosciuto, codificato esacro? Eppure ciò che è nuovo,ciò che sembra difficile, ciò chesembra “straniero”, ciò chesembra vulnerabile, ciò che ap-parentemente non dà sicurez-za,… fa parte del Vangelo!

François (a sinistra) con Sliwa.

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Si scopre sempre troppo tar-di la felicità e il calore, la dol-cezza e la tenerezza della vitache restano nel chiaroscuro.Proprio come dicevo sopra, at-traversando la strada, sotto iguanti della mano di Mohamed,era la sua anima che si affidavaa me.

Il tesoro nascosto di unapreghiera di un bambino chepassava come un’occasionemeravigliosa. “Per favore… aiu-tami ad attraversare”. Una pre-ghiera di un bambino che bru-

scamente cambia la nostra vitain preghiera: “Per favore aiuta-mi a partire,…a lasciare. Persempre”. È un “Per favore”…“aiutami” per dire addio, un ad-dio provocatorio e inaudito checi svuota il cuore. È un addiocome una macchia luminosa diqualche “pixel” su uno schermonero da attraversare. Un cosìgrande schermo nero di unagiornata che finisce. Una gior-nata, o una vita, come le altre.

Veramente non è successoquasi niente!…

«Il cuore ignora il prezzo del legame di amicizia,quando quest’amicizia è felice».

Abû SHAKLUR (X° secolo)

«Cogli l’attimo, sapendo che ogni giorno del tuo futu-ro, è un giorno che se ne va!»

Muslah-al-Din SAADI (1200-1291)

I desideridi chi ci ha preceduti,

sopravvivonoe si modificano

nel tempo,attraverso la vita

dei fratelli viventi!

«Le persone su questa terra non sono che degli operai che lavo-rano ciascuno al palazzo che si costruisce in comune; poi lascia-no, l’uno dopo l’altro, le mura che hanno costruito affinché chi vie-ne dopo possa coronare l’edificio…»

LABID (660)

8 Settembre 1933

8 Settembre 2008

75°Della FRATERNITÀ

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Guy, Marcel, René, Georges, Marc.

CAPITOLO GENERALE DEI PICCOLI FRATELLI DI GESÙ4-30 OTTOBRE 2008

Echi del Capitolo di Bangalore (India)

Sabato 5 Ottobre,i fratelli dell’India cihanno accolti nellostile della grande tra-dizione del paese.Tutti i partecipanti alCapitolo sono statidecorati con una ghir-landa di gelsomino esegnati sulla fronte daun duplice puntinoarancione e rosso (ilTalak). Domenica 5Ottobre al mattino:presentazione; cia-scuno esprime le sue attese, leproprie speranze e le sue pau-re. A fine pomeriggio: Messa diapertura. Una celebrazione contantissimi fiori e piena,…di luce!

Il Capitolo viene tradizional-mente aperto dal Priore. Marcha cominciato ricordando chequesto lunedì, festa di S. Bruno,è anche l’anniversario della fon-dazione di El-Abiodh(Prima fra-ternità in Algeria), 75 anni fa.«Noi crediamo alla Fraternità,noi l’amiamo. Ma non siamo isoli ad amarla! La gente sempli-ce con la quale viviamo, i cuivolti sono nel cuore di ciascuno,anch’essi credono alla Frater-

nità. Essa costituisce quel luogoin cui sono accolti, riconosciuti,valorizzati; luogo di amicizia e di“riposo” del cuore. Le nostre“piccole” vite, continua Marc,non hanno un grande impattosulla vita del mondo; il mondosenz’altro può fare a meno dellaFraternità. Tuttavia c’è nel mon-do in certo numero di personeche non possono farne a meno,esse camminano con noi e sisentono legate a noi. E, in que-sti semplici legami, vive e siesprime qualche cosa dell’amo-re di Dio. Infine, anche per laChiesa è importante che la Fra-ternità resti viva nel suo seno».

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Assemblea capitolare.

Accendere una fiamma

Dopo una prima settimanadi presentazione delle diverseRegioni, i delegati al Capitolohanno abbordato, questa mat-tina (mercoledì 15 Ottobre) iltema principale di questo Capi-tolo: “La nostra vita religiosanel mondo di oggi”.

È stato preparato uno “stru-mento di lavoro” in seguito airapporti delle varie Regioni; haun sotto-titolo: “vale più accen-dere una piccola lampada nel-la notte che maledire l’oscurità”(proverbio africano) ripreso dalrapporto del precedente Capi-tolo di Yaoundè 2002.

È come riassumere il pro-gramma del Capitolo o il pro-getto della Fraternità: cercaredi essere una piccolissimafiamma in questo mondo!

Per aiutare l’ascolto vicen-

devole e l’ascolto della Spirito,martedì mattina è stato consa-crato ad un tempo di ritiro.

Michael, il moderatore delCapitolo, ha centrato questotempo su una citazione da“Deus caritas est”, l’enciclica diBenedetto XVI, “Amare il mioprossimo è anche un camminoper incontrare Dio.

Chiudere gli occhi sul pro-prio prossimo rende ciechi da-vanti a Dio”.

...dello spirito (piccolo fratello Xavier)!Danza della luce (piccola sorella Dyvia) e...

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INDICE

di Mirek - Varsavia (Polonia) pag. 5

di Yvan - Marrakech (Marocco) » 11

di Anand - Alampundi (India) » 17

di François - Tabriz/Baba-Baghi (Iran) » 22

75° della Fraternità » 28

Echi dal Capitolo di Bangalore » 29

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