Emilio Quadrelli - Evasioni e Rivolte

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    Emilio Quadrelli

    migranti cpt resistenze

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    2007, Agenzia X

    Copertina e progetto grafico:Antonio Boni

    Immagine di coper

    tina:Bruna Orlandi

    Redazione:Massimo Bunny Berni, Agenzia X

    Contat

    ti:Agenzia X, via Pietro Custodi 12, 20136 Milanotel. + fax 02/89401966www.agenziax.ite-mail: [email protected]

    Stampa:Bianca e Volta, Truccazzano (MI)

    ISBN 978-88-95029-07-8

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    Introduzione 7

    1.Il proscritto

    Il campo 21Lotta e fuga 28Clandestino 36Proscritto 41

    2.Gang

    Strettamente confidenziale 49Fratelli di strada 58

    Multiculturalismi 64Gang 71

    3.Guerrilla

    Bandito 79Clandestino 87Black power 94Guerrilla 101

    4.Jihad

    Esodo 111On the road 118Prigioniero 127Jihad 135

    5.KalashnikovQuarto potere 141Plusvalore relativo 145Plusvalore assoluto 150Kalashnikov 154

    6.Arbeit macht frei

    Sicurezza import-export 159Diritti globali 167Arbeit macht frei 174

    Bibliografia 187

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    Foto di Bruna Orlandi

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    IntroduzioneI dannati della metropoli

    Oggi, controllo del vivente significa soprattutto articola-zione di strategie, scientifiche e politiche, di delimitazio-ne e di definizione della vita in un mondo globalizzato.

    Alessandro Dal Lago

    Lordine del discorso

    Da tempo i Cpt sono oggetto di ricerca e riflessione in diversi ambiti di-sciplinari, oltre che argomento trattato dalle pi svariate agenzie mediati-che. Grazie a questo interesse plurale gran parte della verit vera intornoagli odierni lager per migranti diventata sufficientemente nota; un

    aspetto, tuttavia, sembra essere stato continuamente eluso: le lotte e le re-sistenze che i migranti hanno messo in moto autonomamente attraversolesperienza della detenzione; una dimenticanza non da poco, che ten-derebbe a confermare lidea secondo la quale, in fondo, i migranti sonoin possesso di voce ma non di linguaggio. Nei confronti dei Cpt filosofi,giuristi, ricercatori sociali, giornalisti, politici hanno focalizzato lo sguar-do sul potere, ignorando perlopi la dimensione delle resistenze e finen-do con il considerare del tutto inessenziali le soggettivit degli internati.

    Persino nei rari casi in cui i deportati assumevano un ruolo preponderan-te, a occupare il centro della scena, pi che le lotte, ha finito per essere lascrittura o, meglio, la sua negazione. Eppure, come ricorda Foucault,ogni potere non pu che generare lotte e resistenze. Di questo prover aoccuparsi il testo che segue.

    Tutto ci ha molto a che vedere con le foucaultiane vite degli uominiinfami (dove lazione assume un ruolo centrale e decisivo) nei confrontidelle quali anche il cosiddetto pensiero critico spesso mostra di trovarsiampiamente a disagio. In fondo, se tali esistenze hanno ben poco di pre-sentabile, ancora pi imbarazzanti appaiono le pratiche di resistenza at-traverso cui le soggettivit si mostrano, ma non solo. La dimensioneconcreta in cui queste vite sono immerse, e tutte le ricadute che cicomporta, difficilmente possono trovare spazio e legittimazione nei di-

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    battiti politici e culturali che appassionano i nostri mondi. Le donne e gliuomini immigrati hanno ben poco a che vedere con ci che anima ed en-tusiasma le donne e gli uomini del Palazzo, poich sono completamenteascritti al mondo della Strada, dove trovano ben poco spazio per i manie-

    rismi, i formalismi e gli scambi di opinione civili e assennati. Pi realisti-camente, queste esistenze sono segnate dai rapporti di forza materialiche, volta per volta, le diverse situazioni concrete determinano. Tale di-mensione ha ben poco in comune con le retoriche convenzionali del Pa-lazzo. Prendiamo, per esempio, la questione femminile. Per le donnedel Palazzo, questa si pone nei termini di quote rosa e pari opportu-nit di carriera, una cornice che difficilmente pu appassionare le don-ne immigrate le quali, nella migliore delle ipotesi, possono aspirare a di-

    ventare le loro colf. Se dai mondi femminili ci spostiamo verso quelli ma-schili lo scenario non molto diverso. improbabile che gli uomini delPalazzo si siano mai trovati a dover riscuotere i compensi che sono lorodovuti ricorrendo alle convincenti argomentazioni del freddo acciaio diun coltello. Cos com alquanto improbabile che, per fare fronte alle piprosaiche esigenze della vita, debbano continuamente attraversare i con-fini della legalit. Affitto, bollette e spesa quotidiana sono fastidiose in-combenze ma non destano particolari apprensioni. Per i loro figli le cose

    non sembrano andare diversamente. Nessuno di loro, infatti, avr reali-sticamente a che fare con le infinite fabbriche del sudore allinternodelle quali molti giovani immigrati trovano il loro naturale destino; gliesempi, in proposito, potrebbero andare avanti pressoch allinfinito.

    Daltra parte le cose non cambiano se il nostro sguardo si sposta oltrei confini nazionali. Ben difficilmente gli abitanti del Palazzo possonoprendere in considerazione le resistenze alle varie forme di internamentoalle quali sono sottoposte le donne e gli uomini sul loro suolo natio,

    quando quella forma-campo la diretta conseguenza di una decisionepolitica presa allinterno del Palazzo. Per i suoi abitanti difficile legitti-mare la rivolta degli operai indigeni contro le aziende che, proprio graziea tale decisione, hanno potuto colonizzare intere economie, ed ancorapi improbabile esprimere simpatia, solidariet e complicit verso la ri-bellione di quelle donne destinate a essere il riposo del guerriero (siaesso in veste militare o civile) quando quello stesso ambito decisionale afarsi promotore delle operazioni di polizia internazionale o delle guerre

    umanitarie che portano inevitabilmente guerrieri di vario ordine e na-tura a occupare o spadroneggiare su interi territori.Finch gli immigrati precipitano impotenti tra i flutti delle nostre co-

    ste, oppure si accontentano di raccontare storie lacrimevoli e commoven-ti, il buon padrone bianco si sente in dovere di indignarsi e di fare qualco-

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    sa per questi esseri sfortunati, ma non appena costoro mostreranno diprendere la parola senza chiedere il permesso a nessuno ben pochi si sen-tiranno in dovere di seguirli su quella strada. Con ogni probabilit, afronte di comportamenti che ricordano senza mezze misure i tratti tipici

    delle rivolte e delle lotte anticoloniali contro i bianchi, questi, al contem-po spaventati e indignati, tenderanno a convenire che, per quelli l, ilcammino verso lintegrazione ancora lungo e gli sforzi culturali perportare la loro educazione al nostro livello necessitano di non pochi inve-stimenti, ma che fortunatamente le schiere del volontariato sono cospi-cue. In poche parole, un po per tutti, anche se per motivi diversi, lunicoimmigrato accettabile il clone dello Zio Tom. Per questo, alla fine, sem-bra che non sia il caso di farli parlare. Le loro storie finirebbero con il

    provocare non pochi disturbi; si dovrebbe loro riconoscere dignit e ca-pacit di esistenza autonoma, prendere atto del fatto che sono in grado diesprimersi senza il bisogno di alcun interprete, cosa che renderebbe per-lomeno dubbia lutilit delle numerose schiere di pensatori e teoricispuntati come funghi intorno alla questione immigrazione.

    Parlare delle resistenze che sorgono allinterno dei Cpt significa ine-vitabilmente affrontare a trecentosessanta gradi tutti gli aspetti che laquestione immigrazione si porta appresso. Questo tanto pi vero

    oggi, poich la partita giocata sullimmigrazione non un semplice fattosociologico ma dichiaratamente ed essenzialmente politico. Se i lagerper migranti, nel momento in cui sono stati istituiti, con la cosiddettalegge Turco-Napolitano, potevano essere considerati un abominio giuri-dico e denunciati come tali, ed essere tranquillamente ricondotti nel-lambito dellaporia, oggi possono essere giudicati come la miglioreesemplificazione concreta dello stato deccezione. Un atto politicoche, nelle logiche e pratiche di guerra in cui siamo immersi, diventa atto

    costitutivo e costituente di un modello politico, sociale e militare di cuicon ogni probabilit stiamo vivendo la fase aurorale. Nati in sordina conun atto semplicemente amministrativo e in fondo impolitico, nelloscenario globale che si delineato a partire da Seattle, passando per Ge-nova e arrivando fino all11 settembre 2001 e oltre, nella messa in formadella guerra globale, i lager amministrativi si sono dimostrati i pi feli-ci anticipatori di un destino forse non scontato ma altamente probabile,il cui modello, in un processo a cascata e con tutte le gradazioni del caso,

    ha buone probabilit di diventare politicamente egemone allinternodelle nostre societ.Le forme di controllo e di repressione in cui siamo quotidianamente

    immersi, insieme alla continua erosione degli spazi di libert individualeche la societ in guerra ha imposto, sono l a testimoniare laspetto nor-

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    mativo che il reiterato esercizio dello stato deccezione obiettivamentesi porta appresso. Del resto la questione immigrazione, con tutte le re-toriche e le procedure che intorno a lei si sono delineate, si mostra datempo come modello per governare una parte non secondaria dei nostri

    mondi sociali. In questa prospettiva le resistenze messe in atto allinternodei Cpt sono in grado di raccontare qualcosa di sostanziale sugli scenaridel conflitto con cui ogni giorno, magari inconsapevolmente, ci troviamoa convivere.

    I migranti, a dire il vero, non hanno mai accettato supinamente lin-ternamento, di fronte al quale hanno sempre messo in atto qualche formadi resistenza. Tuttavia, per un periodo abbastanza lungo, la resistenza stata prevalentemente caratterizzata dallautolesionismo o classica va-

    riante dalla violenza tra gli internati, il pi delle volte tra quelli prove-nienti da diverse aree geografiche, ma anche tra chi ha origini comuni.Una resistenza in fondo tranquillizzante, che attraverso unattenta regiacomunicativa finiva per avverare appieno le profezie sorte intorno alla fi-gura del migrante, la cui condizione di selvaggio e/o bambino sem-brava essere fin troppo evidente. Questa naturale predisposizione allaviolenza verso s e gli altri mostrava lo scarto antropologico tra noi eloro come una realt talmente obiettiva da non dover neppure essere

    oggetto di discussione. Non una forzatura affermare che attraverso talicomportamenti i migranti facevano rivivere nei nostri mondi echi e sug-gestioni della realt coloniale. In qualche modo, questi episodi sembrava-no la felice conferma che non si era mai usciti dal mondo di Kipling. Delresto, la tesi per cui la colonizzazione avrebbe avuto un senso o per lo me-no un ruolo nobile trova ormai da tempo ampi consensi e, senza troppigiri di parole, la missione civilizzatrice che luomo bianco costrettoad assumersi tuttora la base su cui poggia la pretesa moralit delle guer-

    re contemporanee.La condizione del migrante come bambino riottoso, difficile, indisci-plinato e incapace di produrre un discorso politico era percepita comeun dato obiettivo e indiscutibile. Questo scenario per, non senza sor-prese, recentemente caduto in frantumi. Tra lestate e lautunno del2005 i migranti rinchiusi nei lager hanno dato vita a un ciclo di lotte ingrado di spostare il conflitto su un piano completamente diverso. Gli attidi autolesionismo e le guerre interne sono cessati abbastanza velocemen-

    te, mentre hanno iniziato a fare capolino pratiche e obiettivi di lotta dituttaltro segno, supportati da una forma di auto-organizzazione internaed esterna niente affatto irrilevante. Riportare una breve cronaca degliavvenimenti appare dunque opportuno.

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    29 giugno, Bologna: cinque migranti tentano la fuga ma sono bloc-cati dagli agenti. I cinque resistono e non si lasciano facilmentecondurre in segregazione. Il numero degli agenti aumenta ma,contemporaneamente, anche quello dei prigionieri coinvolti nella

    partita; nel Cpt prende forma una sorta di microguerriglia. Alla fi-ne sei internati riescono a forzare il blocco e a dileguarsi.2 luglio, Bari: novantuno immigrati, internati nel Cpt allestito nel-laeroporto di Palese, abbattono le recinzioni e si dileguano per lecampagne, riuscendo a far perdere le proprie tracce.5 luglio, Bologna: dieci prigionieri, con la pi classica delle evasio-ni, scavalcano il muro di cinta e la recinzione esterna. Inseguiti da-gli agenti, ingaggiano una colluttazione. Cinque di loro riescono a

    riguadagnare la libert.9 luglio, Torino: sette prigionieri scavalcano un muro lateralementre davanti al Cpt in corso un presidio delle organizzazioniantirazziste. Cadendo, uno di loro si rompe una gamba, ma gli altririescono a dileguarsi. Allinterno viene proclamato un nuovo scio-pero della fame coordinato con alcune iniziative esterne.28 luglio, Porto Empedocle: rivolta allinterno del palazzetto dellosport, dove la polizia ha rinchiuso un gruppo di migranti appena

    sbarcati. Tra questi, quaranta raggiungono luscita e guadagnanola libert.2 agosto, Porto Empedocle: trenta migranti riescono a fuggire dalpullman che si apprestava a deportarli nel Cpt di Crotone. Lazio-ne ha successo anche grazie al supporto fornito agli internati da ungruppo antirazzista.12 ottobre, Caltanissetta: nel corso del trasferimento dal Cpt diPian del Lago allaeroporto di Catania, una trentina di prigionieri

    si ribella e cerca di riconquistare la libert. Ingaggiano un durissi-mo scontro con le forze dellordine, alla fine del quale cinque rie-scono a dileguarsi.30 ottobre, Roma: dopo essersi procurati, con un lavoro certosino,il logistico necessario alla fuga, ventisette internati divelgono le re-cinzioni interne, occupano la portineria e si dileguano. Gli agentidi guardia, supportati da numerose forze prontamente intervenu-te, iniziano la caccia attraverso i campi. Dodici migranti vengono

    catturati e nuovamente deportati nel Cpt.2 novembre, Caltanissetta: quarantatr migranti, cogliendo al vololoccasione di un momentaneo abbassamento della guardia daparte dei custodi, riconquistano la libert.

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    Questo elenco circoscritto agli episodi in cui la resistenza dei migrantiha raggiunto i punti pi elevati. Inoltre, nel semestre preso in considera-zione una serie infinita di lotte dalle rivolte aperte agli scioperi della fa-me stata allordine del giorno in gran parte dei Cpt. Evidentemente,

    nel mondo dellimmigrazione successo qualcosa. da questa conside-razione che ha preso le mosse il lavoro che state leggendo. Misurarsi congli aspetti nuovi che il ciclo di lotte e resistenze sembra avere aperto neimondi dellimmigrazione apparso non solo utile ma necessario, se nonaltro per raccontare la realt di unaltra immigrazione. Il percorso statotuttaltro che facile e, difficolt oggettive a parte, ha dovuto scontrarsicon la sfiducia pi o meno generalizzata nutrita dagli immigrati nei nostriconfronti. Sfiducia che, detto per inciso, ha pi di un motivo desistere.

    Seguendo una raccomandazione che anche un imperativo dettatodai padri fondatori della ricerca etnografica, appartenenti alla Scuola diChicago, si scelto di andare per strada a impolverarsi i calzoni. La fre-quentazione degli ambiti lavorativi nei quali solitamente viene reclutatala forza lavoro migrante e la condivisione di alcuni spazi di socializzazio-ne in cui particolarmente forte la presenza di immigrati, come le pale-stre, le case occupate e i locali generalmente estranei alle mappe deibuoni cittadini, hanno consentito di instaurare rapporti di fiducia con

    attori sociali che, in virt della loro particolare posizione, hanno liberoaccesso a mondi per noi difficilmente penetrabili. Gli ostacoli alla ricercahanno iniziato a smussarsi grazie al rapporto privilegiato instaurato con igatekeepers, che hanno potuto fare da mediatori per via del prestigio edella fiducia di cui godono. Attraverso un processo di negoziazione nonsempre facile si instaurato un rapporto con chi aveva direttamente par-tecipato agli eventi. Non tutti si sono dimostrati interessati al progetto:alcuni ritengono inopportuno parlare di queste vicende, che considerano

    di propria esclusiva competenza, altri invece hanno accettato di parlarneanche piuttosto a lungo, cosa che ha reso possibile confezionare il lavoroche il lettore si trova sotto gli occhi.

    Capitoli e attori

    Il libro si compone di sei capitoli. Il primo raccoglie lautobiografia di un

    giovane nomade; nellelaborazione della sua esperienza centrale, in mo-do quasi ossessivo, la forma-campo, casa abituale dei popoli nomadi. In-torno a questo stile di vita e ai suoi rappresentanti il nostro mondo ha ela-borato leggende difficili da sradicare. Schiuma della terra per molti, de-positari di una cultura antimoderna, autonoma e ricca di suggestioni per

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    altri, la vita delle popolazioni nomadi percepita come completamenteestranea alla nostra. Vincoli comunitari e/o familistici, radicato attacca-mento alle tradizioni e alla propria particolarit culturale fanno di questepopolazioni una curiosit antropologica tanto odiata quanto amata ma,

    in ogni caso, ascrivibile a un altro mondo. La storia qui raccontata mettein luce una realt pi prosaica e assai veritiera, dove la retorica della co-munit, della tradizione e del conservatorismo culturale funzionale allagestione e alla conservazione dei rapporti di forza e di potere da parte dichi mantiene il controllo e il dominio sulla propria gente.Nel suo racconto il ragazzo nomade insiste particolarmente sul doppiosignificato assunto dallevasione dal Cpt: innanzitutto, ovviamente, lafuoriuscita dal centro di reclusione, inoltre, meno scontata, la fuga e le-

    mancipazione dal suo passato di nomade attraverso le scelte maturatedurante la permanenza nel Cpt. Nel momento in cui, unendosi a ungruppo di prigionieri dellEst europeo, il ragazzo varca illegalmente la so-glia del lager, il suo atto dinsubordinazione due volte fuorilegge: per ilpotere legittimo e per quello comunitario. a questo punto che i tratti difondo della forma-campo delle popolazioni nomadi assumono contornipi nitidi e inquietanti. La stretta relazione tra i rappresentanti del poterelocale (il consiglio del campo) e il potere statale emerge in tutta la sua evi-

    denza. il consiglio stesso che, di fronte alle minacce di abbattimentodel campo da parte degli apparati del potere legittimo, consegna unaquota della propria popolazione alla deportazione, secondo una logicache richiama alla mente quella seguita dalle comunit ebraiche nei con-fronti del potere nazista. Tuttavia, se il comportamento del potere comu-nitario a dir poco riprovevole, non meno colpevole appare il potere le-gale che in tali circostanze attinge a piene mani, senza troppe remore, almodello nazista. I nomadi non sono solo stranieri ma anche zingari, e per

    questo doppiamente colpevoli; una situazione da cui impossibile eman-ciparsi. Conquistata attraverso levasione la condizione dorfano e di in-dividuo senza vincoli, se non quelli liberamente scelti, ridefinisce la pro-pria esistenza secondo una dimensione che ricorda assai da vicino quelladel proscritto.

    Nel secondo capitolo, lautobiografia di un giovane sudamericanomostra uno spaccato che richiama alla mente iframes che hanno dato fa-ma internazionale a uno scrittore come James Ellroy. Lo scenario una

    citt del Nord Italia dove stampa, televisioni e politici imputano il climadinsicurezza imperante allazione delle gang sudamericane , indicandolenon soltanto come le maggiori responsabili dei reati predatori, ma comepotenti e feroci organizzazioni a capo del traffico di cocaina, quando, inrealt, gran parte delle attivit illegali in mano ad attori istituzionali che,

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    in virt del proprio potere e forti delle coperture garantite da settori im-portanti della societ legittima, dettano le regole.

    Pi avanti nel racconto assistiamo allesplorazione di mondi forse me-no avventurosi dei precedenti ma non per questo meno duri e spietati,

    che ci mostrano uno spaccato a trecentosessanta gradi della condizionemigrante. Colpisce la situazione lavorativa di molti clandestini, sottopostia orari flessibili e senza regole in cui spesso, per ricevere un salario giabbondantemente decurtato dalla condizione di illegalit, si pu solomettere mano al coltello. Finire inghiottiti da un Cpt una delle pochepossibilit che la condizione obiettivamente non facile di migrante offre;tuttavia, il Cpt non in grado dinibire le capacit di resistenza dei mi-granti, ma anzi ottiene leffetto contrario.

    Per non abbandonare un fratello fatto prigioniero, la persona cheracconta e il suo piccolo gruppo ne seguono le tracce fino alla citt in cui stato deportato, chiedendosi come essergli daiuto. Inizia cos unespe-rienza di lotta e di cooperazione con altri fratelli di strada che, a parti-re dalla condivisione delle difficolt, si trovano costretti a radicali tra-sformazioni. In questo percorso gioca un ruolo importante il rapportocon soggetti e associazioni politiche italiane, di cui lautore del raccontofornisce uninteressante disamina. Il nocciolo della questione emerge nel

    momento in cui il fratello evade dal Cpt; intorno alla sorte dellevasosinnesca uno scontro di potere con i rappresentanti legittimi della co-munit, che rivelano quanto poco unitari e omogenei siano, contraria-mente alle logiche care ai multiculturalisti, i mondi dellimmigrazione, equanto feroci le lotte che li attraversano.

    Il terzo capitolo evidenzia la dimensione globale del mondo dellim-migrazione. A raccontarsi un nero africano, militante, in patria, in ungruppo politico armato contrario al corrotto regime filoccidentale. Ricer-

    cato a causa di uno scontro a fuoco con le forze speciali, ripara in Francia,da dove deve per allontanarsi: la negazione dello status di rifugiato loporta alla condizione di clandestino; approda cos in Italia, dove trova la-voro facilmente proprio in virt del suo essere clandestino. qui che lin-treccio fra mercato, politica, gestione della sicurezza pubblica e istituzio-ne dei Cpt si svela al meglio. Improvvisamente, in seguito alle agitazioniche ha contribuito a fomentare sul luogo di lavoro, la sua condizione di-venta insostenibile: se il clandestino si ribella, scatta limmancabile de-

    portazione. Tuttavia, come sovente accade, quando il popolo solleva latesta non ci sono reti, mura, celle, n ricorso alla violenza fisica e psicolo-gica che possano smorzarne lazione. Allinterno del Cpt il percorso in-trapreso sul posto di lavoro si radicalizza, e levasione ne costituisce ilgiusto corollario.

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    La partita per ben lungi dal chiudersi, e la semplice cronaca diunevasione rivela tratti sociologici fondamentali. Nascosto presso unapiccola comunit di fratelli neri, il gruppo costretto a misurarsi con iconflitti peculiari delle periferie metropolitane, luoghi dove la destra ra-

    dicale ha forte presa. In questo contesto lo scontro con la white under-class diventa pressoch inevitabile, pena il soccombere della stessa comu-nit africana. Ma linteresse sociologico non si ferma qui: emerge che perquote consistenti di popolazione il continuo gioco di attraversamenti tramondi legali e illegali lo stile di vita abituale, e il business della cocaina edel gioco dazzardo sono parte integrante della vita quotidiana nonchfonti di reddito non secondarie. Proprio in questo modo, attraverso unaserie di azioni che possono apparire eccessive o incredibili solo a coloro

    che del paese reale hanno unidea a dir poco approssimativa, il gruppo ri-solver i suoi problemi logistici.Il quarto capitolo il racconto di un ragazzo arabo e fotografa al me-

    glio la condizione di gran parte dei giovani migranti, indipendentementedal paese di provenienza: sullo sfondo del loro progetto migratorionon vi altro che laccesso al mondo del consumo, vissuto dai pi comeuna vera e propria ossessione. Laici e consumisti, i giovani arabi si scon-trano ben presto con una realt che non lascia spazio alle rosee aspettati-

    ve iniziali. Arrivati in Occidente, sono immediatamente messi al lavoro inuna delle innumerevoli attivit produttive dove il confine tra plusvalorerelativo e assoluto conosce un felice meticciato. Sotto la stretta sorve-glianza di uno zio che si ritagliato uno spazio nella nostra societ, il ra-gazzo si ritrova a cucire jeans e pantaloni per dieci o dodici ore al giorno,con un salario irrisorio, su commissione di alcune rinomate aziende ita-liane. In una condizione lavorativa e di vita che nulla ha da invidiare a uncampo di concentramento, il giovane matura la rivolta che lo porter a re-

    cidere ogni legame con la propria famiglia e con gli ambiti pi rispettabilidella comunit di provenienza. Inizia cos un percorso attraverso luoghi emondi sociali diversi, nei quali interpreta di volta in volta personaggi di-versi: operaio, piccolo spacciatore, ladro, pastore, factotum in un agritu-rismo e addetto alla cura dei cavalli. Come spesso capita, in seguito a unfatto del tutto contingente si ritrova coinvolto in una retata, imprigionatoe trasferito in un Cpt, dove la sua vita conosce una svolta. Tra i prigionierivi unfedayin, che diventa ben presto il suo principale punto di riferi-

    mento. Lapprodo al movimento della piccola jihad(paragonabile allateologia della liberazione di stampo cristiano) cambia radicalmente il suomodo di vivere, consentendogli di guardare con occhi diversi le esperien-ze passate e abbracciare un ideale cui votarsi per la vita.

    A questo punto i tratti della realt dei Cpt, e soprattutto di chi vi de-

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    stinato, si delineano con chiarezza. Emerge come la forma-campo possasolo in parte essere assunta nella sua dimensione territorializzata: pi rea-listicamente, i Cpt sono articolazioni locali di un progetto che disciplinale popolazioni non occidentali, una strategia di controllo globale.

    sembrato pertanto opportuno verificare questa ipotesi di lettura,volgendo lo sguardo oltre i confini nazionali. LAlbania, a tal proposito,ci apparso lambito pi adatto, ed proprio nellautobiografia della ra-gazza albanese protagonista del quinto capitolo che la forma-campo rive-la una progettualit globale. Dopo una breve quanto intensa infatuazioneper lo stile di vita occidentale, alimentata dalla famelica visione dei pro-grammi televisivi italiani, che la porta ad accogliere con entusiasmo larri-vo degli imprenditori stranieri, la ragazza deve presto fare i conti con una

    realt che ha ben poco di fiabesco. Rapita da un gruppo di contractor incerca di manodopera per una delle tante fabbriche europee sorte comefunghi nel paese conosce la condizione di lavoratrice coatta, ma questo solo linizio. La guerra umanitaria riversa nellarea soldati, contractor,mercenari e una sfilza di personale civile addetto alle pi svariate mansio-ni. Per lei e molte altre giovani si schiudono i recinti delle fabbriche,mentre si spalancano quelli dei bordelli: la presenza di soldati genera unarichiesta di sesso per mantenere il benessere umorale e psicologico delle

    truppe. Inizia cos la sua esperienza coatta di sex worker, finch riescea riguadagnarsi la libert.La sua storia mostra con precisione come il modello politico neocolo-

    niale sia la cornice in cui lera globale inscrive tempo ed esistenza di granparte della popolazione mondiale, estranea allo status di cittadino occi-dentale. Tale modello ci porta ad abbandonare gli ambiti angusti dei con-fini nazionali, proiettandoci in scenari pi ampi.

    Nel sesto capitolo, attraverso interviste ad attori sociali privilegiati

    militari e contractor impegnati su vari fronti di guerra si cerca di tirarele somme di ci che stato evidenziato dalle singole autobiografie. Se,come appare nel corso della ricerca, i Cpt hanno ben poco doccasionalee locale e sono invece da inquadrare allinterno di un pi generale proget-to di messa in sicurezza e disciplinamento di cospicue quote di popola-zione globale, bisogna volgere lo sguardo l dove tale progetto raggiungei suoi massimi livelli. I racconti sono quanto mai eloquenti e non necessi-tano di particolari introduzioni o interpretazioni, tuttavia importante

    sottolineare un aspetto: molti intervistati si soffermano sul carattere glo-bale della guerra in atto, che, retoriche sullo scontro di civilt e la lotta alterrorismo a parte, ha come posta in gioco lassoggettamento e la schia-vit lavorativa di cospicue quote di popolazione definibili unicamentecome masse senza volto. Una condizione che sembra destinata a esten-

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    dersi anche a parti rilevanti di popolazione occidentale. In questottica,forse cinica ma realista, la questione dei Cpt ben lontana dallessere uncoup dtat, una pura anomalia allinterno del corpo giuridico occidenta-le: piuttosto lapripista eccezionale in grado di produrre nuovi modelli

    normativi. Sotto tale aspetto, le interviste sono ben pi interessanti perci che prefigurano che per quanto registrano.

    Sul metodo

    Con la sola esclusione dellultimo capitolo, ascrivibile ampiamente al-lambito della ricerca sociologica di tipo qualitativo, il resto del volume

    ha fatto sue fino alle estreme conseguenze le tecniche della ricerca etno-grafica. La voce degli attori sociali pertanto lunica ad apparire nel te-sto. Il ricercatore si limitato a interagire con i diversi io narrante e a dareforma alle loro parole. Il vero lavoro stato fatto a monte, discutendo emettendo a fuoco con gli interlocutori la cornice del progetto. Successi-vamente si trattato di dare una veste letteraria ai brogliacci raccolti; sequestultimo passaggio facilmente liquidabile, poich si tratta di unamera questione tecnica la scelta di un genere di scrittura invece di un

    altro pi complessa la prima parte del lavoro, dove le scelte fatte dalricercatore diventano decisive. Non tutte le storie dei migranti parlano dilotta e resistenza, affermarlo sarebbe al contempo ingenuo e stolto. Tut-tavia tali storie esistono, e a fronte del silenzio nel quale sono relegate sembrato opportuno narrarle. Del resto, il compito di ogni lavoro scienti-fico provare a spiegare qualcosa del e sul mondo, sapendo tuttaviaquanto sia tenue e patetica la linea di confine che separa loggettivitdel lavoro scientifico dalla sfera delle idiosincrasie o dei valori ultimi.

    Le autobiografie possono suscitare alcuni dubbi e interrogativi. Unodi questi attiene al loro grado dattendibilit, nel momento in cui, per ov-vi motivi, non possono che essere presentate in veste anonima. Pur congli inevitabili problemi e limiti che un lavoro svolto in simili circostanze siporta appresso, alcune verifiche, per, stato pur sempre possibile effet-tuarle, confrontando i racconti con episodi di cronaca molto noti. Il pri-mo riscontro rappresentato dagli eventi dai quali la ricerca prende lemosse: lotte ed evasioni sono realmente accadute nei Cpt durante il pe-

    riodo esaminato, dando forma a un forte movimento di solidariet, comesono reali i fatti e lambito sociale allinterno dei quali si sono consumati.Appurata la veridicit del contesto, possibile fare lo stesso con i par-

    ticolari messi in luce dalle autobiografie. Molte cose raccontate dal giova-ne nomade, per esempio, sono accadute a Bologna e lesistenza di bande

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    di proscritti che, stando al suo racconto, assaltano banche, gioiellerie efurgoni blindati per poi trovare rifugio in qualche zona impervia del cao-tico mondo dei Balcani cosa pi che nota. Anche nel caso del giovanesudamericano le verifiche non sono state difficili. Lo scenario ricorda

    molto da vicino quanto accaduto di recente a Genova dove, in seguito aunoperazione della guardia di finanza, sono emerse a carico di alcuni po-liziotti ipotesi di reato simili a quelle che fanno da sfondo al suo racconto.Quanto sia precaria e ricattabile la condizione lavorativa del proletariatomigrante ampiamente noto. Dallautobiografia del giovane nero emer-gono elementi che riempiono quotidianamente le pagine dei giornali: lapresenza in Africa di movimenti anticolonialisti e antimperialisti che sioppongono al dominio delle multinazionali e dei loro governi fantoccio

    di pubblico dominio, se non altro perch ultimamente alcuni nostri con-nazionali sono stati fatti prigionieri da uno di essi. Appartenere a un mo-vimento di guerriglia comporta una serie di rischi e leventualit di doverriparare allestero. La voracit che le aziende, prone alle logiche del mer-cato globale, mostrano nei confronti di una forza lavoro privata di dirittie garanzie risaputa, cos come la facilit con cui ogni giorno si muore sullavoro o si va incontro a gravi infortuni, in special modo nei cantieri edili.Lautobiografia del giovane nero fotografa una realt che ha ben poco

    dincredibile, e il conflitto con alcuni settori della popolazione biancanon ha nulla di fantasioso o improbabile, basti pensare al clima che vigein alcune zone dellimmenso territorio metropolitano romano. Anche inquesto caso, quindi, un certo numero di riscontri conforta lattendibilitdel racconto. Lo stesso vale per lautobiografia del ragazzo arabo. Il fasci-no esercitato dai consumi sui giovani migranti stato ampiamente di-scusso e analizzato dalle scienze sociali, cos come cosa nota il prolifera-re delle fabbriche del sudore anche allinterno dei mondi occidentali;

    la riscoperta dellislam nel mondo dellemigrazione araba in Occidentenon certo uno scoop.Infine, sufficiente sfogliare gli studi sulla politica coloniale imperia-

    lista delle nazioni civilizzatrici per rendersi conto che il racconto dellagiovane albanese, nella sua drammaticit, altro non che la routine cheaccompagna ogni impresa militare. Sui paradisi erotici dislocati ai con-fini del mondo cosiddetto civile esistono intere biblioteche.

    Il lettore che vorr approfondire gli argomenti trattati trover alla fine

    del volume una bibliografia. Lapparato di immagini riveste altrettantaimportanza e va considerato parte integrante del testo, attraverso di essoinfatti si cercato di visualizzare le trasformazioni alle quali gli individuipervengono tramite la prassi o, come si sarebbe detto in tempi non lonta-ni, di riaffermare che non si tratta di considerare le donne e gli uomini

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    per ci che sono o credono di essere ma per quello che saranno obbligatia essere e a fare.

    Il lavoro, iniziato nellestate 2005 e concluso nellautunno 2006, haportato a raccogliere una discreta mole di materiale, molto del quale non

    stato utilizzato. Via via che si aggiungevano nuovi elementi, molti luo-ghi comuni sullimmigrazione andavano in frantumi. A fronte dei suoniflebili e in fondo rassicuranti pronunciati dallimmigrato in stile Zio Tom gli unici a trovare eco nelle nostre societ altri toni stavano prendendoforma e consistenza. Molti fattori inducevano a un parallelismo con la si-tuazione che, una quarantina danni fa, sfoci nella rivolta del ghetto ne-ro di Watts. In quelloccasione, davanti al disorientamento in cui era pre-cipitata la polizia nello scoprire allimprovviso un popolo determinato a

    resistere e a contrattaccare, un abitante del ghetto si rivolse ai poliziottiammonendoli con fare serafico: Questa non una passeggiata, questo il Vietnam. Quella rivolta segn un duplice passaggio nella storia delmovimento dei neri afroamericani, da un lato prefigurando la nascita diun movimento politico autonomo, il Black Panther Party, e dallaltromettendo in fuga quella parte di popolazione bianca carica s di buonisentimenti, ma che mal sintegrava in uno scenario che si era lasciato allespalle educate e lacrimevoli petizioni. Con i dovuti distinguo, le lotte de-

    gli immigrati contro i Cpt dellestate-autunno 2005 sembrano avere pro-dotto qualcosa di simile, e le autobiografie raccolte, almeno in parte, loconfermano.

    Il libro non sarebbe potuto esistere senza la fattiva complicit dellemasse senza volto che, attraverso lattivazione di una rete sotterranea dicomunicazione, hanno consentito di portare in superficie ci che la so-ciet legittima preferisce nascondere, eludere, reprimere, soffocare. A lo-ro vanno i miei maggiori ringraziamenti. Il testo deve molto anche a Mas-

    similiano Guareschi, Marco Philopat e la redazione di Agenzia X che, ol-tre a darmi la possibilit di pubblicare, hanno discusso, criticato, incorag-giato e corretto, ben al di l del consueto lavoro di revisione e correzione,il libro che il lettore ha tra le mani. A loro un ringraziamento non solo dimaniera. Mentre la ricerca era in corso, in Francia divampava la rivoltadelle banlieues, in cui parti cospicue di masse senza volto hanno datovita alla pi imponente insorgenza di massa dal basso dellera globale.

    Sullo sfondo di tali avvenimenti si verificata lennesima morte di due invi-sibili, Bouna Traor e Zyed Benna, morti per niente in seguito a uno degliabitualiratissage scatenati dalle forze di polizia francesi.Il libro dedicato a loro.

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    Foto di Bruna Orlandi

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    1.Il proscritto

    Il campo

    Di solito si finisce in un Cpt per sfiga, perch ti trovi nel posto sbagliatoal momento sbagliato. Per me e gli altri miei amici non andata cos. Cisiamo finiti perch lhanno deciso gli anziani. La nostra libert in cam-bio della salvezza del campo. Questa non una novit, la regola chefunziona al nostro interno. La vita del campo dipende sempre da quelloche decidono fuori, la tua la condizione di un ostaggio che non sar

    mai liberato perch non potr mai pagare nessun riscatto, visto che nonha nulla da dare in cambio. Sei lostaggio ideale per chiunque, le tue col-pe sono talmente tante che c solo limbarazzo della scelta. Sei un no-made e il resto viene di conseguenza. Cos, se lopinione pubblica iniziaa premere oppure qualche poliziotto ha bisogno, per storie sue, di farvedere che si sbatte sul serio per la sicurezza o per la guerra alla crimina-lit, oppure, specialmente se c qualche elezione in vista, se la politicaha bisogno di far vedere che agisce, dato che le azioni sui nomadi fannosempre un buon effetto, qualche provvedimento contro di te viene pre-so di sicuro. come se tu fossi l apposta.

    Ultimamente la situazione peggiorata, per il semplice fatto che lanostra presenza disturbava. Il campo si allargato perch sono arrivati

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    dei gruppi dallEst e quindi abbiamo cominciato a essere in troppi e,per forza di cose, pi visibili. Ma forse questo solo un aspetto della vi-cenda. Fino a quando eravamo in pochi cera pi tolleranza, perch civedevano come dei resti di una specie in via destinzione e quindi vive-

    vamo in una situazione semiprotetta. Larrivo di altri gruppi ha rotto le-quilibrio, che comunque sempre stato molto precario, perch finchsei in pochi puoi passare per una curiosit, ma se il numero aumenta co-minciano a entrare in gioco altre cose, altre paure, altre paranoie.

    La nuova giunta comunale sembrava non aspettare altro e ci ha subi-to minacciato, o tornavamo quelli di prima o radevano al suolo il cam-po. Una decisione che nel campo stata discussa ma che non era tantofacile da prendere. I nuovi arrivati scappavano dai paesi dellEst Euro-

    pa dove, per noi, la situazione si fatta molto difficile. Secondo i rac-conti che senti si creata una situazione non tanto distante da quella delperiodo nazista. In questi paesi, fino a un po di anni fa, i rapporti con leautorit erano decenti, poi tutto precipitato e la caccia al nomade ri-cominciata nelle sue forme peggiori. Questo grazie alla copertura che igoverni e la polizia danno ai gruppi razzisti che attaccano e incendiano inostri campi. Anche in Germania la situazione invivibile. Anzi, permolti aspetti la Germania diventata, per noi e da quello che ho sentito

    per gli immigrati in generale, uno dei posti peggiori. La Germania pernoi sempre stata un posto per niente ospitale. I racconti che si sonotramandati fra le generazioni dicono chiaramente che il nostro stermi-nio considerato una vicenda pi che giustificata. Una cosa che, anchese non in quel modo, te la ritrovi un po dappertutto. Gli zingari uccisinei campi di sterminio sono stati grosso modo tre milioni, ma sono mor-ti sui quali nessuno o quasi ha speso una sola parola. C un episodiopiccolo ma credo significativo che non dimenticher mai. successo aGenova qualche tempo fa. Lo stesso giorno in cui in citt si celebravalOlocausto, una ricorrenza che riguarda tanto noi quanto gli ebrei.Proprio mentre si svolgevano cerimonie di tutti i tipi, ovviamente senzamai parlare di noi, stato distrutto il nostro campo di Bolzaneto, dovestavano dei miei parenti, poi hanno preso la gente e lhanno deportata.Forse non tutti sanno che cosa vuol dire essere deportati. Magari pensa-no sia solo una forma di viaggio particolare. Essere deportati vuol diretrovarsi circondati da uomini armati che entrano dentro la tua casa,rompono e distruggono tutto quello che trovano, ti allineano e ti conta-no come se fossi un branco di mucche o di pecore, ti mettono in filaspingendoti con i manganelli e ti cacciano via. In mezzo a tutto questo cisono gli insulti, le battute, gli scherzi su di te e la tua gente. Qualche vol-

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    ta, cos, tanto per far capire chi comanda o per puro divertimento, volaqualche bastonata. Nessuno, nonostante tutte le belle parole sul giornodella memoria, si mai sognato di dirne una sola su quello che ci stavasuccedendo. La nostra deportazione stata presentata, e anche questa

    una storia vecchia come il mondo, come unoperazione per la sicurezzadella citt. Quindi, per noi, vale interamente il detto che tutto il mondo paese. Ma torniamo alla Germania.

    I campi sono tutti sistemati nelle parti meno visibili e pi periferichedelle citt, dove pi o meno sei a contatto con un certo tipo di popola-zione che non sicuramente quella con i soldi, gente che non se la passabene. Questo ha scatenato lodio contro gli stranieri e i nomadi. Se perloro le cose vanno male la colpa nostra, come se noi ce la passassimo

    bene. In questi posti i gruppi nazisti sono tanti e la polizia non solo li co-pre e li protegge, ma sono gli stessi poliziotti a far parte di questi gruppi.Quindi da quelle zone un continuo emigrare verso altri paesi e non facile trovare una sistemazione per tutti. Per un po il campo ha smistatodei gruppi in altri accampamenti. Pi di tanto non si poteva fare. Nelfrattempo la giunta comunale continuava a fare pressioni e minacce.

    La scusa, non troppo originale perch labbiamo sentita non soquante volte, era che il campo fosse un focolaio di criminalit, disordi-

    ne, vandalismo oltre che il solito luogo malsano, non igienico, dove infe-zioni e malattie si sviluppavano con una certa facilit, mettendo in peri-colo la salute dellintera citt. In pi, non siamo un bel vedere, la gentenon ha voglia di affacciarsi alle finestre oppure scendere in strada ed es-sere costretta a guardarci. La nostra vita un continuo cercare di tirarea campare con meno danni possibili, cercando di restare invisibili. Que-sto comporta un certo rapporto con lesterno basato sulla sottomissio-ne, un rapporto che nessuno si sognerebbe mai di mettere in discussio-ne. Anche perch non sarebbe facile farlo. Il campo un luogo moltodebole, facile da attaccare e da smembrare. Dentro ci abitano vecchi,bambini, donne e quindi resistere e difenderlo complicato, ci sono deiproblemi che difficile affrontare e che capisco benissimo non si posso-no risolvere soltanto incazzandosi e facendosi trasportare dalla rabbiadel momento. Questo chiaro, per io penso che se ti metti in testa difare qualcosa il modo prima o poi lo trovi. Per farlo devi cambiare il tuomodo di vedere le cose, dire: ok le cose stanno cos, ma io voglio che tut-to continui ad andare in questo modo? Cosa posso fare e come devomuovermi per cambiare la situazione? Certo, un atteggiamento del ge-nere comporta dei rischi, probabilmente allinizio saranno pi gli insuc-cessi che le vittorie, ma con una scelta di questo tipo si offre una speran-

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    za, una possibilit, si indica che possibile smettere di vivere continua-mente in fuga e nel terrore. La vita di un nomade puoi guardarla come tipare, ma alla fine cos. La ribellione non esiste e se qualcuno cominciaa parlarne, a dire che bisogna muoversi, reagire, fare qualcosa, al campo

    fanno di tutto per togliertelo dalla testa. Forse anche perch i pi anzia-ni ricordano bene che le risposte a ogni minimo tentativo di ribellionehanno scatenato una violenza impossibile da dimenticare. Una storiache non nasce ieri, che ha lasciato i suoi segni e che oggi non troppodiversa da altri periodi.

    Ogni anno c sempre un buon numero di nomadi morti, uccisi nellamaniera pi stupida, quasi sempre con una pallottola nella schiena esempre per niente. In certi posti la caccia al nomade sempre aperta.

    Meglio essere un fagiano o una lepre, perch loro se non altro possonoessere impallinati solo in certi periodi, noi sempre. Lidea della morte,per noi, ovvia e normale, se sei un nomade puoi morire in qualunquemomento, a qualunque et, basta solo che un gruppo di coglioni nonabbia nientaltro di meglio da fare che lanciarti una molotov contro laroulotte o la baracca, che qualcuno vada in paranoia perch sei troppovicino a casa sua e cos, senza pensarci due volte, mette mano al fucile oalla pistola, oppure che uno sbirro abbia voglia di fare un po di tiro a

    segno. Ma puoi morire anche per questioni pi stupide, per esempiouna bronchite che diventa polmonite. Anche questi morti, apparente-mente naturali, per malattia come si dice, sono degli omicidi maschera-ti. I bambini, gli anziani, i pi deboli non muoiono per cause naturali,ma le cause naturali sono le conseguenze della situazione di debolezzain cui noi viviamo. difficile ignorare tutto questo e quindi al campoogni discorso di ribellione guardato male fino a isolarti da tutto e datutti, un deterrente che finisce quasi sempre per avere gli effetti voluti edetermina una situazione che non facile da sostenere, perch vuol direnon avere pi rapporti con nessuno. E il campo vive sulla solidariet de-gli abitanti e la messa in comune di tutto. In questo modo ogni idea diresistenza e ribellione va a farsi fottere in fretta, ma questa solo unaparte del problema, poi ci sono le gerarchie interne con le loro respon-sabilit che mantengono la situazione cos com.

    Hanno trovato un modo di convivere non troppo bene ma neppuretroppo male, almeno se paragoniamo la loro situazione a quella di tuttigli altri. Visto da fuori forse non facile capirlo, ma devi provare a guar-dare il mondo dal nostro punto di vista e allora forse qualcosa ti diven-ter pi chiaro. La nostra vita ha senso solo dentro al campo, fuori noinon viviamo, non abbiamo rapporti veri con nessuno, quando usciamo

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    sempre per fare qualcosa di utile per il campo. Tutto inizia e finisce in-torno al campo e alle sue esigenze. Avere il potere dentro al campo, rico-prire un ruolo di prestigio per un nomade vuol dire essere come un re. Elo sei perch tutti ti considerano tale. Tutto passa attraverso te, la tua

    approvazione o il tuo divieto, dalle cose pi banali a quelle pi impor-tanti. In pi, se sei un capo, senza fare niente ti spetta la parte pi ricca,ti arriva perch un tuo diritto. Ma forse non neppure questo laspet-to determinante. La cosa che conta di pi quella di essere unautoritindiscussa, tutti si devono sottomettere, nessuno lo pu ignorare. Sequalcuno, di fronte a un divieto, decide di fare di testa sua, col campoha chiuso e quindi ha chiuso con tutto, perch per noi il mondo deicampi il mondo intero. Non ci sono altre realt in cui possiamo vivere

    o inserirci. Tutto si gioca allinterno di questa rete che non ha confini,nel senso che li intendete voi, ma ne ha altri che per molti versi sono an-cora pi rigidi e marcati di una qualsiasi frontiera. Quindi non puoineanche trasferirti in un altro posto e lasciarti alle spalle lincidente. Do-ve vai te lo porti dietro. Ribellarsi alle autorit del campo consideratauna cosa molto grave. Se tu hai uno scazzo che ti porta a rompere con ilconsiglio della tua comunit non rimane un fatto circoscritto, ma diven-ta una questione per lintera comunit indipendentemente da dove si

    trovi in quel momento. Un affronto, una rottura quindi, non ha mai del-le ricadute limitate al luogo dove sei ma ti mettono fuori da tutta la co-munit, ovunque essa sia.

    Per essere accolto da qualche altra parte devi prima accettare la pu-nizione. Per essere riammesso in comunit devi fare un atto di sottomis-sione ai capi del campo, non importa quale, ma che non lasci nessun ti-po di equivoco. Hai rotto una gerarchia e adesso la devi ricomporre. Sitratta di un potere invisibile, senza smagliature, riconosciuto da tutti,che gioca sul fatto, siccome molto difficile mettere in piedi qualcosa didiverso, qualcosa che metta in discussione quellautorit e che sia ingrado di cambiare le tue condizioni, che alla fine tutti devono ricono-scere quel potere invisibile, sapendo che senza quello le cose potrebbe-ro andare solo peggio. vero, non ci sono soluzioni, e per questo tuttiaccettano le loro decisioni sulla sorte di tutti, sia per le cose interne e an-cor pi nel rapporto con le autorit esterne. In fondo il male minore,c tutto il peso della tradizione, del rispetto per la nostra cultura, e for-se questi sono ancora gli impedimenti pi importanti.

    Se le vai a vedere bene sono tutte cazzate che ti raccontano come sevenissero chiss da dove, ma poi, se non ti lasci incantare dai discorsi, tiaccorgi subito che sono tutte balle. Le tradizioni sono solo quello che,

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    in quel momento, serve a chi comanda per importi delle cose. Invece didire brutalmente: le cose stanno cos perch mio interesse che tuttovada e funzioni in questo modo, nascondono questo loro interesse mol-to pratico e concreto dietro alle favole della tradizione. Il discorso che

    praticamente ti senti fare questo: le cose vanno cos, non perch sonoio o noi che abbiamo interesse a farle funzionare in questo modo, per-ch per noi tanta manna, ma la nostra cultura, sono le nostre tradi-zioni, il modo di essere della nostra comunit a volere che le cose sianoorganizzate in questo modo. Detta cos sembra quasi che loro comanda-no per fare un favore agli altri e non perch ci sguazzano dentro. Ovvia-mente, tanto per dirti la presa per il culo che c, basta pensare chequando a qualcuno serve che le cose si mettano in un certo modo, la tra-

    dizione cambia. Cio, come in tutte le cose possibile girarle in un mo-do oppure in un altro. Loro se le aggiustano ogni volta come gli convie-ne. In ogni caso, mettila come vuoi, questo andazzo crea una situazionedi dipendenza totale dalla quale difficile liberarsi.

    Noi ci siamo ritrovati in tanti, internati nel Cpt, perch in quel mo-mento per accontentare lopinione pubblica ci volevano un po di fermie di arresti. Una scelta quasi obbligata, visto che il sindaco aveva gimesso in allarme le ruspe. Quindi solo unoperazione di un certo tipo e

    di un certo impatto poteva fermare il provvedimento. Non che fossesuccesso qualcosa di particolare per giustificare un simile intervento,ma non c mai qualcosa di veramente importante o di grosso che mettein moto certi meccanismi. Si pu pensare a una causa e quindi a un ef-fetto, ma non cos. Il problema molto pi stupido, ma anche perquesto senza soluzioni. E se guardi bene non c neppure una logica oun cervello malato che decide di fare delle cose piuttosto che altre. Tifaccio un esempio molto semplice. In certe parti della citt ci sono leputtane. Ci sono tutte le sere. Lo sanno tutti, col viavai che c. nor-male. Ogni tanto, diciamo una volta ogni dieci giorni, pu esserci unpo di casino. Qualche gruppo che si prende con un altro, qualche via-dos aggredito dalle donne perch gli porta via un sacco di clienti. Cosecos. Poi qualcuno, un giornalista, un politico, un qualche comitato delcazzo comincia a dire qualcosa su quella zona. Qualcun altro gli va die-tro, la cosa monta, arriva anche la televisione, tutti cominciano a parlar-ne e quella che fino al giorno prima era una situazione normale a forzadi essere raccontata diventa una cosa di dimensioni fantastiche. La cosacomincia a montare, a crescere e ad assumere degli aspetti che non esi-stono. Nessuno guarda pi alle cose come stanno, non sembra nemme-no pi di abitare nella stessa citt. Invece di una rissa tra puttane e via-

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    dos, dove al massimo salta fuori qualche bastone o forse un coltello odue, sembra che in citt ormai si sparino colpi di mortaio come se nien-te fosse, e che in certe zone senza giubbotto antiproiettile meglio nonpassare. Il bello che, dopo qualche giorno, la gente finisce per scam-

    biare per realt tutto quello che raccontano i giornali e la televisione.Da qui nasce un delirio dietro laltro e tutti fanno a gara per riportare lasituazione sotto controllo. Allora nascono le leggende, tutti ci credonoe poi vogliono anche trovare rimedi e soluzioni. Ti faccio un altro esem-pio che ci riguarda pi da vicino: se fino al giorno prima fare il lavavetrio chiedere lelemosina era solo una cosa che poteva dare fastidio a qual-cuno, allimprovviso i lavavetri diventano dei rapinatori mascherati chestanno ai semafori pronti a rubare a quelli che passano, e le donne che

    chiedono lelemosina delle rapitrici di bambini travestite da mendican-ti. Il bello che tutti credono che le cose stiano veramente cos. Cosiniziano le operazioni per la sicurezza della citt. E a quel punto scatta-no le retate.

    Quando al mattino la polizia arriva al campo, tutti sanno in anticipochi sar portato via. Le cose sono gi state decise dai capi. La scelta rica-de sempre sui pi giovani, perch le autorit non vogliono consegnareprede da poco: gli anziani non vanno bene perch gli sbirri, i giornalisti

    e le televisioni vogliono far vedere i risultati di una caccia ben riuscita eun gruppo di anziani non farebbe il loro gioco. Per noi nomadi tuttoquesto vissuto come una fatalit, qualcosa che non puoi sfuggire. Unacondizione normale che adesso sta peggiorando, perch oltre a noi cisono tutti gli altri immigrati. Abbiamo fatto bingo, e le sfighe che aveva-mo sono raddoppiate. Se almeno fossimo diventati anche noi immigratie basta le cose non andrebbero bene ma neppure cos male, perch oltreai nomadi adesso ci sono gli immigrati, cos su di noi adesso ci sono imaltrattamenti vecchi e quelli nuovi. Perch verso i nomadi anche gliimmigrati non si comportano tanto diversamente dagli italiani. Se comenomadi dovessimo giocare un campionato di calcio ci ammetterebberosolo in terza categoria, e senza possibilit di promozione. Una condizio-ne dinferiorit che ci portiamo sempre dietro e che si riflette anche neirapporti con gli immigrati. Dentro al Cpt questa condizione la vedevimolto bene, perch nessuno voleva avere a che fare con te. Il nomade quello pi emarginato. Le guardie, gli operatori e gli altri internati ticonsiderano una cosa a parte e continuano a trattarti da nomade, ciocome una cosa da niente.

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    Lotta e fuga

    Come ti ho detto, essere nomadi ha molte conseguenze su come gli altriti guardano e ti vedono, nel senso che gli altri non fanno nemmeno lo

    sforzo di guardarti sul serio ma vedono quello che hanno gi in testa,cio che sei un nomade e questa cosa la dice tutta senza bisogno di ag-giungere altro. Sul modo in cui tu, in quanto nomade, ti rapporti agli al-tri e ancora di pi su come affronti una situazione. Questa la cosa che,secondo me, importante raccontare. Il fatto di essere nomadi ha com-portato fin dallinizio la nostra esclusione dallorganizzazione della lottanel Cpt. Allo stesso modo noi, quasi per confermare quello che gli altripensano di noi, cercavamo di tenerci fuori dai casini. E cos tutto veniva

    confermato. Gli stessi sbirri e operatori ci trattavano diversamente. Perloro non eravamo neppure degni di attenzione. I nomadi non sono peri-colosi, sono parassiti, lo ripetevano in continuazione, ma lo siamo a talpunto da non avere neppure il coraggio e le palle per procurare dei di-sordini. Gli albanesi sono feroci, gli arabi infidi e vendicativi, i sudame-ricani dei piantagrane, i neri dei ribelli nati, ma i nomadi non sono nien-te. Tutti gli altri sono bestie s, ma feroci, noi siamo solo insetti, zanzarefastidiose che non meritano neppure troppa attenzione. Noi facciamo

    anche molto per rafforzare questo modo di essere visti e considerati.Labitudine a sopportare, a considerare che non possibile cambiare lecose e quindi ad accettarle cos come sono, accontentandoci di soprav-vivere un giorno dopo laltro, una cosa che ci portiamo dentro, fa par-te della nostra educazione, e non facile scrollarsela di dosso. Fin dapiccoli impariamo che non ci sono possibilit se non quelle di rispettarele gerarchie allinterno del campo e ancor pi quelle allesterno, e den-tro questa gabbia possiamo solo cercare di trovare qualche buco dove

    sopravvivere meglio che si pu. Ti insegnano che il mondo organizza-to dentro certe gerarchie alle quali bisogna sottostare e obbedire. La fa-vola che il popolo nomade un popolo libero, insofferente a ogni ordi-ne e disciplina, non altro che una bella storia che nessuno ha mai visto.Non c nulla di pi ordinato, gerarchico e disciplinato di una comu-nit. O forse di una comunit debole e senza grandi mezzi come la no-stra. Per fartela breve, quando dentro al Cpt alcuni hanno iniziato a ri-bellarsi e a mettere in piedi forme di resistenza organizzate con rapportianche con lesterno, noi non solo non ci siamo stati dentro, ma nessunosi minimamente sognato di venirci a chiedere se la cosa poteva in qual-che modo riguardarci. Era come se non esistessimo, tutti lo davano perscontato. Una valutazione non del tutto sbagliata, perch fra di noi nes-

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    suno sembrava volersi immischiare in quelle storie. Daltra parte dalcampo gli ordini che ci arrivavano non erano certo molto incoraggianti,anzi quello che ci veniva richiesto andava in tuttaltra direzione.

    Al campo doveva esserci andato qualche pezzo grosso, perch quello

    che ci chiedevano non lasciava molto spazio allimmaginazione. In cittcera molta attenzione e preoccupazione per la piega che le cose stavanoprendendo dentro al Cpt. Lisolamento dal mondo esterno era stato rot-to e questo preoccupava le autorit. Lo vedevi bene da come le cose era-no cambiate. Il fatto che tutto quello che succedeva l dentro rimbalzas-se immediatamente fuori, aveva subito cambiato latteggiamento deiporci. Le provocazioni continue e i pestaggi erano cessati. Fino a quelmomento atti di ribellione ce nerano stati, ma sempre per rispondere a

    qualche cosa che ti veniva fatta, o a qualcosa di troppo, e allora nascevala reazione. Non cera una strategia, unorganizzazione e soprattuttonon cera nessuna consapevolezza di quello che facevi. Non si andava ol-tre la reazione momentanea a quello che loro ti facevano ingoiare. Eranoloro ad agire e tu che provavi a difenderti. La cosa, a un certo punto, hainiziato a rovesciarsi: eri tu che imponevi a loro dove e quando scontrar-ti. Eri tu ad attaccare e loro a difendersi. Questo stato un cambio dimentalit che venuto un po per volta. Si capito che per ottenere

    qualcosa non possibile muoversi come caproni e soprattutto che se sivogliono raggiungere dei risultati devi essere tu a determinare landazzodelle cose, e non subirle limitandoti a reagire. Questa limpressioneche ho subito avuto, un aspetto molto importante perch mette i porciin una condizione di aperto disagio. La loro forza, cosa non cos facile dacapire subito, non solo dovuta ai manganelli, le pistole, i mitra e tutto ilresto, che anche se certamente contano non sono tutto. La loro vera for-za soprattutto la superiorit psicologica, cio il rapporto di superioritche instaurano con te. questo, supportato da mitra e manganelli, che limette in una certa posizione, perch grazie a questo rapporto di forzahanno gi vinto prima di combattere, perch dentro di te sai che puoisolo perdere e al massimo puoi scegliere in che modo.

    Dentro al campo io pensavo, forse in maniera un po confusa, pro-prio a queste cose. Pensavo che per resistere e provare a rovesciare la si-tuazione per prima cosa si doveva cambiare mentalit e il modo di af-frontare le cose. Era da l che bisognava partire e non, come invece disolito succedeva ogni volta che il discorso finiva su questi argomenti,dalla loro forza e dalla nostra debolezza. Mettersi a ragionare avendocome metro di paragone la potenza che, in tutti i sensi, i porci possonomettere in campo un modo che non ti porta da nessuna parte, tal-

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    mente ovvio che c ben poco da dire. Il problema invece di vedere,partendo da questa banale constatazione, in che modo puoi smarcartida queste dinamiche e agire in modo che loro non siano pi in grado difar valere la loro superiorit. Quindi il vero problema non misurarti

    con i porci sul loro terreno perch, ovviamente, l non hai scampo. Alcontrario, se sei tu a prendere liniziativa e a metterli in difficolt, maga-ri un modo per venirne fuori. Una cosa mica tanto difficile da capire.Anche se su un piano diverso quello che succede nel calcio: a domina-re la partita la squadra che obbliga laltra a seguire i suoi ritmi e i suoitempi. Chi riesce a farlo forse non ha la vittoria in tasca, ma ha buoneprobabilit di ottenerla. In ogni caso non finisce schiacciato dal giocodegli avversari. Il calcio non mica tanto diverso dalla vita. una guer-

    ra, come lo la vita, e le regole e i meccanismi che trovi sul campo digioco sono applicabili nelle storie di tutti i giorni. Nel calcio come orga-nizzi il gioco tutto, poi se hai anche il fuoriclasse tanto di guadagnatoma lorganizzazione del gioco, il collettivo a essere determinante e afarti vincere. Soprattutto, quello che ti consente di vincere anche incondizioni tecniche di inferiorit non accettare di confrontarti sul pia-no delle qualit tecniche. Se lavversario ha tanti giocatori in grado disaltare luomo tu non puoi pensare di fare luno contro uno, ma devi or-

    ganizzarti per un costante raddoppio delle marcature e sfinirlo con ilpressing. A quel punto tutta la sua tecnica in gran parte inutilizzabile.

    Sono cose che avevo in testa, ma che non riuscivo a tradurre in unaproposta chiara e quindi ogni volta che provavo a mettermi contro ledecisioni del consiglio venivo facilmente zittito. La cosa importante cheho imparato nel periodo in cui sono stato rinchiuso nel Cpt stata quel-la di mettere in pratica, oltre a capirle un po meglio, le cose che avevoin testa, ma che non riuscivo a capire chiaramente. Questo successosoprattutto perch alcuni hanno imposto a tutti un certo modo di fare,dando una forma organizzata e disciplinata alle tante tensioni che ognigiorno si manifestavano. Fino a poco tempo prima tutte queste cose era-no lasciate a se stesse e provocavano delle manifestazioni interne che ve-nivano facilmente represse e controllate. Un gruppo o un singolo co-minciava a fare casino su questo o su quello, scoppiava un altro casino,ma un piccolo incendio dove basta un estintore, e tutto finiva l. A uncerto punto le cose sono cambiate e la maggior parte ha iniziato a muo-versi seguendo unaltra logica e diversi criteri. Questo, evidentemente, stato avvertito dagli sbirri e dai politici come un pericolo da controllare.Per non era cos facile riuscirci, perch lorganizzazione allinterno delCpt sempre stata clandestina. I veri leader, che gestivano tutto lappa-

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    rato logistico interno e i rapporti con lesterno, non erano quelli che siesponevano maggiormente, erano anzi assolutamente invisibili. Io li hoconosciuti solo quando sono entrato a tutti gli effetti nel progetto delle-vasione, quando ormai ero completamente dentro alla storia. Fino ad

    allora, come tutti, pensavo che i leader fossero quelli che si facevano no-tare di pi, e invece poi ho scoperto che il ruolo di questi era molto me-no importante di quanto a prima vista poteva sembrare. Questa unal-tra cosa che ho maturato. Per ottenere risultati occorrono calma, tempoe pazienza. Io prima mi facevo prendere dalle cose e mi veniva daffron-tarle sempre di petto, mettendomi in mostra e soprattutto pensandoche tutto si poteva risolvere con una fiammata, invece le cose sono di-verse, pi difficili e complicate. Devi sempre ragionare e pensare alle

    conseguenze, tenere presente che i porci possono fare una ripartenza ese ti fai trovare scoperto sei fottuto. Chi ha pi palle, pi capacit, chi in grado di prendere decisioni, valutare le situazioni e saper organizzarele cose, non deve mai esporsi. Pi uno ha le palle e pi deve sembrareanonimo e innocuo. Se ti metti in mostra con gli sbirri gli fai solo un re-galo. Infatti non ci stavano capendo niente e hanno pensato che noi no-madi potevamo fargli un bel regalo. Cos, giocando come al solito sul ri-catto, hanno chiesto al consiglio del campo di dargli una mano. Ci sta-

    to ordinato di ascoltare e osservare con attenzione quello che accadevadentro e individuare gli uomini che stavano facendo nascere tutti queiproblemi.

    La minaccia, ancora una volta, era quella delle ruspe. Noi fino a quelmomento ci eravamo comportati come al solito, ce ne stavamo per con-to nostro a guardare quello che succedeva evitando il pi possibile di es-sere in qualche modo coinvolti. Devo dire che qualche contrasto al no-stro interno era gi nato. Io e un altro, quello che poi scappato una set-timana dopo di me, avevamo cominciato a prendere le distanze dallanostra comunit e ad avere rapporti di amicizia soprattutto con ungruppetto dellEst, quello che teneva in mano la situazione. Si eranoconquistati legemonia grazie a due cose. La prima era dovuta alla forzache potevano mettere in campo. Erano un gruppo compatto, con parec-chi legami esterni, e un paio di loro aveva alle spalle delle storie non daquattro soldi. Questo gli dava parecchio prestigio davanti a tutti. La se-conda cosa era che avevano messo fine alle guerre interne che spesso evolentieri scoppiavano fra i diversi gruppi di prigionieri. Erano fre-quenti gli scontri per chi contava di pi, e molte volte questo portava aldominio di qualche gruppo sugli altri, con tutta una serie di conseguen-ze. Racket sulle cose e confisca dei soldi che avevi. Con loro la situazio-

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    ne era cambiata, dopo che si erano scontrati con un gruppo che per unpo aveva fatto il bello e il cattivo tempo.

    Lo avevano fatto in un modo che non lasciava dubbi sulla loro forzae pericolosit, sputtanando completamente i loro capi. Come sono an-

    date le cose lo hanno visto tutti, anche perch quelli ci tenevano a rende-re molto vistosa e pubblica la caduta dei due piccoli boss. Non si sono li-mitati a buttarli gi dal piedistallo. Li hanno umiliati di fronte a tutti e,da quel momento, non hanno avuto neppure pi la faccia di farsi vederein giro, altro che portarti via le sigarette e il mangiare. Qualcosa quelgiorno doveva succedere, lo respiravi nellaria. Laria ti parla, una cosache chi vive sulla strada impara velocemente. Quando una situazione tesa, particolare, quando qualcosa bolle in pentola, nellaria ci sono del-

    le cose, delle particelle che ti mettono in guardia. come se ti dicessero:stai in campana e preparati al peggio. Quel giorno quel tipo di messaggili sentivi chiaramente. I due boss, con il loro gruppo, si stavano muoven-do, facevano ogni tipo di prepotenza che gli saltava in testa. Cos, senzamotivo, solo per il piacere di dominare e far capire che loro erano i pa-droni della situazione. A un certo punto uno di quelli dellEst si fattoavanti da solo, mentre il suo gruppo era pronto a intervenire, anche seera rimasto un po dietro, quasi in disparte. Ivan, chiamiamolo cos, co-

    me se stesse facendo una passeggiata sotto i portici avanzato dritto inmezzo a loro, senza accennare minimamente a rallentare, come se nonesistessero. A un certo punto limpatto era inevitabile. Ivan ha fatto unpasso indietro e ha colpito il primo con un calcio al fegato e il secondocon una gomitata alla tempia, senza dargli il tempo di prendere i coltelli.Il tutto avvenuto in una frazione di secondo che ha lasciato tutti a boc-ca aperta, me compreso. Senza scomporsi troppo Ivan ha continuato acolpire tirando dei calci sulla bocca dello stomaco a tutti e due che, aquel punto, hanno iniziato a vomitare mostrando di non avere n forza,n intenzione di provare a reagire. Gli altri di quel gruppo, anche se sivedeva che erano parecchio titubanti, hanno cercato di abbozzare unareazione, ma nessuno sembrava intenzionato ad arrivare per primo sottoa Ivan. Lui si era messo in modo tale che un attacco in gruppo non erapossibile, loro cercavano di individuare una via di uscita ma non la tro-vavano. Qualcuno ha iniziato ad avvicinarsi, anche se rimaneva abba-stanza lontano dal raggio dazione delle sue gambe, avevano le lame inmano ma arrivargli sotto non era una cosa facile. Allimprovviso Ivan,senza dire una parola, si limitato ad alzare una mano come per dirgliche era meglio per loro fermarsi doverano. Un suggerimento che quellihanno preso al volo. Poi si tirato gi la cerniera dei jeans e si messo a

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    pisciare sulla testa dei due piccoli boss che erano rimasti a terra doloran-ti e in mezzo al loro vomito. Finita loperazione, sempre con una calma adir poco inquietante, gli ha fatto cenno che potevano venirseli a prende-re dandogli un avvertimento: non fatevi pi vedere in giro. Da questo

    momento voi non esistete pi. Un altro suggerimento che hanno raccol-to al volo, si sono messi la coda in mezzo alle gambe e non hanno piavuto il coraggio di farsi vedere e ancor meno sentire in giro. Chiara-mente da quel momento molte cose sono cambiate.

    Per me quellesperienza stata molto importante, probabilmente inquel momento ho trovato quello che avevo sempre cercato, un modo divivere che fino ad allora mi sembrava potesse esistere solo al cinema.Quel film lo avevo a portata di mano, e non avevo nessuna voglia di far-

    melo scappare, figuriamoci se potevo pensare dinfamare proprio quelliche erano un mito diventato realt. Fra di noi non siamo stati in molti apensarla cos, anzi. Ci siamo trovati di fronte a una realt molto distanteda quella abituale. un gioco pi duro che non faceva parte della no-stra esperienza, e anche quelli che in linea di principio sarebbero statidaccordo con le richieste che venivano dal campo, cio collaborare conle autorit, nel momento in cui avrebbero dovuto farlo non se la sonosentita. E cos iniziano a passare informazioni sbagliate, dicono che

    quelli del gruppetto che comandava prima sono i caporioni delle lotte edelle rivolte, salvando cos capra e cavoli. Danno uninformazione veraa met. Al campo sono contenti e dentro non rischiano conseguenze.Quelli ormai sono belli che fottuti e non sono pi in grado di far paura anessuno. Io e un altro cominciamo ad avere rapporti pi stretti e fre-quenti con il gruppo di Ivan.

    In quel momento inizia il mio cambiamento di pelle. Non facilissi-mo perch tutti i condizionamenti di una vita ti saltano fuori in conti-nuazione, ma ho preso la mia decisione e voglio portarla avanti a qua-lunque costo. Il breve periodo in cui rimango rinchiuso nel Cpt diventaimportantissimo per me, lintero modo di affrontare il mondo cominciaa cambiare. Partecipo a tutto quello che succede e questo comporta larottura con la gran parte del mio gruppo. Loro non approvano il miomodo di fare e di comportarmi. Pensano alle ricadute che tutto questopotr avere sulla vita del campo, non riescono a immaginare che io ab-bia deciso di prendere unaltra strada, che forse continuer a essere unnomade ma a modo mio, con le mie regole. Per loro questo impensa-bile. Ancora pochi giorni prima della fuga mi avevano avvicinato percercare di farmi ragionare. Secondo loro mi stavo mettendo nei guai,guai grossi, e non me ne rendevo conto. Non capivano che erano pro-

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    prio quel tipo di guai che io cercavo e volevo. Non glielo dico aperta-mente e tanto meno gli lascio intendere cosa stia bollendo in pentola.Gli dico che non sto facendo nulla di strano e che sono loro a ingrandirele cose. Si tratta di fare solo un po di casino, poi tutto torner come pri-

    ma. Nessuno sospetta che il po di casino sar un botto da far paura.Perch questa la cosa che stiamo preparando. Non vogliamo soloscappare, ma ridicolizzarli e prenderci una grossa rivincita per tuttoquello che abbiamo subito e dimostrare a chiunque che sempre possi-bile, se ci si muove in un certo modo, rovesciare le situazioni. Non cnulla di assoluto, di definito una volta per tutte, ma esistono situazionipi o meno difficili con le quali ti devi misurare. Alla fine, se le cose van-no in un modo o nellaltro dipende anche da te, da come ti muovi.

    Il vero salto c quando si comincia a parlare e a pensare seriamenteallevasione. A molti questo potr sembrare anche una cosa ovvia, seuno prigioniero normale che pensi a scappare, ma non lo affattoper un nomade. Intanto un nomade pu vivere solo in un campo noma-di e non ha altri posti dove andare. Pu stare in montagna, nei giardini,ma alla fine pu solo tornare in un campo. Non importa quale, pu an-che spostarsi di cinquecento o mille chilometri, ma la sua meta sar co-munque un campo. I campi sono strettamente collegati fra loro e quello

    che vale da una parte vale dallaltra. Se io scappo, dovunque finisco soche mi consegneranno. una cosa risaputa, solo gli stupidi la possonoignorare. Certo, se nessuno ti cerca o fa pressioni in quel senso puoi an-che vivere abbastanza tranquillo, il campo non ti vende perch gli piacefare queste cose, lo fa se costretto, altrimenti ti accoglie e fino a un cer-to punto ti protegge. Bisogna vedere cosa hai combinato e quanto inte-resse c su di te.

    Non tanto tempo fa certi nomadi avevano fatto una cazzata in unavilla nel meridione e poi se nerano scappati su, verso il nord, andandosia nascondere nei vari campi. Nel giro di una settimana li hanno beccatitutti, perch il reato per cui erano ricercati era grosso e dappertutto, dalconsiglio del campo dove quelli vivevano, era arrivato lordine di infor-mare gli sbirri appena uno di questi metteva piede in un qualunque ac-campamento. Te la puoi cavare se scappi per un furtarello o uno scippo,ma se la cosa un po pi seria non hai scampo. Unevasione dal Cptnon sarebbe passata certo inosservata. E poi, cos come la stavamo orga-nizzando, la storia era bella tosta, avrebbe liberato un gran numero dipersone e quindi le conseguenze sarebbero state pesanti. Stavamo pro-gettando di far scappare quasi tutti. inutile che entri nei dettagli per-ch il piano non ha smarronato e potrebbe venire bene unaltra volta.

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    Tutti i nostri preparativi sono andati in fumo perch, dopo esserestati provocati, un gruppo di prigionieri ha reagito agli sbirri. Parte unarissa, la situazione precipita e in pochi minuti dobbiamo prendere unadecisione. Se scoppia la rivolta tutto il piano va a monte, ma le cose a

    quel punto sono andate troppo avanti ed era difficile farle rientrare.Lordine di stare calmi era stato dato e rispettato da tutti, ma gli sbirristavano cercando un pretesto per fare una mattanza, perci avevamopensato subito alle conseguenze. Con ogni probabilit ci avrebbero di-visi, trasferiti in giro per lItalia, buttato allaria tutto, vanificando cos illavoro preparatorio. Decidiamo allistante, non possibile aspettare,dobbiamo andarcene anche senza la copertura esterna che avevamoprevisto. Per me non si trattava semplicemente di andare fuori, ma di

    chiudere definitivamente con tutto quello che ero stato fino a quel mo-mento. Fuori mi aspettava qualcosa di pi della libert, mi aspettavauna vita che non conoscevo. Ho avuto anche un momento di titubanza,non facile rompere definitivamente con il tuo passato, anche perchsapevo che quella strada era senza ritorno. Per un attimo le gambe micedono, mi prende un senso di nausea, poi per sono entrato in azione enon mi sono fermato pi. Vicino al cancello dingresso, intanto, lo scon-tro era diventato bello consistente. Siamo partiti di corsa buttandoci

    nella mischia. Nessuno per ha immaginato quale fosse la nostra idea. stata una decisione improvvisa, ma non cerano alternative e cos certi,che stavano preparando levasione da tempo, sono rimasti tagliati fuori.Era una questione di attimi, non potevamo fare altrimenti.

    Dopo un po di corpo a corpo con le guardie la confusione e la du-rezza dello scontro sono aumentati. Era il momento giusto. Ci siamoguardati negli occhi e siamo partiti di corsa. Usciti dalla mischia ci sia-mo buttati sullingresso travolgendo gli agenti. Siamo fuori. Dopo qual-che decina di metri ci dividiamo a gruppi di due, qualche minuto e sia-mo lontani. Non stata una cosa preparata, il problema era non farci in-dividuare per qualche ora, il tempo di mettersi in contatto con qualcu-no e arrivare a una casa. Con il mio compagno di fuga passiamo da unmezzo pubblico allaltro. Alla sera siamo al sicuro. Qualche giorno do-po un altro gruppo scappa utilizzando un vecchio piano di fuga che ave-vamo ideato allinizio, quando pensavamo di andarcene senza troppoclamore, ma che poi avevamo scartato perch non garantiva una com-pleta riuscita. Avevamo visto giusto. Un gruppo infatti ce lha fatta, mapi della met sono rimasti bloccati allinterno, proprio per questo la-vevamo scartato. Sono fuori, libero, ma non tutto cos semplice. Glialtri dentro quella situazione si sentono tranquilli e a loro agio, ma per

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    me tutto nuovo, difficile da gestire. Ero abituato a scappare, era tuttala vita che scappavo, ma quello era un modo diverso di scappare. Lanotte stessa tutti cominciano a parlare di come andarsi a cercare nuoviguai, e non erano guai da poco.

    Clandestino

    Lidea di abbandonare il campo era maturata nel momento in cui, unavolta rinchiuso nel Cpt, mi ero schierato da una parte rompendo con imiei e con un certo modo di fare. Non avevo pi storia n passato. Unavolta evaso sono diventato clandestino per tutti e tutto. come se la mia

    vita fosse incominciata in quel momento. La mia gente mi considera unrinnegato e mi ha messo al bando, con quello che ho fatto e per quelloche sono diventato in mezzo a loro non cera pi posto. Una decisioneche i capi hanno fatto bene a prendere perch adesso non mi terrei pi iloro rimproveri e le loro lavate di testa, ma risolverei la situazione pun-tandogli il cannone alla testa, e senza troppi scrupoli premerei il grillet-to. Forse non so bene dove mi porter la vita che ho scelto, ma almenodi una cosa sono certo: non avr mai pi padroni. Nessuno potr pi

    permettersi di dirmi cosa devo o non devo fare e se ci prova ho abba-stanza armi e munizioni da fargli passare la voglia. E poi, a differenza diprima, non sono solo.

    Mi sono inserito in un gruppo dove siamo tutti fratelli, ci siamo scel-ti a vicenda, non per puro caso, o perch sei nato in un posto invece chein un altro. Uno nasce dove gli capita, non ha scelta, ma non un moti-vo per rimanere legato a un mondo per sempre, accettando vincoli im-posti. Adesso con il mio gruppo ho un legame molto forte, molto pi diquello che avevo nel campo con la famiglia, ed un libero rapporto congli altri per la vita e per la morte. Una cosa che hai deciso tu, un legameimportante che ti rende pieno di orgoglio e dove quello che conta sei tu,chi sei, come ti comporti, e tutto il resto non centra. Fra noi non ci sonocapi, non c chi comanda, o meglio in alcuni momenti c chi ha lauto-rit per decidere e tutti sono obbligati a rispettarla, per esempio io ades-so in certe situazioni ho un potere assoluto, ma unautorit che tutti miriconoscono e che mi hanno dato, il gruppo che decide chi in quel mo-mento ha diritto di comandare sugli altri, non qualcosa di imposto, madovuto al prestigio e alle capacit che quella persona ha dimostrato dipossedere, e non a chiacchiere, ma con i fatti.

    Da noi si acquista prestigio e riconoscimento sulla base delle cose

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    che si fanno, ma senza metterti al di sopra degli altri, ti vengono ricono-sciute delle capacit e quello che ci comporta, per in un clima diuguaglianza. La cosa importante che non esiste essere il figlio, il nipo-te, il parente di questo o quello, non c il peso della famiglia come al

    campo. La nostra famiglia il gruppo e il gruppo la nostra famiglia.Non c padre, madre, fratello o sorella che contano. come se fossimotutti orfani.

    Fra noi c labitudine di discutere e rivedere tutti insieme le coseche si sono fatte, ci possono anche essere delle critiche, una cosa che nelmio mondo era impensabile, anzi il solo pensarlo era considerata unamancanza di rispetto. Adesso puoi dire a uno, senza che la cosa abbiaqualche conseguenza spiacevole, che forse l era meglio fare cos invece

    di come si fatto. Gli si pu dire che ha sbagliato, che ha commesso unerrore, cosa che al campo era considerata una mancanza grave e chenon passava liscia. Per noi importante vedere se ci sono stati errori,cose che potevano essere fatte meglio, inesattezze. Tutto questo senzache si creino problemi o che la cosa venga presa come un affronto. Aprevalere sempre linteresse del gruppo e il gruppo pu vivere solo setutti ne fanno parte allo stesso modo. Noi facciamo assalti a banche,gioiellerie, furgoni blindati e controlliamo un giro di armi piuttosto

    grosso, ma di questo parliamo dopo.La prima grossa soddisfazione che ho avuto stata quella di impara-

    re a usare le armi. Avere unarma in mano e saperla usare ti cambia com-pletamente il modo di stare nel mondo. Da preda diventi cacciatore.Questa una cosa completamente diversa da tutto ci che stata la miavita prima. Soprattutto cambiato il modo di affrontare la vita. Vedi, ioero abituato a vivere come unombra cercando di passare sempre inos-servato. Il mio problema era sempre stato quello di riuscire a essere in-visibile. Una cosa che fa parte di un modo di vivere imparato dentro alcampo fin da quando sei ragazzino. Noi cerchiamo sempre di scivolarein mezzo ai problemi, senza mai affrontarli di petto, come se dovessimosempre chiedere scusa al mondo di esistere. Ecco, questo ci che cambiato. Ti parlavo prima della sensazione che ti d avere un arma inmano. Non facile da spiegare e forse, per capirlo sul serio, bisogna es-sere passati attraverso lesperienza di una vita da nomade, da rom, che unesperienza molto particolare. Per noi prendere unarma in manonon come per la maggior parte delle persone. Di questo me ne sonoreso facilmente conto guardando gli altri del mio gruppo. Per loro por-tare e usare le armi qualcosa che non gli ha cambiato la vita, non ha si-gnificato una rinascita, per me invece andata proprio cos. Sono passa-

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    to da unignoranza praticamente assoluta a essere un vero e proprioesperto, il professionista, come adesso, un po per scherzo, mi chia-mano gli altri. Non mi sono limitato a imparare a usarle, ma loro, le ar-mi, sono diventate una parte di me. Ho iniziato a maneggiare prima le

    armi leggere per poi passare a quelle pi pesanti e anche pi sofisticate,che per essere valorizzate al meglio comportano una conoscenza e unadimestichezza che non si acquisiscono come se niente fosse. Il nostro ar-senale molto vasto, equivale praticamente allequipaggiamento in do-tazione ai gruppi di commando. LEst Europa un immenso mercato diarmi dove si trova di tutto e spesso il meglio di ci che a disposizionenel mondo. Ci sono armi prodotte ovunque, non solo quelle fabbricatenellex Unione Sovietica. I depositi dellUck, per esempio, hanno armi

    prevalentemente occidentali e israeliane. Subito dopo essere evaso hopassato un paio di mesi ad addestrarmi senza dovermi preoccupare diniente. Una volta che sono stato accolto, il gruppo diventato il miomondo e tutto ha iniziato a girare intorno a quello.

    Pochi giorni dopo levasione ci siamo allontanati dallItalia e abbia-mo trovato rifugio in un posto controllato da gruppi che praticamenteagiscono come militari, anche se non lo sono pi. Buona parte di loro hacombattuto nelle guerre che ci sono state, anche se in forma ridotta, o

    continuano a esserci da quelle parti. Ci sono interi territori dove lunicalegge che conta la forza di questi gruppi. Sono temuti da tutti, dai go-verni, ma anche dalle truppe straniere che girano da quelle parti. Il mioaddestramento avvenuto in una piccola citt interamente controllatada noi e da amici nostri. Alexander, il nome ovviamente falso, mi hafatto un discorso molto chiaro: Adesso tu sei uno di noi e devi essere ingrado di fare per gli altri quello che gli altri fanno per te. Ti abbiamo ac-colto perch ci sei piaciuto, si visto subito che sei uno a posto. Perquesto non basta. Noi facciamo una certa vita e per essere allaltezza nonbasta la buona volont, bisogna essere in grado di cavarsela in tutte le si-tuazioni. Ci giochiamo la pelle in continuazione e non possiamo permet-terci leggerezze. Uno sbaglio, per noi, non quasi mai rimediabile.Commettere un errore significa il carcere se va bene oppure, il pi dellevolte, morire sul ciocco. Ora te ne stai qua, senza preoccuparti di niente,fino a quando tutte queste armi per te non avranno pi segreti. Devi im-parare a montarle e rimontarle a occhi chiusi, a maneggiarle con la stessadisinvoltura con cui ti accendi una sigaretta. A quel punto, ho iniziato aentrare nel vivo della mia nuova vita. Fino a quel momento avevo vissutosospeso per aria. Non ero pi una cosa, ma non ero neppure diventatoqualcosaltro, ora mi calavo dentro alla nuova realt a tutti gli effetti.

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    L ho avuto una sensazione importante, perch questa nuova pellemi si modellata addosso, non ho preso unidentit in prestito, io eroquella cosa nuova l, per sempre, in qualunque momento del giorno edella notte. Questo non so se succede a tutti, per per me, che ero abi-

    tuato a vivere tante identit diverse, senza sentirmi a mio agio in nessu-na, stata unesperienza fantastica, grandiosa, alla quale non rinunce-rei per niente al mondo. Prima cosero, e soprattutto cosa dovevo farvedere di essere? Un lavavetri, un mendicante, un lavoratore a giorna-ta, tutto ci era imposto dal fatto che un nomade in un certo modo obbligato a vivere. Perch non hai scelte, non esisti come persona, masolo per il ruolo che devi ricoprire. Le armi sono state la mia nuova pel-le. Non facile imparare a usarle come si deve. Soprattutto non facile

    imparare a usarle per c