Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

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Discorso de Sankara all’ONU le 4 ottobre 1984 New York, 4 ottobre 1984, 39ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Traduzione Marinelle Corregia Presidente, Segretario generale, onorevoli rappresentanti della comunità internazionale. Vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 chilometri quadrati in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere nonostante abbiano alle spalle un quarto di secolo di esistenza come stato sovrano rappresentato alle Nazioni Unite. Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso, sul suolo dei propri antenati, di affermare, d’ora in avanti, se stesso e farsi carico della propria storia – negli aspetti positivi quanto in quelli negativi – senza la minima esitazione. Sono qui, infine, su mandato del Consiglio nazionale della rivoluzione (Cnr) del Burkina Faso, per esprimere il suo punto di vista sui problemi iscritti all’ordine del giorno, che costituiscono una tragica ragnatela di eventi che scuotono dolorosamente le fondamenta del nostro mondo alla fine di questo millennio. Un mondo dove l’umanità è trasformata in circo, lacerata da lotte fra i grandi e i meno grandi, attaccata da bande armate e sottoposta a violenze e saccheggi. Un mondo dove le nazioni agiscono sottraendosi alla giurisdizione internazionale, armando gruppi di banditi che vivono di ruberie e di altri sordidi traffici. Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono un messia né un profeta; non posseggo verità. I miei obiettivi sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo, il popolo del Burkina Faso, con parole semplici, con il linguaggio dei fatti e della chiarezza; e poi, arrivare ad esprimere, a modo mio, la parola del “grande popolo dei diseredati”, di coloro che appartengono a quel mondo che viene sprezzantemente chiamato Terzo mondo. E dire, anche se non riesco a farle comprendere, le ragioni della nostra rivolta. È chiaro il nostro interesse per le Nazioni Unite, ed è nostro diritto essere qui con il vigore e il rigore derivanti dalla chiara consapevolezza dei nostri compiti. Nessuno sarà sorpreso di vederci associare l’ex Alto Volta – oggi Burkina Faso – con questo insieme così denigrato che viene chiamato Terzo mondo, una parola inventata dal resto del mondo al momento dell’indipendenza formale per assicurarsi meglio l’alienazione sulla nostra vita intellettuale, culturale, economica e politica. Noi vogliamo inserirci nel mondo senza giustificare comunque questo inganno della storia, né accettiamo lo status di “entroterra del sazio Occidente”. Affermiamo la nostra consapevolezza di appartenere a un insieme tricontinentale, ci riconosciamo come paese non allineato e siamo profondamente convinti che una solidarietà speciale unisca i tre continenti, Asia, America Latina ed Africa in una lotta contro gli stessi banditi politici e gli stessi sfruttatori economici. Riconoscendoci parte del Terzo mondo vuol dire, parafrasando José Martí, “affermare che sentiamo sulla nostra guancia ogni schiaffo inflitto contro ciascun essere umano ovunque nel mondo”. Finora abbiamo porto l’altra guancia, gli schiaffi sono stati raddoppiati. Ma il cuore del cattivo non si è ammorbidito. Hanno calpestato le verità del giusto. Hanno tradito la parola di Cristo e trasformato la sua croce in mazza. Si sono rivestiti della sua tunica e poi hanno fatto a pezzi i nostri corpi e le nostre anime. Hanno oscurato il suo messaggio. L’hanno occidentalizzato, mentre per

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Discorso de Sankara all’ONU le 4 ottobre 1984

New York, 4 ottobre 1984, 39ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Traduzione Marinelle Corregia

Presidente, Segretario generale, onorevoli rappresentanti della comunità internazionale.

Vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 chilometri quadrati in cui sette milioni di bambini, donne e uomini

si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere nonostante abbiano alle spalle un

quarto di secolo di esistenza come stato sovrano rappresentato alle Nazioni Unite.

Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso, sul suolo dei propri antenati, di affermare, d’ora in avanti,

se stesso e farsi carico della propria storia – negli aspetti positivi quanto in quelli negativi – senza la minima

esitazione.

Sono qui, infine, su mandato del Consiglio nazionale della rivoluzione (Cnr) del Burkina Faso, per esprimere il suo

punto di vista sui problemi iscritti all’ordine del giorno, che costituiscono una tragica ragnatela di eventi che scuotono

dolorosamente le fondamenta del nostro mondo alla fine di questo millennio. Un mondo dove l’umanità è trasformata

in circo, lacerata da lotte fra i grandi e i meno grandi, attaccata da bande armate e sottoposta a violenze e saccheggi.

Un mondo dove le nazioni agiscono sottraendosi alla giurisdizione internazionale, armando gruppi di banditi che

vivono di ruberie e di altri sordidi traffici.

Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono un messia né un profeta; non posseggo verità. I miei obiettivi

sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo, il popolo del Burkina Faso, con parole semplici, con il

linguaggio dei fatti e della chiarezza; e poi, arrivare ad esprimere, a modo mio, la parola del “grande popolo dei

diseredati”, di coloro che appartengono a quel mondo che viene sprezzantemente chiamato Terzo mondo. E dire,

anche se non riesco a farle comprendere, le ragioni della nostra rivolta. È chiaro il nostro interesse per le Nazioni

Unite, ed è nostro diritto essere qui con il vigore e il rigore derivanti dalla chiara consapevolezza dei nostri compiti.

Nessuno sarà sorpreso di vederci associare l’ex Alto Volta – oggi Burkina Faso – con questo insieme così denigrato

che viene chiamato Terzo mondo, una parola inventata dal resto del mondo al momento dell’indipendenza formale

per assicurarsi meglio l’alienazione sulla nostra vita intellettuale, culturale, economica e politica.

Noi vogliamo inserirci nel mondo senza giustificare comunque questo inganno della storia, né accettiamo lo status

di “entroterra del sazio Occidente”. Affermiamo la nostra consapevolezza di appartenere a un insieme tricontinentale,

ci riconosciamo come paese non allineato e siamo profondamente convinti che una solidarietà speciale unisca i tre

continenti, Asia, America Latina ed Africa in una lotta contro gli stessi banditi politici e gli stessi sfruttatori economici.

Riconoscendoci parte del Terzo mondo vuol dire, parafrasando José Martí, “affermare che sentiamo sulla nostra

guancia ogni schiaffo inflitto contro ciascun essere umano ovunque nel mondo”. Finora abbiamo porto l’altra guancia,

gli schiaffi sono stati raddoppiati. Ma il cuore del cattivo non si è ammorbidito. Hanno calpestato le verità del giusto.

Hanno tradito la parola di Cristo e trasformato la sua croce in mazza. Si sono rivestiti della sua tunica e poi hanno

fatto a pezzi i nostri corpi e le nostre anime. Hanno oscurato il suo messaggio. L’hanno occidentalizzato, mentre per

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noi aveva un significato di liberazione universale. Ebbene, i nostri occhi si sono aperti alla lotta di classe, non

riceveremo più schiaffi.

Non c’è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti

i tipi hanno cercato di venderci per vent’anni. Non ci sarà salvezza per noi al di fuori da questo rifiuto, né sviluppo

fuori da una tale rottura. Tutti quei nuovi “intellettuali” emersi dal loro sonno – risvegliati dalla sollevazione di miliardi

di uomini coperti di stracci, atterriti dalla minaccia di questa moltitudine guidata dalla fame che pesa sulla loro

digestione – iniziano a riscrivere i propri discorsi, e ancora una volta ansiosamente cercano concetti miracolosi e

nuove forme di sviluppo per i nostri paesi. Basta leggere i numerosi atti di innumerevoli forum e seminari per

rendersene conto.

Non voglio certo ridicolizzare i pazienti sforzi di intellettuali onesti che, avendo gli occhi per vedere, scoprono le

terribili conseguenze delle devastazioni che ci hanno imposto i cosiddetti “specialisti” dello sviluppo del Terzo mondo. Il

mio timore è che i frutti di tanta energia siano confiscati dai Prospero di tutti i tipi che – con un giro della loro

bacchetta magica – ci rimandano in un mondo di schiavitù in abiti moderni.

Questo mio timore è tanto più giustificato in quanto l’istruita piccola borghesia africana – se non quella di tutto il

Terzo mondo – non è pronta a lasciare i propri privilegi, per pigrizia intellettuale o semplicemente perché ha

assaggiato lo stile di vita occidentale. Così, questi nostri piccolo borghesi dimenticano che ogni vera lotta politica

richiede un rigoroso dibattito, e rifiutano lo sforzo intellettuale per inventare concetti nuovi che siano all’altezza degli

assalti assassini che ci attendono. Consumatori passivi e patetici, essi sguazzano nella terminologia che l’Occidente ha

reso un feticcio, proprio come sguazzano nel whisky e nello champagne occidentali in salotti dalle luci soffuse.

Dopo i concetti di negritudine o di personalità africana, segnati ormai dal tempo, risulta vana la ricerca di idee

veramente nuove prodotte dai cervelli dei nostri “grandi” intellettuali. Il nostro vocabolario e le nostre idee hanno

un’altra provenienza. I nostri professori, i nostri ingegneri ed economisti si accontentano di aggiungervi

semplicemente un po’ di colore – perché spesso le sole cose che si sono riportati indietro dalle università europee

sono le lauree e i loro eleganti aggettivi e superlativi!

È al tempo stesso necessario e urgente che i nostri esperti e chi lavora con la penna imparino che non esiste uno

scrivere neutro. In questi tempi burrascosi non possiamo lasciare ai nemici di ieri e di oggi alcun monopolio sul

pensiero, sull’immaginazione e sulla creatività. Prima che sia troppo tardi – ed è già tardi – questa élite, questi uomini

dell’Africa, del Terzo mondo, devono tornare a casa davvero, cioè tornare alla loro società e alla miseria che abbiamo

ereditato, per comprendere non solo che la lotta per un’ideologia al servizio dei bisogni delle masse diseredate non è

vana, ma che possono diventare credibili a livello internazionale solo divenendo autenticamente creativi, ritraendo

un’immagine veritiera dei propri popoli. Un’immagine che gli permetta di realizzare dei cambiamenti profondi delle

condizioni politiche e sociali e che strappi i nostri paesi dal dominio e dallo sfruttamento stranieri che lasciano i nostri

stati nella bancarotta come unica prospettiva.

È questo che noi, popolo burkinabé, abbiamo capito la notte del 4 agosto 1983, quando le prime stelle hanno

iniziato a scintillare nel cielo della nostra terra. Abbiamo dovuto guidare la rivolta dei contadini che vivevano piegati in

due in una campagna insidiata dal deserto che avanza, abbandonata e stremata dalla sete e dalla fame. Abbiamo

dovuto indirizzare la rivolta delle masse urbane prive di lavoro, frustrate e stanche di vedere le limousine guidate da

élite governative estraniate che offrivano loro solo false soluzioni concepite da cervelli altrui. Abbiamo dovuto dare

un’anima ideologica alle giuste lotte delle masse popolari che si mobilitavano contro il mostro dell’imperialismo.

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Abbiamo dovuto sostituire per sempre i brevi fuochi della rivolta con la rivoluzione, lotta permanente ad ogni forma di

dominazione.

Prima di me, altri hanno spiegato, e senza dubbio altri spiegheranno ancora, quanto è cresciuto l’abisso fra i popoli

ricchi e quelli la cui prima aspirazione è saziare la propria fame e calmare la propria sete, e sopravvivere seguendo e

conservando la propria dignità. Ma è al di là di ogni immaginazione la quantità di “derrate dei poveri che sono andate

a nutrire il bestiame dei nostri ricchi!”

Lo stato che era chiamato Alto Volta è stato uno degli esempi più lampanti di questo processo. Eravamo

l’incredibile concentrato, l’essenza di tutte le tragedie che da sempre colpiscono i cosiddetti paesi in via di sviluppo. Lo

testimonia in modo eloquente l’esempio dell’aiuto estero, tanto sbandierato e presentato, a torto, come la panacea.

Pochi paesi sono stati inondati come il Burkina Faso da ogni immaginabile forma di aiuto. Teoricamente, si suppone

che la cooperazione debba lavorare in favore del nostro sviluppo. Nel caso dell’Alto Volta, potevate cercare a lungo e

invano una traccia di qualunque cosa si potesse chiamare sviluppo. Chi è al potere, per ingenuità o per egoismo di

classe non ha potuto o voluto controllare questo afflusso dall’esterno, e orientarlo in modo da rispondere alle esigenze

del nostro popolo.

Analizzando una tabella pubblicata nel 1983 dal Club del Sahel, con notevole buon senso Jacques Giri concludeva

nel suo libro “Il Sahel domani” che, per i suoi contenuti e i meccanismi che ne reggono il funzionamento, l’aiuto al

Sahel era un aiuto alla mera sopravvivenza. Solo il 30%, sottolinea Giri, di questo aiuto permette al Sahel di vivere.

Secondo Giri, il solo obiettivo dell’aiuto estero è continuare a sviluppare settori non produttivi, imporre pesi

insopportabili ai nostri magri bilanci, disorganizzare le campagne, aumentare il deficit della nostra bilancia

commerciale, accelerare il nostro indebitamento.

Pochi dati bastano a descrivere l’ex Alto Volta. Un paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono

contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un

tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato colui che sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un

medico ogni 50.000 abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%; infine un prodotto interno lordo pro capite di

53.356 franchi CFA, cioè poco più di 100 dollari per abitante. La diagnosi era cupa ai nostri occhi. La causa della

malattia era politica. Solo politica poteva dunque essere la cura. Naturalmente incoraggiamo l’aiuto che ci aiuta a

superare la necessità di aiuti. Ma in generale, la politica dell’aiuto e dell’assistenza internazionale non ha prodotto

altro che disorganizzazione e schiavitù permanente, e ci ha derubati del senso di responsabilità per il nostro territorio

economico, politico e culturale.

Abbiamo scelto di rischiare nuove vie per giungere ad una maggiore felicità. Abbiamo scelto di applicare nuove

tecniche e stiamo cercando forme organizzative più adatte alla nostra civiltà, respingendo duramente e

definitivamente ogni forma di diktat esterno, al fine di creare le condizioni per una dignità pari al nostro valore.

Respingere l’idea di una mera sopravvivenza e alleviare le pressioni insostenibili; liberare le campagne dalla paralisi e

dalla regressione feudale; democratizzare la nostra società, aprire le nostre anime ad un universo di responsabilità

collettiva, per osare inventare l’avvenire. Smontare l’apparato amministrativo per ricostruire una nuova immagine di

dipendente statale; fondere il nostro esercito con il popolo attraverso il lavoro produttivo avendo ben presente che

senza un’educazione politica patriottica, un militare non è nient’altro che un potenziale criminale. Questo è il nostro

programma politico.

Dal punto di vista della pianificazione economica, stiamo imparando a vivere con modestia e siamo pronti ad

affrontare quell’austerità che ci siamo imposti per poter sostenere i nostri ambiziosi progetti. Già ora, grazie a un

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fondo di solidarietà nazionale alimentato da contributi volontari, stiamo cominciando a trovare risposte all’enorme

problema della siccità. Abbiamo sostenuto ed applicato i principi di Alma Ata aumentando il nostro livello dei servizi

sanitari di base. Abbiamo fatto nostra come politica di stato la strategia del GOBI FFF consigliata dall’UNICEF;

pensiamo che le Nazioni Unite dovrebbero utilizzare il proprio ufficio nel Sahel per elaborare piani a medio e lungo

termine che permettano ai paesi che soffrono per la siccità di raggiungere l’autosufficienza alimentare.

In vista del XXI secolo abbiamo lanciato una grande campagna per l’educazione e la formazione dei nostri bambini

in un nuovo tipo di scuola, finanziato da una sezione speciale della nostra lotteria nazionale “istruiamo i nostri

bambini”. E, grazie al lavoro dei Comitati per la difesa della rivoluzione, abbiamo lanciato un vasto progetto di

costruzione di case pubbliche (500 in cinque mesi), strade, piccoli bacini idrici ecc. Il nostro obiettivo economico è

creare una situazione in cui ogni burkinabé possa impiegare le proprie braccia ed il proprio cervello per produrre

abbastanza da garantirsi almeno due pasti al giorno ed acqua potabile.

Promettiamo solennemente che d’ora in avanti nulla in Burkina Faso sarà portato avanti senza la partecipazione

dei burkinabé. D’ora in avanti, saremo tutti noi a ideare e decidere tutto. Non permetteremo altri attentati al nostro

pudore e alla nostra dignità.

Rafforzati da questa convinzione, vorremmo abbracciare con le nostre parole tutti quelli che soffrono e la cui

dignità è calpestata da un pugno di uomini o da un sistema oppressivo.

Chi mi ascolta mi permetta di dire che parlo non solo in nome del mio Burkina Faso, tanto amato, ma anche di

tutti coloro che soffrono in ogni angolo del mondo. Parlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti

perché hanno la pelle nera o perché sono di culture diverse, considerati poco più che animali. Soffro in nome degli

Indiani d’America che sono stati massacrati, schiacciati, umiliati e confinati per secoli in riserve così che non potessero

aspirare ad alcun diritto e la loro cultura non potesse arricchirsi con una benefica unione con le altre, inclusa quella

dell’invasore. Parlo in nome di quanti hanno perso il lavoro, in un sistema che è strutturalmente ingiusto e

congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti.

Parlo in nome delle donne del mondo intero, che soffrono sotto un sistema maschilista che le sfrutta. Per quel che

ci riguarda siano benvenuti tutti i suggerimenti, di qualunque parte del mondo, circa i modi per favorire il pieno

sviluppo della donna burkinabé. In cambio, possiamo condividere con tutti gli altri paesi la nostra esperienza positiva

realizzata con le donne ormai presenti ad ogni livello dell’apparato statale e in tutti gli aspetti della vita sociale

burkinabé. Le donne in lotta proclamano all’unisono con noi che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non

merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione

quando il padrone gli promette libertà. La libertà può essere conquistata solo con la lotta e noi chiamiamo tutte le

nostre sorelle di tutte le razze a sollevarsi e a lottare per conquistare i loro diritti.

Parlo in nome delle madri dei nostri paesi impoveriti che vedono i loro bambini morire di malaria o di diarrea e che

ignorano che esistono per salvarli dei mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo

piuttosto investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il

cui fascino è minacciato dagli eccessi di calorie nei pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel.

Questi mezzi semplici raccomandati dall’OMS e dall’UNICEF abbiamo deciso di adottarli e diffonderli.

Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in

una bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di spesso vetro; la finestra è protetta da inferriate; queste

sono custodite da una guardia con elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può, lui,

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venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha credenziali garantite dalle regole del sistema

capitalistico.

Parlo in nome degli artisti – poeti, pittori, scultori, musicisti, attori – che vedono la propria arte prostituita per le

alchimie dei businessman dello spettacolo. Grido in nome dei giornalisti ridotti sia al silenzio che alla menzogna per

sfuggire alla dura legge della disoccupazione. Protesto in nome degli atleti di tutto il mondo i cui muscoli sono sfruttati

dai sistemi politici o dai moderni mercanti di schiavi.

Il mio paese è la quintessenza di tutte le disgrazie dei popoli, una sintesi dolorosa di tutte le sofferenze

dell’umanità, ma anche e soprattutto una sintesi delle speranze derivanti dalla nostra lotta. Ecco perché ci sentiamo

una sola persona con i malati che scrutano ansiosamente l’orizzonte di una scienza monopolizzata dai mercanti

d’armi. Il mio pensiero va a tutti coloro che sono colpiti dalla distruzione della natura e ai trenta milioni di persone che

muoiono ogni anno abbattute da quella terribile arma chiamata fame.

Come militare non posso dimenticare il soldato che obbedisce agli ordini, il dito sul grilletto e che sa che la

pallottola che sta per partire porta solo un messaggio di morte. Parlo con indignazione a nome dei palestinesi, che

un’umanità disumana ha scelto di sostituire con un altro popolo, solo ieri martirizzato. Il mio pensiero va al valoroso

popolo palestinese, alle famiglie frantumate che vagano per il mondo in cerca di asilo. Coraggiosi, determinati, stoici e

instancabili, i palestinesi ricordano alla coscienza umana la necessità e l’obbligo morale di rispettare i diritti di un

popolo: i palestinesi, con i loro fratelli ebrei, si oppongono al sionismo.

Sono al fianco dei miei fratelli soldati dell’Iran e dell’Iraq che muoiono in una guerra fratricida e suicida, come sono

vicino ai compagni del Nicaragua, i cui porti minati e i villaggi bombardati affrontano il loro destino con tanto coraggio

e lucidità. Soffro con tutti i latinoamericani che faticano e lottano sotto i predatori dell’imperialismo. Sono a fianco dei

popoli dell’Afghanistan e dell’Irlanda, di Grenada e di Timor Est, tutti alla ricerca di una serenità ispirata dalla loro

dignità e dalle leggi della propria cultura. Parlo qui in nome di tutti coloro che cercano invano una tribuna davvero

mondiale dove far sentire la propria voce ed essere presi in considerazione realmente. Molti mi hanno preceduto su

questo palco e altri seguiranno. Però solo alcuni prenderanno le decisioni. Eppure, qui ufficialmente siamo tutti

uguali.

Bene, mi faccio portavoce di tutti coloro che invano cercano un’arena dalla quale essere ascoltati. Sì, vorrei parlare

in nome di tutti gli “abbandonati del mondo”, perché sono un uomo e niente di quello che è umano mi è estraneo. La

nostra rivoluzione in Burkina Faso abbraccia le sfortune di tutti i popoli; vuole ispirarsi alla totalità delle esperienze

umane dall’inizio del mondo. Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo e di tutte le lotte di liberazione

dei popoli del Terzo mondo. I nostri occhi guardano ai profondi sconvolgimenti che hanno trasformato il mondo.

Traiamo insegnamenti dalla rivoluzione americana, le lezioni della sua vittoria contro la dominazione coloniale e le

conseguenze della sua vittoria. Facciamo nostra la dottrina della non ingerenza degli europei negli affari americani e

degli americani negli affari europei. Ciò che Monroe proclamava nel 1823 “l’America agli Americani”, oggi viene da noi

ripreso affermando “l’Africa agli Africani” e “il Burkina Faso ai Burkinabé”. La rivoluzione francese del 1789,

distruggendo le basi dell’assolutismo, ci ha insegnato l’intimo legame che esiste fra diritti umani e diritti dei popoli alla

libertà. La grande rivoluzione d’ottobre del 1917 ha trasformato il mondo, portato il proletariato alla vittoria, scosso le

fondamenta del capitalismo e realizzato i sogni di giustizia della comune di Parigi.

Aperti a tutti i venti di volontà dei popoli e delle loro rivoluzioni, ad avendo appreso anche la lezione di alcuni

terribili fallimenti che hanno portato a tragiche violazioni dei diritti umani, vogliamo prendere da ogni rivoluzione solo

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il suo nocciolo di purezza che ci impedisce di diventare schiavi della realtà di altri, anche quando, dal punto di vista

ideologico, ci ritroviamo con interessi comuni.

Signor presidente, questo inganno non è più possibile. Il nuovo ordine economico mondiale per cui stiamo lottando

e continueremo a lottare può essere raggiunto solo se saremo capaci di fare a pezzi il vecchio ordine che ci ignora; se

occuperemo il posto che ci spetta nell’organizzazione politica internazionale e se, data la nostra importanza nel

mondo, otterremo il diritto di essere parte delle discussioni e delle decisioni che riguardano i meccanismi regolatori del

commercio, dell’economia e del sistema monetario su scala mondiale. Il nuovo ordine economico internazionale non

può che affiancarsi a tutti gli altri diritti dei popoli, – diritto all’indipendenza, all’autodeterminazione nelle forme e

strutture di governo – come il diritto allo sviluppo. Come tutti gli altri diritti dei popoli può essere conquistato solo

nella lotta e attraverso la lotta dei popoli. Non sarà mai il risultato di un atto di generosità di qualche grande potenza.

Continuo a nutrire un’incrollabile fiducia – condivisa dalla grande comunità dei paesi non allineati – che sotto le

grida di dolore dei nostri popoli, il nostro gruppo manterrà la sua coesione, rafforzerà il suo potere di negoziazione

collettivo, troverà alleati fra tutte le nazioni, e insieme a quelli che ci possono ascoltare, inizierà ad organizzare un

sistema di relazioni economiche internazionali realmente nuovo.

Signor Presidente, ho accettato di parlare in questa illustre assemblea perché, malgrado tutte le critiche che le

sono rivolte da alcuni dei membri più importanti, le Nazioni Unite rimangono un forum ideale per le nostre richieste,

un luogo indispensabile di legittimità per tutti i paesi senza voce.

È questo giustamente ciò che il Segretario Generale dell’Onu vuole significare quando scrive: “L’organizzazione

delle Nazioni Unite è unica nel senso che riflette le aspirazioni e le frustrazioni di numerosi paesi e raggruppamenti in

tutto il mondo. Uno dei maggiori meriti dell’Onu è che tutte le nazioni, incluse quelle oppresse e vittime

dell’ingiustizia” – sta parlando di noi – “anche quando devono fronteggiare la dura realtà del potere, possono venire e

trovare una tribuna dove essere ascoltati. Una giusta causa può anche incontrare opposizione o indifferenza, ma

troverà comunque una eco presso le Nazioni Unite; tale caratteristica non è sempre stata apprezzata, tuttavia è

fondamentale”. Non ci può essere migliore definizione del senso e del significato della nostra organizzazione.

C’è quindi la necessità urgente che ciascuno di noi lavori per consolidare le fondamenta dell’Onu e per attribuirgli i

mezzi necessari all’azione. Adottiamo quindi le proposte fatte dal Segretario generale perché possiamo aiutare la

nostra organizzazione a superare i numerosi ostacoli che i grandi poteri le oppongono con tanta solerzia per

screditarla agli occhi dell’opinione pubblica.

Signor presidente, riconosciuti i meriti, benché limitati, della nostra organizzazione, non posso che essere lieto

dell’arrivo di nuovi membri. La delegazione burkinabé dà quindi il benvenuto al 159° membro della nostra

organizzazione, lo stato del Brunei Darussalam. A causa della follia di coloro che, per la stravaganza del destino,

hanno in mano la leadership del mondo, il Movimento dei non allineati – di cui, mi auguro, il Brunei Darussalam farà

presto parte – ha l’obbligo di considerare la lotta per il disarmo un obiettivo permanente, come presupposto essenziale

del nostro diritto allo sviluppo.

A nostro parere, dobbiamo analizzare con cura tutti gli elementi che hanno portato alle calamità che hanno afflitto

il mondo. In questo senso, il presidente Fidel Castro esprimeva in modo mirabile il nostro punto di vista quando, nel

1979, all’apertura del Sesto summit dei non allineati, dichiarava: “Trecento miliardi di dollari sono sufficienti a

costruire 600.000 scuole all’anno per 400 milioni di bambini; oppure 60 milioni di case confortevoli per 300 milioni di

persone; oppure 30.000 ospedali con 18 milioni di letti; oppure 20.000 fabbriche che possono dare lavoro a 20

milioni di lavoratori; oppure a rendere possibile l’irrigazione di 150 milioni di ettari di terra che, con adeguate scelte

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tecniche, possono produrre cibo per un miliardo di persone…”. Se moltiplichiamo queste cifre per dieci – e sono sicuro

che rimarremmo al di sotto della realtà di spesa odierna – ci rendiamo conto di quanto l’umanità sperperi ogni anno

nel settore militare a scapito della pace.

Ecco perché l’indignazione delle masse si trasforma rapidamente in rivolta e in rivoluzione contro le briciole che

vengono loro gettate sotto la forma insultante degli “aiuti”, aiuti spesso legati a condizioni francamente spregevoli. Si

può comprendere infine perché il nostro impegno per lo sviluppo ci chiede di essere dei combattenti per la pace,

sempre.

Promettiamo dunque di lottare per sciogliere le tensioni e introdurre nelle relazioni internazionali principi degni di

un modo di vivere civile, estendendoli a tutte le regioni del mondo. Ciò significa che non possiamo continuare a

vendere passivamente parole. Riaffermiamo la nostra determinazione ad essere proponenti attivi di pace, ad

assumere il nostro posto nella lotta per il disarmo, e infine ad agire come fattori decisivi nella politica internazionale,

liberi dal controllo delle superpotenze, qualunque piano esse possano avere.

La ricerca della pace va di pari passo con la realizzazione dei diritti dei paesi all’indipendenza, dei popoli alla libertà e

delle nazioni all’autodeterminazione. In questo senso il premio più miserabile e terribile – sì, terribile – va assegnato

al Medio Oriente, in termini di arroganza, insolenza e incredibile ostinazione, ad un piccolo paese, Israele, che da più di

venti anni con l’inqualificabile complicità della sua potenza protettrice, gli Stati Uniti, continua a sfidare la comunità

internazionale. Beffa della storia, che solo ieri consegnava gli ebrei all’orrore delle camere a gas, Israele infligge ora

agli altri la sofferenza che ieri fu sua. Israele, il cui popolo amiamo per il suo coraggio e i sacrifici del passato, deve

sapere che le condizioni della propria tranquillità non possono essere raggiunte con la forza delle armi finanziate

dall’estero. Israele deve imparare a diventare una nazione come le altre e con le altre. Oggi, da questo podio,

affermiamo la nostra solidarietà attiva e militante con gli uomini e le donne dello splendido combattivo popolo

palestinese, e ci rincuoriamo sapendo che nessuna sofferenza dura per sempre.

Signor Presidente, quanto alla situazione politica ed economica dell’Africa, nutriamo una profonda preoccupazione

per le pericolose sfide che vengono lanciate ai diritti dei nostri popoli, da parte di alcuni paesi che, sicuri delle proprie

alleanze, si fanno beffe dell’etica internazionale. Naturalmente, abbiamo il diritto di rallegrarci per la decisione di

ritirare le truppe straniere dal Ciad affinché gli abitanti di questo paese, liberi da ingerenze esterne, possano cercare

tra loro nuove vie per porre fine a questa guerra fratricida e, dare al popolo che piange da molte stagioni, i mezzi per

asciugarsi le lacrime.

Tuttavia, malgrado alcuni progressi registrati dai popoli africani nelle lotte all’emancipazione economica, il nostro

continente continua a riflettere la realtà essenziale delle contraddizioni tra le superpotenze, a portare il peso delle

intollerabili e apparentemente infinite tribolazioni del mondo contemporaneo. Riteniamo inaccettabile e condanniamo

incondizionatamente il destino dispensato al popolo del Sahara occidentale dal regno del Marocco che ricorre a tattiche

dilatorie per rinviare il momento inevitabile della restituzione, che il volere del popolo Saharawi imporrà. Dopo aver

visitato personalmente le regioni liberate dai Saharawi, mi è chiaro che nulla potrà impedire il cammino verso la

liberazione totale del paese sotto la guida militante e lungimirante del Fronte Polisario.

Signor Presidente, non parlerò a lungo della questione di Mayotte e delle isole dell’arcipelago Malagasy

(Madagascar). Quando le cose sono ovvie, e quando i principi sono chiari, non c’è bisogno di elaborarli. Mayotte

appartiene alle Isole Comore; le isole dell’arcipelago al Madagascar.

In America Latina, salutiamo l’iniziativa del gruppo di Contadora che costituisce un passo positivo nella ricerca di

una giusta soluzione per una situazione esplosiva. Il comandante Daniel Ortega, a nome del popolo rivoluzionario del

Page 8: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Nicaragua, ha fatto qui proposte concrete ed ha posto questioni di fondo a chi di dovere. Aspettiamo di vedere la pace

nel suo paese e in tutta l’America centrale il prossimo 15 ottobre e dopo il 15 ottobre, e prendiamo l’opinione pubblica

mondiale a testimone di ciò.

Come abbiamo condannato l’aggressione straniera nell’isola di Grenada, condanniamo tutte le invasioni; ecco

perché non possiamo tacere di fronte all’invasione armata dell’Afghanistan.

C’è una questione particolare di una tale gravità da richiedere a ognuno di noi una posizione franca e ferma. Si

tratta, potete immaginarlo, del Sudafrica. L’incredibile insolenza che questo paese ha per tutte le nazioni del mondo,

incluse quelle che sostengono il suo sistema terroristico volto a liquidare fisicamente la maggioranza nera di questo

paese, e il disprezzo con cui accoglie tutte le risoluzioni dell’Assemblea generale costituiscono una delle preoccupazioni

maggiori del mondo contemporaneo.

Ma la cosa più tragica non è che il Sudafrica sia accusato dall’intera comunità internazionale per le sue leggi

apartheid, né che continui illegalmente a tenere la Namibia sotto il suo stivale colonialista e razzista, o che

sottometta impunemente i suoi vicini alla legge del banditismo. No, la cosa più deprecabile e umiliante per la

coscienza umana è che sia divenuta una “banalità” la miseria di milioni di esseri umani che per difendersi non hanno

altro che il loro petto e l’eroismo delle loro mani nude. Certa di poter contare sulla complicità delle grandi potenze, sul

coinvolgimento attivo di alcune di queste e sulla collaborazione di qualche triste leader africano, la minoranza bianca

non si vergogna a deridere i sentimenti dei popoli che nel mondo ritengono intollerabile la crudeltà che ha corso legale

in Sudafrica.

Un tempo si sarebbero formate brigate internazionali per difendere l’onore delle nazioni la cui dignità era

minacciata. Oggi, malgrado le ferite purulente che tutti abbiamo sopportato, votiamo risoluzioni che hanno come

unico potere, ci viene detto, di portare alla ragione un Paese di pirati che “distrugge il sorriso come la grandine

abbatte i fiori”.

Signor presidente, presto ricorrerà il 150° anniversario dell’emancipazione degli schiavi dell’impero britannico. La

mia delegazione sostiene la proposta avanzata da Antigua e Barbuda di commemorare con solennità questo evento

così importante per i paesi africani e per tutti i neri. A nostro avviso, tutto quello che potrà essere fatto, detto e

organizzato nel corso delle cerimonie commemorative dovrebbe sottolineare il terribile prezzo pagato dall’Africa e dagli

africani allo sviluppo della civiltà umana. Un prezzo pagato senza ricevere nulla in cambio e che spiega senza alcun

dubbio la tragedia attualmente in corso nel nostro continente. È il nostro sangue che ha nutrito le radici del

capitalismo, provocando la nostra attuale dipendenza e consolidando il nostro sottosviluppo. La verità non può più

essere nascosta da cifre addomesticate. Dei neri deportati nelle piantagioni, molti sono morti o sono rimasti mutilati.

Per non parlare della devastazione cui è stato sottoposto il nostro continente e delle sue conseguenze.

Signor presidente, se il mondo, grazie a Lei e al nostro Segretariato generale, si convincerà, in occasione di questo

anniversario, di tale verità, comprenderà poi perché, con tutti noi stessi, vogliamo la pace fra le nazioni e perché

sosteniamo e proclamiamo il nostro diritto allo sviluppo nell’uguaglianza assoluta attraverso l’organizzazione e la

ridistribuzione delle risorse umane.

Dal momento che tra tutte le razze umane apparteniamo a quelle che hanno sofferto di più, noi burkinabé

abbiamo giurato di non accettare d’ora in avanti la più piccola ingiustizia nel più piccolo angolo del mondo. È il ricordo

della nostra sofferenza che ci pone vicino all’OLP contro le bande armate israeliane, che ci fa sostenere l’African

National Congress (ANC) e la South West Africa People’s Organization (SWAPO), ritenendo intollerabile la presenza sul

suolo sudafricano di uomini “bianchi” che distruggono il mondo in nome del loro colore. Infine, è sempre questo

Page 9: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

ricordo che ci fa riporre nell’Organizzazione delle Nazioni Unite una fiducia profonda in un dovere comune, in un

compito comune per una comune speranza.

Chiediamo di intensificare la campagna per la liberazione di Nelson Mandela affinché possa essere qui con noi nella

prossima sessione dell’Assemblea generale, testimone del trionfo della nostra dignità collettiva. Chiediamo che, in

ricordo delle nostre sofferenze e nel segno del perdono collettivo, sia creato un Premio internazionale della

riconciliazione umana, da assegnare a chi contribuirà alla difesa dei diritti umani. Proponiamo che il budget destinato

alle ricerche spaziali sia tagliato dell’1%, per devolvere la cifra corrispondente alla ricerca sulla salute e al ripristino

dell’ambiente umano perturbato da tutti questi fuochi d’artificio nocivi all’ecosistema.

Proponiamo anche di rivedere tutta la struttura delle Nazioni Unite per porre fine allo scandalo costituito dal diritto

di veto. È vero che certi effetti più diabolici del suo abuso sono stati controbilanciati dalla vigilanza di alcuni fra gli stati

che detengono il veto. Tuttavia, nulla può giustificare un tale diritto, né le dimensioni di un paese né la sua ricchezza.

Alcuni difendono tale iniquità sostenendo che essa si giustifica con il prezzo pagato durante la Seconda guerra

mondiale. Ma sappiano, questi paesi, che anche noi abbiamo avuto uno zio o un padre che, come migliaia di altri

innocenti, sono stati strappati dal Terzo mondo e inviati a difendere i diritti calpestati dalle orde di Hitler. Anche la

nostra carne porta i solchi delle pallottole naziste. Mettiamo fine all’arroganza delle grandi potenze che non perdono

occasione per rimettere in questione i diritti degli altri popoli. L’assenza dell’Africa dal club di quelli che hanno il diritto

di veto è ingiusta e deve finire.

La mia delegazione non avrebbe assolto al suo compito se non avesse chiesto la sospensione di Israele e

l’espulsione del Sudafrica dalle Nazioni Unite. Quando, con il tempo, questi paesi avranno compiuto le trasformazioni

necessarie a renderli ammissibili nella comunità internazionale, ognuno di noi, e il mio paese per primo, darà loro il

benvenuto e guiderà i loro primi passi.

Vogliamo riaffermare la nostra fiducia nelle Nazioni Unite. Siamo loro grati per il lavoro compiuto dalle loro agenzie

in Burkina Faso e per la loro presenza al nostro fianco mentre stiamo attraversando tempi difficili. Siamo anche grati

ai membri del Consiglio di Sicurezza per averci concesso di presiedere il lavoro del Consiglio per due volte quest’anno.

Possiamo solo augurarci che questo Consiglio adotterà e applicherà il principio della lotta contro lo sterminio per fame

di 30 milioni di esseri umani ogni anno, una distruzione maggiore di quella di una guerra nucleare.

La mia fiducia in questa organizzazione mi porta a ringraziare il Segretario generale Xavier Pérez de Cuellar, per la

sua visita in Burkina, durante la quale ha potuto toccare con mano la dura realtà della nostra esistenza, e farsi un

quadro fedele dell’aridità del Sahel e della tragedia del deserto che avanza. Non potrei terminare senza rendere

omaggio alle eccellenti qualità del nostro presidente (Paul Lusaka dello Zambia) capace di condurre questa 39ª

sessione con la saggezza che gli riconosciamo.

Signor presidente, ho viaggiato per migliaia di chilometri. Sono venuto qui per chiedere a ciascuno di voi di unirvi

in uno sforzo comune perché abbia fine l’arroganza di chi ha torto, svanisca il triste spettacolo dei bambini che

muoiono di fame, sia spazzata via l’ignoranza, vinca la legittima rivolta dei popoli, e tacciano finalmente i suoni di

guerra, e che infine si lotti con una volontà comune per la sopravvivenza dell’umanità. Cantiamo insieme con il

grande poeta Novalis: “Presto le stelle ritorneranno a visitare la terra che lasciarono durante l’era dell’oscurità; il sole

depositerà il suo spettro severo e tornerà ad essere una stella fra le stelle, tutte le razze del mondo torneranno

nuovamente insieme; dopo una lunga separazione, le famiglie rese un tempo orfane saranno riunificate e ogni giorno

sarà un giorno di riunificazione e di rinnovati abbracci; poi gli abitanti dei tempi antichi torneranno sulla terra, in ogni

Page 10: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

tomba si riaccenderanno le spente ceneri; dappertutto le fiamme della vita bruceranno di nuovo, le antiche dimore

saranno ricostruite, i tempi antichi rinasceranno e la storia sarà il sogno di un presente esteso all’eternità”.

La patrie ou la mort, nous vaincrons!

Grazie a tutti

Page 11: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Le 4 octobre 1984, Sankara s’adresse à la Trente-neuvième session de

l’Assemblée générale des Nations Unies. La source de son discours ci-après est

une brochure distribuée par la représentation du Burkina Faso auprès des

Nations Unies. Vous trouverez une version audio du discours à l'adresse

Monsieur le Président, Monsieur le secrétaire Général,

Honorables représentants de la Communauté internationale

Je viens en ces lieux vous apporter le salut fraternel d’un pays de 274000 km²,

où sept millions d’enfants, de femmes et d’hommes, refusent désormais de

mourir d’ignorance, de faim, de soif, tout en n’arrivant pas à vivre véritablement

depuis un quart de siècle d’existence comme Etat souverain, siégeant à l’ONU.

Je viens à cette Trente-neuvième session vous parler au nom d’un peuple qui,

sur la terre de ses ancêtres, a choisi, dorénavant de s’affirmer et d’assumer son

histoire, dans ses aspects positifs, comme dans ses aspects négatifs, sans

complexe aucun.

Je viens enfin, mandaté par le Conseil National de la Révolution (CNR) du

Burkina Faso, pour exprimer les vues de mon peuple concernant les problèmes

inscrits à l’ordre du jour, et qui constituent la trame tragique des évènements

qui fissurent douloureusement les fondements du monde en cette fin du

vingtième siècle. Un monde où l’humanité est transformée en cirque, déchirée

par les luttes entre les grands et les semi-grands, battue par les bandes armées,

soumise aux violences et aux pillages. Un monde où des nations, se soustrayant

à la juridiction internationale, commandent des groupes hors-la-loi, vivant de

rapines, et organisant d’ignobles trafics, le fusil à la main.

Monsieur le Président

Je n’ai pas ici la prétention d’énoncer des dogmes. Je ne suis ni un messie ni un

prophète. Je ne détiens aucune vérité. Ma seule ambition est une double

Page 12: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

aspiration : premièrement, pouvoir, en langage simple, celui de l’évidence et de

la clarté, parler au nom de mon peuple, le peuple du Burkina Faso ;

deuxièmement, parvenir à exprimer aussi, à ma manière, la parole du "Grand

peuple des déshérités", ceux qui appartiennent à ce monde qu’on a

malicieusement baptisé Tiers Monde. Et dire, même si je n’arrive pas à les faire

comprendre, les raisons que nous avons de nous révolter.

Tout cela dénote de l’intérêt que nous portons à l’ONU, les exigences de nos

droits y prenant une vigueur et la rigueur de la claire conscience de nos devoirs.

Nul ne s’étonnera de nous voir associer l’ex Haute-Volta, aujourd’hui le Burkina

Faso, à ce fourre-tout méprisé, le Tiers Monde, que les autres mondes ont

inventé au moment des indépendances formelles pour mieux assurer notre

aliénation culturelle, économique et politique. Nous voulons nous y insérer sans

pour autant justifier cette gigantesque escroquerie de l’Histoire. Encore moins

pour accepter d’être "l’arrière monde d’un Occident repu". Mais pour affirmer la

conscience d’appartenir à un ensemble tricontinental et admettre, en tant que

non-alignés, et avec la densité de nos convictions, qu’une solidarité spéciale unit

ces trois continents d’Asie, d’Amérique latine et d’Afrique dans un même combat

contre les mêmes trafiquants politiques, les mêmes exploiteurs économiques.

Reconnaître donc notre présence au sein du Tiers Monde c’est, pour paraphraser

José Marti, "affirmer que nous sentons sur notre joue tout coup donné à

n’importe quel homme du monde". Nous avons jusqu’ici tendu l’autre joue. Les

gifles ont redoublées. Mais le cœur du méchant ne s’est pas attendri. Ils ont

piétiné la vérité du juste. Du Christ ils ont trahi la parole. Ils ont transformé sa

croix en massue. Et après qu’ils se soient revêtus de sa tunique, ils ont lacéré

nos corps et nos âmes. Ils ont obscurci son message. Ils l’ont occidentalisé

cependant que nous le recevions comme libération universelle. Alors, nos yeux

se sont ouverts à la lutte des classes. Il n’y aura plus de gifles.

Il faut proclamer qu’il ne peut y avoir de salut pour nos peuples que si nous

tournons radicalement le dos à tous les modèles que tous les charlatans de

Page 13: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

même acabit ont essayé de nous vendre vingt années durant. Il ne saurait y

avoir pour nous de salut en dehors de ce refus là. Pas de développement en

dehors de cette rupture.

Du reste, tous les nouveaux "maîtres-à-penser" sortant de leur sommeil,

réveillés par la montée vertigineuse de milliards d’hommes en haillons, effrayés

par la menace que fait peser sur leur digestion cette multitude traquée par la

faim, commencent à remodeler leurs discours et, dans une quête anxieuse,

recherchent une fois de plus en nos lieu et place, des concepts-miracles, de

nouvelles formes de développement pour nos pays. Il suffit pour s’en convaincre

de lire les nombreux actes des innombrables colloques et séminaires.

Loin de moi l’idée de tourner en ridicule les efforts patients de ces intellectuels

honnêtes qui, parce qu’ils ont des yeux pour voir, découvrent les terribles

conséquences des ravages imposés par lesdits "spécialistes" en développement

dans le Tiers Monde. La crainte qui m’habite c’est de voir les résultats de tant

d’énergies confisquées par les Prospéro de tout genre pour en faire la baguette

magique destinée à nous renvoyer à un monde d’esclavage maquillé au goût de

notre temps.

Cette crainte se justifie d’autant plus que la petite bourgeoisie africaine

diplômée, sinon celle du Tiers Monde, soit par paresse intellectuelle, soit plus

simplement parce qu’ayant goûté au mode de vie occidental, n’est pas prête à

renoncer à ses privilèges. De ce fait, elle oublie que toute vraie lutte politique

postule un débat théorique rigoureux et elle refuse l’effort de réflexion qui nous

attend. Consommatrice passive et lamentable, elle se regorge de vocables

fétichisés par l’Occident comme elle le fait de son whisky et de son champagne,

dans ses salons à l’harmonie douteuse.

On recherchera en vain depuis les concepts de négritude ou d’"African

Personality" marqués maintenant par les temps, des idées vraiment neuves

issues des cerveaux de nos "grands" intellectuels. Le vocabulaire et les idées

nous viennent d’ailleurs. Nos professeurs, nos ingénieurs et nos économistes se

Page 14: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

contentent d’y adjoindre des colorants parce que, des universités européennes

dont ils sont les produits, ils n’ont ramené souvent que leurs diplômes et le

velours des adjectifs ou des superlatifs.

Il est nécessaire, il est urgent que nos cadres et nos travailleurs de la plume

apprennent qu’il n’y a pas d’écriture innocente. En ces temps de tempêtes, nous

ne pouvons laisser à nos seuls ennemis d’hier et d’aujourd’hui, le monopole de

la pensée, de l’imagination et de la créativité. Il faut, avant qu’il ne soit trop

tard, car il est déjà trop tard, que ces élites, ces hommes de l’Afrique, du Tiers

Monde, reviennent à eux-mêmes, c’est-à-dire à leur société, à la misère dont

nous avons hérité pour comprendre non seulement que la bataille pour une

pensée au service des masses déshéritées n’est pas vaine, mais qu’ils peuvent

devenir crédibles sur le plan international, qu’en inventant réellement, c’est-à-

dire, en donnant de leurs peuples une image fidèle. Une image qui leur permette

de réaliser des changements profonds de la situation sociale et politique,

susceptibles de nous arracher à la domination et à l’exploitation étrangères qui

livrent nos Etats à la seule perspective de la faillite.

C’est ce que nous avons perçu, nous, peuple burkinabè, au cours de cette nuit

du 4 août 1983, aux premiers scintillements des étoiles dans le ciel de notre

Patrie. Il nous fallait prendre la tête des jacqueries qui s’annonçaient dans les

campagnes affolées par l’avancée du désert, épuisées par la faim et la soif et

délaissées. Il nous fallait donner un sens aux révoltes grondantes des masses

urbaines désoeuvrées, frustrées et fatiguées de voir circuler les limousines des

élites aliénées qui se succédaient à la tête de l’Etat et qui ne leur offraient rien

d’autre que les fausses solutions pensées et conçues par les cerveaux des

autres. Il nous fallait donner une âme idéologique aux justes luttes de nos

masses populaires mobilisées contre l’impérialisme monstrueux. A la révolte

passagère, simple feu de paille, devait se substituer pour toujours la révolution,

lutte éternelle contre la domination.

D’autres avant moi ont dit, d’autres après moi diront à quel point s’est élargi le

fossé entre les peuples nantis et ceux qui n’aspirent qu’à manger à leur faim,

Page 15: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

boire à leur soif, survivre et conserver leur dignité. Mais nul n’imaginera à quel

point " le grain du pauvre a nourri chez nous la vache du riche".

Dans le cas de l’ex Haute Volta, le processus était encore plus exemplaire. Nous

étions la condensation magique, le raccourci de toutes les calamités qui ont

fondu sur les pays dits "en voie de développement". Le témoignage de l’aide

présentée comme la panacée et souvent trompetée, sans rime ni raison, est ici

éloquent. Très peu sont les pays qui ont été comme le mien inondés d’aides de

toutes sortes. Cette aide est en principe censée œuvrer au développement. On

cherchera en vain dans ce qui fut autrefois la Haute-Volta, les signes de ce qui

peut relever d’un développement. Les hommes en place, soit par naïveté, soit

par égoïsme de classe, n’ont pas pu ou n’ont pas voulu maîtriser cet afflux

extérieur, en saisir la portée et exprimer des exigences dans l’intérêt de notre

peuple.

Analysant un tableau publié en 1983 par le Club du Sahel, Jacques Giri dans son

ouvrage "Le Sahel Demain", conclut avec beaucoup de bon sens que l’aide au

Sahel, à cause de son contenu et des mécanismes en place, n’est qu’une aide à

la survie. Seuls, souligne-t-il, 30 pour cent de cette aide permet simplement au

Sahel de vivre. Selon Jacques Giri, cette aide extérieure n’aurait d’autres buts

que de continuer à développer les secteurs improductifs, imposant des charges

intolérables à nos petits budgets, désorganisant nos campagnes, creusant les

déficits de notre balance commerciale, accélérant notre endettement.

Juste quelques clichés pour présenter l’ex Haute-Volta :

- 7 millions d’habitants, avec plus de 6 millions de paysannes et de paysans

- Un taux de mortalité infantile estimé à 180 pour mille

- Une espérance de vie se limitant à 40 ans

- Un taux d’analphabétisme allant jusqu’à 98 pour cent, si nous concevons

l’alphabétisé comme celui qui sait lire, écrire et parler une langue.

- Un médecin pour 50000 habitants

- Un taux de scolarisation de 16 pour cent

Page 16: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

- et enfin un produit intérieur brut par tête d’habitant de 53356 francs CFA soit à

peine plus de 100 dollars.

Le diagnostic à l’évidence, était sombre. La source du mal était politique. Le

traitement ne pouvait qu’être politique.

Certes nous encourageons l’aide qui nous aide à nous passer de l’aide. Mais en

général, la politique d’assistance et d’aide n’a abouti qu’à nous désorganiser, à

nous asservir, à nous déresponsabiliser dans notre espace économique, politique

et culturel.

Nous avons choisi de risquer de nouvelles voies pour être plus heureux. Nous

avons choisi de mettre en place de nouvelles techniques.

Nous avons choisi de rechercher des formes d’organisation mieux adaptées à

notre civilisation, rejetant de manière abrupte et définitive toutes sortes de

diktats extérieurs, pour créer ainsi les conditions d’une dignité à la hauteur de

nos ambitions. Refuser l’état de survie, desserrer les pressions, libérer nos

campagnes d’un immobilisme moyenâgeux ou d’une régression, démocratiser

notre société, ouvrir les esprits sur un univers de responsabilité collective pour

oser inventer l’avenir. Briser et reconstruire l’administration à travers une autre

image du fonctionnaire, plonger notre armée dans le peuple par le travail

productif et lui rappeler incessamment que sans formation patriotique, un

militaire n’est qu’un criminel en puissance. Tel est notre programme politique.

Au plan de la gestion économique, nous apprenons à vivre simplement, à

accepter et à nous imposer l’austérité afin d’être à même de réaliser de grands

desseins.

Déjà, grâce à l’exemple de la Caisse de solidarité nationale, alimentée par des

contributions volontaires, nous commençons à répondre aux cruelles questions

posées par la sécheresse. Nous avons soutenu et appliqué les principes d’Alma-

Page 17: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Ata en élargissant le champ des soins de santé primaires. Nous avons fait nôtre,

comme politique d’Etat, la stratégie du GOBI FFF, préconisée par l’UNICEF.

Par l’intermédiaire de l’Office du Sahel des Nations Unies (OSNU), nous pensons

que les Nations unies devraient permettre aux pays touchés par la sécheresse la

mise sur pied d’un plan moyen et long termes afin de parvenir à l’autosuffisance

alimentaire.

Pour préparer le vingt et unième siècle, nous avons, par la création d’une

tranche spéciale de la Tombola, "Instruisons nos enfants", lancé une campagne

immense pour l’éducation et la formation de nos enfants dans une école

nouvelle. Nous avons lancé à travers l’action salvatrice des Comités de Défense

de la Révolution un vaste programme de construction de logements sociaux,

500 en trois mois, de routes, de petites retenues d’eau etc… Notre ambition

économique est d’œuvrer pour que le cerveau et les bras de chaque burkinabè

puissent au moins lui servir à inventer et à créer de quoi s’assurer deux repas

par jour et de l’eau potable.

Nous jurons, nous proclamons, que désormais au Burkina Faso, plus rien ne se

fera sans la participation des burkinabè. Rien qui n’ait été au préalable décidé

par nous, élaboré par nous. Il n’y aura plus d’attentat à notre pudeur et à notre

dignité.

Forts de cette certitude, nous voudrions que notre parole s’élargisse à tous ceux

qui souffrent dans leur chair, tous ceux qui sont bafoués dans leur dignité

d’homme par un minorité d’hommes ou par un système qui les écrase.

Permettez, vous qui m’écoutez, que je le dise : je ne parle pas seulement au

nom du Burkina Faso tant aimé mais également au nom de tous ceux qui ont

mal quelque part.

Page 18: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Je parle au nom de ces millions d’êtres qui sont dans les ghettos parce qu’ils ont

la peau noire ou qu’ils sont de culture différente et bénéficient d’un statut à

peine supérieur à celui d’un animal.

Je souffre au nom des Indiens massacrés, écrasés, humiliés et confinés depuis

des siècles dans des réserves afin qu’ils n’aspirent à aucun droit et que leur

culture ne puisse s’enrichir en convolant en noces heureuses au contact d’autres

cultures, y compris celle de l’envahisseur.

Je m’exclame au nom des chômeurs d’un système structurellement injuste et

conjoncturellement désaxé, réduits à ne percevoir de la vie que le reflet de celle

des plus nantis.

Je parle au nom des femmes du monde entier, qui souffrent d’un système

d’exploitation imposé par les mâles. Pour ce qui nous concerne, nous sommes

prêts à accueillir toutes les suggestions du monde entier, nous permettant de

parvenir à l’épanouissement total de la femme burkinabè. En retour, nous

donnons en partage à tous les pays, l’expérience positive que nous entreprenons

avec des femmes désormais présentes à tous les échelons de l’appareil de l’État

et de la vie sociale au Burkina Faso. Des femmes qui luttent et proclament avec

nous, que l’esclave qui n’est pas capable d’assumer sa révolte ne mérite pas que

l’on s’apitoie sur son sort. Cet esclave répondra seul de son malheur s’il se fait

des illusions sur la condescendance suspecte d’un maître qui prétend

l’affranchir. Seule la lutte libère et nous en appelons à toutes nos sœurs de

toutes les races pour qu’elles montent à l’assaut pour la conquête de leurs

droits.

Je parle au nom des mères de nos pays démunis, qui voient mourir leurs enfants

de paludisme ou de diarrhée, ignorant qu’il existe, pour les sauver, des moyens

simples que la science des multinationales ne leur offre pas, préférant investir

dans les laboratoires de cosmétiques et dans la chirurgie esthétique pour les

caprices de quelques femmes ou d’hommes dont la coquetterie est menacée par

les excès de calories de leurs repas trop riches et d’une régularité à vous

Page 19: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

donner, non, plutôt à nous donner, à nous autres du Sahel, le vertige. Ces

moyens simples recommandés par l’OMS et l’UNICEF, nous avons décidé de les

adopter et de les populariser.

Je parle aussi au nom de l’enfant. L’enfant du pauvre, qui a faim et qui louche

furtivement vers l’abondance amoncelée dans une boutique pour riches. La

boutique protégée par une vitre épaisse. La vitre défendue par une grille

infranchissable. Et la grille gardée par un policier casqué, ganté et armé de

matraque. Ce policier, placé là par le père d’un autre enfant qui viendra se servir

ou plutôt se faire servir parce que représentant toutes les garanties de

représentativité et de normes capitalistiques du système.

Je parle au nom des artistes (poètes, peintres, sculpteur, musiciens, acteurs),

hommes de bien qui voient leur art se prostituer pour l’alchimie des

prestidigitations de show-business.

Je crie au nom des journalistes qui sont réduits soit au silence, soit au

mensonge pour ne pas subir les dures lois du chômage.

Je proteste au nom des sportifs du monde entier dont les muscles sont exploités

par les systèmes politiques ou les négociants de l’esclavage modernes.

Mon pays est un concentré de tous les malheurs des peuples, une synthèse

douloureuse de toutes les souffrances de l’humanité, mais aussi et surtout des

espérances de nos luttes. C’est pourquoi je vibre naturellement au nom des

malades qui scrutent avec anxiété les horizons d’une science accaparée par les

marchands de canons. Mes pensées vont à tous ceux qui sont touchés par la

destruction de la nature et à ces trente millions d’hommes qui vont mourir

comme chaque année, abattus par la redoutable arme de la faim.

Militaire, je ne peux oublier ce soldat obéissant aux ordres, le doigt sur la

détente, et qui sait que la balle qui va partir ne porte que le message de la

mort.

Page 20: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Enfin, je veux m’indigner en pensant aux Palestiniens qu’une humanité

inhumaine a choisi de substituer à un autre peuple, hier encore martyrisé. Je

pense à ce vaillant peuple palestinien, c’est-à-dire à ces familles atomisées

errant de par le monde en quête d’un asile. Courageux, déterminés, stoïques et

infatigables, les Palestiniens rappellent à chaque conscience humaine la

nécessité et l’obligation morale de respecter les droits d’un peuple : avec leurs

frères juifs, ils sont antisionistes.

Aux côtés de mes frères soldats de l’Iran et de l’Irak, qui meurent dans une

guerre fratricide et suicidaire, je veux également me sentir proche des

camarades du Nicaragua dont les ports sont minés, les villes bombardées et qui,

malgré tout, affrontent avec courage et lucidité leur destin. Je souffre avec tous

ceux qui, en Amérique latine, souffrent de la mainmise impérialiste.

Je veux être aux côtés des peuples afghan et irlandais, aux côtés des peuples de

Grenade et de Timor Oriental, chacun à la recherche d’un bonheur dicté par la

dignité et les lois de sa culture.

Je m’élève ici au nom des tous ceux qui cherchent vainement dans quel forum

de ce monde ils pourront faire entendre leur voix et la faire prendre en

considération réellement. Sur cette tribune beaucoup m’ont précédé, d’autres

viendront après moi. Mais seuls quelques uns feront la décision. Pourtant nous

sommes officiellement présentés comme égaux. Eh bien, je me fais le porte voix

de tous ceux qui cherchent vainement dans quel forum de ce monde, ils peuvent

se faire entendre. Oui je veux donc parler au nom de tous les "laissés pour

compte" parce que "je suis homme et rien de ce qui est humain ne m’est

étranger".

Notre révolution au Burkina Faso est ouverte aux malheurs de tous les peuples.

Elle s’inspire aussi de toutes les expériences des hommes depuis le premier

souffle de l’Humanité. Nous voulons être les héritiers de toutes les révolutions

du monde, de toutes les luttes de libération des peuples du Tiers Monde. Nous

sommes à l’écoute des grands bouleversements qui ont transformé le monde.

Page 21: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Nous tirons des leçons de la révolution américaine, les leçons de sa victoire

contre la domination coloniale et les conséquences de cette victoire. Nous

faisons nôtre l’affirmation de la doctrine de la non-ingérence des Européens

dans les affaires américaines et des Américains dans les affaires européennes.

Ce que Monroe clamait en 1823, « L’Amérique aux Américains », nous le

reprenons en disant « l’Afrique aux Africains », « Le Burkina aux Burkinabè ». La

Révolution française de 1789, bouleversant les fondements de l’absolutisme,

nous a enseigné les droits de l’homme alliés aux droits des peuples à la liberté.

La grande révolution d’octobre 1917 a transformé le monde, permis la victoire

du prolétariat, ébranlé les assises du capitalisme et rendu possible les rêves de

justice de la Commune française.

Ouverts à tous les vents de la volonté des peuples et de leurs révolutions, nous

instruisant aussi de certains terribles échecs qui ont conduits à de tragiques

manquements aux droits de l’homme, nous ne voulons conserver de chaque

révolution, que le noyau de pureté qui nous interdit de nous inféoder aux

réalités des autres, même si par la pensée, nous nous retrouvons dans une

communauté d’intérêts.

Monsieur les Président,

Il n’y a plus de duperie possible. Le Nouvel Ordre Economique Mondial pour

lequel nous luttons et continuerons à lutter, ne peut se réaliser que :

- si nous parvenons à ruiner l’ancien ordre qui nous ignore,

- si nous imposons la place qui nous revient dans l’organisation politique du

monde,

- si, prenant conscience de notre importance dans le monde, nous obtenons un

droit de regard et de décision sur les mécanismes qui régissent le commerce,

l’économie et la monnaie à l’échelle planétaire.

Le Nouvel Ordre Economique international s’inscrit tout simplement, à côté de

tous les autres droits des peuples, droit à l’indépendance, au libre choix des

formes et de structures de gouvernement, comme le droit au développement. Et

Page 22: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

comme tous les droits des peuples, il s’arrache dans la lutte et par la lutte des

peuples. Il ne sera jamais le résultat d’un acte de la générosité d’une puissance

quelconque.

Je conserve en moi la confiance inébranlable, confiance partagée avec l’immense

communauté des pays non-alignés, que sous les coups de boutoir de la détresse

hurlante de nos peuples, notre groupe va maintenir sa cohésion, renforcer son

pouvoir de négociation collective, se trouver des alliés parmi les nations et

commencer, de concert avec ceux qu peuvent encore nous entendrez,

l’organisation d’un système de relations économiques internationales

véritablement nouveau.

Monsieur le Président,

Si j’ai accepté de me présenter devant cette illustre assemblée pour y prendre la

parole, c’est parce que malgré les critiques qui lui sont adressées par certains

grands contributeurs, les Nations Unies demeurent la tribune idéale pour nos

revendications, le lieu obligé de la légitimité des pays sans voix.

C’est cela qu’exprime avec beaucoup de justesse notre Secrétaire général

lorsqu’il écrit : "L’organisation des Nations Unies est unique en ce qu’elle reflète

les aspirations et les frustrations de nombreux pays et gouvernements du

monde entier. Un de ses grands mérites est que toutes les Nations, y compris

celles qui sont faibles, opprimées ou victimes de l’injustice, (il s’agit de nous),

peuvent, même lorsqu’elles sont confrontées aux dures réalités du pouvoir, y

trouver une tribune et s’y faire entendre. Une cause juste, même si elle ne

rencontre que revers ou indifférence, peut trouver un écho à l’Organisation des

Nations Unies ; cet attribut de l’Organisation n’est pas toujours prisé, mais il

n’en est pas moins essentiel".

On ne peut mieux définir le sens et la portée de l’Organisation.

Page 23: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

Aussi est-il, pour chacun de nous, un impératif catégorique de consolider les

assises de notre Organisation, de lui donner les moyens de son action. Nous

adoptons en conséquence, les propositions faîtes à cette fin par le Secrétaire

Général, pour sortir l’Organisation des nombreuses impasses, soigneusement

entretenues par le jeu des grandes puissances afin de la discréditer aux yeux de

l’opinion publique.

Monsieur le Président,

Reconnaissant les mérites mêmes limités de notre Organisation, je ne peux que

me réjouir de la voir compter de nouveaux adhérents. C’est pourquoi la

délégation burkinabè salue l’entrée du 159ème membre de notre Organisation :

l’Etat du Brunei Daressalam.

C’est la déraison de ceux entre les mains desquelles la direction du monde es

tombée par le hasard des choses qui fait l’obligation au Mouvement des pays

non alignés, auquel je l’espère, se joindra bientôt l’Etat du Brunei Darussalam,

de considérer comme un des objectifs permanents de sa lutte, le combat pour le

désarmement qui est un des aspects essentiels et une condition première de

notre droit au développement.

Il faut, à notre avis des études sérieuses prenant en compte tous les éléments

qui ont conduit aux calamités qui ont fondu sur le monde. A ce titre, le Président

Fidel Castro en 1979, a admirablement exprimé notre point de vue à l’ouverture

du sixième sommet des Pays non alignés lorsqu’il déclarait : "Avec 300 milliards

de dollars, on pourrait construire en un an 600000 écoles pouvant recevoir 400

millions d’enfants ; ou 60 millions de logements confortables pour 300 millions

de personnes ; ou 30000 hôpitaux équipés de 18 millions de lits ; ou 20000

usines pouvant employer plus de 20 millions de travailleurs ou irriguer 150

millions d’hectares de terre qui, avec les moyens techniques adéquats

pourraient alimenter un milliard de personnes…"

Page 24: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

En multipliant aujourd’hui ce chiffre par 10, je suis certainement en deçà de la

réalité, on réalise ce que l’Humanité gaspille tous les ans dans le domaine

militaire, c’est-à-dire contre la paix.

On perçoit aisément pourquoi l’indignation des peuples se transforme

rapidement en révolte et en révolution devant les miettes qu’on leur jette sous

la forme ignominieuse d’une certaine "aide", assortie de conditions parfois

franchement abjectes. On comprend enfin pourquoi dans le combat pour le

développement, nous nous désignons comme des militants inlassables de la

paix.

Nous faisons le serment de lutter pour atténuer les tensions, introduire les

principes d’une vie civilisée dans les relations internationales et les étendre à

toutes les parties du monde. Ce qui revient à dire que nous ne pouvons assister

passifs, au trafic des concepts.

Nous réitérons notre résolution d’être des agents actifs de la paix ; de tenir

notre place dans le combat pour le désarmement ; d’agir enfin dans la politique

internationale comme le facteur décisif, libéré de toute entrave vis-à-vis de

toutes les grandes puissances, quels que soient les projets de ces dernières.

Mais la recherche de la paix va de pair avec l’application ferme du droit des pays

à l’indépendance, des peuples à la liberté et des nations à l’existence autonome.

Sur ce point, le palmarès le plus pitoyable, le plus lamentable _ oui, le plus

lamentable_ est détenu au Moyen Orient en termes d’arrogance, d’insolence et

d’incroyable entêtement par un petit pays, Israël, qui, depuis, plus de vingt ans,

avec l’inqualifiable complicité de son puissant protecteur les Etats-Unis, continue

à défier la communauté internationale.

Au mépris d’une histoire qui hier encore, désignait chaque Juif à l’horreur des

fours crématoires, Israël en arrive à infliger à d’autres ce qui fut son propre

calvaire. En tout état de cause, Israël dont nous aimons le peuple pour son

courage et ses sacrifices d’hier, doit savoir que les conditions de sa propre

Page 25: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

quiétude ne résident pas dans sa puissance militaire financée de l’extérieur.

Israël doit commencer à apprendre à devenir une nation comme les autres,

parmi les autres.

Pour l’heure, nous tenons à affirmer du haut de cette tribune, notre solidarité

militante et agissante à l’endroit des combattants, femmes et hommes, de ce

peuple merveilleux de la Palestine parce que nous savons qu’il n’y a pas de

souffrance sans fin.

Monsieur, le Président,

Analysant la situation qui prévaut en Afrique sur les plans économique et

politique, nous ne pouvons pas ne pas souligner les graves préoccupations qui

sont les nôtres, face aux dangereux défis lancés aux droits des peuples par

certaines nations qui, sûres de leurs alliances, bafouent ouvertement la morale

internationale.

Certes, nous avons le droit de nous réjouir de la décision de retrait des troupes

étrangères au Tchad, afin que le Tchadiens entre eux, sans intermédiaire,

cherchent les moyens de mettre fin à cette guerre fratricide, et donner enfin à

ce peuple qui n’en finit pas de pleurer depuis de nombreux hivernages, les

moyens de sécher ses larmes. Mais, malgré les progrès enregistrés çà et là par

les peuples africains dans leur lutte pour l’émancipation économique, notre

continent continue de refléter la réalité essentielle des contradictions entre les

grandes puissances, de charrier les insupportables apories du monde

contemporain.

C’est pourquoi nous tenons pour inadmissible et condamnons sans recours, le

sort fait au peuple du Sahara Occidental par le Royaume du Maroc qui se livre à

des méthodes dilatoires pour retarder l’échéance qui, de toute façon, lui sera

imposée par la volonté du peuple sahraoui. Pour avoir visité personnellement les

régions libérées par le peuple sahraoui, j’ai acquis la confirmation que plus rien

Page 26: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

désormais ne saurait entraver sa marche vers la libération totale de son pays,

sous la conduite et éclairée du Front Polisario.

Monsieur le Président,

Je ne voudrais pas trop m’étendre sur la question de Mayotte et des îles de

l’Archipel malgache. Lorsque les choses sont claires, lorsque les principes sont

évidents, point n’est besoin d’élaborer. Mayotte appartient aux Comores. Les îles

de l’archipel sont malgaches.

En Amérique Latine, nous saluons l’initiative du Groupe de Contadora, qui

constitue une étape positive dans la recherche d’une solution juste à la situation

explosive qui y prévaut. Le commandant Daniel Ortega, au nom du peuple

révolutionnaire du Nicaragua a fait ici des propositions concrètes et posé des

questions de fond à qui de droit. Nous attendons de voir la paix s’installer dans

son pays et en Amérique Centrale, le 15 octobre prochain et après le 15 octobre

et nous prenons à témoin l’opinion publique mondiale.

De même que nous avons condamné l’agression étrangère de l’île de Grenade,

de même nous fustigeons toutes les interventions étrangères. C’est ainsi que

nous ne pouvons pas nous taire face à l’intervention militaire en Afghanistan.

Il est cependant un point, mais dont la gravité exige de chacun de nous une

explication franche et décisive. Cette question, vous vous en doutez, ne peut

qu’être celle de l’Afrique du Sud. L’incroyable insolence de ce pays à l’égard de

toutes les nations du monde, même vis-à-vis de celles qui soutiennent le

terrorisme qu’il érige en système pour liquider physiquement la majorité noire

de ce pays, le mépris qu’il adopte à l’égard de toutes nos résolutions,

constituent l’une des préoccupations les plus oppressantes du monde

contemporain.

Mais le plus tragique, n’est pas que l’Afrique du Sud se soit elle-même mise au

banc de la communauté internationale à cause de l’abjection des lois de

Page 27: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

l’apartheid, encore moins qu’elle continue de maintenir illégalement la Namibie

sous la botte colonialiste et raciste, ou de soumettre impunément ses voisins

aux lois du banditisme. Non, le plus abject, le plus humiliant pour la conscience

humaine, c’est qu’elle soit parvenue à "banaliser" le malheur de millions d’êtres

humains qui n’ont pour se défendre que leur poitrine et l’héroïsme de leurs

mains nues. Sûre de la complicité des grandes puissances et de l’engagement

actif de certaines d’entre elles à ses côtés, ainsi que de la criminelle

collaboration de quelques tristes dirigeants de pays africains, la minorité blanche

ne se gêne pas pour ridiculiser les états d’âme de tous les peuples, qui, partout

à travers le monde, trouvent intolérable la sauvagerie des méthodes en usage

dans ce pays.

Il fut un temps où les brigades internationales se constituaient pour aller

défendre l’honneur des nations agressées dans leur dignité. Aujourd’hui, malgré

la purulence des plaies que nous portons tous à nos flancs, nous allons voter des

résolutions dont les seules vertus, nous dira-t-on, seraient de conduire à

résipiscence une Nation de corsaires qui "détruit le sourire comme la grêle tue

les fleurs".

Monsieur le Président,

Nous allons bientôt fêter le cent cinquantième anniversaire de l’émancipation

des esclaves de l’Empire britannique. Ma délégation souscrit à la proposition des

pays d’Antigua et de la Barbade de commémorer avec éclat cet événement qui

revêt, pour les pays africains et le monde noir, une signification d’une très

grande importance. Pour nous, tout ce qui pourra être fait, dit ou organisé à

travers le monde au cours des cérémonies commémoratives devra mettre

l’accent sur le terrible écot payé par l’Afrique et le monde noir, au

développement de la civilisation humaine. Ecot payé sans retour et qui explique,

sans aucun doute, les raisons de la tragédie d’aujourd’hui sur notre continent.

C’est notre sang qui a nourri l’essor du capitalisme, rendu possible notre

dépendance présente et consolidé notre sous-développement. On ne peut plus

Page 28: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

escamoter la vérité, trafiquer les chiffres. Pour chaque Nègre parvenu dans les

plantations, cinq au moins connurent la mort ou la mutilation. Et j’omets à

dessein, la désorganisation du continent et les séquelles qui s’en sont suivies.

Monsieur le Président,

Si la terre entière, grâce à vous, avec l’aide du Secrétaire Général, parvient à

l’occasion de cet anniversaire à se convaincre de cette vérité-là, elle comprendra

pourquoi, avec toute la tension de notre être, nous voulons la paix entre les

nations, pourquoi nous exigeons et réclamons notre droit au développement

dans l’égalité absolue, par une organisation et une répartition des ressources

humaines.

C’est parce que de toutes les races humaines, nous appartenons à celles qui ont

le plus souffert, que nous nous sommes jurés, nous burkinabè, de ne plus

jamais accepter sur la moindre parcelle de cette terre, le moindre déni de

justice. C’est le souvenir de la souffrance qui nous place aux côtés de l’OLP

contre les bandes armées d’Israël. C’est le souvenir de cette souffrance qui,

d’une part, nous fait soutenir l’ANC et la SWAPO, et d’autre part, nous rend

intolérable la présence en Afrique du Sud des hommes qui se disent blancs et

qui brûlent le monde à ce titre. C’est enfin ce même souvenir qui nous fait

placer l’Organisation des Nations Unies toute notre foi dans un devoir commun,

dans un tâche commune pour un espoir commun.

Nous réclamons :

- Que s’intensifie à travers le monde la campagne pour la libération de Nelson

Mandela et sa présence effective à la prochaine Assemblée générale de l’ONU

comme une victoire de fierté collective.

- Que soit créé en souvenir de nos souffrances et au titre de pardon collectif un

Prix international de l’Humanité réconciliée, décerné à tous ceux qui par leur

recherche auraient contribué à la défense des droits de l’homme.

- Que tous les budgets de recherches spatiales soient amputés de 1/10000e et

consacrés à des recherches dans le domaine de la santé et visant à la

Page 29: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

reconstitution de l’environnement humain perturbé par tous ces feux d’artifices

nuisibles à l’écosystème

Nous proposons également que les structures des Nations Unies soient

repensées et que soit mis fin à ce scandale que constitue le droit de veto. Bien

sûr, les effets pervers de son usage abusif sont atténués par la vigilance de

certains de ses détenteurs. Cependant, rien ne justifie ce droit : ni la taille des

pays qui le détiennent ni les richesses de ces derniers.

Si l’argument développé pour justifier une telle iniquité est le prix payé au cours

de la guerre mondiale, que ces nations, qui se sont arrogé ces droits, sachent

que nous aussi nous avons chacun un oncle ou un père qui, à l’instar de milliers

d’autres innocents arrachés au Tiers Monde pour défendre les droits bafoués par

les hordes hitlériennes, porte lui aussi dans sa chair les meurtrissures des balles

nazies. Que cesse donc l’arrogance des grands qui ne perdent aucune occasion

pour remettre en cause le droit des peuples. L’absence de l’Afrique du Club de

ceux qui détiennent le droit de veto est une injustice qui doit cesser.

Enfin ma délégation n’aurait pas accompli tous ses devoirs si elle n’exigeait pas

la suspension d’Israël et le dégagement pur et simple de l’Afrique du Sud de

notre organisation. Lorsque, à la faveur du temps, ces pays auront opéré la

mutation qui les introduira dans la Communauté internationale, chacun de nous

nous, et mon pays en tête, devra les accueillir avec bonté, guider leur premier

pas.

Nous tenons à réaffirmer notre confiance en l’Organisation des Nations Unies.

Nous lui sommes redevables du travail fourni par ses agences au Burkina Faso

et de la présence de ces dernières à nos côtés dans les durs moments que nous

t traversons.

Nous sommes reconnaissants aux membres du Conseil de Sécurité de nous avoir

permis de présider deux fois cette année les travaux du Conseil. Souhaitons

seulement voir le Conseil admettre et appliquer le principe de la lutte contre

Page 30: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

l’extermination de 30 millions d’êtres humains chaque année, par l’arme de la

faim qui, de nos jours, fait plus de ravages que l’arme nucléaire.

Cette confiance et cette foi en l’Organisation me fait obligation de remercier le

Secrétaire général, M. Xavier Pérez de Cuellar, de la visite tant appréciée qu’il

nous a faite pour constater, sur le terrain, les dures réalités de notre existence

et se donner une image fidèle de l’aridité du Sahel et la tragédie du désert

conquérant.

Je ne saurai terminer sans rendre hommage aux éminentes qualités de notre

Président (Paul Lusaka de Zambie) qui saura, avec la clairvoyance que nous lui

connaissons, diriger les travaux de cette Trente-neuvième session.

Monsieur le Président,

J’ai parcouru des milliers de kilomètres. Je suis venu pour demander à chacun

de vous que nous puissions mettre ensemble nos efforts pour que cesse la

morgue des gens qui n’ont pas raison, pour que s’efface le triste spectacle des

enfants mourant de faim, pour que disparaisse l’ignorance, pour que triomphe la

rébellion légitime des peuples, pour que se taise le bruit des armes et qu’enfin,

avec une seule et même volonté, luttant pour la survie de l’Humanité, nous

parvenions à chanter en chœur avec le grand poète Novalis :

"Bientôt les astres reviendront visiter la terre d’où ils se sont éloignés pendant

nos temps obscurs ; le soleil déposera son spectre sévère, redeviendra étoile

parmi les étoiles, toutes les races du monde se rassembleront à nouveau, après

une longue séparation, les vieilles familles orphelines se retrouveront et chaque

jour verra de nouvelles retrouvailles, de nouveaux embrassement ; alors les

habitants du temps jadis reviendront vers la terre, en chaque tombe se

réveillera la cendre éteinte, partout brûleront à nouveau les flammes de la vie,

le vieilles demeures seront rebâties, les temps anciens se renouvelleront et

l’histoire sera le rêve d’un présent à l’étendue infinie".

Page 31: Discours de Thomas Sankara devant l’assemblée générale de l’ONU - 4 octobre 1984

A bas la réaction internationale !

A bas l'impérialisme !

A bas le néocolonialisme !

A bas le fantochisme !

Gloire éternelle aux peuples qui luttent pour leur liberté !

Gloire éternelle aux peuples qui décident de s'assumer pour leur dignité !

Victoire éternelle aux peuples d'Afrique, d'Amérique latine et d'Asie qui luttent !

La Patrie ou la mort, nous vaincrons !

Je vous remercie.