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Jules Verne

Un inverno tra i ghiacci

e

Il blocco navale

M O N T E C R I S T O . S R LVIA TOPAZIO 7/C - ZONA IND.LE NORD58100GROSSETO,ITALY-P. iva01178780530PH+39.0564.462269-FAX+39.0564.457808MONTECRISTO@ROBERTORICCIDESIGNS.COMROBERTORICCIDESIGNS.COM

Titoli originali:Un hivernage dans les glaces, 1874Les forceurs de blocus, 1865

Traduzione dal francese:2017 © Daniele Casalino

Un inverno tra i ghiacci1874

ILa bandiera nera

Il parroco della vecchia chiesa di Dunkerque si svegliòalle cinque il 12 maggio 18… per dire, come al solito, laprima messa bassa, cui assistevano alcuni pescatori de-voti.Indossata la veste liturgica, stava andando all’altarequando un uomo entrò nella sagrestia, felice e agitato altempo stesso. Era un marinaio di una sessantina di anni,ma ancora solido e vigoroso, con un aspetto buono eonesto.«Signor curato» esclamò «aspetti, per favore.»«Che vi prende così di prima mattina, Jean Corn -butte?», replicò il parroco.«Cosa mi prende?... Una gran voglia di abbracciarla, su-bito!»«Va bene, dopo la messa, se restate anche voi…»«La messa!» rispose ridendo il vecchio marinaio. «Pen-sate di dire la messa adesso e che vi lasci fare?»«E perché non dovrei dire la messa?» chiese il parroco.«Spiegatevi! È già suonato il terzo rintocco…»«Non importa» replicò Jean Cornbutte «ne suonerannoaltre di campane oggi, signor curato, perché mi avetepromesso di benedire con le vostre mani il matrimoniodi mio figlio Louis e di mia nipote Marie!»«È già arrivato?» esclamò contento il parroco.«Non manca molto» continuò Cornbutte fregandosi le

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mani «All’alba la guardia costiera ha segnalato il nostrobrigantino, che voi stesso avete battezzato col bel nomedi “Jeune-Hardie”!»«Sono proprio contento per voi, caro Cornbutte» disseil prete togliendosi la pianeta e la stola. Mi ricordo i no-stri accordi. «Il cappellano mi sostituirà e sarò a vostradisposizione per l’arrivo del vostro caro figlio.»«Vi prometto che non resterete digiuno a lungo!» ri-spose il marinaio «le pubblicazioni le avete già fatte voistesso e non avete altro da fare che assolverlo dai peccatiche si possono commettere fra il cielo e l’acqua, nei maridel Nord. Sono stato io a volere che il matrimonio si ce-lebrasse il giorno stesso dell’arrivo e che mio figlio scen-desse dalla barca solo per andare in chiesa!»«Andate dunque, che avete da fare, Cornbutte.»«Vado, signor curato. A presto!»Il marinaio tornò di corsa alla sua abitazione, che erasulla banchina del porto, affacciato sul Mar del Nord,cosa di cui era molto orgoglioso.Jean Cornbutte aveva accumulato una piccola fortunacol suo lavoro. Dopo aver comandato le navi di un riccoarmatore di Le Havre, si era stabilito nella sua città na-tale, dove si era fatto costruire il brigantino la Jeune-Har-die. Con quello aveva fatto molti viaggi nei mari delNord, riuscendo a vendere con buon profitto i suoi ca-richi di legna, ferro e bitume. Aveva poi passato il co-mando al figlio Louis, un coraggioso marinaio ditrent’anni, che, a detta di tutti i capitani di cabotaggio,era di gran lunga il miglior uomo di mare di Dunkerque.Louis Cornbutte era partito, nonostante il forte attac-camento a Marie, sua cugina, che a sua volta soffrivamolto per le sue lunghe assenze. Quest’ultima aveva solo

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vent’anni. Era una bella ragazza fiamminga, con goccedi sangue olandese nelle vene. Morendo, la madrel’aveva affidata al fratello Jean Cornbutte e quel bravouomo di mare l’amava come fosse sua figlia e vedevanell’unione dei due giovani la fonte di una felicità verae duratura.L’arrivo del brigantino, segnalato al largo, rappresentavala conclusione di un’importante operazione commer-ciale da cui Jean Cornbutte si aspettava un grande pro-fitto. La Jeune-Hardie, partita tre mesi prima, provenivada Bodoë, nella costa occidentale della Norvegia, dopoun viaggio molto veloce.Tornato a casa, Jean Cornbutte trovò tutti svegli. Marie,col volto raggiante, aveva già indosso il vestito da sposa.«Basta che il brigantino non arrivi prima di noi!» disse.«Sbrigati, piccola mia» rispose Cornbutte «il ventoviene da nord e la Jeune-Hardie è molto veloce in mareaperto!»«I nostri amici sono stati avvertiti, zio?»«Si, sono stati avvertiti.»«E il notaio, il curato?»«Stai tranquilla. Si dovrà aspettare solo te.»In quel momento entrò il signor Clerbaut, collega diCornbutte.«Allora! vecchio mio» esclamò «che fortuna! La tuabarca arriva proprio quando il governo ha appena de-ciso di mettere all’asta importanti forniture di legnameper la marina.»«Che me ne importa?» rispose Cornbutte «Figurati sepenso al governo, adesso!»«Certo, signor Clerbaut» disse Marie «ci interessa solouna cosa: il ritorno di Louis.»

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«Capisco bene che…» rispose l’altro «comunque quelleforniture di legna…»«Sarete anche voi alla festa» replicò Cornbutte inter-rompendo il commerciante con un’energica stretta dimano.«Quelle forniture di legna…»«Ci saranno tutti i nostri amici di terra e di mare, Cler-baut. Ho già avvertito i miei e inviterò tutto l’equipaggiodel brigantino.»«Andremo ad aspettarli al molo?» chiese Marie.«Certamente!» rispose Cornbutte «Sfileremo in fila perdue, coi violini in testa!»Gli invitati arrivarono in perfetto orario. Pur essendomolto presto, nessuno mancava all’appello. Tutti face-vano a gara a congratularsi col bravo marinaio, cui tuttivolevano bene. Nel frattempo Marie, inginocchiata, ri-volgeva preghiere e ringraziamenti a Dio. Poi tornò,bella e tutta agghindata, per ricevere i baci delle signorepresenti e le strette di mano vigorose degli uomini; in-fine Jean Cornbutte dette il segnale di partenza.Era un curioso spettacolo quell’allegra comitiva cheprendeva la strada del mare al sorgere del sole. La noti-zia dell’arrivo del brigantino si era diffusa al porto emolte teste col berretto da notte apparvero alle finestree alle porte socchiuse. Da ogni parte arrivavano salutisinceri e lusinghieri complimenti.Il corteo nuziale raggiunse il molo circondato da elogi ebenedizioni. Il tempo era bellissimo e anche il sole sem-brava voler partecipare alla festa. Un fresco vento danord sollevava la schiuma sulle onde e alcune barche dapesca, in uscita dal porto, lasciavano la loro veloce sciafra i moli.

Le due dighe foranee di Dunkerque, che prolungano labanchina del porto, si protendono lontano nel mare. Ilcorteo nuziale occupava per tutta la larghezza la diga anord e raggiunse ben presto una casetta situata all’estre-mità, occupata dal comandante del porto.Il brigantino di Jean Cornbutte si stava avvicinando ve-locemente. Il vento rinfrescava e la Jeune-Hardie filavasul mare con le vele di gabbia, quelle di mezzana e diparrocchetto spiegate. Evidentemente a bordo c’era lastessa gioia che a terra. Jean Cornbutte, con un cannoc-chiale in mano, rispondeva soddisfatto alle domandedegli amici.«Ecco là il mio bel brigantino!» se ne uscì. «Pulito e or-dinato come fosse appena partito da Dunkerque! Nonun problema! Non una cima mancante!»«Riuscite a vedere vostro figlio, il comandante?» glichiedevano.«Ancora no. Ah! sicuramente ha il suo daffare adesso!»«Perché non issa la bandiera?» chiese Clerbaut.«Non ne ho idea, amico mio; ma ci sarà sicuramente unmotivo.»«Il cannocchiale, zio» disse Marie prendendogli lo stru-mento dalle mani «voglio vederlo per prima.»«Ma è mio figlio, signorina!»«Sono trent’anni che è vostro figlio» rispose ridendo laragazza «e sono solo due anni che è il mio fidanzato.»La Jeune-Hardie  era adesso perfettamente visibile.

L’equipaggio si stava già preparando all’ormeggio. Levele in alto erano state imbrogliate. Si potevano vederei marinai andare su e giù sul sartiame. Ma né Marie néJean Cornbutte avevano potuto salutare con la mano ilcomandante del brigantino...

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«Ecco, ho visto il secondo, André Vasling.» gridò Cler-baut.«Quello invece è Fidèle Misonne, il carpentiere» risposeuno degli astanti.«E il nostro amico Penellan» disse un altro, facendo uncenno al marinaio.La Jeune-Hardie era a meno di un miglio dal portoquando una bandiera nera fu issata a poppa… C’era unlutto a bordo!Un brivido di terrore si diffuse fra la gente e attanagliòil cuore della giovane fidanzata.Il brigantino stava entrando mestamente in porto, men-tre un silenzio glaciale regnava sul ponte. Quando passòl’imboccatura, Marie, Cornbutte e tutti gli amici si pre-cipitarono verso la banchina a cui doveva accostare e inun attimo furono a bordo.«Mio figlio!» disse Cornbutte, senza riuscire a dire altro.I marinai, col capo scoperto, gli indicarono la bandieraa lutto.Marie lanciò un grido di disperazione e cadde tra lebraccia del vecchio zio.André Vasling aveva riportato indietro la Jeune-Hardie,ma il fidanzato di Marie non era più a bordo.

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IIIl piano di Jean Cornbutte

Quando la ragazza, affidata alle amorevoli cure degliamici, ebbe lasciato il brigantino, il secondo, André Va-sling, raccontò a Cornbutte il tragico evento che gli im-pediva di rivedere suo figlio e che il giornale di bordoriportava in questo termini:«Il 26 aprile, all’altezza del Maëlstrom, essendosi lanave messa alla cappa per il maltempo e i venti da sud-ovest, abbiamo scorto dei segnali di pericolo prove-nienti da una goletta sottovento. L’imbarcazione avevaperso l’albero di mezzana e, priva di vele, filava drittaverso l’abisso. Il comandante Louis Cornbutte, ve-dendo la barca avviarsi a un imminente disastro, ha de-ciso di abbordarla. Nonostante le rimostranzedel l’e qui paggio, ha fatto mettere in mare la lancia e siè calato giù col marinaio Cortrois e il timoniere PierreNouquet. L’equipaggio ha potuto seguirli con losguardo finché non sono scomparsi nella nebbia. Ca-lata la notte, il mare si è fatto sempre più agitato. LaJeune-Hardie, trascinata dalle forti correnti di queltratto di mare, rischiava di sprofondare anch’essa nelMaëlstrom. È stata dunque costretta a filare via colvento di bolina. Per alcuni giorni ha inutilmente incro-ciato nel luogo del sinistro: nessuna traccia del coman-dante Louis, dei due marinai, della scialuppa delbrigantino e della goletta. André Vasling ha dunque ra-

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dunato l’equipaggio, preso il comando della nave efatto rotta verso Dunkerque.»Cornbutte, dopo aver letto quel rapporto, stringatocome sempre nei giornali di bordo, pianse a lungo e siconsolò solo all’idea che suo figlio era morto per soc-correre i suoi simili. Poi, il pover’uomo lasciò il brigan-tino, la cui vista lo faceva star male, e tornò a casa conla sua disperazione.La triste notizia si diffuse subito per tutta Dunkerque.I tanti amici del vecchio uomo di mare vennero a por-targli le loro vive e sincere condoglianze. Più tardi i ma-rinai della Jeune-Hardie raccontarono i dettagli dellavicenda e André Vasling dovette dire a Marie quantobene le volesse il suo fidanzato.Dopo aver pianto, Cornbutte rifletté a lungo e l’indo-mani stesso, appena Vasling si presentò, gli disse:«Siete sicuro, André, che mio figlio sia morto?»«Ahimè! sì, signor Jean!» rispose Vasling.«E avete fatto tutte le possibili ricerche per ritrovarlo?»«Abbiamo fatto tutto il possibile, signor Cornbutte! Di-sgraziatamente non ci sono dubbi sul fatto che lui e i duemarinai siano stati inghiottiti dal gorgo del Maëlstrom.»«Vi piacerebbe, André, conservare il comando in se-conda della barca?»«Dipende da chi è il capitano, signor Cornbutte.»«Sarò io il comandante, André» rispose il vecchio ma-rinaio. «Intendo scaricare velocemente la mia nave, met-tere insieme l’equipaggio e correre a cercare mio figlio!»«Vostro figlio è morto!» insistette Vasling.«È possibile, André» replicò impaziente Cornbutte «maè possibile anche che si sia salvato. Voglio frugare tuttii porti della Norvegia dove potrebbe essere stato spinto

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e, quando avrò la certezza di non rivederlo più, solo al-lora tornerò a finire qui i miei giorni!»Rendendosi conto che niente poteva indurlo a recederedalla sua decisione, Vasling si ritirò.Cornbutte parlò anche con la nipote del suo progetto evide brillare qualche barlume di speranza attraverso lesue lacrime. La ragazza non aveva pensato che il suo fi-danzato potesse anche non essere morto; ma appenaquella nuova speranza affiorò nel suo cuore, vi si abban-donò senza riserva.Il vecchio marinaio decise che la Jeune-Hardie dovevariprendere subito il mare. Il brigantino, di solida costru-zione, non aveva avarie da riparare e Cornbutte fece sa-pere che, se i suoi marinai volevano imbarcarsi di nuovo,non avrebbe cambiato equipaggio. Avrebbe solo presoil posto di suo figlio al comando della nave.Tutti quei generosi marinai risposero all’appello: AlainTurquiette, il carpentiere Fidèle Misonne, il bretone Pe-nellan in sostituzione di Pierre Nouquet come timo-niere, poi Gradlin, Aupic, Gervique, tutti uomini dimare esperti e coraggiosi.Cornbutte propose di nuovo a Vasling di riprendere ilsuo ruolo a bordo. Il secondo era molto bravo nella ma-novra e aveva dato ottima prova di sé riportando laJeune-Hardie in porto. Tuttavia, non si sa per quale mo-tivo, Vasling oppose qualche difficoltà e chiese di po-terci riflettere.«Come volete, André» rispose Cornbutte. «Sappiatesoltanto che, se accettate, sarete il benvenuto.»Fra i suoi uomini Cornbutte ne aveva uno particolar-mente affezionato, il bretone Penellan, che era stato perlungo tempo suo compagno di navigazione. Quando era

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a terra, la piccola Marie passava le lunghe serate d’in-verno in braccio a lui. Così l’uomo aveva conservato perlei una paterna amicizia, che la ragazza ricambiava inamore filiale. Penellan fece di tutto per accelerare l’ar-mamento del brigantino, anche perché, secondo lui, Va-sling non aveva forse esperito tutte le ricerche possibiliper ritrovare i naufraghi, pur con la scusa della respon-sabilità che pesava su di lui come comandante.Dopo neanche otto giorni la Jeune-Hardie era pronta ariprendere il mare. Invece delle mercanzie il carico eracomposto tutto di provviste, carne salata, gallette, barilidi farina, patate, carne di maiale, vino, acquavite, caffè,thè e tabacco.La partenza fu fissata per il 22 maggio. La sera primaAndré Vasling, che non aveva ancora riposto a Corn -butte, si recò da lui. Non aveva ancora deciso e non sa-peva che pesci prendere.Cornbutte non era in casa, nonostante la porta fosseaperta. Vasling entrò nel salotto attiguo alla camera dellaragazza e lì sentì i rumori di una conversazione animata.Ascoltò attentamente e riconobbe le voci di Penellan eMarie. Senza dubbio la discussione durava già da un po’perché la ragazza sembrava opporre un’ostinata resi-stenza alle osservazioni del marinaio bretone.«Quanti anni ha mio zio?» diceva Marie.«Più o meno sessant’anni» rispose Penellan.«Allora! non vi sembra che corra troppi rischi per ritro-vare suo figlio?»«Il nostro comandante è un uomo ancora valido» re-plicò il marinaio. «È forte come una quercia e ha mu-scoli duri come una barra d’acciaio! Per cui non sonoper niente preoccupato se riprende il mare!»

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«Caro Penellan» riprese Marie «si trova la forza quandosi ama! D’altra parte, ho piena fiducia nell’appoggio delCielo. Voi mi capite e mi aiuterete.»«No!» disse Penellan. «Non è possibile, Marie! Chissàdove andremo a finire e a quali disgrazie andremo in-contro! Ho visto tanti uomini in gamba perdere la vitain quei mari!»«Penellan» riprese la ragazza «ho già deciso; se vi rifiu-tate di aiutarmi, dovrò credere che non mi volete piùbene.»Vasling aveva capito cosa intendeva la ragazza. Riflettéun attimo e prese la sua decisione.«Signor Cornbutte» disse andando incontro al vecchiomarinaio che stava entrando in casa «sono con voi. Leragioni che m’impedivano d’imbarcarmi sono venutemeno e potete assolutamente contare su di me.»«Non ne avevo mai dubitato» rispose Cornbutte prenden-dogli la mano. «Marie! bambina mia!» disse ad alta voce.Marie e Penellan accorsero subito.«Partiremo domani all’alba con la bassa marea» disse ilvecchio marinaio. «Mia povera Marie, è l’ultima serache passeremo insieme.»«Oh, zio» proruppe Marie cadendo tra le braccia diCornbutte.«Marie! Con l’aiuto di Dio ti riporterò il tuo fidanzato!»«Sì, ritroveremo Louis!» aggiunse Vasling.«Siete dunque dei nostri?» chiese ad alta voce Penellan.«Sì, Penellan. André Vasling sarà il mio secondo» ri-spose Cornbutte.«Oh! Oh!» fece il bretone con aria strana.«E i suoi consigli ci saranno utili, perché è bravo e in-traprendente.»

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«Ma voi, comandante» rispose Vasling «sarete voi a in-segnare a tutti noi, perché avete ancora tanta forza e sag-gezza.»«Bene, cari amici, a domani. Ci vediamo a bordo e se-guite le ultime disposizioni. Arrivederci, André; arrive-derci, Penellan!»Il secondo e il marinaio uscirono insieme. Cornbutte eMarie rimasero soli, uno di fronte all’altra. Quante la-crime scivolarono sulle loro guance in quella triste se-rata. Cornbutte, vedendo Maria così affranta, decise dianticipare la separazione lasciando l’indomani la casasenza avvertirla. Così quella sera stessa dette alla nipotel’ultimo bacio e alle tre del mattino era già in piedi.La partenza aveva richiamato sul molo tutti gli amici delvecchio marinaio. Il curato, che doveva benedirel’unione di Marie e Louis, venne a dare un’ultima bene-dizione alla nave. Si scambiarono in silenzio ruvidestrette di mano e Jean Cornbutte salì a bordo.L’equipaggio era al completo. Vasling impartì gli ultimiordini. Le vele furono spiegate e il brigantino si allon-tanò velocemente con una buona brezza da nord-ovest,mentre il curato, in piedi in mezzo alla gente inginoc-chiata, affidava la nave alle mani di Dio.Dove va quella nave? Segue la rotta pericolosa in cui sisono persi tanti naufraghi! Non ha una meta certa! Cisi può attendere qualunque pericolo e lo si deve fron-teggiare senza esitazione! Dio solo sa quale sarà il suoapprodo! Dio la guida!

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IIIUn barlume di speranza

Il tempo era favorevole in quella stagione e l’equipaggiopoté sperare di arrivare velocemente sul luogo del nau-fragio. Naturalmente Cornbutte aveva un piano. Con-tava di fare tappa alle isole Faeroës dove i venti del nordpotevano aver portato i naufraghi; poi, una volta accer-tato che non erano stati raccolti in uno dei porti di queltratto di mare, avrebbero spinto le loro ricerche oltre ilMar del Nord, perlustrato tutta la costa occidentaledella Norvegia fino a Bodoë, il posto più vicino al luogodel naufragio, e se necessario avrebbero proseguitooltre.André Vasling invece pensava che si dovessero esplorarele coste dell’Islanda. Ma Penellan fece osservare che,quando era avvenuta la tragedia, la burrasca veniva daovest e ciò avvalorava la speranza che i poveri compagninon fossero stati trascinati verso il vortice del Maël-strom, ma piuttosto verso le coste della Norvegia.Fu quindi presa la decisione di costeggiare quel litoraleil più vicino possibile per poter scoprire eventuali traccedel loro passaggio.L’indomani della partenza Cornbutte, con la testa chi-nata su una carta nautica, era immerso nei suoi pensieri,quando una piccola mano si appoggiò sulla sua spalla euna voce dolce gli sussurrò all’orecchio:«Fatevi coraggio, zio!»

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Si girò e rimase stupefatto. Marie gli gettò le braccia alcollo.«Marie! ragazza mia, tu a bordo!» gridò.«Se il padre s’imbarca per salvare suo figlio, anche lamoglie può andare a cercare il marito!»«Povera Marie! Come potrai reggere alle fatiche delviaggio? Lo sai che la tua presenza potrà essere di osta-colo alle nostre ricerche?»«No, zio, perché sono forte!»«Chi sa dove saremo trascinati, Marie! Guarda questacarta. Ci stiamo avvicinando a posti molto pericolosi,anche per noi che siamo temprati dalla dura vita dimare. E tu, che sei una fragile bambina!»«Ma zio, anch’io vengo da una famiglia di marinai! Sonocresciuta ascoltando i racconti del mare e delle sue tem-peste. Sono vicina a voi e al mio vecchio amico Penel-lan!»«È stato lui a nasconderti a bordo.»«Sì, zio, ma solo quando ha capito che ero decisa a farloanche senza il suo aiuto.»«Penellan!» chiamò Cornbutte.E Penellan entrò.«Penellan, non voglio tornare su quello che è già fatto,ma ricordati che sei responsabile della vita di Marie.»«State tranquillo comandante» rispose Penellan. «Lapiccola ha forza e coraggio e sarà il nostro angelo cu-stode. E poi, comandante, sapete come la penso: dob-biamo avere fiducia in questo mondo.»Alla ragazza fu assegnata una cabina che i marinai siste-marono in breve tempo, rendendola il più confortevolepossibile.Otto giorni più tardi la Jeune-Hardie raggiunse le Fae-

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roës, ma le minuziose esplorazioni non dettero alcunfrutto. Nessun segno di naufragio, sulla costa nonc’erano relitti d’imbarcazioni e nessuno sapeva nientedi ciò che era avvenuto. Il 10 giugno, quindi dopo diecigiorni di sosta, il brigantino riprese il viaggio. Il mareera calmo e non c’era vento. La nave così fu spinta rapi-damente verso la costa della Norvegia, che fu esploratasenza successo.Cornbutte decise di dirigersi a Bodoë; forse lì avrebbescoperto il nome della nave naufragata che Louis e i suoimarinai avevano cercato di soccorrere.Il 30 giugno il brigantino gettò quindi l’ancora in quelporto e lì le autorità gli consegnarono una bottiglia tro-vata sulla costa col seguente messaggio:«Questo 26 aprile a bordo del Froöern, dopo essere statiaccostati dalla lancia della Jeune-Hardie, siamo stati tra-scinati dalle correnti verso i ghiacci. Dio abbia pietà dinoi!»Il primo pensiero di Cornbutte fu di ringraziare il Cielo.Credeva di essere sulle tracce del figlio.Quel Froöern era una goletta norvegese di cui non siavevano più notizie, ma che era evidentemente stata tra-scinata verso nord.Non si doveva perdere un giorno e la Jeune-Hardie fusubito apprestata per affrontare i pericoli delle acquedel Polo. Il carpentiere Fidèle Misonne la ispezionòscrupolosamente e si assicurò che la sua solida strutturapotesse reggere allo choc dei ghiacci.Seguendo le indicazioni di Penellan, che aveva già fattola pesca alla balena nel Mare Artico, furono imbarcatecoperte di lana, pellicce, scarpe di pelle di foca e il le-gname necessario per costruire delle slitte per scivolare

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sulla banchisa. Furono incrementate le provviste di al-cool etilico e di carbon fossile, perché si poteva esserecostretti a passare l’inverno in qualche punto della costadella Groenlandia. A fatica e a caro prezzo fu procuratauna certa quantità di limoni, destinati a curare lo scor-buto, la terribile malattia che decima gli equipaggi nelleregioni polari. Le provviste di carne salata, gallette, ac-quavite, accresciute in prudente misura, andarono a oc-cupare parte della stiva perché la cambusa non erasufficiente. Ci si procurò anche una grande quantità dipemmican, un preparato dei nativi del Nord Americache concentra molte sostanze nutrienti in un volumecontenuto.Cornbutte diede disposizione d’imbarcare delle segheper tagliare le lastre di ghiaccio e picchetti e cunei perspezzarle. Il comandante si riservò di prendere sullacosta della Groenlandia i cani necessari a tirare le slitte.Tutto l’equipaggio fu impegnato nei preparativi e vi sidedicò col massimo impegno. Aupic, Gervique e Gra-dlin seguirono scrupolosamente i consigli del nocchieroPenellan, che li invitò a non usare subito gli abiti di lana,sebbene la temperatura fosse già bassa a quella latitu-dine sopra il circolo polare artico.Senza dire niente, Penellan osservava i minimi movi-menti di Vasling. Quell’uomo, di origine olandese, nonsi sapeva da dove venisse; si sapeva solo che era unbravo uomo di mare e che aveva fatto due viaggi a bordodella Jeune-Hardie. Penellan non aveva ancora nienteda rimproverargli, tranne il fatto che stava troppo ad-dosso a Marie; ma lo sorvegliava da vicino.Grazie al lavoro dell’equipaggio, il 16 luglio, quindicigiorni dopo l’arrivo a Bodoë, il brigantino era pronto

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con l’armamento. Era la stagione favorevole alle esplo-razioni nei mari artici. Il disgelo era in atto da due mesie le ricerche potevano essere spinte più avanti. La Jeune-Hardie quindi salpò e si diresse verso il Capo Brewster,situato sulla costa orientale della Groenlandia, a 70° dilatitudine.

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IVNegli stretti

Verso il 23 luglio, un bagliore bianco sopra il mare an-nunciò i primi banchi di ghiaccio che dallo Stretto diDavis scivolavano nell’oceano. Da quel momento fu rac-comandata agli uomini di vedetta la massima attenzioneper evitare di urtare quelle enormi masse ghiacciate.L’equipaggio fu diviso in due turni di guardia: il primocomposto da Misonne, Gradlin e Gervique; il secondoda Vasling, Aupic e Penellan. I turni non dovevano du-rare più di due ore, perché in quelle regioni fredde laresistenza dell’uomo si dimezza. Benché la Jeune-Har-die fosse ancora solo a 63° di latitudine, il termometrosegnava già 9° sotto lo zero.Pioggia e neve cadevano spesso e abbondanti. Durantele schiarite, quando il vento non era troppo violento,Marie stava sul ponte e i suoi occhi si abituavano aquelle dure scene di vita nel mare polare.Il 1° agosto stava passeggiando a poppa del brigantinoe parlava con suo zio, Vasling e Penellan. La Jeune-Har-die entrava in quel momento in un canale largo tre mi-glia, dove file di lastroni di ghiaccio scendevano rapideverso sud.«Quando avvisteremo terra?» chiese la ragazza.«Fra tre o quattro giorni al più tardi» rispose Cornbutte.«Ma troveremo nuove tracce del passaggio del mio po-vero Louis?»

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«Forse, ragazza mia, ma temo che siamo ancora moltolontani dalla fine del nostro viaggio. Ho paura che ilFroöern sia stato trascinato molto più a nord.»«Deve essere così» aggiunse Vasling «perché la burrascache ci ha allontanato dalla nave norvegese è durata tregiorni e in tre giorni una nave fa molta strada quandonon governa, incapace di resistere al vento.»«Permettetemi di dire, signor Vasling» puntualizzò Pe-nellan «che era aprile, il disgelo non era ancora comin-ciato e di conseguenza il Froöern deve essere statosubito bloccato dal ghiaccio...»«E certamente fatto a pezzi» rispose il secondo «vistoche l’equipaggio non era più in grado di manovrare.»«Ma queste distese di ghiaccio» rispose Penellan «avreb-bero dovuto permettere loro di raggiungere la terra, dacui non si potevano essere allontanati.»«Speriamo» disse Cornbutte, interrompendo una di-scussione che si ripeteva ogni giorno fra il secondo e iltimoniere. «Credo che vedremo tra poco.»«Eccola» gridò Marie. «Si vedono le montagne!»«No, no, bambina mia» rispose Cornbutte, «Sono ice-berg, i primi che incontriamo. Ci stritolerebbero comepezzi di vetro se ci facessimo circondare. Penellan e Va-sling, controllate la manovra.»Quelle enormi masse galleggianti, di cui ne apparivanopiù di cinquanta all’orizzonte, si avvicinarono pianopiano al brigantino. Penellan prese il timone mentreCornbutte, salito sul pennone di parocchetto, indicavala rotta da seguire.Verso sera il brigantino si trovò completamente circon-dato da quegli scogli in movimento capaci di schiacciarequalunque cosa. Si trattava quindi di passare attraverso

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quella flotta di montagne, perché la prudenza imponevadi passare oltre. A quei pericoli se ne aggiungeva unaltro: non si poteva verificare l’effettiva direzione dellanave perché tutti i punti di riferimento intorno si muo-vevano continuamente e non offrivano un rilevamentostabile. Con l’oscurità aumentò anche la nebbia. Mariescese nella sua cabina e, per ordine del comandante,tutti gli otto membri dell’equipaggio dovettero restaresul ponte. Erano armati di lunghe gaffe con punte diferro per proteggere la nave dagli urti degli iceberg.La Jeune-Hardie entrò in un canale talmente stretto chepiù volte le estremità dei pennoni sfregarono contro lemontagne alla deriva e si dovettero arretrare. Si dovetteanche abbattere il pennone di gabbia fino a toccare glistragli. Per fortuna l’operazione non fece perdere velo-cità alla nave perché solo le vele in alto prendevanovento e questo bastava a spingere la nave. La ridotta lar-ghezza dello scafo consentiva al brigantino di scivolarein quei canali battuti da raffiche di pioggia, mentre gliiceberg si scontravano con schianti spaventosi.Cornbutte ridiscese sul ponte. Il suo sguardo non po-teva penetrare le tenebre tutt’intorno. Fu necessario im-brogliare le vele più alte perché la nave minacciava ditoccare, con rischio altissimo per lo scafo. «Maledetto viaggio!» brontolava Vasling fra i marinai aprua che, con in mano la gaffa, evitavano gli urti più pe-ricolosi.«Se ne veniamo fuori dovremo accendere una bella can-dela alla Nostra Signora dei Ghiacci!» rispose Aupic.«Chissà quanti banchi di ghiaccio dovremo ancora at-traversare» aggiunse il secondo.«E chissà cosa troveremo dietro?» proseguì il marinaio.

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«Non parlare tanto, chiacchierone» disse Gervique «econtrolla il tuo bordo. Avrai tempo di brontolarequando saremo passati. Attento con la gaffa!»In quel momento un enorme blocco di ghiaccio, pene-trato nello stretto canale percorso dalla Jeune-Hardie,prese a filare veloce controbordo; era impossibile evi-tarlo perché occupava tutto il passaggio e la nave nonpoteva virare.«Hai ancora la barra?» chiese Cornbutte a Penellan.«No, capitano! La nave non governa più!»«Su, ragazzi» gridò il comandante al suo equipaggio«non abbiate paura e puntellate saldamente le gaffe con-tro il capodibanda !»Il blocco di ghiaccio era alto circa sessanta piedi e, sefosse piombato sul brigantino, l’avrebbe distrutto. Ci fuun indicibile momento di angoscia e l’equipaggio si ri-trasse indietro, abbandonando il proprio posto, nono-stante gli ordini del comandante.Ma quando la massa di ghiaccio era ad appena centometri dalla Jeune-Hardie, si sentì un boato e una valangad’acqua si abbatté sulla prua della nave che fu sollevatada un’enorme ondata.I marinai lanciarono un grido di terrore; ma quando illoro sguardo si volse avanti, il blocco di ghiaccio erascomparso, il passaggio era libero e, al di là, un’immensadistesa d’acqua illuminata dagli ultimi raggi del sole,prometteva una facile prosecuzione del viaggio.«È andata bene!» esclamò Penellan «Spieghiamo le veledi gabbia e di trinchetto.»Si era verificato un fenomeno molto comune in queltratto di mare. Quando quelle masse galleggianti si di-staccano all’epoca del disgelo, procedono per un po’ in

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perfetto equilibrio; ma quando arrivano in mare aperto,l’acqua relativamente più calda e l’urto dei blocchi fraloro pian piano fanno sciogliere e sfaldare il ghiaccioalla base. A un certo punto il centro di gravità si disassae i blocchi si capovolgono completamente. Se quell’ice-berg si fosse ribaltato due minuti più tardi, sarebbe crol-lato sul brigantino e l’avrebbe distrutto.

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VL’isola di Liverpool

Il brigantino adesso procedeva in un mare quasi com-pletamente libero. Una luce biancastra all’orizzonte,questa volta immobile, indicava la presenza di ghiacciostabile.Cornbutte continuava a fare rotta verso il Capo Brewstere ci si stava avvicinando alla fascia in cui le temperaturescendono sensibilmente, perché i raggi del sole arrivanoobliqui e quindi molto indeboliti.Il 3 agosto la nave raggiunse una distesa di ghiaccio im-mobile e compatto. I passaggi non superavano i due-cento metri di larghezza e la Jeune-Hardie era costrettaa fare mille giri per presentarsi col vento giusto.Penellan si occupava con cura paterna di Marie e, no-nostante il freddo, la obbligava tutti i giorni a passaredue o tre ore sul ponte, perché l’esercizio era condizioneindispensabile per conservarsi in salute.Del resto Marie continuava a dimostrare un grande co-raggio; con le sue parole dava conforto ai marinai, cheprovavano un’autentica adorazione per la ragazza.Vasling in particolare era molto premuroso e cercavatutte le occasioni per stare accanto a Marie; ma lei, peruna sorta di presentimento, ricambiava le sue premurecon una certa freddezza. Si può immaginare come leconversazioni di Vasling fossero incentrate più suquanto doveva accadere, piuttosto che sul presente e il

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secondo non mancava di sottolineare le poche probabi-lità di salvare i naufraghi. Nella sua testa la loro morteera un fatto assodato e le speranze della ragazza dove-vano quindi indirizzarsi su qualcun altro.Marie non aveva tuttavia ancora capito il disegno di Va-sling perché, con grande dispetto di quest’ultimo, quelleconversazioni non duravano mai a lungo. Penellan tro-vava sempre il modo di intromettersi per compensarecon parole di speranza l’effetto distruttivo dei discorsidel secondo.Peraltro Marie non stava senza far niente. Su consigliodel timoniere preparò il suo abbigliamento invernale e dovette cambiare completamente genere. Il taglio deisuoi abiti femminili non si adattava al freddo di quellelatitudini; si fece quindi una specie di pantalone imbot-tito di pelliccia, con i piedi foderati di pelle di foca, edelle gonne strette che arrivavano solo a mezza gambaper non entrare in contatto con la coltre di neve ched’inverno ricopre la distesa di ghiaccio. Il busto e la testaerano protetti da un cappotto di pelliccia, stretto allavita e con un cappuccio.Nelle pause del loro lavoro anche gli uomini dell’equipag-gio si confezionarono dei vestiti adatti a proteggerli dalfreddo. Fabbricarono molti stivaletti alti in pelle di focache dovevano permetter loro di camminare indenni sullaneve durante le esplorazioni. Così passarono il tempo du-rante la lunga navigazione attraverso i passaggi fra i ghiacci.Vasling era un ottimo tiratore e abbatté molti degli uc-celli acquatici che in grandi stormi volteggiavano at-torno alla nave. Oche dell’Artico e pernici bianchefornirono all’equipaggio una carne eccellente, come va-lida alternativa alla carne salata.

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Finalmente, dopo mille deviazioni, il brigantino arrivòin vista del Capo Brewster. Fu calata una lancia e Corn -butte e Penellan guadagnarono la costa, che era assolu-tamente deserta.Poi subito la nave ripartì in direzione dell’isola di Liver-pool, scoperta nel 1821 dal comandante Scoresby, el’equipaggio lanciò delle grida di gioia vedendo gli abi-tanti del posto accorrere sulla spiaggia. Si poté comuni-care con loro grazie a qualche parola che Penellanconosceva della loro lingua e qualche frase che i localiavevano appreso dai cacciatori di balene che frequenta-vano la zona.Quelle popolazioni della Groenlandia erano di corpo-ratura piccola e tozza; non superavano i quattro piedi edieci pollici di altezza; avevano la carnagione rossastra,il viso tondo e la fronte bassa; i capelli, lisci e neri, rica-devano sulla schiena e sembravano affetti da quella spe-cie di lebbra tipica delle tribù ittiofaghe.Quella povera gente era molto interessata agli oggetti inferro e rame e, in cambio, portavano pellicce d’orso,pelli di vitello marino e di tutti quegli animali compresigenericamente sotto il nome di foche. Cornbutte ot-tenne da loro, quasi per niente, alcuni oggetti che si sa-rebbero rivelati poi di grande utilità.Il comandante fece poi capire a quella gente che era allaricerca di una nave naufragata e domandò loro se ne sa-pessero qualcosa. Uno degli indigeni tracciò subito sullaneve il profilo di una nave e disse che qualcosa di simile,tre mesi prima, era passato in direzione nord, trascinatodalla corrente; disse anche che il disgelo e la rottura delpack aveva loro impedito di andare a cercarlo; effetti-vamente le loro canoe leggerissime, che spingevano con

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la pagaia, non potevano reggere il mare in quelle condi-zioni.Quelle notizie, seppure sommarie, riportarono la spe-ranza nel cuore dei marinai e Cornbutte non ebbe dif-ficoltà a trascinarli più oltre nelle acque dell’Artico.Prima di lasciare l’isola di Liverpool il comandante ac-quistò una muta di sei cani da slitta che in breve si adat-tarono a bordo. La nave salpò l’ancora la mattina del 10agosto e, spinta da un forte vento, s’inoltrò nei canali indirezione nord.In quel periodo i giorni erano i più lunghi dell’anno,vale a dire, a quelle latitudini il sole, che non tramontamai, tocca il punto più alto sull’orizzonte. La mancanzadella notte non si percepiva molto perché la nebbia e laneve che avvolgevano la nave creavano un effetto dibuio.Deciso a proseguire il più avanti possibile, Cornbuttecominciò a prendere le adeguate misure. Il ponte sotto-coperta fu accuratamente sigillato e solo al mattino siprovvedeva al ricambio d’aria. Furono istallate le stufee le canne fumarie furono disposte in modo da sfruttareal meglio il calore. Si raccomandò all’equipaggio d’in-dossare una maglia di lana sopra la camicia di cotone edi chiudere bene il giaccone di pelle. Le stufe però nonfurono ancora accese, per conservare legna e carboneper quando le temperature fossero scese ulteriormente.Mattina e sera furono distribuite regolarmente ai mari-nai bevande calde, come caffè e thè, e siccome era im-portante mangiare carne fresca, si dava la caccia alleanitre e alle alzavole, che abbondano in quella zona.Cornbutte fece anche istallare in cima all’albero maestroun “nido di cornacchie”, una specie di barile aperto da

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un lato, dove stava sempre una vedetta per controllarela distesa di ghiaccio.Il brigantino aveva lasciato l’isola di Liverpool da duegiorni, quando un vento secco fece scendere improvvi-samente la temperatura e si percepirono i primi segnidell’arrivo dell’inverno. Per la Jeune-Hardie non c’eraun momento da perdere perché presto sarebbe stato im-possibile procedere. Avanzò quindi nei varchi che siaprivano nel ghiaccio che misurava in quel punto fino atrenta piedi di spessore.La mattina del 3 settembre la Jeune-Hardie giunse al-l’altezza della Baia di Gaël-Hamkes. La terra era alloraa trenta miglia sottovento. Per la prima volta il brigan-tino si arrestò davanti a un banco di ghiaccio che nonpresentava alcun passaggio e che misurava almeno unmiglio di larghezza. Si dovettero quindi impiegare leseghe per tagliare il ghiaccio. A Penellan, Aupic e Tur-quiette fu affidata la manovra di quelle seghe piazzatefuori bordo. Il taglio fu fatto in modo che la correntepotesse trascinar via i blocchi distaccati dal banco. L’in-tero equipaggio impiegò circa venti ore in quell’opera-zione. Gli uomini facevano un’estrema fatica a lavoraresul ghiaccio; spesso erano costretti a entrare nell’acquafino alla vita e i vestiti di pelle di foca li proteggevanosolo in parte dal freddo e dall’umido. Oltretutto, aquelle latitudini il lavoro faticoso comporta una terribilestanchezza, perché manca subito il fiato e anche l’uomopiù resistente è costretto a frequenti soste.Finalmente la rotta fu nuovamente libera e il brigantinopoté essere rimorchiato oltre il banco che l’aveva impri-gionato a lungo.

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VIIl ghiaccio si spezza

Per qualche giorno ancora la Jeune-Hardie lottò controostacoli insormontabili. L’equipaggio dovette quasi sem-pre usare le seghe e spesso si dovette usare anchel’esplosivo per far saltare gli enormi blocchi di ghiaccioche impedivano di procedere.Il 12 settembre il mare si presentava come un’unica di-stesa compatta, sterminata, senza varchi, che circondavala nave da tutti i lati, senza possibilità di avanzare e diretrocedere. La temperatura si manteneva in media a se-dici gradi sottozero. L’inverno era dunque arrivato, ac-crescendo l’angoscia e i pericoli.La Jeune-Hardie si trovava a circa 21° di longitudineovest e 76° di latitudine nord, all’ingresso della Baia diGaël-Hamkes.Cornbutte fece quindi i preparativi per passare l’in-verno. Per prima cosa si preoccupò di trovare un’inse-natura che permettesse di riparare la nave dai colpi divento e dal crollo dei ghiacci. Solo la terraferma, che do-veva essere a una decina di miglia a ovest, poteva offrireun riparo sicuro che andava cercando.Quello stesso giorno si mise in marcia, accompagnatoda Vasling, Penellan e dai due marinai Gradlin e Tur-quiette. Ognuno portava le provviste per soli due giorni,perché era improbabile che l’escursione si prolungasseoltre, e pelli di bufalo su cui distendersi per dormire.

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L’abbondante neve fresca rallentava molto il loro passo;spesso affondavano fino alla vita e dovevano avanzarecon estrema prudenza per non cadere nei crepacci. Pe-nellan, che marciava in testa, sondava scrupolosamenteogni depressione della banchisa col suo bastone ferrato.Verso le cinque di sera la nebbia cominciò a infittirsi eil gruppetto dovette fermarsi. Penellan si occupò di cer-care un lastrone di ghiaccio che riparasse dal vento e,dopo essersi rifocillati e rimpiangendo di non avere unabevanda calda, tutti stesero le loro pelli sulla neve e visi avvolsero, stringendosi l’uno all’altro; ben presto ilsonno ebbe il sopravvento sulla fatica.La mattina dopo Cornbutte e i suoi compagni erano se-polti sotto una coltre di neve spessa oltre un piede. Perfortuna le pelli, perfettamente impermeabili, li avevanoprotetti e la neve stessa aveva contribuito a conservare ilcalore corporeo, impedendogli di disperdersi all’esterno.Cornbutte dette subito il segnale di partenza e, versomezzogiorno, lui e i suoi compagni avvistarono la terra-ferma, anche se non riuscirono a distinguerla subito.Alti blocchi di ghiacci, spaccati perpendicolarmente,s’innalzavano sulla riva; le punte, di varie forme e di-mensioni, sembravano degli enormi cristalli. Al loro ar-rivo migliaia di uccelli acquatici si alzarono in volo e lefoche, che erano pigramente distese sul ghiaccio, si tuf-farono precipitosamente in acqua.«Accidenti!» disse Penellan «Non ci mancheranno dicerto pellicce e cacciagione!»«Quegli animali» rispose Cornbutte «hanno tutta l’ariadi aver già ricevuto la visita degli uomini, perché in unalanda completamente disabitata non sarebbero così spa-ventati.»

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«Solo gli indigeni della Groenlandia frequentano questeterre» replicò Vasling.«Comunque non vedo tracce del loro passaggio, né unaccampamento, né una capanna!» rispose Penellan cheera salito su un lastrone più alto. «Oh, comandante»gridò «vedo una punta a terra che ci proteggerà benedai venti da nord-est».«Da questa parte, ragazzi» disse Cornbutte.Gli altri lo seguirono e insieme raggiunsero subito Pe-nellan. Il marinaio aveva ragione. Una punta di terra siprotendeva come un promontorio e poi curvava versola costa a formare una piccola baia profonda al massimoun miglio. Alcuni blocchi di ghiaccio, che si erano in-franti contro la punta, galleggiavano nel mezzo e il mare,riparato dai venti più freddi, non era ancora del tuttogelato.Il luogo era perfetto per passare l’inverno. Ci si dovevaperò portare la nave. Cornbutte fece notare che la di-stesa di ghiaccio circostante era molto spessa e sembravamolto difficile riuscire a scavare un canale per condurrelì il brigantino. Quindi si doveva cercare un’altra inse-natura.Invano Cornbutte avanzò verso nord, la costa conti-nuava dritta e scoscesa per un bel tratto e, al di là dellapunta, era esposta direttamente al vento da est. Ciò sco-raggiò il capitano, tanto più che Vasling, con conside-razioni inoppugnabili, fece notare quanto grave fosse lasituazione. Lo stesso Penellan del resto faceva non pocafatica a pensare in positivo, in quelle condizioni. Il brigantino quindi poteva passare l’inverno solo sullaparte meridionale della costa. Si doveva tornare indietroe non c’era tempo da perdere. Il gruppetto riprese

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quindi il cammino verso la nave procedendo di buonpasso perché i viveri cominciavano a scarseggiare. Corn -butte cercò lungo il percorso qualche passaggio prati-cabile, o almeno qualche fessura che permettesse discavare un canale nella desolata distesa di ghiaccio, mainvano.Verso sera i marinai arrivarono vicino al lastrone, doveavevano piazzato il campo la sera precedente. Duranteil giorno non aveva nevicato e trovarono ancora l’im-pronta dei loro corpi sul ghiaccio. Essendo già tutto pre-disposto per passare la notte, si distesero sulle loro pellidi bufalo.Penellan, molto contrariato dall’insuccesso dell’esplo-razione, dormiva agitato e in un momento di veglia unrombo sordo attirò la sua attenzione. Prestò ascolto aquel rumore e il rombo gli sembrò così strano che sve-gliò Cornbutte con una gomitata.«Che cos’è?» chiese il capitano che, da bravo uomo dimare, dormiva con un occhio aperto.«Ascolti, comandante!» rispose Penellan.Il rumore aumentava, sempre più violento.«Non può essere un tuono a questa latitudine» disseCornbutte alzandosi.«Penso piuttosto che si tratti di un branco di orsi bian-chi!» rispose Penellan.«Diavolo! però non ne avevamo ancora visto uno.»«Prima o poi» rispose Penellan «ci dobbiamo attendereuna loro visita. Cominciamo a dar loro il benvenuto.»Imbracciato quindi il fucile, salì sul lastrone che li ripa-rava. Il buio fittissimo e il cielo coperto gli impedironodi scorgere qualcosa; ma un nuovo rumore gli fece ca-pire che ciò che stava accadendo non era intorno. Corn -

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butte lo raggiunse e insieme scoprirono con terrore chequel rombo, la cui intensità aveva svegliato anche i com-pagni, proveniva da sotto i loro piedi.Una nuova minaccia incombeva e a quel rumore, simileallo scoppio di un tuono, si aggiunse un movimento on-dulatorio molto accentuato della superficie ghiacciata.Alcuni marinai persero l’equilibrio e caddero a terra.«Attenti!» gridò Penellan.«Sì» risposero.«Turquiette! Gradlin! Dove siete?»«Sono qui!» rispose Turquiette scuotendosi di dosso laneve.«Di qua, Vasling» gridò Cornbutte al secondo. «E Gra-dlin?»«Presente, comandante!... Ma siamo perduti!» esclamòGradlin terrorizzato.«No!» disse Penellan. «Forse siamo salvi.»Aveva appena detto queste parole che si sentì unoschianto terribile. La distesa di ghiaccio si frantumò e imarinai dovettero aggrapparsi al blocco che oscillavasotto di loro. A dispetto delle parole del timoniere, sitrovavano in una situazione molto pericolosa perché sistava verificando un maremoto. I blocchi di ghiacciostavano “levando l’ancora”, per usare un’espressionemarinaresca. Quel movimento durò circa due minuti edera da temere che si aprisse una spaccatura sotto i piedidei poveri marinai. Attesero così il sorgere del sole inmezzo a continue scosse, non potendo fare un passo colrischio di morire e restando distesi per il pericolo di es-sere inghiottiti dall’acqua.Alle prime luci del giorno, al loro sguardo si offrì unquadro del tutto differente. La grande distesa, che la

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sera era compatta, adesso era tutta frammentata; leonde, sollevate da qualche sommovimento sottomarino,avevano rotto lo spesso strato di ghiaccio che le rico-priva.Cornbutte pensò al suo brigantino.«Povera la mia barca!» esclamò. «Deve essere andata.»La più cupa disperazione cominciò a dipingersi sul visodei compagni. La perdita della nave voleva dire inevita-bilmente che la loro morte era vicina.«Coraggio, amici» riprese Penellan «pensate che il ma-remoto di stanotte ci ha aperto una strada attraverso ilghiaccio, che ci consentirà di portare il brigantino allabaia per passare l’inverno. Ecco! vedete che non misono sbagliato? Guardate laggiù la Jeune-Hardie; si èavvicinata a noi di un miglio!»Tutti si gettarono imprudentemente in avanti, tanto cheTurquiette scivolò in una fenditura, e sarebbe certa-mente morto se Cornbutte non l’avesse riacciuffato peril cappuccio. Se la cavò con un bagno gelato.In effetti il brigantino galleggiava due miglia soprav-vento e dopo infinite tribolazioni lo raggiunsero. Lanave era in buone condizioni; ma il timone, che ci si eradimenticati di sollevare, era stato rotto dal ghiaccio.

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VIILa sistemazione per lo svernamento

Ancora una volta Penellan aveva ragione: tutto era an-dato bene e quel maremoto aveva aperto alla nave unastrada praticabile fino alla baia. I marinai non dovetterofar altro che sfruttare la corrente per indirizzarvi i bloc-chi di ghiaccio e aprirsi una strada.Il 19 settembre il brigantino giunse finalmente nella baiadove svernare, saldamente ancorato su un buon fondalea quattrocento metri da terra. Già il giorno seguente ilghiaccio si era riformato intorno allo scafo; ben prestodivenne abbastanza spesso da reggere il peso di unuomo e si poté stabilire la comunicazione diretta con laterra.Seguendo l’uso dei navigatori artici, l’armamento rimasecom’era; le vele furono ripiegate con cura sui pennoni,avvolte nelle loro fodere, e il “nido delle cornacchie”restò al suo posto, sia per consentire di guardare lontanoche per attirare l’attenzione sulla nave.Il sole si alzava già di poco sopra l’orizzonte. Dopo ilsolstizio di giugno le spirali che aveva descritto si eranoabbassate sempre di più e presto sarebbe scomparso deltutto.L’equipaggio si affrettò a fare i preparativi. Penellan di-rigeva i lavori. Il ghiaccio intorno alla nave era diventatomolto spesso e c’era da temere che la pressione non ladanneggiasse; ma Penellan aspettò che, con l’andirvieni

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dei blocchi di ghiaccio che aderivano fra loro, lo spes-sore avesse raggiunto una ventina di piedi; a quel puntofece tagliare il ghiaccio intorno allo scafo in modo chesi ricongiungesse sotto la nave, prendendone la forma;incastrato in una specie di letto, il brigantino da quelmomento non ebbe più da temere la pressione delghiaccio, che non si poteva muovere.I marinai innalzarono lungo le fiancate, fino all’altezzadel bastingaggio, una muraglia di neve di cinque/seipiedi di spessore, che non tardò a indurirsi come unaroccia. Quell’involucro impediva al calore dell’internodi disperdersi all’esterno. Una tenda di tela, ricopertadi pelli e chiusa ermeticamente, fu stesa su tutta la lun-ghezza del ponte e formò una specie di ambulacro perl’equipaggio.Analogamente fu costruito a terra anche un magazzinocon le pareti di neve, dove furono ammassati gli oggettiche ingombravano la nave. Le paratie delle cabine fu-rono smontate in modo da formare a poppa e a pruaun’unica grande cabina. Quell’unico vano era più facileda riscaldare perché il ghiaccio e l’umido avevano menoangoli dove attaccarsi. Ugualmente era più facile da ven-tilare adeguatamente, utilizzando dei manicotti in telache comunicavano con l’esterno.Tutti si dedicarono anima e corpo a quei preparativi e,verso il 25 settembre, i lavori erano completamente ter-minati. Vasling non si era dato meno da fare; soprattuttosi era dato una gran premura nell’occuparsi della ra-gazza. Marie, tutta presa dal pensiero del povero Louis,non se n’era accorta. Cornbutte invece aveva capito chequalcosa stava succedendo, ne aveva parlato con Penel-lan e si era ricordato di alcuni episodi che gettarono

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piena luce sulle intenzioni del secondo. André Vaslingamava Marie e contava di chiedere la sua mano allo zioquando fosse fugato ogni dubbio sulla morte dei nau-fraghi. Una volta tornati a Dunkerque non gli sarebbecerto dispiaciuto sposare una ragazza bella e ricca, unicaerede di Jean Cornbutte. Nella sua impazienza però Vasling mancò spesso di abilità;aveva dichiarato più volte che quelle ricerche erano inutilie spesso un indizio nuovo lo aveva smentito, con grandesoddisfazione di Penellan che non mancava di sottoline-arlo. Così il secondo detestava cordialmente il timoniere,che lo ricambiava. Quest’ultimo temeva solo una cosa, cheVasling cominciasse a sobillare l’equipaggio, e convinseCornbutte a rispondere evasivamente la prima volta cheil secondo gli avesse rivolto una domanda.Quando i preparativi per l’inverno furono terminati, ilcomandante prese delle misure per mantenere l’equipag-gio in salute. Agli uomini fu ordinato di arieggiare tuttele mattine gli alloggi e di asciugare accuratamente le pa-ratie, per togliere l’umidità della notte. Al mattino e allasera veniva distribuito thè o caffè bollente, ciò che esistedi meglio per combattere il freddo; poi furono istituiti deiturni di caccia che dovevano garantire, per quanto possi-bile, cibo fresco alla mensa di bordo.Ognuno poi doveva fare ogni giorno della ginnastica enon doveva stare al freddo senza fare movimento, per-ché con 30° sotto zero poteva capitare che una qualsiasiparte del corpo si congelasse improvvisamente. In quelcaso si dovevano praticare delle frizioni con la neve,l’unica cosa che poteva guarire la parte malata.Penellan raccomandò fortemente l’uso di abluzionifredde al mattino. Ci voleva un bel coraggio a immer-

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gere le mani e il viso nella neve appena scongelata all’in-terno. Ma Penellan dette l’esempio e Marie fu tra i primia seguirlo.Cornbutte non dimenticò neppure la lettura e le pre-ghiere, perché non si doveva lasciare spazio nell’animoper la disperazione o la noia. Niente è più pericoloso aquelle desolate latitudini. Il cielo sempre scuro riempivalo spirito di tristezza. Una fitta neve, sferzata da ventiviolenti, accentuava il consueto squallore. Il sole prestosarebbe sparito del tutto. Se le nubi non avessero for-mato una coltre sulla testa dei naviganti, almeno avreb-bero potuto godere della luce della luna, che avrebbecosì sostituito il sole in quella lunga notte polare; macon quei venti da est la neve non smetteva di cadere.Ogni mattina si dovevano sgombrare gli accessi allanave e intagliare di nuovo la scala che permetteva discendere nella banchisa. Vi si riusciva con una certa fa-cilità con gli scalpelli da neve e, una volta ritagliati gliscalini, si gettava sulla superficie dell’acqua, che gelavae induriva immediatamente.Penellan fece anche fare un buco nello strato di ghiac-cio, non lontano dalla nave. Ogni giorno si rompeva lacrosta che si formava nella parte superiore e l’acqua chesi attingeva da una certa profondità era meno gelata chein superficie.Tutti quei preparativi durarono all’incirca tre settimane.Dopodiché si trattava di spingere oltre le ricerche. Lanave sarebbe stata imprigionata per sei o sette mesi esolo il prossimo disgelo avrebbe poturo aprire unanuova via attraverso i ghiacci. Si doveva quindi appro-fittare di quell’immobilità forzata per fare delle esplo-razioni a nord.

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VIIIIl piano dell’esplorazione

Il 19 ottobre Jean Cornbutte fece una riunione per or-ganizzare il piano delle operazioni e, perché la solida-rietà aumentasse lo zelo e il coraggio di ciascuno, viammise tutto l’equipaggio. Carta nautica alla mano,espose chiaramente la situazione.La costa orientale della Groenlandia procede perpen-dicolarmente verso nord. Le scoperte dei navigatorihanno dato un’esatta definizione al mare che la fronteg-gia. In quello spazio di cinquecento leghe, che separa laGroenlandia dall’isola di Spitzberg1, non era stata tro-vata nessuna terra. Una sola isola, quella di Shannon, sitrovava a un centinaio di miglia a nord della Baia diGaël-Hamkes, dove la Jeune-Hardie avrebbe svernato.Se dunque la nave norvegese, come sembrava probabile,era stata trascinata in quella direzione, supponendo cheavesse potuto raggiungere l’isola di Shannon, era là cheLouis Cornbutte e i naufraghi avrebbero dovuto cercareun asilo per l’inverno.Nonostante l’opposizione di Vasling, quell’idea ebbe ilsopravvento e fu deciso che l’esplorazione si sarebbe in-dirizzata sulla costa dell’isola di Shannon.Si cominciarono subito i preparativi. Sulla costa della

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1 La più grande delle Isole Svalbard, l’arcipelago fra Norvegia e PoloNord.

Norvegia ci si era procurati una slitta fatta alla manieraeschimese, costruita con assi incurvate davanti e dietroe adatta a scivolare sulla neve e sul ghiaccio. Era lungadodici piedi e larga quattro e pertanto, in caso di neces-sità, poteva portare provviste per diverse settimane. Fi-dèle Misonne la tirò subito fuori e iniziò a prepararlanel magazzino di neve, dove erano stati trasportati i suoiarnesi. In quell’occasione vi fu accesa una stufa a car-bone, altrimenti sarebbe stato impossibile lavorare. Iltubo della stufa usciva da un muro laterale attraversoun foro praticato nella neve; ma si manifestò subito ungrave problema, perché il calore del tubo scioglieva laneve intorno e il buco si ingrandiva sensibilmente.L’inconveniente fu risolto brillantemente da Cornbutte,che avvolse quella porzione del tubo con un telo di fibrametallica, che aveva la proprietà di isolare dal calore2. Mentre Misonne lavorava alla slitta, Penellan, aiutato daMarie, preparava il cambio di vestiti per la marcia. For-tunatamente avevano molti stivali di pelle di foca. Corn -butte e Vasling si occuparono delle provviste; scelseroun barilotto di spirito destinato ad alimentare un for-nelletto portatile; fu preparato thè e caffè in quantitàsufficiente; una cassetta di gallette, duecento libbre dipemmican e qualche fiaschetta di acquavite completò lariserva alimentare. Il cibo fresco doveva essere procu-rato giornalmente dalla caccia. Un certo quantitativo dipolvere da sparo fu distribuito in vari sacchetti. La bus-sola, il sestante e il cannocchiale furono sistemati inmodo da ripararli dagli urti. L’11 ottobre il sole non comparve sull’orizzonte. Fu ne-

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2 Verosimilmente si trattava di amianto.

cessario tenere una lampada costantemente accesa nel-l’alloggio dell’equipaggio.Non c’era tempo da perdere, si doveva iniziare l’esplora-zione per i seguenti motivi. A gennaio il freddo avrebbeimpedito di mettere piede fuori senza rischiare la vita. Peralmeno due mesi l’equipaggio sarebbe stato condannatoall’isolamento più completo; poi il disgelo si sarebbe pro-lungato fino a che la nave non avesse potuto lasciare ighiacci. Il disgelo avrebbe impedito ogni esplorazione.Del resto, se Cornbutte e i suoi compagni erano ancoravivi, probabilmente non avrebbero resistito ai rigori di uninverno artico. Si doveva quindi tentare il salvataggioprima, o perdere ogni speranza.Vasling sapeva tutto questo meglio di ogni altro. Per cuidecise di ostacolare in tutti i modi la spedizione.I preparativi del viaggio si conclusero verso il 20 di otto-bre. Si trattava allora di scegliere gli uomini che ne avreb-bero fatto parte. Era opportuno che Marie restasse sottola vigilanza di Cornbutte o di Penellan; ma entrambi do-vevano assolutamente far parte della spedizione.La questione era se Marie poteva sopportare le fatichedi un simile viaggio. Fino a quel momento aveva supe-rato i momenti difficili senza soffrirne troppo, perchéera figlia di un marinaio, abituata fin da bambina allavita dura in mare; difatti Penellan non si spaventava nelvederla lottare con quel clima terribile e i pericoli delMare Artico.Dopo lunghe discussioni si decise quindi che la ragazzaavrebbe accompagnato la spedizione e che, se necessa-rio, le avrebbero riservato un posto nella slitta, su cui fucostruita una piccola capanna in legno, chiusa ermeti-camente. Marie non sperava di meglio, perché non sop-

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portava l’idea di essere lontana dai suoi protettori.La spedizione dunque era così formata: Marie, Corn -butte, Penellan, Vasling, Aupic e Misonne. Alain Tur-quiette restava a guardia del brigantino, insieme aGervique e Gradlin. Furono portate altre provviste diogni genere perché Cornbutte, per poter spingerel’esplorazione più avanti possibile, aveva deciso di la-sciare dei depositi lungo la strada, uno ogni sette o ottogiorni di marcia. Appena la slitta fu pronta, fu subitocaricata e coperta con una tenda di pelli di bufalo. Iltutto pesava circa settecento libbre che una muta di canipoteva facilmente trainare sul ghiaccio.Come aveva previsto il comandante, il 22 ottobre ci fuun cambio improvviso di temperatura. Il cielo si schiarì,le stelle emettevano una luce straordinariamente viva ela luna splendette sopra l’orizzonte e non lo abbandonòper due settimane circa. Il termometro era sceso a 25°sottozero.Fu deciso di partire l’indomani.

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IXLa casa di neve

Il 23 ottobre, alle undici del mattino e con una bellaluna, la carovana si mise in marcia. Questa volta eranostate prese tutte le precauzioni perché il viaggio potessedurare a lungo, se necessario. Cornbutte seguì la costa,risalendo verso nord. Gli uomini non lasciavano alcunatraccia su quel ghiaccio duro. Così Cornbutte fu obbli-gato a orientarsi scegliendo da lontano dei punti di ri-ferimento: una collina tutta irta di spunzoni oun’enorme lastra di ghiaccio che la pressione aveva sol-levato.Alla prima sosta, dopo una quindicina di miglia, Penel-lan iniziò a preparare l’accampamento. La tenda fu ad-dossata a un blocco di ghiaccio. Marie non avevasofferto troppo per la temperatura rigida, più soppor-tabile per fortuna perché il vento si era calmato; ma laragazza era dovuta scendere più volte dalla slitta per evi-tare che il freddo arrestasse la circolazione del sanguenelle membra intirizzite. Per il resto, la piccola capannadi pelli sistemata con cura da Penellan, offriva ogni pos-sibile conforto.Quando giunse la notte, o meglio il momento di dor-mire, la piccola capanna fu trasportata sotto la tenda elì fece da camera da letto per la ragazza. Il pasto seralesi compose di carne fresca, di pemmican e thè caldo.Per prevenire gli effetti mortali dello scorbuto, Corn -

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butte fece distribuire qualche goccia di succo di limone.Poi tutti si addormentarono confidando nella prote-zione divina.Dopo otto ore di sonno ci si apprestò a rimettersi in mar-cia dopo una sostanziosa colazione per gli uomini e peri cani. Il ghiaccio, estremamente compatto, faceva sì chegli animali trascinassero la slitta con grande facilità; tantoche, a volte, gli uomini non riuscivano a stargli dietro.Ma un serio problema di cui alcuni marinai ebbero asoffrire fu l’accecamento. Aupic e Misonne infatti ma-nifestarono subito i sintomi dell’oftalmia. La luce dellaluna, riflessa su quelle immense distese bianche, era fa-stidiosa per la vista e causava un bruciore insopportabileagli occhi.Si verificava anche un effetto di rifrazione estremamentecurioso. Camminando, quando sembrava di mettere ilpiede su un piccolo rilievo, ci si trovava invece a scivo-lare in basso e ciò causava frequenti cadute, per fortunanon gravi, tanto che Penellan le buttava sul ridere, rac-comandando comunque, prima di fare un passo, di ta-stare bene il terreno col bastone ferrato di cui ciascunoera munito.Il primo novembre, dieci giorni dopo la partenza, la ca-rovana aveva percorso una cinquantina di leghe versonord. La fatica cominciava a diventare insopportabileper tutti. Cornbutte soffriva di accecamento e la suavista era sensibilmente calata. Aupic e Misonne cammi-navano solo a tastoni e i loro occhi, cerchiati di rosso,sembravano bruciati dal riflesso bianco. Marie si era sal-vata perché stava il più possibile nella sua capanna. Pe-nellan, sostenuto da un indomito coraggio, reggeva atutte le fatiche. Quello che se la passava meglio, e su cui

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dolore, freddo e accecamento sembravano non fare al-cuna presa, era Vasling. Il suo fisico d’acciaio era tem-prato a tutte quelle fatiche; e vedeva con piacere loscoraggiamento avere la meglio sui più forti e sentiva vi-cino il momento in cui si doveva tornare indietro.Quello stesso primo novembre fu chiaro che occorrevafare una sosta di uno o due giorni per recuperare leenergie.Appena scelto il luogo si procedette ad allestire l’accam-pamento. Fu deciso di costruire una casa di neve da ap-poggiare contro una delle rocce del promontorio.Misonne ne tracciò immediatamente le fondamenta, chemisuravano quindici piedi in lunghezza e cinque in lar-ghezza. Penellan, Aupic e Misonne, utilizzando i lorocoltelli, tagliarono dei grandi blocchi di ghiaccio che tra-sportarono nel punto designato e squadrarono l’uno ac-canto all’altro, come i muratori fanno con le pietre. Benpresto la parete di fondo era alta cinque piedi e avevauno spessore più o meno analogo, perché il materialenon mancava ed era importante che il manufatto fosseabbastanza solido per durare qualche giorno. Dopocirca otto ore le quattro mura erano terminate e unaporta era sistemata nella parete sud; la tela della tenda,stesa sopra le mura, ricadeva sulla porta e la nascondeva.Restava solo da ricoprire il tutto con dei blocchi larghi,a formare il tetto di quella costruzione effimera.Dopo altre tre ore di penoso lavoro, la casa era termi-nata e tutti vi si ritirarono, distrutti dalla fatica e in predaallo scoraggiamento. Cornbutte stava così male che nonpoteva fare neanche un passo e Vasling sfruttò l’occa-sione per strappargli la promessa di non insistere nellericerche in quel terribile deserto gelato.

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Penellan non sapeva a che santo votarsi. Trovava inde-gno e vile abbandonare i suoi compagni per delle sup-posizioni senza riscontro. Così faceva di tutto percontrastarle, ma invano.Comunque, anche se si era deciso di tornare indietro,era necessario riposarsi e per tre giorni non fu fatto nes-sun preparativo per rimettersi in marcia.Il 4 novembre Cornbutte cominciò a far sotterrare in unpunto della costa le provviste che non erano necessarie.Un segnale indicava il deposito, nell’improbabile casoin cui altre spedizioni li portassero da quelle parti. Ogniquattro giorni aveva lasciato dei depositi simili lungo lastrada percorsa e questo assicurava i viveri per il ritorno,senza che fosse necessario trasportarli sulla slitta.La partenza fu fissata per le dieci della mattina succes-siva. La più profonda tristezza si era impadronita delpiccolo gruppo. Marie faceva fatica a trattenere le la-crime vedendo lo zio tanto scoraggiato. Quante soffe-renze inutili! Quanto lavoro andato perduto! AnchePenellan era di un umore pestifero; mandava tutti al dia-volo e non perdeva occasione per imprecare contro ladebolezza e la vigliaccheria dei compagni, più timorosie stanchi – diceva – di Marie, che sarebbe andata incapo al mondo senza lamentarsi.Vasling invece non riusciva a nascondere il piacere perquella decisione. Si mostrò più premuroso che mai conla ragazza, cui prospettò anche la possibilità che nuovericerche fossero intraprese dopo l’inverno, ben sapendoche allora sarebbe stato troppo tardi.

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XSepolti vivi

La vigilia della partenza, al momento di cenare, Penellanera occupato a spaccare delle casse di legno vuote per ali-mentare la stufa, quando fu improvvisamente fu travoltoda una spessa coltre di fumo. Contemporaneamente lacasa di neve fu come scossa da un terremoto. Tutti grida-rono terrorizzati e Penellan si precipitò all’esterno.Era completamente buio. Una spaventosa tempesta siscatenava nei dintorni; e non era il disgelo. Turbini dineve si abbattevano con estrema violenza e il freddo eracosì tremendo che il timoniere sentì le mani gelare ra-pidamente. Fu costretto a rientrare dopo essersi sfregatole mani con la neve.«Ecco la tempesta» disse. «Voglia il Cielo che questacasa resista, perché se l’uragano la butta giù, siamomorti!»Mentre le raffiche imperversavano, un rumore spaven-toso provenne dal sottosuolo gelato; i blocchi di ghiac-cio, che si frantumavano contro il promontorio, siscontravano con fracasso l’uno contro l’altro; il ventosoffiava con una tale forza che a volte sembrava che lastessa casa si spostasse; dei bagliori fosforescenti, inspie-gabili a quella latitudine, attraversavano i turbini di neve.«Marie, Marie!» gridò Penellan, prendendo le manidella ragazza. «Tornate nella vostra capanna; noi sta-remo qui a vedere che succede.»

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«Siamo proprio messi male!» disse Misonne.«Chissà se questa volta ce la facciamo!» replicò Aupic.«Lasciamo questa trappola di neve!» disse Vasling.«Non possiamo» rispose Penellan. «Il freddo è spaven-toso fuori, mentre restando qui dentro forse possiamofarcela!»«Datemi il termometro» disse Vasling.Aupic gli passò lo strumento che all’interno segnava 10°sottozero, nonostante il fuoco fosse acceso. Vasling sol-levò la tela che ricadeva davanti all’apertura e lo fece sci-volare fuori velocemente, perche il vento alzava delleschegge di ghiaccio che precipitavano come la grandine.«Allora, signor Vasling» disse Penellan «volete ancorauscire?... Vedete bene che è qui che siamo più al sicuro!»«Sì» aggiunse Cornbutte «e dobbiamo darci da fare perconsolidare all’interno questo casotto.»«Ma c’è un pericolo ancora peggiore che ci minaccia!»disse Vasling.«Quale?» chiese Cornbutte.«Che il vento spacchi il ghiaccio su cui ci troviamo,come ha spaccato i blocchi di ghiaccio del promontorio,e che siamo travolti o sommersi!»«Questo mi pare difficile» rispose Penellan «perché facosì freddo che tutte le superfici liquide gelano… Ve-diamo quant’è la temperatura.»Sollevò la tenda in modo da passare solo il braccio e feceun po’ fatica a trovare il termometro in mezzo alla neve.Quando finalmente lo afferrò, l’avvicinò alla lampada edisse: «Trentadue gradi sottozero! È il freddo peggioreche abbiamo trovato finora.»«Altri dieci gradi» aggiunse Vasling «e il mercurio ge-lerà.»

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Un cupo silenzio seguì a questa osservazione.Verso le otto di mattina Penellan provò a uscire una se-conda volta, per valutare la situazione. Del resto, qual-cuno doveva sistemare il tubo della stufa perché piùvolte il vento aveva spinto di nuovo il fumo dentro il ca-sotto di neve. L’uomo dunque si serrò gli abiti addosso,assicurò il cappuccio con un fazzoletto e sollevò latenda.L’apertura era completamente ostruita da una nevecompatta. Penellan prese il bastone ferrato e riuscì apiantarlo in quella massa solida; ma la paura gli gelò ilsangue quando sentì che l’estremità del bastone non eralibera e si arrestava contro un corpo duro.«Cornbutte» disse al comandante, che si era avvicinatoa lui «siamo sepolti sotto la neve!»«Che dici?» gridò Cornbutte.«Dico che la neve s’è accumulata e ha gelato intorno esopra di noi; siamo sepolti vivi!»«Proviamo a spingere questa massa di neve» rispose ilcomandante.I due amici si puntellarono contro l’ostacolo cheostruiva la porta, ma non riuscirono a spostarlo. La neveformava un blocco di più di cinque piedi di spessore chefaceva un tutt’uno col casotto.Cornbutte non riuscì a trattenere un grido, che svegliòMisonne e Vasling. Un’imprecazione esplose fra i dentidi quest’ultimo, i cui lineamenti si contrassero.In quello stesso momento una fumata densissima, nonpotendo trovare sfogo, fu ricacciata all’interno.«Maledizione!» gridò Misonne «Il tubo della stufa è ot-turato dal ghiaccio.»Penellan riprese il suo bastone e smontò la stufa, dopo

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aver gettato della neve sui tizzoni per spegnerli; questoprovocò un tale fumo che appena si riusciva a vedere laluce della lampada; cercò poi di liberare col bastone ilforo, ma incontrò dappertutto solo ghiaccio durissimo.Non restava che attendere una morte atroce, precedutada una terribile agonia. Penetrando nei polmoni di queipoveracci, il fumo procurava un dolore insopportabilee presto anche l’ossigeno avrebbe cominciato a man-care.Marie allora si svegliò e la sua presenza, che faceva di-sperare Cornbutte, rese un po’ di coraggio a Penellan.Il timoniere pensò che quella povera ragazza non meri-tava una fine così orribile.«Allora?» disse la ragazza «avete fatto troppo fuoco? Lastanza è piena di fumo.»«Sì… sì…» rispose il timoniere balbettando.«Si vede bene» riprese Marie «perché non fa freddo eda tempo non provavamo tanto calore.»Nessuno osò dirle la verità.«Su, Marie» disse Penellan, cercando di distrarla «aiutacia preparare la colazione. Fa troppo freddo per uscire.Questo è il fornello, questo è lo spirito e questo il caffè.Andiamo, voialtri, un po’ di pemmican prima, visto chequesto maledetto maltempo ci impedisce di cacciare!»Quelle parole rianimarono i compagni.«Prima mangiamo» aggiunse «e poi vediamo comeuscire di qui.»Aggiunse l’esempio al consiglio e ingoiò la sua porzione.I compagni lo imitarono e bevvero una tazza di caffèbollente, che restituì loro un po’ di coraggio; poi Corn -butte decise di affrontare frontalmente il problema dicome salvarsi la pelle.

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Fu allora che Vasling fece la sua considerazione:«Se la tempesta dura ancora, come è probabile, dob-biamo essere sepolti a dieci piedi sotto il ghiaccio, perchénon si sente più nessun rumore proveniente da fuori!»Penellan guardò Marie, che comprese la verità, ma nonvacillò.Allora Penellan fece prima arroventare al fornelletto lapunta del suo bastone ferrato, che poi introdusse nellequattro mura di ghiaccio, ma non trovò una possibileuscita da nessuna parte. Cornbutte provò invece a scavareun’apertura nella porta stessa. Ma il ghiaccio era talmentespesso che i coltelli l’avrebbero intaccato difficilmente ei pezzetti che riuscivano a staccare finivano per ingom-brare la stanza. Dopo due ore di questo penoso lavoro,la galleria scavata non era profonda più di tre piedi.Si dovette quindi pensare a un sistema più veloce e chenon rischiasse di far crollare la casa di neve, perché piùsi avanzava e più il ghiaccio diventava duro e richiedevacolpi sempre più violenti per essere inciso. Penellanebbe l’idea di usare il fornello per sciogliere il ghiaccionella direzione voluta. Era un mezzo rischioso perchélo spirito non era molto e, se la prigionia si prolungava,sarebbe venuto a mancare al momento di cucinare.L’idea comunque raccolse il consenso di tutti e fu messain esecuzione. Per prima cosa fu scavato un buco pro-fondo tre piedi e con un diametro di uno per raccoglierel’acqua formata dal ghiaccio disciolto, e non ci si dovettepentire di quella precauzione, perché presto l’acqua co-minciò a gocciolare sotto l’azione del fuoco che Penellanpassava attraverso la massa di neve.Pian piano il foro si allargava, ma non si poteva conti-nuare a lungo quel lavoro perché l’acqua, impregnava i

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vestiti da una parte all’altra. Dopo un quarto d’ora Pe-nellan fu quindi costretto a tirare fuori il fornelletto perasciugarsi. Misonne prese subito il suo posto con lostesso coraggio.Dopo due ore di lavoro la galleria era profonda già cin-que piedi, ma il bastone ferrato non riuscì ancora a sfon-dare all’esterno.«Non è possibile» disse Cornbutte «che la neve sia ca-duta così abbondante. Deve essere stata ammonticchiatadal vento in questo punto. Forse avremmo dovuto cer-care una via di fuga da un’altra parte?»«No lo so» rispose Penellan «ma, non fosse altro pernon scoraggiare i nostri compagni, dobbiamo conti-nuare in questa direzione.»«Non mancherà mica lo spirito?» chiese il capitano.«Spero di no» rispose Penellan «ma purché facciamo ameno del caffè e delle bevande calde. Del resto, non èquello che mi preoccupa di più.»«Cos’è allora, Penellan?» chiese Cornbutte.«È che la lampada sta per spegnersi perché è finito l’olioe che abbiamo quasi finito i viveri. Insomma, siamonelle mani di Dio!»Penellan andò a dare il cambio a Vasling, che lavoravacon buona lena per la salvezza di tutti.«Signor Vasling» disse «prendo il vostro posto, ma fateattenzione, vi prego, a ogni segno di cedimento del tetto,in modo che possiamo fronteggiarlo!»Il momento di riposarsi era arrivato e, dopo aver scavatoun altro piede nella galleria, Penellan tornò a dormireaccanto ai compagni.

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XIUna nube di fumo

Il giorno dopo, quando i marinai si svegliarono, eranoavvolti nella più completa oscurità. La lampada si eraspenta. Cornbutte svegliò Penellan per chiedergli l’ac-cendino. Questi si alzò per accendere il fornello; ma, al-zandosi, urtò la testa contro il soffitto di ghiaccio. Sispaventò perché la sera prima poteva stare in piedi. Allaluce indecisa del fornello si accorse che il soffitto si eraabbassato di un piede. Si rimise quindi rabbiosamenteal lavoro.In quel momento Marie, alla luce che il fornello proiet-tava sul volto del timoniere, capì che la disperazione ela sua forza di volontà avevano ingaggiato una lotta sullasua rude fisionomia. Lo raggiunse quindi, gli prese lemani e le strinse con dolcezza, E Penellan sentì tornargliil coraggio.«Non può morire in questo modo!» disse fra sé.Prese di nuovo il fornello e tornò a strisciare nellostretto cunicolo; affondò energicamente il bastone fer-rato e non sentì resistenza. Forse era arrivato allo stratodi neve morbida. Ritirò il bastone e un raggio scintil-lante penetrò nella casa di ghiaccio.«Venite, amici!» gridò.E spinse la neve con le mani e con i piedi; ma la super-ficie esterna non si era scongelata quanto pensava. In-sieme al raggio di luce entrò anche un freddo dannato

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che raggiunse tutto quanto era umido e lo solidificò inun attimo. Aiutandosi col coltello, Penellan allargòl’apertura e poté finalmente respirare a pieni polmoni.Cadde in ginocchio per ringraziare Dio e fu presto rag-giunto da Marie e dai suoi compagni.Una luna stupenda illuminava l’atmosfera, ma i marinainon reggevano la temperatura estremamente rigida. Di-fatti rientrarono; ma prima Penellan si guardò intorno.Il promontorio non c’era più e la capanna di ghiaccio sitrovava al centro di un’immensa distesa gelata. Volle di-rigersi dalla parte della slitta, dove erano le provviste; laslitta era sparita!Il freddo lo costrinse a rientrare. Non disse nulla ai com-pagni. Si doveva per prima cosa asciugarsi i vestiti, equesto fu fatto con il fornello a spirito. Il termometrofu messo un istante all’esterno e segnò 30° sottozero.In capo a un’ora Vasling e Penellan decisero di arri-schiarsi all’esterno. Si avvolsero nei loro indumenti an-cora umidi e uscirono per l’apertura, le cui paretiavevano già riacquistato la durezza della roccia.«Siamo stati trascinati a nord-est» disse Vasling, orien-tandosi con le stelle che brillavano di una luce straordi-naria.«Non sarebbe stato male» rispose Penellan «se la nostraslitta ci avesse seguito!»«La slitta non c’è più?» gridò Vasling «Allora siamo per-duti!»«Cerchiamola» rispose Penellan.Fecero un giro intorno alla capanna, che formava unblocco di più di quindici piedi di altezza. Un’enormequantità di neve era caduta per tutta la durata della tem-pesta e il vento l’aveva accumulata contro l’unico rilievo

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che c’era. L’intera massa era stata trascinata dal vento,in mezzo ai blocchi di ghiaccio, a più di venticinque mi-glia a nord-ovest e i prigionieri avevano subito la sortedella loro prigione galleggiante. La slitta invece, suun’altra lastra di ghiaccio, era sicuramente andata daun’altra parte, perché non se ne vedevano tracce, e i canidovevano essere morti in quella terribile tempesta.Vasling e Penellan sentirono la disperazione farsi stradanell’animo. Non osavano rientrare nella casa di neve. Nonosavano annunciare la ferale notizia ai loro compagni disventura. Montarono sul blocco di ghiaccio in cui era in-castonata la capanna e non videro altro che l’immensa di-stesa bianca che li circondava da tutte le parti. Il freddoirrigidiva già le loro membra e l’umidità dei vestiti si tra-sformava in ghiaccio che pendeva intorno a loro.Quando stava per scendere dal monticello, Penellandette un’occhiata a Vasling e lo vide di colpo guardareavidamente da un lato, poi trasalire e impallidire.«Che avete, signor Vasling?» gli chiese.«Non è niente» rispose. «Scendiamo e muoviamoci a la-sciare questa terra che non avremmo mai dovuto calpe-stare.»Ma, invece di ubbidire, Penellan risalì e volse lo sguardodalla parte che aveva attirato l’attenzione del secondo.Ma la cosa produsse ben altro effetto su di lui, perchélanciò un grido ed esclamò:«Dio sia benedetto!»Un filo di fumo si alzava a nord-est. Non si poteva sba-gliare, laggiù c’era qualcuno.Le grida di gioia di Penellan attirarono i suoi compagnie tutti poterono verificare coi loro occhi che il timonierenon s’ingannava.

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Immediatamente, senza preoccuparsi dei viveri, senzapensare al freddo, avvolti nei loro cappucci, tutti avan-zarono a grandi passi verso il luogo segnalato.Il fumo s’innalzava a nord-est e il gruppetto si precipitò inquella direzione. Il punto da raggiungere si trovava più omeno a cinque/sei miglia e quindi non era facile indirizzarsia colpo sicuro. Nel frattempo infatti il fumo era sparito enon c’erano rilievi che potessero servire da riferimento. Eracomunque necessario non deviare dalla linea retta.«Non potendoci orientare su oggetti lontani» disseCorn butte «faremo così: Penellan va avanti, Vasling staventi passi indietro e io altri venti passi dietro Vasling.Così potrò vedere se Penellan devia dalla linea retta.»Dopo circa mezz’ora di marcia Penellan si fermò e tesel’orecchio.Il gruppo lo raggiunse:«Avete sentito niente?» chiese il timoniere.«Niente» rispose Misonne.«È strano!» fece Penellan «Mi è sembrato che dellegrida venissero da quella parte.»«Delle grida?» rispose la ragazza. «Saremmo quindimolto vicini alla nostra meta!»«Non è detto» rispose Vasling. «A queste latitudini econ questo freddo il suono si propaga a distanze incre-dibili.»«Qualunque cosa sia» disse Cornbutte «muoviamoci,altrimenti congeliamo.»«No!» fece Penellan «Ascoltate.»Alcuni suoni deboli, ma tuttavia percettibili, si potevanosentire. Sembravano delle grida di dolore e di paura. Siripeterono due volte. Si sarebbe detto che qualcunochiamasse aiuto. Poi tutto ricadde nel silenzio.

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«Non mi sono sbagliato» disse Penellan «andiamo avanti.»Si mise a correre in direzione delle grida. Fece così circadue miglia e il suo stupore fu grande quando scorse unuomo disteso sul ghiaccio. Si avvicinò a lui, lo sollevò ealzò le braccia al cielo disperato.Vasling, che lo seguiva da vicino col resto dei marinai,accorse ed esclamò:«È uno dei naufraghi! È il nostro marinaio Cortrois.»«È morto » replicò Penellan «morto di freddo.»Cornbutte e Marie giunsero vicino al cadavere, che il geloaveva già irrigidito. La disperazione si dipinse su tutti ivolti. Il morto era uno dei compagni di Louis Cornbutte!»«Avanti!» gridò Penellan.Camminarono ancora per una mezz’ora, senza dire unaparola, e videro un leggero rilievo che doveva certa-mente essere la terra.«È l’isola di Shannon» disse Cornbutte.Dopo un miglio scorsero distintamente del fumo cheusciva da una capanna di neve chiusa da una porta dilegno. Lanciarono delle grida e due uomini uscirono dallacapanna e, fra essi, Penellan riconobbe Pierre Nouquet.«Pierre!» gridò.Quello stava lì inebetito, come non capisse cosa succe-deva intorno a lui.Vasling guardava i compagni di Nouquet con inquietu-dine mista a crudele gioia, perché non vedeva fra loroLouis Cornbutte.«Pierre! Sono io!» gridò Penellan. «Sono tutti tuoiamici!»Pierre Nouquet tornò in sé e cadde fra le braccia deivecchi compagni.«E mio figlio? E Louis?» gridò Cornbutte disperato.

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XIIRitorno alla nave

In quel momento un uomo, quasi morente, uscendodalla capanna, si trascinò sul ghiaccio.Era Louis Cornbutte.«Figlio mio!»«Amore mio!»I due urli furono contemporanei e Louis Cornbuttecadde svenuto fra le braccia del padre e della ragazza,che lo trasportarono nella capanna, dove lo rianimaronocon le loro cure.«Padre mio! Marie!» esclamò Louis. «Era dunque de-stino che vi rivedessi prima di morire!»«Tu non morirai» rispose Penellan «perché tutti i tuoiamici ti sono vicino»Vasling doveva proprio odiare Louis Cornbutte per nondargli la mano; ma non gliela tese.Nouquet non stava in sé dalla gioia. Abbracciò tutti; poimise della legna nella stufa e subito nella capanna si creòuna temperatura sopportabile.Lì c’erano altri due uomini che né Jean Cornbutte néPenellan conoscevano. Si trattava di Jocki e di Herming,i due marinai norvegesi rimasti dell’equipaggio del Fro-öern.«Amici, quindi siamo salvi!» disse Louis. «Padre!Marie! A quanti pericoli vi siete esposti!»«Non rimpiangiamo niente, Louis» rispose Jean Corn -

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butte. «Il tuo brigantino, la Jeune-Hardie, è solidamenteancorato nel ghiaccio a sessanta leghe da qui. Lo rag-giungeremo insieme.»«Quando Cortrois tornerà» disse Nouquet «sarà felicis-simo.»Un angosciato silenzio seguì la frase e Penellan informòNouquet e Louis della morte del loro compagno, uccisodal freddo.«Amici miei» disse Penellan «aspetteremo qui che ilfreddo diminuisca. Avete viveri e legna?»«Sì e bruceremo ciò che resta del Froöern.»Il Froöern effettivamente era stato trascinato a quarantamiglia dal luogo dove Louis stava svernando. Là erastato distrutto dai blocchi di ghiaccio che galleggiavanodurante il disgelo e i naufraghi erano stati trasportati,con una parte dei rottami, con cui era stata costruita lacapanna, sulla costa meridionale dell’isola di Shannon.I naufraghi allora erano cinque, Louis, Cortrois, Nou-quet, Jocki e Herming. Quanto al resto dell’equipaggionorvegese, era affondato insieme alla scialuppa al mo-mento del naufragio.Quando Louis, trascinato dai ghiacci, vide che si richiu-devano intorno a lui, prese tutte le precauzioni per pas-sare l’inverno. Era un uomo molto energico, moltofattivo e di grande coraggio; ma, nonostante la sua sicu-rezza, era stato sopraffatto da quel clima terribile e,quando il padre lo ritrovò, stava solo aspettando lamorte. Non doveva infatti lottare solo con gli elementi,ma anche con la malvagità dei due marinai norvegesi,che pure gli dovevano la vita. Erano due selvaggi, inca-paci dei più elementari sentimenti. Così, quando Louisebbe l’occasione di parlare con Penellan, gli racco-

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mandò di non fidarsi di loro. Per parte sua, Penellan loinformò della condotta di Vasling. Louis non riusciva acrederci, ma Penellan gli provò che, fin dalla sua scom-parsa, Vasling aveva sempre agito per assicurarsi lamano della ragazza.Tutta la giornata fu destinata al riposo e al piacere delritrovarsi. Misonne e Nouquet uccisero alcuni uccellimarini vicino alla capanna, da cui non era prudente al-lontanarsi. La carne fresca e il fuoco ravvivato restitui-rono le forze ai più deboli. Lo stesso Louis Cornbutteebbe un netto miglioramento.Era il primo momento di piacere da tanto tempo perquella povera gente. Così lo festeggiarono con entusia-smo in quella misera capanna, a seicento leghe nei maridel Nord con un freddo a 30° sottozero.Quella temperatura durò fino alla fine della luna e fusolo il 17 novembre, otto giorni dopo il loro incontro,che Jean Cornbutte e i suoi compagni poterono pensaredi partire. Avevano solo la luce delle stelle che li gui-dasse, ma il freddo era meno intenso e cadde anche unpo’ di neve.Prima di lasciare quel luogo, fu scavata una tomba peril povero Cortrois. Fu una triste cerimonia che com-mosse molto i suoi compagni. Era il primo di loro chenon avrebbe rivisto il suo paese.Misonne aveva costruito con le assi della capanna unaspecie di slitta per trasportare le provviste e i marinai latrascinarono a turno. Jean Cornbutte guidò la marciaper la strada già percorsa. L’accampamento veniva alle-stito rapidamente al momento di dormire. Jean Corn -butte sperava di ritrovare i suoi depositi di viveri, cheerano quasi indispensabili con l’accresciuto numero di

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persone. Così cercò di non deviare dalla strada percorsain precedenza.Per una provvidenziale coincidenza, tornò in possessodella sua slitta, che si era incagliata vicino al promonto-rio dove tutti avevano corso tanti pericoli. I cani, dopoaver mangiato le cinghie che li legavano si erano gettatisulle provviste della slitta. Era il cibo che li aveva tratte-nuti lì e furono gli stessi animali a guidare la comitivaalla slitta, dove c’erano ancora viveri in quantità. La comitiva riprese quindi la strada verso la baia dov’erala Jeune-Hardie. I cani furono attaccati alla slitta e nes-sun incidente turbò più la spedizione.Si notò solo che Aupic, Vasling e i due norvegesi si te-nevano in disparte e non si univano ai loro compagni;ma, senza saperlo, erano sorvegliati da vicino. Tuttaviaquel seme di discordia destò più di una volta appren-sione in Louis e Penellan.Verso il 7 dicembre, venti giorni dopo l’incontro, viderola baia in cui svernava la Jeune-Hardie. Fu grande il lorostupore quando videro il brigantino appollaiato a circaquattro metri in aria su grandi blocchi di ghiaccio. Fe-cero una corsa, preoccupati per i loro compagni e fu-rono accolti con grida di gioia da Gervique, Turquiettee Gradlin. Tutti erano in buona salute, pur avendo corsoanche loro i più gravi pericoli. La tempesta infatti avevainteressato tutto il Mare Artico. Il ghiaccio si era rottoe i blocchi si erano mossi e, scivolando uno sotto l’altro,avevano invaso il letto dove era posata la nave. Ten-dendo il loro peso specifico a sollevarli sull’acqua, ave-vano acquistato una forza enorme e il brigantino si eraimprovvisamente trovato sollevato.I primi momenti furono dedicati alla gioia del ritorno.

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Il gruppo tornato dall’esplorazione si rallegrò nel tro-vare tutte le cose a posto; questo avrebbe garantito uninverno certamente duro, ma almeno sopportabile.Il sollevamento non aveva scosso particolarmente lanave, che era in perfette condizioni. Quando fosse arri-vato il disgelo, sarebbe bastato farla scivolare su unpiano inclinato, per così dire vararla, nel mare tornatolibero.Ma una brutta notizia venne a rattristare il volto di JeanCornbutte e dei compagni. Durante la violenta tempe-sta il magazzino di neve che avevano costruito sullacosta era andato completamente distrutto, persi i viveriche vi erano conservati e non era stato possibile sal-varne neanche una parte. Quando appresero del disa-stro, padre e figlio andarono a controllare la stiva e lacambusa, per sapere come regolarsi con ciò che restavadelle provviste.Il disgelo sarebbe arrivato solo in maggio e fino ad allorail brigantino non poteva lasciare la baia. Dovevano dun-que passare cinque mesi d’inverno in mezzo ai ghiacci,durante i quali quattordici persone dovevano essere nu-trite. Fatti tutti i calcoli, Jean Cornbutte si rese contoche poteva arrivare al momento della partenza solo met-tendo tutti a mezza razione. Era perciò necessario an-dare a caccia se si voleva mangiare a sufficienza.Temendo che il disastro si potesse ripetere, fu deciso dinon depositare più le provviste a terra. Tutto rimase abordo del brigantino e si sistemarono dei letti per inuovi arrivati nell’alloggio comune dei marinai. Durantel’assenza dei compagni, Turquiette, Gervique e Gradlinavevano scavato una scala nel ghiaccio che permettevadi arrivare agevolmente sul ponte della nave.

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XIIII due rivali

André Vasling era diventato amico dei due marinai nor-vegesi. Anche Aupic faceva parte della banda, che ge-neralmente stava in disparte, contestando ad alta vocetutte le nuove regole; ma Louis Cornbutte, cui il padreaveva restituito il comando del brigantino, non inten-deva ragioni su quell’argomento e, nonostante i consiglidi Marie, che lo incoraggiava a usare le buone, fece sa-pere che voleva essere obbedito su tutto.Invece, due giorni dopo, i due norvegesi riuscirono aportar via una cassetta di carne salata. Louis Cornbuttechiese che gli fosse restituita immediatamente, ma Aupicprese le loro parti e Vasling fece capire che le regole cheriguardavano il cibo non potevano durare a lungo.Inutile spiegare a quei disgraziati che era nel comuneinteresse, perché lo sapevano e cercavano solo un pre-testo per ribellarsi. Penellan avanzò verso i due norve-gesi, che tirarono fuori i coltelli; ma, aiutato da Misonnee Turquiette, riuscì a strapparglieli di mano e a ripren-dere la cassetta di carne salata. Vasling e Aupic, vedendola malaparata, non s’immischiarono. Comunque, LouisCornbutte prese in disparte il secondo e gli disse:«Vasling, siete un miserabile. So tutto di voi e so a cosapuntano i vostri intrighi; ma, siccome la vita dell’equipag-gio è affidata a me, se qualcuno di voi pensa di cospirareper comprometterla, lo ucciderò con le mie mani!»

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«Louis Cornbutte» rispose il secondo «vi è permesso diesercitare l’autorità, ma ricordate che l’obbedienza ge-rarchica non esiste più qui e che la sola legge che vale èquella del più forte!»Marie non aveva mai tremato di fronte ai pericoli del-l’Artico, ma ebbe paura per quell’odio di cui lei stessaera la causa e Louis faticò a rassicurarla.Nonostante la dichiarazione di guerra, i pasti avvennerosempre alle stesse ore e tutti insieme. La caccia fornì an-cora qualche pernice bianca e qualche lepre artica; macol freddo che si stava avvicinando, anche quella risorsasarebbe venuta meno. E il grande freddo iniziò al sol-stizio, il 22 dicembre, quando il termometro crollò a 35°sottozero. Tutti ebbero dolori alle orecchie, al naso e intutte le estremità; furono sopraffatti da un torpore mor-tale, unito al mal di testa, e la respirazione divenne sem-pre più difficile.In quello stato non avevano più il coraggio di uscire perandare a caccia, o per fare esercizio. Rimanevano acco-vacciati attorno alla stufa, che emanava solo un caloreinsufficiente, e appena si allontanavano sentivano il san-gue gelare subito.La salute di Jean Cornbutte era seriamente compro-messa e l’uomo non poteva più lasciare il suo alloggio.Sintomi premonitori di scorbuto si manifestarono e lesue gambe si coprirono di macchie biancastre.La ragazza invece stava bene e si dedicava alla cura deimalati con la dedizione di una suora di carità. E tuttiquei bravi marinai la benedivano dal profondo delcuore.Il primo gennaio fu uno dei giorni più tristi dell’inverno.Tirava un forte vento e il freddo era insopportabile. Non

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si poteva uscire senza rischiare l’assideramento. I piùcoraggiosi dovevano limitarsi a passeggiare sul ponte ri-parato dalla tenda. Jean Cornbutte, Gervique e Gradlinnon si alzarono dal letto. I due norvegesi, Aupic e Va-sling, che erano sostenuti dalla salute, lanciavano deglisguardi feroci sui loro compagni che vedevano deperire.Louis portò Penellan sul ponte e gli chiese dove fossela scorta di combustibile.«Il carbone è esaurito da tempo» rispose Penellan «estiamo per bruciare gli ultimi pezzi di legna.»«Se non riusciamo a fronteggiare questo freddo» disseCornbutte «siamo perduti!»«C’è solo un modo» replicò Penellan «bruciare quelloche è possibile del brigantino, dal bastingaggio al gal-leggiamento, o anche, se fosse necessario, possiamo de-molirlo per intero e ricostruire una barca più piccola.»«È una soluzione estrema» rispose Louis Cornbutte «eche sarà il caso di adottare quando i nostri saranno an-cora validi, perche – diciamolo a bassa voce – le nostreforze diminuiscono, mentre quelle dei nostri nemicisembrano aumentare. È anche abbastanza strano!»«È vero» fece Penellan «e chissà cosa potrebbe succe-dere se non li sorvegliassimo notte e giorno.»«Prendiamo le asce» disse Cornbutte «e andiamo a rac-cogliere legna.»Nonostante il freddo, tutti e due salirono sul bastingag-gio di prua e abbatterono tutto il legname che non erastrettamente necessario alla nave. Poi tornarono conquella nuova provvista; la stufa fu ricaricata e un uomorimase di guardia per impedire che si spegnesse.Cornbutte e i suoi amici però cominciavano a non far-cela più. Non potevano confidare alcun particolare della

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vita comune ai loro nemici. Appesantiti da tutte le in-combenze domestiche, sentirono presto mancare leforze. Lo scorbuto scoppiò in Jean Cornbutte, che sof-friva di dolori lancinanti. Anche Gervique e Gradlinmanifestarono i primi sintomi. Senza la provvista disucco di limone, di cui erano abbondantemente forniti,quei poveracci avrebbero subito visto la fine delle lorosofferenze. Così quell’importante rimedio non gli fucerto lesinato.Ma un giorno, il 15 gennaio, quando Louis Cornbuttescese in cambusa per fare provvista di limoni, rimasestupito vedendo che i barili che li contenevano eranospariti. Risalì e informò Penellan del fattaccio. Era statocommesso un furto e gli autori erano facilmente ricono-scibili. Louis capì allora com’era che i suoi nemici sta-vano così bene. I suoi uomini adesso non avevano piùla forza di strappare ai nemici le provviste da cui dipen-devano la sua vita e quella dei suoi compagni. Per laprima volta sprofondò in una cupa disperazione!

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XIVLa disperazione

Il 20 gennaio la maggior parte degli ammalati non ebbela forza di lasciare il letto. Oltre alle coperte di lana, cia-scuno di loro aveva una pelle di bufalo che li proteggevadal freddo; ma appena si azzardavano a tirare fuori unbraccio provavano un dolore tale che dovevano subitorimetterlo sotto le coperte.Siccome Louis Cornbutte aveva acceso la stufa, Penel-lan, Misonne e Vasling si alzarono dal letto e andaronoa sedersi accanto al fuoco. Penellan preparò del caffèbollente, che rese loro un po’ di energie; anche Marie siunì a fare colazione.Louis si avvicinò allora al letto del padre, che era quasiimmobile, con le gambe sfibrate dalla malattia. Il vec-chio marinaio recitava frasi slegate che spezzavano ilcuore del figlio.«Louis!» diceva «Sto morendo!... Oh! come sto male!...Aiutami!»Louis prese una decisione estrema. Si avvicinò al se-condo e gli disse, trattenendosi a stento:«Sapete dove sono i limoni, Vasling?»«Nella cambusa, suppongo» rispose il secondo senzascomporsi.«Sapete bene che non ci sono più, dal momento che liavete rubati!»«Voi siete il padrone, Louis Cornbutte» rispose ironi-

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camente Vasling. «Potete dire e fare ciò che vi pare.»«Abbiate pietà, Vasling, mio padre sta morendo! Voipotete salvarlo! Rispondete!»«Non ho niente da dirvi» rispose Vasling.«Miserabile!» gridò Penellan slanciandosi sul secondocon in mano il coltello.«Aiuto, compagni!» gridò Vasling indietreggiando.Aupic e i due norvegesi balzarono giù dal letto e si schie-rarono dietro di lui. Misonne, Turquiette, Penellan eLouis si prepararono a difendersi. Pierre Nouquet eGradlin, seppure molto sofferenti, si alzarono per aiu-tarli.«Siete ancora troppo forti per noi.» disse allora Vasling.«Ci batteremo quando sarà il momento!»I marinai erano così deboli che non osarono attaccarequei quattro miserabili perché, in caso di sconfitta, tuttosarebbe andato perduto.«André Vasling» disse Louis con voce cupa, «se miopadre muore, sei tu che l’avrai ucciso, e io ti uccideròcome un cane!»Vasling e i suoi complici si ritirarono all’altra estremitàdella cabina e non risposero più.Fu quindi necessario fare nuovamente provvista di legnae, nonostante il freddo, Louis salì sul ponte e si mise atagliare una parte del bastingaggio, ma dopo un quartod’ora fu costretto a rientrare per non rischiare di morireassiderato. Passando dette un’occhiata al termometroesterno e vide il mercurio congelato. Il freddo avevadunque superato la soglia dei 42° sottozero. Il tempoera asciutto e limpido e il vento soffiava da nord.Il 26 gennaio il vento cambiò e prese a soffiare da nord-est; il termometro tornò a segnare 35° sottozero. Jean

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Cornbutte era moribondo e suo figlio aveva cercato in-vano un qualche rimedio alle sue sofferenze. Quelgiorno però, prendendo alla sprovvista Vasling, era riu-scito a strappargli di mano un limone, che si apprestavaa succhiare. Il secondo non fece un passo per ripren-derlo. Sembrava che aspettasse il momento giusto percompiere il suo odioso progetto.Il succo di limone restituì un po’ di forze a Jean Corn -butte, ma si sarebbe dovuto continuare. Marie andò asupplicare in ginocchio Vasling, che non le rispose ne-anche, e Penellan sentì quel miserabile dire ai suoi com-pagni:«Il vecchio è moribondo. Gervique, Gradlin e PierreNouquet non sono messi molto meglio. Gli altri stannoperdendo le forze ogni giorno di più. È vicino il mo-mento in cui potremmo disporre delle loro vite.»Fu allora deciso fra Louis e i suoi compagni di nonaspettare e di approfittare delle poche forze che rima-nevano loro. Concordarono di agire la notte successivae di uccidere quei disgraziati per non essere a loro voltauccisi.La temperatura era leggermente salita. Louis Cornbuttesi azzardò a uscire col fucile per riportare della caccia-gione.Si allontanò di circa tre miglia dalla nave e, ingannatospesso dai fenomeni di miraggio o di rifrazione, fece piùstrada di quanto non intendesse fare. Era imprudente,perché nella neve si vedevano tracce recenti di animaliferoci. Louis però non voleva tornare senza portare dellacarne fresca e proseguì; ma provò una strana sensazione,che gli fece girare la testa. Era il malessere chiamato “lavertigine del bianco”. Di fatto, il riflesso dei cumuli e

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della distesa di ghiaccio lo prendevano dalla testa aipiedi e gli sembrava che quel colore lo penetrasse e glicausasse un irresistibile languore. Il suo occhio ne eraimpregnato, lo sguardo deviato. Credette di diventarepazzo per quel bianco. Senza rendersi conto di quel ter-ribile effetto, continuò la marcia e, quando una pernicesi alzò in volo, le sparò. L’uccello cadde fulminato e, perandare a prenderlo, saltando da un blocco di ghiaccio,Louis cadde pesantemente, perché la rifrazione lo avevaingannato, facendogli scambiare un’altezza di diecipiedi per una di due. La vertigine allora si impossessòdi lui e, senza sapere perché, si mise a chiamare aiutoper alcuni minuti, benché non avesse niente di rotto.Quando però il freddo cominciò a invaderlo, lo spiritodi conservazione prevalse e faticosamente si rialzò.Improvvisamente, senza che potesse capire da dove, ar-rivò al suo naso un odore di grasso bruciato. Siccomeera sottovento rispetto alla nave, suppose che quel-l’odore venisse da lì e non capì perché bruciassero delgrasso; era infatti molto pericoloso perché poteva atti-rare bande di orsi bianchi.Louis riprese quindi a camminare verso il brigantino,

in preda a una preoccupazione che, nel suo stato sovrec-citato, degenerò presto in panico. Gli sembrava chedelle masse colossali si muovessero all’orizzonte e si do-mandò se non si trattasse di un nuovo maremoto. Moltedi quelle masse si interposero fra la neve e lui e gli parveche si alzassero a fianco del brigantino. Si fermò per os-servarle più attentamente e il panico si mutò in terrorequando riconobbe una banda di orsi giganteschi. Queglianimali erano stati attirati dall’odore di grasso che avevasentito Louis. Si nascose dietro una collinetta di ghiaccio

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e ne contò tre che non tardarono a scalare i blocchi sucui poggiava la Jeune-Hardie.Niente gli faceva supporre che all’interno della nave fos-sero coscienti di quel pericolo, e una terribile angosciagli strinse il cuore. Come opporsi a quei temibili nemici?Vasling e i suoi compagni avrebbero fatto fronte co-mune con tutti gli uomini a bordo per fronteggiare quelcomune nemico? Penellan e gli altri, affamati e irrigiditidal freddo, potevano resistere a quelle spaventose be-stie, spinte da una fame insaziabile? Non sarebbero statisorpresi da un attacco imprevisto? Per un momento Louis Cornbutte fece queste conside-razioni, mentre gli orsi avevano scalato i blocchi dighiaccio e stavano assalendo la nave. Poté allora abban-donare il blocco che lo nascondeva e avvicinarsi stri-sciando sul ghiaccio, riuscendo a vedere gli enormianimali balzare sul ponte, dopo aver sbranato la tendacon gli artigli. Pensò a sparare un colpo per avvertire icompagni; ma se quelli salivano disarmati, sarebberostati inevitabilmente fatti a pezzi, e niente indicava chefossero a conoscenza del pericolo.

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XVGli orsi bianchi

Dopo la partenza di Louis Cornbutte, Penellan avevaaccuratamente chiuso la porta della cabina che si aprivain fondo alla scala del ponte. Era tornato vicino allastufa, che si era incaricato di sorvegliare mentre i com-pagni erano tornati a letto per riscaldarsi un po’.Erano le sei di sera e Penellan si mise a preparare lacena. Scese in cambusa a prendere della carme salatache voleva fare ammollare nell’acqua bollente. Quandotornò su, trovò il suo posto occupato da Vasling, cheaveva messo dei pezzi di grasso a cuocere nella padella.«C’ero prima di voi» disse brusco Penellan «perché miavete preso il posto?»«Per la stessa vostra ragione» rispose Vasling «perchédevo cucinarmi la cena!»«Togliete subito quella roba» replicò Penellan «o ve lofaccio vedere!»«Non vedremo un bel niente» rispose Vasling «e questacena finirà di cuocere, anche se non vi va!»« Non la mangerete!» gridò Penellan lanciandosi su Va-sling, che prese il coltello urlando:«Aiuto, norvegesi! Aiuto, Aupic!»Quelli si alzarono in un batter d’occhio, armati di pistolee pugnali. Il colpo era preparato. Penellan si gettò su Vasling, che aveva certamente pen-sato di lottare da solo, perché i suoi compagni corsero

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alle cuccette dov’erano Misonne, Turquiette e PierreNouquet. Quest’ultimo, indifeso e indebolito dalla ma-lattia, era in balìa della ferocia di Herming. Il falegnameinvece prese un’ascia e, lasciato il letto, si lanciò incon-tro ad Aupic. Turquiette e il norvegese Jocki lottavanocon accanimento. Gervique e Gradlin, in preda a doloriatroci, non si rendevano nemmeno conto di ciò chestava succedendo.Nouquet ricevette subito una pugnalata nel fianco eHerming si volse verso Penellan, che si divincolavacome un leone. Vasling l’aveva afferrato alla vita.Ma all’inizio della lotta la padella si era rovesciata sulfornello e il grasso, colando sui carboni ardenti, impre-gnava l’aria di un odore nauseabondo. Marie si alzò lan-ciando grida disperate e si precipitò verso il letto doverantolava Jean Cornbutte.Vasling, meno robusto di Penellan, sentì il timoniere af-ferrargli le braccia. Erano troppo vicini l’uno all’altro perpoter usare le armi. Il secondo, vedendo Herming, gridò:«Aiutami, Herming!»«Aiuto, Misonne!» gridò a sua volta Penellan.Ma Misonne era a terra, corpo a corpo con Aupic, checercava di colpirlo col coltello. L’ascia del falegname eraun’arma poco adatta alla difesa, poco maneggevole, el’uomo faceva una fatica enorme a parare le coltellate diAupic.Il sangue colava in mezzo allo strepito e alle grida feroci.Turquiette, atterrato da Jocki, uomo di una forza noncomune, aveva ricevuto una pugnalata alla spalla e cer-cava invano di afferrare una pistola appesa alla cinturadel norvegese. Quello lo stringeva come in una morsa elui non poteva fare nessun movimento.

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Al grido di Vasling, che Penellan aveva stretto contro laporta, Herming accorse. Quando stava per pugnalarealla schiena il bretone, quello lo stese con un violentocalcio. Ciò permise a Vasling di liberare il braccio destrodalla stretta di Penellan; ma la porta su cui appoggiavatutto il loro peso si sfondò di colpo e Vasling cadde al-l’indietro.Improvvisamente esplose un ruggito terribile e un orsogigantesco apparve sui gradini della scala. Vasling lovide per primo. Era a soli quattro piedi da lui. Nellostesso momento si udì una detonazione e l’orso, feritoo spaventato, tornò indietro. Vasling, che era riuscito arialzarsi, si mise a inseguirlo, abbandonando Penellan.Il timoniere rimise a posto la porta e si guardò intorno.Misonne e Turquiette, legati stretti con delle corde, sta-vano in un angolo e cercavano inutilmente di liberarsi.Penellan si precipitò per aiutarli, ma fu messo a terradai norvegesi e da Aupic. Allo stremo delle forze, nonpoté resistere ai tre uomini, che legarono anche lui, im-pedendogli ogni movimento. Poi, udendo le grida delsecondo, i tre si precipitarono sul ponte credendo diavere a che fare con Louis Cornbutte.Vasling stava lottando con un orso, che aveva già colpitocon due coltellate. L’animale, fendendo l’aria con le po-tenti zampe, cercava di colpire Vasling. Questi, strettopian piano contro il bastingaggio, si sentì perduto,quando una seconda detonazione risuonò. L’orso stra-mazzò a terra. Vasling alzò la testa e vide Louis Corn -butte con il fucile in mano sulle sartie dell’albero dimaestra. Aveva mirato al cuore e l’orso era morto.L’odio prevalse sulla riconoscenza nel cuore di Vasling,che però, prima di soddisfarlo, si guardò intorno. Aupic

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aveva la testa fracassata da una zampata e giaceva im-mobile sul ponte. Jocki, con l’ascia in mano, parava afatica i colpi di quel secondo orso che aveva uccisoAupic. L’animale aveva ricevuto due pugnalate e ciono-nostante lottava accanitamente. Un terzo orso si stavadirigendo a prua.Vasling quindi non se ne occupò e, seguito da Herming,andò in soccorso di Jocki; ma questi, stretto fra le zampedell’orso, rimase stritolato e, quando l’animale caddesotto i colpi di Vasling e Herming, che scaricarono su dilui le loro pistole, aveva solo un cadavere fra le zampe.«Siamo rimasti in due» disse Vasling con aria cupa erabbiosa «ma se moriamo, non rimarremo senza ven-detta!»Herming ricaricò la pistola senza rispondere. Prima ditutto bisognava sbarazzarsi del terzo orso. Vaslingguardò verso prua, ma non lo vide. Alzando gli occhi,lo vide in piedi sul bastingaggio che già si arrampicavasulle sartie per raggiungere Louis Cornbutte. Vaslingabbassò il fucile che aveva puntato sull’animale e unagioia feroce si dipinse nei suoi occhi.«Ah!» esclamò «tu mi vendicherai!»Nel frattempo Louis si era rifugiato nella gabbia di mez-zana. L’orso continuava a salire ed era solo a sei piedida Cornbutte quando questi imbracciò il fucile e miròl’animale al cuore.Da parte sua, Vasling imbracciò il suo per colpire Louisse l’orso aveva la peggio.Cornbutte sparò, ma non parve che l’orso fosse statocolpito perché si lanciò con un balzo sul pennone. Tuttol’albero tremò.Vasling lanciò un urlo di gioia.

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«Herming!» gridò al marinaio norvegese «vai a pren-dere Marie! vai a prendere la sua fidanzata!»Herming scese le scale della cabina.Nel frattempo l’animale inferocito si era lanciato suCorn butte, che cercò un riparo dall’altra parte dell’al-bero maestro; ma, al momento in cui la zampa enormesi abbatteva per fracassargli la testa, Louis afferrò unostrallo e si lasciò scivolare sul ponte, non senza rischio,perché, a metà strada, un proiettile sibilò alle sue orec-chie. Vasling aveva tirato su di lui e l’aveva mancato. Idue avversari si ritrovarono quindi faccia a faccia con icoltelli in mano.Quello scontro doveva essere decisivo. Per soddisfarepienamente la sua vendetta, per fare assistere la ragazzaalla morte del fidanzato, Vasling si era privato dell’aiutodi Herming. Doveva quindi contare solo su se stesso.I due si afferrarono per il collo e si tennero in modo danon poter indietreggiare. Uno dei due doveva morire.Si dettero dei colpi violenti, che riuscirono a parare soloin parte, perché il sangue prese a colare da una parte edall’altra. Vasling cercava di afferrare col braccio destroil collo dell’altro per atterrarlo. Cornbutte, sapendo chechi cadeva sarebbe morto, l’anticipò e riuscì a stringerlocon le due braccia; ma in quel movimento il pugnale glisfuggì di mano.In quel momento giunsero al suo orecchio delle grida stra-zianti. Era la voce di Maria, che Herming cercava di tra-scinare. La rabbia s’impossessò del cuore di Louis; s’irrigidìper far piegare la schiena a Vasling, ma improvvisamente idue avversari furono afferrati da una stretta possente.L’orso, sceso dall’albero di mezzana, si era precipitatosui due uomini.

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Vasling era appoggiato contro il corpo dell’animale.Cornbutte sentiva gli artigli del mostro entrargli nellacarne. L’orso li stringeva tutti e due.«Aiuto! Aiuto. Herming!» riuscì a urlare il secondo.«Aiuto, Penellan!» gridò Cornbutte.Si sentirono dei passi nella scaletta. Apparve Penellan,caricò la pistola e la scaricò nell’orecchio dell’animale.Quello emise un ruggito. Il dolore gli fece aprire un at-timo le zampe e Cornbutte, esanime, scivolò sul ponte;ma l’animale, richiudendole con forza nell’estrema ago-nia, cadde trascinando con sé il miserabile Vasling, chemorì schiacciato sotto di lui.Penellan si precipitò a soccorrere Cornbutte. Le ferite,seppure gravi, non mettevano a rischio la sua vita; e lastretta dell’orso gli aveva tolto il respiro solo per un mo-mento.«Marie!...» disse aprendo gli occhi.«È salva!» rispose il timoniere. Herming era infatti giùdisteso, con una pugnalata nella pancia.«E gli orsi?...»«Sono morti, Louis, morti come i nostri nemici! Ma sipuò dire che, se non ci fossero state quelle belve, sa-remmo noi i morti. Veramente. Sono venuti ad aiutarci!Ringraziamo la Provvidenza!»Cornbutte e Penellan scesero in cabina e Marie si gettòfra le loro braccia.

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XVIConclusione

Herming, ferito a morte, era stato trasportato su unacuccetta da Misonne e Turquiette, che erano riusciti aslegarsi. Il miserabile rantolava già e i due marinai si oc-cuparono di Nouquet, la cui ferita per fortuna non sem-brava grave.Ma una disgrazia più grande aspettava Louis Cornbutte.Il padre non dava alcun segno di vita. Non si sa se fossemorto per il dolore nel vedere il figlio preda dei suoi ne-mici o se fosse spirato prima di assistere all’epilogo. Difatto il vecchio marinaio, stroncato dalla malattia, avevacessato di vivere.Dopo questo choc inaspettato, Louis e Marie cadderoin una profonda depressione, poi s’inginocchiarono vi-cino al letto, piangendo e pregando per l’anima di JeanCornbutte.Penellan, Misonne e Turquiette li lasciarono soli in quellacabina e tornarono sul ponte. Le carcasse dei tre orsi fu-rono trascinate a prua. Penellan decise di conservare le pel-licce, che sarebbero tornate molto utili, ma non pensò unsolo momento a mangiarne la carne. Del resto il numerodelle bocche da sfamare era sensibilmente ridotto. I cada-veri di Vasling, Aupic e Jocki, gettati in una fossa scavatasulla costa, furono presto raggiunti da quello di Herming.Il norvegese era morto durante la notte senza pentimentoné rimorsi, con la schiuma di rabbia alla bocca.

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I tre marinai ripararono la tenda che, lacerata in piùpunti, lasciava entrare la neve sul ponte. La temperaturamolto bassa andò avanti fino al ritorno del sole, cheriapparve sopra l’orizzonte solo l’8 gennaio.Anche Jean Cornbutte fu sepolto su quella costa. Avevalasciato il suo paese per cercare il figlio ed era venuto amorire in quel clima terribile! La tomba fu scavata suun’altura e i marinai vi piantarono una semplice crocedi legno.Dopo quel giorno, Louis Cornbutte e i suoi compagnidovettero affrontare altre difficili prove; ma almeno i li-moni che avevano ritrovato restituirono loro la salute.Quindici giorni dopo quei terribili avvenimenti, Gervi-que, Gradlin e Nouquet poterono alzarsi e fare un po’di esercizio.Presto la caccia divenne più facile e abbondante. Gli uc-celli acquatici tornarono in gran numero. Un tipo di ani-tra selvatica in particolare fornì una carne eccellente. Icacciatori dovettero lamentare solo la perdita di duecani, scomparsi durante un’esplorazione venticinquemiglia a sud per vedere lo stato della banchisa.Il mese di febbraio fu segnato da violente tempeste e ab-bondanti nevicate. La temperatura media rimase in-torno ai 25° sottozero, ma gli uomini, ormai abituati aben di peggio, non ne soffrirono troppo. Inoltre, la vistadel sole che saliva sempre di più sull’orizzonte li rincuo-rava, annunciando la fine dei loro tormenti. Va dettoanche che il Cielo fu pietoso con loro, perché quell’annoil caldo fu anticipato. Già a marzo si vide qualche corvovolteggiare intorno alla nave. Cornbutte prese delle gruche si erano spinte fin là nelle loro peregrinazioni anord. Verso sud si vedevano anche stormi di oche sel-vatiche.

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Il ritorno degli uccelli voleva dire una diminuzione delfreddo. Non c’era però troppo da fidarsi perché bastavaun cambio di vento o di luna per abbassare improvvisa-mente la temperatura e i marinai erano costretti a ricor-rere alle loro precauzioni per proteggersi. Per scaldarsiavevano già bruciato tutto il bastingaggio della nave ele paratie del ponte intermedio che non usavano. Eradunque l’ora che quell’inverno finisse. Per fortuna lamedia del mese di marzo non scese sotto i 16° sottozeroe Marie si occupò di preparare nuovi vestiti per quel-l’estate precoce.Dopo l’equinozio il sole si era costantemente mantenutosopra l’orizzonte. Erano cominciati gli otto mesi di gior -no. Quella luce perpetua e quel costante tepore, anchese molto debole, non tardarono ad avere effetti sulghiaccio.Si dovevano prendere grandi precauzioni per far scivo-lare la Jeune-Hardie dall’alto dei blocchi di ghiaccio chela circondavano. La nave fu quindi puntellata solida-mente e sembrò opportuno aspettare che il ghiaccio sirompesse per il disgelo; ma i blocchi inferiori, che pog-giavano su uno strato d’acqua già più calda, si stacca-rono pian piano, cosicché il brigantino scese poco allavolta. Ai primi di aprile aveva ripreso il suo assetto nor-male. Sempre nel mese di aprile ci furono piogge torrenzialiche, distribuite a scrosci su tutta la banchisa, accelera-rono lo scioglimento dei ghiacci. Il termometro salì a10° sottozero. Alcuni si tolsero gli abiti di pelle di focae non fu più necessario tenere accesa la stufa notte egiorno in cabina. La scorta di spirito, che non era esau-rita, fu impiegata solo per la cottura del cibo.

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Presto il ghiaccio iniziò a rompersi con boati sordi. Lecrepe sulla superficie si formavano con grande velocitàe diventava imprudente camminare sulla banchisa senzaun bastone per sondare la consistenza, perché le fessuresi aprivano a macchia di leopardo. Accadde anche chealcuni marinai caddero in acqua, facendo solo un bagnoun po’ freddo.Tornarono anche le foche, cui fu data la caccia per illoro grasso, particolarmente utile. Tutti godevano dibuona salute. Si passava il tempo nei preparativi per lapartenza e nella caccia. Louis Cornbutte andava spessoa controllare i passaggi e, studiando la configurazionedella costa meridionale, decidere di tentare il passaggiopiù a sud. Il disgelo era già iniziato in alcuni punti e deiblocchi di ghiaccio si stavano dirigendo verso il largo.Il 25 aprile la nave era pronta per navigare. Le vele,estratte dai loro involucri. Erano in perfetto stato diconservazione, e per i marinai fu una gioia immensa ve-derle gonfiare al soffio del vento. La nave ebbe un sus-sulto, perché aveva ritrovato la linea di galleggiamentoe, pur non potendosi ancora muovere, poggiava almenosul suo naturale elemento.In maggio il disgelo si propagò. La neve che copriva lerive si scioglieva da ogni parte e creava una spessa fan-ghiglia, che rendeva la costa quasi impraticabile. Lepiantine di erica, rosa e pallide, si affacciavano timida-mente su ciò che restava della neve e sembravano sorri-dere al leggero calore. Il termometro salì fino a sopra lozero.Venti miglia a sud della nave i blocchi di ghiaccio, stac-catisi completamente, veleggiavano verso l’oceanoAtlantico. Anche se intorno alla nave c’era ancora ghiac-

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cio, si formarono dei passaggi di cui Cornbutte volle ap-profittare.Il 21 maggio, dopo un’ultima visita alla tomba del padre,Louis Cornbutte lasciò finalmente la baia. Il cuore diquei bravi marinai si riempì al contempo di gioia e ditristezza, perché non si lascia senza rimpianto un luogodove si è visto morire un amico. Il vento soffiava da norde favoriva la partenza del brigantino. Più volte dovettefermarsi per dei banchi di ghiaccio, che si dovettero ta-gliare con la sega; più volte enormi blocchi si ammuc-chiavano a prua e si dovettero far saltare con l’esplosivo.Per un mese la navigazione presentò ancora pericoli, chemisero a rischio l’incolumità della nave; ma l’equipaggioera coraggioso e abituato a quelle manovre pericolose.Penellan, Nouquet, Turquiette e Misonne facevano inquattro il lavoro di dieci marinai e Marie aveva sorrisiriconoscenti per tutti.Finalmente la Jeune-Hardie fu libera dai ghiacci all’al-tezza dell’isola Jean-Mayen. Verso il 25 giugno il brigan-tino incontrò delle navi che andavano a nord per lacaccia alle foche e alle balena. Aveva impiegato circa unmese per venir fuori dai ghiacci del polo.Il 16 agosto la Jeune-Hardie era in vista di Dunkerque.Era stata annunciata dalla guardia costiera e tutta lagente del porto accorse sulla banchina. I marinai del bri-gantino si lanciarono subito ad abbracciare gli amici. Ilvecchio curato strinse al petto Louis Cornbutte e Mariee, delle due messe che disse i due giorni seguenti, laprima fu per la pace dell’anima di Jean Cornbutte e laseconda per benedire i due fidanzati, uniti dopo tantotempo dalla loro stessa disgrazia.

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Il blocco navale 1865

Il Dolphin

Il primo fiume le cui acque abbiano schiumato sotto leruote di un battello a vapore fu il Clyde. Era nel 1812.Quel battello si chiamava Comet e faceva regolare ser-vizio fra Glasgow e Greenock, a una velocità di sei nodi.Da allora più di un milione di navi a vapore e battellipostali hanno risalito e disceso la corrente del fiumescozzese e gli abitanti della grande città commerciale de-vono aver familiarizzato con i prodigi della navigazionea vapore.Eppure, il 3 dicembre 1862, un’enorme folla, compostadi armatori, negozianti, imprenditori, operai, marinai,donne e bambini, ingombrava le strade fangose di Gla-sgow e si dirigeva verso Kelvin-Dock, un grande stabi-limento di costruzioni navali, proprietà dei signori Tode MacGregor. Quest’ultimo cognome dimostra chiara-mente che i famosi discendenti degli Highlanders eranodivenuti industriali e che tutti i vassalli dei vecchi clanerano diventati operai.Kelvin-Dock è situato a qualche minuto dalla città, sullariva destra del Clyde; presto i suoi immensi cantieri fu-rono invasi dai curiosi; non c’era un pezzetto di ban-china, il muretto di un molo, il tetto di un magazzinoche non fosse occupato; il fiume stesso era punteggiatodi barche e sulla riva sinistra le alture di Govan pullula-vano di spettatori.

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Non si trattava comunque di una cerimonia straordina-ria, ma semplicemente del varo di una nave. Il pubbliconon poteva mancare agli incidenti che a volte simili ope-razioni comportavano.Il Dolphin – questo era il nome della nave costruita daisignori Tod e MacGregor – aveva allora qualcosa di spe-ciale? A dire il vero, no! Era una grande nave di mille-cinquecento tonnellate, in lamiere d’acciaio, dove tuttoera stato combinato per ottenere il meglio. La macchina,uscita dall’officina Lan ce field-Forge, era ad alta pres-sione e sviluppava una potenza effettiva di cinquecentocavalli. Metteva in movimento due eliche gemelle, situateai due lati della ruota di poppa e completamente indi-pendenti l’una dall’altra – applicazione del tutto nuovadei signori Dudgeon de Millwal, che dà alle navi unagrande velocità e permette di virare in un raggio moltoristretto. Il pescaggio del Dolphin invece doveva essereabbastanza contenuto e gli esperti non sbagliavano af-fermando che quella nave poteva navigare in canali dimedia profondità. Ma queste qualità non potevano giu-stificare da sole tutta l’attenzione del pubblico. Insommail Dolphin non aveva niente di più e niente di meno diun’altra nave. Il suo varo presentava dunque qualche dif-ficoltà meccanica da superare? Neppure. Il Clyde avevagià accolto nelle sue acque bastimenti di tonnellaggioben maggiore e la messa in acqua del Dolphin dovevaavvenire nel modo più normale.In effetti, quando il mare fu stanco e cominciava il de-flusso, iniziarono anche le operazioni; i colpi di magliorimbombarono in perfetto unisono sui cunei che dove-vano sollevare la chiglia della nave. Presto tutta l’enormemassa prese a sussultare e, appena sollevata, cominciò

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a muoversi, a scivolare, ad accelerare; in pochi secondiil Dolphin, abbandonando la calata accuratamente in-grassata, si tuffò nel Clyde fra spesse volute di vaporibianchi. La poppa poggiò sul fondo fangoso del fiume,poi fu sollevata da un’onda gigantesca e il bellissimo pi-roscafo, trascinato dallo slancio, si sarebbe schiantatocontro la banchina dei cantieri di Govan se le ancore,affondando tutte insieme con un rumore assordante,non avessero frenato la corsa.Il varo era riuscito perfettamente. Il Dolphin dondolavatranquillamente sulle acque del Clyde. Tutti gli spetta-tori batterono le mani quando prese possesso del suoelemento naturale e gli hurrah si alzarono fragorosi sulledue rive.Ma perché tutti quegli applausi? Senza dubbio i più sca-tenati fra i presenti avrebbero avuto difficoltà a spiegareil loro entusiasmo. A cosa era dovuto dunque quel par-ticolare interesse suscitato dalla nave? Semplicementeal mistero che avvolgeva la sua destinazione. Non si sa-peva che genere di trasporto dovesse effettuare e, inter-rogando i vari gruppetti di curiosi, ci si sarebbe stupitidella diversità delle risposte a questo proposito.I meglio informati comunque, o almeno quelli che siproclamavano tali, concordavano nel riconoscere chequel piroscafo avrebbe avuto un ruolo in quella terribileguerra che allora insanguinava gli Stati Uniti d’America.Ma non ne sapevano di più e nessuno poteva dire se ilDolphin fosse una nave corsara, da trasporto, confede-rata o della marina unionista.«Hurrah!» gridava uno, affermando che il Dolphin erastato costruito per conto degli Stati del Sud.«Hip! hip! hip!» gridava un altro, giurando mai un ba-

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stimento più veloce di quello avrebbe incrociato davantialle coste americane.Era dunque un’incognita e, per sapere esattamente cosapensare, si doveva essere soci o almeno intimi amicidella Vincent Playfair & Co. di Glasgow.Quest’ultima era una potente e abile impresa commer-ciale, gestita da una antica e onorata famiglia che discen-deva da quei lord Tobacco che avevano costruito i piùbei quartieri della città. Dopo la firma dell’atto del-l’Unione, quegli abili commercianti avevano fondato aGlasgow i primi magazzini, importando tabacco dallaVirginia e dal Maryland. Nacquero immense fortune eun nuovo importante porto commerciale nel nord Eu-ropa. Presto Glasgow divenne anche una città indu-striale e manifatturiera; filande e fonderie sorsero datutte le parti e in pochi anni la città raggiunse la sua mas-sima prosperità.La Playfair & Co. rimase fedele allo spirito imprendito-riale degli antenati. Si lanciò in ardite operazioni e so-stenne l’onore del commercio inglese. L’attuale pre si dente,Vincent Playfair, un cinquantenne dal carattere essenzial-mente pratico e positivo, seppure non privo di audacia,era un armatore purosangue. Era interessato esclusiva-mente alle questioni commerciali, anche quando le tran-sazioni assumevano un aspetto politico. Assolutamenteonesto e leale, non poteva comunque rivendicare quel-l’idea di aver costruito e armato il Dolphin. L’idea infattiera stata di James Playfair, suo nipote, un bel ragazzo ditrent’anni, il più coraggioso comandante della flotta mer-cantile del Regno Unito.Era successo un giorno nel salottino del Caffè Tontine,sotto i portici della piazza principale, che James Playfair,

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dopo aver letto con rabbia i giornali americani, raccontòallo zio di un suo avventuroso progetto.«Zio Vincent» gli disse a bruciapelo «si possono guada-gnare due milioni in meno di un mese!»«E cosa si rischia?» chiede lo zio Vincent.«Una nave e un carico.»«Nient’altro?»«Sì, la pelle dell’equipaggio e del capitano; ma quellanon conta.»«Parliamone» disse lo zio Vincent, apprezzando la bat-tuta.«Presto detto» continuò James Playfair. «Avete mai lettola Tribune, il New York Herald, il Times, l’Enquirer diRichmond, l’American Review?«Mille volte, James»«Pensate come me che la guerra degli Stati Uniti dureràancora a lungo?»«Molto a lungo»«Avete un’idea di quanto quel conflitto danneggi gli in-teressi dell’Inghilterra e in particolare di Glasgow?»«E in modo ancora più speciale quelli della Playfair &Co.» rispose lo zio Vincent.«Soprattutto quelli» rispose il giovane comandante.«Me ne dolgo tutti i giorni, James, e immagino con or-rore i disastri commerciali che quella guerra può com-portare. Non tanto per la Playfair & Co., che è moltosolida, ma piuttosto per i corrispondenti che possonovenire a mancare. Ah! quegli americani, schiavisti o abo-lizionisti, li manderei tutti al diavolo!»Se dal punto di vista dei grandi principi umanitari – chesono sempre e ovunque più importanti degli interessipersonali – Vincent Playfair aveva torto a parlare così,

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dal punto di vista esclusivamente commerciale aveva in-vece ragione. Sulla piazza di Glasgow era infatti venutoa mancare il primo prodotto di esportazione americano.La “carestia del cotone”, per usare la colorita espres-sione che si usava allora in Inghilterra, si faceva ognigiorno più minacciosa. Migliaia di operai si trovavanoridotti a vivere di elemosina. A Glasgow c’erano venti-cinquemila telai meccanici che prima della Guerra di se-cessione producevano seicentoventicinquemila metri difilati di cotone il giorno, per un fatturato di cinquantamilioni di sterline l’anno.Queste cifre danno l’idea diquale fu lo sconvolgimento del reparto manifatturieroin città, quando la materia prima venne a mancare quasicompletamente. Ogni ora c’era un fallimento, le fabbri-che licenziavano e gli operai morivano di fame.Era la visione di quell’immensa miseria ad aver sugge-rito a James Playfair l’idea del suo ardito progetto.«Andrò a prendere del cotone» disse «e lo porterò, costiquel che costi.»Ma siccome era anche un “commerciante” come lo zioVincent, decise di procedere a uno scambio e proporrel’operazione sotto la forma di un affare commerciale.«Zio Vincent» disse «ecco qual’è la mia idea.»«Sentiamola, James».«È molto semplice. Facciamo costruire una nave moltoveloce e con una grande capacità di carico.»«Si può fare.»«La carichiamo di munizioni, viveri e vestiario.»«Questo si può trovare.»«Prendo il comando della nave, poi sfido in velocitàtutte le navi della marina federale e forzo il blocco diuno dei porti del Sud.»

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«Venderai caro il carico ai confederati, che ne hanno bi-sogno» disse lo zio.«E tornerò con un carico di cotone...»«Che ti daranno per niente.»«L’avete detto, zio Vincent. Funziona?»«Sì. Ma ce la farai a passare?»«Passerò, se ho una buona nave.»«Te ne faremo una apposta. Ma l’equipaggio?»«Oh! lo troverò. Non mi servono molti uomini. Soloquelli per manovrare. Non si tratta di battersi coi fede-rali, ma di seminarli.»«Li terremo lontani» rispose lo zio Vincent in tono pe-rentorio. «Adesso dimmi, James, su che punto dellacosta americana conti di dirigere?»«Finora, zio, alcune navi hanno già forzato il blocco aNew Orleans, Willmington e Savannah. Io conto di en-trare dritto a Charleston. Nessuna nave inglese, a partela Bermuda, è riuscita ancora a superare il canale di ac-cesso. Io farò come lei e se la mia nave pesca poca acquaandrò là dove le navi federali non potranno seguirmi.»«Il fatto è» disse lo zio Vincent «che Carleston rigurgitadi cotone. Lo bruciano per sbarazzarsene.»«Sì!» rispose James «In più, la città è quasi obbligata.Beauregard è a corto di munizioni e pagherà il mio ca-rico a peso d’oro.»«Bene, nipote! E quando vuoi partire?»«Fra dieci mesi. Ho bisogno di notti lunghe, notti d’in-verno, per passare più facilmente.»«Le avrai, caro nipote.»«D’accordo, zio?»«D’accordo.»«Acqua in bocca?

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«Acqua in bocca.»Ecco com’è che cinque mesi più tardi il piroscafo Dol-phin fu varato dai cantieri di Kelvin-Dock e perché nes-suno conosceva la sua reale destinazione.

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La preparazione

L’armamento del Dolphin fu velocissimo. L’attrezzaturadi bordo era pronta, c’era solo da collaudarla. Il Dol-phin aveva tre alberi da goletta; un lusso quasi inutile.In effetti non contava sul vento per sfuggire agli incro-ciatori federali, ma piuttosto sulla potente macchinachiusa fra le sue murate. E aveva ragione. Alla fine di dicembre il Dolphin andò a fare il suo col-laudo nel golfo di Clyde. Impossibile dire chi fosse piùcontento fra il costruttore e il comandante. Il nuovo pi-roscafo filava a meraviglia e il solcometro segnò una ve-locità di diciassette nodi, velocità mai raggiunta danessuna barca inglese, francese o americana. In unasfida marittima con le navi più veloci, il Dolphinavrebbe senza dubbio vinto di molte lunghezze.Il 25 dicembre si cominciò a caricare. La nave venne aormeggiare al molo dei piroscafi, poco sotto il Glasgow-Bridge, l’ultimo ponte che scavalca il Clyde prima dellafoce. Nella grande banchina era sistemato un enormequantitativo di vestiario, armamenti e munizioni, che fuvelocemente trasferito nella stiva del Dolphin. La naturadel carico tradiva la misteriosa destinazione della navee la Playfair & Co. non poté mantenere più a lungo ilsuo segreto. D’altra parte il Dolphin non doveva tardarea prendere il mare. Nessun incrociatore americano erastato segnalato nelle acque inglesi. E poi, quando s’era

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trattato di formare l’equipaggio, come si poteva mante-nere il silenzio? Non si poteva imbarcare uomini senzainformarli della destinazione. Dopotutto, si metteva arischio la loro pelle e, quando si rischia la pelle, ci piacesapere come e perché.Quella prospettiva tuttavia non fermò nessuno. Lapaga era buona e ognuno aveva da guadagnare nel-l’operazione. Anche i marinai si presentarono in grannumero, e dei migliori. James Playfair non ebbe che dascegliere. Ma scelse bene e, in capo a ventiquattr’ore,il ruolino dell’equipaggio aveva trenta nomi di marinaiche avrebbero fatto onore allo yacht di Sua Graziosis-sima Maestà.La partenza fu fissata al 3 gennaio. Il 31 dicembre il Dol-phin era pronto. La stiva traboccava di viveri e muni-zioni, il carbonile era pieno. Niente più la tratteneva.Il 2 gennaio il comandante era a bordo e passava sullanave le ultime occhiate del capitano, quando un uomosi presentò al barcarizzo e chiese di parlare a James Play-fair. Uno dei marinai lo condusse sul casseretto.Era un uomo robusto, con le spalle larghe e un viso ru-bicondo; l’aria sempliciotta mal celava un fondo d’in-telligenza e leggerezza. Non sembrava molto informatosulle usanze marittime e si guardava intorno come unopoco abituato al ponte di una nave. Si dava comunquearie da lupo di mare, osservando le attrezzature del Dol-phin e ciondolando alla maniera dei marinai.Quando arrivò alla presenza del capitano, lo guardò di-ritto e gli disse:«Il comandante James Playfair?»«Sono io» rispose il capitano. «Cosa vuoi?»«Imbarcarmi a bordo con voi.»

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«Non c’è più posto. L’equipaggio è al completo.»«Oh! un uomo di più non vi darà problemi. Anzi»«Tu credi?» disse Playfair, guardando il suo interlocu-tore negli occhi.«Ne sono sicuro» rispose il marinaio.«Ma chi sei?» chiese il comandante.«Un rude marinaio, lo giuro, un forte e deciso compa-gnone. Due braccia robuste come quelle che ho l’onoredi proporle non sono da disdegnare a bordo di unanave.»«Ma ci sono altre navi oltre al Dolphin e altri coman-danti che non siano James Playfair. Perché vieni proprioqui?»«Perché voglio lavorare a bordo del Dolphin e agli or-dini del capitano James Playfair.»«Non ho bisogno di te.»«Si ha sempre bisogno di un uomo robusto e se, per sag-giare la mia forza, volete mettermi alla prova con tre oquattro dei vostri uomini più in gamba, sono pronto!»«Hai le idee chiare!» disse Playfair. «E come ti chiami?»«Crockston, per servirvi.»Il capitano fece qualche passo indietro per esaminaremeglio chi si proponeva in maniera così decisa. Il fisico,la struttura, la taglia e l’aspetto del marinaio conferma-vano la sua pretesa robustezza. Si capiva che dovevaavere una forza non comune e che non gli difettava ilcoraggio.«Dove hai navigato?» gli chiese Playfair.«Un po’ dappertutto.»«E sai cosa va a fare il Dolphin laggiù?»«Sì, ed è proprio quello che tenta.»«Bene, che io sia dannato se mi lascio sfuggire un uomo

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della tua tempra! Vai dal secondo, il signor Mathew, afarti iscrivere a ruolo.»Una volta pronunciate quelle parole Playfair si aspettavadi vedere il suo uomo girare i talloni e corre a prua; masi sbagliava. Crockston non si mosse.«Allora, hai capito?» chiese il comandante.«Sì» rispose il marinaio. «Ho però ancora qualcosa daproporle.»«Ah! cominci ad annoiarmi» rispose bruscamente James«non ho tempo da perdere».«Non vi annoierò a lungo» continuò Crockston. «Solodue parole. Volevo dire... ho un nipote.»«Ha proprio un bello zio quel nipote là» rispose JamesPlayfair.«Eh! eh!» ridacchiò Crockston.«Vogliamo finirla?» chiese il capitano impaziente.«Allora, ecco di cosa si tratta. Quando si prende lo zio,nel prezzo è compreso anche il nipote.»«Ah! davvero?»«Sì! funziona così. Uno non va senza l’altro.»«E che tipo sarebbe questo nipote?»«Un ragazzo di quindici anni, un novellino a cui insegnoil mestiere. È pieno di buona volontà e un giorno saràun bravo marinaio.»«Ah! certo, mastro Crockston» esclamò Playfair «nonè che prendi il Dolphin per una scuola per mozzi?»«Non parliamo male dei mozzi» ribatté il marinaio. «Cen’è uno che è diventato l’ammiraglio Nelson e un altrol’ammiraglio Franklin.»«Eh, perbacco! amico» rispose Playfair «mi piace il tuomodo di parlare. Porta tuo nipote; ma se scopro che suozio non è quel buon marinaio che dice di essere, te la

vedrai con me. Vai, e torna fra un’ora.»Crockston non se lo fece dire due volte. Salutò un po’goffamente il comandante del Dolphin e scese a terra.Un’ora dopo era già di nuovo a bordo con suo nipote,un ragazzo fra i quattordici e i quindici anni, un po’ gra-cile e mingherlino, con aria timida e meravigliata, chesembrava non avere ereditato dallo zio la sicurezza e laforza fisica. Lo stesso Crockston era costretto a stimo-larlo con qualche buona parola incoraggiante.«Via» diceva «fatti coraggio. Non ci mangiano mica, chediavolo! E comunque, siamo sempre in tempo ad an-darcene».«No, no!» rispose il ragazzo «e che Dio ci protegga.»Il giorno stesso il marinaio Crockston e la matricolaJohn Stiggs erano iscritti al ruolino d’equipaggio delDolphin. L’indomani mattina, alle cinque, i forni del piroscafo fu-rono accesi; il ponte tremava per le vibrazioni della cal-daia e il vapore usciva fischiando dalle valvole. L’oradella partenza era arrivata.Nonostante l’ora, sulle banchine e sul Glasgow-Bridgeera ammassata una folla abbastanza considerevole, ve-nuta a salutare per l’ultima volta l’audace piroscafo. Vin-cent Playfair era venuto ad abbracciare il capitanoJames, ma in quella circostanza si comportò come unantico romano. Mantenne un contegno dignitoso e i duesolenni baci di cui gratificò il nipote erano indice di unanimo orgoglioso.«Va’, James » disse al giovane comandante. «Va’ presto,e torna ancora più presto. Soprattutto non dimenticaredi approfittare della tua posizione di vantaggio. Vendia prezzi alti, acquista a poco e avrai la stima di tuo zio.»

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Con questa raccomandazione, presa dal “Manuale delperfetto commerciante”, zio e nipote si separarono etutti i visitatori scesero a terra.In quel momento Crockston e John Stiggs stavano unoaccanto all’altro sul castello di prua, e il primo disse al-l’altro:«Bene, bene! fra due ore saremo in mare; questo viaggiopromette bene!»Per tutta risposta il ragazzo strinse la mano di Crock-ston.James Playfair stava dando gli ultimi ordini per la par-tenza.«Abbiamo pressione?» chiese al secondo.«Sì comandante» rispose il signor Mathew.Bene, mollate gli ormeggi.»La manovra fu eseguita immediatamente. Le eliche simisero in movimento. Il Dolphin si mosse, passò tra lealtre navi del porto e presto scomparve agli occhi dellafolla che salutava con gli ultimi applausi. La discesa del Clyde si svolse facilmente. Si può dire chequel fiume è stato fatto dalla mano dell’uomo, e unamano magistrale. In sessant’anni, grazie alle draghe e auna cura incessante, ha acquistato quindici piedi di pe-scaggio e in città la larghezza si è triplicata. Ben prestola foresta di alberi e di fumaioli si perse nel fumo e nellanebbia. Il rumore dei magli delle fonderie e delle ascedei cantieri di costruzione si spense in lontananza. Al-l’altezza del villaggio di Partick, le case di campagna, leville, le seconde case presero il posto delle fabbriche. IlDolphin, al minimo della forza, scivolava fra gli alti ar-gini che contengono il fiume e spesso in passaggi moltostretti. Inconveniente di relativa importanza questo, per-

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ché per un fiume navigabile è più importante la profon-dità che la larghezza. Il piroscafo, guidato da uno diquegli eccellenti piloti del Mar d’Irlanda, filava senzaesitazione tra le boe galleggianti, le colonne di pietrasormontate da fanali che marcano il canale. Superò pre-sto il borgo di Renfrew. Il Clyde si allargò allora ai piedidelle colline di Kilpatrick, con davanti la baia di Bowl -ing, in fondo alla quale si apre l’imboccatura del canaleche unisce Edimburgo a Glasgow.Finalmente apparve, in alto, a quattrocento piedi, il ca-stello di Dumbarton col profilo appena sfumato nellanebbia e subito, sulla riva sinistra, le navi del porto diGlasgow oscillarono, sotto l’effetto delle onde sollevatedal passaggio del Dolphin.Qualche miglio più avanti, Greenock, la patria di JamesWatt. Il Dolphin si trovava alla foce del Clyde, nel golfodove riversa le sue acque nel canale del Nord. Lì sentìle prime ondulazioni del mare e costeggiò le rive pitto-resche dell’isola di Arran. Infine fu doppiato il promontorio di Kintyre, che si pro-ietta sul canale, e si avvistò l’isola di Rathlin; il pilota ri-guadagnò con la lancia il suo piccolo cutter cheincrociava al largo; restituito al suo comandante, il Dol-phin prese una rotta meno frequentata a nord dell’Ir-landa e presto, perdendo di vista le ultime terre europee,si trovò solo in pieno oceano.

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In mare

Il Dolphin aveva un buon equipaggio; non marinai dacombattimento o da abbordaggio, ma uomini che ma-novrano bene. Non gli serviva altro. Erano uomini fortie determinati, ma più o meno tutti commercianti. Cor-revano dietro al denaro, non alla gloria. Non avevanobandiere da esibire, non colori da sostenere con colpidi cannone; del resto, tutta l’artiglieria di bordo consi-steva in due cannoncini per segnalazioni.Il Dolphin filava veloce; rispondeva appieno alle aspet-tative dei costruttori e del comandante e presto superòil limite delle acque territoriali britanniche. Non c’erauna nave in vista; la grande rotta oceanica era libera;nessuna nave della marina federale aveva il diritto di at-taccare un natante battente bandiera inglese. Poteva se-guirlo e impedirgli di forzare la linea del blocco navale,ma niente di più. E James Playfair aveva sacrificato tuttoalla velocità della sua nave, proprio per non essere se-guito.A bordo comunque si faceva buona guardia. Nono-stante il freddo, un uomo era sempre sull’albero, prontoa segnalare la minima vela all’orizzonte. Quando arrivòla sera, il capitano James fece le più precise raccoman-dazioni al signor Mathew.«Non lasciate gli uomini troppo a lungo di vedetta sul-l’albero di trinchetto» gli disse. «Possono prendere

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freddo e non si fa buona guardia in quelle condizioni.Dategli spesso il cambio.»«Ricevuto, comandante» rispose il secondo.«Vi raccomando Crockston per quel posto. Quell’uomodice di avere una buona vista; bisogna metterlo allaprova. Includetelo nel quarto di mattina; sorveglierà lenebbie dell’alba. Per qualunque cosa, avvertitemi.»Detto ciò, Playfair se ne andò nella sua cabina. Il signorMathew fece venire Crockston e gli trasmise gli ordinidel comandante.«Domani, alle sei» gli disse «andrai al tuo posto d’os-servazione sulle barre di trinchetto».Come risposta Crockston emise un grugnito affermativo.Ma Mathew non si era ancora voltato che il marinaiobor bottò un buon numero di parole incom prensibili, poiesclamò:«Che diavolo intende per barre di trinchetto?»In quel mentre il nipote John Stiggs lo raggiunse sul ca-stello di prua.«Come va, mio caro Crockston?» disse.«Bene! va bene, va bene» rispose il marinaio con un sor-riso forzato. «C’e solo una cosa. Questo diavolo di barcascuote le sue pulci come un cane che esce dall’acqua,tanto che mi sento un po’ agitato.»«Povero amico mio!» disse il ragazzo guardando Crock-ston con un vivo senso di riconoscenza.«E se penso» continuò il marinaio «che alla mia età mipermetto di avere il mal di mare! Sono proprio una fem-minuccia! Ma passerà, passerà! Ci sono piuttosto lebarre di trinchetto che mi preoccupano.»«Caro Crockston, e tutto questo per me...»«Per me e per lui» rispose Crockston. «Ma non una pa-

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rola di più, John. Confidiamo in Dio; non vi abbando-nerà.»Con quelle parole, John Stiggs e Crockston tornarononella cabina dell’equipaggio e il marinaio non si addor-mentò prima di aver visto il giovane tranquillamentesteso nella cuccetta che gli era stata assegnata.L’indomani, alle sei, Crockston si alzò per andare aprendere il suo posto; salì sul ponte e il secondo gli or-dinò di salire sull’albero e di fare buona guardia.A quelle parole il marinaio sembrò un po’ titubante; poi,decidendosi, si avviò per poppa.«Allora, dove vai?» gridò il signor Mathew.«Dove mi avete mandato» rispose Crockston.«Ti ho detto di andare sulle barre di trinchetto.»«Eh! ci vado» rispose il marinaio con aria imperturba-bile, continuando ad andare verso il casseretto.«Mi prendi in giro?» continuò Mathew, spazientito. Vaia cercare le barre di trinchetto sull’albero di mezzana?Hai l’aria di un cittadino che sa ben poco di serrare unmatafione o di fare un’impiombatura! A bordo di qualegabarra hai navigato, amico? All’albero di trinchetto,imbecille, all’albero di trinchetto!»Gli uomini di guardia, accorsi alle parole del secondo,non poterono trattenere una grande risata vedendol’espressione sconcertata di Crockston, che tornavaverso il castello di prua.«Come?» disse guardando l’albero, la cui estremità siperdeva del tutto invisibile nella nebbia del mattino.«Come? devo salire lassù?»«Sì» rispose il signor Mathew «e muoviti! Per San Pa-trizio, una nave federale avrebbe il tempo di infilare ilsuo bompresso nelle nostre dotazioni di bordo prima

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che questo buono a nulla sia arrivato al suo posto diguardia. Ti vuoi muovere, finalmente?»Senza dire una parola, Crockston si issò a fatica sul ba-stingaggio; poi iniziò ad arrampicarsi goffamente sullegriselle, come chi non riesce a usare bene né i piedi néle mani; quindi, arrivato alla gabbia di trinchetto, invecedi lanciarsi con leggerezza, rimase immobile, aggrappan-dosi alle sartie con la tensione di chi è preso dalle verti-gini. Il signor Mathew, stupito da tanta goffaggine, epreso dalla rabbia, gli ordinò di scendere subito sulponte.«Quell’uomo» disse al nostromo «non ha mai fatto ilmarinaio in vita sua. Johnston, andate a vedere cos’hanel suo sacco.»E il nostromo andò subito alla cabina dei marinai.Nel frattempo Crockston scendeva faticosamente; ma aun certo punto gli scivolò un piede e si aggrappò a unamanovra corrente, che filò per l’estremità, e cadde ma-lamente sul ponte.«Bestione maldestro, marinaio d’acqua dolce!» esclamòil signor Mathew come consolazione. «Che sei venuto afare a bordo del Dolphin? Ah! ti sei spacciato per unprovetto marinaio e non sai nemmeno distinguere l’al-bero di mezzana da quello di trinchetto! Bene, facciamoquattro chiacchiere.»Crockston non rispose. Voltava le spalle come rasse-gnato. In quel momento il nostromo tornò.«Ecco» disse al secondo «tutto quello che ho trovatonel sacco di questo contadino: un portafoglio sospettocon delle lettere.«Date qua» fece Mathew. «Lettere col timbro degli StatiUniti del Nord! “Signor Halliburtt, di Boston!” Un

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abolizionista! un federale!... Miserabile! sei solo un tra-ditore! ti sei intrufolato a bordo per tradirci! Stai tran-quillo, ti sistemiamo noi, e assaggerai le unghie del gattoa nove code! Nostromo, fate avvertire il comandante.Nel frattempo, voialtri sorvegliate questa canaglia.»Crockston accoglieva quei complimenti con una smorfiada vecchio diavolo, ma non apriva bocca. L’avevano le-gato all’argano e non poteva muovere né piedi né mani.Qualche minuto dopo James Playfair uscì dalla sua ca-bina e si diresse verso il castello di prua. Subito Mathewmise al corrente il comandante della faccenda.«Cos’hai da rispondere?» chiese Playfair, contenendo afatica l’irritazione.«Niente» rispose Crockston.«E cosa sei venuto a fare a bordo?»«Niente.»«Chi sei? Un americano, come queste lettere sembranoprovare?»Crockston non rispose.«Nostromo» disse Playfair «cinquanta frustate a que-st’uomo per sciogliergli la lingua. Basterà, Crockston?»«Vedremo» rispose senza batter ciglio lo zio di JohnStiggs.«Forza, voialtri» disse il nostromo.A quell’ordine, due robusti marinai si avvicinarono pertogliere a Crockston la camicia di lana. Avevano già af-ferrato il temibile strumento e lo alzavano per colpiresulle spalle l’uomo, quando John Stiggs, pallido e scon-volto, accorse sul ponte.«Comandante!» fece.«Ah! il nipote!» disse James Playfair.«Comandante» continuò il ragazzo facendo un violento

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sforzo su se stesso «quello che Crockston non ha volutodire lo dirò io! Non nasconderò quello che lui vuole tacere.Sì, è americano come lo sono anch’io; siamo entrambi ne-mici degli schiavisti, ma non siamo spie venute a bordo pertradire il Dolphin e consegnarlo alle navi federali.«Che siete venuti a fare allora?» chiese il comandantecon tono severo e guardando attentamente il giovane.Questi esitò qualche istante, poi con voce abbastanzadecisa disse:«Capitano, vorrei parlarle in privato.»Mentre John Stiggs formulava quella domanda, Playfairnon aveva cessato di osservarlo con attenzione. Il visogiovane e dolce del ragazzo, la voce particolarmente pia-cevole, le mani fini e candide, appena dissimulate sottouno strato di bistro, i grandi occhi la cui vivacità non nestemperava la dolcezza, tutto quell’insieme fece nascereuna certa idea nella mente del comandante. QuandoJohn Stiggs ebbe fatto la sua domanda, Playfair guardòfisso Crockston che alzava le spalle; poi fissò sul ragazzouno sguardo interrogativo che lui non poté sostenere egli disse questa sola parola:«Venite.»Stiggs seguì il comandante nel casseretto e lì Playfair,aprendo la porta della sua cabina, disse al ragazzo, lecui guance erano pallide per l’emozione:«Vogliate entrare, signorina.»«John, così apostrofato, divenne tutto rosso e due la-crime gli colarono involontariamente dagli occhi.«Tranquillizzatevi» disse Playfair con voce più dolce «editemi a cosa devo l’onore di avervi a bordo.»La ragazza esitò un istante a rispondere; poi, rassicuratadallo sguardo del comandante, decise di parlare.

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«Signore» disse «vado a raggiungere mio padre a Char-leston. La città è assediata a terra e bloccata in mare.Non sapevo come penetrarvi quando ho saputo che ilDolphin si proponeva di forzare il blocco. Sono dunquesalita a bordo con voi, signore, e vi prego di scusarmi sel’ho fatto senza il vostro consenso. Me l’avreste rifiu-tato.»«Certamente» disse Playfair.«Quindi ho fatto bene a non chiedervelo» rispose la ra-gazza con voce più decisa.Il capitano incrociò le braccia, fece un giro nella cabina,poi tornò.«Come vi chiamate?» domandò.«Jenny Halliburtt.»«Vostro padre, guardando l’indirizzo delle lettere inmano a Crockston, non è di Boston?»«Sì, signore.»E come mai un nome del Nord si trova in una città delSud nel bel mezzo della guerra degli Stati Uniti?»«Mio padre è prigioniero, signore. Si trovava a Charle-ston quando esplosero le prime fucilate della guerra ci-vile e quando le truppe dell’Unione furono cacciate dalForte Sumter dai Confederati. Le idee di mio padreerano invise al partito schiavista e, in dispregio di ognidiritto, fu imprigionato per ordine del generale Beaure-gard. Allora ero in Inghilterra presso una parente, cheè appena morta, e da sola, senz’altro aiuto che Crock-ston, il più fedele servitore della mia famiglia, ho volutoraggiungere mio padre e dividere con lui la prigionia.»«E chi era allora il signor Halliburtt?» chiese JamesPlayfair.«Un leale e bravo giornalista» rispose Jenny con orgo-

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glio, «uno dei più degni redattori della Tribune, e quelloche ha più coraggiosamente difeso la causa dei neri.»«Un abolizionista!» gridò con violenza il comandante«uno di quegli uomini che, con l’inutile pretesto di abo-lire la schiavitù, hanno coperto il loro paese di sangue erovine!»«Signore» rispose Jenny Halliburtt impallidendo «voiinsultate mio padre! Non dovete dimenticare che sonosola qui a difenderlo!»Un vivo rossore salì alla fronte del giovane comandante;una collera mista a vergogna s’impadronì di lui Stavaquasi per rispondere per le rime alla ragazza, ma riuscìa contenersi e aprì la porta della cabina.«Nostromo» gridò.Il nostromo accorse subito.«Questa cabina sarà destinata alla signorina Jenny Hal-liburtt» disse. «Sistematemi una branda in fondo al cas-seretto. Non mi serve altro.» Il nostromo guardava con occhio stupefatto quel ra-gazzo chiamato con un nome femminile; ma, a un cennodi Playfair, uscì.«E adesso, signorina, siete a casa vostra» disse il giovanecomandante del Dolphin.E andò via.

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Le malizie di Crockston

In breve tutto l’equipaggio venne a conoscenza dellastoria della signorina Halliburtt e Crockston non si fecescrupolo a raccontarla. Su ordine del comandante erastato slegato dall’argano e il gatto a nove code era tor-nato al suo posto.«Un animale veramente grazioso» disse Crockston «so-prattutto quando ti dà la sua zampina vellutata.»Appena liberato, scese nella cabina nell’alloggio dei ma-rinai, prese una valigia e la portò a Jenny. La ragazzapoté allora rimettersi gli abiti da donna; ma restò confi-nata in cabina e non si fece vedere sul ponte.Quanto a Crockston, una volta stabilito che non era piùmarinaio di una guardia a cavallo, si dovette esentarloda ogni servizio a bordo.Nel frattempo il Dolphin filava veloce attraverso l’Atlan-tico, solcando le onde con le sue doppie eliche e tutta lamanovra consisteva nello stare attentamente di guardia.L’indomani della scena che aveva tradito l’incognito diJenny Halliburtt, il capitano Playfair passeggiava conpasso deciso sul ponte del casseretto. Non aveva fattoalcun tentativo di rivedere la ragazza e riprendere la con-versazione della sera prima. Durante la sua passeggiata,Crockston lo incrociava spesso e lo osservava di sottecchicon espressione soddisfatta. Aveva evidentemente vogliadi parlare col comandante e metteva nel suo sguardo

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un’insistenza che finì per spazientirlo.«Allora, che vuoi ancora da me?» disse Playfair rivoltoall’americano. «Mi giri intorno come uno che nuota in-torno a una boa! La vuoi finire?»«Mi scusi, comandante» replicò Crockston strizzandol’occhio «è che le devo dire qualcosa.»«Allora, parla.»«Oh! è presto detto. Volevo semplicemente dirle che leiè un brav’uomo al fondo.«Perché al fondo?»«Al fondo e anche in superficie.»«Non ho bisogno dei tuoi complimenti.»«Non sono complimenti. Per farvene, aspetterò chesiate arrivato in fondo.»«In fondo a cosa?»«In fondo alla vostra missione.»«Ah! perché io ho una missione da compiere?»«Evidentemente. Ci avete accolto a bordo, la ragazza eme. Bene! Avete dato la vostra cabina alla signorina Hal-liburtt. Meglio! Mi avete risparmiato le frustate. Nonpotevate fare di più! Ci porterete dritti a Charleston.Meraviglioso! Ma non è tutto.»«Come! non è tutto!» esclamò Playfair, stupito dallepretese di Crockston.«No di certo» rispose quest’ultimo con aria maliziosa.«Il padre è in prigione laggiù!»«E allora?»«Allora, dobbiamo liberarlo.»«Liberare il padre della signorina Halliburtt?»«Certo. Un brav’uomo, un cittadino coraggioso! Vale lapena rischiare qualcosa per lui.»«Mastro Crockston» disse James aggrottando le soprac-

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ciglia «hai l’aria di un burlone di tre cotte. Ma, ascoltabene: non ho nessuna voglia di scherzare.»«Mi fraintendete, comandante» replicò l’americano.«Non scherzo affatto. Sto parlando molto seriamente.Quanto vi propongo vi sembrerà assurdo di prim’ac-chito, ma quando ci avrete pensato bene, vedrete chenon potete fare altrimenti.»«Come! dovrò liberare il signor Halliburtt?»«Sicuro. Chiederete al generale Beauregard di lasciarlolibero e lui non potrà rifiutarsi.»«E se si rifiuta di farlo?»«Allora» rispose Crockston senza scomporsi «useremole maniere forti e preleveremo il prigioniero in barba aiconfederati.»«Così» alzò la voce Playfair, cominciando ad arrabbiarsi«non contento di passare attraverso le flotte federali edi forzare il blocco di Charleston, dovrò riprendere ilmare sotto i cannoni dei forti, e questo per liberare unsignore che neanche conosco, uno di quegli abolizionistiche detesto, uno di quegli scribacchini che versano l’in-chiostro invece di versare il proprio sangue!» «Oh! un colpo di cannone in più o in meno!» aggiunseCrockston.«Mastro Crockston» disse James Playfair «fai ben atten-zione: se hai il coraggio di parlarmi ancora di questa fac-cenda, ti schiaffo in fondo alla stiva per tutta la traversataper insegnarti a controllare la lingua.»Detto questo, il comandante congedò l’americano, chese ne andò borbottando:«Bene, non mi è dispiaciuta questa conversazione!L’esca è gettata! Funzionerà! Funzionerà!»Quando Playfair aveva detto «un abolizionista che de-

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testo», era evidentemente andato oltre il suo pensiero.Non parteggiava certamente per lo schiavismo, ma nonvoleva ammettere che la questione degli schiavi fossepreminente nella guerra civile americana, e questo no-nostante le dichiarazioni ufficiali del presidente Lincoln.Riteneva quindi che gli stati del Sud – otto su trentasei –avessero di principio il diritto di separarsi, visto che sierano uniti volontariamente? Nemmeno. Detestava gli uo-mini del Nord, e basta. Li detestava come vecchi fratelliseparati dalla comune famiglia, dei veri inglesi che avevanopensato bene di fare quello che lui, James Playfair, adessoapprovava nel caso degli stati confederati. Queste eranole opinioni politiche del comandante del Dolphin. Soprat-tutto però la guerra americana creava problemi a lui per-sonalmente; per questo ce l’aveva con quelli che facevanoquella guerra. Si capisce quindi come dovette riceverequella proposta di liberare un abolizionista e di tirarsi ad-dosso i confederati, coi quali intendeva fare affari.Comunque le parole di Crockston continuavano a tor-mentarlo. Cercava di ignorarle, ma tornavano incessantia ossessionarlo e quando, l’indomani, Jenny salì un mo-mento sul ponte, non osò guardarla in faccia.Ed era veramente un peccato, perché quella ragazza daicapelli biondi, con lo sguardo intelligente e dolce, meri-tava di essere guardata da un giovane di trent’anni; maJames si sentiva imbarazzato in sua presenza, sentiva chequell’affascinante creatura aveva un animo forte e gene-roso, educato alla scuola delle sventure. Capiva che il si-lenzio nei suoi confronti confermava un rifiuto diaccondiscendere alle sue attese più sentite. Per parte sua,Jenny non faceva nulla per incontrare, né per evitare ilcapitano Playfair e nei primi giorni si parlarono poco o

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niente. Jenny Halliburtt usciva appena dalla sua cabinae certamente non avrebbe mai rivolto la parola al coman-dante del Dolphin senza uno stratagemma di Crockstonche mise le due parti faccia a faccia.Il brav’uomo americano era un fedele servitore della fa-miglia Halliburt. Era cresciuto nella casa del padrone ela sua devozione non aveva limiti. Il suo buon sensouguagliava il coraggio e la forza. Come abbiamo visto,aveva un modo tutto suo di guardare le cose; aveva unasua filosofia nel giudicare gli avvenimenti; non si facevaprendere dallo scoramento e sapeva trarsi fuori meravi-gliosamente dalle situazioni più incresciose.Quell’uomo si era messo in testa di liberare il signorHalliburtt, di utilizzare allo scopo la nave e lo stesso co-mandante Playfair e di tornare in Inghilterra. Questoera il suo progetto, mentre la ragazza contava solo diraggiungere il padre e di dividere con lui la prigionia.Così Crockston cercava di stuzzicare James Playfair;aveva lanciato il suo attacco, come si è visto, ma il ne-mico non si era arreso. Tutt’altro.«Andiamo» si disse « bisogna assolutamente che la si-gnorina Jenny e il comandante arrivino a intendersi. Secontinuano a guardarsi storto per tutta la traversata, nonarriviamo a niente. Bisogna che si parlino, che discu-tano, che litighino magari, ma parlino e, che io possa es-sere impiccato se nella conversazione Playfair non arrivaa proporre lui stesso quello che si rifiuta di fare oggi.»Ma quando Crockston vide che la ragazza e il giovanesi evitavano, cominciò a preoccuparsi.«Bisogna dare un’accelerata» si disse.E il mattino del quarto giorno entrò nella cabina diJenny sfregando le mani con aria molto soddisfatta.

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«Buone notizie» disse «buone notizie! Non potete im-maginare quello che mi ha proposto il comandante. Unbravissimo ragazzo, via!»«Ah!» rispose Jenny, col cuore che batteva forte «che tiha proposto?...»«Di liberare il signor Halliburt, di sottrarlo ai confede-rati e di portarlo in Inghilterra.»«Davvero?» esclamò la ragazza.«È come le ho detto, signorina. Che uomo di cuore quelJames Playfair! Ecco come sono gli inglesi: tutto bene otutto male! Ah! può contare sulla mia riconoscenza quellolà e sono pronto a farmi fare a pezzi per lui, se questo glipuò far piacere.»Jenny si commosse sentendo le parole di Crockston. Li-berare suo padre! Lei non avrebbe mai osato di concepireuna simile idea! E il comandante del Dolphin avrebbe ri-schiato per lei la sua nave e il suo equipaggio!«Ecco come stanno le cose» aggiunse Crockston con-cludendo «e questo, signorina Jenny, merita un ringra-ziamento da parte vostra.»«Meglio di un ringraziamento» esclamò la ragazza«un’eterna amicizia!»E lasciò immediatamente la cabina per andare a esprimerea Playfair i sentimenti che prorompevano dal suo cuore.«Va sempre meglio» mormorò l’americano. «Sta an-dando a meraviglia, ci siamo!»James Playfair stava passeggiando sul casseretto e, come sipuò immaginare, rimase molto sorpreso, per non dire stu-pito, nel vedere la ragazza avvicinarsi e, con gli occhi umididi lacrime di riconoscenza, tendergli la mano dicendo:«Grazie, signore, grazie della vostra dedizione, che nonavrei mai osato attendermi da uno straniero!»

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«Signorina» rispose il comandante, non capendo e nonpotendo capire «non so…»«Però, signore» continuò Jenny «affronterete grandi ri-schi per me, forse comprometterete i vostri interessi.Avete già fatto tanto accogliendomi a bordo e accordan-domi un’ospitalità a cui non avevo alcun diritto…»«Perdonate, signorina Jenny» rispose James Playfair «viassicuro che non capisco le vostre parole. Mi sono com-portato con voi come farebbe qualsiasi uomo educatonei confronti di una donna, e non merito tutta questariconoscenza e questi ringraziamenti.»«Signor Playfair» disse Jenny «è inutile fingere. Crock-ston mi ha detto tutto!»«Ah!» fece il capitano «Crockston le ha detto tutto. Al-lora capisco ancora meno il motivo che vi ha fatto la-sciare la vostra cabina per dirmi parole di cui…»Mentre parlava, il giovane comandante si vergognava dise stesso; ricordava il modo rude con cui aveva accoltole proposte dell’americano; ma Jenny non gli lasciò iltempo di spiegarsi meglio – fortunatamente per lui – el’interruppe dicendo:«Signor James, quando sono salita a bordo non avevoaltro in mente che andare a Charleston; lì, per quantocrudeli possano essere gli schiavisti, non avrebbero ri-fiutato a una povera figlia di dividere la prigione col pro-prio padre. Questo è tutto, e non avrei mai sperato inun possibile ritorno; ma poiché la vostra generosità ar-riva a voler liberare mio padre dalla prigione, poiché voivolete tentare di tutto per salvarlo, siate certo della miapiù viva riconoscenza e lasciate che vi dia la mano!»James non sapeva che dire e che atteggiamento tenere; simordeva le labbra; non osava prendere la mano che gli

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porgeva la ragazza. Capiva bene che Crockston l’aveva“compromesso”, perché non potesse più tirarsi indietro.E tuttavia, non rientrava fra i suoi programmi concorrerealla liberazione del signor Halliburt e caricarsi sulle spallequella brutta faccenda. Ma come poteva tradire le speranzedi quella giovane donna? Come rifiutare quella mano chelei gli tendeva con un così profondo sentimento di amici-zia? Come poteva cambiare in lacrime di dolore quelle la-crime di riconoscenza che sfuggivano dai suoi occhi?Così il giovane provò a rispondere evasivamente, inmodo da mantenere la libertà d’azione e non impegnarsiper l’avvenire.«Signorina Jenny» disse «credetemi, farei tutto il possi-bile per…»E prese fra le sue le piccole mani di Jenny; ma alla dolcepressione che provò, sentì il cuore sciogliersi, la testaconfondersi; gli mancarono le parole per esprimere ipensieri; balbettò qualche vaga parola:«Signorina… signorina Jenny… per voi…»Crockston, che lo stava osservando, si fregava le manifacendo una smorfia e ripeteva:«Ci siamo! ci siamo! ci siamo!»Come avrebbe fatto James Playfair a tirarsi fuori daquella situazione? Nessuno poteva dirlo. Ma fortunata-mente per lui, se non per il Dolphin, si sentì la voce delmarinaio di vedetta:«Ohé! Ufficiale di quarto!» gridò.«Che c’è di nuovo?» rispose il signor Mathew.«Una vela al vento!»James Playfair, lasciando immediatamente la ragazza, siprecipitò sulle sartie di mezzana.

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Le palle dell’Iroquois e gli argomenti di Jenny Halliburtt

Fino ad allora la navigazione del Dolphin era andata be-nissimo e velocissima. Nessuna nave era stata avvistataprima di quella vela segnalata dalla vedetta.Il Dolphin si trovava allora a 32°15’ di latitudine e57°43’ di longitudine ovest, cioè a tre quinti del per-corso. Si stava allora diradando una nebbia che da qua-rantott’ore copriva le acque dell’oceano. Se da una partequella nebbia favoriva il Dolphin nascondendolo allavista, dall’altra gli impediva di controllare il mare in lon-tananza e, poteva succedere che navigasse per così dire“bordo a bordo” con le navi che voleva evitare.Era successo proprio quello e, quando fu segnalata, lanave si trovava meno di tre miglia sopravento.Raggiunta la gabbia, James Playfair vide chiaramentenella schiarita una grande corvetta federale che filava atutta forza. Dirigeva sul Dolphin, come per tagliargli lastrada.Dopo averla osservata attentamente, il capitano tornògiù sul ponte e fece venire il secondo.«Signor Mathew» gli disse «che pensate di quella nave?»«Comandante, penso che sia una nave della marina fe-derale che sospetta delle nostre intenzioni.»«Effettivamente, non ci sono dubbi sulla sua naziona-lità» rispose Playfair. «Guardate.»In quel momento la bandiera a stelle degli Stati Uniti

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del Nord stava salendo sull’asta della corvetta, che con-fermava la propria nazionalità con un colpo di cannone.«Un invito a mostrare la nostra » disse il signor Mathew.«Allora, mostriamola. Non abbiamo niente di cui ver-gognarci».«A che serve?» rispose Playfair. «La nostra bandieranon ci coprirebbe e non impedirebbe a quella gente difarci visita. No! Andiamo avanti.»«E veloci» proseguì il signor Mathew «perché se i mieiocchi non m’ingannano, ho già visto quella corvetta daqualche parte intorno a Liverpool, dove era venuta acontrollare le navi in costruzione. Che io possa acce-carmi se non c’è scritto “Iroquois” sul quadro dipoppa.»«È veloce?»«Una delle più veloci della marina federale.»«Quanti cannoni ha?«Otto cannoni.»«Puah!»«Oh! non alzi le spalle, comandante» replicò il signorMathew con aria seria. «Di questi cannoni, due sono gi-revoli, uno da sessanta sul castello di poppa e l’altro sulponte, e tutti e due sono rigati».«Diavolo!» fece James Playfair «sono dei Parrotts e queicannoni hanno una gittata di tre miglia.»«Sì, e anche di più, comandante».«Bene, signor Mathew, se i cannoni sono da cento o daquattro, se hanno una gittata di tre miglia o di cinque-cento yard, non cambia nulla se si fila abbastanza velocida evitare i loro proiettili. Facciamo dunque vedere aquesto Iroquois come si corre quando si è costruiti ap-posta per farlo. Fate avvivare i fuochi, signor Mathew.»

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Il secondo trasmise al direttore di macchina gli ordinidel capitano e presto una fumata nera vorticò sopra i fu-maioli del piroscafo.La cosa non sembrò piacere alla corvetta, che segnalòal Dolphin di mettere in panne. Ma James Playfair nontenne in nessun conto l’avvertimento e non cambiò ladirezione della sua nave.«E adesso» disse «vediamo cosa farà l’Iroquois. Ha unabuona occasione per testare il suo cannone da cento esapere fin dove arriva. Macchina a tutta!»«Bene!» disse Mathew «Non tarderanno a salutarci conle buone maniere.»Tornando sul casseretto, il comandante vide Jenny Hal-liburtt seduta tranquillamente vicino al listone.«Signorina Jenny» disse «probabilmente quella corvettache vedete sopra vento proverà a darci la caccia e, sic-come si esprime a colpi di cannone, vi offro il mio brac-cio per condurvi alla vostra cabina.»«La ringrazio, signor Playfair» rispose la ragazza guar-dando il giovane «ma non ho paura di un colpo di can-none.»«A ogni modo, signorina, nonostante la distanza, puòessere pericoloso.»«Oh! non sono stata educata come una ragazza paurosa.In America siamo abituate a tutto e vi assicuro che le can-nonate dell’Iroquois non mi faranno abbassare la testa.»«Siete coraggiosa, signorina Jenny.»«Diciamo che sono coraggiosa, signor Playfair; permet-tetemi dunque di restare con voi.»«Non posso rifiutarvi nulla, signorina Halliburtt» ri-spose il comandante colpito dalla sicurezza della gio-vane donna.

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Appena detto questo, si vide una nuvola bianca fuoriu-scire dal bastingaggio della corvetta federale. Prima cheil rumore della detonazione arrivasse al Dolphin, unproiettile cilindro-conico, girando su se stesso conun’impressionante velocità e avvitandosi nell’aria, percosì dire, si diresse verso il piroscafo. Era facile seguirlonella sua traiettoria relativamente lenta, perché i can-noni rigati lanciano proiettili meno veloci rispetto aquelli con anima liscia.Arrivato a venti braccia dal Dolphin, il proiettile, la cuitraiettoria scendeva sensibilmente, sfiorò le lame, se-gnando il suo passaggio con una serie di schizzi; poiprese un nuovo slancio toccando il pelo dell’acqua, rim-balzò a una certa altezza, passò sopra il Dolphin tran-ciando il braccio di babordo del pennone di trinchetto,ricadde a trenta braccia al di là e s’inabissò.«Diavolo!» esclamò Playfair «muoviamoci! muovia-moci! La seconda palla non si farà attendere.»«Oh!» fece Mathew «ci vuole un po’ per ricaricare queipezzi.»«Però, la cosa si fa interessante» disse Crockston, checon le braccia incrociate guardava la scena come unospettatore poco interessato. «E dire che sono i nostriamici che ci spediscono queste palle!»«Ah! sei tu!» esclamò Playfair, squadrando l’americanodalla testa ai piedi.«Sono io, comandante» rispose imperturbabile Crock-ston. «Sono venuto a vedere come tirano quei bravi fe-derali. Non male, davvero non male!»Il capitano stava per rispondere seccato, quando un se-condo proiettile colpì l’acqua al traverso della fiancatadi tribordo.

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«Bene!» disse Playfair, abbiamo già guadagnato unquarto di miglio su quell’Iroquois. Filano via come unaboa i tuoi amici, capisci Mastro Crockston?»«Non dico di no» replicò l’americano «e, per la primavolta nella mia vita, mi fa un certo piacere.»Un terzo colpo cadde molto indietro rispetto ai primidue e in meno di dieci minuti il Dolphin si era messofuori dalla portata dei cannoni della corvetta.«Questo vale tutti i solcometri del mondo, signor Ma-thew» disse Playfair «e grazie a queste palle sappiamoquanto contare sulla nostra velocità. Adesso riducete ilvapore. Non vale la pena sprecare il combustibile.»«Comandate proprio una bella nave» disse allora JennyHalliburtt al giovane capitano.«Sì, signorina Jenny, fa diciassette nodi il mio bravo Dol-phin, e prima di sera avremo perso di vista quella cor-vetta federale.»James Playfair non esagerava le qualità nautiche dellasua imbarcazione e il sole non era ancora tramontatoche le punte degli alberi della nave americana eranoscomparse dietro l’orizzonte.Quell’incidente permise al capitano di apprezzare sottouna nuova luce il carattere di Jenny Halliburtt. Delresto, il ghiaccio era rotto e nel resto della traversata leconversazioni fra il comandante del Dolphin e la suapasseggera furono frequenti e prolungate. Lui scoprì inlei una ragazza tranquilla, forte, riflessiva, che parlavacon una certa franchezza, all’americana, con idee benprecise su ogni cosa, idee dichiarate con una convin-zione che penetrava il cuore del giovane, anche se questinon se ne rendeva conto. Amava il suo paese, era appas-sionata alla grande idea dell’Unione e parlava della

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guerra degli Stati Uniti con un entusiasmo che nessu-n’altra donna avrebbe saputo esprimere.Accadde quindi più di una volta che Playfair fosse inforte imbarazzo nel risponderle. Spesso le opinioni del“commerciante” entravano in ballo e Jenny le attaccavacon non meno vigore e non voleva transigere in alcunmodo. All’inizio James discusse a lungo. Cercò di soste-nere i confederati contro i federali, di provare che il di-ritto era dalla parte dei secessionisti e di affermare cheuomini che si erano uniti volontariamente potevanoanche volontariamente separarsi. Ma la ragazza nonvolle cedere su quel punto, dimostrando che quella dellaschiavitù era la prima questione fra tutte in quella lottadegli americani del Nord contro quelli del Sud; per leiera più una questione morale, di umanità, che non po-litica; e James non riuscì a replicare.D’altra parte, in quelle discussioni, lui soprattutto ascol-tava. Impossibile dire se fosse colpito più dagli argomentidi Jenny Halliburtt o dal fascino che provava nell’ascol-tarla. Alla fine comunque dovette riconoscere, fra le altrecose, che la faccenda della schiavitù era un punto nodalein quella guerra, che la si doveva abolire definitivamentee che si doveva farla finita con quell’ultima barbarie.Del resto, abbiamo già detto che le idee politiche noninteressavano molto al capitano. Ne avrebbe sacrificatedi ben più serie di fronte ad argomenti presentati sottouna forma così avvincente e in condizioni analoghe. Erainsomma pronto a barattare le proprie idee; ma questonon bastò, e il “commerciante” alla fine fu attaccato di-rettamente in ciò che aveva più a cuore. E fu sulla fac-cenda del traffico cui era destinato il Dolphin e aproposito delle munizioni che portava ai confederati.

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«Sì, signor James» gli disse un giorno «la riconoscenzanon m’impedirebbe di parlarvi con la massima fran-chezza. Al contrario. Voi siete un bravo marinaio, unabile commerciante, la ditta Playfair è nota per la suaonorabilità; ma in quest’occasione non ha tenuto fedeai suoi principi e non fa un servizio degno di lei.»«Come!» esclamò James «la ditta Playfair non ha il di-ritto di tentare una simile operazione commerciale?»«No! Porta munizioni a degli sciagurati in rivolta controil governo regolare del loro paese e questo vuol dire pre-stare armi a una cattiva causa.»«Mi ascolti, signorina Jenny» rispose il capitano. «Nondiscuterò con voi il diritto dei confederati, vi risponderòsolo con una parola: sono un commerciante e, cometale, mi occupo solo degli interessi della mia ditta. Iocerco di guadagnare, ovunque se ne presenti l’occa-sione.»«È proprio questo che non va, signor Playfair» continuòla ragazza. «Il guadagno non è una scusante. Quandovendete ai cinesi l’oppio che li abbrutisce voi siete al-trettanto colpevole di quando fornite alla gente del Sudi mezzi per continuare una guerra criminale!»«Oh! signorina Jenny, questo è troppo, non posso ac-cettarlo...»«No! quello che dico è giusto e quando ve ne rendereteconto, quando capirete bene il ruolo che state giocando,quando penserete alle conseguenze di cui siete diretta-mente responsabile agli occhi di tutti, mi darete ragionesu questo punto come su tanti altri.A quelle parole James Playfair rimase sbalordito. Poi sene andò in preda a una grande collera, soprattutto per-ché si sentiva incapace di ribattere; rimase imbronciato

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come un bambino per una mezz’ora, un’ora al massimo,e tornò da quella strana donna, che lo soggiogava con isuoi discorsi, la sua sicurezza e il suo piacevole sorriso.In poche parole, per quanto non volesse ammetterlo, ilcapitano James Playfair aveva perso la testa. Non erapiù “unico padrone dopo Dio” su quella nave. Invece,con grande gioia di Crockston, la faccenda del signorHalliburtt sembrava essere indirizzata bene. Il coman-dante sembrava deciso a fare di tutto per liberare ilpadre di Jenny, rischiando di compromettere il Dolphin,il carico, l’equipaggio, e andando incontro alle maledi-zioni del bravo zio Vincent.

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Il canale dell’isola Sullivan

Il giorno dopo l’incontro con la corvetta Iroquois, ilDolphin si trovava al traverso delle Bermuda, dove in-crociò una brutta burrasca. Quell’area è spesso battutada uragani di un’estrema violenza. Sono famosi per inaufragi che provocano ed è lì che Shakespeare ha am-bientato le commoventi scene del suo dramma La tem-pesta, dove Ariel e Caliban si disputano il controllo sulleacque.Il vento era di una forza spaventosa e per un momentoJames Playfair pensò di dover riparare a Mainland, lamaggiore delle isole Bermuda in cui gli inglesi avevanouna base militare. Sarebbe stato un contrattempo fasti-dioso e soprattutto spiacevole. Fortunatamente il Dol-phin si comportò meravigliosamente in quell’occasionee, dopo essere fuggito per un giorno intero incalzatodall’uragano, poté riprendere la sua rotta verso la costaamericana. Il comandante si era mostrato soddisfatto della sua nave,ma era anche rimasto affascinato dal coraggio e dal san-gue freddo della ragazza, che aveva passato con lui sulponte i momenti peggiori della tempesta. Così JamesPlayfair, interrogandosi bene, si accorse che un amoreprofondo, imperioso, irresistibile, si stava impadro-nendo di lui.«Sì» disse «quella coraggiosa ragazza è la vera padrona

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a bordo! Mi rigira come fa il mare con una nave alla de-riva. Sento che sto andando a fondo! Che dirà lo zioVincent? Ah! che debole carattere il mio! Se Jenny michiedesse di gettare a mare tutto questo maledetto ca-rico di contrabbando, sono sicuro che lo farei senza esi-tare, per amore di lei.»Fortunatamente per la ditta Playfair & Co., Jenny Hal-liburtt non pretese quel sacrificio. Nondimeno, il po-vero comandante era ben preso e Crockston, cheleggeva il suo cuore come un libro aperto, si fregava lemani da spellarsi.«Lo teniamo in pugno, lo teniamo in pugno» ripetevafra sé «e prima di dieci giorni il mio padrone sarà tran-quillamente istallato a bordo nella migliore cabina delDolphin.»Quanto a Jenny, nessuno avrebbe saputo dire – e Play-fair meno di tutti – se si fosse resa conto dei sentimentiche ispirava e se li contraccambiasse. La ragazza man-tenne la massima riservatezza, soffocando l’influenzadella sua educazione americana, e il segreto rimase se-polto nel suo cuore.Ma mentre l’amore faceva veloci progressi nell’animodel giovane comandante, il Dolphin filava con analogavelocità verso Charleston.Il 13 gennaio, la vedetta segnalò terra, due miglia aovest. Era una costa bassa e in lontananza si confondevacon la linea dell’acqua. Crockston osservava attenta-mente l’orizzonte e, verso le nove del mattino, fissandoun punto dove il cielo era sereno, gridò:«Il faro di Charleston!»Se il Dolphin fosse arrivato di notte, quel faro, situatosull’isola di Morris, e alto centoquaranta piedi sul livello

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del mare, si sarebbe visto molte ore prima perché la sualuce rotante è visibile a una distanza di quattordici mi-glia. Una volta rilevata la posizione del Dolphin, JamesPlayfair ebbe una sola cosa da fare: decidere quale ca-nale imboccare per entrare nella baia di Charleston. «Se non incontriamo ostacoli» disse «prima di tre oresaremo in sicurezza alla banchina del porto.»La città di Charleston è situata in fondo a un estuariolungo sette miglia e largo due, chiamato Charleston-Harbour, il cui accesso è molto difficile. Quell’entrata èracchiusa tra l’isola di Morris a sud e quella di Sullivana nord. Al tempo in cui il Dolphin venne a forzare ilblocco, l’isola di Morris era già occupata dalle truppefederali e il generale Gillmore vi aveva fatto piazzaredelle batterie che battevano e controllavano la baia.L’isola di Sullivan invece era in mano ai confederati cheresistevano nel forte Moultrie, situato alla sua estremitàsud. Era quindi preferibile per il Dolphin costeggiareda vicino la riva settentrionale per evitare il fuoco dellebatterie dell’isola di Morris.Cinque erano i passi che permettevano di entrare nel-l’estuario: il canale dell’isola Sullivan, il canale del nord,il canale Overall, il canale principale e infine il canaleLawford; quest’ultimo però non è consigliabile alle naviforestiere, a meno che non peschino meno di sette piedie non abbiano a bordo uomini eccellenti e pratici delposto. I canali del nord e Overall erano da escludereperché esposti al fuoco delle batterie federali. Se JamesPlayfair avesse potuto scegliere, avrebbe portato la suanave nel canale principale, che è il migliore e con un ri-levamento facile da seguire; ma ci si doveva affidare allecircostanze e decidere secondo gli eventi. Del resto il

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comandante del Dolphin conosceva perfettamente tuttii segreti di quella baia, i pericoli, la profondità delleacque con la bassa marea, le correnti; era dunque capacedi governare la sua imbarcazione con la massima sicu-rezza, quando avesse imboccato uno di quegli strettipassaggi. Il grosso problema era però come entrarci.La manovra richiedeva una grande esperienza di maree una perfetta conoscenza delle qualità del Dolphin.Due fregate federali infatti incrociavano allora nelleacque di Charleston. Mathew le segnalò subito all’atten-zione di Playfair.«Si preparano» disse «a chiederci cosa veniamo a fareda queste parti.»«Bene, noi non rispondiamo» replicò il comandante «eresteranno con la loro curiosità.»Nel frattempo gli incrociatori si dirigevano a tutta forzaverso il Dolphin, che continuava la sua rotta facendo inmodo da star fuori dalla portata dei loro cannoni. Ma,al fine di guadagnare tempo, James Playfair mise la pruaa sud-ovest per dare scacco alle navi nemiche. Quelleinfatti pensarono che il Dolphin avesse l’intenzione d’in-filarsi nei passi dell’isola di Morris. Là c’erano batteriee cannoni che con un solo colpo avrebbero colato apicco la nave inglese. I federali lasciarono quindi il Dol-phin sfilare verso sud-ovest, limitandosi a osservarlo,senza pressarlo da vicino.Così per un’ora la disposizione delle navi non cambiò.Del resto, Playfair, volendo ingannare gli incrociatori suquelle che erano le reali intenzioni del Dolphin, avevafatto ridurre la corsa dei cassetti, con la forza al minimo.Nel frattempo le spesse volute di fumo emesse dai fu-maioli dovevano far credere che le macchine fossero al

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massimo della pressione e quindi alla velocità massima.«Fra poco resteranno di stucco» disse Playfair «veden-doci sfilare fra le mani!»Infatti, quando il capitano si trovò abbastanza vicinoall’isola di Morris, davanti a una fila di cannoni di cuinon conosceva la portata, virò bruscamente, fece girarela nave su se stessa e tornò verso nord, lasciando gli in-crociatori a due miglia sopra vento. Vedendo la mano-vra, quelli capirono le intenzioni del piroscafo e simisero subito all’inseguimento. Ma era troppo tardi. IlDolphin, raddoppiando la propria velocità, spinto dalleeliche a tutta forza, li distanziò rapidamente avvicinan-dosi alla costa. I federali spararono qualche colpo permettersi a posto con la coscienza, ma i proiettili arriva-rono solo a metà strada. Alle undici del mattino la naveinglese, costeggiando da vicino l’isola di Sullivan, grazieal contenuto pescaggio, entrava a tutto vapore nellostretto passaggio. Lì erano al sicuro perché nessun in-crociatore federale avrebbe osato inseguirli in quel ca-nale che non raggiungeva la media di undici piedi diprofondità con la bassa marea.«Come!» esclamò Crockston «è così facile?»«Oh! oh! mastro Crockston» rispose Playfair «il difficilenon è entrare, ma uscire.»«Bah!» rispose l’americano «non mi preoccupo più ditanto. Con una nave come il Dolphin e un comandantecome il signor Playfair, entriamo e usciamo quando cipare.Intanto James Playfair, con gli occhiali in mano, studiavaattentamente la rotta da seguire. Aveva sotto gli occhidelle eccellenti carte nautiche che gli permisero di pro-cedere senza difficoltà e senza esitazione.

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Una volta incanalata la nave nello stretto passaggio checorre lungo l’isola di Sullivan, governò prendendo il ri-levamento sul forte Moultrie a nord-ovest, finché il ca-stello di Pickney, riconoscibile dal colore scuro e situatonell’isolotto defilato di Shute’s Folly, non si fosse mo-strato a nord-nordest. Dall’altra parte tenne l’edificiodel forte Johnson, in alto sulla sinistra, aperto di duegradi a nord del forte Sumter. In quel momento fu salutato da qualche colpo partitodalle batterie dell’isola di Morris, che non lo raggiun-sero. Continuò quindi la sua rotta, senza deviare di unpunto, passò davanti a Moultrieville, situata all’estremitàdell’isola di Sullivan, e sboccò nella baia.Presto lasciò il forte Sumter sulla sinistra e fu nascostoda quello alle batterie federali. Celebre nella guerra diSecessione, quel forte è situato a poco più di tre migliada Charleston e a circa un miglio da ognuno dei latidella baia. È un pentagono tronco costruito su un’isolaartificiale in granito del Massachusetts, la cui costru-zione è durata dieci anni ed è costata più di novecento-mila dollari. Da questo forte, il 13 aprile 1861, Andersone le truppe federali furono cacciate e contro di lui fu-rono esplosi i primi colpi dai separatisti. Non è imma-ginabile la quantità di ferro e di piombo vomitata daicannoni su di lui. Nonostante ciò, resistette tre anni.Qualche mese più tardi, dopo il passaggio del Dolphin,sarebbe caduto sotto le palle da trecento libbre dei can-noni rigati di Parrots, che il generale Gillmore avevafatto piazzare sull’isola di Morris. Ma allora era nelpieno delle forze e la bandiera dei confederati svento-lava su quell’enorme pentagono di pietra.Una volta passato il forte, la città di Charleston apparve

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adagiata tra i due fiumi Ashley e Cooper a formare unapunta avanzata sulla baia.James Playfair sfilò al centro delle boe che marcano ilcanale, lasciando a sud-sudest il faro di Charleston, vi-sibile sopra dei terrazzamenti dell’isola di Morris. Lanave aveva issato sul pennone la bandiera inglese e ma-novrava con meravigliosa agilità nei passaggi.Quando ebbe lasciato a tribordo la boa della Quaran-tena, avanzò liberamente al centro delle acque dellabaia. Jenny Halliburtt era in piedi sul casseretto e, guar-dando la città dove suo padre era tenuto prigioniero, isuoi occhi si riempivano di lacrime.Finalmente la velocità del piroscafo fu ridotta per or-dine del comandante; il Dolphin costeggiò sulla puntale batterie di sud-est e ben presto fu ormeggiato al molocommerciale a nord.

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Un generale sudista

Arrivato alla banchina di Charleston, il Dolphin erastato salutato dagli evviva di una folla numerosa. Gliabitanti della città, stretta nel rigido blocco navale, nonerano abituati alle visite di navi europee. Si chiedevanocon una certa sorpresa cosa veniva a fare nelle loroacque quel grande piroscafo che portava fieramentesul pennone la bandiera inglese. Ma quando si seppeil motivo del suo viaggio, del perché aveva forzato ilcanale di Sullivan, e quando si sparse la voce che le suefiancate nascondevano un carico di armi di contrab-bando, gli applausi e le grida di gioia raddoppiaronod’intensità.James Playfair, senza perdere un istante, si mise a rap-porto dal generale Beauregard, governatore militaredella città. Questi ricevette con la massima premura ilgiovane comandante del Dolphin, che arrivava giusto aproposito per dare ai suoi soldati l’abbigliamento e lemunizioni di cui avevano un gran bisogno.Fu quindi convenuto che la nave fosse scaricata imme-diatamente e numerose braccia vennero in aiuto dei ma-rinai inglesi.Prima di scendere a terra, Playfair aveva ricevuto daJenny Halliburtt le più pressanti raccomandazioni ri-guardo a suo padre. Il giovane capitano si era messo in-teramente al servizio della ragazza.

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«Signorina Jenny» aveva detto «potete contare su di me;farò l’impossibile per salvare vostro padre, ma spero chequesta faccenda non presenti difficoltà; farò visita al ge-nerale Beauregard oggi stesso e, senza chiedergli espli-citamente la liberazione del signor Halliburtt, saprò dalui in che situazione si trova, se è libero sulla parola oagli arresti. «Mio povero padre!» rispose sospirando Jenny «non sache sua figlia è così vicina a lui. Potessi volare fra le suebraccia!»«Un po’ di pazienza, signorina Jenny. Presto abbracceretevostro padre. Mi muoverò con la massima determina-zione, ma anche con la massima prudenza e at ten zione.»Così James Playfair, fedele alla promessa, dopo aver trat-tato e negoziato gli affari della sua ditta, consegnato ilcarico del Dolphin al generale e trattato l’acquisto aprezzo stracciato di un’enorme quantità di cotone,portò la conversazione sul tema di attualità.«Allora» disse al generale Beauregard «lei crede altrionfo dello schiavismo?»«Non ho il minimo dubbio sulla nostra vittoria finale e,per quanto riguarda Charleston, a breve l’esercito di Leene farà togliere il blocco. D’altra parte, cosa voleteaspettarvi dagli abolizionisti? Anche ammettendo – cosache non succederà – che le città commerciali della Vir-ginia, della Carolina del Nord e del Sud, della Georgia,dell’Alabama, del Mississipi dovessero cadere nelle loromani. E dopo? Sarebbero padroni di un paese che nonpotranno mai occupare? No di certo; e secondo me, semai dovessero vincere, sarebbero molto imbarazzatidalla loro vittoria.»«E voi siete assolutamente sicuro dei vostri soldati?»

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chiese il comandante. «Non temete che Charleston sistanchi di un assedio che la manda in rovina?»«No! Non ho paura di essere tradito. Comunque, i tra-ditori sarebbero giustiziati senza pietà e metterei la cittàstessa a ferro e a fuoco se vi scoprissi il minimo movi-mento unionista. Jefferson Davis mi ha affidato Charle-ston e potete credere che Charleston è in mani sicure.»«Avete dei prigionieri nordisti?» chiese Playfair arri-vando al tema che più gli premeva.«Sì, comandante» rispose il generale. «Il primo colpodella scissione è stato esploso a Charleston. Gli aboli-zionisti che si trovano qui hanno voluto resistere e, dopoessere stati sconfitti, sono rimasti come prigionieri diguerra.»«E voi ne avete molti?»«Un centinaio circa.»«Si possono muovere in città?»«Potevano, fino al giorno in cui ho scoperto un com-plotto. I loro capi erano riusciti a stabilire dei collega-menti con gli assedianti, che così erano informati dellasituazione in città. Ho quindi dovuto rinchiudere questiospiti pericolosi e molti di quei federali non usciranno diprigione che per salire sugli spalti della cittadella, e lì diecipalle confederate avranno ragione del loro federalismo.»«Cosa? fucilati?» esclamò il giovane capitano, trasa-lendo senza volerlo.«Sì! e per primo il loro capo. Un uomo molto deciso emolto pericoloso in una città assediata. Ho mandato lasua corrispondenza alla presidenza di Richmond e, entrootto giorni, la sua sorte sarà irrevocabilmente decisa.»«Chi è quest’uomo di cui parlate?» chiese Playfair fin-gendo indifferenza.

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«Un giornalista di Boston, un abolizionista accanito,l’anima dannata di Lincoln.»«E si chiama?»«Jonathan Halliburtt.»«Povero diavolo!» disse James contenendo l’emozione.«Qualunque cosa abbia fatto, non si può non compian-gerlo. E voi pensate che sarà fucilato?»«Ne sono certo» rispose Beauregard. «Che ci voletefare? La guerra è la guerra. Ci si difende come si può.»«In fondo, la cosa non mi riguarda» rispose il capitano.«E comunque, quando questa esecuzione avrà luogo, iosarò già lontano.»«Come? partite già?»«Sì, generale, siamo prima di tutto commercianti. Ap-pena il carico di cotone sarà pronto, prenderò il mare.Sono entrato a Charleston, va bene, ma bisogna ancheuscirne. E non è facile. Il Dolphin è una buona nave;può sfidare in velocità tutte le imbarcazioni della marinafederale; ma per quanto veloce, non ha la pretesa di se-minare un proiettile da cento, e un proiettile nello scafoo nella macchina vanificherebbe tutta l’operazione com-merciale.»«Come volete, comandante» rispose Beauregard. «Non hoconsigli da darvi in questa circostanza. Voi fate il vostromestiere e avete ragione. Al vostro posto farei la stessa cosa.Del resto, il soggiorno a Charleston non è piacevole, e unabaia dove piovono bombe tre giorni su quattro non è unposto sicuro per una nave. Partirete quindi quando vorrete.Ma solo un’informazione. Qual’è la forza e quante sono lenavi federali che incrociano davanti a Charleston?»James Playfair rispose per quanto possibile alle do-mande del generale e prese congedo da lui nel modo mi-

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gliore. Poi tornò al Dolphin molto preoccupato e ab-battuto per ciò che aveva saputo.«Cosa dirò a Jenny» pensava. «Devo informarla sulla ter-ribile situazione del signor Halliburtt? È meglio che nonsappia dei pericoli che la minacciano? Povera ragazza!»Non aveva fatto neanche cinquanta passi fuori dal palazzodel governatore che s’imbatté in Crockston. Il brav’uomoamericano lo teneva d’occhio fin da quando era partito.«Allora, comandante?»Playfair guardò fisso Crockston e questi capì che il ca-

pitano non aveva buone notizie da dargli.«Avete visto Beauregard?» chiese.«Sì» rispose Playfair.«E gli avete parlato del signor Halliburtt?»«No! è stato lui a parlarmene.»«E allora, comandante?»«Allora!... a te si può dire tutto, Crockston.»«Tutto, comandante.»«Ebbene! il generale Beauregard mi ha detto che il tuopadrone sarà fucilato fra otto giorni.»A quella notizia un altro che non fosse stato Crockstonavrebbe avuto uno scatto di rabbia, o si sarebbe lasciatoandare a manifestazioni di dolore compromettenti. Mal’americano, che non perdeva mai la fiducia, fece un sor-riso e disse soltanto:«Mah! non importa!»«Come! non importa?» esclamò Playfair. Ti dico che ilsignor Halliburtt sarà fucilato fra otto giorni, e tu ri-spondi: non importa!»«Sì, se fra sette giorni è a bordo del Dolphin, e se frasette giorni il Dolphin è in pieno oceano.»«Bene!» fece il capitano stringendo la mano di Crock-

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ston. «Ti capisco! sei un uomo deciso e fattivo e io, adispetto dello zio Vincent e del carico del Dolphin, mifarò saltare in aria per la signorina Jenny.»«Nessuno salterà in aria» rispose l’americano. «Ne ap-profitterebbero solo i pesci. L’importante è liberare ilsignor Halliburtt.»«Ma lo sai che non è per niente facile?»«Mah!» disse Crockston.«Si tratta di comunicare con un prigioniero continua-mente sorvegliato.»«Certo.»«E di condurre in porto un’evasione quasi impossibile!»«Mah!» fece Crockston. «Un prigioniero è più ossessio-nato dall’idea di fuggire di quanto il suo carceriere non losia da quella di sorvegliarlo. Un prigioniero deve sempreriuscire a scappare. Tutte le probabilità sono per lui. Perquesto, con il nostro aiuto, il signor Halliburtt ce la farà.»«Hai ragione, Crockston.»«Ho sempre ragione.»«Ma, insomma, come fai? Ci vuole un piano, ci sonoprecauzioni da prendere.»«Ci penserò.»«Ma la signorina Jenny, quando saprà che il padre è con-dannato a morte e che l’ordine di esecuzione può arri-vare da un giorno all’altro?...»«Non lo saprà, punto e basta.»«Sì, meglio che non lo sappia; meglio per lei e per noi.»«Dove è rinchiuso il signor Halliburtt?» chiese Crock-ston.«Alla cittadella» rispose Playfair.«Perfetto. A bordo adesso!»«A bordo, Crockston!»

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L’evasione

Jenny Halliburtt, seduta sul casseretto del Dolphin,aspettava con ansia il ritorno del comandante. Quandoquesti l’ebbe raggiunta, la ragazza non riuscì ad artico-lare una sola parola, ma il suo sguardo interrogava Play-fair con più ardore di quanto non avrebbe fatto la suabocca.Il comandante, aiutato da Crockston, riferì solo i fattirelativi alla prigionia del padre. Le disse che aveva pru-dentemente sondato Beauregard circa i prigionieri diguerra. Non avendo visto il generale ben disposto inproposito, si era tenuto sulle generali e intendeva pren-dere spunto dagli eventi.»«Non essendo il signor Halliburtt libero in città, la suafuga sarà più difficile, ma terrò fede al mio impegno, evi giuro, signorina Jenny, che il Dolphin non lascerà labaia di Charleston senza avere a bordo vostro padre.»«Grazie, signor James» disse Jenny «vi ringrazio contutto il cuore.»A quelle parole, James Playfair sentì il suo cuore sob-balzare nel petto. Si avvicinò alla ragazza, con gli occhiumidi e la voce rotta. Stava per parlare, per confessarlei suoi sentimenti, che non poteva più nascondere,quando Crockston intervenne.«Basta così» disse «non è il momento d’intenerirsi. Par-liamo, e parliamo bene.»

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«Hai un piano, Crockston?» chiese la ragazza.«Io ho sempre un piano» rispose l’americano. «È la miaspecialità.»«Ma uno buono?» disse Playfair.«Eccellente, e tutti i ministri di Washington messi in-sieme non potrebbero pensarne uno migliore. Fateconto che il signor Halliburtt sia già a bordo.»Crockston diceva queste cose con una tale sicurezza eal tempo stesso con una tale buona fede, che solo il piùincredulo degli uomini non avrebbe condiviso la suacertezza.«Ti ascoltiamo, Crockston» disse Playfair.«Bene. Voi, comandante, andate dal generale Beaure-gard e gli chiedete un favore che non vi rifiuterà.»«Quale?»«Direte che avete a bordo un pessimo soggetto, un “ma-scalzone matricolato”, che vi crea problemi, che durantela traversata ha sobillato l’equipaggio alla rivolta; in-somma un tipo disgustoso; e chiederete al generale ilpermesso di rinchiuderlo nella cittadella, con l’accordodi riprenderlo alla partenza per riportarlo in Inghilterrae consegnarlo alla giustizia del suo paese.»«Bene!» rispose Playfair accennando un sorriso. «Lofarò; e Beauregard acconsentirà molto volentieri alla miarichiesta.»«Non ho dubbi» rispose l’americano.«Ma» continuò Playfair «mi manca una cosa.»«Cosa?»«Il “mascalzone matricolato”».«Ce l’avete davanti agli occhi, comandante.»«Cosa, quel tipo disgustoso?...»«Sono io, se non vi dispiace.»

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«Oh! che persona brava e coraggiosa!» gridò Jennystringendo con le sue graziose mani quelle rugose del-l’americano.«Va bene, Crockston» replicò James Playfair, «amicomio; rimpiango solo una cosa, di non poter prendere iltuo posto!»«A ciascuno la sua parte» replicò Crockston. «Se vi met-teste al mio posto, sareste molto imbarazzato; io invecenon lo sono. Avrete abbastanza da fare più tardi a usciredalla baia sotto i cannoni dei federali e dei confederati;con quello io non me la caverei molto bene.»«Va bene, Crockston, continua.»«Ecco. Una volta nella cittadella – la conosco bene –vedrò come fare, ma state sicuro che me la caverò. Nelfrattempo voi vi occuperete del carico della nave».«Oh! gli affari» disse il comandante «in questo mo-mento sono un dettaglio poco rilevante.»«Assolutamente no! E lo zio Vincent? Che direbbe?Facciamo andare di pari passo i sentimenti e le opera-zioni commerciali. E nessuno sospetterà qualcosa. Mafacciamo presto. Ce la farete in sei giorni?»«Sì.»«D’accordo, che il Dolphin sia carico e pronto per lapartenza nella giornata del 22.»«Sarà pronto.»«La sera del 22 gennaio – fate attenzione – mandateun’imbarcazione con i vostri uomini migliori a White-Point, alla punta estrema della città. Aspettate fino allenove e vedrete apparire il signor Halliburtt e il vostroservo.»«Ma come riuscirai a fare evadere il signor Halliburtt ea fuggire anche tu?»

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«È affar mio.»«Caro Crockston» disse allora Jenny «quindi rischieraila vita per salvare mio padre!»«Non vi preoccupate per me, signorina Jenny, non ri-schio assolutamente niente, potete credermi.»«Allora» chiese Playfair «quando ti devo far rinchiu-dere?»«Oggi stesso. Capite bene, demoralizzo il vostro equi-paggio. Non c’è tempo da perdere.»«Vuoi dell’oro? Potrebbe servirti nella cittadella.»«Dell’oro, per corrompere un carceriere? Niente af-fatto! Costerebbe troppo e sarebbe inutile. Se si arrivaa tanto, il carceriere si tiene l’oro e il prigioniero. Eavrebbe ragione! No! Ho altri mezzi più sicuri. Qualchedollaro, invece sì. Si può aver bisogno di bere qualcosa.»«E di far ubriacare il carceriere.»«No, un carceriere ubriaco potrebbe mandare tutto amonte! Vi ho detto che ho un’idea. Lasciate fare a me.»«Tieni, mio caro Crockston, ecco dieci dollari.»«Troppa grazia! Vi restituirò ciò che avanza.»«Forza, sei pronto?»«Prontissimo a fare il “mascalzone matricolato”.»«Su, muoviamoci.»«Crockston» disse la ragazza con voce commossa«Crockston, sei l’uomo migliore di questa terra!»«Non mi meraviglierei» rispose ridendo l’americano.«Ah! a proposito, capitano, una raccomandazione im-portante.»«Quale?»«Se il generale vi proponesse d’impiccare il vostro fur-fante – sapete come sono i militari, a volte vanno per lespicce!»

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«Che faccio allora?»«Allora, chiedete tempo per rifletterci.»«Te lo prometto.»Quel giorno stesso, con grande sorpresa dell’equipag-gio, che non era al corrente, Crockston, coi ferri ai piedie alle mani, fu fatto scendere a terra scortato da una de-cina di marinai e, mezz’ora dopo, per ordine del capi-tano James Playfair, il “mascalzone matricolato”attraversava la città e, pur opponendo resistenza, sitrovò rinchiuso nella cittadella di Charleston. Quel giorno e i seguenti fu eseguito con grande fervorelo scarico del Dolphin. Le gru a vapore scaricavano senzainterruzione il carico europeo per far posto a quello lo-cale. La gente di Charleston assisteva a quella interes-sante operazione, aiutando e ringraziando i marinai. Ecertamente questi ultimi godevano del massimo rispettoda parte dei sudisti. Ma il capitano Playfair non lasciavaloro il tempo per ricambiare le gentilezze degli ameri-cani; era sempre lì a incalzarli, a pressarli con una feb-brile attività di cui i marinai non conoscevano il motivo.Tre giorni dopo, il 18 gennaio, le prime balle di cotonecominciarono a essere impilate nella stiva. Anche se lacosa non interessava più a James, la ditta Playfair & Co.stava facendo un’ottima operazione, ottenendo a prezzostracciato tutto il cotone che ingombrava le banchinedel porto di Charleston.Nel frattempo non si avevano più notizie di Crockston.Anche se non diceva nulla, Jenny era sempre in predaalla paura. I lineamenti del viso, alterati per l’inquietu-dine, parlavano per lei e Playfair cercava di rassicurarlacon buone parole.«Ho la massima fiducia in Crockston» le diceva. «È un

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servitore devoto. Voi lo conoscete meglio di me, signo-rina Jenny, e dovreste stare tranquilla. Fra tre giorni vo-stro padre vi stringerà al petto, credetemi.»«Ah! signor James!» esclamò la giovane donna. «Comepotrò mai ricompensare una tale dedizione? Come potremo,mio padre e io, trovare il modo di sdebitarci con voi?»«Ve lo dirò quando saremo in acque inglesi!» rispose ilgiovane comandante.Jenny lo guardò un istante, abbassò gli occhi che si riem-pirono di lacrime, poi rientrò nella sua cabina.James Playfair aveva sperato che, fino al momento in cuiil padre fosse stato al sicuro, la ragazza non venisse a sa-pere niente della terribile situazione; ma quel giorno l’in-volontaria indiscrezione di una marinaio le aveva svelatola verità. La risposta da Richmond era arrivata la seraprima con una staffetta che aveva potuto forzare la lineadegli avamposti. Il dispaccio conteneva la condanna amorte di Jonathan Halliburtt e il povero cittadino dovevaessere passato per le armi l’indomani mattina. La notiziadella prossima esecuzione non aveva tardato a diffondersiin città e fu portata a bordo da uno dei marinai del Dol-phin. L’uomo l’aveva riferita al suo comandante senza im-maginare che la signorina Halliburtt potesse sentire. Laragazza lanciò un grido straziante e cadde svenuta sulponte. Playfair la trasportò nella sua cabina e ci vollerole più assidue attenzioni per riportarla in vita.Quando riaprì gli occhi, vide il giovane capitano che,con un dito sulle labbra, le raccomandava silenzio asso-luto. Ebbe la forza di tacere, di trattenere il suo dolore,e James Playfair, chinandosi al suo orecchio, le disse:«Jenny, fra due ore vostro padre sarà al sicuro con voi,o io sarò morto nel tentativo di salvarlo!»

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Poi uscì dal casseretto dicendo:«E adesso dobbiamo portarlo via a tutti i costi, dovessianche pagare la sua libertà con la mia vita e quella ditutto l’equipaggio!»Il momento di agire era arrivato. Il carico di cotone eragià tutto a bordo fin dalla mattina; i carbonili eranopieni. Entro due ore si poteva partire. La nave aveva la-sciato la banchina commerciale a nord ed era al centrodella rada, pronta ad approfittare della marea che do-veva raggiungere la punta massima alle nove di sera.Quando Playfair lasciò la ragazza erano le sette e il co-mandante dette ordine di prepararsi a partire.Fino a quel momento il segreto era stato conservatonella maniera più assoluta fra lui, Crockston e Jenny. Maallora pensò fosse opportuno mettere Mathew al cor-rente della situazione e lo fece subito.«Agli ordini» rispose il secondo senza fare la minima os-servazione. Pronti per le nove?»«Alle nove. Fate immediatamente accendere i fanali etenete le caldaie in pressione.«Sarà fatto, comandante.»«Il Dolphin sta su un ancorotto. Taglieremo la cima efileremo senza perdere un secondo.»«Benissimo.»«Fate mettere un fanale in cima all’albero di maestra.La notte è buia e si sta alzando la nebbia. Non possiamocorrere il rischio di perderci tornando a bordo. Pren-dete anche la precauzione di far suonare la campanadopo le nove.«I vostri ordini saranno puntualmente eseguiti, coman-dante.»«E adesso, signor Mathew» aggiunse Playfair «fate ar-

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mare la lancia; metteteci sei dei nostri più robusti voga-tori. Partiamo immediatamente per White-Point. Vi rac-comando la signorina Jenny durante la mia assenza, eche Dio ci protegga, signor Mathew.»«Che Dio ci protegga!» rispose il secondo.Poi subito impartì gli ordini necessari perché fossero ac-cesi i fornelli e armata l’imbarcazione. E in pochi minutiquella fu pronta. Dopo un ultimo saluto a Jenny, JamesPlayfair scese nella barca e poté vedere, nel momentoin cui scostava, dei torrenti di fumo nero perdersi nel-l’oscura nebbia del cielo.Le tenebre erano profonde; il vento era caduto; un si-lenzio assoluto regnava nell’immensa baia, dove le ondesembravano assopite. Appena qualche luce tremolavanella nebbia. Playfair aveva preso la barra e, con manosicura, dirigeva l’imbarcazione verso White-Point. C’erada fare un tragitto di circa due miglia. Durante il giornoaveva fatto con precisione i suoi rilevamenti, in mododa poter raggiungere in linea retta la punta di Charle-ston. Suonavano le otto a San Filippo quando la barcatoccò con la prua White-Point.C’era ancora da attendere un’ora prima dell’appunta-mento fissato con Crockston. La riva era assolutamentedeserta. Solo la sentinella della batteria del sud e dell’estpasseggiava a venti passi. James Playfair contava i mi-nuti. Il tempo non scorreva come la sua impazienzaavrebbe voluto.Alle otto e mezza sentì un rumore di passi. Lasciò i suoiuomini con i remi armati e pronti a partire e si portò piùavanti. Ma dopo dieci passi s’imbatté in una ronda diguardacoste; una ventina di uomini in tutto. Jamesestrasse dalla cintura una pistola, deciso a servirsene se

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necessario. Ma che poteva fare contro quei soldati cheerano scesi fino alla riva?Lì, il capo della ronda lo avvicinò e, vedendo la barca,chiese a James:«Cos’è quella?»«La lancia del Dolphin» rispose il giovane.«E voi chi siete?»«Il comandante James Playfair.»«Credevo foste partito e che foste già nel canale di Char-leston.»«Sono pronto a partire... anzi dovevo essere già inmare... ma...»«Ma...?» chiese insistente il capo dei guardacoste.A James balenò un’idea improvvisa e rispose:«Uno dei miei marinai è rinchiuso alla cittadella e, cre-detemi, stavo per dimenticarmene. Fortunatamente miè venuto in mente quando ancora c’era tempo e ho man-dato degli uomini a prenderlo.»«Ah! quel pessimo soggetto che volete riportare in In-ghilterra.»«Sì.»«Potevamo impiccarlo qui, ne siamo capaci anche noi!»disse il guardacoste ridendo della sua battuta.«Ne sono convinto» rispose Playfair «ma è meglio chele cose seguano il corso regolare.»«Noi andiamo, buona fortuna, capitano, e fate atten-zione alle batterie dell’isola di Morris.«State tranquillo. Non ho avuto problemi all’andata espero di non averne anche al ritorno.»«Buon viaggio.»«Grazie.»La pattuglia si allontanò e la spiaggia tornò silenziosa.

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In quel momento suonarono le nove. Era l’ora fissataper l’appuntamento. James sentiva il cuore battere comedovesse schiantarsi nel petto. Risuonò un fischio e Jamesrispose con un fischio analogo; poi aspettò, tendendol’orecchio e raccomandando con la mano ai marinai difare silenzio. Apparve un uomo avvolto in un largo man-tello e si guardò intorno. James gli corse incontro.«Il signor Halliburtt?»«Sono io» rispose l’uomo col mantello.«Ah! Dio sia lodato!» esclamò Playfair. «Salite in barcasenza perdere un secondo. Dov’è Crockston?»«Crockston?» fece il signor Halliburtt con aria stupita.«Che volete dire?»«L’uomo che vi ha liberato, quello che vi ha condottoqui, è il vostro servo Crockston.»«L’uomo che mi ha condotto qui è il carceriere della cit-tadella» rispose il signor Halliburtt.«Il carceriere?» esclamò James Playfair.Non capiva più nulla e mille paure lo assalirono.«Ah! sì, il carceriere!» se ne uscì una voce conosciuta.«Il carceriere! dorme come un ceppo nella mia cella!»«Crockston! tu! sei tu!» esclamò il signor Halliburtt.«Padrone; non parliamo adesso! Le spiegheremo tutto.Ne va della vostra vita. Imbarcatevi, imbarcatevi.»I tre uomini presero posto nella barca.«Via!» gridò il comandante.I sei remi poggiarono tutti insieme sugli scalmi.«Avanti a tutta forza!» ordinò Playfair.E la lancia scivolò come un pesce sull’acqua scura diCharleston-Harbour.

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Tra due fuochi

La lancia, spinta dai sei robusti vogatori, volava sulleacque della baia. La nebbia s’infittiva e James Playfairfaceva fatica a tenere la linea retta dei suoi rilevamenti.Crockston si era piazzato a prua dell’imbarcazione e ilsignor Halliburtt a poppa, accanto al comandante. Ilprigioniero, che prima era rimasto sorpreso dalla pre-senza del suo servo, voleva parlargli, ma lui con un gestogli raccomandò di fare silenzio.Qualche minuto più tardi però, quando la lancia fu nelmezzo della rada, Crockston si decise a parlare. Capivainfatti quante domande si assiepassero nella testa del si-gnor Halliburtt.«Oh, mio caro padrone» disse «il carceriere è al mioposto nella mia cella, dove gli ho assestato due beipugni, uno sulla nuca e l’altro allo stomaco, come nar-cotico. E questo quando mi ha portato la cena. Bella ri-conoscenza! Ho preso i suoi vestiti e le chiavi, vi hocercato, vi ho condotto fuori dalla cittadella sotto il nasodelle guardie. È stato facilissimo.»«Ma mia figlia?» chiese il signor Halliburtt.«A bordo della nave che vi condurrà in Inghilterra.»«Mia figlia è qui, qui?» gridò l’americano facendo unbalzo sul banco.«Silenzio!» rispose Crockston. «Ancora qualche minutoe saremo salvi.»

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La barca volava in mezzo alle tenebre, ma un po’ a ca-saccio. In quella nebbia James Playfair non riusciva avedere i fanali del Dolphin. Esitava sulla direzione daseguire ed era talmente buio che i rematori non vede-vano nemmeno l’estremità del loro remo.«Allora, signor James?» disse Crockston.«Dovremmo aver fatto più di un miglio e mezzo» ri-spose il capitano. Tu vedi niente, Crockston?»«Niente. Eppure ho gli occhi buoni. Bah! arriveremo!Non sospettano niente laggiù...»Non aveva finito di parlare che un razzo squarciò le te-nebre ed esplose a un’altezza vertiginosa.«Un segnale!» esclamò Playfair.«Diavolo!» fece Crockston «deve venire dalla cittadella.Aspettiamo.»Un secondo, poi un terzo razzo si lanciarono nella stessadirezione del primo e quasi subito lo stesso segnale furipetuto a un miglio di prora dall’imbarcazione.«Quello viene dal forte Sumter» esclamò Crockston «edè il segnale d’evasione. Forza coi remi! Ci hanno sco-perto.»«Forza sui remi, ragazzi» gridò Playfair, incitando i suoimarinai. «Quei razzi hanno illuminato il percorso. IlDolphin è a meno di settecento metri da noi. Ecco,sento la campana di bordo. Forza! forza! Ci sono ventisterline per voi se arriviamo in cinque minuti.»I marinai spinsero con tale forza che la barca sembravavolare sull’acqua. I cuori sobbalzavano nel petto. Uncolpo di cannone era esploso dalla direzione della cittàe, a venti braccia dalla barca, Crockston, più che vedere,sentì un oggetto velocissimo che poteva essere un pro-iettile. La campana del Dolphin suonava a tutto spiano.

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Qualche colpo di remo e la barca accostò. Ancora qual-che secondo e Jenny cadde fra le braccia del padre. Lalancia fu issata immediatamente e James Playfair corsesul casseretto.«Signor Mathew, siamo in pressione?»«Sì, comandante.»«Fate tagliare la cima, e via a tutta forza.»Qualche istante dopo le due eliche spingevano il piro-scafo verso il canale principale, allontanandolo dal forteSumter.«Signor Mathew» disse James «non possiamo prenderei canali dell’isola di Sullivan; cadremmo dritti dritti sottoil fuoco dei confederati. Costeggiamo il più possibile ladestra della baia, a costo di ricevere i colpi delle batteriefederali. C’è qualcuno di vedetta?»«Sì, comandante.»«Fate spegnere i fanali e le luci di via. Già anche troppoi riflessi della macchina; ma di quella non possiamo farea meno.»Durante la conversazione il Dolphin filava velocissimo;ma, virando per portarsi sulla destra del Charleston-Harbour, era stato costretto a seguire un canale che loavvicinava momentaneamente al forte Sumter ed era ameno di mezzo miglio quando le feritoie del forte s’il-luminarono tutte insieme e un uragano di piombo sibilòa prua del piroscafo con una spaventosa detonazione.«Troppo presto, imbecilli!» gridò James Playfair scop-piando a ridere. «Forza! forza! macchinista! dobbiamopassare fra due fuochi!»I fuochisti caricavano forsennatamente le caldaie e lastruttura del Dolphin tremava tutta per lo sforzo dellamacchina, come se fosse sul punto di sfasciarsi.

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In quel momento si sentì una seconda esplosione e unanuova grandinata di proiettili fischiò a poppa della nave.«Troppo tardi, idioti!» gridò il giovane comandante conun autentico ruggito.Crockston era sul casseretto ed esclamò:«Una è andata. Ancora qualche minuto e avremo finitocon i confederati.«Pensi che non abbiamo più da temere dal forte Sum-ter?chiese James.«No, niente; il pericolo adesso è forte Moultrie, all’estre-mità dell’isola Sullivan; ma quello ci avrà sotto tiro soloper mezzo minuto. Deve scegliere bene il momento emirare giusto se vuole prenderci. Ecco, ci avviciniamo.«Bene! La posizione del forte Moultrie ci permetterà diimboccare diritti il canale principale. Fuoco allora!fuoco!»Nello stesso istante, e come se Playfair avesse ordinatolui stesso il fuoco, il forte s’illuminò con una tripla filadi lampi. Si sentì uno spaventoso frastuono e unoschianto risuonò a bordo del piroscafo.«Preso, questa volta!» fece Crockston.«Signor Mathew» gridò il comandante al secondo cheera appostato a prua «che è successo?»«Il buttafuori del bompresso a mare.»«Ci sono feriti?»«No, comandante.»«Bene, al diavolo l’alberatura! Diritti nel canale! diritti!E dirigete sull’isola.»«Abbiamo fatto fuori i sudisti!» esclamò Crockston «Sedobbiamo ricevere qualche palla nella carcassa, prefe-rirei quelle del Nord. Si digeriscono meglio!»In realtà il pericolo non era passato e il Dolphin non po-

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teva ancora dire di averla scampata; anche se i pezzisull’isola di Morris non erano temibili come quelli chefurono piazzati qualche mese più tardi, quei cannoni equei mortai potevano facilmente colare a picco una navecome il Dolphin.L’allarme era stato dato ai federali dell’isola e alle navi delblocco dal fuoco dei forti Sumter e Moultrie. Gli asse-dianti non potevano capire cos’era quell’attacco di notte,che non sembrava rivolto contro di loro; comunque do-vevano essere, e in effetti erano, pronti a rispondere.A questo pensava James Playfair mentre procedeva neicanali dell’isola di Morris e aveva ragione a preoccuparsiperché, in capo a un quarto d’ora, le tenebre furonosquarciate da lampi; una pioggia di piccole bombecadde intorno al piroscafo, alzando alti spruzzi d’acquafino al bastingaggio; alcune caddero anche sul ponte,ma atterrando con la base, e questo salvò la nave da unafine sicura. Quelle bombe infatti – come si è saputo piùtardi – dovevano scoppiare e frantumarsi in milleschegge e coprire ciascuna una superficie di circa qua-ranta metri quadrati con un fuoco greco che niente po-teva spegnere e che bruciava per venti minuti. Una soladi quelle bombe poteva incendiare una nave. Fortuna-tamente per il Dolphin, erano un’invenzione recente enon ancora perfezionata; una volta lanciate in aria, unmovimento di rotazione le manteneva inclinate e, al mo-mento della caduta, atterravano sulla base invece chesulla punta, dove si trovava il percussore. Fu solo queldifetto di costruzione che salvò il Dolphin da una finecerta; la caduta di quelle bombe leggere non causògrossi danni e, spinto dalla pressione del vapore surri-scaldato, continuò ad avanzare nel canale.

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In quel momento, contravvenendo agli ordini, il signorHalliburtt e sua figlia raggiunsero Playfair sul casseretto.Quest’ultimo cercò di obbligarli a rientrare nella lorocabina, ma Jenny volle restare accanto al capitano.Quanto al signor Halliburtt, che aveva appena saputola nobile condotta del suo salvatore, gli strinse la manosenza poter dire una parola.Il Dolphin avanzava in quel momento a gran velocitàverso il mare aperto; gli bastava seguire il canale per tremiglia ancora prima di trovarsi nelle acque dell’Atlantico;se l’imboccatura del canale era libera, era salvo. JamesPlayfair conosceva alla perfezione tutti i segreti della baiadi Charleston e manovrava la sua nave in quel buio conuna sicurezza impareggiabile. Aveva dunque tutte le ra-gioni di pensare di poter concludere quell’audace tra-gitto, quando un marinaio gridò dal castello di prua:«Una nave!»«Una nave?» esclamò James.«Sì, sul fianco a dritta.»La nebbia si era alzata e permetteva di vedere unagrande fregata che manovrava per bloccare il canale eimpedire il passaggio del Dolphin. Si doveva a ognicosto batterla in velocità e chiedere alle macchine unosforzo maggiore, altrimenti tutto era perduto.«Barra a dritta! tutta!» gridò il comandante.Poi si slanciò sulla passerella sopra la macchina. Su suoordine una delle eliche fu bloccata e, spinto da una solaelica il Dolphin virò con una rapidità impressionante inun raggio strettissimo, come girando su se stesso. Avevaevitato così di puntare sulla fregata federale e prese adavanzare come lei verso l’imboccatura del canale. Adessoera solo questione di velocità.

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James Playfair capì che ora si giocava la sua vita, quelladi Jenny e di suo padre, quella di tutto l’equipaggio. Lafregata aveva un vantaggio abbastanza consistente. Sivedeva, dal fumo nero che usciva dal suo fumaiolo, chestava forzando le caldaie. Ma James Playfair non era unuomo cui piaceva esser superato.«A quanto siete?» gridò al direttore di macchina.«Al massimo della pressione» rispose «il vapore fuorie-sce da tutte le valvole.»«Stringete le valvole» ordinò il comandante.E l’ordine fu eseguito, a rischio di far saltare la nave.Il Dolphin prese a filare ancora più veloce; i colpi deipistoni si succedevano con una spaventosa frequenza;tutte le piastre su cui poggiava la macchina vibravanosotto quei colpi indiavolati ed era uno spettacolo daesaltare i cuori più agguerriti.«Forte!» gridava Playfair «Ancora più forte!»«Impossibile!» rispose subito il direttore di macchina,«le valvole sono chiuse ermeticamente. I forni sono ca-ricati al massimo.»«Non importa! Riempiteli di cotone impregnato di spi-rito!dobbiamo passare a ogni costo e precedere quellamaledetta fregata!»A quelle parole i più intrepidi fra i marinai si guardaronoin faccia, ma nessuno esitò. Alcune balle di cotone furonogettate nella camera di combustione della macchina. Fuaperto un barile di spirito e il liquido combustibile fu lan-ciato – non senza pericolo – sulle braci incandescenti. Ilruggito delle fiamme non permetteva ai fuochisti di sen-tirsi fra loro. Dopo poco le piastre dei forni diventaronoanch’esse incandescenti; i pistoni andavano e venivanocome quelli di una locomotiva; i manometri segnavano

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una pressione spaventosa; il piroscafo volava letteral-mente sull’acqua; le giunture scricchiolavano; il fumaioloemetteva fiamme miste a vortici di fumo; era proiettatoa una velocità impressionante, insensata; ma intanto gua-dagnava sulla fregata, la superava, la distanziava e dopodieci minuti era fuori dal canale.«Siamo salvi!» esclamò il capitano.«Salvi!» rispose l’equipaggio battendo le mani.Il faro di Charleston cominciava già a scomparire asud-est, il bagliore dei suoi fanali impallidiva e si po-teva pensare di essere fuori pericolo, quando unabomba, partita da una cannoniera che incrociava allargo, si proiettò sibilando nelle tenebre. Era facile se-guirne la traiettoria, grazie al razzo che lasciava dietrodi sé una scia di fuoco.Ci fu un momento di ansia impossibile a descrivere; tuttitacevano e ognuno guardava con occhio atterrito la pa-rabola descritta dal proiettile; non si poteva far nienteper evitarlo e, dopo mezzo minuto, si abbatté con unrumore terribile sulla prua del Dolphin.I marinai, spaventati, si tirarono indietro, e nessuno osòfare un passo, mentre il razzo bruciava con un vivacecrepitio.Ma uno solo, fra tutti il più coraggioso, corse verso ilformidabile ordigno. Ed era Crockston, che prese labomba fra le sue braccia robuste, mentre migliaia discintille sprizzavano dal razzo; poi, con uno sforzo so-vrumano, la lanciò fuori bordo.La bomba aveva appena raggiunto la superficie dell’ac-qua che si udì una spaventosa esplosione.«Hurrah! hurrah!» gridò all’unisono tutto l’equipaggiodel Dolphin, mentre Crockston si fregava le mani.

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Di lì a poco il piroscafo solcava veloce le acque del-l’Atlantico; la costa americana si dissolveva nelle tenebree i bagliori lontani, che s’incrociavano all’orizzonte, te-stimoniavano l’infuriare della battaglia fra le batteriedell’isola di Morris e quelle dei forti di Charleston-Har-bour.

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Saint-Mungo

Il giorno dopo, all’alba, la costa americana era sparita.Non una nave all’orizzonte, e il Dolphin, riducendol’impressionante velocità della sua macchina, fece rottatranquillamente per le Bermuda.Sulla traversata atlantica non ci fu nulla da raccontare.Nessun incidente turbò il viaggio di ritorno e, diecigiorni dopo la sua partenza da Charleston, si comincia-rono a vedere le coste dell’Irlanda.Cosa sia successo fra il giovane comandante e la ragazzalo possono immaginare tutti, anche i meno perspicaci.Come avrebbe potuto del resto Jenny Halliburtt ricom-pensare la dedizione e il coraggio del suo salvatore, senon rendendolo il più felice degli uomini? James Play-fair non aveva atteso le acque inglesi per dichiarare alpadre e alla giovane donna i suoi sentimenti e le sue in-tenzioni; e – stando a quanto disse Crockston – la signo-rina Jenny accolse la dichiarazione con una gioia chenon cercò di dissimulare.Avvenne dunque che, il 14 febbraio del presente anno,una folla numerosa era riunita sotto le pesanti volte diSaint-Mungo, la vecchia cattedrale di Glasgow. C’eranomarinai, commercianti, industriali, magistrati, un po’ ditutto.Il bravo Crockston faceva da testimone alla signorinaJenny, vestita in abito da sposa, e il brav’uomo era splen-

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dido nel suo abito verde mela coi bottoni d’oro. Lo zioVincent invece stava orgogliosamente a fianco del nipote.Per farla breve, si celebrava il matrimonio di James Play-fair, della ditta Vincent Playfair & Co. di Glasgow, conla signorina Jenny Halliburtt di Boston.La cerimonia si svolse con grande pompa. Tutti cono-scevano la vicenda del Dolphin e tutti trovavano giusta-mente ricompensata la dedizione del giovane capitano.Solo lui si diceva pagato al di là dei suoi meriti.La sera, una grande festa dallo zio Vincent, una grandecena, un ballo e una grande distribuzione di scellini allafolla riunita in Gordon Street. Durante la memorabilefesta Crockston dette prova di grande voracità, senzatuttavia superare i limiti della decenza.Tutti erano felici per quel matrimonio, chi per la propriafelicità e chi per l’altrui – cosa che non sempre avvienein quel tipo di cerimonie.La sera, quando la folla degli invitati se ne andò, JamesPlayfair andò ad abbracciare lo zio.«Allora, zio Vincent?» disse.«Allora, nipote James?»«Siete contento dell’incantevole carico che ho portatoa bordo del Dolphin?» continuò il capitano Playfair mo-strando la sua valorosa moglie.«Lo credo bene!» rispose il bravo commerciante. «Hovenduto il mio cotone col trecentosettantacinque percento di guadagno!»

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INDICE

Un inverno tra i ghiacci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

Il blocco navale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 89

Stampato nel giugno 2017da Tipografia ABC - Calenzano (Fi)