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THE LAST SUPPER RECALL

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THE LAST SUPPER RECALL

A più di 30anni dall’inaugurazione della mostra di Andy Warhol alle Stelline - omaggio esplicito a Leonardo e al Cenacolo Vinciano - Flavio Caroli fissa un punto d’arrivo nell’itinerario interpretativo dell’affresco rinascimentale ad opera di artisti di fama internazionale.Filippo Avalle, Bruno Bordoli, Elia Festa e Daniel Spoerri dialogano con l’opera “The Last Supper” - realizzata da Warhol nel 1987 - e con i memorabilia di un incontro indimenticabile: quello della Pop-Art con Milano, i suoi antichi refettori e uno spazio espositivo sempre pronto ad anticipare le tendenze del contemporaneo.Un recall che trova la propria fonte d’ispirazione a pochi passi dalla Galleria, nel complesso monumentale di Santa Maria delle Grazie, dove l’opera del Genio toscano è visibile al mondo

Over 30 years after the inauguration of the Andy Warhol exhibition at Stelline - a clear tribute to Leonardo da Vinci and his Last Supper - Flavio Caroli sets an arrival point in the interpretative itinerary of the Renaissance masterpiece with works by internationally famous artists.Filippo Avalle, Bruno Bordoli, Elia Festa and Daniel Spoerri converse with the work “The Last Supper” - executed by Warhol in 1987 - and with the memorabilia of an unforgettable encounter: Pop-Art with Milan, its ancient refectories, and an exhibition space ready to anticipate the trends of the contemporary.A recall that finds its sources of inspiration just a stone’s throw from the gallery, in the monumental complex of Santa Maria delle Grazie, where the work by the Tuscan genius can be viewed by the world

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una mostra presentata daan exhibition presented by

Flavio Caroli

a cura dellaedited by

Fondazione Gruppo Credito Valtellinese

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Credito Valtellinese

Alessandro Trotter Presidente / Chairman

Luigi LovaglioAmministratore DelegatoChief Executive Officer

FondazioneGruppo Credito Valtellinese

Alessandro Trotter Presidente/ Chairman

Valeria Caterina Duico Direttore / Director

Cristina Quadrio Curzio Responsabile / Head Settore Attività Culturali e ArtisticheCultural and Artistic Activity Sector

Leo Guerra Responsabile / Head Servizio Design e Art ConsultingDesign and Art Consulting Service

Marcello Abbiati Divisione SostenibilitàSustainability Department

Monica Dioli Rosaria Di Mauro Settore Orientamento e FormazioneOrientation and Training Sector

Laura GianesiniSimona Pusterla Segreteria e AmministrazioneSecretary and Administration

Ufficio Stampa / Press Agency IBCIrma Bianchi Communication

Traduzioni / Translations Welocalize Italy Srl

The Last Supper Recall

Galleria Gruppo Credito ValtellineseRefettorio delle Stelline, Milano31.X—03.XII.2020

Catalogo non in venditadistribuzione limitata all’omonima mostraCatalogue not for saledistributed limitedto the exhibition of the same name

2020 © Per i testi, gli autori2020 © Per le immagini, gli autori, i proprietari delle opere, i proprietari dei diritti d’autore2020 © Fondazione Gruppo Credito ValtellineseTutti i diritti riservati 2020 © For the texts, the authors2020 © For the images, authors and ownersof the works, the copyright owners2020 © Fondazione Gruppo Credito ValtellineseAll rights reserved

In copertina:Opera effimera realizzata da Daniel Spoerri durante l’allestimento della mostra “La Catena Genetica del Mercato delle Pulci”Milano, Refettorio delle Stelline, 2000On the cover:Temporary work by Daniel Spoerrifor the exhibition “La Catena Genetica del Mercato delle Pulci”Milan, Refettorio delle Stelline, 2000

Si ringrazia il dipartimento Circulating Film and Video Library del MoMA - Museum of Modern Art di New York per il prestito dei film di Andy Warhol in programmazione durante la mostra.A special thanks to the Circulating Film and Video Library Department of MoMA - New York City for the Andy Warhol’s movies loan, wich are going to be presented during the ongoing exhibition.

Con la collaborazione diWith the collaboration of Cineteca Milano, Centro Culturale “Alle Grazie”, Fondazione Daniel Spoerri.

Una mostra prodotta dallaAn exhibition produced by Fondazione Gruppo Credito Valtellinese nell’ambito dell’accordo di valorizzazione siglato con Mibact - Direzione Regionale Musei Lombardia e Museo del Cenacolo Vinciano.

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Sommario / Index

8 Presentazione / Preface

13 L’ultima cena / The last supper Flavio Caroli

18 Dialogo con Filippo Avalle / Dialogue with Filippo Avalle

26 Sei domande a Bruno Bordoli / Six questions to Bruno Bordoli

34 Dialogo con Elia Festa / Facing Elia Festa

42 Daniel Spoerri

44 Andy Warhol

46 Apparati / Appendix

Opere in mostra / Works on display

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Questo catalogo intende fornire un importante contributo all’interpretazione iconografica dell’Ultima Cena di Cristo, il cui esempio più celebre è ospitato a Milano, all’interno del Cenacolo dei Frati Domenicani in Santa Maria delle Grazie, nello splendido affresco di Leonardo da Vinci, a pochi passi dal Refettorio delle Stelline.“The Last Supper Recall”, questo il titolo della mostra collegata alla pubblicazione, è frutto di un progetto corale, che ha visto la partecipazione del Museo del Cenacolo Vinciano e dell’Associazione culturale “Alle Grazie” dei Frati Domenicani, entrambi partner istituzionali dell’evento.Giovandosi di queste e di altre illustri collaborazioni – prestiti dal Circulating Film and Video Department del MoMA di New York, concessioni speciali dalla Fondazione Daniel Spoerri di Seggiano e alte tecnicalità da parte della Cineteca di Milano – la mostra mette al centro il dipinto di Andy Warhol, dal titolo “The Last Supper”, realizzato nel 1987 per l’inaugurazione della Galleria del Credito Valtellinese come spazio espositivo vocato all’arte contemporanea.Sono trascorsi oltre trent’anni anni e il Refettorio delle Stelline, così come gli altri spazi espositivi di Sondrio, Fano e Acireale, ha mantenuto fede all’impegno di Creval nella promozione e tutela dell’arte moderna e contemporanea, promuovendo giovani artisti, autori affermati e fenomeni culturali internazionali collegati ai territori di attività della Banca.In questo lungo itinerario molteplici sono state le occasioni di incontro e di scambio con gli autori – protagonisti di un autentico rinnovamento del linguaggio artistico - fra i quali annoveriamo Filippo Avalle, Bruno Bordoli, Elia Festa e Daniel Spoerri le cui opere sono esposte in mostra e ampiamente documentate in catalogo.Il filo conduttore fra il loro lavoro, condotto con perizia critica dal celebre storico dell’arte Flavio Caroli e dai curatori della mostra è, appunto, l’interpretazione dell’Ultima Cena – quel recall riportato nel titolo a testimonianza del costante interesse degli artisti per l’iconografia tradizionale – nelle diverse epoche e con tecniche e linguaggi differenti e plurali.

Alessandro TrotterPresidente Fondazione Gruppo Credito Valtellinese

This catalogue sets out to provide an important contribution towards the iconographic interpretation of Christ’s Last Supper, the most famous example of which is housed in Milan, inside the refectory of the Dominican Friars in Santa Maria delle Grazie, in the splendid fresco by Leonardo da Vinci, just a stone’s throw from the Refettorio delle Stelline.“The Last Supper Recall”, the title of the exhibition subject of this catalogue, is the fruit of a collective project that saw the participation of the Cenacolo Vinciano and the Dominican Friars’ “Alle Grazie” cultural association, both official partners in the event.Benefitting from these and other prestigious alliances – loans from the Circulating Film and Video Department of New York’s MoMA, special permissions from the Daniel Spoerri Foundation in Seggiano and the technical expertise of the Cineteca in Milan – the exhibition focuses on the painting by Andy Warhol, entitled “The Last Supper” and executed in 1987 for the inauguration of the Credito Valtellinese Gallery as an exhibition space devoted to contemporary art.Over thirty years have passed and the Refettorio delle Stelline, like other exhibition venues in Sondrio, Fano and Acireale, have been faithful to Creval’s commitment to promoting and protecting modern and contemporary art, supporting young artists, established names and international cultural phenomena connected to the bank’s area of activity.In this long itinerary, there have been many occasions for encounters and exchange between the authors – the protagonists in a genuinely new artistic language – of whom we can count Filippo Avalle, Bruno Bordoli, Elia Festa and Daniel Spoerri whose works are on display at the exhibition and extensively documented in the catalogue.The common thread that runs through their work, conducted with the critical expertise of the famous art historian Flavio Caroli and by the exhibition curators is, in fact, the interpretation of the Last Supper – that “recall” in the title being a testament to the artists’ constant interest in traditional iconography – in the different eras and with a number of different techniques and languages.

Alessandro TrotterPresident of Fondazione Gruppo Credito Valtellinese

Presentazione / Preface

In un momento complesso e sfidante quale quello attuale, ritengo sia più che mai importante costruire azioni comuni fra musei e spazi culturali pubblici e privati.Compartecipare programmi di intervento e definire strategie di promozione condivise, capaci di dare mutua risonanza ai progetti culturali è oggi decisivo per far crescere il sistema museale Lombardo.In questo senso, il lavoro comune con il Gruppo Credito Valtellinese costituisce un’apertura verso il futuro, ed è, insieme, testimonianza della perdurante fecondità dell’opera leonardesca nella storia delle arti visive. Fecondità che è sottolineata anche da Padre Guido Bandinelli, priore dei Padri Domenicani di Santa Maria delle Grazie, che ricorda come “L’Ultima Cena” di Leonardo sia capace di esercitare un costante magnetismo - non soltanto in quanto capolavoro religioso di arte sacra ma come opera universale - in grado di parlare ai soggetti più disparati, alle culture più lontane, all’uomo di ogni estrazione ed età.

Emanuela DaffraDirettore regionale Musei Lombardia

In these complex and challenging times, I believe it is important now more than ever before to forge alliances between museums and public and private cultural spaces.Participating together in intervention programmes and defining shared promotional strategies, capable of giving mutual resonance to cultural projects, is today crucial to the growth of the museum system in Lombardy.In this way, the partnership with Gruppo Credito Valtellinese represents an opening towards the future, and it is also a testament to the lasting fruitfulness of Leonardo da Vinci’s work in the history of the visual arts. Fruitfulness which is also underlined by Father Guido Bandinelli, Prior of the Dominican Friars of Santa Maria delle Grazie, who reminds us how Leonardo’s “Last Supper” still has a powerful magnetism - not just as a religious masterpiece but as a universal artwork – capable of speaking to a range of very different subjects, to distant cultures, to people of all ages and walks of life.

Emanuela DaffraDirector of Lombardy Regional Museums Department

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“L’ultima cena” di Leonardo da Vinci è certamente il capolavoro dell’arte sacra maggiormente citato dal cinema. Le ragioni sono molteplici: la frontalità della tavola e dei suoi commensali, dimensioni del dipinto simili a uno schermo cinematografico, la drammaticità della situazione, la coralità e l’espressione viva di volti, il movimento dei corpi sono tutti elementi che rappresentano un invito per lo spettatore a “entrate nel dipinto” e a prenderne parte, un meccanismo che ritroviamo nella comune sintassi del cinema. Decine sono i film nella storia del cinema che citano in modo diretto o allusivo il capolavoro leonardesco, da Pier Paolo Pasolini, Peter Greenaway per arrivare ai I Simpson, una lista è davvero ben nutrita e sorprendente. Merita però una particolare attenzione il primo film di finzione che si imbatte in Leonardo, ovvero Christus (Italia, 1916) girato Giulio Antamoro, un film muto di valore recentemente restaurato dalla Cineteca di Milano.La regia di questo film è sull’intuizione che, nei punti culminati delle sequenze i personaggi evangelici venivano ad assumere atteggiamenti che riproducevano perfettamente alcuni quadri di maestri antichi, finché le stesse tele venivano a sostituirsi davanti alla macchina da presa. Christus, riconosciuto al suo apparire come “un capolavoro e una meraviglia rara”, è costruito pertanto da una successione di tableaux vivants cinematografici affascinati, tra cui spicca, per una precisione nei dettagli e impatto visivo proprio la Cena leonardesca, che per la prima volta compare in film di finzione. La sequenza dell’Ultima Cena è resa da Giulio Antamoro in modo ancor più spettacolare, infatti utilizza i primi “trucchi” cinematografici per far apparire in trasparenza nel cenacolo vinciano lo Spirito Santo, nella nell’immagine della colomba e una schiera di cherubini, una libertà stilistica che intreccia in modo originale linguaggi artistici diversi.

Matteo PavesiDirettore Cineteca Milano

“The Last Supper” by Leonardo da Vinci is undoubtedly the most featured religious masterpiece in cinema. There are many reasons for this: the frontal view of the table and its diners, the dimensions of the painting similar to a cinema screen, the drama of the situation, the variety of the group and their lively facial expressions, plus the movement of the bodies are all elements that invite the viewer to “enter the painting” and take part in it, a mechanism which we find in the language of the cinema. There are dozens of films in cinema history that directly or indirectly refer to Leonardo’s masterpiece, from Pier Paolo Pasolini and Peter Greenaway right down to The Simpsons, a truly long and surprising list. Worthy of special attention, however, is the first fiction film that encounters Leonardo, namely Christus (Italy, 1916) directed by Giulio Antamoro, a valuable, silent film recently restored by Cineteca di Milano.

In the culminating moments of its sequences, the direction of this film has the biblical characters take on attitudes that perfectly reproduce certain paintings by old masters, until the paintings themselves replace each other right in front of the camera. Christus, recognised upon its release as “a masterpiece and rare marvel”, is thus made up of a succession of fascinating cinematic tableaux vivants, one of the most striking being, for its accurate details and visual impact, Leonardo da Vinci’s Last Supper, which appeared for the very first time in a fiction film. Giulio Antamoro made the shot of the Last Supper even more extraordinary by using, in fact, the first cinematic “tricks” to make the Holy Spirit appear at the supper in the transparent image of a dove and a crowd of cherubs, a stylistic liberty that combines different artistic languages in an original way.

Matteo PavesiDirector Cineteca Milano

Fotogrammi dal film “Christus” (!916)Regia di Giulio AntamoroCourtesy: Cineteca MilanoStills from the film “Christus” (1916)Directed by Giulio AntamoroCourtesy: Cineteca Milano

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Sedemmo davanti alle opere già appese alle pareti, in quel pomeriggio del 1987. Eravamo in tre: Alexander Iolas (che avevo incontrato per l’ultima volta una decina di anni prima, nella sua villa-reggia di Atene, fra dipinti di Max Ernst e Magritte, sculture di Fidia e tavole di pittura El Fayum), Andy Warhol ed io. Ed era la vigilia dell’inaugurazione della mostra sull’“Ultima Cena”. Avevo scelto di non andare all’inaugurazione perché volevo parlare con calma con Andy. Avevo infatti capito che la sua scelta del tema non era né casuale né superficiale.Tutto aveva avuto inizio a New York poco prima del Natale 1975. Prima di salire alla Factory, mi ero fermato a guardare le vetrine della libreria Rizzoli, che affacciava sulla strada. Erano completamente occupate dai libri di Pier Paolo Pasolini, ucciso ai primi di novembre. Mi accolsero quattro giovanotti vestiti con abiti gessati grigi, che mi accompagnarono a visitare il leggendario opificio. L’appartamento era un po’ laboratorio e un po’ museo, insidioso e anemico. Ovunque si vedevano falli finti, provenienti dalla più diverse parti del mondo. Quando mi mostrarono il cane impagliato del

famoso regista Cecile De Mille, sentii e pensai che in quel posto si respirava un insinuante odore di morte. Warhol arrivò con mezz’ora di ritardo, in compagnia di Marisa Berenson. Mentre tentavo di salutarlo, si fece passare una macchinetta Polaroid, e mi fotografò. Il messaggio era: “Tu per me sei una frettolosa immagine, nulla di più”.Andy mi invitò a sedermi su un divano. Ma qui ci fu la prima sorpresa. Sul divano era appeso un quadro bellissimo ed enorme – per nulla warholiano – di Gustave Courbet. Rappresentava un cervo morto e sanguinante. Ancora morte.La conversazione per un po’ fu penosa. La filosofia era che tutto dovesse essere assolutamente banale.Poi mi capitò di pronunciare la parola Pasolini, e la scena cambiò. Completamente. In un attimo, Warhol diventò interessato e umano. Volle sapere tutto dell’omicidio. Mi fece domande intelligenti, profonde e anche drammatiche, Andy Warhol. Mi chiesi perché. Direi che le cause profonde coinvolgevano il piacere della sfida, il senso del pericolo, l’azzardo della passione (quanto ognuno di noi è disposto a rischiare sul tavolo delle

passioni), e in definitiva, ancora una volta, la pulsione di morte.Ecco perché, in quel pomeriggio del 1987, sentivo che l’incontro con Warhol e con un opera dedicata all’”Ultima Cena” (cioè a una anticipazione di morte) avrebbe scritto un altro capitolo nella conoscenza che avevo di lui. Il mio sospetto era che Andy, teorico del Nulla (ciò che aveva appena teorizzato nel libro “The philosophy of Andy Warhol from A to Z”) avesse orrore del Nulla, e perciò fosse continuamente assillato da temi di morte. Fatto sta che quel pomeriggio, davanti a Iolas, l’artista mi interrogò a lungo su Leonardo, ma soprattutto su Gesù e sull’Ultima Cena.La sera seguente, Mariuccia Mandelli (alias Krizia) aveva organizzato in suo onore una cena, alla quale Warhol arrivò dopo l’inaugurazione della mostra del Credito Valtellinese. Si accomodò in un tavolo proprio davanti a me. Capelli, non ne aveva più. Durante la cena, la parrucca argentata andò fuori posto. A un certo punto (non dovrei dirlo, ma lo dico, e prego di credermi), a me parve di vedere, dietro alla pelle rossiccia, il teschio sottostante. Fui certo di vedere Warhol morto.

L’ultima cena

Flavio Caroli

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Pochi giorni dopo, il Corriere della Sera titolava: “Morto Andy Warhol”. Quel giorno pensai che sull’avventura umana di un uomo così singolare la morte aleggiava, non c’era dubbio. Aspettava solo di posarsi. Adesso, si era posata. Per caso o per volontà del destino, pochi giorni dopo la realizzazione di un’”Ultima Cena”. Ecco perché dobbiamo essere grati al Credito Valtellinese per esporre la versione in suo possesso dell’opera tratta dal capolavoro di Leonardo: omaggio esplicito, per di più, al dirimpettaio più illustre, che è appunto il Cenacolo vinciano. Ed ecco perché hanno fatto benissimo i curatori della mostra ad esporre altre opere ispirate dall’Ultima Cena, per dimostrare che la narrazione insieme più drammatica e più struggete dei Vangeli è una specie di assillo che torna in tutta l’arte contemporanea.Gli accenti con i quali gli artisti del nostro tempo si sono misurati con la scena evangelica sono infatti i più diversi. Si comincia con la potenza evocativa (un po’ realisticamente drammatica, ripeto la parola, e un po’ sornionamente incantata) di Daniel Spoerri che fu uno dei padri del Nouveau Realisme, cioè dell’avventura

più intensamente “oggettuale” dell’arte europea. In mostra, il suo lavoro conosce una biforcazione creativa, che vede, da un lato, la rappresentazione proiettiva di tredici “tavole” in marmo con le “ultime cene” di personaggi illustri, esposte in permanenza a Sondrio presso il Grand Hotel de la Poste; e dall’altro, la riproposizione virtuale della “prova d’autore” per un’opera mai realizzata: la ricostruzione plastica, sul piano ortogonale, delle suppellettili rappresentate nell’“Ultima Cena” di Leonardo.Ma poi il genio leonardesco sollecita e nutre l’avventura spaziale di Filippo Avalle, che è sostenuta sul crinale sottilissimo (e così vicino al pensiero leonardesco) che divide Forma e Informe. L’opera è accompagnata da un disegno preparatorio (dello stesso 2007) che contiene una specie di dichiarazione di poetica, perché ha per titolo “Ultima Cena: inizio di un viaggio infinito nel cervello-mente”: tematica squisitamente avalliana.Ma poi l’Ultima Cena è fatalmente matrice di pulsioni espressionistiche (nel cinema in verità è stata soprattutto questo), pulsioni che nutrono il lavoro di Bruno Bordoli. Il suo grande telero a olio (“Cenacolo”, 2007) dialoga con

l’intera installazione ambientale posta a protezione del dipinto di Warol, che domina la scena. Ed è, l’”Ultima Cena”, l’abbrivio iniziatico per il viaggio nella natura, nell’umanità e nell’immagine, di Elia Festa. La sua opera di grande formato si staglia su un fondo nero assoluto, dal quale emerge, sotto forma di una moltitudine di filamenti brulicanti e sovrapposti, il contorno e i tratti riconoscibili dell’affresco leonardesco.Sì: L’Ultima Cena è l’atto quasi finale dell’avventura terrena di Gesù Cristo. Ma la sua potenza simbolica diventa immediatamente un archetipo del pensiero occidentale. Non dimentichiamoci che Gesù è l’unico Dio morto tragicamente nella storia delle religioni umane. Così, quell’archetipo, per infiniti rami, genera tormento e poesia. Tormento e poesia dei quali oggi il Cradito Valtellinese, grazie ai suoi artisti, si fa generoso e opportuno interprete.

We sat down in front of the works hanging on the walls, on that afternoon of 1987. There were three of us: Alexander Iolas (who I had met for the first time ten years before, in his villa-palace in Athens, amidst paintings by Max Ernst and Magritte, sculptures by Phidias and painted panels from El Fayum), Andy Warhol and I. And it was the eve of the opening of the exhibition of the “Last Supper”. I had decided not to go to the opening because I wanted to speak to Andy at leisure, since I understood that his choice of subject matter was neither random nor trivial.It had all started in New York just before Christmas 1975. Before going up to the Factory, I stopped to look in the shop windows of the bookshop Rizzoli on the same street. They were full of books by Pier Paolo Pasolini, who had been killed in early November. Then four young men dressed in pinstripe suits came and took me up to visit the legendary studio... The apartment was half workshop, half museum, creepy and anaemic, and there were phalluses all over the place, from every corner of the world. When they showed me the stuffed dog of the famous director Cecile De Mille, I felt that an insinuating smell of death hung in the air. Warhol arrived half an hour late, in the company of Marisa Berenson. As I tried to greet him, he had someone pass him a Polaroid camera, and he took my picture.

The message was: “To me you are a fleeting image, nothing more”.Andy invited me to sit on the sofa, and there came the first surprise. Hanging above it was a beautiful, huge painting – not remotely Warholian - by Gustave Courbet. It depicted a dead, bleeding deer. More death.For a while, the conversation was excruciating, the philosophy being that everything should be absolutely banal.Then I happened to mention the word Pasolini, and the scene changed. It changed completely. In an instant, Warhol became interested and human. He wanted to know everything about the murder. He asked me intelligent, deep and even dramatic questions, did Andy Warhol. I wondered why. I said that the underlying causes involved the thrill of the challenge, the sense of danger, the risk of passion (how much all of us are willing to put at stake at the game of passion), and ultimately, again, a death wish.That is why, on that afternoon in 1987, I felt that the meeting with Warhol and with a work dedicated to the “Last Supper” (a harbinger of death) would write another chapter in my understanding of him. My suspicion was that Andy, a Null theorist (what he had just theorised in the book “The philosophy of Andy Warhol from A to Z”) was actually terrified of Null, and was thus constantly haunted by death themes. In fact, that afternoon, in front of Iolas, the artist questioned me at length about

Leonardo da Vinci, but especially about Jesus and the Last Supper. The next evening, Mariuccia Mandelli (alias Krizia) had organised a supper in his honour, to which Warhol arrived after the opening of the Credito Valtellinese exhibition. He sat down at the table right opposite me. HIs hair had gone. His silvery wig had slipped out of place during the supper. At one point (I shouldn’t mention this, but I will, so please believe me), it was like I could see, beneath his ruddy skin, a skull. I was sure I had seen Warhol dead.A few days later, a headline in the Corriere della Sera read: “Andy Warhol Dies”. That day, I thought that death hovered over the human vicissitudes of that singular man, without a doubt. He was just waiting to rest on him. And then he did. By chance or by fate, just a few days after creating a “Last Supper”. That is why we should be grateful to Credito Valtellinese for exhibiting its version of the work inspired by Leonardo’s masterpiece: a clear tribute, moreover, to its more famous neighbour, the actual Last Supper by da Vinci. Hence the curators of the exhibition were right to display other works inspired by the Last Supper, to show that the most dramatic and heart-wrenching story from the Gospels is a sort of obsession around which all contemporary art revolves.The accents with which the artists of our times have taken on the gospel scene are in

The Last Supper

Flavio Caroli

Copertina di “Warhol’s Interview”, il magazine fondato dall’artista americano e distribuito in occasione dell’inaugurazione del Refettorio delle Stelline nel 1987Cover of “Warhol’s Interview”,the magazine founded by the American artist and distributed for the opening of the Refettorio delle Stelline in 1987

In apertura:Elia Festabozzetto preparatorio dell’opera “Ultima cena” (2013) Stampa Giclèe su 100% cotoneOpening page:Sketch preparatory of the opera “Last Supper” (2013) Giclèe print on 100% cotton

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fact all quite different. The exhibition begins with the evocative power (a bit realistically dramatic, to repeat the word, and a bit artfully bewitched) of Daniel Spoerri who was one of the fathers of Nouveau Realisme, namely the most intensely “object” art movement in Europe. Here, his work takes a creative bifurcation, which sees on one side the video projection of thirteen “tables” in marble with the “last suppers” of famous people, on permanent display in Sondrio at the Grand Hotel de la Poste; and on the other, the virtual reproposition of the “artist’s proof” for a work never executed: the plastic reconstruction, on an orthogonal plane, of the furnishings depicted in Leonardo’s “Last Supper”.Then Leonardo’s genius stimulates and feeds the spatial adventure of Filippo Avalle,

which is supported by an ultra-thin ridge (and so close to Leonardesque thinking) which separates Form and Formless. The work is accompanied by a preparatory drawing (from the same year, 2007) that contains a sort of poetic declaration, as it is entitled “Last Supper: the beginning of an infinite journey through the brain-mind”: an exquisitely Avallian subject.But then the Last Supper is fatefully a matrix of expressionistic stimuli (it has been this in particular in cinema), that feed the work of Bruno Bordoli. His large “telero” oil painting (“Cenacolo”, 2007) dialogues with the entire environmental installation set up to protect Warhol’s painting, which dominates the scene. And the ’”Last Supper”, is indeed the start of a journey through nature, humankind and

imagery, by Elia Festa. His large-format work stands out against an all-black background, from which, in the form of a multitude of bristling and overlapping fibres, the outlines and recognisable features of Leonardo’s fresco emerge.Yes: the Last Supper is the near final act in the earthly adventures of Jesus Christ. But its symbolic power immediately becomes an archetype in Western thinking. Remember that Jesus is the only God to die tragically in the history of human religions. So, that archetype, in countless different ways, generates agony and poetry. Agony and poetry of which Credito Valtellinese, thanks to its artists, is the generous and fitting interpreter today.

Timbro e tamponi inchiostrati realizzati da Alexandre Iolas in occasione della mostra “Il Cenacolo” al Refettorio delle Stelline (1987)Ink stamp and pads created by Alexandre Iolas for the exhibition “Last Supper” at the Refettorio delle Stelline (1987)

Maria MulasL’inaugurazione della mostra“Andy Warhol. Il Cenacolo”alla Galleria Credito Valtellinese, 1987Stampa su carta fotograficaMisure varieInauguration of the exhibition“Andy Warhol. Il Cenacolo”at the Galleria Credito Valtellinese, 1987Prints on photographic paperVarious dimensionsCourtesy Archivio Maria Mulas, Milano

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BIBLIOGRAFIA CARTACEA

MemphisGQ - American Edition (n. 6/1988) con Aldo Cibic, Ettore Sottsass jr, Marco Zanini e Michele De Lucchi ritratti fra oggetti e accessori Memphis.

Anna GiliExhibition Catalogs: 1992 Nuovo Bel Design Catalogo ateneLa fabbrica estetica.

Alessandro GuerrieroDisegni di Alchimia, 1976-1992a cura di Alessandro Guerriero e Remo Rapetti.

Postmedia books 201356 pp. 32 illustrazioni a coloriformato 150x150 mm. testi in italiano e inglese.

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Gabriele BasilicoMilano. Ritratti di fabbriche. Ediz. illustrata Editore: 24 Ore Cultura (5 novembre 2009).

PansecaCuore 1/17, 15 maggio 1989(numero speciale per il congresso del PSI) pag. 4 (recto) e testata (verso): “Il gioco della Piramide”.

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Occhio Magico- http://www.darsmagazine.it/

occhiomagico-magnifica-illusione/#.XGWZ3S2h3OQ

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Francesco Garbelli- http://www.lagiarina.it/francesco-

garbelli/ zebra

Corrado Levi- http://www.inventario-bookzine.com/

archive_01.html - Catalogo mostra “Metaretorica”

- https://www.domusweb.it/it/recensioni/2012/06/29/il-passare-del-tempo-per-corrado-levi.html

Keith Haring- https://milano.repubblica.it/

cronaca/2011/03/09/foto/marco_cingolani_l_arte_della_cronaca_dall_omicidio_moro_all_attentato_al_papa-13380627/3/

Discografia Fuck Art 2012: Lovers Arcade (EP, Audiolith )2014: Atlas (Album, Audiolith)2017: avanti! Futuro! (Album, Audiolite)

Giacomo Spazio- http://www.sodapop.it/phnx/un-

quadro-di-giacomo-spazio/ - https://www.sullamaca.it/tag/

giacomo-spazio/

Mario Convertino- http://www.motiongraphics.

it/2010/12/studio-convertino-mister-fantasy-reload-rewind/

Teatro del Mondo Aldo Rossi- https://www.lastampa.

it/2012/07/23/cultura/aldo-rossi-l-architettura-come-teatro-1rQLWRrXKKfphNfm7BHa7I/pagina.html

- https://www.domusweb.it/it/architettura/2012/07/02/architettura-polemica-e-politica.html Catalogo della mostra Editions du Centre Pompidou.

- http://www.progetti.iisleviponti.it/Palazzo_Enciclopedico/html/rossi.html

- https://ita.archinform.net/projekte/250.htm !

Cabina Aldo Rossi- https://www.fondazionealdorossi.

org/opere/1980-1989/armadio-cabina-dellelba/ https://design.repubblica.it/2016/04/20/aldo-rossi-a-milano/#1

- https://www.longonibruno.it/rossi.html

Arduino Conform- https://ivanquaroni.com/category/

arduino-cantafora/ http://ffmaam.it/mostre/de-rerum-natura-1991

- http://ffmaam.it/pubblicazioni/comunita-italia-2015

Gabriele Basilico- http://www.micamera.com/shop/tip-

the-italian-photobook/milano-ritratti-di-fabbriche-gabriele-basilico/

Panseca- https://www.academia.

edu/16834288/Filippo_Panseca_Armonie_Digitali

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- http://www.castellocarlov.it/mostra-andy-warhol-ladies-vs-gentleman-gli-scatti-maria-mulas-1975-1985/

Dialogo con Filippo Avalle

Filippo Avalle, alla metà degli anni Settanta, il critico-guru Pierre Restany dedicò al tuo lavoro un’indimenticabile focus sulle pagine di “Domus”. La sua rubrica, rilegata in carta ‘povera’ nel sedicesimo finale della famosa rivista di architettura era, assieme a “Flash Art” una sorta di ‘vangelo’ dello spirito del contemporaneo nell’arte, nel design e nella moda. Il tuo progetto artistico, definitosi già al tempo come una sperimentazione di assoluta avanguardia sulle tecnologie della luce come la fibra ottica, aveva impressionato il pubblico e una certa critica molto attenta alle nuove sperimentazioni e al distacco dall’estetica del Post Modern e della Transavanguardia, allora imperanti. E’ corretto indicare in te il primo sperimentatore a tutto tondo di queste nuove tecniche, materiali e processi?

In America intorno agli anni Settanta, nel campo del design, furono usate le fibre ottiche in vetro per la realizzazione di lampade decorative. In Italia, nell’ambito del programma di ricerche dell’ENEL per la diversificazione delle fonti di energia, nel 1978 fu sperimentato un apparecchio di captazione e di trasporto della luce solare mediante condotti ottici in vetro (fibre ottiche). Per un uso artistico, notevolissimi erano i limiti tecnici e soprattutto per

il trattamento delle componenti vitree. In occasione di una mostra personale a Palazzo Citterio - sede “Brera Due – Immagine del Museo degli anni Ottanta”, Pinacoteca di Brera, Comune di Milano, 1981 - ebbi modo di utilizzare un condotto ottico in vetro (in prestito dal CESI) per portare la luce direttamente all’interno di una scultura, avente per soggetto un occhio visto sotto forma di strati successivi. Nel 1988 ebbi un incarico dal CERN di Ginevra per la realizzazione di un controsoffitto che doveva sostenere un impianto di illuminazione con proiettori per luci sagomate, all’interno del nuovo centro di accoglienza per visitatori (Microcosm). Fino ad allora venivano usate le fibre ottiche in vetro per visualizzare gli scontri tra le particelle attraverso scintillatori. In una prima fase si pensò di utilizzare le fibre ottiche in vetro, ma l’applicazione implicava delle problematiche troppo difficili e rischiose ai fini di una adeguata illuminazione del teatro. L’esperienza con gli scienziati fu comunque per me una palestra verso la preparazione a questa affascinante sfida di condurre la luce da un punto all’altro in senso lineare.L’invenzione delle fibre ottiche in metacrilato (PMMA) ha rappresentato per me un indubbio interesse. Ebbi la possibilità di realizzare un primo modello in scala 1:50 dell’illuminazione per il “Microcosm” con fibre ottiche in metacrilato, forniti da una ditta italiana, che stava iniziando a promuovere l’uso di questa tecnologia di illuminazione. Debbo ricordare che questo modello fu esposto per la prima volta nella Galleria del Credito Valtellinese a Sondrio nel 1989, con la collaborazione di Philippe

Daverio. Bisogna sapere che le fibre ottiche in metacrilato non erano ancora presenti sul mercato e che in Italia nessuno, nel campo dell’arte, vi si era ancora cimentato. Solo nel 1992, in occasione di un’importante committenza per la realizzazione di un “obelisco luminoso” alto 11 metri da installare sulla nave da crociera Costa, ebbi la possibilità di usare per la prima volta, in scala reale, le fibre ottiche in metacrilato grazie alla consulenza tecnica di Paolo Mascherpa e alla fornitura da parte di una ditta americana allora all’avanguardia. L’avvento dei LED fu per me una seconda grande opportunità per ottenere una diffusione maggiore della luce all’interno delle mie opere sculturali e raggiungere effetti stereo-stratigrafici alle mie figurazioni. Bisogna ricordare che nel 1997 in Italia, nel settore del design della luce, Ingo Maurer fu il primo a realizzare una lampada LED. Nell’anno 1999 incontrai un ingegnere che lavorava per conto della FIAT e che sperimentava LED (della Telefunken) per i cruscotti delle auto. Ebbi così l’opportunità di imparare a realizzare gli impianti elettrici per far funzionare molti LED insieme. Con quella tecnologia realizzai, dapprima, una lampada artistica intitolata “77 LED” e, successivamente, riuscii a diffondere la luce con molta più efficacia; per usare una metafora: a scolpire con la luce. A questo proposito debbo ricordare che già nel 1979 avevo sperimentato per la prima volta effetti olografici mediante la realizzazione di un ologramma per trasmissione - grazie alla collaborazione dell’ingegner Bruno Maiocchi (che mi insegnò a tingere il metacrilato per ottenere i colori locali e ad usare i filtri

interferenziali per i colori spaziali) - e per la realizzazione, grazie a un laboratorio olografico di New York. Ebbi poi un incarico per insegnare “Tecnologia, materiali, strumenti – Design della luce” alla NABA di Milano. Per l’occasione allestii un laboratorio didattico e di ricerca attivo fra il 1999 e il 2018.

Cosa ricordi di quel periodo e quale fu il tuo rapporto con Restany?

Il rapporto con Restany fu saltuario; non si trattava di un critico con la costante attenzione verso il mio lavoro. Il suo arco critico era ormai terminato con la fine del Nouveau Réalisme – fenomeno artistico collegato in Italia con la Galleria Apollinaire di Guido Le Noci. “Helma Opera Labirinto” (1974, oggi nella collezione MART / VAF Stiftung) fu realizzata su commissione proprio dal gallerista che a quell’epoca voleva rinnovare la sua offerta culturale. Lo incontrai alla Rizzoli in occasione della mia personale e mi commissionò un incarico di un anno per la realizzazione di una sola opera. Considero, del resto, l’intero mio lavoro come un’opera unica. Nel 1975 mi sentivo isolato rispetto ai movimenti dominanti (Arte povera, concettualismo e Transavanguardia) e non mi sentivo di condividere quel clima. Con quest’incarico offertomi da Le Noci ho avuto l’opportunità di lavorare da solo al di fuori del ‘sistema’ e del mercato, godendo di un rapporto stretto fra committente e artista. Più tardi, dal ’77-‘78, trovai in Philippe Daverio e Paolo Baldacci – appena divenuti galleristi in Milano: in seguito fecero un fugace balzo a New York con l’apertura di uno spazio a Chelsea - due mecenati che mi hanno dato la

possibilità di proseguire la ricerca e di accrescere la visibilità in Italia.

In cosa consisteva allora la sperimentazione sulle nuove tecniche e sui nuovi materiali e quali le differenze con il tuo lavoro di oggi?

Le sperimentazioni deglianni Sessanta sul tema della luce provenivano dalle ricerche d’avanguardia di Moholy-Nagy e dei fratelli Pevsner. Non vedevo però una visione d’insieme. Grazie al materiale metacrilico – ebbi la fortuna a ventidue anni di entrare nel laboratorio “PolimeroArte” della Mazzucchelli a Castiglione Olona dove conobbi un artigiano illuminato, Giorgio Bonafé, che mi fece conoscere questo nuovo materiale trasparente, versatile e conduttore di luce – decisi di coniugare i materiali tradizionali quali pittura, scultura, arte vetraria con la sperimentazione di nuove tecnologie. Questa congiunzione fra passato, presente e futuro ha fornito uno spunto alla ricerca che mi ha imposto di non negare nulla e di fondere il tutto in un sistema complesso. “Complessità” – parola oggi abusata – era negli anni ’70 quasi uno stigma. Contemporaneamente ebbi modo di congiungere tutti gli elementi di questa sperimentazione in un’opera unica e continua.

Quali implicazioni filosofiche hanno generato la tua elaborazione estetica?

In una visione ecosofica, dove il rapporto fra vita e morte, bene e male sono mischiati e dove la verità si rivela per parti luminose e buie e dove noi artisti facciamo lo sforzo per vedere il tutto. Un esempio? Il poema visivo che da oltre dieci anni porto avanti: “La storia dell’uomo riccio” che origina

dalle mie esperienze d’artista ma che prende spunto dal libro di Anna Stepanova Politkovskaja e da un certo suo racconto che narra l’incontro con un piccolo uomo, cieco, che durante la guerra in Cecenia decide di voler morire, evitando di scappare di fronte alla tragedia. Ogni volta che sente uno sparo, quell’uomo, si chiude in se stesso - ‘a riccio’, appunto -. Ci ho visto una grande metafora dell’oggi e della nostra civiltà. Questa figura è la trasposizione della sua possibilità di poter proseguire nonostante tutto. Specialmente nella ricerca artistica. Questo progetto si compone di un ciclo ci 16 sculture, un testo drammaturgico per un teatrino mitopoietico, di un opera di disegno a colori e di un libro da 400 tavole composto da 11 atti illustrati con 110 quadri complessivi.

In questa mostra, “The Last Supper Recall”, esponiamo un’interpretazione dell’“Ultima Cena” di tua creazione accompagnata da un complesso disegno preparatorio. Puoi ricordare la genesi di questo lavoro?

E’ preceduto da un’esperienza unica. Nel 2002 fui incaricato per la realizzazione di una Via Crucis per una nuova chiesa a Montegrosso d’Asti progettata da Roberta Ceccarelli. Si trattava di un nastro narrativo di dieci metri, in leggera curva, integrato alle partizioni architettoniche dell’edificio. Ecco l’antecedente che per me costituiva una sfida; quella di rappresentare contenuti religiosi in chiave laica. Ad esempio: la croce non è quella dell’iconografia Cristiana ma è la rappresentazione dei tre momenti di impatto, deflagrazione e collasso delle Twin Towers dell’11 settembre 2001. Giovanni Quadrio Curzio e

Fernando Gianesini, proponendomi una commissione dedicata all’Ultima Cena - e avendo visto la prima stazione della Via Crucis allora in costruzione - mi invitarono a lavorare sul tema dell’esplosione che è portante nell’opera realizzata per Creval.

La mostra del 2007, curata da Philippe Daverio e Dominique Stella, si prefiggeva di accendere uno spot su questa dialettica fra il referente rinascimentale leonardesco e il fenomeno dell’interpretazione contemporanea radunando autori come Andy Warhol, Daniel Spoerri, Martial Raysse. Ritieni sia stato centrato l’obiettivo?

Penso di si. Soprattutto dal punto di vista dell’omaggio a Leonardo. Non era possibile, del resto, proporre una competizione fra il precedente e gli interpreti. Per quel che mi riguarda la figura del Genio rinascimentale ha sempre rappresentato un modello per il mio lavoro, per il coraggio della sperimentazione, assieme a Hieronymus Bosch, per l’afflato narrativo.

Il progetto cui stiamo lavorando, ora con il supporto critico-interpretativo di Flavio Caroli, si propone invece di portare all’attenzione del pubblico il fenomeno del “Recall” con la collezione di opere di artisti presenti nella Creval Corporate Collection e con il supporto della tecnologia messa al servizio del richiamo, o se vogliamo, della riproposizione – a distanza di tempo – di prove d’artista, di installazioni non trasferibili in Galleria e di proiezioni di film originali d’artista. Come ti collochi in questa nuova composizione di elementi e cosa ti aspetti dalla mostra?

Mi aspetto un’evoluzione del progetto espositivo fatto in passato e mi aspetto un superamento dei limiti avuti nel passato. È anche un’occasione per parlare alle nuove generazioni.

Stiamo attraversando prove di particolare durezza e difficoltà – mi riferisco allo scenario pandemico attuale – mentre tu, forte di 50 anni di lavoro nell’arte contemporanea, stai realizzando il “Museo Filippo Avalle”, un sito di conservazione e cura delle tue creazioni che si avvarrà di apparecchiature domotiche per scenari cangianti e immersivi. Quale il dialogo fra questi due aspetti: quello della musealizzazione della creatività individuale e quello dell’inevitabile modificazione dei sistemi di fruizione dell’arte?

Tutto oggi è museificazione. Anche le città d’arte e i centri storici sono museificazione. Il museo della luce (70 sculture e 30 disegni) non vuole essere un’antologica permanente. E’ piuttosto la realizzazione di un collegamento fra le opere a formare un gesto unico in un ambiente convergente, quasi un tessuto connettivo. C’è anche un impegno verso il mostrare la poliedricità del mio lavoro in un ambiente in grado di visualizzarla al meglio. Il museo è a Brienno, in una casa a picco sul Lago di Como: al piano superiore abito con mia moglie, al piano terreno c’è l’atelier con lo spazio del museo. L’apertura è prevista per la primavera 2021

20 21

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BIBLIOGRAFIA CARTACEA

MemphisGQ - American Edition (n. 6/1988) con Aldo Cibic, Ettore Sottsass jr, Marco Zanini e Michele De Lucchi ritratti fra oggetti e accessori Memphis.

Anna GiliExhibition Catalogs: 1992 Nuovo Bel Design Catalogo ateneLa fabbrica estetica.

Alessandro GuerrieroDisegni di Alchimia, 1976-1992a cura di Alessandro Guerriero e Remo Rapetti.

Postmedia books 201356 pp. 32 illustrazioni a coloriformato 150x150 mm. testi in italiano e inglese.

“Architetture estive” curato da Franco Raggi per il Comune di Rimini (1982).

Corrado LeviCatalogo mostra “Metaretorica. Parafrasando Corrado Levi”, Salto Epistemologico, pg. 59. https://issuu.com/sabatinodesigner/docs/catalogo Published on Feb 22, 2016.

Tino Stefanoni“L’ENIGMA DELL’OVVIO” Creval Milano.

Arienti - AlgheBeppe Finessi, Stefano Arienti: di muffe, di alghe, di carte e di altre storie, in “Abitare” n. 446, gennaio 2005, p. 122, 123.

Keith HaringThe Authorized BiographyDi John Gruen, pg 240Keith Haring Journals: (Penguin Classics Deluxe Edition).

Aldo RossiLa scuola di Fagnano Olona e altre storie, Di AA.VV. pg 135.

Drawings and Paintings, Di Aldo Rossi, Carter Ratcliff, Stefanie Lew pg 145.

Gabriele BasilicoMilano. Ritratti di fabbriche. Ediz. illustrata Editore: 24 Ore Cultura (5 novembre 2009).

PansecaCuore 1/17, 15 maggio 1989(numero speciale per il congresso del PSI) pag. 4 (recto) e testata (verso): “Il gioco della Piramide”.

MulasMostra presso Complesso monumentale Castello Carlo V, Lecce, dal 25 Giugno al 20 Novembre 2016, Andy Warhol Ladies vs Gentleman e gli scatti di Maria Mulas, 1975–1985, catalogo - immagine Andy Warhol.

BIBLIOGRAFIA ONLINE

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Copertina di Domus, aprile 1983 Collezione. Occhiomagico, Milano - http://www.aisdesign.org/aisd/tag/

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Occhio Magico- http://www.darsmagazine.it/

occhiomagico-magnifica-illusione/#.XGWZ3S2h3OQ

Nell’insertoun estratto dal catalogo Architetture estive, curato da Franco Raggi per il Comune di Rimini (1982)

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garbelli/ zebra

Corrado Levi- http://www.inventario-bookzine.com/

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Discografia Fuck Art 2012: Lovers Arcade (EP, Audiolith )2014: Atlas (Album, Audiolith)2017: avanti! Futuro! (Album, Audiolite)

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Dialogue with Filippo Avalle Filippo Avalle, in the mid Seventies, the guru-critic Pierre Restany dedicated an unforgettable feature to your work in the pages of “Domus”. Bound in ‘simple’ paper in the sixteenth-last issue of the famous architecture magazine, his column was, together with “Flash Art”, a sort of ‘gospel’ of the contemporary spirit in art, in design and in fashion. Your art project, already defined back then as a work of absolute avant-garde using light technologies such as optical fibre, had impressed the public and a certain critics highly conscious of new experimentations and the break away from the then predominant aesthetics of Post Modern and of Transavantgarde. Is it correct to identify you as the first all-round experimenter with these new techniques, materials and processes?

In the field of design in America around the Sixties, glass optical fibres were used to make decorative lamps. In Italy, as part of ENEL’s research programme to diversify energy sources, in 1978 a capture and transmission device for sunlight was tested using optical fibres in glass. For artistic use, the technical limitations were well noted and above all those for treating glass components. For a solo exhibition in Palazzo Citterio – the venue for “Brera Due – Immagine del Museo degli anni Ottanta”, Pinacoteca di Brera, Milan, 1981 – I was able to use a glass optical

fibre (on loan from CESI) to bring light directly inside a sculpture, which was an eye seen in the form of a series of layers. In 1988 I was commissioned by CERN in Geneva to create a false ceiling that had to support a lighting system with projectors for modelled lights, inside the new visitors’ centre (Microcosm). Up until then, glass optical fibres were used to view the collisions between particles using scintillators. Initially, the use of glass optical fibres was considered, but their application entailed problems that were too difficult and risky. My experience with the scientists was training in preparation for this fascinating challenge to conduct light from one point to another in a line.The invention of optical fibres in methacrylate (DMMA) was of undoubted interest to me. I was able to make an initial 1:50 scale model of the lighting for “Microcosm” with big cages of optical fibres in methacrylate, supplied by an Italian company, which was beginning to promote the use of this lighting technology. Remember that this model was exhibited for the first time in the Credito Valtellinese Gallery in Sondrio in 1989, with the collaboration of Philippe Daverio. Also that optical fibres in methacrylate were not yet on the market and in Italy, nobody, in the art field, had tried them out yet. Only in 1992, for an important commission to make an 11-metres tall “luminous obelisk” to be installed on the Costa cruise ship, did I have the chance to use methacrylate optical fibres in full scale for the first time, thanks to the partnership with and supply of an American company then at the cutting edge. The dawn of LEDs was for me a second

major opportunity to achieve greater diffusion of light inside my sculptures and to attain stereo-stratigraphic effects for my representations. Remember that in the lighting design sector in Italy, Ingo Maurer was the first to create a LED lamp in 1997. In 1999 I met an engineer who was working for FIAT and was trying out LEDs (by Telefunken) for car dashboards. So I had the chance to learn how to make electrical plants to make lots of LEDs work together. With that technology, I first created an artistic lamp entitled “77 LED” and later, I succeeded in diffusing light much more effectively: sculpting with light, to use a metaphor. In this regard, remember that in 1979 I had already tried out holographic effects for the first time by making a hologram for transmission – thanks to the collaboration of the engineer Bruno Maiocchi (who taught me to dye the methacrylate to achieve local colours and to use interference filters for spatial colours) – and for the actual execution, thanks to a holographic laboratory in New York. Then, I got a job teaching “Technology, materials, instruments – Lighting design” at NABA in Milan. On that occasion I set up a teaching and research laboratory active between 1999 and 2018.

What do you remember from that time and what was your relationship with Restany?

My relationship with Restany was intermittent; he was not a critic that paid constant attention to my work. His critical career had already concluded with the end of Nouveau Réalisme – an artistic movement located in Italy with the Galleria Apollinaire of Guido Le Noci. “Helma Opera Labirinto” (1974, now in the

MART / VAF Stiftung collection) was created at the commission of the gallery owner who at that time wanted to update his cultural range. I met him at Rizzoli at my solo exhibition and he gave me a one year commission to create just one work. I do consider, moreover, my entire oeuvre as one single work. In 1975 I felt isolated from the dominant art movements (Arte povera, Conceptual art and Transavantgarde) and I didn’t feel like sharing that mood. With this job offered to me by Le Noci, I had the chance to work alone and outside the ‘system’ and the market, benefitting from a close relationship between client and artist. Later, from ’77-‘78, Philippe Daverio and Paolo Baldacci – who had just become gallery owners in Milan, and later made a fleeting stint in New York with the opening of a space in Chelsea – were two patrons who gave me the chance to continue my work and increase my visibility in Italy.

What was your experimentation with new technologies and new materials like then, and what were the differences with your work today?

My work in the Sixties with light came from the avant-garde production of Moholy-Nagy and the Pevsner brothers. However I couldn’t see any overall vision. Thanks to methacrylate – I had the fortune at the age of twenty-two of joining Mazzucchelli’s “Polimero Arte” workshop in Castiglione Olona, where I met an illuminated artisan who introduced me to this new transparent, versatile material and conductor of light – I decided to combine traditional practices like painting, sculpture and glass working with experimentations in new technologies. This combination of the past, present and future provided a

cue in my work which forced me not to deny anything and to mix everything into one system. “Complexity” – a word abused today – was almost a stigma in the ’70s. At the same time I was able to combine all the elements in this experimentation into a single and ongoing work.

What philosophical implications have generated your aesthetic development?

In an ecosophical vision, where the relationship between life and death, between good and evil is mixed, and where truth is revealed in light and dark areas, where we artists make efforts to see it all. An example? The visual poem I have been continuing with for over ten years: “The story of the hedgehog man” which comes from my own experiences as an artist but also takes inspiration from the book by Anna Stepanova Politovskaja and from a certain one of her stories that talks about a meeting with a small, blind man, who during the war in Chechnya decides he wants to die, and avoid fleeing in the face of tragedy. That man, every time he hears a gunshot, closes in on himself – indeed ‘like a hedgehog’. I saw that as a great metaphor for today and for our civilization, a transposition of the ability to keep going no matter what. Especially in artistic work. This project is made up of a cycle of 16 sculptures, a play for a mythopoeic theatre, a colour drawing and a book with 400 plates made up of 11 illustrations, with 110 pictures in total.

In this exhibition, “The Last Supper Recall”, we are exhibiting an interpretation of the “Last Supper” you created accompanied by a complex preparatory drawing. Can you remember the genesis of this work?

It is preceded by a unique experience. In 2002, I was commissioned with the creation of the Stations of the Cross for a new Church in Montegrosso d’Asti designed by Roberta Ceccarelli. It was a narrative strip ten metres long, slightly curving, and integrated into the architectural partitions of the building. That event was a challenge for me, to represent religious content in a secular way. For example: the cross is not the one in Christian iconography, but is the representation of the three moments of impact, explosion and collapse of the Twin Towers on 11 September 2001. Giovanni Quadrio Curzio and Fernando Gianesini, by offering me a commission dedicated to the Last Supper – and having seen the first station of the cross then being created – invited me to work on the subject of the explosion which is the key to the work executed for Creval.

The 2007 exhibition, curated by Philippe Daverio and Dominique Stella, set out to shine a spotlight on this dialogue between the Leonardesque Renaissance reference and the phenomenon of contemporary interpretation by bringing together authors such as Andy Warhol, Daniel Spoerri and Martial Raysse. Do you think that goal was achieved?

I think it was. Especially from the viewpoint of the tribute to Leonardo da Vinci. It wasn’t possible, moreover, to propose a competition between the previous and its interpreters. As far as I am concerned, the figure of the Renaissance genius has always been a model for my work, for the courage of his experimentation, together with Hieronymus Bosch, in narrative inspiration.

The project we are working on, now with the critical-interpretive support of Flavio Caroli, instead sets out to bring to the public’s attention the phenomenon of “Recall” with the collection of works by artists in the Creval Corporate Collection and with the support of the technology now at the service of recall, or, as it were, the re-proposal – years later – of artists’ proofs, of installations not transferrable to the gallery and of showings of artist original films. Where do you fit into this new composition of elements and what do you expert from the exhibition?

I expect an evolution of the past exhibition project and I expect past limits to be surpassed. It is also an occasion to speak to the new generations.

We are going through some particularly tough and difficult ordeals – I’m referring to the current pandemic situation – while you, on the back of 50 years of work in contemporary art, are creating the “Filippo Avalle Museum”, a place for the conservation and care of your creations which will be using home automation systems to create shimmering and immersive scenarios. What is the dialogue between these two aspects: the museumification of individual creativity and the inevitable modification of art experience systems?

Everything is museumification today. Even the art cities and old historical centres are museumification. The light museum (70 sculptures and 30 drawings) does not set out to be a permanent anthology. It is rather the creation of a connection between the works to form a single gesture in an integrated setting,

almost a connective tissue. There is also an effort to show the multifaceted nature of my work in an environment that makes it easier to view. The museum is in Brienno, in a house overlooking Lake Como: I live on the upper floor with my wife, while on the ground floor there’s the workshop with the museum space. It is due to open in spring 2021

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Filippo Avalle“Ultima Cena”:inizio di un viaggio infinito nel cervello-mente, 2007disegno su carta“Last Supper”:the beginning of a non-stop journey through the brain-mind, 2007drawing on paper68x200 cmCollezione / Collection Creval, Sondrio

Pagina seguente / next page:Filippo AvalleUltima cena, 2007struttura stratigrafica in metacrilato colorato a 4 stratiLast Supper, 2007stratigraphic structure4-layer methacrylic cage180x71x12 cmCollezione / Collection Creval, Sondrio

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Sei domande a Bruno Bordoli

Da più di dieci anni abbiamo il privilegio di godere di una speciale familiarità con i tuoi quadri. Tutto è cominciato con l’incontro che Philippe Daverio aveva combinato nel peristilio del Chiostro di Santa Maria delle Grazie quando ti presentò fra gli artisti ‘di scuderia’ da includere nel progetto espositivo “Ultime Ultime Cene” del 2006-2007. Quando ha avuto inizio, e in quale occasione, il vostro sodalizio e la vostra amicizia?

Ho conosciuto Philippe nel 2001 in occasione della partecipazione alla mostra “Simboli e simbolismi nell’arte contemporanea en blanc et noir” all’Area Ticosa di Como. Visto il suo apprezzamento per il mio lavoro, sono seguiti incontri a casa sua e nel mio studio; è nata così l’amicizia e la stima reciproca che ha portato alla realizzazione di diversi progetti espositivi e che si è bruscamente e dolorosamente interrotta il 2 settembre, quando ci ha lasciati.

Ci fu poi l’occasione della mostra itinerante che aveva come sottotitolo, dopo il tuo nome, le parole “Con Anima”. Si trattava di un ciclo espositivo itinerante per città estremamente diverse - Sondrio, Fano, Acireale - eppure tutte, invariabilmente, conquistate dal tuo mondo espressivo e dall’interiorità che riuscisti a tradurre su tele, cartoni preparatori, collage e bozzetti su carta. A distanza di un lustro, che cosa ha prodotto quell’esperienza?

La consapevolezza che il lavoro artistico è oggi più che mai chiamato

a compiere una funzione etico-sociale affinché le immagini - se parliamo di pittura - possano indurre il cervello dello spettatore a ‘ricreare l’opera’ all’interno di una ricerca verso il significato del tempo e della vita. Domande su cui da sempre l’uomo si interroga e che, com’è noto, restano senza risposta.

Rispetto ai tuoi lavori iniziali, caratterizzati dalla ricerca sui volumi, sulla compenetrazione geometrica e sulla sperimentazione pittorica in toni acidi e quasi respingenti, il tuo cammino di fede – che ha coinciso anche con la tua partecipazione al Camino de Santiago – sembra aver acuito i contrasti annullando però l’astrazione geometrica in favore della figura umana. Quello che ci presenti è però un Uomo perduto, abbacinato, lacerato da un disorientamento ancestrale, spesso sottomesso a figure altisonanti e ieratiche cui attribuisci volti zoomorfi in atteggiamento giudicante e persecutorio. Come spieghi questa deriva figurale e narrativa?

Nell’intervallo tra nascita e morte la nostra mente, mediante la vista, percepisce immagini che vengono rielaborate da due parametri fondamentali di conoscenza: razionale e irrazionale. Credo che su questo crinale instabile transitino le mie immagini. Figure, presagi, proiezioni queste, che definirei testimoni del “dubbio esistenziale”.

Venendo all’iconografia de l’Ultima Cena di Cristo e alle sue

interpretazioni contemporanee, vorremmo ti sbilanciassi su un giudizio verso gli artisti che, come te, espongono in questa collettiva-monografica. Come giudichi il salto narrativo riconoscibile fra Daniel Spoerri e l’insieme Avalle-Warhol-Festa? Il primo – quasi un archeologo alla ricerca di un documento storico che non esiste: l’imbanditura delle suppellettili utilizzate da Cristo e dagli apostoli nel momento finale della loro avventura – sembra voler realmente risalire all’iconografia tradizionale, mentre i secondi sembrano invece assicurare all’egemonia creativa della loro interpretazione, l’esistenza di un fotogramma evangelico che nessun’altro potrà mai provare.

Credo si tratti di un approccio diverso all’evento “Ultima cena”: il salto narrativo messo in opera dagli artisti, coi quali condivido l’esperienza odierna, secondo me è determinato dalla preminenza in loro dell’uso della ragione che si trasforma in reinvenzione culturale ed estetica. Quel lontano avvenimento, dopotutto, è documentato solo da antiche parole. Per quanto mi riguarda ho affrontato il tema inseguendo l’irrazionale ipotesi di essere ‘spettatore’ dell’evento.

Pensando ora al tuo contributo per questa mostra - dove un’“Ultima Cena” di due metri per tre occupa il fondale prospettico della Galleria - si affaccia l’immaginario del telero veneziano come pala d’altare svettante al centro della navata di una chiesa cinquecentesca. Condividi questa lettura?

Per me l’arte a tema religioso (sbrigativamente definita sacra) va rapportata agli atti e ai luoghi ove la maggior parte degli individui manifesta la propria fede o la ricerca di tale bene. Credo quindi che oggi, forse più che mai, sia necessario ricostituire questo legame che tramite architettura e immagine concorre a concretizzare sensorialmente l’invisibile e l’ineffabile oggetto di fede. E ciò, in special modo, vale per la nostra millenaria cultura e tradizione europea. Condivido quindi la possibile lettura che suggerisci.

Fra le recenti pubblicazioni di un certo rilievo, attorno alla tua opera, c’è una Bibbia illustrata. Ce ne parli?

“La Bibbia Illustrata”, pubblicata da Mondadori-Electa nel 2018, con testi di Philippe Daverio, Fra Paolo Garuti, Jean Blanchaert, Mauro Zanchi e Rinaldo Invernizzi, consta di 380 tavole: le immagini si rifanno all’immane energia narrativa del testo e cercano di restituire il racconto spirituale rapportandolo alla condizione umana e all’enigma dell’esistenza nel cammino verso il riscatto finale.

In questo tempo incerto, afflitto da un Pianeta malato il cui dolore si manifesta in modo sempre più evidente, tu, da artista solitario quale sei, stai pianificando un archivio in grado di diffondere e proteggere un lavoro lungo 50 anni. Come ti poni fra desiderio di conservazione della creatività individuale e modificazione dei modi del produrre arte?

Il ‘fare arte’ oggi è di difficile lettura. Il pensiero creativo mi sembra

stia subendo un forte processo di omologazione, rapido tanto nell’evoluzione del medium quanto nell’oblio del messaggio. Penso sia doveroso insistere, per un artista, nel faticoso e lento recupero della memoria e della conservazione della creatività individuale. Soltanto così si potrà attingere, anche in prospettiva, a un utile bacino di libertà (non anarchia) intesa come bene collettivo e terra fertile per un avvenire eticamente sostenibile. Con l’appoggio di alcuni estimatori del mio lavoro è nato il progetto di realizzare un archivio quale fondamentale struttura per raccogliere e dare un sistema organico alla mia storia artistica (dal 1966 con un corpus di circa 11000 opere): le linee guida della struttura si svilupperanno essenzialmente sulle attività di documentazione, catalogazione e valorizzazione di quanto ho prodotto

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Six questions to Bruno Bordoli

We have had the privilege of being able to enjoy a special familiarity with your paintings for over ten years. It all began with the meeting which Philippe Daverio had organised in the peristyle of the cloister of Santa Maria delle Grazie, when he introduced you as one of the artists ‘of the team’ to be included in the exhibition “Ultime Ultime Cene” (Recent Last Suppers) of 2006-2007. When and on what occasion did your alliance and friendship begin?

I met Philippe in 2001 for the exhibition “Simboli e simbolismi nell’arte contemporanea en blanc et noir” (Symbols and symbolism in contemporary art en blanc et noir) at the Area Ticosa in Como. Given his appreciation of my work, we met on other occasions at his home and in my studio; and so a friendship and mutual respect developed and led to the creation of various exhibitions, sadly and suddenly interrupted on 2 September when he passed.

Then there was the travelling exhibition which had, after your name, the subtitle “Con Anima” (With Soul). It was a travelling exhibition that visited very different towns – Sondrio, Fano, Acireale – and yet all of them, invariably, were won over by your world of expression and the inner reality you succeeded in translating onto canvas, cartoons, collages and sketches on paper. Five years later, what did that experience produce?

Awareness that the work of an artist is today more than ever before called upon to play an ethical-social role so that the images – if we talk about painting – can

make the viewer’s brain ‘recreate the work’ as part of a search for the meaning of time and of life. Questions man has always asked himself and which, as we know, remain unanswered.

Compared to your initial works, characterised by the exploration of volumes, of geometric compenetration and pictorial experimentation with acidic, almost repulsive tones, your journey of faith – which coincided also with your participation in the Camino de Santiago – seems to have sharpened the contrasts while cancelling geometric abstraction in favour of the human figure. However what you are presenting is a lost man, blinded, torn apart by ancestral disorientation, often dominated by large imposing figures which you give zoomorphic faces and a judgmental and intolerant attitude. How can you explain this figurative and narrative approach?

In the interval between birth and death our mind, through sight, perceives images which are processed by two fundamental parameters of consciousness: rational and irrational. I believe that my images move along this unstable edge. They are figures, prophesies, projections which I would define as witnesses of “existential doubt”.

Moving onto the iconography of Christ’s Last Supper and its contemporary interpretations, we would like you to give an opinion about the artists who, like you, are exhibiting in this single-subject group show. What do you think of the clear narrative leap between Daniel Spoerri and the Avalle-Warhol-Festa group? The former

– almost an archaeologist in search of a historical document that does not exist: the arrangement of the utensils used by Christ and the apostles in the final moment of their adventure – seems to really go back to traditional iconography, while the latter instead seem to ensure the creative authority of their interpretation, the existence of a evangelic still shot which no other will ever be able to prove.

I believe it is a different approach to the event of the “Last Supper”: the narrative leap made by the artists, with whom I’m sharing this exhibition, I think is determined by their tendency to use reason which is transformed into cultural and aesthetic reinvention. That distant event, after all, is documented only by ancient words. As for me, I tackled the subject by pursuing the irrational idea of being the ‘spectator’ of the event.

Thinking now of your contribution to this exhibition – a “Last Supper” two metres by three occupying the back of the gallery - the image of the Venetian telero comes to mind, like an altarpiece standing out in the centre of the nave of a 16th century church. Do you agree with this interpretation?

To me religious art (hastily defined as sacred) should be correlated to the actions and the places where most individuals express their faith or the search for the same. So I believe that today, perhaps more than ever before, it is necessary to rebuild this link which through architecture and imagery can contribute towards making invisible and indescribable faith into something sensorially concrete. And that,

especially, is true for our thousand-year-old European culture and tradition. So I agree with that possible interpretation you suggest.

Of the recent and important publications of your work, there is an illustrated bible. Can you tell us about it?

“La Bibbia Illustrata”, published by Mondadori-Electa in 2018, with words by Philippe Daverio, Fra Paolo Garuti, Jean Blanchaert, Mauro Zanchi and Rinaldo Invernizzi, consists of 380 plates: the images take inspiration from the enormous narrative energy of the text and aim to re-establish the spiritual story by relating it with the human condition and with the enigma of our existence in our journey towards final deliverance.

In these uncertain times, afflicted by a sick planet whose pain is revealing itself more and more clearly, you, as the solitary artist you are, are planning an archive to spread and protect a 50-year-long career. Where do you stand between desire to preserve individual creativity and to change the ways of producing art?

Today, ‘making art’ is difficult to interpret. The creative idea seems to me to be undergoing a rapid process of homogenisation, in the evolution of the medium as well as the oblivion of the message. I think it is necessary for an artist to persevere in the slow and difficult recovery of memory and conservation of individual creativity. Only that way one can draw, also in perspective, from a useful well of freedom (not anarchy) understood as a collective asset and fertile ground for

an ethically sustainable future. With the support of certain admirers of my work, came the project to make an archive as a basic structure to collect and organise my artistic career (from 1966 with a corpus of about 11,000 works): the guidelines for the archive will essentially be based on the documentation, cataloguing and valorisation of what I have produced

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Bruno Bordoli Cenacolo, 2007 Disegni preparatori dell’operain olio e acrilico su tela grezza(194x252cm) esposta in mostraPreparatory drawings for the work in oil and acrylic on raw canvas (194x252 cm) presented at the current exhibition

Collezione dell’artistaCollection of the Artist

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Bruno BordoliCenacolo, 2007olio e acrilico su tela grezzaacrylic oil on rough canvas194x252 cm

Collezione dell’artistaCollection of the Artist

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Di fronte a Elia Festa

Elia Festa pittore, fotografo, graphic designer, pubblicitario e musicista. La sinusoide della tua biografia mi ha sempre incuriosito per la frequentazione assidua di ambienti trasversali e ‘altri’ rispetto a quelli codificati della produzione artistica. Dal caffè di periferia dove ti intrattenevi per ore con Ibrahim Kodra negli anni ‘80 alle trasferte tropicali destinazione Isla Granda dei Novanta, fino alla cucina notturna di Arlati alla Bicocca dei giorni nostri, si potrebbe dire che il tuo curriculum professionale ha maggiori punti di contatto con quello degli artisti di Brera del dopoguerra che non con quello dei tuoi contemporanei. Ti ci riconosci? È nelle periferie che c’è il fermento: una vita più vicina alla realtà; “il teatro della vita”. Con Ibrahim Kodra capitava che prendessimo un taxi e che girovagassimo nelle periferie per ore, sempre con Ibrahim e altri amici come Pierre Restany - che mi ha poi instradato - con Mimmo Rotella e altri, passavamo le notti dall’amico Bruno Fael nella sua taverna. Loro più grandi di me ma instancabili [chiedere a Yvonne] non si andava via se non era l’alba. Da ragazzo non ho mai pensato di diventare un artista, nonostante abbia iniziato non ancora quattordicenne a dipingere e a frequentare il mondo dell’arte, ma gli incontri fortuiti e la grande curiosità tipica di un giovane fotografo, quale ero, mi permisero di assorbire tutto da questi grandi personaggi; mi hanno nutrito d’arte come si nutre un figlio senza rendersene conto e io

ugualmente mi saziavo, condividendo migliaia di momenti. Quindi, certo, nella mia storia c’è un po’ di Brera, ma la Brera autentica, quella degli anni ’60 raccontatami come in teatro dagli interpreti originali. Poi le notti trascorse dal “capo”, il Mario Arlati, vero istrione della Premiata Osteria Arlati dove si poteva incontrare dal Re di Spagna a ‘Miracolo’, un ragazzo che era vivo per miracolo e così fu soprannominato e la gran parte dei musicisti che transitavano da Milano. Era questo un luogo veramente unico. I miei contemporanei sono diversi, non li conosco bene – forse sono più individualisti - ed è molto difficile che ci siano frequentazioni quotidiane come allora. Quando ne ho l‘occasione cerco di coinvolgere altri artisti in progetti come “BLAU”: seguendo l’esempio dall’amico Michelangelo Pistoletto, che mi ha sostenuto partecipando personalmente e artisticamente, sono riuscito a diffondere valori etici - oltre che estetici - dove il contenuto segue i goals dell’agenda 2030 dell’ONU. Detto questo, il mio lavoro è tuttora assolutamente proiettato nel futuro, sia intellettualmente che tecnicamente; la mia ricerca continuerà sempre e si evolverà da quel nodo artistico fondamentale compreso fra le avanguardie del ‘900 e il futuro tecnologico.

“Nato soprattutto a Milano” è il titolo eloquente, un poco non-sense, della grande monografia che presentasti qualche anno fa in occasione della mostra omonima alle Stelline. L’avverbio “Soprattutto” agiva come

una dichiarazione apolide sulla tua identità artistica e biografica. Come si è evoluto, a distanza di anni, questo tuo cosmopolitismo?

Ho sempre vissuto nella mia città, Milano, con alcune pause dove andavo a vivere altre avventure e a conoscere altri luoghi, ma Milano l’ho conosciuta a fondo. Questa città era una festa continua, capitava che non riuscivo ad andare a letto per giorni. Le mie frequentazioni erano assolutamente eterogenee, si usava così: età, provenienza, livello sociale, culturale ecc. si mischiavano meravigliosamente, rendendo più facile ciò che era difficile. Vivere e crescere così ti porta a una sana apertura e condivisione. Oggi tutto è cambiato e io non credo al ‘caso’; l’evoluzione del mio lavoro si basa sul concetto per cui “È necessario far respirare la mente”, ben presente nella monografia presentata alle Stelline.

Negli anni Ottanta, nella Milano delle mille agenzie di pubblicità, ti occupavi di still-life per prodotti commerciali. Sei stato il fotografo delle più note campagne della Mattel e hai creato decine di scenografie e ‘mood’ per la Barbie che hanno fatto sognare almeno una generazione di bimbe. Fra quell’esperienza e la nemesi figurale della tua interpretazione de “L’Ultima Cena” di Leonardo c’è (apparentemente) un oceano. Come sei arrivato alla computer grafica e cosa c’è alla base del tuo linguaggio attuale?

Ho iniziato la mia esperienza pubblicitaria all’inizio degli anni ’70

in una grande agenzia pubblicitaria, la Young & Rubicam, dove non ero dipendente ma mi avevano affidato un piccolo studio e una camera oscura. Il mio compito era quello di dare un servizio alla vasta e importante truppa creativa dell’agenzia. Ero un quindicenne con grande voglia di fare e imparare, e in quei due anni mi sono trovato in un mondo fantastico; erano tutti matti: si giocava, si scherzava quasi tutto il giorno ma poi di notte si lavorava e i risultati erano eccellenti. Si, sono stato il fotografo della Mattel, della Barbie, per la quale ho ideato con Umberto Ziveri il “Giornale di Barbie” per la Mondadori. Barbie era una “diva”. Così io fotografavo una “diva” - la prima vera Top Model - e fotografavo le sue fan, le bambine che posavano per le varie campagne pubblicitarie, con Barbie sempre abbigliata in modo diverso, mi capitava di andarci pure a cena, come con un’amica, per lo stupore di camerieri e curiosi. Certo tra l’esperienza pubblicitaria con Barbie e la mia “Ultima cena” c’è, tecnicamente, un oceano. Però quando ho iniziato con la fotografia ci insegnavano un metodo tutto particolare che ho conservato: alla fine di ogni lavoro su commissione si doveva usare un po’ di tempo per la ricerca personale; questa è divenuta un’abitudine operativa. Il mezzo secolo di lavoro che ho alle spalle ha coinciso per me a mezzo secolo di ricerca. Così, la mia interpretazione de “L’Ultima cena” si può dire che venga da lontano, da un passato arricchito dall’utilizzo del mezzo digitale - un passaggio naturale

- perché il mio lavoro tecnologico odierno contiene tutte le esperienze accumulate fin qui. La sua peculiarità è molto semplice: “prendo la materia dalla natura, la porto a zero, la ricostruisco in forma astratta e torna ad essere materia”.

In una specifica teca in mostra, così come nelle pagine di questo catalogo, abbiamo raccolto alcuni disegni preparatori dell’opera poi acquisita in Collezione Creval. Vi si nota una precisa progressione progettuale: dapprima lo schizzo a carboncino su carta da spolvero, poi la sua sintesi geometrica; seguono quattro layout digitali dove maggior riconoscibilità hanno alcuni particolari dell’affresco leonardesco: la tavola imbandita - bianchissima e frontale -, la fuga in ombra delle nicchie quadrangolari sullo sfondo, il gruppo umano di Cristo con gli apostoli. In questa sequenza dinamica una macchia nera si espande, divorando progressivamente i dettagli, sino a ridurre la figura umana a un ammasso di filamenti curvilinei, sovrapposti e vagamente serpeggianti. Che ne è stato della certezza umanistica rinascimentale alla base dell’opera vinciana?

Le certezze artistiche sono figlie del tempo in cui si vive, quindi anche le mie sono figlie del mio tempo. L’innovazione tecnologica e le diverse esperienze che ho affrontato - non casualmente ma frutto di un lavoro molto impegnativo - mi hanno portato a un’interpretazione originale e sicuramente diversa non solo del

capolavoro vinciano, ma anche di uno dei momenti più importanti della dottrina Cristiana. I filamenti che sostituiscono le figure umane rappresentano l’energia e la forza che si generò attraverso sguardi, pensieri e dialoghi successivi all’“Uno di voi mi tradirà” pronunciato da Gesù Cristo. La forma serpeggiante di quell’insieme di tensioni corrisponde alla rappresentazione plastica e simbolica del Peccato. L’aggregato spiraliforme e filamentoso origina da un mio stato d’animo adolescenziale: da ragazzo ero molto timido e un po’ solitario; durante le feste osservavo i movimenti dei ragazzi e immaginavo certi raccordi luminosi che si intrecciavano e collegavano gli uni agli altri, come se comunicassero tra loro.

“The Last Supper Recall” si prefigge una ricognizione attuale attorno all’interpretazione di un’icona artistica del XV secolo. Gli autori che abbiamo selezionato per ‘visualizzare’ questa lettura sono molto distanti fra loro, per esperienze personali e per forme di espressione adottate. Nella serigrafia su tela di Andy Warhol si potrebbe trovare il punto di contatto più immediato col tuo lavoro. E’ questa una semplice suggestione estetica o c’è del vero?

Ogni artista è un universo a sé, ma certo come analogia la mia vita artistica si avvicina e prosegue quella dei grandi - Man Ray, Marcel Duchamp, Andy Warhol e altri notevoli artisti che mi hanno preceduto - per cui non mi limiterei a una semplice suggestione estetica quanto a quello spirito evoluzionistico collettivo e, per così dire

“di specie”, proprio della sensibilità di pensiero dell’Uomo.

Recentemente abbiamo visto tuoi lavori esposti in importanti Gallerie internazionali e ti sappiamo concentrato su progetti provenienti da commissioni di provenienza estera. In un mondo che sembra alzare nuovi confini e nuove barriere alla circolazione di uomini e merci, il tuo ‘segno’ artistico sembra parlare un linguaggio comune, un Esperanto visuale, in grado di essere compreso e apprezzato da qualsiasi etnia, comunità o ceto sociale. A cosa devi questa facilità di decodificazione del tuo frasario espressivo?

All’istinto, al sogno, tutto viene dal basso, alla culla del Nuovo Mondo, alla soddisfazione dello stato d’animo

Le interviste riprodotte in questa sezione del catalogo sono state raccolte da Leo Guerra nell’estate 2020

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Facing Elia Festa

Elia Festa, painter, photographer, graphic designer, advertising artist and musician. The sine wave of your biography has always intrigued me for the constant frequentation of wide-ranging and ‘other’ environments, different from those codified in artistic production. From suburban cafés where you lingered for hours with Ibrahim Kodra in the ‘80s, to the tropical visits to Grenada in the 90s, right down to the more recent nocturnal suppers at Arlati in Bicocca, one could say that your professional curriculum has more points of contact with that of the 1960s Brera artists than that of your contemporaries. Can you relate to that?

The suburbs is where there is life: life closer to reality, “the theatre of life”. With Ibrahim Kodra we would take a taxi and roam around the suburbs for hours, and again with Ibrahim and other friends like Pierre Restany – who later mentored me -, Mimmo Rotella and others, we would spend nights at Bruno Fael’s basement room. They were older than me but tireless [ask Yvonne]; no one left until it was dawn. As a boy I never thought I would become an artist, despite having started painting and frequenting the art world when I was barely fourteen. However the fortunate encounters and the great curiosity typical of a young photographer, as I was, enabled me to absorb everything from these great characters; they nourished me with art, unwittingly, like one feeds a child, and I took it all in, sharing thousands of moments. So there is certainly some Brera in my background, authentic Brera, the 1960s one, told to me by the original players in a play. The nights spent at the

“chief”, Mario Arlati, the true actor of the Premiata Osteria Arlati, where you could meet anyone from the King of Spain to ‘Miracolo’ - a boy that was alive by some miracle and hence his nickname - down to the bulk of musicians who passed through Milan. It was a really unique place. My contemporaries are different. I don’t know them well – perhaps they are more individualistic – and it’s highly unlikely there are daily meet-ups now like back then. When I have the chance, I try to invite other artists, and projects like “BLAU” are a testament to that: following the example set by my friend Michelangelo Pistoletto, who supported me by personally and artistically taking part, I succeeded in spreading ethical, besides aesthetic, values, where the content follows the goals of the UN 2030 agenda. That said, my work is still absolutely forward-looking, both intellectually as well as technically. My work will always continue and evolve from that fundamental art link between the avant-garde of the 1900s and the technological future.

“Nato soprattutto a Milano” (Born especially in Milan) is the eloquent, and slightly nonsense title, of the major monograph presented a few years ago for the eponymous exhibition at Le Stelline. The adverb “especially” acted as a stateless declaration about your artistic and personal identity. How, years later, has your cosmopolitism evolved?

I have always lived in my city, Milan, with some breaks of course, when I went for other adventures and to see other places, but I have gotten to know Milan through and through. This city was a non-stop

party; sometimes I wouldn’t make it to bed for days. My friends were completely mixed, that’s how it was: age, origin, class, culture etc. we all got along marvellously, making what was difficult easier. Living and growing up like that brings a healthy openness and exchange. Today everything has changed and I don’t believe in ‘chance’; the evolution of my work is based on the concept for which “The mind must be let breathe”, very present in the monograph presented at Le Stelline.

In the Eighties, in the Milan of a thousand advertising agencies, you created still-lifes for commercial products. You were the photographer of the most famous campaigns for Mattel and you created dozens of sets and ‘moods’ for Barbie which made at least one generation of little girls dream. That experience and the figurative nemesis of your interpretation of Leonardo da Vinci’s “Last Supper” seem to be worlds apart. How did you arrive at computer graphics and what lies beneath your current language?

I started my advertising experience in the early 1970s in a big advertising agency, Young & Rubicam, where I wasn’t an employee, but they had given me a small studio and a dark room. My job was to do a photo shoot for the agency’s vast and important creative team. I was a fifteen years old with great enthusiasm and willingness to learn, and in those years I found myself in a fantastic world. Everyone was mad: we would play, joke around almost all day, but then at night we would work and the results were excellent. Yes, I was the photographer for Mattel, for

Barbie, and I came up with the “Giornale di Barbie” comic with Umberto Ziveri for the publisher Mondadori. Barbie was a “diva”, which I used to photograph – the first real Top Model – and I would photograph her fans too, the girls who posed for the various advertising campaigns with Barbie always dressed in a different way. I would sometimes go to dinner with her, like a friend, much to the astonishment of waiters and onlookers. So, the advertising experience with Barbie and my “Last Supper” are, technically, worlds apart. However when I started taking photos they taught us a very unusual method which I kept up: at the end of each job we had to use a little time for personal research, and this became a habit. The half century of work I have behind me has coincided with half a century of research. So, we can say that my interpretation of the “Last Supper” comes from way back, from a past contaminated by the use of the digital – a natural transition – because my current technological work contains all of the experiences accumulated until now. Its characteristic is very simple: “I take the matter from nature, I strip it down to nothing, and I rebuild it in abstract form and it returns as matter”.

In a special showcase in the exhibition, like the pages of this catalogue, we have collected some preparatory drawings for the work later acquired by the Creval collection. A clear project progression can be seen: first the charcoal sketch on sugar paper, then its geometric synthesis; four digital layouts follow where some details from Leonardo’s fresco are more recognisable: the laid table – ultra

white and front view -, the quadrangular niches in the background that vanish into shadow, the human group of Christ and the apostles. In this dynamic sequence a black spot expands, progressively devouring the details, until it reduces the human figure into a mass of curvilinear fibres, overlapping and vaguely twisting. What exists there of the humanist Renaissance certainty at the basis of Leonardo’s work?

Artistic certainties are the product of the time in which we live, so also mine are products of my time. Technological innovation and the different experiences I have had – not by chance but the fruit of very hard work – led me to an original and definitely different interpretation not just of da Vinci’s masterpiece, but also of one of the most important moments in Christian doctrine. The fibres that replace the human figures represent the energy and the power generated through the glances, thoughts and dialogues after the “one of you will betray me” announced by Jesus Christ. The twisting shape of that combination of tensions is the plastic and symbolic representation of Sin. The spiralling, stringy mass originates in an adolescent state of mind of mine: as a boy I was very shy and a bit of a loner; during parties I would watch the movements of the other kids and I would imagine certain luminous lines that would intertwine and link one person with another, as if they were communicating.

“The Last Supper Recall” offers a modern-day examination of the interpretation of a 15th-century art icon. The authors we have selected to

‘visualise’ this interpretation are very different from each other, in terms of personal experiences and the forms of expression adopted. In the screen print on canvas by Andy Warhol we could find a more instant point of contact with your work. Is that a simple aesthetic impression or is there some truth in it?

Each artist is a universe in himself, but yes, my artistic life approaches and continues that of the greats - Man Ray, Marcel Duchamp, Andy Warhol and other famous artists who have gone before me – so I wouldn’t rest on a simple aesthetic impression but rather a collective, evolutionistic spirit and “specific”, so as to speak, of the sensibility of man’s thought.

We recently saw your works exhibited in important international galleries and we know you have been concentrating on projects commissioned abroad. In a world that seems to be erecting new borders and barriers to the circulation of people and goods, your artistic ‘hallmark’ seems to speak a common language, a visual Esperanto, capable of being understood and appreciated by any ethnicity, community or social class. To what do you owe this ease of deciphering your expressive terminology?

To the instinct, everything starts from the bottom. The dream, to the contrary, is the cradle of the New World. The only thing capable of nourishing – and ideally of fulfilling- the state of mind

The interviews reproduced on this chapter are caught by Leo Guerra during the summer 2020

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Elia Festa Bozzetto a carboncino per la preparazione dell’opera “Ultima cena” (2013)Sketch charcoal for the preparation of the work “Last Supper (2013)

Bozzetto preparatorio dell’opera “Ultima cena” di Elia Festa (2013)Stampa Giclèe su 100% cotoneSketch preparatory of the opera “Last Supper” by Elia Festa (2013) - Giclèe print on 100% cotton280x140 cm

Collezione dell’artistaCollection of the Artist

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Elia FestaUltima Cena, 2013Stampa Giclèe su CanvasGiclèe print on Canvas 280x140 cm

Collezione dell’artistaCollection of the Artist

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Pagina a fianco / Opposite page:

Daniel SpoerriLa Céne, 1988olio su tavola e collageoil on wood / mixed media101x49,5 cm

Collezione / Collection Creval, Sondrio

Opera effimera realizzata da Daniel Spoerri durante l’allestimento della mostra “La Catena Genetica del Mercato delle Pulci”Milano, Refettorio delle Stelline, 2000Temporary work by Daniel Spoerri for the exhibition“La Catena Genetica del Mercato delle Pulci”Milan, Refettorio delle Stelline, 2000

Daniel Spoerri

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Andy Warhol Poster della mostra / Poster for the exhibition“Andy Warhol. Il Cenacolo”Design: PetrosEdizione / Publisher Credito ValtellineseCollezione / Collection Marco Gianesini

Maquette del poster della mostra Layout for the exhibition’s poster“Andy Warhol. Il Cenacolo”Design: PetrosEdizione / Publisher Credito ValtellineseCollezione / Collection Giuliana Rigamonti e/and Mario Cotelli

Pagina a fianco / Opposite page:

Andy WarholThe Last Supper,1986Acrilico su tela serigrafataAcrylic on silk-screen printed canvas100x100 cmCollezione / Collection Creval

Page 25: The Last Supper Recall - Creval...This catalogue sets out to provide an important contribution towards the iconographic interpretation of Christ’s Last Supper, the most famous example

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Filippo Avalle Ultima cena, 2007struttura stratigrafica in metacrilato colorato a 4 strati 4-layer methacrylic cage 180x71x12 Collezione Creval, Sondrio Creval Art Collection, Sondrio

Filippo Avalle“Ultima Cena”:inizio di un viaggio infinito nel cervello-mente, 2007disegno su carta drawing on paper 68x200 cmCollezione Creval, Sondrio Creval Art Collection, Sondrio

Bruno BordoliCenacolo, 2007olio e acrilicosu tela grezzaacrylic oil on rough canvas 194x252 cmCollezione dell’artistaCollection of the Artist Bruno BordoliCenacolo, 2007disegni preparatori dell’opera in olio e acrilico su tela grezza (194x252cm) esposta in mostrapreparatory drawings for the work in oil and acrylic on raw canvas (194x252 cm) presented at the current exhibitionCollezione dell’artistaCollection of the Artist

Elia FestaUltima Cena, 2013stampa fotografica su canvasphotoprint on canvas280x140 cmCollezione CrevalCreval Art Collection

Elia FestaUltima Cena, 2013bozzetti a tecnica mista per la preparazione dell’opera mixed media layouts for the artworkphotographic print on canvas280x140 cmCollezione dell’artistaCollection of the Artist

Damien HirstThe Last Supper® Damienhirst, 2000Serie di / Series of 13 screen prints di / of 152.5x101.5 cm edizione di / edition of 150 stampe per / offset prints for The British Council presentate in esclusiva al presented exclusively at the Refettorio delle Stelline nell’autunno / in autumn 2000Ai margini della serie / Margin: custodia in cartone rigido del libro-oggetto in carta ripiegatacardboard cover of the art object in hand-folded paper

Maria MulasL’inaugurazione della mostra“Andy Warhol. Il Cenacolo”alla Galleria Credito Valtellinese,1987Stampe su carta fotografica. Misure varie Courtesy Archivio Maria Mulas, MilanoInauguration of the exhibition “Andy Warhol. Il Cenacolo” at the Galleria Credito Valtellinese, 1987Prints on photographic paper Various dimensionsCourtesy Archivio Maria Mulas, Milan

Daniel SpoerriLa Céne, 1988olio su tavola e collage oil on wood / mixed media 101x49,5 cm Collezione Creval, Sondrio Creval Art Collection, Sondrio

Andy WarholThe Last Supper, 1987acrilico su serigrafia riportata su tela acrylic on canvas 100x100 cmCollezione Creval, Sondrio Creval Art Collection, Sondrio

Poster della mostraPoster for the exhibition “Andy Warhol. Il Cenacolo” Design: Petros Edizione / Publisher: Credito ValtellineseCollezione / Collection Marco Gianesini

Maquette del poster della mostraLayout for the exhibition’s poster“Andy Warhol. Il Cenacolo”Design: PetrosEdizione / Publisher: Credito ValtellineseCollezione / Collection Giuliana Rigamonti e Mario Cotelli

E’ presente in mostra una proiezione looping che illustra in sequenza l’opera di Daniel Spoerri composta da 13 stele in marmo di Carrara dal titolo “Ultima Cena” (2007) sistemata in permanenza presso il giardino del Grand Hotel della Posta di Sondrio, appartenente alla Collezione Creval. L’opera è stata realizzata dall’artista su commissione della Banca in occasione della mostra “Ultime Ultime Cene” tenutasi al Refettorio delle Stelline per la cura di Philippe Daverio e Dominique Stella in occasione dei vent’anni di attività della Galleria.Al termine della proiezione è presentata in esclusiva, in frame singolo derivato da file digitale, la prova d’artista di Daniel Spoerri realizzata in occasione dell’allestimento della mostra “Daniel Spoerri. La Catena Genetica del Mercato delle Pulci” (Refettorio delle Stelline, autunno 2000) per la prima volta esposta al pubblico.Per entrambe le opere in proiezione:Courtesy Fondazione Daniel Spoerri, Seggiano con un ringraziamento particolare a Barbara Räderscheidt, direttrice della Fondazione Spoerri, per la gentile concessioneThe exhibition features a loop video that illustrates in sequence the work by Daniel Spoerricomposed of 13 stems in Carrara marble entitled “Last Supper” (2007) permanently installed in the garden of the Grand Hotel della Posta in Sondrio and belonging to the Creval Collection. The work was created by the artist and commissioned by the bank for the exhibition “Recent Last Suppers” held at the Refettorio delle Stelline and curated by Philippe Daverio and Dominique Stella to mark the gallery’s twentieth anniversary.

At the end of the video, in single frames deriving from a digital file, Daniel Spoerri artist’s proof executed for the exhibition “Daniel Spoerri. La Catena Genetica del Mercato delle Pulci” (at Refettorio delle Stelline in autumn 2000) is presented exclusively to the public for the first time. For both video works on show.Courtesy Fondazione Daniel Spoerri, Seggiano with special thanks to Barbara Räderscheidt, director of Fondazione Spoerri, for her kind permission E’ esposta in apposita teca una serie di cataloghi, con relative custodie,editi nella Collana Artistica della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese fra il 1987 e il 2020, attorno al tema simbolico e iconografico de L’Ultima Cena di Cristo.Ristampa anastatica dell’albo“Il Cenacolo” edito da Mondadori con la Galleria Philippe Daverio, per la cura di Alexandre Iolas; custodie dei fascicoli monografici dedicati alle opere di Antonio Recalcati (“L’ombra della Croce”, 2007), Daniel Spoerri (“Ultima Cena”, 2007) e Velasco Vitali (“Ultima Cena”, 2007); reprint del catalogo della mostra di Hermann Nitsch “L’Ultima Cena” tenutasi alle Stelline e al Centre Culturel Français de Milan nell’anno 2000.Exhibited in a special showcase is a series of catalogues, with their relative covers, published between 1987 and 2020 as part of the art series of the Fondazione Gruppo Credito Valtellinese on the symbolic and iconographic subject of Christ’s Last Supper.Anastatic print of the book “Il Cenacolo” published by Mondadori with the Philippe Daverio Gallery, curated by Alexandre Iolas; covers of monographic booklets dedicated to the works of Antonio Recalcati (“L’ombra della Croce”, 2007), Daniel Spoerri (“Ultima Cena”, 2007) and Velasco Vitali (“Ultima Cena”, 2007); reprint of the catalogue for the Hermann Nitsch “L’Ultima Cena” exhibition held at Le Stelline and at the Centre Culturel Français de Milan in 2000. E’ esposta una serie di cataloghi editi nella Collana Artistica della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese fra il 1987 e il 2020.Sono esposte in questa teca:le pagine interne della ristampa anastatica dell’albo “Il Cenacolo” edito da Mondadori con la Galleria Philippe Daverio, per la cura di Alexandre Iolas; le pagine centrali

The last supper recallOpere in mostra / Works on display

dei fascicoli monografici dedicati alle opere di Antonio Recalcati (“L’ombra della Croce”, 2007), Daniel Spoerri (“Ultima Cena”, 2007) e Velasco Vitali (“Ultima Cena”, 2007); il reprint(aperto nelle pagine centrali) del catalogo della mostra di Hermann Nitsch “L’Ultima Cena” tenutasi alle elline e al Centre Culturel Français de Milan nell’anno 2000.On display, a series of Catalogues published as part of the art series of the Fondazione Gruppo Credito Valtellinese between 1987 and 2020.On display in this showcase, clockwise: the inner pages of the anastatic print of the book “Il Cenacolo” published by Mondadori with the Philippe Daverio Gallery, curated by Alexandre Iolas; the central pages of the monographic booklets dedicated to the works of Antonio Recalcati (“L’ombra della Croce”, 2007), Daniel Spoerri (“Ultima Cena”, 2007) and Velasco Vitali (“Ultima Cena”, 2007); reprint of the central pages of the catalogue for the Hermann Nitsch “L’Ultima Cena” exhibition held at Le Stelline and at the Centre Culturel Français de Milan in 2000.

E’ presente in mostra una riproduzione offset del ciclo pittorico di Marthial Raysse dal titolo “Hereux Rivages”, commissionato dal Credito Valtellinese nel 2016 e raccolto in 13 riproduzioni offset contrassegnate con numeri romani. L’installazione specifica dell’opera originale su tela è stata esposta nel 2007-2008 nell’abside settentrionale di Santa Maria delle Grazie a MilanoOffset Print del progetto fotografico di Dominique Laugè e Valeria Manzi dal titolo “Voies d’Hommes”, 2007The exhibition presents a offset reproduction of the painting cycle by Marthial Raysse entitled “Hereux Rivages”, commissioned by Credito Valtellinese in 2016 and compiled in 13 offset reproductions marked with Roman numerals. The specific installation of the original work on canvas was exhibited in 2007-2008 in the northern apse of Santa Maria delle Grazie in MilanOffset Print of the photographic project by Dominique Laugè and Valeria Manzi entitled “Voies d’Hommes”, 2007 E’ presentata in mostra una selezione di numeri del magazine “Andy Warhol’s Interview” contrassegnati da un timbro a tampone (presente in versione originale con ricariche a colori) realizzato dal gallerista e mercante greco Alexandre Iolas

in occasione della vernice milanese della mostra di Andy Warhol “Il Cenacolo” del 1987. La mostra inaugurò l’attività espositiva di questa Galleria e sancì l’inizio della collaborazione di Iolas con la Banca in veste di primo direttore artistico del Refettorio delle StellineThe exhibition presents a selection of issues of the magazine “Andy Warhol’s Interview” marked with a stamp (in original version with colour refills) created by the Greek gallery owner and merchant Alexandre Iolas for the Milanese vernissage of the Andy Warhol exhibition “Il Cenacolo” in 1987.The show heralded the beginning of the gallery’s exhibition activity and of Iolas’s collaboration with the bank as the first artistic director of the Refettorio delle Stelline Nel periodo di apertura della mostra è presentato al publico un omaggio al cinema di Andy Warhol in 16mm.Per la rassegna sono stati scelti i film realizzati da Warhol dal 1963, anno in cui l’artista decide di cimentarsi nell’arte cinematografica con la sua prima cinepresa Bolex 16mm, fino al 1966.I film di questo primo periodo si possono definire minimali, sono infatti girati a inquadratura fissa, raccontano storie e stralci di vita incentrati sulla sua celebre Factory, situata al quinto piano del 231 East 47th Street, composta da pittori, musicisti, attori improvvisati e scapestrati con il sogno di diventare stelle del firmamento hollywoodiano.La tecnica utilizzata da Warhol è semplice ed elementare, film muti o con suoni minimi in presa diretta, utilizzo esclusivo del bianco e nero, montaggio basilare e drastico, spesso orientato a infrangere le regole dell’unità di azione e contenuto del linguaggio cinematografico. Anche nell’utilizzo abituale del piano-sequenza Warhol suscita nello spettatore una sensazione di snervante attesa davanti a sequenze colme di immobilità e di perdita del concetto di tempo.For the duration of the exhibition, a tribute to the 16mm films by Andy Warhol is presented to the public. The show presented films made by Warhol from 1963 - the year in which the artist decided to turn his hand to the art of cinema with his first Bolex 16mm camera - until 1966.The movies of this initial period, which can be

defined as minimalist and were in fact filmed with a stationary shot, tell the stories and show snippets of life from his famous Factory, situated on the fifth floor of 231 East 47th Street, with painters, musicians, and wayward, makeshift actors who dreamt of becoming Hollywood stars.The technique used by Warhol is simple: silent movies or with minimal sound filmed live, exclusive use of black and white, rudimentary, and drastic editing, often to break the filming rules of unity of action and content. Even in his habitual use of sequence shot, Warhol creates a sensation of suspense in the viewer before sequences full of immobility and loss of the concept of time.

KISSAndy Warhol, USA, 1963, 54’, 16mm, muto. Int.: Rufus Collins, Johnny Dodd. Primo film girato da Andy Warhol. Diverse coppie - donna e uomo, donna e donna, uomo e uomo - si baciano per tre minuti e mezzo ciascunoAndy Warhol, USA, 1963, 54’, 16mm, silent. Feat.: Rufus Collins, Johnny Dodd. First film shot by Andy Warhol. Different couples - man and woman, woman and woman, man and man - kiss for three and a half minutes each

HAIRCUT #1Andy Warhol, USA, 1963, 24’, 16mm, muto. Int.: John Daley, Fred Herko. Film sperimentale realizzato alla celebre Factory, situata all’epoca al 231 della East 47th Street, a Manhattan, New York, al centro delle riprese un taglio di capelliAndy Warhol, USA, 1963, 24’, 16mm, silent. Feat.: John Daley, Fred Herko. Experimental film made in the famous Factory, then situated at 231, East 47th Street, in Manhattan, New York, focusing on a haircut

EATAndy Warhol, USA, 1963, 28’, 16mm, muto. Int.: Robert Indiana.Il film sperimentale ritrae l’esponente della pop art Robert Indiana impegnato nell’atto di mangiare per l’intera durata del filmAndy Warhol, USA, 1963, 28’, 16mm, silent. Feat.: Robert Indiana.This experimental movie portrays the pop artist Robert Indiana busy eating for the entire duration of the film

RESTAURANT (aka L’AVVENTURA)Andy Warhol, USA, 1965, 34’, 16mm. Int.:

Edie Sedgwick, Ondine, Bibbe Hansen. Un gruppo di artisti, modelle e attori cena al ristorante L’Avventura di New York dialogando su viaggi passati e futuriAndy Warhol, USA, 1965, 34’, 16mm. Feat.: Edie Sedgwick, Ondine, Bibbe Hansen.A group of artists, models and actors dine at the L’Avventura restaurant in New York and talk about past and future travels

SOAP OPERAAndy Warhol, USA, 1964, 46’, 16mm. Int.: Baby Jane Holzer and Sam Green. Immagini silenziose di vita domestica si alternano a pubblicità televisive ad alto volume. Esempio chiave della sperimentazione radicale dell’artista e dello smantellamento della televisione sia come mezzo tecnologico che come apparato affettivoAndy Warhol, USA, 1964, 46’, 16mm. Feat.: Baby Jane Holzer and Sam Green Silent images of domestic life alternate with loud TV commercials. A key example of the artist’s radical experimentation and of the dismantling of the television both as technological device as well as an emotional apparatus

SALVADOR DALI’Andy Warhol, USA, 1966, 22’, muto, 16mm. Int.: Salvador Dalì. Documentario che Warhol dedica al pittore surrealista Salvador Dalì, frequentatore occasionale della Factory di Andy WarholAndy Warhol, USA, 1966, 22’, silent, 16mm. Feat.: Salvador Dalì. Documentary which Warhol dedicates to the surrealist painter Salvador Dalì, an occasional visitor to Andy Warhol’s Factory

Si ringrazia il dipartimento Circulating Film and Video Library del MoMA - Museum of Modern Art di New York per il prestito dei film di Andy Warhol in programmazione durante la mostra.Le proiezioni in Galleria sono state messe a disposizione, coordinate ed effettuate da collaboratori tecnici e con materiale e strumentazioni di Cineteca Milano, con la supervisione di Matteo PavesiThanks to the Circulating Film and Video Library department of the MoMA - Museum of Modern Art in New York for the loan of the Andy Warhol films shown during the exhibition. The showings in the gallery have been coordinated and executed by technical collaborators and using materials and instruments of Cineteca Milano, with the supervision of Matteo Pavesi

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2020per i tipi di Gianpaolo Manzoni su carta uso mano 140 gr/mq,

Testi composti in ITC New Baskerville e Akzidenz GroteskPrint run finished in October 2020

published by Gianpaolo Manzoni on 140 g/m2 cardweight,Text fonts ITC New Baskerville and Akzidenz Grotesk

Copia firmata e numerata in tiratura limitata a 22 copie per gli amici della Galleria Credito Valtellinese

Refettorio delle Stelline - MilanoSigned and numbered limited edition copy of 22 copies

for the friends of the Credito Valtellinese GalleryRefettorio delle Stelline - Milan

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THE LAST SUPPER RECALL

A più di 30anni dall’inaugurazione della mostra di Andy Warhol alle Stelline - omaggio esplicito a Leonardo e al Cenacolo Vinciano - Flavio Caroli fissa un punto d’arrivo nell’itinerario interpretativo dell’affresco rinascimentale ad opera di artisti di fama internazionale.Filippo Avalle, Bruno Bordoli, Elia Festa e Daniel Spoerri dialogano con l’opera “The Last Supper” - realizzata da Warhol nel 1987 - e con i memorabilia di un incontro indimenticabile: quello della Pop-Art con Milano, i suoi antichi refettori e uno spazio espositivo sempre pronto ad anticipare le tendenze del contemporaneo.Un recall che trova la propria fonte d’ispirazione a pochi passi dalla Galleria, nel complesso monumentale di Santa Maria delle Grazie, dove l’opera del Genio toscano è visibile al mondo

Over 30 years after the inauguration of the Andy Warhol exhibition at Stelline - a clear tribute to Leonardo da Vinci and his Last Supper - Flavio Caroli sets an arrival point in the interpretative itinerary of the Renaissance masterpiece with works by internationally famous artists.Filippo Avalle, Bruno Bordoli, Elia Festa and Daniel Spoerri converse with the work “The Last Supper” - executed by Warhol in 1987 - and with the memorabilia of an unforgettable encounter: Pop-Art with Milan, its ancient refectories, and an exhibition space ready to anticipate the trends of the contemporary.A recall that finds its sources of inspiration just a stone’s throw from the gallery, in the monumental complex of Santa Maria delle Grazie, where the work by the Tuscan genius can be viewed by the world