Storia d'Italia. Dal 1871 Al 19 - Benedetto Croce

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a Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Benedetto Croce Storia d’Italia Einaudi

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Storia d'Italia. Dal 1871 al 19 - Benedetto Croce

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  • aStoria dItalia dal1871 al 1915

    di Benedetto Croce

    Storia dItalia Einaudi

  • aEdizione di riferimento:Storia dItalia dal 1871 al 1915, Laterza, Roma-Bari1973

    Storia dItalia Einaudi II

  • .Sommario

    Avvertenza 1

    I. Polemiche politiche in Italia dopo il 1870 erealt storica

    3

    II. Lassetto dello stato e lavviamentodelleconomia nazionale (1871-1887)

    28

    III. La vita politica e morale (1871-1887) 64

    IV. La politica estera (1871-1887) 108

    V. Il pensiero e lideale (1871-1890) 129

    VI. Ripresa e trasformazione di ideali(1890-1900)

    147

    VII. Il periodo crispino (1887-1896) 165

    VIII. Conati di governo autoritario erestaurazione liberale (1896-1900)

    197

    XI. Il governo liberale e il rigoglio economico(1901-1910)

    214

    X. Rigoglio di cultura e irrequietezza spirituale(1901-1914)

    237

    XI. La politica interna e la guerra libica(1910-1914)

    256

    XII. La neutralit e lentrata dellItalia nellaguerra mondiale (1914-1915)

    269

    Annotazioni 287

    Storia dItalia Einaudi III

  • AVVERTENZA

    questo lo schizzo di una storia dellItalia dopo la con-seguita unit di stato: ossia, non una cronaca, come sene hanno gi parecchie in materia, e non una narrazionein un senso o in un altro tendenziosa, ma appunto il ten-tativo di esporre gli avvenimenti nel loro nesso oggettivoe riportandoli alle loro fonti interiori. Il racconto com-prende un tratto di quarantacinque anni, di quelli che sichiamano di pace, ma che mostrano il loro moto e illoro dramma a chi non ripone queste cose unicamentenegli urti fragorosi e nei grossi fatti appariscenti, e anzi,anche davanti a spettacoli di guerre e rivoluzioni, cercasempre il vero moto e il vero dramma negli intelletti e neicuori. La conoscenza di questo tratto di storia ha, senzadubbio, importanza particolare per noi italiani, ma glie-ne spetta unaltra pi generale in quanto esso parte eriflesso insieme della recente storia europea.

    Sono consapevole che per taluni punti da me toccatimancano ancora i desiderabili lavori preparator; e tut-tavia non c altro modo di farli nascere se non di por-ne lesigenza con lo studiarsi di disegnare il quadro com-plessivo.

    Mi sono arrestato al 1915, allentrata dellItalia nellaguerra mondiale, perch il periodo che si apre con que-sta, per ci stesso che ancora aperto, non di compe-tenza dello storico, ma del politico. N io vorr mai con-fondere o contaminare lindagine storica con la polemi-ca politica, la quale si fa, e si deve certamente fare, ma inaltro luogo.Napoli, novembre 1927.

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    In questa nona edizione non sono altre modificazioniche lievi ritocchi, come gi nelle precedenti ristampe.Viene essa fuori quando ormai, da circa quattro anni,lItalia, crollato il funesto regime che stato una tristeparentesi nella sua storia, respira di nuovo pure tra ledifficolt del presente e i pericoli nella libert, dellaquale io, scrivendo questo libro nel 1927, procurai damia parte che non si perdesse il ricordo e il desiderio.Perci questo libro fu allora caro a molti, ed semprecaro a me, che non senza commozione ne ho ora riletto lepagine. Possa anche nellavvenire restare testimonianzadei sentimenti e dei pensieri delle tre operose generazionidi cui volli narrare la storia.Marzo 1947.B. C.

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    I. POLEMICHE POLITICHE IN ITALIA DOPO IL1870 E REALT STORICA

    Nel 1871, fermata la sede del regno in Roma, si ebbe inItalia il sentimento che un intero sistema di fini, a lungoperseguiti, si era a pieno attuato, e che un periodo sto-rico si chiudeva. LItalia possedeva ormai indipendenza,unit e libert, cio le stava dinanzi aperta la via al libe-ro svolgimento cos dei cittadini come della nazione, del-le persone individuali e della persona nazionale; ch ta-le era stato lintimo senso del romantico moto delle na-zionalit nel secolo decimonono, strettamente congiuntocon lacquisto delle libert civili e politiche. Non si ave-va altro da chiedere per quella parte, almeno per allora;e si poteva tenersi soddisfatti.

    Ma ogni chiudersi di periodo storico la morte diqualche cosa, ancorch cercata e voluta e intrinseca al-lopera chiaramente disegnata ed energicamente esegui-ta; e, come ogni morte, si cinge di rimpianto e di ma-linconia. Non pi giovanili struggimenti di desiderio edivampanti ardori per un ideale nuovo ed alto e remo-to; non pi sogni ondeggianti e sconfinati, cos belli nel-la vaghezza del loro scintillio; non pi acre e pur dol-ce tormento dellamore contrastato; non pi trepidar disperanze come nel quarantotto e nel cinquantanove; nonpi gare generose e rinunzie ai propr concetti partico-lari per raccogliersi in un fine comune, e accordi taciti oaperti di repubblicani e di monarchici, di cattolici e dirazionalisti, di ministri e di rivoluzionari, di re e di co-spiratori, e dominante e imperiosa in tutti religione del-la patria; non pi scoppi di giubilo come nel sessanta daun capo allaltro dItalia, e il respirare degli oppressi e ilritorno degli esuli e laffratellarsi delle varie popolazioni,ormai tutte italiane. Il rimpianto, come suole, avvolge-

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    va perfino i pericoli, i travagli, i dolori sostenuti, le bat-taglie a cui si era partecipato, le persecuzioni, laffanno-so trafugarsi, i processi, le condanne, le carceri e gli erga-stoli. Molti sentivano che il meglio della loro vita era sta-to vissuto; tutti dicevano (e disse cos anche il re, in unodei discorsi della Corona) che il periodo eroico dellanuova Italia era terminato e si entrava in quello ordina-rio, del lavoro economico, e che alla poesia succedevala prosa. E sarebbe stato inopportuno e vano ribatte-re che la poesia ossia il profumo di idealit e gentilezzanon nelle cose ma nel cuore delluomo, il quale la in-fonde nelle cose che esso tratta, e che la nuova prosa po-teva ben essere poesia, diversa dalla prima ma non me-no bella: ne dava esempio allora Nino Bixio, una sortadi Achille omerico, facendosi armatore e procurando diacquistare allItalia lindustria dei trasporti commerciali,e morendo in questa ultima battaglia, egli che era rima-sto salvo nelle altre. Sarebbe stato vano e inopportunosorridere degli irrequieti e impazienti, che accusavano ilvuoto, che, secondo essi, si avvertiva nei dibattiti delparlamento italiano, e si domandavano se lItalia si fossefatta perch non facesse nulla, e la vedevano gi vecchiaprima di esser diventata giovane; e lamentavano lincer-tezza nelle cose da imprendere a petto della chiarezza enettezza che si era avuta nel periodo precedente. E nonsarebbe giovato somministrar loro le ragionevoli rispo-ste, che era pur fortuna che non ci fosse pi uopo di eroiribelli e guerreschi, dolorosi in una patria dolorosa; chenon era poi una grande disgrazia che il parlamento aves-se poco da fare; che la lineare semplicit dellazione pre-cedente doveva condurre alla intricata complessit dellapresente, come sempre che si scende dal generale ai par-ticolari. Si era dinanzi a uno stato danimo affatto natu-rale, e la cui mancanza sarebbe stata, essa, contro na- tu-ra. Ma non n superfluo n inopportuno rammenta-re che quello stato danimo, formatosi dopo la cueillai-

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    son du rve, non val nulla come criterio di giudizio, e cheperci i paragoni per espresso o per sottinteso istituiti tralItalia del risorgimento e quella che segu alla compiutaunit, e i giudizi che reggono e concludono quei para-goni e descrivono il nuovo periodo del quale narriamo,che va dal 1871 al 1915, come meschino o inferiore o ad-dirittura di decadenza rispetto allantecedente, sono daritenere privi di fondamento.

    Un altro giudizio ha laria invece di muovere da un cri-terio, e anzi da un grave criterio storico; cio che lItalia,dopo il 1870, venne meno al proprio programma o al-la propria missione, alla giustificazione stessa del suo ri-sorgere e perci alla grandezza di lei sperata; e fu me-diocre e non sublime. Quale fosse quella missione, ri-maneva di solito indeterminato; ma taluni la determina-vano nel dovere di promuovere e compiere la redenzio-ne di tutti i popoli oppressi della terra, essa che era statagi tra gli oppressi; o nellaltro di affrancare il mondo dalgiogo spirituale della Chiesa cattolica; essa che ne ave-va ora infranto li potere temporale, e creare una nuovae umana religione; o nellaltro, infine, di fondare la ter-za Roma, da emulare nella eminenza mondiale e supe-rare nella qualit dei pensieri e delle opere la Roma an-tica e quella cristiana: echi ed avanzi degli impeti e dellecredenze gi intrecciatisi al mazzinianismo, al garibaldi-nismo, al giobertismo e agli altri moti del Risorgimento.Anche Teodoro Mommsen domandava concitatamentea Quintino Sella: Ma che cosa intendete fare a Roma?Questo ci inquieta tutti: a Roma non si sta senza propo-siti cosmopolitici; e il Sella gli rispondeva che il propo-sito cosmopolitico dellItalia, a Roma, era la Scienza.Il quale aneddoto del Mommsen mette sulle tracce del-lorigine di quel falso giudizio, da ritrovare nella storio-grafia romantica, che, artificiosamente generalizzando lestorie passate, assegnava ai var popoli missioni specialie non concepiva popolo che ne fosse privo senza essere

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    privo per ci stesso della dignit di popolo. Onde non faduopo sottoporre a critica e rifiutare luna o laltra dellemissioni escogitate per lItalia, neppure quella detta dalSella o altre da noi non ricordate; ma bisogna criticare erifiutare il concetto stesso delle missioni speciali, dellequali i popoli dovrebbero caricarsi. In effetto, i popoli,non diversamente dalle persone singole, non hanno altramissione se non quella generale che di vivere umana-mente, cio idealisticamente, la vita, operando secondole materie e le occasioni che loro si offrono e riportandodi continuo lo sguardo dalla terra al cielo e dal cielo allaterra; e, cos facendo, avviene loro di esercitare, nei vartempi e circostanze, una o altra azione o missione pio meno spiccata, e perfino in certe epoche assai spicca-ta e primeggiante le altre, ma non mai una missione an-ticipata e prefissa, determinabile secondo una fantasticalegge storica. Questa sar tuttal pi un mito, che, comesempre i miti, ora indirizza ora svia, ora anima ora depri-me, ora arreca vantaggi ora danni; ma in nessun caso ingrado di porgere criterio storico, e porge anchessa unamisura arbitraria che nega o sfigura i fatti, e, insomma,non li lascia intendere bene.

    Continuando nel togliere preliminarmente talune om-bre e falsi riflessi che turbano nel generale la visione diquesto periodo storico, ci sincontra, proprio al suo ca-po, con quella caduta del partito di Destra dal governodel paese, che, sentita come ingratitudine, ingiustizia ecalamit dagli uomini di quella parte e dai loro molti af-fezionati, stata poi ritenuta, nel giudizio ammesso e co-mune, una discesa di pi gradi nel tono della vita poli-tica italiana, che non mai pi risal a quellaltezza. Am-mirata, recata a modello, invano sospirata e richiamatanei decenni seguenti, la Destra ha preso le sembianze diunet aurea, di un buon principio dellItalia parlamen-tare, caduto presto e per sempre a vil fine; e il 18 mar-zo del 1876, giorno del voto che labbatt e che parve se-

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    gnare la data di una vera e propria rivoluzione, di unarivoluzione parlamentare, rimasto nelle memorie co-me giorno infausto, pi ancora del 6 giugno 1861, chestrapp allItalia, ancora bramosa e bisognosa di essa, laguida del genio di Camillo di Cavour; perch questa per-dita fu una crudelt della natura e laltra una prova del-la poca seriet morale del suo popolo. Anche qui il sen-timento che si fatto e si rif vivo non soffre obbiezioni,ch di rado un popolo ebbe a capo della cosa pubblicauneletta di uomini come quelli della vecchia Destra ita-liana, da considerare a buon diritto esemplari per la pu-rezza del loro amore di patria che era amore della virt,per la seriet e dignit del loro abito di vita, per linte-rezza del loro disinteresse, per il vigore dellanimo e del-la mente, per la disciplina religiosa che serano data sinda giovani e serbarono costante: il Ricasoli, il Lamarmo-ra, il Lanza, il Sella, il Minghetti, lo Spaventa e gli altri diloro minori ma da loro non discordi, componenti unari-stocrazia spirituale, galantuomini e gentiluomini di pienalealt. Gli atti loro, le parole che ci hanno lasciate scrit-te, sono fonti perenni di educazione morale e civile, e ciammoniscono e ci confortano e ci fanno a volte arrossi-re; sicch deve dirsi che, se cadde dalle loro mani il fug-gevole potere del governo, hanno pur conservato il du-raturo potere di governarci interiormente, che di ognivita bene spesa ed entrata nel pantheon delle grandezzenazionali.

    Ma fu forse, quella catastrofe del 18 marzo 76, oltrelesclusione di alcuni uomini dal governo diretto ma noncerto dalloperosit politica, da loro non intermessa, ildisfacimento dellopera loro e labbandono dei loro con-cetti politici? Fu, per contrario, a guardare i fatti, il ras-sodamento di quellopera, il mantenimento e la prosecu-zione di quei concetti, adottati dai loro stessi avverersar,successori nel governo. Avevano essi voluto unItalia chesinserisse sul tronco di un passato ancora robusto e ver-

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    de, epper erano stati propugnatori della monarchia deiSavoia; e i loro successori, e anche di essi gli antichi re-pubblicani e i recenti convertiti, lasciarono cadere le vec-chie idee di sovranit popolare e di costituente, e si di-chiararono e dimostrarono col fatto fedeli e devoti allamonarchia e, prima ancora di giungere al potere, si era-no staccati dal proprio passato, contrapponendo a unaSinistra storica una Sinistra giovane, senza utopie evelleit rivoluzionarie. Avevano voluto laico lo stato, maprudente a non venire a rozzo e violento contrasto conle credenze cattoliche della maggioranza del popolo ita-liano, e perci osservante delle libert garantite alla chie-sa dallo statuto e da una legge speciale; e i loro succes-sori non toccarono niente di queste loro leggi, e supera-rono con prudenza e vigore la prova del primo conclave,che si svolse tranquillo e senza impacci in Roma non pipapale, e, quanto a rappresaglie e procedimenti di guer-ra, sarebbe difficile dire che ne usassero di pi gravi diquelli gi usati al bisogno dalla Destra, quantunque la-sciassero maggiore sfogo alle manifestazioni anticlericali,rispondenti, del resto, al temperamento stesso del papaPio IX, che pareva compiacersi nelleccitarle con le suesmanianti invettive. Avevano voluto forte lautorit dellostato, non solo contro quel che resisteva rabbiosamenteprotestando del partito reazionario e clericale, ma con-tro le superstiti minoranze repubblicane e i recenti nu-clei degli internazionalisti e socialisti; e i loro successo-ri furono in ci ben fermi, e talvolta pi aspri o menoriguardosi che essi non erano stati, e se altre volte, perconvincimenti dottrinar, tentarono altri metodi, non pe-r cangiarono fine, e quei metodi stessi smisero, quan-do lopinione pubblica e gli amici loro stessi giudicaronoche non avessero dato buon frutto. Avevano voluto unapolitica estera saggia e cauta, condotta dai gabinetti mer-c la diplomazia, resistente allinterferenza delle forze ir-responsabili, che, per essere riuscite una volta felicemen-

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    te ad accelerare lopera dellunit con limpresa dei Mil-le, minacciavano di diventare quasi unistituzione, paral-lela a quella dello stato; e i loro successori, che un tem-po erano stati garibaldini e del partito dazione e fauto-ri di popolari spedizioni, furono tanto cauti e saggi da fi-nir con lo stringersi in alleanza con le potenze conserva-trici della media Europa. Avevano voluto il pareggio,la salda costituzione finanziaria dello stato italiano, che ireazionar susurravano incapace di bastare alle spese del-la propria unit; e il capo del partito opposto, venuto inalto fra le acclamazioni e le speranze dei popoli troppotassati, inaugur il suo governo col dichiarare che nonavrebbe rinunziato a una lira sola delle entrate, e, ren-dendo omaggio al bilancio formato dalla Destra, si mo-str attento a non abbandonare il punto da questa fatico-samente raggiunto. Avevano voluto la ponderatezza del-le risoluzioni; e chi fu pi ponderato, incline piuttosto alnon fare che al troppo fare, di quello stesso uomo, il De-pretis, che tenne il governo con poche interruzioni neldecennio seguente? Si passi a rassegna ogni parte dello-pera della Sinistra al potere, e si riscontrer dappertut-to la medesimezza di concetti effettuali con lopera dellaDestra, che, dunque, non fu n disfatta n abbandonatacon la rivoluzione parlamentare del marzo 76.

    Gli stessi uomini di Destra non disconvenivano di ci,osservando che il governo della Sinistra era lo stesso diquello della Destra, ma (soggiungevano) peggiorato.E in questa accusa di peggioramento si annidava, in veri-t, la differenza tra i due partiti, che non stava gi nel-la conservazione e nel progresso, essendo noto che laDestra fu tanto e forse pi arditamente riformatrice del-la Sinistra, e molto meno nella pratica del cesarismo,che essa avrebbe appresa dal terzo Napoleone, che le erastato amico, e in altrettali appassionate ingiurie e calun-nie, allora lanciate e ripetute; ma nel diverso abito di vitapubblica, nel diverso modo di trattare progresso e liber-

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    t, e, per dirla in breve, era la differenza tra liberalismoe democrazia (o radicalismo, demoliberalismo, ecome altro si denomini). Per quelli della Destra, la liber-t importava la spontanea autorit del sapere, della retti-tudine, della capacit, riconosciuta da uomini che eranoin grado di scegliere con spirito di pubblico bene i lororappresentanti, e richiedeva il coraggio della verit, lo-pera razionale della discussione e dellaccettata conclu-sione, la coerenza tra il pensiero e lazione, sdegnandoessi come ciarlatanesimo loratoria dei demagoghi e co-me arte di corruttela la combinatoria degli interessi indi-viduali o regionali o di gruppi. Per queste ragioni si strin-gevano tra loro, respingendo quei personaggi politici chestimavano non irreprensibili moralmente, se anche abilie audaci e vantanti servigi effettivamente resi alla patrianelle cospirazioni e nelle guerre; per queste ragioni rifug-givano dallallargare il corpo elettorale, che gi, ristrettocomera, pareva a loro troppo largo, considerata la qua-lit dei suoi componenti; e, per conseguenza delle stes-se ragioni, gli avversari li screditarono consorti e au-toritari, e che volessero tenere il libero popolo italianosotto tutela, e contrapponevano al loro sistema quellodella democrazia o del progressismo, come , lo chia-mavano. Erano i loro avversari, in genere, di origine in-tellettuale diversa dagli uomini di Destra, questi antichineoguelfi, giobertiani, romantici, idealisti, storicisti, essiilluministi e giacobini e mazziniani; di minore o inferiorecultura; di diversa tradizione nel costume pubblico, usicome uomini di cospirazioni e sommosse a non guarda-re pel sottile nella scelta degli alleati, e perci pronti a ti-rarsi dietro anche i ritinti borbonici del Mezzogiorno egli scontenti del nuovo ordine, a non darsi troppo pen-siero di promettere quel che non si poteva mantenere, oa darsi laria di acconsentire per logorare via via quan-to di impossibile era nelle domande, a non schivare at-ti e contatti che mettessero a rischio il decoro del conte-

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    gno: che (senza bisogno di pi oltre particolareggiare)quello appunto che noto come metodo democratico.

    Senonch il rapporto di liberalismo e di democrazia odemoliberalismo non gi rapporto di due realt empi-riche, sibbene di un ideale e di una realt empirica, diun concetto regolativo e di unattuazione, dove la forzadellideale e del concetto regolativo sta nella sua presen-za, nellefficacia che spiega nellattuazione, con la qualenon mai coincide a pieno. Se al demoliberalismo venissea mancare quellinterno concetto regolativo, esso si con-vertirebbe in tirannide piazzaiola e faziosa, e in tiranni-de si converte pi o meno, secondo la maggiore o mino-re misura di quel mancamento, che tocca talvolta il limi-te estremo, ma, di solito, si mantiene in confini tollera-bili e lascia che nei fatti si rispecchi, senza eccessive de-formazioni, lideale del governo liberale. Gli uomini del-la Destra, educati nella tradizione della monarchia di lu-glio, alla quale era stato legato anche il Cavour, par cheignorassero questo carattere regolativo e pensassero il li-beralismo come realt empirica; e in ci commettevanoerrore. Non era possibile non tenere alcun conto dei bi-sogni, delle passioni, e sia pure degli interessi particolarie delle ignoranze e delle illusioni del popolo italiano, coscome lavevano conformato i secoli e usciva dalla recenterivoluzione, e immaginare e presupporre un paese diver-so dal paese reale; non era possibile avere in gran di-sdegno i compromessi e le clientele, quando ben si sape-va di non potersi appoggiare su classi conservatrici, sullanobilt e il patriziato, che pi non esistevano, e sul chie-ricato che li aborriva e che essi combattevano; non erapossibile far di meno dellabilit e delle arti della combi-natoria elettorale, e, come uno di Destra, il Bonghi, di-ceva a difesa e lode del proprio partito, provvedere al-le cose (ai grandi interessi pubblici) e non alle coset-te (agli interessi spesso piccini degli individui, dei grup-pi e delle regioni), lasciando sfruttare questo campo da-

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    gli avversari; non era possibile, soprattutto, non badarealle condizioni del mezzogiorno dItalia, che erano com-parativamente peggiorate per effetto della nuova econo-mia e dei nuovi scamb, e in cui si agitavano pericolosa-mente troppi disoccupati; non era possibile, infine, datala libert allItalia, restringere lesercizio elettorale, in unpopolo di ventotto milioni, a un mezzo milione di citta-dini, dimenticando quel che pur era scritto a chiare no-te nei libri nei quali essi avevano studiato, che non si trovato finora altro modo di educare i popoli alla liber-t, cio di educarli senzaltro, che quello di concedere lo-ro la libert e di far che imparino con lesperienza, e ma-gari col fiaccarsi la testa. Cera nelle loro pretese, alta-mente ispirate che fossero, un tratto involontariamentecomico, che fu ben clto dal Martini col paragonarle allasemplicit di Arlecchino, il quale, distribuito ai suoi ra-gazzi un dono di trombette e tamburelli, li ammoniva didivertirsi, ma non far rumore.

    Una sembianza di realt, non certo senza perturba-zioni, ebbe lideale della Destra nel decennio del com-pimento dellunit, quando listintiva assennatezza ren-deva accorti a non distrarre le volont dal duplice finedellacquisto di Venezia e di Roma; e nei primi anni do-po il settanta, quando incombeva pur sempre lo spet-tro del fallimento, e la stessa assennatezza, anche negliavversar, faceva che si lasciasse alla Destra, pur contra-standola, il compito di tassare ferocemente per raggiun-gere il necessario pareggio. Ma, risoluto il problema diRoma, raggiunto il pareggio, quelle che erano state av-visaglie nelle elezioni del 1865 e del 1874 con lavventoalla Camera dei cosiddetti uomini nuovi e lesclusio-ne di molti vecchi patrioti, dovevano prendere forma piintensa e conclusiva: la sollevazione degli interessi offe-si, specie nelle provincie meridionali, non poteva pi fre-narsi; il paese reale sobbolliva contro lItalia legale,e, alla prima scaramuccia parlamentare, la Destra cadde.

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    Cadde cio, non semplicemente come partito che lasci ilgoverno per ripigliarlo in altra vicenda, rinfrescate le sueforze merce lopposizione; ma nella sua stessa idea, co-me quella pretesa di perfezione, che riteneva dellastrat-tezza. Di che non ebbero allora, n per lungo tempo di-poi, consapevolezza gli uomini della Destra e quelli stessidella Sinistra, appunto perch n agli uni n agli altri erachiara lindole del puro liberalismo, quantunque quelladefinizione di rivoluzione parlamentare, allora foggia-ta dal sicuro intuito generale, dovesse indurli a meditaree a cercare pi in fondo.

    Anche quella caduta fu, dunque, non una decadenzadella vita politica italianii, ma un trapasso dallo straordi-nario allordinario. N per ci si perse lidea liberale, chesopravvisse non solo in quegli uomini di Destra che an-cora parteciparono alla vita pubblica e talvolta operaro-no da freno e talaltra aiutarono al trionfo di buone leg-gi; ma nei loro antichi oppositori, costretti, ora che ave-vano la responsabilit del governo, a tener fiso locchio aquellago polare; sicch di volta in volta essa fu fatta vale-re per ripigliare negli urti e scosse della lotta politica le-quilibrio che sempre si squilibra e sempre si riequilibra.Contro i malanni o, come fu allora chiamata, la corrut-tela della vita pubblica, dovuta a un troppo largo uso deimetodi democratici, lev la voce, tra gli altri, il De Sanc-tis, nella sequela di frementi articoli che scrisse nel Dirit-to tra il 77 e il 78, e che parvero atto di accusa contro ilpartito stesso a cui era ascritto, e certo miravano a talunirappresentanti di questo e a taluni modi di sentire e di fa-re che si diffondevano e stavano per diventare costuman-ze. Tra i giovani, che erano andati in grandissimo nume-ro a sinistra, si venivano raccogliendo quelli del centrosinistro, che poi era anche un centro destro ed espri-meva esigenze di Destra. Il Depretis era assai spesso diaccordo con gli avversar, che in suo cuore assai stimava;e rammento che una volta, nel 1885, avendo lo Spaven-

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    ta definito in una lettera a un giornale la vita politica del-lItalia un pantano tra grido di proteste e contumeliedei zelanti del ministero, una sera gli udii raccontare cheil povero Depretis, a certe indiscrete domande e pressio-ni dei suoi, aveva esclamato: Ha ragione Spaventa: stia-mo in un pantano, fino agli occhi!. Certo non pochi de-gli uomini di Destra e di coloro che avevano il medesi-mo loro temperamento e carattere non vollero in alcunmodo piegarsi alle necessit del diverso avviamento del-la vita pubblica: come mai avrebbe potuto piegarvisi unLanza, che aveva un tempo assai sofferto di quella cheegli giudicava duplicit nella politica del Cavour, e siera poi doluto di talune promesse che la Destra aveva fat-te nella lotta elettorale del 1874; o uno Spaventa, incrol-labile nei suoi convincimenti, inesorabile nelle sue con-danne morali, e di una rigidezza che talora sfiorava lor-goglio? Luno e laltro erano di coloro che, per iscrupo-lo di onest e timore di cedere agli affetti, accolgono lerichieste degli amici con maggiore diffidenza e maggio-re disposizione adir di no che non quelle degli avversa-r e nemici. Ma si sa che la politica quella che , e chiprova ripugnanza a certi accomodamenti, a certe manie-re, a certe qualit di persone, ben si comporta col trar-sene da parte o farne solo quel tanto che pu senza ri-pugnanza, sia per rispetto verso s stesso, sia perch tut-to il rimanente non potrebbe, per mancanza di attitudi-ne, farlo se non contro voglia e goffamente. Daltronde,quella che si chiama la politica in senso stretto solo unaparte, se anche la pi appariscente, dellattivit politica,nella quale vanno compresi altres lautorit morale chesi acquista verso i concittadini, gli insegnamenti e gli am-monimenti che loro si forniscono e che non troverebbe-ro altrove, la buona scuola che con lesempio si fonda esi tiene viva. E se una taccia deve darsi ai vecchi uomi-ni della Destra di aver tentato dapprima, e vanamen-te, di conservare, dopo il 76, il loro partito come parti-

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    to di governo, nel quale sforzo non riusc neppure coluiche elessero per loro capo e che passava per assai abile, ilSella; e, poich la logica dei fatti ebbe pronunziato la suasentenza, di essersi lasciati andare ai sarcastici dispregi eal nero pessimismo, gettando attorno a s, senza volerlo,lo sconforto negli animi, in luogo dintendere ed eserci-tare il loro ufficio meramente regolativo, lufficio del saleche, se diventa insipido, non c modo di salarlo. Ma co-testa era una conseguenza del non inteso carattere idealedel puro liberalismo.

    Se la caduta della Destra mosse allora grande amba-scia e ingener sfiducia in moltissimi e porse argomentoa giudiz di riprovazione sullItalia, che ancor oggi con-fondono e nascondono i veri lineamenti di quei tempi,consimile e maggiore effetto produsse un altro processoche allora fece il suo corso: il dissolvimento dei grandipartiti politici, il cangiamento di colore o piuttosto i varcolori che via via assunsero i loro rappresentanti, lo sfu-mare via di ogni particolare significato nei vecchi nomi;non sostituiti da altri che lavessero pi preciso. Qui ilpessimismo non era pi dei soli uomini di Destra e deiloro fautori, ma di tutti; e il giudizio non concerneva lamaggiore o minore levatura morale e intellettuale degli-taliani, ma la stessa loro capacit a reggersi secondo leleggi della vita libera e parlamentare. La pubblicistica diquegli anni, tra il 1876 e il 1886, si aggir principalme-hte su questo punto; i discorsi elettorali e i dibattiti deigiornali vi tornavano sopra con insistenza; un dotto del-la materia, venuto in Italia nel 1878, il De Laveleye, tro-v che se ne discuteva in tutti i molti salotti che egli ebbeoccasione di frequentare tutti gli uomini politici coi qua-li convers, e da tutti gli intelligenti. Lascesa della Sini-stra al potere, onde si di lode al re per avere, chiaman-do gli oppositori di lunghi anni e in buona parte di ori-gine repubblicana, al posto dei governanti da lunghi an-ni schietti monarchici, attestato la sua fiducia nelle isti-

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    tuzioni liberali e nella vicenda parlamentare, invece direndere pi salda la compagine di quel partito e del suoopposto, e pi reciso il distacco, scompose quelle com-pagini e cancell le linee distintive, che prima cerano osembrava che ci fossero. Invero, per linnanzi, un pro-blema aveva dominato sugli altri tutti, quello del compi-mento dellunit, nel quale potevano dividersi allincir-ca due partiti, il partito del fare rapido e arrischiato, elaltro del pi lento e sicuro, il partito che chiedeva chelItalia facesse da s o che si lasciasse fare al suo popolocio ai suoi garibaldini, e laltro che stimava che lItaliadovesse ben fare i conti con le potenze europee e adope-rare la diplomazia e stringere alleanze e alle armi ricor-rere solo nel momento buono; e la divisione era durataancora dopo il settanta, tra coloro che procuravano eco-nomie e tassavano, egli altri che volevano minori tasse emaggiori spese: il quale contrasto arieggiava in immagi-nazione quello dei due partiti classici della conservazio-ne e del progresso. Ma neppure tale parvenza reggevapi quando bisognava dare un senso proprio, e non me-taforico e non fittizio, alla conservazione e al progresso,perch allora si mostrava chiaro che luno laltro parti-to, la Destra e la Sinistra, erano tuttinsieme conservato-ri e progressisti nel loro indirizzo generale, e che il diva-rio sorgeva solo su questioni concrete e particolari, nellequali ciascun componente di quei presunti partiti era inaccordo o in dissenso coi suoi, in dissenso o in accordocon gli avversar; cosicch, nei particolari, ogni proble-ma aggruppava e divideva diversamente gli uomini poli-tici. Lallargamento del suffragio era chiesto dal Cairoli edal Crispi come suffragio universale, con laccompagna-mento del Senato elettivo, della indennit ai deputati, e,residuo del passato, lombra della Costituente; ma, nel-lo stesso loro partito, di affatto diverso avviso era il De-pretis, che pensava a un moderato allargamento, e il Ni-cotera, che forse avrebbe fatto a meno anche di questo,

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    mentre, tra quelli di Destra, il Sella gli era favorevole, e,del resto, quando alfine fu attuato non produsse nessunodei disastri profetati, e la qualit degli eletti non solo nonpeggior, ma in generale divenne migliore Sulla questio-ne della tassa del macinato il Sella era rigido nel ritenerlaindispensabile, ma il Minghetti inchinevole allabolizio-ne, e, quando si voleva abolirla in ogni parte troppo ra-pidamente, fu un ministro di Sinistra, il Grimaldi, que-gli che si ribell e si dimise, dichiarando che laritmeti-ca non unopinione. Circa le relazioni tra stato e chie-sa, laddove il Lanza e il Minghetti si attenevano alla for-mula cavouriana della chiesa libera nello stato libero, loSpaventa era risolutamente per lo stato contro la chiesa,cio per lo stato moderno contro lo stato antiquato o (sepiace dire diversamente) per la chiesa moderna controlantica; e il Sella, giurisdizionalista, vedeva nella chiesail pericolo immenso della societ moderna, temendoche lo stato si spogliasse troppo spensieratamente dellearmi di difesa e offesa che ancora possedeva contro diessa, e approvava il disegno di legge del ministro di Sini-stra, il Mancini, sugli abusi del clero. Nella sempre ripro-posta e non mai affermata di proposito n risoluta que-stione del decentramento, quelli di Destra erano altret-tanto discordi e perplessi quanto quelli di Sinistra. Nellequestioni economiche, come in quella dellesercizio delleferrovie, liberisti che le preferivano affidate allindustriaprivata, e monopolisti che le assegnavano ai compiti del-lo stato, si trovavano nelluno e nellaltro campo. Nel-la politica interna, il Nicotera, che mantenne il domici-lio coatto e listituto dellammonizione e proib comizi ecelebrazioni repubblicane o semirepubblicane, e sciolsesociet operaie e mand alle isole i promotori di scioperi,e poi il Crispi, davano dei punti ai pi autoritar ministridella Destra, laddove lo Zanardelli, geloso della libertdi riunione e tenace nella massima del reprimere e nonprevenire, non avrebbe discordato dal Ricasoli e da altri

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    puri liberali di Destra, i quali, per altra parte, non pote-vano non plaudire al rispetto scrupoloso che questuomodi Sinistra sempre dimostr per lindipendenza della ma-gistratura. La domanda di garanzie contro le prepoten-ze dei governi di partito nellamministrazione, che ebbeprecipuo proponitore e sostenitore lo Spaventa, fu accol-ta e tradotta in un istituto, la quarta sezione del Consi-glio di Stato, da niun altro che dal Crispi, che di essa vol-le presidente e ordinatore proprio lo Spaventa. La leg-ge della perequazione fondiaria fu opera di un ministerodi Sinistra, con la valida collaborazione del Minghetti edi altri della Destra. Lobiezione costituzionale, sollevatadallo Spaventa contro il Crispi sulla illegittimit di crea-re o abolire ministeri per decreto, fu accolta da altro go-verno di Sinistra e fin col diventare pi tardi legge dellostato. Cos procedevano i fatti, per chi guardi ai fatti.

    Eppure senza una netta distinzione di partiti, senza idue grandi partiti della conservazione e del progresso,lottanti tra loro e avvicendantisi nel governo, un sano re-gime parlamentare era, per comune convincimento o co-mune preconcetto, impossibile. Donde laffanno a impe-dire che essi mescolassero le loro acque, i gridi di orro-re quando ci accadeva, le esortazioni e le invocazioni afar rientrare ciascuno dei due in quello che si presumevadovesse essere il suo letto, o linvito a scavarsi un proprioletto. Il programma della Sinistra, lideale della Sini-stra erano richiamati a ogni istante, senza che avesseroforza di arrestare la reciproca compenetrazione delle dueschiere. Il Depretis, fin dal suo primo Ministero, fu assa-lito cos dalla estrema Sinistra legalitaria del Cairoli comeda quella repubblicana del Bertani, per aver rotto fede alprogramma della Sinistra, e peggio ancora nei suoi se-guenti ministeri, pei quali cerc appoggi nel centro e adestra. Si giunse a ridare, nelluso corrente, significatoeulogico e positivo al nome di Sinistra storica, che erastato foggiato propriamente per designare la Sinistra an-

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    tiquata e morta. Il Crispi, discorrendo alla Camera il 7dicembre del 78, diceva: Non so ancora la ragione percui taluni uomini di Destra abbiano creduto di scompor-re il loro partito per disordinare il nostro... Io mi ap-pello al patriottismo di tutti perch, facendo tacere i ri-sentimenti, possiamo accingerci alla ricomposizione del-le due parti politiche del parlamento, affinch ciascuno,entro la cerchia del suoi amici, faccia il debito suo. Main quello stesso discorso, avendo egli rimproverato alloZanardelli, a proposito dei circoli di repubblicani e in-ternazionalisti, di non adoperare, per timore di scapita-re nella popolarit, i mezzi di polizia che erano a sua di-sposizione, ne ebbe per risposta: Il suo linguaggio diDestra: vada a sedere a destra!. Si spiava ogni occasio-ne che sembrasse propizia alla divisione bramata e si so-spirava quando la si vedeva fuggire senza che se ne fossetratto profitto a quel fine. Gi nel 1866 il Minghetti cer-cava una grande idea, un gran principio intorno ai qua-li si formi una maggioranza e una minoranza, e credevadi averla presente nella questione, che allora si dibatte-va, dei rapporti tra stato e chiesa. Per disperati, si carez-z pi volte, e da pi parti, lidea, o si effuse il van desoche entrassero nella Camera italiana i cattolici, i quali sene tenevano fuori per ordine del Papa, a operare da rea-gente chimico per la divisione dei partiti: come se i cat-tolici, partecipando ai dibattiti e alle combinazioni parla-mentari, avessero potuto portare altro che qualche mag-giore complicazione e ritardo nelle questioni particolariche si trattavano, o produrre altro che qualche aggiuntatransazioncella: unopposizione di princip allo stato li-berale essi non potevano farla se non fuori del parlamen-to, in quanto clericali, con professioni di fede, cospira-zioni e moti rivoluzionar; n pi n meno dei repubbli-cani e poi dei socialisti, che, entrati nel parlamento e giu-rata fedelt alle istituzioni, erano afferrati nellingranag-

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    gio delle combinazioni parlamentari, e via via cessavanonel fatto di essere repubblicani e socialisti.

    Non ostante lo spasimo di questi sforzi e di queste ari-de escogitazioni, i due partiti non si cristallizzavano, e ri-manevano fluidi, e continuavano a mescolare, peggio diprima, le loro acque. Uomini di Destra entravano in ga-binetti di Sinistra, frazioni di Destra sostenevano siffat-ti gabinetti, frazioni della Sinistra si combattevano tra lo-ro: lo stesso Crispi, il 15 marzo dell80, domandava con-to e ragione di come mai si fossero uniti il Depretis eil Cairoli, che pure rappresentavano due gradazioni di-verse, e quale dei due avesse piegato allaltro. Il con-tegno reciproco degli uomini delluna e dellaltra parte,che era stato ostilissimo nei primi tempi, durante le ven-dette e persecuzioni operate particolarmente dal Nicote-ra (talch prefetti di Destra presentarono nel 1876 le di-missioni e i giornalisti dei giornali opposti non scambia-vano il saluto, e gravi accuse di carattere personale fu-rono prodotte, come quella della Gazzetta dItalia con-tro il Nicotera), si venne facendo pi mite e cortese: nel1878, lOpinione e ilDiritto discutevano amicamente delmodo di formare un nuovo partito con la fusione di ele-menti dei due antiquati. Rimaneva qualche vecchio ran-core negli uomini vecchi, si opponeva da parte di qual-cuno un assoluto rifiuto a conciliazioni con qualche al-tro; ma, insomma, latteggiamento vicendevole era mu-tato. Il Sella, che si era trovato a destra forse solo perchsu quella parte poteva contare per la sua severa politicafinanziaria di tasse e di economie, disegnava, nel 1881,di comporre un ministero di accordo fra elementi di De-stra e quelli di Sinistra pi temperati; e che cosaltro vo-leva fare (si osservava) se non quello che fece trentanniinnanzi il Cavour col connubio, e che era stato per ac-cadere nel 1873, quando la morte del Rattazzi tronc letrattative per un ministero di larga base, e che in quellostesso anno aveva riproposto il Minghetti? E se il dise-

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    gno del Sella era ancora prematuro e fu impedito, egli neriaffermava la necessit, nontando che Destra e Sinistrasi dividevano ormai non per diverso indirizzo di idee, maper effetto di tradizioni e di uomini; e fu, infatti, ripresoda altri. Sorgevano nuove parole, oggetti di scandalo, matuttavia sintomi del processo in corso: in luogo delle de-nominazioni secondo gli ideali della conservazione e delprogresso, i gruppi si designavano secondo i capi che sitenevano capaci di formare i ministeri, depretisini e cri-spini e nicoterini e zanardelliani e selliani, e simili; pocodi poi, segu la parola che dava la coscienza della disso-luzione avvenuta, una parola che parve brutta o addirit-tura vergognosa, e con senso di pudore e di ribrezzo cor-reva per le labbra di tutti: trasformismo. Con le ele-zioni dell80 si era costituito il centro sinistro; con quelledell82 si ebbe la nuova maggioranza del Depretis, quellaappunto del trasformismo, che egli chiamava il gran-de nuovo partito nazionale. Il Minghetti, lultimo pre-sidente del governi di Destra, nel suo discorso di Legna-go, vi aderiva, andando per troppa foga forse di l delnecessario; lo Spaventa lavrebbe accettato se, invece diuna incondizionata dedizione come quella del suo ami-co, si fossero poste condizioni e il Depretis avesse fattopassi verso la Destra, smettendola di vezzeggiare i radi-cali: ma questo n il Depretis n altri poteva, e menoancora quegli poteva riconoscere la Destra come alcun-ch di esistente quando, nel suo intimo pensiero, non ri-conosceva come tale neppure la Sinistra. Nellaltro cam-po, irremissibili come lo Spaventa, riprovanti come luie il Depretis e il Minghetti, parvero il Crispi, il Nicote-ra, lo Zanardelli, il Cairoli, il Baccarini, che costituironola pentarchia; ma questa non oper nulla di pratico epresto si sgretol, e, comunque sonassero le sue parole,il Crispi doveva fare poco dopo anche lui politica di tra-sformismo, e quando nel 1891, caduto dal potere, cer-c di ripigliare nella Camera lantica canzone, il trasfor-

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    mato a sua volta Nicotera gli rispose che venire a parlaredi Destra e di Sinistra non era pi cosa seria, e che me-no di tutti aveva diritto di parlarne lui, Crispi. Il Bonghi,non solo ex-ministro e deputato, ma autorevole pubbli-cista e vivacissimo polemista della Destra, si domandava:Come faremo noi a fare unopposizione seria a un mini-stero, che cammina sulla nostra medesima via, nel modostesso o meglio che avremmo potuto far noi?.

    Dopo il 1885, il trasformismo si era cos bene effettua-to che non se ne parl pi, e il nome stesso usc dallu-so. Ma sempre quel nome, quando fu ricordato, parverichiamare qualcosa di equivoco, un fatto poco bello e lacoscienza di una debolezza italiana; e leco di quel senti-mento perdura nei libri degli storici, degli storici che so-no di solito professori o altra candida gente, tutta smar-rita al susseguirsi dei mutamenti ministeriali, al continuofallire della loro sospirosa speranza di un governo sta-bile, e, insomma, al cangiamento delle cose, perch, se-condo il segreto desiderio del cuor loro, le cose dovreb-bero restar ferme; e non riflettono che in questo caso nonavrebbero pi storie da scrivere, neppure come quelleche di solito scrivono. Senonch, ci che per questa par-te accadde in Italia, accadeva allora in tutta Europa enella stessa Inghilterra: i libri dei professori di altri pae-si sono pieni degli stessi lamenti che in Italia si faceva-no al ricordo del parlamento subalpino, notandosi linfe-riorit nel decorso e nelloratoria dei parlamenti dell80a confronto di quelli di cinquantanni prima in Francia ein Inghilterra, o dellassemblea di Francoforte del 1848,quando personaggi insigni dibattevano in nobili duelli ipi alti problemi. Chi metteva il capo fuori dellusciodi casa propria, ne riportava la notizia dello scadimentodellistituto parlamentare non solo in Italia, ma in tuttalEuropa. Il vero (come gli esperti sanno) che, allora,n in Italia n fuori scadde la vita libera e parlamentare,ma si dissip, invece, semplicemente unarbitraria dot-

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    trina politica, che, sebbene si fosse radicata in supersti-zione, non si poteva sostenere n innanzi alla logica del-le idee, n, di conseguenza, innanzi a quella dei fatti; ese il dissiparsi di quella teoria produsse smarrimento pigrande in Italia che altrove, la ragione era in ci, che ladelusione da noi seguiva troppo dappresso linizio del-la vicenda parlamentare. Certo, il ritmo della vita e del-la storia si svolge con quei due momenti, della conserva-zione e del progresso, e con la loro sintesi; ma, appuntoperch quei momenti sono in ogni singolo atto e moto,non lecito mitizzarli in due anime diverse e materializ-zarli in due programmi in ogni punto diversi e contrap-posti. La dottrina politica, nel porre i due partiti rego-lari, commetteva lo stesso errore della teoria dellarte,quando poneva i generi letterari e artistici con le rispet-tive regole, e poi si confondeva nel trovarsi davanti ope-re regolari che non erano opere di poesia e opere di poe-sia che non erano regolari, e nel vedere la gente corre-re non dove trovava regolarit, ma dove trovava poesia,cio vita.

    Il medesimo accadde nellesperienza della vita politi-ca, nella quale nessuna forza poteva impedire agli uomi-ni di accordarsi o discordare non su astratti e vuoti pro-grammi, ma su questioni e provvedimenti concreti, e se-guire i capi che via via davano speranza di attuare quel-lo che ad essi pareva buono e plausibile: che era la realtdella lotta politica. Perch gli italiani avrebbero dovutosbigottirsi delle frequenti mutazioni ministeriali, le qua-li ai sopradetti storici suggeriscono limmagine dellinfer-mo che non trova posa sulle piume, ma che erano invececontinui adattamenti e riadattamenti soliti in ogni ope-ra, e segnatamente in una cos complicata come il go-verno di un gran paese, e non turbavano, o assai lieve-mente, il normale andamento della loro varia operosit?Perch avrebbero dovuto tendere tutti i loro muscoli pertenere in alto i cartelli di Destra e Sinistra, trascurando

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    le importanti cose che quelli non rappresentavano o rap-presentavano in modo assai vago e fiacco? Perch nonavrebbero dovuto contentarsi di quei governi, che, purnella loro instabilit, davano loro allincirca quelle liber-t, quellordine e quellamministrazione che rispondeva-no al bisogno ed erano praticamente possibili? Perchnon dovevano lasciar fare al Depretis, buon monarchi-co, uomo dordine, con certo cuore popolare, che ave-va promesso quello che pochi chiedevano, lallargamen-to del suffragio, e laveva attuato, aveva promesso laboli-zione dellimposta del macinato, poco caritatevole o sen-tita come tale, e in varie tappe laveva abolita, aveva pro-messo labolizione del corso forzoso e pi o meno felice-mente lo faceva cessare; e che, avvertendo col suo buonsenso non esservi in Italia materia di pericolosi contra-sti sociali e politici, annunziava nel 1882 di metter pau-sa alle riforme pi propriamente politiche per attende-re allamministrazione? Nondimeno, anche la lunga per-manenza del Depretis al governo, i suoi otto ministeri,dal 1876 al 1887, quella che fu chiamata la sua dittatu-ra, formava per glitaiani argomento contro s medesi-mi e sembrava indizio della loro pochezza politica: quasiche in quegli undici anni altri uomini non si fossero pro-vati alla direzione dello stato, come il generoso e cavalle-resco Cairoli, e non si fossero dimostrati inferiori al De-pretis nellaccortezza, e altri, come lo schietto e capacis-simo Sella, non avessero dovuto deporre il mandato rice-vuto dal re, non riuscendo a superare le difficolt parla-mentari e le persistenti passioni settarie e personali. Gio-sue Carducci, in quei tempi, recandosi come soleva a Ro-ma, e dallo spettacolo della vita politica di col e dalle di-spute che udiva intorno a s cercando rifugio nella con-templazione dei monumenti dellUrbe, scoteva via tuttaquella piccina umanit:

    Che importa a me se lirto spettral vinattier di Strabella

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    mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?E se il lungi-operoso tessitor di Biella simpiglia,ragno attirante in vano, dentro le reti sue?

    Ma erano impressioni da poeta, il quale poi, come poe-ta, e vi avesse rivolto il pensiero e laffetto, forse si sa-rebbe preso di umana ammirazione per quel vinattierdi Stradella, per quel vecchio settantenne, che, in te-nore di vita modestissimo e quasi povero, tutto il vigo-re del corpo e dellingegno, per oltre quarantanni, con-sum nella passione del pubblico governo, e per queltessitore di Biella, mente chiara, animo sereno e lieto,scevro di livori, sempre temperato, sempre giusto, cheaveva salvato lItalia dal gettarsi nel baratro della guerrafranco-prussiana, laveva risanata finanziariamente pren-dendo sopra di s lodio dei sacrifici imposti, laveva vo-luta allenata alloperosit industriale e fisicamente pi ro-busta e alacre educandola allamore delle montagne, ave-va procurato la trasformazione della capitale in grandecitt moderna, e in Roma aveva fondato una grande sededella scienza, e, poco stante, moriva ancor giovane, fiac-cato dalle fatiche. Cose queste che avevano il loro pro-prio valore, anche accanto alle vetuste pietre dellarco diTito.

    Infine, e per terminare questa rassegna didola conuno che attiene a una generica considerazione metodo-logica, giova mettere in guardia a non convertire in giu-diz storici i giudiz che sincontrano nella pubblicisticapolitica, la quale dava allora, come suole, descrizioni del-le condizioni dItalia, che erano in apparenza quadri direalt storica, ma in sostanza quadri di desider dei loroautori: lo stesso fissamento della dinamica storia in stati-ci quadri di condizioni dimostra che si tratta della vi-sione non duna realt per s stessa, ma di una realt inrapporto a un desiderio, negata pi o meno nel deside-rio. Le polemiche e le proposte della pubblicistica politi-

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    ca, non che essere storia, sono poco pi che materia bru-ta per lo storico, il quale sceverer tra esse quelle che fu-rono germi che si schiusero in fatti, e le moltissime altre,germi invalidi e caduti su terreno disadatto, destinati adisseccarsi e perire: ch il desiderio umano procede nondiversamente dalla sempre desiderante natura, la qualeprofonde miriadi di germi per dar vita a poche creature.Cos in Italia, allora, assai si tratt delle autonomie am-ministrative e dellautogoverno allinglese o allamerica-na, e parve che in ci fosse una grande nostra manche-volezza e insieme laspettazione di un sommo beneficio.Ma lo storico deve dire che, se di tali istituzioni ci fossestato il bisogno, lItalia se le sarebbe create, e le voci deirichiedenti e proponenti non sarebbero rimaste, come ri-masero, lodate e inascoltate, perch sarebbero venute inaiuto di un processo gi in corso; e che, daltra parte,lammirazione suscitata da quelle istituzioni di altri pae-si (non perpetue, del resto, ma anchesse transeunti) nondeve nascondere agli occhi tutto lautogoverno che ci sempre nelle intraprese economiche e sociali e nelle ope-re della cultura e della scienza e dellarte e simili, e cheallora, in Italia, con la vita libera, crebbe e non diminu.Il nuovo avviamento sociale e la divisione del lavoro ren-devano sempre pi difficile, qui come altrove, quella sor-ta di delegazione ai cittadini di talune parti della pubbli-ca amministrazione, che si era mantenuta e aveva pro-sperato in altre e pi semplici e meno mobili condizioni.Coloro che la pensavano altrimenti facevano benissimo adire il loro avviso, ma non si pu imputare a colpa del-lItalia che i loro disegni non fossero tradotti in atto. Pa-rimente cerano di coloro che, passando ad ammirare ilnuovo popolo assurto allora allammirazione mondiale,il tedesco, avrebbero desiderato che lItalia prendesse unabito pi disciplinato, pi militare e bellicoso, e maga-ri si ritemprasse in un bagno di sangue, e smettesse lesue sciolte consuetudini e i suoi affetti umanitar e le sue

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    ripugnanze per le durezze dei castighi e per la pena dimorte; e anchessi esercitavano un loro diritto e compie-vano un loro dovere cos manifestando i loro non bassiideali e desider, e potevano anche produrre qualche be-ne col correggere certi eccessi delle disposizioni italiane;ma sarebbe poi strano che si volesse far colpa al popoloitaliano di non essere stato il popolo tedesco.

    Fuori di tutti codesti idola si muove la semplice storiadi quel che lItalia fu e fece e sent e immagin, dal 1871al 1915, e che ora prendiamo ad esporre con ordine, ri-collocando ai loro posti per accenni, o meglio determi-nando, quei tratti di essa, che abbiamo stimato conve-niente in qualche modo anticipare.

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    II. LASSETTO DELLO STATO E LAVVIAMENTODELLECONOMIA NAZIONALE. (1871-1887)

    Lopera nazionale e politica, giunta a termine nel 1870, stata pi volte, e dagli stranieri pi che dagli italiani, giu-dicata mirabile; quale (si disse) soltanto la genialit italia-na, ardita e sennata, idealistica e insieme realistica, pote-va delineare ed eseguire, imprimendole, come alle gran-di opere della sua arte, il suggello della innata classici-t. Queste espressioni e modi immaginosi, nati da me-raviglia e ammirazione, e perci lirici e poetici, discon-vengono, non meno di quelli satirici, al calmo pensieroindagante e intendente, che non conosce se non proces-si logici o naturali. E nondimeno, anche alla pi fred-da critica, quel risorgimento dItalia, quel suo impetonazionale, quel suo rapido raccogliersi e fondersi in uni-t statale, si dimostra una delle pi felici, delle pi chiareattuazioni di quanto lo spirito europeo, da oltre un mez-zo secolo, si era proposto a fine dellopera sua e amavacome la bella creatura del suo sogno. Preparato nel mo-to delle riforme del secolo precedente, aveva acquistatocoscienza di s nelle esperienze della Rivoluzione france-se e dei rivolgimenti che le tennero dietro in Italia; da il-luministico e cosmopolitico era diventato nazionale, sen-za perdere nobilt di umano e universale sentire; avevaprovato i mezzi delle stte e delle congiure, e, ritrovatilinon abbastanza efficaci e moralmente non giovevoli, ave-va messo al loro luogo laperta cospirazione della culturae la preparazione delle menti e degli animi; aveva persi-stito per alcun tempo a vagheggiare la repubblica unita-ria di tradizione giacobina, ma si era discostato da quel-la idea per risvegliato senso storico, che lo portava a ten-tare la federazione dei molteplici e tradizionali stati ita-liani, tra i quali era quello del Pontefice; aveva, in ulti-

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    mo, abbandonato anche lidea federale per effetto delleesperienze del quarantotto e pel maturato senno politi-co, stringendosi attorno alla monarchia dei Savoia. Re-ligione, letteratura, vigore di pensiero e di studi severi,apostolato di redenzione nella libert, semplice e gene-roso cuore popolaresco, chiaroveggenza di uomini poli-tici dal sagacissimo intelletto, sangue e sofferenze di mar-tiri e sacrifiz dogni sorta, cautela di diplomatici, caval-leresco intervento guerriero di una vecchia stirpe regiacon lesercito a lei devoto, idealit monarchica e ideali-t repubblicana, queste varie e diverse forze e virt ave-vano concorso con discorde concordia allopera; e lEu-ropa guardava con commosso compiacimento lItalia co-gliere il frutto dei suoi lunghi e nobili sforzi, congiungereal suo passato di gloria un vivo presente. Con quali pa-role questa nuova e antica sorella fu salutata nelle assem-blee dei paesi liberi di Europa! Con quale dolore, an-che negli stati e popoli nemici, fu compianta la sparizio-ne della luce di Camillo di Cavour nel punto stesso chesi avvivava di pi fermo splendore! Con quale entusia-smo venne festeggiato Garibaldi in Inghilterra nel 1864!Esercit anche, allora, lItalia ufficio di maestra in poli-tica, e lUnione nazionale italiana fu esempio e modelloa quella che con intenti analoghi fu fondata in Germanianel 1859, e il Cavour poteva rispondere, nellottobre del60, allinviato di Prussia circa le proteste di quel gover-no contro le annessioni italiane, che un giorno la Prussiasarebbe stata grata al Piemonte della via mostratale pereffettuare lunit germanica (lezione poco dopo messa inpratica); e Mazzini e Garibaldi infiammarono le anime einsegnarono i metodi della lotta alle nazioni oppresse, eancora ai nostri giorni quei nomi risuonano nella lontanaIndia e quegli uomini hanno col i loro discepoli.

    A oscurare questo carattere e valore dellopera com-piuta si form e diffuse un giudizio (e non, come quel-lo ammirativo, da parte degli stranieri, ma da parte de-

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    gli italiani stessi) che essa si dovesse piuttosto a fortunache a virt di uomini e di popolo e, come si diceva, al-la buona stella dItalia: al mirabile degli spiriti poe-tici veniva sostituito il miracolo degli spiriti supersti-ziosi. Quasich ogni cosa che accada al mondo non pos-sa ascriversi, con pari diritto, alla fortuna, e non pure ilrisorgimento italiano, ma la civilt ellenica, limpero diRoma, la grandezza britannica, qualsiasi pi grandioso opi modesto avvenimento: sebbene, in realt, niente leappartenga davvero e tutto sia degli uomini e della Prov-videnza che li ispira e li conduce e li fa. Chi fantastica suipossibili se lAustria nel 59 non fosse caduta nel giuo-co del Cavour, dichiarando per prima la guerra; se il redelle Due Sicilie avesse in quellanno, o nei primi del se-guente, accettato di allearsi col regno sabaudo; se la cro-ciera borbonica avesse incontrato e catturato nel 60 lenavi che portavano i Mille; se lAustria e lo stesso Napo-leone III, che lunificazione dItalia contrariava nei suoidisegni, si fossero interposti in quellanno, come ce neraminaccia; se nel 70 lItalia si fosse trovata non in disar-mo ma in pieno assetto militare e si fosse gettata nel ba-ratro della guerra, vede sempre tutto a un pelo dallan-dare in rovina e salvato solo per fortuna o miracolo;ma, appunto, a questo modo non si fa se non fantastica-re. La virt degli uomini sta nel saper cogliere le occa-sioni, e quella dei popoli nel secondare e non opporsi al-lazione delle minoranze elette. E, quanto alla stella dI-talia, varrebbe la pena di rintracciare chi primo foggiquesta immagine; ma certo la si ritrova sulla bocca di reVittorio Emanuele, che dichiarava, nellaprile del 63, diaver fiducia nella stella dItalia e sempre nei suoi det-ti di quegli anni espresse questa sua fiducia e sicurezza.Era forse in lui, nella forma, una reminiscenza dellastredel vecchio motto sabaudo, ma, nella sostanza, la virileespressione di chi si sente in tacito accordo con la logi-ca delle cose, con la necessit dei tempi, col proprio do-

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    vere: nel qual senso quella stella splendeva allora nelleanime di tutti gli italiani e veramente li guidava.

    Nei due anni, tra il 1859 e il 61, le varie parti del nuo-vo stato furono saldate fra loro con una vera rivoluzio-ne, che non solo sovvertiva totalmente i trattati del 1815,ma sforzava la volont dellInghilterra e pi ancora dellaFrancia, che avrebbero voluto la federazione e non luni-t, o almeno due regni, dellalta Italia e della meridionale;eppure tutto ci fu condotto con tanta avvedutezza cheparve come se si facesse cos risolutamente e in fretta perla sollecitudine di impedire il dilagare dello spirito rivo-luzionario e contribuire allordine in Europa. Era la lineasegnata dal Cavour, alla quale i suoi successori si atten-nero; sicch Napoleone III nel 60 consentiva alloccu-pazione delle Marche e dellUmbria per timore che lim-presa di Garibaldi sboccasse in un movimento repubbli-cano; il Palmerston, nel 61, esprimeva pubblicamente lasua soddisfazione, augurando al popolo italiano di gode-re i benefic che il popolo inglese aveva tratti dalla mo-narchia costituzionale; il cancelliere russo Gortschakoffnel 1862, nel riconoscere il nuovo regno, lo dichiaravaelemento conservatore delle monarchie contro le rivolu-zioni. E mentre a questo modo si venivano tranquillandoe conciliando le potenze e le loro cancellerie, allo spintodemocratico si dava sfogo e soddisfazione merce le noncontrastate insurrezioni e le agevolate accolte di volonta-ri e le solennit giuridiche dei plebisciti. A disfare quel-la unit, nessuno aveva pi la forza efficace n linteres-se effettivo: lAustria si era rassegnata, dopo il 66, al di-stacco delle provincie italiane, che ormai i suoi uominipi saggi giudicavano irreparabile e da non tentar di ri-parare, e scambiavano concetti dintesa con la potenzaformatasi sulle sue spoglie, ed entrambe avrebbero pro-babilmente combattuto da alleate nel 70, se la Russianon avesse guardato, in quellanno, le spalle alla Prussia;limperatore Napoleone III, premuto da ragioni di po-

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    litica interna, si restringeva a mantenere discosto lItaliada Roma, cercando di differire quello che egli stesso sen-tiva, un po prima un po dopo, fatale; la Prussia traevail suo vantaggio da questo dissidio, e, come aveva contri-buito a spingere il Garibaldi a Mentana, cos non si op-poneva allacquisto di Roma. La quale situazione diplo-matica rese possibile lentrata nella citt, nove anni pri-ma proclamata capitale del Regno, e labbattimento del-la sovranit temporale del Papa, che restava come un cu-neo nel mezzo: cosa che era tenuta assai ardua e tuttaviapass quasi senza obiezione o senza gravi obiezioni. Ma nellundicennio dal 59 al 70, oltre a costituire que-sto corpo statale affatto nuovo perche lItalia non era sta-ta mai nella storia (neppure al tempo dei Romani, nep-pure a quello degli Ostrogoti!) integralmente una e in-dipendente, si provvide al suo organamento interno, conlestensione dello statuto piemontese a tutto il regno; conlordinamento amministrativo, ossia con la legge comu-nale e provinciale del 1859 del Rattazzi; con la fusionedegli eserciti dei var stati e di quello garibaldino, che ilFanti effettu superando le difficolt che erano nella di-versa provenienza, e nelle gare e gelosie che ne nasceva-no; con lunificazione dei debiti pubblici e con quella tri-butaria, che ebbe luogo tra il 62 e il 65; con lunificazio-ne legislativa e i codici del 65, con la legge sullasse ec-clesiastico del 67, con quella di pubblica istruzione del59, anchessa estesa a tutto il regno, con le altre minoridi beneficenza, di assistenza sanitaria e simili; e, strumen-to di esecuzione, con la formazione di una classe di im-piegati fedele e adatta al nuovo ordine. Il lavoro era statoenorme, segnatamente durante la presidenza del Lamar-mora (1864-65), quando il Lanza tenne il ministero degliinterni. Nello stesso tempo, si sostenne, oltre le guerre,la lunga e dolorosa guerriglia del brigantaggio, inacerbi-tosi nellItalia meridionale, come di solito nelle rivoluzio-ni e nei passaggi di governo, e che fu domato finalmen-

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    te e per sempre: cosicch la parola brigantaggio pota poco a poco dissociarsi dal nome del paese dItalia, alquale era stata congiunta forse pi che ad altra parte diEuropa, almeno nei tempi moderni.

    Delle grosse questioni internazionali una sola restavaal principio del 1871: quella dei rapporti del regno dI-talia col pontificato romano, nella quale quasi tutte le al-tre potenze avevano interesse maggiore o minore e pernon si poteva negar loro il diritto di metter bocca, sia chesi lasciasse al Papa poca libert sia che gliene si lascias-se molta, perch la molta poteva esser troppa e la pocatroppo poca nelle relazioni delle varie potenze con que-sta singolare potenza internazionale, che era poi niental-tro che il sopravvivente antico Impero romano, conver-tito in ispirituale e teocratico. Di questa realt di fatto ilgoverno italiano aveva coscienza, e si disponeva in con-seguenza a regolare quei rapporti con atto internaziona-le, e ne anticip in qualche modo il pensiero. Ma poichle varie potenze, affaccendate in altro o schive delle diffi-colt in cui si sarebbero intricate, non si mostrarono sol-lecite a raccogliere la spontanea offerta, il governo italia-no la lasci cadere nel silenzio generale, e regol, come-ra assai pi logico al concetto dello stato moderno e al-la dignit dellItalia, quella materia con un atto interno,con la legge delle guarentigie (13 maggio 1871), ciocon la prima parte di questa. Nella quale si dichiaravasacra e inviolabile la persona del Pontefice, concedendo-gli onori e prerogative regie, gli si assicurava la piena li-bert nel suo ministero religioso e nelle comunicazionicoi cattolici di tutto il mondo, e perci speciali uffici po-stali e telegrafici, si riconoscevano ai rappresentanti deigoverni esteri presso la Santa Sede le immunit e prero-gative diplomatiche, si stabiliva pel Pontefice una rendi-ta annua sul bilancio dello stato italiano, quale era sta-ta gi in quello dello Stato romano, gli si lasciava il go-dimento del Vaticano e di altri palazzi e ville, e il diretto

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    governo dei seminari e degli altri istituti cattolici in Ro-ma, fatti esenti dalla vigilanza delle autorit scolasticheitaliane. La legge non fu n negoziata n accettata dalPapa, che volle che rimanesse, rispetto a lui, col caratte-re di una legge di guerra, imposta dal vincitore brutale einsidioso. Il che gli permise di atteggiarsi agli occhi deicattolici del mondo intero come il prigioniero del Vati-cano, ma anche addolor molti italiani, cattolici-liberalio liberali temperati e miti e prudenti; cerano, pure tra gliuomini di qualche levatura, di quei sentimentali e fanta-siosi che, come avevano sperato che Pio IX si sarebbe ar-reso alle persuasioni di re Vittorio Emanuele prima del-la breccia di Porta Pia, cos sognavano ancora ad occhiaperti che, allentrata del re in Roma, il vecchio Papa glisarebbe uscito incontro, lo avrebbe benedetto e abbrac-ciato, e benedetta e abbracciata con lui e in lui lItalia, inun profluvio generale di lagrime dintenerimento. E intutti costoro perdur il desiderio della conciliazione,che era stata ideata e cercata dal Cavour e da altri quan-do si doveva tentare quella via per agevolare il concorsoe lappoggio della Francia, e pi volte, dopo il 70, quan-do pi non cera questo bisogno di una politica transa-zione, rimise ali, e si effuse in disegni e proposte. Ma nelgenerale buon senso si fece presto chiara lidea che quel-la conciliazione, fondata su pezzetti di territori da rita-gliare per foggiare al Papa un giocattolo bambinesco distato temporale, era altrettanto poco decorosa per il Pa-pa quanto per lItalia; e, pi ancora, che al Papato, isti-tuto politico internazionale qual , non conveniva di rap-pattumarsi con lei e anzi non poteva, per non accresce-re agli occhi del mondo il suo carattere italiano, che giera cospicuo; e che doveva prendere il contegno di chiha soggiaciuto alla forza, delloppresso e del sacrificato,e sempre protestare, in modo pio irato dapprima, menoirato ma non meno reciso pio tardi, e non abbandonaremai lasserzione del suo violato diritto. Cosicch, a poco

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    a poco, lo si lasci dire, senza pi oltre discutere n ri-battere le proteste: riconoscendo i perspicaci italiani cheessi, al posto del Papa, non avrebbero potuto compor-tarsi diversamente, e sentendo in quello un italiano co-me loro, pratico e diplomatico come loro. Cera voluto ilgran fracasso delle guerre della Repubblica e dellImpe-ro per mettere a tacere le rivendicazioni di cose ben pipiccole, come Avignone e la contea Venassina e la chineache offrivano in omaggio i re di Napoli. La non avvenu-ta conciliazione, a causa del potere temporale, turbava, vero, qualche anima di buon cittadino e di osservan-te cattolico; ma troppe altre cose turbavano o avrebberoturbato quelle anime nellandamento preso dalla socie-t italiana, e quella non era tra le pi gravi, ch tutti pio meno avvertivano che la libert del Papa non sarebbecresciuta col possesso di Roma e che non mai era statagrande in forza di quel possesso. I conclavi, radunati inRoma, si svolsero tutti senza ombra di impacci, senza al-cuna dimostrazione ostile, senza nemmeno la malevolen-za degli astanti, a cominciare dal primo, che, per la no-vit del caso, aveva dato luogo alle maggiori precauzio-ni: gli altri divennero fatti ordinar, ai quali non si ba-d, cio li si guard come li guardava ogni altro popo-lo. Nei rispetti delle potenze estere accadde quello chenon si prevedeva, e pur era da prevedere, che lunica vol-ta in cui il punto della libert del Papa si affacci alla di-scussione fu quando, nel pi acceso della lotta di cultu-ra, il Bismarck prov la rabbia dellimpotenza per nonpoter inviare al Papa, a Civitavecchia, una nave da guer-ra e minacciargli il cannoneggiamento, e mosse le sue ri-mostranze al governo italiano, con non altro effetto chedi arrecare ottimo argomento alla polemica italiana, al-la quale fu messa in mano la prova che non mai il Papaera stato tanto libero. Come potevano gli italiani impedi-re al Papa gli eccessi verbali contro la Germania e il suocancelliere, se non potevano impedirli contro s stessi?

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    E non era meglio toglierli in pazienza? Questa non eralopinione proprio di tutti, perche non mancavano alcu-ni che gridavano: Abbasso le guarentigie! o propo-nevano alla non lontana morte di Pio IX di renderne pistretti i vincoli; ma fu latteggiamento costantemente ser-bato dalla classe dirigente e responsabile, confortata dal-lopinione generale. Che poi la mancata conciliazione, eil modo in cui stata regolata la posizione del Papato,sia per lItalia uno dei punti scoperti alle eventuali feritenei casi di conflitti internazionali e di guerre, cosa cer-ta, ma a questo, finch il tempo non lavr ben copertodel suo usbergo, non si rimedier mai in altro modo checol difendersi nei conflitti e vincere nelle guerre; e, delresto, ogni potenza ha i suoi punti scoperti e vulnerabili.

    Certamente, nei primi anni dopo il 70, i partiti catto-lici degli altri paesi, e soprattutto quelli di Germania e diFrancia, premevano luno sul Bismarck e laltro sui va-ri governi che si succedevano e sulle varie combinazio-ni tentate nei dibattiti circa la forma politica che la Fran-cia doveva prendere, di monarchia borbonica, orleanisti-ca o bonapartistica o di repubblica radicale o conserva-trice, affinch intervenissero contro lItalia per la resti-tuzione del mal tolto. Ma nessuno di questi agitamentiassurse a minaccia seria, non favoriti ne dalle condizioniinterne di quei paesi, ne dalla situazione internazionale.Il Bismarck, anzich farsi crociato e campione del Papa-to, impegn con esso una fierissima lotta, e ne volle allI-talia perch non si mise al suo fianco, aggiungendo rigo-ri e persecuzioni a quelli che egli adoperava in Germa-nia e che non gli dettero partita vinta. In Francia, non-ch il volterriano Thiers e lanticlericale Gambetta, nep-pure forse il conte di Chambord, se fosse asceso al trono,avrebbe potuto imprendere una guerra contro lItalia perridare Roma al Papa, e, in ogni caso, il conte di Cham-bord non divenne Enrico V e le preoccupazioni per que-sta parte si attenuarono e dileguarono, se anche, come si

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    notato, non era possibile strapparne fin le ultime radi-ci. Un rancore daltra natura nutriva non il governo mail popolo francese contro lItalia, cio lingratitudine,di cui questa si sarebbe resa colpevole col non correrein suo aiuto nel 70: motivo affatto popolare e volgare,che non saliva fino alle menti degli uomini politici, i qua-li sapevano che lItalia, per effetto della politica roma-na di Napoleone III, che aveva alienato gli animi di tut-ti e inferocito i democratici e il partito dazione, e per lacondizione di disarmo in cui si trovava, non aveva potu-to condursi diversamente, e che, per quel che riguarda-va il desiderio di venire in soccorso alla Francia, ce nerastato pi di quanto si sarebbe aspettato, e, prima che inaltri, grandissimo nel re. Solo atto poco amichevole daparte dellItalia, allora, pot giudicarsi la proposta legadei neutri, di cui Inghilterra e Russia si affrettarono adadottare ed eseguire lidea, e che agli uomini di stato ita-liani fu dettata forse dal timore che non fosse facile te-nere a freno il re nella sua gran voglia di prendere le ar-mi. Molta era, in quei primi anni dopo il 70, la stima chesi faceva dellItalia: una nazione saggia (si diceva), gui-data da uomini abili; e Carlo Cadorna, ambasciatore aLondra, confermava, nel 1872, la reputazione di assen-natezza e di una decisa superiorit politica che gover-no e popolo italiano godevano in Inghilterra e in Franciapresso gli uomini di giudizio; e il Massari osservava nel-lo stesso anno: LItalia non ha mai occupato nella con-siderazione del mondo un posto pi alto: non avete chea recarvi allestero per raccogliere attestati di simpatia edi rispetto da per ogni dove, basta che vi diciate italia-ni. Anche la sua casa regnante era circondata da questasimpatia, e, come una figliuola del re dItalia era andatasposa allerede della corona del Portogallo, cos un suofiglio fu chiamato al trono di Spagna. A suggello della ri-putazione di saviezza seguirono, nel 1873, le visite del redItalia allimperatore dAustria a Vienna e allimperato-

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    re di Germania a Berlino, ricambiate poi dal primo nel-la sua gi imperiale Venezia, e dal secondo a Milano, evi-tando di comune intesa la visita a Roma per non eccita-re vieppi i risentimenti dei cattolici tedeschi ed austria-ci. Le rispettive legazioni dei tre stati furono innalzate al-lora al grado di ambasciate. Intanto il governo franceseritirava dalle acque di Civitavecchia la nave che vi avevatenuta per pi anni a disposizione dellantico suo protet-to pel caso che si risolvesse a lasciare il suolo di Roma:alla qual cosa, veramente, n il Papa n i cardinali pen-savano, come mossa molto rischiosa e che poteva met-ter capo a una umiliazione della Santa Sede. Lopinionepubblica, come il governo, desiderava che si stringesse-ro pi intime relazioni con le due potenze centrali senzadarvi carattere di ostilit verso la Francia, e solo cercan-dovi contrappesi ed appoggi, dopo che lesperienza de-gli ultimi anni della politica napoleonica aveva mostra-to la malsicurezza di una quasi dipendenza della Franciaa causa del clericalismo col potente e anche di un cer-to naturale contrasto dinteressi tra essa e il confinante econcorrente nuovo stato. Ma lalleanza, che il Bismarckavrebbe voluta e che sarebbe riuscita solo a una garanziaper la Germania contro la Francia, parve lofferta di unmarch de dupe, e non ne fu coltivata lidea.

    Cosicch lantico detto romano di risolutezza e di fi-ducia, ricordato nellinsediarsi in Roma: Hic manebimusoptime, non era stato pronunziato invano; e il re, col suoconsueto buon senso, diceva nel 1874: Tutte le nostrequestioni sono ormai questioni interne e possiamo deci-derle tra noi, e in qualche modo ce la caveremo sempre.Ma neppure a una questione interna poteva dar luogo laforma presa dallItalia cos per quel che si atteneva allu-nit come nei riguardi della monarchia. La possibilit direstaurazione degli antichi principi e delle antiche parti-zioni non aveva avuto, negli anni dopo il 60, altra real-t che nelle speranze di taluni ligi ai vecchi regimi, alma-

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    naccanti sugli effetti di guerre e complicazioni interna-zionali, e aveva occupato talora linquieto animo, divisotra il volere e il non volere, tra le ideologie e la ragion distato, dellimperatore dei francesi. E definitivamente erastato sepolto il disegno neoguelfo, ripreso da NapoleoneIII nel 1859, di una federazione italiana presieduta dalPapa. Il federalismo di alcuni solitar come il Cattaneoe il Ferrari, di reminiscenza comunale-medievale, avevaorigine e tendenza repubblicana, e in altri repubblicani,come il Mario, si appoggiava agli esempi della Svizzera edegli Stati Uniti dAmerica; e, a ogni modo, restava nel-la cerchia delle dottrine, privo di efficacia pratica e senzaneppure molta eco teorica. Il regionalismo, ossia i con-trasti dinteressi, che gi allora si accennarono tra alcu-ne regioni, specie tra mezzogiorno e settentrione, e rice-verono maggiore rilievo pi tardi, non divenne mai con-trasto politico, neppure come vago desiderio di separa-zione o di diversa unione. Lidea repubblicana, del re-sto, aveva avuto la sua forza in Italia nella concezione ri-gidamente unitaria, sorta nel crollo delle Repubbliche ci-salpina, cispadana e partenopea, e continuata precipua-mente dal Mazzini con la Giovine Italia; e, per avere ri-posto il punto saliente nellunit, rese agevole il passag-gio di molti dei suoi uomini principali e della maggio-ranza dei seguaci allunit attuata per mezzo della mo-narchia. Queste conversioni, che trovarono il loro mot-to nelle parole del Crispi sulla monarchia che ci ha uni-ti e la repubblica che ci dividerebbe si accrebbero tra il60 e il 70 e si accelerarono ancora dopo il 70, e si fece-ro pi esplicite e nette dopo il 76: quando proprio mol-ti degli antichi repubblicani ascesero al governo, e gii vecchi monarchici piangevano la monarchia venuta aman degli avversar suoi, e antivedevano la sua fine, alpi tardi, alla morte di re Vittorio Emanuele II: mentreinvece, quegli antichi repubblicani si dimostrarono tra ipi zelanti monarchici e anche, a volte, alquanto corti-

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    giani, quali non erano stati gli uomini della Destra. Inva-no i repubblicani puri, per bocca di Alberto Mario, sa-lutarono lavvento della Sinistra come un ponte versola repubblica: con che riuscirono soltanto a rinfocolarele diffidenze e a ridestare la vigilanza dei vecchi monar-chici; ma quellavvento, francamente voluto dallo stessore, e latteggiamento che, come si detto, presero subi-to gli uomini della Sinistra, perfino i pi a lungo repub-blicani come il Cairoli, dissiparono le speranze e i timo-ri del ponte. I repubblicani nel parlamento, coi lorocapi, come il Bertani, si restringevano alla dignitosa pro-fessione di fedelt a un ideale, piuttosto che dellavveni-re o dellavvenire prossimo, del loro personale passato,e prestavano, intanto, giuramento alle istituzioni monar-chiche e nella cerchia di esse operavano: la stessa costi-tuzione di unestrema Sinistra repubblicana nel 1877 fueffettivamente la costituzione di unestrema Sinistra de-mocratica, e non il segno di un pi energico propositorepubblicano. Lesempio della vicina Francia, conserva-trice e autoritaria, anzich accendere gli animi a imitarnela forma di governo, dava luogo al giudizio che la monar-chia italiana fosse la migliore delle repubbliche, pi libe-rale della pi larga di queste. Il Garibaldi, che parlavapur sempre di repubblica e figurava in cerimonie e par-tecipava a comiz per quellidea e mandava in giro episto-le ora pastorali ora furenti, e salutava e auspicava il so-cialismo, da lui non molto inteso ma battezzato il so-le dellavvenire, e intanto faceva e restituiva visite ai so-vrani e ai principi reali, era considerato un sopravvissu-to, e si mormorava che la sua vita si era protratta trop-po per la sua gloria. Nel 1881 il figliuolo di lui, Menotti,voleva costituire, per laddestramento militare, gli allie-vi volontar, che furono vietati dal ministro della guer-ra. Moti se ne ebbero qua e l, soprattutto nelle Roma-gne; ma furono semplici e circoscritti perturbamenti diordine pubblico, repressi coi mezzi ordinar, come nello

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    stesso tempo quelli di altra e non politica natura in Sici-lia; e anche i moti di carattere politico, piuttosto che al-la tradizione repubblicana, sispiravano al socialismo ri-voluzionario o anarchico del Bakunin. Il quale aveva tra-sportato il suo comando in Italia e aveva dimorato peroltre due anni, tra il 65 e il 67, a Napoli, allora princi-pale focolare italiano degli internazionalisti, che vi fon-darono una sezione e pubblicarono giornali. In Italia ilBakunin trovava quel seguito che non vi trovava CarloMarx, troppo critico, troppo economista, troppo sarca-stico e troppo scarsamente umanitario. Ma quei desidere quei moti non si appoggiavano realmente su masse pro-letarie, operai nelle citt e contadini nelle campagne, ederano affare privato di pochi ideologi, spesso di nobilis-simo animo, con qualche commisto avventuriere e intra-prenditore di rivolte. Carattere sociale-religioso, e si di-rebbe di reviviscenza medievale, ebbe la propaganda diDavide Lazzaretti sul Monte Amiata, finita nel 1878 conla morte del suo capo e di altri in un conflitto con la for-za pubblica: che fu un caso isolato e piuttosto curiosoche non storicamente significante. Il socialismo era con-siderato come una minaccia che si addensava sullEuro-pa, ma lontana assai dallItalia, la quale doveva darsenepensiero solo in quanto apparteneva anchessa alla socie-t europea. Si trascinarono quei conati talvolta nelle for-me di iniziate e presto fallite rivolte con bande armate,come, dopo quella di Imola del 74, laltra del 77, con acapo il Cafiero, a Pontelandolfo; pi spesso, con la costi-tuzione di circoli sovversivi, repubblicani e internaziona-listici, che si fregiavano del nome del caporale Barsanti,fucilato nel 1870 per aver preso parte a un tentativo maz-ziniano di sommossa. Ma gli stessi repubblicani, come ilMario, riprovavano con simili dimostrazioni, sentendo-le ripugnanti alla coscienza morale; e molto pi manife-starono il loro orrore per gli atti terroristici, accaduti aFirenze, a Livorno e in qualche altro luogo, con lanci di

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    bombe, e per gli attentati regicidi: il primo dei quali, chesi ebbe in Italia, nella serie dei parecchi seguiti allora inEuropa, quello del 1878 del Passannante contro re Um-berto, pose termine qui ai moti sovversivi per la risolu-ta e universale condanna della pubblica coscienza e valsealla popolarit del ministro gi repubblicano, il Cairoli,che col suo corpo aveva protetto il re ed era rimasto feri-to, dibattendosi con lassassino. Qualche straniero, me-more del modo in cui si erano attuate le rivoluzioni inFrancia, nel Belgio e altrove, osservava che allItalia, persua ventura, mancava una capitale rivoluzionaria, talenon essendo Roma; ma, in verit, mancava ancor pi lamateria rivoluzionaria.

    La monarchia, cos saldamente assisa in Italia, era, in-trinsecamente, una creazione affatto nuova, improntatadel carattere finemente culturale che fu proprio del Ri-sorgimento italiano: espressione del bisogno di rannoda-re la nuova alla vecchia Italia, la forma che lidealit mo-rale prende nei tempi moderni a quella onde si era rive-stita nei secoli, il progresso alla veneranda tradizione, laquale, rinvigorita dalla libert, dava il pi efficace presi-dio alla libert. Come tale fu compresa dalla parte elet-ta e intelligente della nazione, come tale fu pi o menolargamente sentita dal popolo, come tale fu vagheggia-ta e cantata dal poeta che essa ebbe, unico ma grande,da un poeta che era stato per lunghi anni repubblicano eche, per questo stesso, con maggiore freschezza ne accol-se la singolare e complessa poesia e ne celebr il profon-do significato: Giosue Carducci. Doveva perci mancar-le il sostegno su cui altre monarchie poggiavano e fidava-no in Europa, di vecchia aristocrazia, di superstiti nucleifeudali, di clero e di popolare religiosit, di superstizio-si sentimenti e di irrazionali fanatismi; e ci la fece giu-dicare alquanto artificiale e astratta e malferma nella ba-se. Ma questa apparente debolezza, dedotta da un falla-ce paragone, nascondeva la sua forza vera; e n artificia-

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    le n astratta poteva considerarsi unistituzione nata dapensiero ed esperienza, da un pensiero dialettico e sto-rico, dalla riconosciuta astrattezza e artificialit delle al-tre forme politiche. vero che la natura stessa del pen-siero che laveva creata lasciava anche intravvedere nel-lavvenire la sua non eternit; ma tutte le istituzioni uma-ne sono mortali, e le monarchie altrimenti sostenute nonsi sottraevano a questo fato, e forse i loro sostegni eranomeno sicuri e resistenti, perch meno sicuri e meno resi-stenti sono sempre le forze irrazionali della superstizio-ne e dellabitudine, quantunque sembri talvolta il con-trario. Un repubblicano, che fu poi ministro del re, par-l come di cosa possibile o alla lunga certa di un placi-do tramonto, e in discorsi di questa sorta un altro mini-stro intrattenne un giorno il re Umberto, il quale lo ascol-t senza dir motto: che cosa obiettare, infatti, alla terrache si gira e al sole che tramonta? Intanto, nel presentee nel prevedibile avvenire, la monarchia appariva la for-ma necessaria dello stato italiano; e questo praticamentebastava. Lo stesso pensiero onde era sorta le dava la li-nea di azione e di svolgimehto, e configurava sempre piil re come il primo magistrato dello stato, eletto a quelposto non da una assemblea ma dalla storia, per graziadi Dio, dunque, e per volont della nazione. Vitto-rio Emanuele II aveva serbato non poco del vecchio redi razza, la qual cosa conferiva al suo prestigio presso ilpopolo, che trovava rispondente al proprio concetto diun re il suo aspetto e piglio soldatesco, il suo abito digentiluomo campagnuolo e cacciatore, la franchezza e lasprezzatura dei suoi modi, e perfino quel che si bisbiglia-va delle sue relazioni col bel sesso. Anche nella politicaus operare direttamente, facendo pesare la sua volont,conducendo maneggi e intese personali, fino al 1870: erafiero, e lo mostr pi volte verso limperatore Napoleo-ne, e ancora, nel 71, si rifiut di andare a incontrare ilThiers a Modane; ma poi si era sempre pi conformato

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  • Benedetto Croce - Storia dItalia dal 1871 al 1915

    alla regola del re costituzionale, che regna e non gover-na; e contro voglia, ma perch tale era il suo dovere po-litico, si dispose nel 1873 al viaggio a Berlino, dove, ap-pena giunto, non lasci, a quanto si narra, di dichiarareallimperatore Guglielmo che egli, nel 70, era stato sulpunto di sfoderare la spada contro di lui, se non glieloavessero impedito i suoi ministri: dichiarazione di un ca-valleresco sovrano a un altro che aveva animo pari. Scru-poloso osservante dello statuto e del regime parlamenta-re fu il suo successore, che volse le sue precipue cure al-la politica estera e alla congiunta preparazione delleser-cito, re di spiriti militari e generosi, cui tocc di regnarein tempi di pace e di non propizie vicende internaziona-li e di non fortunate imprese coloniali. Con lui, il cangia-mento del numero, ondegli, diversamente da suo padreche era rimasto Vittorio Emanuele II, non fu UmbertoIV ma Umberto I, segn (e il segno alquanto radicale fuvoluto dal Crispi e dispiacque ai conservatori) il distaccotra la figura dei vecchi duchi di Savoia e re di Sardegna,e quella dei re dItalia.

    Lo statuto piemontese del 1848, esteso alle altre regio-ni dItalia man mano che seguivano le annessioni, non fuformalmente mutato, non