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Le Lettere

Antonio Buero Vallejo

Storia di una ScalaDramma in tre atti

Saggio introduttivo diVeronica Orazi

Traduzione diFrancesca Brunetti

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media de don Antonio Buero Vallejo», Ya, 15 de Octubre de1949, p. 4:

Con el clamoroso y unánime triunfo de esta comedia triunfótambién anoche algo muy hondo, que es sustancia española quelate en todo nuestro arte en general y que hace algún tiempoandaba un poco a trasmano y como despreciado; esto a que alu-dimos es nada menos que el sentido real que el público lleva enla masa de la sangre, de tal manera, que el público, emocionadoante la obra, al apludirla aplaudía algo que reconocía como muysuyo: nada menos que la verdad artística viva, fuerte, emocionaly apasionante, que vibra, cómica y sentimental, en el sainete yque llena la comedia de costumbres con su fuerza ejemplar.

Sánchez-Camargo, «Historia de una escalera», El Alcázar, 15de Octubre de 1949, p. 5:

Creemos que el caso es más importante que un simple hallazgo,porque la obra de Antonio Buero no indica solamente unacierto, sino que indica un modo teatral, una nueva concepción,y, sobre todo, y más en un novel, la sabiduría de expresión másfeliz para dar a conocer un pensamiento. (...) El novel AntonioBuero ha dejado de serlo para siempre. Esta obra es propia deun hombre que ya ha encontrado el definitivo secreto del te-atro. No hay una palabra que sobre en el recuento de cada acto.

Recensioni elogiative (come quelle di Díez Crespo su Arriba,di Castro su Madrid, di Morales de Acevedo su Marca, diBayona su Pueblo, tra le tante). Tuttavia, leggendole vienespontaneo domandarsi, «davvero è stato colto tutto ciò chec’è da cogliere – da saper cogliere – in questo dramma in treatti?». Sì, perché sappiamo bene, almeno da quandoSant’Agostino ne parlava nel De magistro, che il “segno” èpolisemico, i diversi livelli di lettura, dal più immediato e su-perficiale fino al più profondo e pregnante, sono sempremolteplici e l’accesso a ciascuno di essi dipende dal grado dicompetenza, dalla complicità – si potrebbe dire – che si sta-bilisce tra emittente e destinatario del messaggio testuale, se-

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ranea è certo di alto profilo; o ancora alla tecnica del reim-piego – nei termini impegnati della denuncia – di eventi delpassato, sfruttati per riattualizzare temi scomodi e farne lospecchio del presente, uno spunto di riflessione sulla realtàsocio-politica del tempo, come avviene con Un soñador paraun pueblo (1958) o con La detonación (1977). Pur alla lucedei risultati – estetici, drammaturgici, di consenso – dellaproduzione successiva, però, Historia de una escalera man-tiene una centralità decisiva, che può essere colta appienosolo contestualizzandola nel panorama teatrale, culturale esocio-politico in cui fa la sua comparsa.

Una prospettiva rivelatrice, in questo senso, è offerta dallerecensioni della prima, da cui emerge il livello di ricezionedel testo, delle sue caratteristiche, del contenuto, in ultimaanalisi del suo stesso intento. Eccone tre esempi significativi:

Alfredo Marqueríe, «En el Español se estrenó Historia deuna escalera, de Antonio Buero», ABC, 15 de Octubre de1949, pp. 22-23:

Desde las primeras escenas de Historia de una escalera el pú-blico que asistió anoche al estreno tuvo la impresión de que sehallaba ante la obra de un autor auténticamente nuevo, con unapreparación cultural y un sentido del teatro engarzados exac-tamente al momento en que vivimos. (...) Sencillez de expre-sión y hondura de sentimientos, no teatro de ideas, sino teatrode pasión, alto y noble concepto de lo trágico sin salirse del es-tricto marco de lo humano y de lo cotidianamente vital. Y queno se nos diga que este género es torturado, agónico o sombrío,porque eso equivaldría a negar los fundamentos del teatro uni-versal, donde el Fatum nos parece que no es un elemento ac-cesorio o desdeñable. He ahí, sintetizada en breves rasgos, lahondísima impresión que nos ha producido el estreno de BueroVallejo, autor que, además sabe mover a sus personajes y equi-librar el curso de la acción con la más experta desenvoltura yque dará a nuestra escena y logrará en ella muchas jornadas detriunfos semejantes.

Jorge de la Cueva, «Español. Historia de una escalera, co-

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2. Il contesto: il teatro spagnolo della seconda metà del XX sec.

Prima della Guerra Civile l’attività di innovatori come Valle-Inclán, Unamuno, García Lorca, Alberti, tra gli altri, avevasegnato uno stacco rispetto agli strascichi del teatro distampo naturalista e del sainete de costumbre. Si tratta di unteatro popolare, incoraggiato da iniziative governative comele Misiones pedagógicas oppure La Barraca promossa daGarcía Lorca o ancora El Búho coordinato da Aub. Loscoppio del conflitto, però, interrompe tutto questo e in se-guito, durante la Guerra, si sviluppa il teatro “di circostanza”o “di emergenza” (si pensi al gruppo Nueva escena diretto daDieste, al Teatro de arte y propaganda di Alberti e MaríaTeresa León, alle Guerrillas del teatro che recitavano alfronte), sostenuto da intenti propagandistici e percorso dauna comicità elementare. Con la conclusione del conflitto, ladrammaturgia spagnola, almeno fino agli anni ’40, offre unteatro di taglio commerciale, di intrattenimento, particolar-mente gradito al pubblico di provincia e borghese, sebbenetalvolta condivida elementi del teatro prodotto in esilio,dunque non superficiale ma mosso dalla riflessione ideolo-gica o testimoniale. Un teatro che si conferma in sostanzateatro dei vincitori, patriottico, magniloquente, che ripro-pone testi classici, esalta le virtù nazionali e al contempo con-tinua a essere teatro di pura evasione, caratterizzato da unbasso livello tecnico e privo di pretese artistiche7: dominanoincontrastate opere commerciali, dai contenuti elementari senon addirittura poveri e che non brillano certo per soluzionitecnico-formali di interesse. Insomma, un teatro di bassaqualità e ciò spiega la continuità con la produzione conven-

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condo una convenzione letteraria sistematica in età medie-vale, sopravvissuta nelle epoche successive, sia come moda-lità retorico-stilistica, sia come necessità più o meno indottadal contesto (condizionamenti socio-culturali, quindi mode,tabù, censura) e come la recente prassi semiologica ha riba-dito in termini di riflessione teorica.

Per cogliere il senso profondo dell’opera, dunque, gioveràtornare sulla ricchezza dei suoi livelli di lettura e di fruizionein modo un po’ più diffuso4, per dissipare una certa foschiache ancora in parte la avvolge. Perché anche per l’immaginariocontemporaneo, anche per i codici culturali moderni, è indi-spensabile contestualizzare l’intera parabola drammaturgicadi questo autore, la cui produzione occupa la seconda metàdel XX secolo, con opere che hanno riscosso un notevole suc-cesso di pubblico e di critica e hanno rinnovato la scena spa-gnola5. La portata di questo rinnovamento si può misurare ap-punto solo calando il dramma e le altre piezas del dramma-turgo nel suo tempo, senza astrarle da un “tutto” di cui sonoparte integrante e dal quale non è opportuno scontornarle6.

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4 Ad esempio, sulle implicazioni semiologiche nell’opera bueriana, cfr.Luciano García Lorenzo, «Elementos paraverbales en el teatro de BueroVallejo», in Semiología del teatro, Barcelona, Planeta, 1975, pp. 103-125; JovitaBobes Naves, Aspectos semiológicos del teatro de Buero Vallejo, Kassel,Reichenberger, 1997.

5 A dimostrazione della rilevanza dell’autore nel panorama drammaturgicodella seconda metà del ’900, basti ricordare alcuni contributi fondamentali:Magda Ruggeri Marchetti, Il teatro di Buero Vallejo o il processo verso la verità,Roma, Bulzoni, 1981; Buero Vallejo. Cuarenta años de teatro, ed. M. de Paco,Murcia, CajaMurcia, 1988; El teatro de Buero Vallejo. Texto y espectáculo, Actasdel III Congreso de Literatura Española Contemporánea, ed. C. Cuevas García,Barcelona, Anthorpos, 1990; Mariano de Paco, Antonio Buero Vallejo en el teatroactual, Murcia, Escuela Superior de Arte Dramático, 1998; Memoria de Buero,ed. M. de Paco, Murcia, CajaMurcia, 2000; Antonio Buero Vallejo dramaturgouniversal, eds. M. de Paco y F.J. Díez de Revenga, Murcia, CajaMurcia, 2001.

6 Il ruolo e il peso dell’autore si evincono anche soltanto dai numeri mono-grafici di riviste specializzate che nel corso dei decenni gli sono stati dedicati:Cuadernos de Agora, 79-82, mayo-agosto 1963; Estreno, V, 1, primavera 1979;Regreso a Buero Vallejo, monográfico de Cuadernos El Público, 13 de Abril de1986; Antonio Buero Vallejo. La tragedia, transparencia y cristal de la palabra, mo-

nográfico de Anthropos, 79, 1987; Homenaje a Antonio Buero Vallejo, monográ-fico de Montearabí, 23, 1996; Las puertas del drama, XXVII, 2, primavera 2000.

7 Vid. almeno José Monleón, Treinta años de teatro de la derecha, Barcelona,Tusquets, 1971; Ricardo Doménech, «1936-1975: Tiempos de guerra y dicta-dura», in Escenario de dos mundos, 2. Inventario teatral de Iberoamérica, Madrid,Centro de Documentación Teatral, 1988, pp. 36-58.

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fantasia dalle profonde implicazioni poetiche e letterarie. Sitratta, in ogni caso, commedie leggere e ingegnose, ben strut-turate, attorno alle quali si concentra l’attività di una gene-razione di registi e di attori che vivacizzano il teatro degli inizidegli anni ’50. Anche drammaturghi che si sono cimentati inaltri generi teatrali si dedicano (più o meno) tangenzialmentealla commedia leggera, come nel caso di Pemán, riorienta-tosi attorno alla fine degli anni ’50 verso la commedia sofi-sticata e costumbrista, verso la farsa, con piezas divertenti,espressione di sensibilità linguistica e vivacità popolareg-giante. O ancora Calvo Sotelo, autore di commedie di eva-sione ma anche di opere di denuncia (La muralla, 1954).

– Il teatro umoristico10, in cui spicca Jardiel Poncela, conuna produzione percorsa da inquietudini e istanze di rinno-vamento, che durante il periodo post-bellico continua a col-tivare il genere di puro intrattenimento, venato di bonariacritica sociale, di satira degli stereotipi dell’epoca, di sottileironia, di umorismo basato sul nonsenso, sui giochi lingui-stici e su immagini e situazioni tributarie del teatro dell’as-surdo. Jardiel si propone il rinnovamento radicale del teatroa tutti i livelli, attraverso la costruzione drammatica artico-lata e ingegnosa, una comicità peculiare, personaggi voluta-mente piatti e solo funzionali all’intreccio, il tutto sostenutoda un linguaggio colloquiale, gergale e vernacolare. OppureMihura, dall’originalissimo senso dell’umorismo, con puntidi contatto con la comicità dell’assurdo e della commedia ci-nematografica statunitense. Nel ’32 scrive Tres sombreros decopa, che però va in scena solo nel ’52, commedia sostenutada un dialogo arguto, da situazioni fuori dagli schemi, cheruota attorno al contrasto tra autenticità e prosaismo, da cuideriva un umorismo caustico. L’autore però capisce di nonpoter realizzare il rinnovamento della commedia servendosidel teatro umoristico e da questo momento sino alla fine

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zionale di prima della guerra, che mira a fare cassetta più chericercare il livello artistico. Naturalmente l’istituto della cen-sura fa sentire tutto il suo peso8, condizionando in modo de-ciso anche questo settore della vita socio-culturale del Paese.

Le linee di sviluppo della drammaturgia di questi anni sipossono sintetizzare grosso modo in alcune tendenze fonda-mentali9:

– La commedia borghese (o alta comedia) e la commediaconvenzionale, cui si dedicano autori come Benavente,Arniches, Marquina, che propongono un teatro ironico, ele-gante, per certi aspetti persino innovativo, testimonianza delpassaggio dal melodramma alla commedia realista, spesso vi-vacizzato dal gioco dialettico e degli intrecci, da caute speri-mentazioni formali, dal dialogo intessuto sul linguaggio co-mune, dal dinamismo dei personaggi e delle situazioni. Unteatro borghese, insomma, aperto però al rinnovamento, adesempio all’indagine psicologica, che comunque col passaredel tempo si riduce a forma di gradevole intrattenimento. Osi pensi a figure come Grau, che offre una visione del mondocome farsa, dai toni espressionisti ed esperpentici, e unadrammaturgia di spessore simbolico e intellettuale; oppurea Casona, che ricorre di frequente a elementi fantastici, astrutture elaborate ma mai eccessive, al contrasto tra realtà e

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8 Cfr. almeno Hans-Jörg Neuschäfer, Adiós a la España eterna. La dialécticade la censura. Novela, teatro y cine bajo el franquismo, Barcelona, Anthropos,1994.

9 Per una panoramica dettagliata si rimanda alle pagine di Silvia Monti sulteatro post-bellico in L’età contemporanea della letteratura spagnola, a cura diM.G. Profeti, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp. 443-530; vid. anche RuizRamón, Francisco, Historia del teatro español. Siglo XX, Madrid, Cátedra, 1977;Ricardo Doménech, «El teatro desde 1936», in Historia de la literatura española(siglos XIX y XX), Madrid, Guadiana, 1974, pp. 437-480, poi ampliata Madrid,Taurus, 1980; César Oliva, El teatro desde 1936, Madrid, Alhambra, 1989; MaríaJosé Conde Guerri, Panorámica del teatro español (1940-1980), Madrid,Asociación de Autores de Teatro, 1994; Ignacio Bonnín Valls, El teatro españoldesde 1940 a 1980. Estudio histórico-crítico de tendencias y autores, Barcelona,Octaedro, 1998; Víctor García Ruiz, Continuidad y ruptura en el teatro españolde la posguerra, Pamplona, Eunsa, 1999.

10 Cfr. almeno Juan Rof Carballo, El teatro de humor en España, Madrid,Editoria Nacional, 1966.

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sviluppo della drammaturgia spagnola post-bellica. Sono co-munque emblematiche figure come Aub, che parte da speri-mentazioni avanguardiste per avvicinarsi durante la guerraal teatro “di emergenza” e sviluppare poi la sua produzionedurante l’esilio, dalla quale emerge in modo netto l’intento diricerca formale, la profondità dei contenuti, la volontà di sot-tolineare l’assurdità e i lati paradossali della realtà. Alberti,autore di un teatro lirico con radici popolari, spesso espres-sione della sua meditazione sulla Spagna, talvolta grottesco,violento, spettacolare. Poi ancora Salinas, dai cui testi affio-rano reminiscenze unamuniane e pirandelliane, esistenzia-liste. Ma anche figure come Bergamín o León Felipe.

Anche da questo sintetico tratteggio della situazione dellascena spagnola, si deduce che la fine degli anni ’40 e l’iniziodegli anni ’50 rappresentano uno snodo centrale per il rin-novamento della drammaturgia post-bellica e dell’intera se-conda metà del XX secolo12. Questo momento, infatti, è se-gnato da tre eventi culturali di rilievo, dalla prima di altret-tante piezas, ciascuna a suo modo significativa: Historia deuna escalera di Buero Vallejo (1949), Tres sombreros de copadi Mihura (del ’32 ma rappresentata nel ’52), Escuadra haciala muerte di Sastre (1953). In realtà, però, è all’opera diBuero e di Sastre che va attribuito un forte potenziale inno-vativo, concretizzatosi e maturato da un lato nella produ-zione posteriore di entrambi, dall’altro nell’influsso sulle suc-cessive generazioni di giovani autori (si pensi in particolare al“gruppo realista” degli anni ’60), i quali assumono, rielabo-rando e sviluppando – talvolta esasperando con esiti dubbi,ma pur sempre interessanti come testimonianza della rice-zione di uno stimolo – la lezione di queste due figure del pa-norama culturale della Spagna dell’epoca.

Ripartiamo da qui, allora, dal cambiamento attuato da

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degli anni ’60 ripiega su opere di evasione, assecondando leesigenze commerciali. Smorza così le istanze innovative, pre-diligendo contenuti convenzionali, sebbene mai facili. I trattifondamentali del suo teatro restano l’uso di elementi assurdi,i dialoghi all’apparenza neutri ma in realtà inverosimili, la co-micità basata sul nonsense concettuale e linguistico, la tec-nica dell’accumulo. O ancora figure come “Tono”, chesfrutta in modo sapiente la comicità, la parodia e l’ingegno-sità verbale, oppure Neville.

– La commedia tradizionale, sviluppatasi dalla secondametà degli anni ’50, cui si dedicano drammaturghi comeSalom, che affronta tematiche umane, culminanti in un finaleconsolatorio, per avvicinarsi negli anni ’70 a questioni scot-tanti, che gli valgono problemi con la censura; oppureAlonso Millán, autore di commedie divertenti, venate diumorismo macabro, basate su intrecci sentimentali, con notesatiriche; o ancora Paso, fondatore assieme a Fraile e Sastredel gruppo Arte nuevo (1945) per la sperimentazione tea-trale, attratto negli anni ’50 dal neorealismo italiano, che ri-piega infine su posizioni convenzionali, da ritrattista dellaclasse media.

– Il “torradismo”, dal nome del suo massimo rappresen-tante, Torrado, con piezas di evasione tendenti al melodram-matico (quasi una sorta di fotoromanzo per la scena), il cuiesempio più famoso è Chiruca (1941) dello stesso Torrado.

– Il teatro dell’esilio11, di rado rappresentato, fatto di testidispersi e poco noti, messi in scena da compagnie non pro-fessioniste (studenti, gruppi sindacali e sperimentali), in ge-nere senza repliche. Offre una gran varietà di temi e modulidrammatici rispetto alla ripetitiva commedia borghese.Tuttavia, lo si comprende facilmente, influisce poco sul teatropeninsulare ed è persino complicato inserirlo all’interno dello

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11 Cfr. almeno Ricardo Doménech, «Aproximación al teatro del exilio», in Elexilio español de 1939. 4. Cultura y literatura, ed. J.L. Abellán, Madrid, Taurus,1977, pp. 183-246; Manuel Aznar Soler, El exilio teatral republicano de 1939, SantCugat del Vallès, GEXEL, 1999.

12 Mariano de Paco, «Los comienzos del teatro de posguerra. (La escenaespañola en torno al medio siglo)», in Literatura española alrededor de 1950:Panorama de una diversidad, eds. M.J. Ramos Ortega y A.S. Pérez-BustamanteMourier, Cuadernos Draco, 2, 1995, pp. 58-63.

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La sua opera in sostanza è espressione della lotta per l’af-fermazione della libertà e della giustizia ed è sottesa da unabase ideologica, sulla quale si innestano gli influssi di O’Neill,Camus, Sartre. L’innegabile forza dei suoi testi sfrutta l’im-patto prodotto da un’efferatezza che rievoca il clima di vio-lenza e di oppressione della Spagna franchista. Sastre iniziagiovanissimo la sua carriera teatrale, affrontando subito letematiche a lui care, trattate prima in termini realisti, poi ser-vendosi dell’immaginazione, dell’anacronismo storico, dellostraniamento brechtiano. Ma la svolta è segnata da Escuadrahacia la muerte, sul tema della ribellione contro il potere edella libertà individuale, studio della reazione dei singoli al-l’azione collettiva. L’opera, strutturata in modo innovativo eaccolta favorevolmente dalla critica, è seguita da altri testi rea-listi e duri, metafora trasparente di temi politici. Con la metàdegli anni ’60 Sastre, attraverso la riflessione sulla possibilitàdi dare vita a una drammaturgia popolare e critica, giungealla “tragedia complessa”, come superamento di quella clas-sica: il nucleo tragico è deformato in senso grottesco, surreale,persino umoristico, in un misto di didascalismo di stampomarxista (Brecht), di libertà immaginifica di matrice espres-sionista e di satira caustica erede dell’esperpento valleincla-niano, il tutto filtrato attraverso una prospettiva personale ditaglio rivoluzionario. In questo scenario si muovono i suoi“eroi irrisori”, secondo la definizione dello stesso autore (per-sonaggi storici, eroici o tragici, visti attraverso le loro con-traddizioni umane). È un teatro che ruota attorno alla de-nuncia dell’intolleranza, espressa in toni drammatici, ma chesi serve al contempo di umorismo e ironia, con l’inserimentodi squarci anacronistici di realtà moderna.

Come accennato, nel ’60 Sastre e Buero danno vita allapolemica sul “possibilismo”14, cioè sull’opportunità e sulle

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Buero e Sastre, tra la fine degli anni ’40 e i primi degli anni ’50.Con Historia de una escalera (1949) Buero Vallejo fa as-

surgere a dignità drammatica gente comune, problemi tri-viali e contrasti a stento contenuti, sibilati tra i denti o lasciatiesplodere in liti esasperate, incorniciati nella scala di un con-dominio popolare, simbolo della mediocrità cui i protago-nisti sembrano condannati in modo inesorabile, senza appa-rente possibilità di riscatto. È questa la prospettiva da cuinasce la definizione di “realismo simbolico” del teatro bue-riano. Lo si capisce subito: si tratta di una svolta decisa –quanto decisiva – rispetto all’immobilismo teatrale di queglianni, perché di fatto le sperimentazioni dell’autore hanno ele-vato il livello della drammaturgia spagnola, reinserendola,non senza difficoltà indotte dal contesto storico-politico esocio-culturale, nel circuito internazionale13, come illustra piùoltre il paragrafo dedicato alla sua figura e alla sua produ-zione. L’altra personalità di rilievo, si diceva, è Sastre, che nel’60 si contrappone a Buero nella polemica sul “possibilismo”,sostenendo posizioni animate da un’intransigenza militante,profondamente ideologizzata, riproposta anche in alcuni suoisaggi, ad esempio Drama y sociedad del ’56 o Anatomía delrealismo del ’63. Il suo è un teatro dalle istanze estetiche edalle tematiche profonde e differenziate, che influirà sullaproduzione contemporanea e successiva, grazie all’ininter-rotto impegno pubblico dell’autore a favore di un teatro ri-voluzionario. Sastre, infatti, propugna un rinnovamento sullascia delle avanguardie europee ma basato anche sulla de-nuncia della realtà socio-politica della Spagna di quegli anni,promuove gruppi teatrali (Arte Nuevo nel ’45, Grupo deteatro realista nel ’60), è firmatario di manifesti, scrive saggie il suo teatro politicamente impegnato gli varrà il carcere el’esilio.

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13 Herbert Härtinger, Oppositionstheater in der Diktadur. Spanienkritik imWerk des Dramatikers Antonio Buero Vallejo vor dem Hintergrund der franqui-stischen Zensur, Wilhelmsfeld, Gottfried Egert, 1997.

14 Kessel Schwartz, «Posibilismo and imposibilismo. The Buero-SastrePolemic», Revista hispánica moderna, 34, 1968, pp. 436-445. Sulla rilevanza dientrambi cfr. almeno William Giuliano, Buero Vallejo, Sastre y el teatro de sutiempo, New York, Las Américas, 1971; Marsha Forys, Antonio Buero Vallejo

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hanno quasi margine d’azione, tranne forse all’interno dellacrescente attività dei teatros independientes (iniziata nella se-conda metà degli anni ’60 e protrattasi per tutta la Transizio-ne, il cui declino è segnato dalla ripresa dei teatri stabili; vid.infra) o sulle pagine della rivista Primer Acto.

Tra le figure più in vista che, nonostante i problemi a rag-giungere il palcoscenico e il pubblico, sono accolte in modofavorevole, vanno ricordati almeno Olmo, abile evocatore del-l’ambiente popolare, attraverso un linguaggio vivace e diretto,tributario per certi versi del sainete e della drammaturgia tra-dizionale, che al contempo esprime interessanti spinte versoil grottesco e l’assurdo. Recuerda, autore di un teatro socialedi rivolta, di ambientazione storica ma dalla fantasia esube-rante, che parte da posizioni realiste venate di simbolismo, incui l’azione si proietta oltre il palco per coinvolgere lo spetta-tore. Muñiz, tra i più innovativi del teatro impegnato, il cuirealismo assume tratti e toni neo-espressionisti, rispetto al-l’impronta popolareggiante degli altri rappresentanti delgruppo. Rodríguez Méndez, convintamente realista, in se-guito evolutosi verso una maggiore complessità e autonomiacreativa. Dopo la fine della dittatura questi drammaturghipresentano altre opere, in genere affrontando tematiche sto-riche, trattate comunque secondo un taglio realistico in cuiperò si intensificano le implicazioni espressioniste.

Di poco posteriore al “gruppo realista”, sullo scorcio deglianni ’60 si sviluppa il “teatro nuovo” o “teatro indipen-dente”17, confluenza di teatro universitario e teatro da ca-mera: radicalmente innovativo, autogestito e ideologicamenteautonomo, espressione di una contestazione ancora più vio-

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conseguenze del compromesso con il teatro commerciale ein parte con la censura, in nome dei risultati che ne potevanoderivare. Buero considera percorribile e utile la strada del“possibilismo”15, abbracciato e condotto nei termini dell’im-pegno politico meno deflagrante ma nelle intenzioni e nelleconvinzioni certo ugualmente (e forse anche più) efficace,espresso in modo esemplare sia nelle opere realiste sia neidrammi storici, in cui eventi e momenti della storia passatadella Spagna gli consentono di portare sul palcoscenico leproprie idee sull’autenticità e sulla ribellione del singolo.

Di lì a poco, nei primi anni ’60, fa la sua comparsa nel pa-norama teatrale spagnolo il “gruppo realista”16, il cui intentoprincipale è riportare sulla scena la realtà contingente, riflessaattraverso la lente della critica sociale dura e della denunciapolitica radicale. Si tratta di drammaturghi ferocemente cri-tici rispetto al teatro contemporaneo, che propugnano un ri-goroso impianto realista dell’opera teatrale in contrapposi-zione all’imperante tendenza all’evasione. È facile capirequali problemi ne ostacoleranno l’attività, a causa della cen-sura, con le conseguenti difficoltà ad andare in scena. Le te-matiche principali di questo teatro sono la denuncia dell’in-giustizia sociale, dello sfruttamento, dell’ipocrisia della classedominante, ma anche la smitizzazione degli elementi fonda-mentali della società, così come il costante radicamento deitemi nella realtà spagnola contemporanea. Questi autori non

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and Alfonso Sastre. An Annotated Bibliography, Metuchen, N.J., & London, TheScarecrow Press, Inc., 1988.

15 Cfr. Antonio Buero Vallejo, «Obligada precisión acerca del “imposibi-lismo”», Primer Acto, 15, julio-agosto 1960, pp. 1-6; poi in Documentos sobre elteatro español contemporáneo, ed. L. García Lorenzo, Madrid, SGEL, 1981, pp.115-126; e ancora in Primer Acto, 30 años. I. Antología, Madrid, Centro deDocumentación Teatral, 1991, pp. 61-65.

16 Cfr. almeno Martha T. Halsey, «La generación realista: A SelectedBibliography», Estreno, 3, 1977, pp. 8-13; César Oliva, Cuatro dramaturgos “rea-listas” en la escena de hoy: sus contradiciones estéticas (Muñiz, Olmo, RodríguezMéndez, MartínRecuerda), Murcia, Universidad de Murcia, 1978; César Oliva,Disidentes de la generación realista, Murcia, Universidad de Murcia, 1979.

17 Cfr. almeno Antonio Fernández Insuela, «Notas sobre el teatro indepen-diente español», Archivum, 25, 1975, pp. 303-322 e la rassegna sul teatro indi-pendente in Ozono, 3, 1977, pp. 37-48; Reflexiones sobre el Nuevo Teatro español,ed. K. Pörtl, Tübingen, Max Niemeyer, 1986; Documentos sobre el teatro inde-pendiente español, ed. A. Fernández Torres, Madrid, Ministerio de Cultura-CNNTE, 1987; Oscar Cornago Bernal, La Vanguardia teatral en España: 1969-1975. Del ritual al juego, Madrid, Visor, 1999.

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Si possono individuare grosso modo due generazioni al-l’interno di questa corrente; la prima, vede attive figure natenegli anni ’20-’30, come ad esempio Bellido, che negli anni’50-’60 scrive testi brevi, dalla valenza simbolica, ambientatiin una dimensione irreale, cui fa da sfondo la critica socialedella Spagna franchista, ma anche opere umoristiche. Ruibal,tipico autore underground, antirealista, dalla simbologia riccadi immaginazione, innestata su una base di concretezza.Riaza, che estremizza le posizioni del gruppo nella critica im-pietosa del potere e della società, offre un’originale organiz-zazione dello spazio scenico in piani diversi all’apparenza in-dipendenti, impiega con frequenza fantocci e maschere e ri-corre spesso allo sdoppiamento dei personaggi. RomeroEsteo, il quale come Riaza esaspera le istanze ideologiche deicompagni, con testi anticonvenzionali, privi di progressionedrammatica, costruiti per accumulazione di episodi quasi sitrattasse variazioni sul tema, sfruttando un linguaggio dallaricca musicalità, ma al contempo dalla struttura sintatticascardinata.

La seconda generazione di drammaturghi del teatro indi-pendente comprende invece autori nati dopo la GuerraCivile; come Matilla, le cui opere, dalla componente visivaspesso aggressiva, assumono con frequenza toni esperpen-tici, si arricchiscono progressivamente (dagli anni ’70) di in-nesti musicali e umoristici e sono caratterizzate da un sim-bolismo ermetico indotto dalla censura. Martínez Mediero,che ricorre a elementi farseschi per dare voce alla criticasocio-politica, a volte espressa attraverso il simbolismo, e so-stenuta da un umorismo sarcastico, immancabile in tutta lasua produzione. García Pintado, a cavallo fra l’ermetismo el’assurdo, che negli anni ’80 accentua lo sperimentalismo.Miralles, il cui teatro è caratterizzato da una forte violenzaespressiva; spesso censurato e proibito, dopo la fine della dit-tatura scrive testi di denuncia, ricorrendo però a un lin-guaggio più letterario.

Menzione a parte merita Gala, il cui teatro negli anni ’60si avvicina al realismo simbolico e poetico impegnato, per

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lenta nei confronti del teatro commerciale ma anche di quellodei “realisti”, in nome di una più drastica rottura dei canonitradizionali, sia in senso estetico sia ideologico. Anche questiautori sono pesantemente limitati dalla censura, per la rap-presentazione (di solito in circuiti marginali e teatri univer-sitari) e la pubblicazione delle loro opere. A differenza degliimmediati predecessori, rifiutano il realismo per orientarsiverso un linguaggio fortemente connotato, che ne determinala classificazione come “simbolisti”; propugnano la rotturadelle convezioni estetiche, attraverso lo sfogo dell’immagi-nazione, la messa in scena di situazioni paradossali o assurde,la riflessione sull’ambiguità e la limitatezza della parola. Ognigruppo ha il suo specifico linguaggio e la sua linea di ricerca,ma tutti insistono sulla spettacolarità dell’allestimento, sul-l’espressività del corpo e degli elementi visivi. Si ricordino al-meno l’Escola dramàtica Adrià Gual (la più datata, attiva dal’60), Els Comediants, Els Joglars, La pipironda, El Tricicle,Teatro fronterizo, Ditirambo teatro estudio, Los Goliardos,Tábano, Teatro experimental independiente, Teatro estudio le-brijano. A proposito degli esiti di questo genere di dramma-turgia, si è parlato spesso di riduzione dell’importanza deltesto, ma in realtà la prospettiva di valutazione deve esserediversa: è evidente un collegamento con l’eredità, le speri-mentazioni e i fermenti che avevano animato le Avanguardiestoriche dei primi del Novecento, con l’appello alla sintesidelle arti, col simultaneismo, a partire da Apollinaire, comeavevano continuato a fare, sviluppando questi spunti inmodo innovativo, anche i drammaturghi del ’27 (GarcíaLorca in primis) e in seguito le neo-avanguardie, dagli anni’60 in poi. Sono gruppi e autori che non hanno incidenzasulla programmazione commerciale, fanno teatro under-ground e tuttavia hanno il loro peso nel dibattito culturalesulla drammaturgia18.

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18 Cfr. almeno George E. Wellwarth, Spanish Underground Drama, Madrid,Villalar, 1978.

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il pubblico partecipa – non assiste –, sperimentando così unprocesso catartico. Dalla fine degli anni ’70 è rappresentatoanche in Spagna.

In sostanza, dalla morte di Franco, nel 1975, alla metàdegli anni ’90, si sviluppa una nuova fase di rinnovamentodel panorama teatrale spagnolo19, contrassegnata dalla finedella censura, dai finanziamenti pubblici, dal restauro o dal-l’ammodernamento dei teatri e conseguentemente dalla(ri)comparsa dei teatri stabili, dall’innalzamento del livellotecnico, dalla diversificazione dell’offerta in cartellone, dalrecupero del teatro classico, dall’istituzione di festival e del“Centro Dramático Nacional” (1978) o del “Centro Nacionalde Nuevas Tendencias Escénicas” (’84-’94). Tutto ciò, però,se da un lato segna l’inizio di quella che è stata definita l’o-perazione di rescate, cioè di riscatto di drammaturghi dell’e-silio (Arrabal, Alberti, ma anche stranieri come Brecht o Fo)o restitución, cioè ripresa di drammaturghi come MartínRecuerda, Rodríguez Méndez, Olmo, Sastre, Gala, oltre ai“nuovi autori” come Romero Esteo, Riaza, Ruibal, GarcíaPintado, Miralles, Martínez Mediero, dall’altro lato accentua

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farsi poi più immaginifico e personale, con il ricorso a ele-menti grotteschi, a un linguaggio aggressivo, all’epilogo tra-gico. Con la fine della dittatura si concentra sui temi dellaSpagna della transizione politica.

Oltre al “gruppo realista”, al “teatro nuovo” e al “teatroindipendente”, vanno ricordati, poi, altri due drammaturghi,fautori di un teatro più che sperimentale. In primo luogoNieva, che dal ’76 mette in scena il suo “teatro furioso”, cuisegue una fase di depurazione artistica, caratterizzata da unastrutturazione drammatica più equilibrata, dal ridimensio-namento degli elementi conflittuali e violenti e dalla crea-zione di personaggi umanizzati. Influenzato dal Postismo eda altre esperienze culturali, matura un’estetica personale intensione tra due poli: il meccanicismo stilizzato e il baroc-chismo sfrenato. Fondamentale nella sua drammaturgia l’im-portanza della componente visiva ed espressiva, quest’ultimariflessa in un linguaggio ricco, letterario e innovativo; cosìcome le complesse costruzioni scenografiche, proiezione deldelirio onirico o magico, spesso complicate dalla giustappo-sizione di sequenze di scene, in pratica prive di azione, chenelle sue intenzioni sintetizzano valenze catartiche, defor-mazioni grottesche, esperpentiche, funzionali all’enfasi concui sottolinea la necessità di accettare l’uomo “totale”, conle sue contraddizioni.

Altra figura da ricordare è quella di Arrabal, che lascia laSpagna e da Parigi, dove si stabilisce, critica aspramente ilproprio Paese; scrive e pubblica in francese e riscuoteenorme successo in Francia. La sua produzione, profonda-mente innovativa, rivela influssi del movimento postista, diKafka e del surrealismo bretoniano e tratta temi come lamorte, la violenza, la repressione sessuale, talvolta attraversoil filtro dell’autobiografismo. È un teatro, il suo, inquadratoin una dimensione illogica, onirica, in cui affiora l’inconscio,visto come parte della realtà; fatto di eccessi, orrore, ric-chezza immaginativa, che si serve di un linguaggio barocco,venato di umorismo. Un teatro “panico”, in cui la rappre-sentazione è considerata una cerimonia, un rituale, al quale

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19 Cfr. Frank P. Casa, «Theatre after Franco: The First Reaction»,Hispanófila, 66, 1979, pp. 109-122; Luciano García Lorenzo, «El teatro españoldespués de Franco (1976-80)», Segismundo, 27-32, 1978-80, pp. 25-39; FernandoValls, «El teatro español entre 1975 y 1985», Las Nuevas Letras, 3-4, 1985, pp.64-82; Francisco Ruiz Ramón, «Apuntes sobre el teatro español en laTransición», in Reflexiones sobre el nuevo teatro español, ed. K. Pörtl, Halle, MaxNiemeyer, 1986, pp. 90-100; Teatro Español Contemporáneo. Autores yTendencias, eds. A. Toro y W. Flöck, Kassel, Reichenberger, 1995; Veinte años deteatro y democracia en España (1975-1995), ed. M. Aznar Soler, Sant Cugat delVallès, Cop d’idees-CITEC, 1996; Ángel Berenguer, Manuel Pérez, Tendenciasdel teatro español durante la transición política (1975-1982), Madrid, BibliotecaNueva, 1998; Enrique Centeno, La escena española actual (Crónica de una década,1984-1994), Madrid, Sociedad General de Autores y Editores, 1996; María JoséRagué Arias, El teatro de fin de milenio en España (de 1975 hasta hoy), Barcelona,Ariel, 1996; Candyze Leonard, John P. Gabriele, Teatro de la España demócrata:los noventa, Madrid, Fundamentos, 1996; El teatro: género y espectaculo. Teatroespañol ante el fin de siglo, monográfico de Ínsula, 601-602, 1997; Teatro histó-rico (1975-1998). Textos y representaciones, eds. J. Romera Castillo y F. GutiérrezCarbajo, Madrid, Visor, 1999.

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teatro d’autore e di parola, senza negare le sperimentazionid’avanguardia ma ricercando il contatto con gli spettatori, adesempio con il ritorno a un intreccio più lineare. L’odiernascrittura teatrale in Spagna non si concentra più esclusiva-mente sul taglio ideologico e sull’impegno politico e sociale,ma mostra interesse anche per gli aspetti privati e quotidiani,secondo quella che si potrebbe definire “estetica neo-rea-lista”, nell’intento di coinvolgere un pubblico vasto e diffe-renziato, sfruttando la comicità, le tecniche cinematografichee televisive, l’intertestualità e la metateatralità, lo svecchia-mento del linguaggio. Dopo una prima apertura ai dramma-turghi ostracizzati durante la dittatura, si finisce per relegarlidi nuovo nell’ombra: solo Buero, Gala e in parte Nieva, in-fatti, sono presenti nella programmazione. In anni relativa-mente recenti, poi, si è assistito al successo teatrale di ro-manzieri affermati, come Mendoza, Delibes, Molina-Foix,Carmen Martín Gaite, Vázquez Montalbán, Rosa Montero esono più numerose oggi le scrittrici che si dedicano al teatro20

(Ana Diosdado, Carmen Resino, Concha Romero, tra letante). Contemporaneamente si è assistito alla rinascita e allosviluppo della drammaturgia regionale (Paesi baschi, Galizia,Catalogna), spesso in lingua originale, indubbio arricchi-mento del panorama teatrale spagnolo contemporaneo.

3. L’autore e il suo teatro

Ecco, è in questo contesto che, a partire dall’esordio sullescene nel ’49, si sviluppa il teatro di Buero21. Teatro serio, ilsuo, dai contenuti sociali, fatto di realismo simbolico, dallagran varietà di moduli drammatici, espressione di temi uni-versali impiegati per prendere posizione sulla realtà della

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gli aspetti artificiali e artificiosi dello spettacolo, che appareslegato dalla realtà rispetto all’aderenza al momento storico-sociale contingente tipica delle sperimentazioni precedenti,a partire dalla svolta segnata da Buero e Sastre, proseguitapoi col “gruppo realista” degli anni ’60 e col “teatro indi-pendente”, per proiettarsi fino alla Transizione. Così, rigua-dagna terreno la commedia tradizionale, di intrattenimentoe scompaiono i teatri e le compagnie indipendenti, diventapiù difficile l’accesso alla scena di drammaturghi estranei aicircuiti ufficiali e istituzionali (ma sopravvivono ElsComediants, Dagoll Dagom, Els Joglars e compaiono le nuoveLa fura dels Baus e La cubana).

Sono gli anni in cui si impongono figure che hanno iniziatola loro attività nell’ambito del “teatro indipendente”, piùspesso “esordienti” che autori con una lunga esperienza allespalle. È il caso, tra gli altri, di Sanchis Sinisterra, Alonso deSantos, Sirera, Cabal, in cui convivono estetica realista e ri-corso al sogno e all’allucinazione, all’elemento fantastico, algioco scenico, per esprimere il conflitto tra individuo e società,attraverso protagonisti perdenti, emarginati, senza alcuna pos-sibilità di finale consolatorio, con frequenti aperture all’inter-testualità e alla metatestualità. In questo stesso periodo coesi-stono le sperimentazioni arditissime – talvolta eccessive – digiovani drammaturghi e la ricomparsa della commedia tradi-zionale, come anche toccanti ricordi del passato recente.

Negli anni ’90, poi, si sviluppano due gruppi importantiper l’evoluzione della drammaturgia attuale: da un lato il“gruppo di Madrid”, orientato verso la ricerca formale e ladimensione intimista, pur senza disdegnare le tematiche so-ciali (con autori quali Moral, Caballero o Paloma Pedrero);dall’altro lato il “gruppo di Barcellona”, particolarmente sen-sibile allo sperimentalismo (con Casas, Llüisa Cunill, Belbel),le cui opere esprimono un accentuato senso ludico e una co-stante riflessione sulla struttura del testo teatrale (reiterazionedi scene, complessa identificazione dei personaggi, anda-mento circolare, finale aperto).

Tuttavia, negli ultimi anni inizia anche il recupero del

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20 Cfr. Patricia W. O’Connor, Dramaturgas españolas de hoy, Madrid,Espiral/Fundamentos, 1988.

21 Centrale lo studio di Luis Iglesias Feijoo, La trayectoria dramática deAntonio Buero Vallejo, Santiago de Compostela, Universidad, 1982.

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di coro dall’effetto brechtiano e straniante), La señal que seespera (1952) Casi un cuento de hadas (1953), Irene o el te-soro (1954; fortemente simbolica), nel segno della coesistenzadi fantastico e realtà quotidiana. Dal ’58, con Un soñador paraun pueblo (sulla figura di Squillace), le tematiche veicolatedalla drammaturgia bueriana si addensano di tanto in tantoall’interno di un’ambientazione storica, metafora delle pro-blematiche del tempo, per eludere la censura e riprodurre ilpassato come spunto di riflessione sull’attualità scottante, maanche per rivitalizzare le vicende nazionali nell’ottica dellalezione della storia. È un’espressione di quel “possibilismo”criticato da Sastre, cui Buero si dedica con costanza, con-cretizzatosi nella rivisitazione personale del dramma storico,per costruirvi attorno costellazioni di approfondimenti te-matici e sperimentazioni drammatiche sempre più com-plesse. Così accade infatti con Las Meninas23 (1960; suVelázquez e sul tema della lotta per l’affermazione dell’idealedi artista; dalle forti implicazioni sperimentali) e con El con-cierto de San Ovidio (1962; commedia corale, ambientata nellaFrancia prerivoluzionaria, in cui la cecità è metafora della so-cietà oppressa – allusione trasparente alla Spagna franchista–, come già En la ardiente oscuridad, del ’50, e poi ne La lle-gada de los dioses, del ’71), con El sueño de la razón24 (1970;sulla figura di Goya), con La detonación (1977; dall’accen-tuato simbolismo, sul suicidio di Larra). Le opere allestitedopo la fine della dittatura, almeno da Jueces en la noche(1979, sul tema del terrorismo) in poi, tornano all’ambienta-zione contemporanea, denunciando i mali della società libe-rata (opportunismo politico, prevalere degli interessi econo-mici, disoccupazione, violenza, repressione), messi in scenaattraverso conflitti individuali, intimi, in cui tutto ruota at-

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Spagna dell’epoca. Un teatro dal forte impianto drammatico,essenzialmente tragico.

L’autore inizia la sua parabola con opere di taglio neo-rea-lista, che si arricchiscono progressivamente di implicazionisimboliche, meccanismo attraverso il quale aspetti modesti epersino bassi della quotidianità assumono un significato chetrascende il semplice quadro realista, per acquisire uno spes-sore che va ben al di là della mimesi rappresentativa, profi-landosi in modo sempre più chiaro come tratti dalla profondae drammatica complessità, non solo intima, ma anche socialee collettiva, chiaramente ancorate alla dimensione socio-po-litica del tempo. Historia de una escalera, che alla fine deglianni ’40 segna in modo significativo l’esordio del dramma-turgo, resta dopo tanti anni la massima espressione di questosuo primo teatro. Nell’opera successiva, En la ardiente oscu-ridad (1950), Buero concretizza l’antitesi della commedia leg-gera, portando in scena la metafora della cecità, da leggerecome incapacità di affrontare la realtà, certo dura ma più di-gnitosa della menzogna ipocrita che tende a rimuoverla. Sullalinea “realista” di Historia de una escalera, come riflesso dellaquotidianità della classe media e medio-bassa presa a spuntoper un messaggio pregnante, si collocano anche Hoy es fiesta(1956; sul sentimento della speranza e della fede), Las cartasboca abajo (1957), El tragaluz (1967; più complesso, come di-mostrano il ricorso allo scenario multiplo e la presenza fuoriscena di due personaggi estranei all’azione, cui è affidata lafunzione di straniamento, di ascendenza brechtiana). In unafase successiva, Buero si sposterà verso un teatro di idee, incui la realtà, superata nella sua base fenomenica, sfocerà inun livello superiore, venato di consapevolezza, militanza epresa di posizione ideologica di fronte alla società e al mo-mento politico contingente. Rappresenta quindi La tejedorade sueños (1952; reimpiego del mito di Penelope22, con tanto

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22 Cfr. Manuel Alvar, «Presencia del mito: La tejedora de sueños», in El teatroy su crítica, Málaga, Diputación Provincial, 1975, pp. 279-300.

23 Di cui è stata pubblicata di recente la versione italiana: Antonio BueroVallejo, Le damigelle d’onore, traduzione di M. Pannarale, Milano, Mimesis, 2007.

24 Di cui è apparsa recentemente la versione italiana: Antonio Buero Vallejo,Il sonno della ragione, traduzione di M.L. Aguirre D’Amico, introduzione di M.T.Cattaneo, Milano, Mimesis, 2007.

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collocano sulla scia di quella tradizione europea di teatro rea-lista, evolutasi nel corso del Novecento. Si pensi ad esempioa Ibsen, per la struttura, la pianificazione e lo sviluppo del-l’opera, per la realtà trascesa nel simbolo, quel “realismo sim-bolico” che è emblema della drammaturgia dell’autore. Larealtà, infatti, ha un significato più profondo di quello im-mediato e superficiale e questo sarà un tema centrale perBuero, da cui deriva l’invito costante ad andare oltre le ap-parenze, perché il reale è complesso e non consiste in ciò chese ne può percepire a un approccio immediato. Oppure sipensi a Strindberg, per l’emergere incontenibile delle pul-sioni umane, per il recupero della dimensione onirica (comeaccadrà per il sogno collettivo in Aventura en lo gris). O sipensi ancora a Pirandello, per la personalità frammentata, di-sarticolata del personaggio, per l’annullamento del dia-framma ideale che separa attore e spettatore, grazie al qualesi attua il coinvolgimento totale del pubblico. O ancora aO’Neill, per i temi tragici, la volontà di scrutare nelle profon-dità dell’anima alla ricerca dell’origine prima delle fobie, del-l’allucinazione, in perfetta consonanza con l’espressionismoeuropeo. Il teatro di Buero, lo si è detto, è serio, affatto com-piacente, di taglio tragico, come quello di Arthur Miller, ri-scopritore della tragedia moderna, con il quale coinciderà suiproblemi e sulle situazioni da portare in scena, perché nu-cleo di interesse centrale per entrambi, cui entrambi repli-cheranno con risposte simili. Ma nella drammaturgia bue-riana si potrebbe ravvisare anche una reminiscenza cervan-tina, nel tema della follia, nella consacrazione a una causa al-l’apparenza persa, perché all’apparenza assurda e insensata;o ancora nel confronto duro tra l’individuo e il mondo cir-costante; o vi si potrebbe intravedere un riecheggiamentoclassico, per alcuni modelli universali; oppure si potrebbe re-cuperare un possibile lascito calderoniano, riflesso della suaportata metafisica, intruibile dietro l’impianto de La Funda-ción o il dramma sociale o il taglio metateatrale; ma ancheun’eredità più o meno marcata, più o meno consapevole diValle-Inclán, García Lorca (sui quali il Buero scriverà pagine

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torno a un’immancabile vittima. Si tratta di strutture dram-matiche molto complesse, che mostrano un’eccezionale pa-dronanza dei mezzi scenici da parte dell’autore. Ma si ricor-dino anche: Madrugada (1953), Aventura en lo gris (1963), Ladoble historia del doctor Valmy (scritta nel 1964, sull’intolle-ranza e la tortura), La llegada de los dioses (1971), LaFundación (1974), Caimán (1981; sulla speculazione ediliziae la mendicità), Diálogo secreto (1984), Lázaro en el laberinto(1986), Música cercana25 (1989; sul traffico di stupefacenti),Las trampas del azar (1994; cupa tragedia in cui interagisconocaso, destino e colpa) e infine Misión al pueblo desierto (1999).

Gli intricati labirinti della coscienza; la ricerca della ve-rità; personaggi dal passato oscuro, schiacciati da un segretoinconfessato e inconfessabile, schermato dalla menzogna,sconfinante in una sorta di patto illusorio con l’oblio (o me-glio nella rimozione); l’incapacità di affrontare e accettare larealtà o la paura di scoprirla. Alla fine tutto ciò ruota attornoa un nucleo centrale nell’estetica dell’autore: l’uomo puòcambiare solo se ha il coraggio di riconoscere e affrontare leproprie paure, il proprio rimosso, e dunque la realtà in tuttala sua durezza e inesorabile oggettività. È questo che spiegala reazione simbiotica del pubblico di fronte al teatro bue-riano, che si profila come una sorta di meccanismo di iden-tificazione: Buero non si limita a esprimere le proprie idee,ma porta sulla scena paure, desideri, spinte emotive condi-vise, in cui gli spettatori si identificano, o meglio riconosconoe identificano una carica potenziale per il superamento difobie o la realizzazione di aspirazioni individuali e collettivealtrimenti non manifestabili, rimosse per debolezza del sin-golo o censurate dalla società.

Ma come nasce Buero drammaturgo?26 I suoi esordi si

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25 Cfr. Martha T. Halsey, From Dictatorship to Democracy, The Recent Playsof Antonio Buero Vallejo (From La Fundación to Música cercana), Ottawa,Dovehouse Editions, 1994.

26 Cfr. almeno l’introduzione di Luis Iglesias Feijoo all’Obra colmpeta,Madrid, Espasa Calpe, 1994, vol. I, pp. x-xxv.

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cace. Per questo Buero vive un rapporto del tutto partico-lare con il linguaggio, perché non immagina testi ma spetta-coli, linguaggio in atto, in azione, che si combina con moltialtri elementi (il gesto, la mimica, l’espressione e altro an-cora); per questo il suo è un teatro totale, combinazione diparola, grido, movimento, maschera, veglia, sogno... Unteatro che matura nell’evoluzione, mantenendo intatta nellaparabola di sviluppo la sua unitarietà di fondo e articolan-dosi al contempo in una ricca quanto pregnante varietà, chene configura il progresso.

Come si diceva, fin dall’inizio Buero si colloca sul pianodella tragedia, in preciso e voluto contrasto con un panoramateatrale in cui imperava il puro intrattenimento, l’evasione eil conformismo (in sostanza la superficialità, almeno fino allaproduzione comico-umoristica di Mihura, Jardiel Poncela,ecc.). Così, il suo teatro si affaccia indagatore sulla dimen-sione metafisica28, utopica, intesa come costante nella storiae nella sensibilità dell’individuo (che riflette sui suoi limiti in-terni, fisici ma certo ammantati di quel valore simbolico evi-dente nella drammaturgia bueriana, come la cecità, il mu-tismo, la sordità, la follia29; ma anche sui suoi limiti esterni: ledifferenze sociali, il classismo, l’immobilismo). La tragediadunque per Buero non è più solo studio dell’individuo, mastudio del rapporto tra individui, tra individui e società, conla conseguente apertura alla prospettiva della tragedia sociale(l’intolleranza, la violenza, l’oppressione). Si tratta, lo si co-glie ancora meglio adesso, di un teatro critico: sintesi di tra-gedia individuale e collettiva, in una sorta di irrinunciabile esperanzosa spinta alla conciliazione di opposti, in cui ap-

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di riflessione teorica); e perché non H.G. Wells, ammiratis-simo da Buero, e altri ancora. Tuttavia, al di là dell’ammira-zione, della conoscenza, del retroterra culturale e degli ele-menti condivisi con altri drammaturghi contemporanei o delpassato, la sua voce, il suo teatro ha un forte accento perso-nale, fatto di sperimentalismo, di riflessione esistenziale, dimessa a fuoco della realtà trascendendone i limiti fenomeniciper riconoscervi un’innegabile valenza simbolica, che ne rap-presenta in ultima istanza la dimensione paradossalmente piùreale; nella consapevolezza che il teatro deve parlare al pub-blico dei problemi attuali. È per questo che i successi degliesordi sono superati dalla produzione posteriore, con la ma-turazione di un’estetica drammaturgica difficilmente egua-gliabile, concretizzatasi nella sperimentazione delle soluzionisceniche più audaci. E tutto ciò è volto a dare voce e portaresulla scena i problemi dell’uomo della seconda metà del XXsecolo: Buero infatti va al di là dello sperimentalismo, portaavanti una ricerca ininterrotta, che sostiene a livello estetico,tecnico-formale ma anche di riflessione esistenziale, la sua in-tera parabola di artista, come dimostrano i suoi saggi criticidegli anni ’50 e ’60, che si proiettano ben al di là dell’im-pegno urgente ispirato dai temi sociali, per collocarsi su unpiano assoluto, non transeunte ma definitivo. Buero comeCamus si è definito un solitario solidario e ha una profondaconsapevolezza della funzione sociale del teatro e dunquedella sua missione: lo svelamento della fragilità e delle ca-renze umane (a livello di individuo e di collettività), che loorientano verso la tragedia27, universo drammatico elabora-tissimo, verso il rinnovamento formale, per il desiderio di ri-svegliare la consapevolezza del pubblico in modo più effi-

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27 Sulla concezione della tragedia dell’autore cfr. almeno Jean Paul Borel, Elteatro de lo imposible, Madrid, Guadarrama, 1966; Kessel Schwartz, «BueroVallejo and the Concept of Tragedy», in The Meaning of Existence inContemporary Hispanic Literature, Miami, University of Miami Press, 1969, pp.151-161; Robert L. Nicholas, The Tragic Stages of Antonio Buero Vallejo, ChapelHill, University of North Carolina, 1972.

28 Cfr. Emilio Bejel, Buero Vallejo: lo moral, lo social y lo metafísico,Montevideo, Instituto de Estudios Superiores, 1972; Antonio Buero Vallejo.Literatura y filosofía, ed. A.M. Leyra, Madrid, Universidad Complutense, 1998.

29 Su questo specifico aspetto cfr. José Luis Gerona Llamazares,Discapacidades y minusvalías en la obra teatral de D. Antonio Buero Vallejo(Apuntes psicológicos y psicopatológicos sobre el arte dramático como método de ex-ploración de la realidad humana), Madrid, Universidad Complutense, 1991.

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dovranno trarre personalmente le loro conclusioni. Per que-sto talvolta il finale ci lascia di fronte a una sorta di operaaperta, in modo più o meno evidente: la vita continua dopoche si è abbassato il sipario ed è per questo che la prospettivafutura non viene mai meno nel teatro di Buero, anchequando (come nel caso del tema del suicidio) sembra non visiano alternative possibili. In casi simili, l’autore intende met-tere in guardia il pubblico sull’esistenza di forze, pressioni,sollecitazioni che possono indurre a disperare sulla risolu-zione del conflitto. Una risoluzione potenziale che esistesempre, invece, se non per il singolo, simbolicamente vintoda un peso troppo opprimente, almeno per gli altri individui.Nella tragedia bueriana c’è sempre una prospettiva di ri-scatto, la possibilità di trascendere chi cede, c’è sempre unapotenzialità di riuscita a livello collettivo. E Buero, infatti, in-tende stimolare la riflessione sulle responsabilità, a livello in-dividuale, sociale, del singolo e della comunità, del passato ri-flesso nella contemporaneità. La formula della sua dramma-turgia si potrebbe sintetizzare così: portare sulla scena il di-battito tra due concezioni dell’esistenza, che nello scontro di-namico generano un conflitto, che talvolta (spesso?) finiscecon la sconfitta, ma proprio e anche dalla sconfitta può na-scere una situazione migliore.

Tutto ciò richiama l’attenzione del pubblico sulla neces-sità di fondare l’esistenza sulla verità, perché sulla menzogna,come sulla violenza, non si costruisce nulla di valido. Ed èper questo che la dialettica dell’autore insiste sulla rilevanzasociale degli atteggiamenti individuali, perché la vera spintadinamica del suo teatro consiste nel porre in evidenza il con-flitto tra negatività e positività, per ridurlo all’unica dico-tomia esiziale per l’individuo – a livello personale e collettivo–, quella tra verità e menzogna. La stessa evoluzione tecnica,la stessa maturazione formale del teatro di Buero hanno va-lore trascendente, non sono certo un semplice espedientescenico, al contrario riflettono l’ottimismo storico, la pro-spettiva che va al di là della congiuntura, del contingente.Così si spiega anche la progressiva complessità delle opere

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paiono in scena contraddizioni esplicitate e potenzialmentesuperate nella stessa denuncia30. Tutto ciò conduce a unteatro dialettico, riflesso dell’aspirazione al superamentodelle antinomie insite nell’uomo e nel suo tempo (un uomoe un tempo acronici, non quelli del “qui e ora”, ma quelli disempre, universali). Su un piano affine si proietta il problemadel rapporto tra l’individuo e la realtà oppure tra l’individuoe l’assoluto: la tragedia sottopone allo spettatore questionicruciali, ma la possibile catastrofe finale non implica una con-clusione chiusa, necessariamente negativa, pessimista; l’in-tento infatti è stimolare il pubblico, affinché capisca che il fi-nale non è ineluttabile, perché non ci consegna a un destinosegnato. Sono gli individui in ultima analisi a decidere, conle loro scelte, lo sviluppo e l’esito dell’azione. Da qui l’as-sunto fondamentale: la tragedia sfocia nella speranza e l’o-pera non si conclude nel momento in cui cala sipario, poichéla vicenda prosegue e sebbene i personaggi siano stati an-nientati sulla scena, il significato ultimo della tragedia, la spe-ranza che deve risvegliarsi nello spettatore, si proietta benoltre la dimensione scenica. Tutto ciò rimanda a un altro con-cetto radicatissimo nella drammaturgia dell’autore, quellodella funzione sociale del teatro: dal palcoscenico si inter-viene sulla società, sulla storia, perché si sollecitano le co-scienze, sempre nella consapevolezza che il ruolo del teatronon è la risoluzione concreta del conflitto ma la denuncia edunque l’indicazione della possibile soluzione. È il pubblicoche deve fare proprio l’insegnamento insito nel messaggio, ilcui peso specifico, al di là della rappresentazione, come al-cuni elementi quali la concezione dello spazio e del tempo,trascende e supera i limiti cronologici e spaziali della perfor-mance, per proiettarsi sulla realtà e fungere da catalizzatore.Non si tratta allora di divulgare un’ideologia, ma di assolvereuna funzione critica, al fine di sensibilizzare gli spettatori, che

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30 Cfr. Félix G. Ilarraz, «Antonio Buero Vallejo: ¿Pesimismo o esperanza?»,Revista de Estudios Hispánicos, 1, 1967, pp. 5-16.

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ne El sueño de la razón, in cui chi è in sala percepisce l’azioneattraverso la sensibilità e le limitazioni fisiche del protago-nista, vecchio e sordo, ossessionato e allucinato. Quindi levoci degli altri personaggi non si percepiscono ma li si vedegesticolare e ciò favorisce l’immedesimazione, perché inglobagli spettatori nella sfera percettiva del protagonista, i quali fi-niscono per osservare e recepire la realtà così come questi laosserva e la recepisce. In questo senso, il massimo risultato èraggiunto con La Fundación, dove la trasformazione delloscenario svelerà solo alla fine che l’intera vicenda si è svoltanella mente alienata di Tomás, di cui il pubblico ha condi-viso in modo totale la prospettiva, nel percorso dalla follia alrecupero della lucidità nell’epilogo, in un progressivo rinsa-vimento, sfociato nella presa di coscienza della verità, perquanto dura possa apparire da accettare e assumere. Si trattadi un ejercicio de inmersión32 negli abissi dell’interiorità indi-viduale, quella di un singolo e preciso personaggio, di voltain volta diverso (Velázquez, Goya, Tomás, ecc.), che evocauna dimensione comune e condivisa tra protagonista e spet-tatori, per cui questi ultimi aderiscono in modo totale alla co-scienza del primo. La riflessione e le sperimentazioni diBuero sul rinnovamento tecnico-formale ruotano dunque at-torno a un altro concetto base: lo spettatore deve identificarsicon la complessità della coscienza umana, in tutte le sue sfac-cettature, così come viene espressa dal protagonista di turno.Solo così si raggiunge la partecipazione psichica, che divieneautomatica nel momento in cui questa sorta di consustan-zialità non è più una scelta di chi segue la rappresentazionema coincide con il modo in cui l’opera è presentata, con laprospettiva offerta, con il punto di osservazione da cui si as-siste alla vicenda messa in scena. Tutto ciò risulta amplificatose la coscienza del personaggio è quella di un colpevole e in-

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bueriane, risposta alla ricerca sull’essenza e sulle finalità delteatro, che ha sempre occupato un posto privilegiato nella ri-flessione dell’autore. Secondo la sua prospettiva, lo spetta-tore è un collaboratore attivo, che elabora il senso dell’operaattraverso la meditazione sui temi rappresentati. PerchéBuero intende stabilire un contatto con la sensibilità del pub-blico, che deve identificarsi con il mondo messo in scena, inun rapporto empatico, emotivo, per condividere le angoscedei personaggi, attivando anche attraverso la sfera emotival’impulso a riflettere. Nella fase iniziale della parabola dram-maturgica dell’autore questa identificazione si produce percompartecipazione alla tragedia dei personaggi (come inHistoria de una escalera), ma in seguito si evolverà con la spe-rimentazione di modalità più complesse (buio in sala percondividere l’esperienza della cecità – En la ardiente oscu-ridad –31; visione di un sogno collettivo – Aventura en lo gris– per accedere alla dimensione onirica in cui si muovono ipersonaggi; sdoppiamento della personalità ricorrendo a dueattori che interpretano lo stesso personaggio contempora-neamente – Casi un cuento de hadas –; rappresentazione difantasie e allucinazioni di un personaggio alienato – Irene oel tesoro –, il cui punto di vista perturbato si impone). Dal’58, poi, a partire da Un soñador para un pueblo, Buero si de-dica anche al teatro storico, di cui si serve per affrontare temiscottanti, più direttamente politici, quali il potere, la censura,l’oppressione. Con questo tipo di ambientazione, la rotturadella continuità spazio-temporale sulla scena è voluta e messaal servizio dello sviluppo tematico, sfruttandone al contempoil potenziale identificatore, per cui la riattualizzazione inchiave contemporanea di eventi passati, rende gli stessi temi,gli stessi fatti rappresentati, elementi in cui il pubblico può ri-conoscersi e dunque identificarsi. Ma l’espediente più riu-scito per garantire l’adesione personaggio-spettatore affiora

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31 Sull’impiego degli elementi luce/oscurità cfr. Joaquín Verdú de Gregorio,La luz y la oscuridad en el teatro de Buero Vallejo, Barcelona, Ariel, 1977.

32 Cfr. Ricardo Doménech, El teatro de Buero Vallejo. Una meditaciónespañola, Madrid, Gredos, 1973, poi 1993; concetto ribadito da Mary Rice,Distancia e inmersión en el teatro de Buero Vallejo, New York, Peter Lang, 1992.

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anno; nel ’50 poi viene data alle stampe e Iquino ne realizzal’adattamento cinematografico.

Historia de una escalera si presenta in apparenza come lastoria di una serie di “limiti”; cronologici (in una sorta ditempo circolare), spaziali (l’ambientazione nella scala del ca-seggiato popolare), di azione (il destino identico per genitorie figli, condannati da un inesorabile determinismo sociale): li-miti, limiti ovunque, di ogni genere e tipo. Almeno all’appa-renza. Sì, perché sono limiti difficili, quelli di Historia de unaescalera, un perimetro sfuggente, a prima vista angusto, av-vitato su se stesso. Gradualmente però riconosciamo, perce-piamo prima e dopo comprendiamo, che lo spazio e il tempodella vicenda non sono delimitati dalle assi del palcoscenico,dalla durata dello spettacolo, ma si espandono e investono lacoscienza del pubblico per svilupparsi “oltre”, oltre ogni li-mite e contorno tracciato. È questa capacità sottile di tra-scendere la dimensione della scena e della scrittura a fare diHistoria di una escalera un’opera d’arte. È questa sua formanon circoscrivibile a renderla efficace. Ed è proprio tutto ciòche le permette di espandersi, senza tempo e al di là dellospazio, oltre il contenitore della rappresentazione. Il suo mes-saggio, ma prima ancora la vicenda messa in scena, non sonodelimitabili, anzi sconfinano in una dimensione spazio-tem-porale tutt’altro che chiusa, muovendo da una circolaritàcontingente che possiede però una forza centrifuga in gradodi irradiarne il senso lungo linee che dalla circonferenza par-tono sistematicamente per la tangente, raggiungendo la co-scienza del pubblico e la sua realtà concreta.

L’opera è articolata secondo una struttura tematica e for-male innovativa: i tre atti non corrispondono alla presenta-zione, allo sviluppo e alla risoluzione di un conflitto, ma a trefotogrammi – colti in altrettanti momenti diversi – che fis-sano i personaggi in tre situazioni sequenziali, nell’arco ditrent’anni. Manca un protagonista principale e l’azione ruotaattorno all’intersecarsi delle storie degli inquilini, le cui aspi-razioni (sentimentali, sociali, economiche) sono costante-mente frustrate. Manca lo scioglimento della vicenda e il lieto

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fatti sono i drammi della colpa che l’autore ci presenta piùspesso33: come in una sorta di processo si indaga sulle re-sponsabilità di una determinata situazione, presenziando alcontempo un complesso gioco prospettico, secondo cui i per-sonaggi giudicano altri personaggi (i “vincitori”), i quali peròsono carnefici e quindi implicano un gruppo di vittime; comese non bastasse, lo spettatore, inesorabilmente coinvolto, nonè un semplice testimone, ma finisce per sentirsi imputato, inqualche modo corresponsabile. Egli non è più solo osserva-tore ma implicato, sia come responsabile – cioè come ele-mento attivo –, sia come elemento passivo, che non denunciama sceglie la via “comoda” dell’omertà, contribuendo allacolpa. È attraverso questa implicazione che Buero agiscesullo spettatore, perché prenda coscienza e scelga, ben al dilà della dimensione teatrale, della performance, ma reagisca eagisca oltre, nella vita concreta, nella società e nella storia, lasua storia, che è sua non solo per la sua vicenda personale,esistenziale, ma anche e specialmente perché è la storia delsuo tempo, l’unica storia in cui può rivendicare un ruolo at-tivo, come individuo e come parte di una collettività. Tuttociò si amplifica nella produzione che segue la fine della dit-tatura, quando, venuta meno la censura, diventa di nuovopossibile esprimersi in modo diretto, senza filtri distanzia-tori. È allora che i riferimenti a questo concetto si fannosempre più espliciti, rivestendo un’importanza fondamentalenella teoria bueriana della speranza tragica.

4. Historia de una escalera

Scritta tra il ’47 e il ’48, intitolata in origine La escalera (mal’autore le cambierà il titolo), nel ’49 l’opera vince il PremioLope de Vega ed è messa in scena nell’autunno dello stesso

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33 Cfr. Jean Cross Newman, Conciencia, culpa y trauma en el teatro deAntonio Buero Vallejo, Valencia, Albatros-Hispanófila, 1992.

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precisato, in cui affrancarsi dalla triste situazione contin-gente, costituisce la progressione temporale della vicenda,che all’inizio si ripiega su se stessa, con andamento circolare,nel passaggio del testimone dai genitori ai figli (da Fernandoa Fernando figlio, da Carmina a Carmina figlia), per poi svi-lupparsi lungo la tangente, infrangendo la circolarità annun-ciata nell’esordio, e proiettarsi oltre il sipario calato alla finedella rappresentazione. Questo prolungamento ideale, o me-glio auspicabile, evoca la prospettiva di una soluzione possi-bile, rimpallata come stimolo agli spettatori, i futuri e po-tenziali Fernando e Carmina di domani, capaci di infrangerequella specie di maleficio (intimo ma al contempo esterno,tanto interiore e individuale quanto sociale e collettivo), cheinchioda i figli nello stesso quartiere popolare, nella stessacasa popolare, nella stessa scala fatiscente dei nonni e dei ge-nitori e che per il momento (il momento scenico della finedel terzo atto) resta anche la loro scala, senza che questodebba rappresentare necessariamente una condanna. Glistessi Fernando figlio e Carmina figlia infatti possono ancoracompiere lo scarto necessario per svincolarsi da questa realtà-prigione in cui la società li ha costretti, così come lo spetta-tore, cui viene delegata la scelta, quella Scelta con la s maiu-scola che ogni individuo, per quanto semplice, per quantoall’apparenza individuo comune tra altri individui comuni hail diritto (ma anche il dovere) etico di compiere. Per le duecoppie di genitori, Fernado-Elvira e Carmina-Urbano, l’au-tore ha preparato un finale chiuso, che esplode e si compienella lite durante la quale i quattro finalmente si affrontano,rinfacciandosi colpe, imputandosi responsabilità, rovescian-dosi addosso rancori covati per una vita. Nel caso del se-condo finale, però, quello dei figli ma anche quello per e delpubblico, la vicenda resta aperta ed è affidata all’azione, allascelta individuale, per quanto per i due giovani il ripetersidelle stesse battute pronunciate dai genitori vent’anni primasi annunci come il presagio di un epilogo ugualmente tristee illusorio. Tuttavia, è chiaro che il fallimento di Fernando eCarmina è da imputare anche (forse specie?) alle loro debo-

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fine (ma abbiamo in realtà un doppio finale: quello chiusodella storia dei genitori e quello potenzialmente aperto dellastoria dei figli). Il linguaggio popolare impiegato dall’autorericerca un effetto mimetico del tutto riuscito e conferisce cre-dibilità ai personaggi, dalla forte carica umana. La dimen-sione temporale si presenta apparentemente chiusa, per lacircolarità degli eventi, ma si prolunga in realtà oltre la rap-presentazione; così come accade per la dimensione spaziale,che trascende l’angusta ambientazione nelle poche rampe discale del condominio, per proiettarsi idealmente oltre leporte degli appartamenti affacciati sul pianerottolo e fuoridal palazzo, in strada, in una città presagita al di là di un in-visibile – ma verosimile – portone d’ingresso, ed espandersiin un mondo scenico che affiora a tratti dalle parole dei per-sonaggi, ma anche in un mondo più concreto e sempre at-tuale: quello di ogni spettatore, in ogni tempo e luogo.

Già solo da questi brevi accenni emerge quanto sia soloapparente la chiusura di tre elementi fondamentali dellapieza: la trama, con un doppio finale, che nel caso della vi-cenda dei figli resta aperto e si apre sulla realtà del pubblico;lo spazio, quello della scala, all’apparenza persino più co-strittivo di un’ambientazione d’interno, ma che si apre a unesterno scenico solo percepito e a un esterno reale, quello delpubblico; il tempo, in apparenza involuto, ma che si proiettain modo atemporale in una dimensione cronologica aperta,coincidente ancora una volta con quella degli spettatori.

Ambientazione realistica, dunque, venata di malinconia,su e giù per i gradini di una scala, dove le varie famiglie diinquilini, oppresse dalle difficoltà economiche, sfogano leloro tensioni con veloci pennellate di una quotidianità fattadi stenti, ristrettezze, sotterfugi o piccole menzogne cui nes-suno crede; dove l’illusione di ascesa sociale è frustrata e pas-sata intatta ai figli, che il pubblico vede intenti a sognare epianificare la stessa traiettoria di emancipazione dalla po-vertà, da un mondo che ne soffoca le potenzialità e impedisceloro di crescere, anche solo di acquisire il diritto a un’esi-stenza un po’ meno misera. La prospettiva di un futuro im-

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dimensione cronologica che in fondo è acronica, come con-ferma la sua dilatazione al di là dei limiti testuali e attanzialidell’opera. Lo sviluppo oltre l’epilogo, infatti, è tutto in po-tenza e sarà determinato delle scelte future di Fernando fi-glio e Carmina figlia, di cui non vediamo né vedremo l’esito– felice o fallimentare –. Questa situazione di attesa, l’attesadi uno scarto, di una presa di posizione, non è esclusiva dellacoppia di giovani intenti a ripetere, come l’eco di un olo-gramma del passato fallito dei genitori – intatto per loro nelsuo potenziale di concretizzazione –, intenti a ripetere unascena, gesti, parole, già visti una generazione prima, ma èanche la presa di posizione che si protende oltre i limiti tem-porali dell’allestimento teatrale, è la presa di posizione diogni spettatore e in ultima istanza di ogni individuo, di ognifruitore del testo in ogni tempo e in ogni dove. Questo fa delmessaggio del dramma una verità atemporale, costruita conuno sviluppo a cannocchiale che trascende gli stessi limitidella scena, del testo, della performance o della lettura, perpenetrare nell’intimo di ogni individuo e da lì riemergere conrinnovato impulso per ricadere sulla realtà. Una realtàsempre diversa: la specifica realtà di ogni singolo lettore/spet-tatore del dramma, che ne farà il fulcro per attivare la levadella propria spinta volitiva a cambiare la società e la storia.

Ciò vale anche per lo spazio, funzionale alla costruzionedrammatica e al consolidamento del messaggio: una scala dicondominio, dunque un luogo all’apparenza delimitato, dallaringhiera, dal corrimano, dalle pareti, che non lascia intrave-dere neppure un interno, solo intuibile dietro alle porte degliappartamenti. Quasi un contenitore sigillato; almeno questoè quanto a prima vista si potrebbe credere. In realtà questospazio si presenta più come una “corsia” che come unagabbia. È uno spazio chiuso ma al contempo aperto, al mo-vimento, per salire e scendere, entrare e uscire, dal palazzo,in strada, nelle abitazioni. Uno spazio e un movimento che sifermano all’apparenza al quinto piano. Perché questo luogoscenico in realtà è una “via di scorrimento”, un percorso trac-ciato che costituisce un invito per i personaggi, solo all’ap-

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lezze, alla loro inadeguatezza e non può essere comodamentescaricato sulle circostanze avverse. Così, anche questa tra-gedia bueriana si conclude con una speranza: l’esito dellastoria – il fallimento realizzato – dei padri e l’esito della storia– il fallimento profilato ma non concretizzato – dei figli nonè necessariamente l’esito di ogni Fernando e di ogni Carminache, seduti tra il pubblico fatto di tanti Fernando e Carminaquanti sono i presenti alla rappresentazione – a ogni rappre-sentazione –, affollano la sala. È questo l’esito affatto scon-tato, né stabilito. Quella di Buero non è una tragedia nellaquale un deus ex machina dall’alto muove i fili di noi poveremarionette, in balia del Fato e del capriccio di un’entità su-periore; no, la tragedia di Buero è un appello, un monito se-vero e sentito, che sprona a prendere coscienza della capa-cità, del diritto-dovere all’autodeterminazione di ogni indi-viduo.

Anche il fattore tempo si rivela centrale in questa pro-spettiva e contribuisce in modo strategico alla messa a puntodel messaggio dell’opera. Si tratta di un tempo che scorre,rievocazione di tempi passati nel primo e nel secondo atto,mentre nel terzo «es ya nuestra época»34. Una contempora-neità ideale, iterata indefinitamente in ogni momento futuro:sarà sempre nuestra época per qualunque spettatore, perchéquesta attualità, questo collocare la vicenda in una dimen-sione temporale “nostra”, che deve essere percepita e vissutacome “nostra”, per facilitare l’identificazione spettatore-per-sonaggio, questa contemporaneità concretizza una costanteriattualizzazione simbolica. Così, ancora una volta, come ac-cade spesso nel teatro dell’autore, il realismo si fa simbolo,contrassegno di un messaggio che non si esaurisce, né perdeforza ma si riafferma costantemente nella sua universalità,nella sua atemporalità35. Un tempo atemporale, dunque, una

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34 A. Buero Vallejo, Historia de una escalera, cit., p. 97.35 Cfr. almeno Virtudes Serrano, Mariano de Paco, Antonio Buero Vallejo:

La realidad iluminada, Toledo, Fundación de Cultura y Deporte de Castilla-LaMancha, 2000.

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Già, i personaggi: da un lato troviamo gli attivi, la cui con-dotta è condizionata da questo loro peculiare atteggiamento,che si traduce in azioni senza scrupoli; dall’altro lato al con-trario stanno i contemplativi, che vivono di sogni e di utopie,cioè non vivono o non hanno alcuna incidenza concreta sulreale, sulle vicende che li vedono coinvolti, sulla loro stessaesistenza. La questione però va precisata, perché il vero pro-blema (cioè il cortocircuito etico) è costituito dalla perver-sione di due atteggiamenti antitetici non necessariamente ne-gativi a priori: l’individualismo (Buero si definisce un soli-tario solidario, non dimentichiamolo) diventa negativo se losi perverte in egoismo, in egocentrismo, in egolatria, a sca-pito degli altri, usati come fossero gradini per ascendere al“culto smisurato dell’io”; l’altruismo diventa negativo se losi perverte rendendolo inefficace, disattivandolo, per debo-lezza, per codardia, per insicurezza, riducendolo a unoslancio verso l’altro che in realtà non aiuta nessuno e restasolo ideale. In entrambi i casi, individualismo e altruismosono snaturati ed è questo meccanismo perversamente ne-gativo ad annullare ogni possibile positività. In Historia deuna escalera, Urbano – altruista “inefficace” – non conosceràuna sorte migliore di Fernando – vacuo sognatore –. L’essereattivo di Urbano non lo salva dalla sconfitta: in lui atteggia-mento attivo e altruista si fondono, ma il suo attivismo e ilsuo altruismo sono inconcludenti, si esauriscono nella stessaspinta con la quale si manifestano, senza concretizzarsi, rive-landosi dunque inservibili e questo porta il personaggio alfallimento, tanto quanto l’atteggiamento contemplativo eugualmente inconcludente annienterà ogni ipotetico poten-ziale di Fernando. Ma è forse la coppia femminile Elvira-Carmina e incarnare meglio l’opposizione personaggio at-tivo/passivo: Elvira è attiva, nel senso che agisce, è egoista,egocentrica, interessata, prevaricatrice, disposta a comprareFernando, come accadrà, e questo inevitabilmente condurràal fallimento la coppia, formatasi sulla menzogna, non su unabase di verità, ma per motivazioni perverse (Fernando si la-scia comprare, per interesse/avidità o meglio per necessità;

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parenza circoscritto. Al contrario, esso è simbolo di un’a-pertura verso il mondo, verso l’altro, verso una società checostringe e per questo va cambiata. Uno spazio che non restaall’interno di quattro mura ma lascia aperta una via d’uscita,ammesso che la si voglia cercare, vedere e tentare. Anche l’e-lemento spaziale, allora, come l’elemento temporale (l’altracoordinata della rappresentazione, ma anche del testo), evocauna dimensione aperta, non chiusa. Una dimensione che co-stringe, certo, e si definisce in negativo proprio attraversoquesta connotazione costrittiva, ma che in ultima analisi è ri-flesso delle paure e dei timori, delle titubanze dei personaggi,metafora dell’individuo che si auto-limita: Fernando sogna-tore ma pavido e isterilito dalle sue stesse titubanze, bloccatodai suoi timori; Urbano pragmatico, concreto, lavoratore, at-tivo, ma che esaurisce la sua spinta volitiva nella manifesta-zione di entusiasmo.

Luogo e spazio dunque sono chiusi solo all’apparenza,perché il dramma offre uno sviluppo temporale e spazialeaperto, che si dilata al di là della scena. A ben vedere, la chiu-sura – e di conseguenza la sconfitta – è determinata dall’indi-viduo che si condanna da sé, per le sue insicurezze, per l’inca-pacità di mettersi in gioco e agire in modo efficace e positivo;perché sulla scena la dinamica dei rapporti interpersonalisfocia sistematicamente in un esito negativo, proprio a causadelle debolezze che bloccano l’azione dei personaggi o piut-tosto la pervertono. Ad esempio, nel confronto tra concezioneindividualista esasperata (egoismo) e totale disponibilità versogli altri (altruismo), la prospettiva dell’individualismo è con-notata dai sottotemi della violenza, dell’oppressione, della fal-sità, della menzogna, mentre l’altruismo si profila col ricorsoad altri sottotemi, di segno opposto, come la solidarietà, la li-bertà, l’autenticità, la verità. In base a questa dicotomia i per-sonaggi bueriani sono stati divisi tra attivi e contemplativi36.

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36 Cfr. R. Doménech, El teatro de Buero Vallejo. Una meditación española,cit., pp. 79-81.

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Cronologia di Antonio Buero Vallejo(1916-2000)

1916, nasce a Guadalajara, il 29 di Settembre;1926-33, studi a Guadalajara e Larache – Marocco – (bachillerato); 1934-36, studi a Madrid (Escuela de Bellas Artes de San Fernando);1937-39, milita nelle fila dell’esercito repubblicano;1939, arrestato, internato nel campo di concentramento di Soneja

(Castellón) e condannato a morte per «adhesión a la rebelión»;1940, la condanna a morte è commutata in trent’anni di carcere;1946, esce dal carcere in libertà condizionata; esiliato da Madrid,

si stabilisce a Carabanchel Bajo; prima versione di En la ar-diente oscuridad;

1947-48, scrive Historia de una escalera (inizialmente intitolata Laescalera);

1949, Historia de una escalera, Premio Lope de Vega dell’Ayunta-miento di Madrid; Las palabras en la arena, atto unico (che nel’48 aveva ottenuto il premio del primo concorso della tertuliadel Café Lisboa di Madrid); scrive El terror inmóvil (mai rap-presentata; nel ’54 ne pubblica un atto) e Aventura en lo gris(versione definitiva nel ’63);

1950, En la ardiente oscuridad (scritta nel ’46);1952, La tejedora de sueños (scritta nel ’49-50); La señal que se

espera;1953, Casi un cuento de hadas (scritta nel ’52); Madrugada;1954, Irene o el tesoro; divieto di mettere in scena Aventura en lo

gris, poi pubblicata sulla rivista Teatro;1956, Hoy es fiesta (scritta nel ’54-55), Premio Nacional de Teatro,

Premio María Rolland, Premio de Teatro della Fundación JuanMarch (’59); scrive Una extraña armonía, mai allestita e pub-blicata solo nel ’94 nell’Obra completa;

1957, Las cartas boca abajo (scritta nel ’56-57), Premio Nacional deTeatro; adattamento cinematografico di Madrugada;

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Elvira sfrutta questo interesse/avidità – o necessità – per rag-giungere il suo scopo). In un certo senso Elvira sembra uscirevincente dalla vicenda, ma la catastrofe inesorabilmente l’at-tende, attende lei e la sua unione che non può portare allafelicità, perché basata su meccanismi negativi. Dal canto suoCarmina è passiva, cioè sognatrice, remissiva, utopista (dàcredito ai progetti di Fernando), contemplativa, dunque nonagisce, né prova a concretizzare il suo amore sincero, ma fi-nisce per essere la vittima di Elvira-attiva e di Fernando-con-templativo e, come lui, si fa trascinare nella scia di unUrbano-attivo, ma solo in potenza a causa della sua ineffi-cacia, anche lei potremmo dire per interesse – o meglio ne-cessità –, perché spinta come Fernando dalle ristrettezze eco-nomiche ad accettare un amore che non ricambia.

I sospetti si rivelano fondati, allora: non vi è chiusura inquesto dramma rivoluzionario. Lo spazio è chiuso solo in ap-parenza, ma ha in sé un’apertura potenziale che dalla scenasi proietta sul pubblico e sulla società. Il tempo, allo stessomodo, è chiuso solo in apparenza, ma si prolunga indefini-tamente nella dimensione temporale di ogni spettatore.Spazio e tempo dunque si rivelano aperti, potenzialmenteaperti, nell’affermazione di un messaggio sempre valido inogni luogo e in ogni epoca, un messaggio che nel suo rea-lismo simbolico trascende l’ambientazione contingente, perfarsi universale. La vera chiusura, il vero limite che porta alfallimento è dentro di noi; sono le paure, le incertezze, lamancanza di coraggio e di auto-determinazione dell’indi-viduo, di ogni singolo individuo che è parte integrante dellacollettività, della società. Concetto chiave, questo, delladrammaturgia bueriana, metaforizzato attraverso il realismosimbolico e la connotazione dei personaggi, che scendono esalgono, nel corso di questa Storia di una scala.

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1976, prima e pubblicazione in Spagna de La doble historia deldoctor Valmy, scritta nel ’64; Premio Leopoldo Cano, PremioEl Espectador y la Crítica, Premio Radio España, PremioMaratón de Radio Popular;

1976, riceve il Premio Viareggio per il Teatro;1977, La detonación (scritta nel ’75-77), Premio El Espectador y la

Crítica;1979, Jueces en la noche (scritta nel ’78-79); pubblica nei

«Cuadernos de la Cátedra de Teatro de a Universidad deMurcia» El terror inmóvil (scritta nel ’49), rimasta inedita pertrent’anni;

1980, Premio Nacional de Teatro per la sua opera complessiva;1981, Caimán (scritta nell’80); Premio El Espectador y la Crítica,

Premio Long Play;1982, prima dell’adattamento El pato silvestre, di Ibsen;1984, Diálogo secreto (scritta nell’83); Premio El Espectador y la

Crítica, Premio Long Play, Premio Ercilla;1986, Premio de Literatura en Lengua Castellana Miguel de

Cervantes; Premio Pablo Iglesias; Premio El Espectador y laCrítica; Lázaro en el laberinto;

1988, adattamento cinematografico di Un soñador para un pueblo(col titolo Esquilache), per la regia di Josefina Molina;

1989, Música cercana (scritta nell’88-89);1994, Las trampas de azar (scritta nel ’91-92); pubblicazione

dell’Obra completa per i tipi della casa editrice Espasa Calpe;1996, Premio Nacional de las Letras Españolas, come riconosci-

mento alla sua carriera artistica, che copre la seconda metà delXX secolo;

1999, Premio de Honor de los Max de las Artes Escénicas; Misiónal pueblo desierto (scritta nel ’98);

2000, si spegne a Madrid, il 29 Aprile, all’età di 83 anni.

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1958, Un soñador para un pueblo, Premio Nacional de Teatro,Premio María Rolland; Premio de la Crítica di Barcellona (’59);

1960, Las Meninas (scritta nel ’59-60), Premio María Rolland; po-lemica “posibilismo-imposibilismo” con Alfonso Sastre sullepagine della rivista Primer Acto;

1961, prima dell’adattamento Hamlet, príncipe de Dinamarca diShakespeare;

1962, El concierto de San Ovidio, Premio Larra, Premio de laCrítica di Barcellona;

1963, prima della versione definitiva di Aventura en lo gris; assiemead altri intellettuali e artisti scrive una lettera al Ministro deInformación y Turismo, per chiedere chiarimenti sul trattamentoriservato dalla polizia ad alcuni minatori asturiani; viene pub-blicata la lettera con la risposta del Ministro, ma la successiva ri-sposta dei firmatari della petizione verrà divulgata solo all’estero.Nessuna ritorsione ufficiale, ma condanna al silenzio presso lastampa e “distrazione” di impresari e editori, nei confronti deifirmatari (Buero non allestirà altre prime fino al ’67; scrive Ladoble historia del doctor Valmy nel ’64, pubblicata negli USA conversione inglese nel ’67 e rappresentata solo nel ’76);

1966, prima dell’adattamento Madre coraje y sus hijos di Brecht;trascorre due mesi negli USA, durante i quali dà alcune confe-renze;

1967, El tragaluz (scritta nel ’66), in cartellone fino al 16 Giugno’68; Premio El Espectador y la Crítica, Premio Leopoldo Cano;scrive Mito, libretto operistico, la musica non verrà mai com-posta e l’opera resterà incompiuta;

1968, prima assoluta in Inghilterra della versione inglese de Ladoble historia del doctor Valmy; pubblicazione sulla rivistaPrimer Acto di Mito, libretto per opera su don Quijote mai al-lestita;

1970, El sueño de la razón (scritta nel ’69), Premio El Espectadory la Crítica, Premio Leopoldo Cano;

1971, eletto membro della Real Academia Española; La llegada delos dioses, Premio Leopoldo Cano;

1972, legge il discorso di ingresso alla Real Academia Española, su«García Lorca ante el esperpento»;

1974, La Fundación (scritta nel ’72-73), Premio Leopoldo Cano,Premio Mayte, Premio El Espectador y la Crítica, Premio LongPlay, Premio Le Carrousel, Premio Foro Teatral;

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