SINTI e ROM - Origini, storia e cultura di un popolo sconosciuto

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Sintesi di storia, cultura, tradizioni , pregiudizi e persecuzioni del popolo rom-sinti

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Laura Calciolari

SINTI e ROM

Origini, storia e cultura di un popolo sconosciuto

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Copyright Laura Calciolari

Laura Calciolari

SINTI e ROM

Origini, storia e cultura di un popolo sconosciuto

Testo di documentazione per il progetto

“Gestione dei Conflitti e cittadinanza attiva”

realizzato presso ISIS Marco Polo e Carlo Cattaneo

Cecina (LI)

Anno scolastico 2008 - 2009

Progetto realizzato con il sostegno dell’Autorità Regionale per la Partecipazione

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Indice

Origini etniche 7

Sinti e Rom nel XX secolo 8

Lingua 12

Cultura 13

Musica e danza 14

Famiglia e società 15

Religione 18

I molti nomi degli “zingari” 19

Rom e Sinti in Italia 20

Bibliografia 22

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Origini etniche

Le origini dei popoli Sinti e Rom sono

antichissime. E’ ormai dimostrato che esistono molti elementi comuni con la

cultura, la civiltà e le lingue dravidiche,

cioè di quelle popolazioni che, arrivate in India prima del 3500 a.C., si stabilirono

nelle regioni del Deccan e del Punjab e fondarono la città di Harappa1 insieme a

quella civiltà urbana di circa mille anni precedente l'invasione degli arii2. Nella

cultura dei Rom e dei Sinti si incrociano molti influssi, a cominciare dalla cultura

dei Veda.3

I progenitori degli attuali Rom, Sinti, Ka-

lé, Manouche e Romnichals, i vari gruppi

etnico-identitari in cui si suddividono le comunità nomadi, provengono dall’India.

Discendono da un’antichissima popola-zione di origine indo-ariana, i domba (da

cui dom, la cui pronuncia palatale ha prodotto il termine Rom).

1 Hara è uno dei nomi del dio Siva 2 Popolo di lingua e provenienza indo-iranica (an-

tica Mesopotamia) 3 Testi religiosi degli arii immigrati in India.

La loro migrazione inizia intorno all’anno

mille quando tra il 1001 e il 1027 il nord della penisola indiana viene attaccato dal

conquistatore musulmano Mahmud Al

Gazni (969 ca.-1030) che mette a ferro e fuoco città e villaggi, costringendo intere

comunità alla fuga e tra queste ci sono i Rom. Fino a quel momento i Rom si spo-

stano unicamente per cercare nuovi mercati visto che sono ammaestratori di

cavalli, musicisti, giocolieri, saltimbanchi e allevatori.

Dal nome di questo violento conquista-

tore, Gazni, deriva il termine "Gagi" (o Gagè) col quale i Rom definiscono tutti

coloro che non appartengono alla loro comunità

Una volta giunta a Bisanzio, la gente delle carovane è confusa con la setta e-

retica degli athsingani e per questo e-marginata e costretta alla fuga. I Rom e

gli athsingani, detti «intoccabili», hanno

infatti in comune la prassi di evitare il contatto con i membri delle altre comu-

nità, ma è la comune conoscenza delle arti divinatorie che crea la sovrapposi-

zione. Il che, se può sembrare poco im-portante, ha un valore storico fonda-

mentale. Dalla parola athsingano derive-rà la parola «zingaro» che nel corso dei

secoli diventa emblema di discriminazio-

ne. Tanto che la comunità romani la ri-fiuta per autodefinirsi, preferendo il ter-

mine rom che vuol dire «uomo». Così dopo la svolta del Mille, le strade

d'Europa si trovarono percorse da genti varie, mercanti e pellegrini, vagabondi e

soldati, e sulle sponde del Mediterraneo orientale appare anche un popolo mai

visto prima in Europa.

Parlavano una lingua mai udita e prati-cavano la divinazione, leggendo la mano

e predicendo il futuro. Ma forse ciò che più inquietava era la loro abilità nel lavo-

rare i metalli. Storicamente i fabbri e i calderai sono sempre stati considerati

reietti o maghi, temuti o segregati, ma

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Origini, storia e cultura di un popolo sconosciuto

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questi migranti vivevano ai margini della

società, sempre sul piede di partenza con i loro carri e le loro tende, e non si

fermavano mai a lungo nello stesso po-

sto. Il loro arrivo in Europa è documentato

intorno al 1417, e un decennio più tardi, nel 1427, sono segnalati a Parigi degli

zingari guidati da capi che si facevano chiamare duchi e voivodi. Infatti, per es-

sere ben accolti, dicevano di essere dei pellegrini provenienti dal piccolo Egitto

(regione del Peloponneso) e da qui si ri-

tiene abbia origine il nome di gitani (tra-sformazione di «egiziani») a loro attri-

buito in seguito all’equivoco sorto circa la provenienza.

Agli inizi del XV secolo gruppi di zingari arrivarono, come testimoniano le crona-

che del tempo, nell'Europa dell'Est. Nacquero allora tra le popolazioni locali

molte leggende sulla provenienza di

questi nomadi, alla cui creazione contri-buirono le loro caratteristiche somati-

che: capelli molto scuri e pelle olivastra, la pratica della decorazione della pelle e

dei tatuaggi, il modo di abbigliarsi e di ornarsi.

L'arrivo in Italia è attestato all'inizio del

XV secolo. Il percorso che le carovane compiono per giungere nella nostra Pe-

nisola è lungo e complesso. Dalla Grecia passano attraverso i territori della Ex

Jugoslavia e tramite il Friuli scendono nel nostro Paese. Qui trovano un poten-

te protettore: il pontefice Martino V che rilascia loro un importante salvacondotto

in cui sono dichiarati pellegrini penitenti

alla ricerca di protezione. Presto percorrono tutta l’Europa, prima

Francia e Italia, poi Spagna e Inghilter-

ra, in seguito i Balcani (dove vennero ri-

dotti in schiavitù) e tanti altri paesi, po-polando anche le Americhe.

Vlad III Tepes, principe di Valacchia (1431-1476)

Al momento del loro ingresso in Europa, i Rom vengono accolti con grande stupo-

re, ma tale slancio lascia ben presto il posto al timore, e il rifiuto si trasforma

in persecuzione.

Ad acuire l'odio verso i Rom, quantome-no in Italia, fu senza dubbio la Chiesa

Cattolica con la sola eccezione di papa Martino V (Ottone Colonna, papa dal

1417 e fino alla morte nel 1431). Tra il 1483 e il 1785, il 37,6% dei bandi

contro la comunità romani è ad opera del papato. Primato che non trova eguali

in nessuno degli Stati europei.4

Nel mirino degli stanziali sono innanzi-tutto le attività che i Rom svolgono.

L'indubbia capacità di lavorare metalli, produrre utensili e creare gioielli è av-

versata da commercianti e artigiani. Da questo momento gli Stati europei

adottano formule repressive per argina-re il radicamento dei “figli del vento”,

costringendoli a muovere continuamente

verso nuove mete. La Santa Inquisizione costringe al rogo centinaia di donne rom

accusate di stregoneria e contatti col demonio, mentre gli uomini finiscono sul

4 Questo atteggiamento con il tempo si mitigherà e

La Chiesa Cattolica ‘riconoscerà’ il popolo degli

‘zingari’ ad opera di Giovanni Paolo II in occasio-

ne delle celebrazioni per il Giubileo dell’anno

2000.

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patibolo per la loro abilità nella lavora-

zione dei metalli, anch'essa emanazione della potenza diabolica.

Tra i capi d'accusa rivolti ai Rom-Sinti, che sono stati all'origine della loro cac-

ciata da quasi tutti gli stati europei, ci fu perfino quello di antropofagia. Ma già

prima, nel 1482, in Ungheria, l'accusa di cannibalismo costò la vita a 200 Rom-

Sinti. A partire dal primo provvedimento

emanato in Spagna nel 1492 che con-dannava all'esilio mori, ebrei e Rom-

Sinti, cominciò lo stillicidio di leggi e de-creti dei sovrani europei impegnati a

cacciarli dai propri territori con la minac-cia di tremende punizioni: tratto di cor-

da, fustigazione, perforazione delle nari-ci, amputazione delle orecchie, marchio

a fuoco, galera e impiccagione.

L'unico paese che si dimostrò abbastan-za clemente con la popolazione Rom e

Sinta fu la Russia, dove, a metà del Set-tecento, essi divennero oggetto di curio-

sità come lo erano stati al loro arrivo nel resto d'Europa quattro secoli prima.

Le cose cominciarono a cambiare solo a partire dalla seconda metà del XVIII se-

colo, quando il dispotismo illuminato di

alcuni sovrani europei ebbe l'ambizione di mettere fine a secoli di persecuzioni.

Ma con l'intento di assimilare completa-

mente i Rom-Sinti e di farne cittadini

come tutti gli altri, li spogliava di tutte le loro tradizioni, cioè senza espulsione né

genocidio, tendeva ad annullarli come

popolo (politica dell’inclusione). I provvedimenti dell'imperatrice Maria

Teresa d'Austria5, di Federico II di Prus-sia e dell'imperatrice Caterina II di Rus-

sia, mirarono ad assimilarli alla popola-zione locale con mezzi coercitivi, anche

se dettati da idee filantropiche e illumi-nate: la forzata sedentarizzazione, l'ab-

bandono dei loro usi, costumi, linguag-

gio e persino del loro nome, per cancel-lare per sempre la loro entità etnica ed

eliminare qualsiasi elemento di distinzio-ne dal resto della popolazione.

Rom valacchi di fine ‘800

Nel caso dell'Austria, l'imperatrice Maria

Teresa e suo figlio Giuseppe II decisero di “realizzare la felicità” dei Rom-Sinti,

loro malgrado. In Ungheria e in Transil-vania, dove vivevano da secoli secondo

le loro usanze, dovettero perdere persi-no il loro nome, chiamandosi non più

Rom ma nuovi coloni o nuovi Magiari.

5 Regnante dal 1740 al 1780

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Divenuti obbligatoriamente sedentari,

erano obbligati ad abbandonare il roma-nes, esprimendosi solo in ungherese o

tedesco; dovevano abitare in case, eser-

citare mestieri senza mai mendicare, frequentare le chiese e vestirsi come la

gente del paese. I figli sarebbero stati allontanati dai genitori per essere educa-

ti lontano dalla famiglia. In cambio il go-verno distribuiva case, bestiame e at-

trezzi agricoli. Inutile dire che l’iniziativa fallì. Essi non poterono reggere questo

tipo di vita e alla fine si rifugiarono in

montagna, dove si diedero al brigantag-gio, mentre i bambini scappavano per

raggiungere i loro genitori. Il governo fu costretto a tornare un po' alla volta a

una politica più liberale. Con la liberazione di tutti gli schiavi

Rom-Sinti della Romania, avvenuta tra il 1848 e 1856, iniziò una grande emigra-

zione verso la Russia, la Bulgaria, la

Serbia, l'Ungheria, l'Europa centro-occi-dentale, e anche verso le terre d'oltre-

mare. Già nella prima metà dell'Ottocen-to aveva avuto inizio una grande migra-

zione di Rom-Sinti verso gli Stati Uniti, il Messico e l’America latina -in particolare

Brasile e Argentina- che andarono ad af-fiancarsi agli altri Rom-Sinti deportati

dall'Europa quali indesiderabili a partire

dal primo decennio del 1800.

Sinti e Rom nel XX secolo

Alle soglie del XX secolo, nonostante e-spulsioni, messe al bando e deportazio-

ni, li troviamo ancora portatori di un modo di vita proprio, di una lingua pro-

pria, di una fiera dignità e profondamen-te ‘pacifici’.

Il rifiuto della guerra come istituzione e

il desiderio insopprimibile di mantenere la propria identità e il proprio modo di

vivere, inducono i Sinti-Rom a continua-re a migrare, a piegarsi in mille modi -

mai violenti - pur di sopravvivere. Il fenomeno delle migrazioni interconti-

nentali, che interessò specialmente i Rom di origine balcanica, ebbe punte e-

levate nella seconda metà dell'Ottocento

con l'emancipazione degli schiavi rume-ni, poi all’inizio del 1900 dopo la prima

guerra mondiale (in seguito allo sfacelo dell'impero austro-ungarico) e in seguito

durante la seconda guerra mondiale, per

sfuggire alle persecuzioni naziste. Da sfatare è il mito che siano apolidi.

Sono moltissimi i Sinti-Rom italiani per

nascita o nazionalizzazione e che, come tali, hanno combattuto nell’esercito ita-

liano durante le due guerre mondiali e prestato il servizio militare di leva.

In tutta Europa, durante la seconda guerra mondiale, un gran numero di Sin-

ti e Rom ha combattuto in Francia, Ger-mania, Inghilterra, Belgio, Olanda e Au-

stria, come soldati e come partigiani.

Il nazismo riservò ai Rom-Sinti lo stesso trattamento riservato agli Ebrei. Essi fu-

rono deportati in campi di concentra-mento o massacrati nei paesi occupati

(politica dell’esclusione). Sebbene ariani puri, secondo l’aberrante logica nazista,

si erano imbastarditi con sangue di razze inferiori, come quella slava; il verdetto

finale del Centro di Ricerca sulla Eredita-

rietà di Berlino fu di ‘irrecuperabilità’.

Provenienza dei Sinti e Rom uccisi nei campi di

concentramento. (da: Stichwort Sinti und Roma)

Dopo lo scoppio della guerra molti Sinti-Rom, sia tedeschi che europei, furono

deportati nei ghetti polacchi e moltissimi

furono costretti a lavorare gratuitamen-te, e in condizioni oltremodo difficili, per

le grandi imprese che si erano alleate con le SS nello sfruttamento dell’immen-

so materiale umano disponibile. Il 16 dicembre 1942 iniziò la fase finale

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del genocidio quando gli zingari europei

vennero concentrati ad Auschwitz-Birkenau. Lo sterminio dei Sinti-Rom do-

cumentati in 261.000 con nomi e co-

gnomi, ma stimati almeno il doppio, ini-ziò in modo massiccio a partire dal feb-

braio 1943 per concludersi nell’agosto dell’anno seguente realizzando il barò

porrajmos (in lingua sinta: grande di-voramento).

Con la fine della seconda guerra mondia-le i Rom-Sinti si rimettono in movimen-

to. Nel dopoguerra Rom Kalderàsha, Lo-

vara e Curara si sono spostati dalla Ex Jugoslavia, dall’Ungheria e dalla Turchia

verso l’Europa occidentale, mentre altri sono affluiti dalla Carelia verso la Finlan-

dia. A partire dagli anni ’50 le Nazioni ospi-

tanti hanno cercato di inquadrarli e di inserirli in programmi di integrazione so-

ciale, culturale e lavorativa, ma senza

l’esito sperato. I millenari pregiudizi nei confronti degli zingari e l’identità Sinti-

Rom, caratterizzata dal forte desiderio di libertà e indipendenza, li spinse inizial-

mente a non accettare la sottomissione alle regole dei Gagi che loro reputano

controllabili, ricattabili, costretti a lavo-rare non per vivere ma, dal punto di vi-

sta dei Rom-Sinti, per arricchire ricchi e

potenti. Questa particolare visione della società è

andata di pari passo con il rifiuto della loro presenza sul territorio, come l’azio-

ne del mitico oroborus6, dato che dove c’è stata accettazione e apertura essi

sono diventati in larga misura ‘stanziali’ e si sono integrati nel tessuto lavorativo

e sociale.

In Italia dopo la seconda guerra mondia-le ai sopravvissuti al porrajmos si pre-

sentò, fino a metà degli anni sessanta, l’ultimo periodo di relativa prosperità.

L’industrializzazione e la progressione del consumismo, inteso come usa e get-

ta, sottrasse rapidamente ai Sinti-Rom la loro principale fonte di sostentamento

derivata dalla lavorazione e riparazione

di attrezzi e utensili che si potevano tro-vare con facilità e costavano meno della

riparazione di quelli vecchi. Altri due fattori hanno contribuito alla

sottrazione di aree economiche alle tra-

6 Il serpente che si morde la coda.

dizionali attività dei Sinti in Italia: il

nuovo Codice Tributario entrato in vigore il 1° gennaio 1973 e il diverso modo di

vivere e organizzare il divertimento.

Da una parte l’entrata in vigore del Co-dice Tributario impose modulistica e re-

gole che essi non furono in grado di af-frontare perché analfabeti e dall’altra il

rapido declino dei luna-park, dei piccoli circhi e degli spettacoli itineranti, a van-

taggio dei parchi tematici di stile ameri-cano, li hanno portati alla marginalità

estrema.

Rom ungheresi (1935 circa)

Sempre a partire dal dopoguerra e fino

alla dissoluzione dell’URSS, i Sinti-Rom hanno vissuto in apparente eguaglianza

con le altre popolazioni residenti nei Pa-esi Balcanici e dell’Est Europa. Il modello

sociale, politico ed economico dell’ex Unione Sovietica, con la quasi totale as-

senza della proprietà privata e la garan-

zia dei livelli di sussistenza minimi per tutti, offriva loro un ombrello protettivo

e ugualizzante. Dopo il crollo del muro di Berlino nel

1989 e la conseguente ripresa dei mo-delli economici “occidentali” l’integrazio-

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ne dei Sinti-Rom in questi Paesi si è

progressivamente ridotta fino ad azze-rarsi, facendo riaffiorare con prepotenza

le disparità e il rifiuto nei loro confronti

che darà origine a un’altra grande onda-ta migratoria verso l’Europa Occidentale

e l’Italia. Studi e analisi sociologiche realizzate

negli anni ‘90 hanno evidenziato che i Rom-Sinti di questi Paesi sono quelli che

maggiormente hanno subito i contrac-colpi negativi dovuti al superamento del

modello sovietico, sia sotto profilo eco-

nomico-sociale che identitario. Infatti, nei Paesi d’influenza sovietica,

per accedere alle risorse economiche (sussidi) i Rom-Sinti dovettero in parte

rinunciare a molti dei loro usi e costumi (come era accaduto anche con l’ impera-

trice Maria Teresa) e spesso anche alla loro lingua, realizzando un progressivo

affievolimento della loro identità cultura-

le ed etnica. Attualmente i Rom e i Sinti italiani ed

europei si trovano nella posizione più difficile che abbiano mai vissuto dal loro

ingresso in Europa. Oltre ad essere da sempre mal tollerati, mal sopportati e

discriminati dai residenti nei Paesi ospi-tanti, ora sono di fatto costretti alla con-

vivenza forzata con i nuovi immigrati

“Rom”, anche violenti, dai quali si sen-tono minacciati e derisi per il loro stato

di indigenza. Nascono da queste situazioni le sempre

più frequenti richieste dei Sinti-Rom ita-liani di vivere in aree di proprietà, dove

sono riunite le famiglie allargate, i clan. Questa tipologia abitativa –acquisto e

residenza su terreni agricoli– però è an-

data in crisi con l’entrata in vigore del Testo Unico n.380/2001 e delle conse-

guenti leggi regionali che definiscono la roulotte un abuso edilizio.

La realtà dei Sinti-Rom non è una pecu-liarità italiana ma è di rilevanza comuni-

taria, tant’è vero che in questi ultimi an-ni l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa

e altre istituzioni internazionali sono in-

tervenute sulle problematiche vissute da Sinti e Rom, dando origine, ad esempio,

alla Raccomandazione 1557/2002 e la conseguente Risoluzione del Parlamento

Europeo del 28 aprile 2005, sulle Mino-ranze Etniche, che ad oggi non hanno

ancora trovato applicazione in Italia.

Lingua

E’ importante fare un accenno al loro

linguaggio, al loro modo di esprimersi,

prima di parlare della loro lingua. Il loro linguaggio non rivela mai note

aggressive e solo raramente è appassio-nato. Il loro è un discorrere simile ad

una lenta passeggiata che consente di osservare ciò che sta intorno, così sono

le loro risposte: nè categoriche, nè asso-lute, e anche quando sono completa-

mente d’accordo, pur annuendo con il

capo, le loro parole sono sempre som-messe, come i loro pareri, ed esprimono

possibilità diverse da quelle del loro pun-to di vista.

Parlano in prima persona, non generaliz-zano, parlano solo di ciò che conoscono

direttamente, non giudicano, non con-dannano, non criticano.

Non dicono “io al suo posto avrei fatto o

detto” perché loro non sono l’altro. Han-no un pensiero lineare che non esclude

nessuno, ma che è formato sull’espe-rienza personale diretta. Dicono che

nessuno può sapere qual è il ramo secco della foresta che uno ha dentro e quindi

ognuno può solo ascoltare e capire per cercare di non fare lo stesso errore

dell’altro, ma non si può giudicarlo.

Allo stesso modo il silenzio è giudicato una grande medicina, una sorta di oasi

rinfrancante. E’ quindi comprensibile che rom e sinti evitino con cura di far traspa-

rire il dolore, la paura e la contrarietà.

La lingua dei Sinti-Rom è costituita da

una molteplicità di dialetti affini tra loro ma allo stesso tempo molto diversi per

lessico, fonetica e morfologia.

L’affinità tra questa lingua e alcune lin-gue neoindiane fu dimostrata verso la

fine del 1700 da due studiosi tedeschi, Grellmann e Rüdiger, e dall’inglese J.

Briant. In epoca più recente l’inglese Bernard

Gilliat-Smith tentò una classificazione della lingua in due branche principali: i

dialetti vlax (gruppo danubiano-balcani-

co) e non-vlax. I primi influenzati dal rumeno soprattutto a livello lessicale

(kalderaš, lovara, curara ed altri), i se-condi, parlati dai Sinti, dai Rom italiani

(centro-meridionali), Manouches, Zingari finlandesi ed altri. Da queste due suddi-

visioni rimangono escluse le parlate kalè

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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dei Gitani e l’anglo-romani, che rappre-

sentano una sintesi tra la lingua in uso nei paesi ospitanti ed il substrato lessi-

cale romani.7

Tuttavia, gli studi degli ultimi vent’anni

hanno rilevato tali e tante difformità lin-

guistiche, non solo tra i Rom-Sinti euro-pei ma anche tra i vari gruppi italiani,

da far cadere in disuso la suddivisione tra vlax e non-vlax.

Il lessico che i Sinti-Rom acquisirono nel corso delle migrazioni dall’India verso

l’Europa in parte ha integrato e in parte sostituito il precedente. La lingua romani

si è arricchta di termini persiani, greci,

armeni e slavi. La diaspora più consi-stente, che ebbe come diretta conse-

guenza una rapida diversificazione dei dialetti, avvenne intorno al 1350 a parti-

re dalla regione balcanica.

Cortès, il più famoso danzatore di flamenco, è

stato rappresentante dei Sinti-Rom al Parlamento

Europeo nel 2006.

La lingua romani più di ogni altra costi-tuisce un sistema soggetto a continui e

incessanti mutamenti ed allo stato at-tuale riesce difficile pensare ad un pro-

7 Sergio Franzese “Grammatica Sinta” Edizioni O’

Vurdòn, 2002

cesso di riunificazione linguistica data

soprattutto la notevole diversità e le scarse relazioni esistenti tra i vari gruppi

che costituiscono il popolo Sinti-Rom.

La lingua zingara non fu solo oggetto di studio in passato, ma fu motivo di dure

persecuzioni, tra le quali vanno ricordate quelle avvenute in Spagna ai tempi di

Filippo IV, il quale riesumando un testo del 1566 che considerava questo idioma

come “mezzo di tradimento”, nel 1633 proibì ai Gitani di parlare la loro lingua.

La stessa proibizione fu decretata in Un-

gheria nel 1768 dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria.

Negli ultimi vent’anni la lingua sinta par-lata in Italia non ha subito alterazioni se

non quelle dovute ad una mancata tra-smissione alle giovani generazioni che

ha portato al conseguente impoverimen-to linguistico. Inoltre il progressivo ab-

bandono della lingua materna da parte

dei Sinti ha determinato un processo di “criptizzazione” della stessa, attualmen-

te considerata uno strumento di difesa e usata come tale: perciò non sorprende

la forte reticenza che hanno i Sinti italia-ni nel divulgarla agli estranei.

Va sottolineato che l’impoverimento del-la lingua romani, ad apparente vantag-

gio della lingua italiana, non è indice di

maggiore integrazione, bensì è il sinto-mo di un malessere e di una rassegna-

zione difficilmente arginabili, dovuti ad una profonda crisi di “identificazione et-

nica” che rende sempre più difficoltosi gli sforzi per la loro integrazione.

E certamente non gioverà alla loro inte-grazione il fatto che la legge per la tute-

la delle minoranze linguistiche (L.169 del

1998) approvata dopo tre diverse legi-slature, dove si è discusso di tale mate-

ria, abbia escluso la lingua Romani, che pure era citata nel testo originario.

Ad oggi la tutela è limitata a 12 lingue: friulano, sardo, albanese, germanico, ca-

talano, greco, sloveno, croato, francese, franco-provenzale, ladino, occitano.

Cultura

La situazione dei Sinti-Rom sul piano so-

cio-politico è del tutto particolare e ri-flette quella “ambivalenza del loro status

etnico” che è alla base della loro origina-lissima cultura. Da una parte gli Zingari

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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formano un gruppo minoritario all’inter-

no del paese nel quale si trovano; e dall’altra costituiscono un vero popolo,

senza un proprio territorio ma con carat-

teri culturali comuni che li qualificano come “minoranza transnazionale”.

Il vessillo dei Rom-Sinti europei:

in alto il cielo azzurro, in basso l’erba verde e al

centro la ruota rossa a 16 raggi del “vurdòn”

(il tipico carrozzone di inizio secolo)

In conseguenza di questo fatto ogni zin-

garo è membro dello stato di cui è citta-dino, ma nello stesso tempo è portatore

di una cultura che travalica i confini di quello stato. E’, insomma, per fare qual-

che esempio: italiano e rom, francese e

sinto, spagnolo e gitano, americano e zingaro. Come abbiamo visto le migrazioni si so-no realizzate in tempi e con itinerari di-

versi, perciò è difficile parlare di un'unica cultura dei tanti gruppi Rom e Sinti.

Gli elementi comuni a tutti non sono molti poiché nelle loro secolari migrazio-

ni sono entrati in stretto contatto con

molti altri popoli assumendone in parte usi e costumi.

Elementi culturali comuni sono: il for-te senso di indipendenza, la famiglia, la

vita (considerata più importante di qual-siasi idea o valore), il rifiuto della guer-

ra, l'autorità paterna, il ruolo subordina-to della donna, l'amore per la musica e

la danza, il senso del magico.

Poiché fino all'inizio del XX secolo, né il Romani né i vari dialetti della lingua Sin-

ti e Rom sono stati usati in testi scritti, il lavoro di ricostruzione organica della lo-

ro cultura è complicato e deve rifarsi alla sola tradizione orale; risulta perciò molto

difficoltoso conoscere origini, cultura, miti, leggende, religione, arti e mestieri

dei "figli del vento", come loro si defini-

scono. Per molti secoli i Sinti e i Rom non han-

no conosciuto la scuola, imparavano vi-

vendo in famiglia e nel clan. In questo modo imparavano tutto ciò che era utile

ed importante per sopravvivere. I giova-ni conoscevano la storia del loro popolo

dai racconti dei vecchi, che tramandava-no solo oralmente la cultura, e nello

stesso modo imparavano arti e mestieri. Questo modo di apprendere ha iniziato

ad entrare in crisi negli ultimi due secoli,

dopo che la rivoluzione industriale ha imposto nuovi modelli economici e cultu-

rali. Il fatto di essere analfabeti, per e-sempio, ha creato loro non pochi pro-

blemi nel momento in cui hanno dovuto avere rapporti con la burocrazia dei vari

Stati perché anche il solo attraversare un confine diventa un grosso problema

per chi non sa leggere e scrivere.

Questa cultura, già molto differenziata tra i diversi gruppi, ha perso molti dei

suoi tratti tipici nell'ultimo secolo a cau-sa dell’imposizione della cultura dei Gagi

basata sulla tecnologia e sulle comunica-zioni. Nelle case, ma anche nelle roulot-

te, nelle baracche e nelle tende abitate dagli zingari, è sempre più facile trovare

un televisore e sempre più facilmente le

tradizioni, gli usi ed i costumi di questo popolo scompaiono di fronte ai nuovi

modelli di vita che l’attuale società dei consumi impone a loro come a noi.

Musica e danza

La musica e la danza hanno sempre avu-

to grande importanza nella cultura dei Sinti-Rom, con la doppia valenza di ele-

mento unificatore e distintivo dei vari

gruppi etnici. Gli strumenti musicali più utilizzati sono

quelli che per dimensioni e maneggevo-lezza si prestano ad essere trasportati:

violini, viole, balalaike, pifferi, flauti ver-ticali, clarini, chitarre, organetti e tam-

burelli, ma anche contrabbassi, cembali e arpe.

I ritmi e gli strumenti utilizzati per il

canto e la danza mutano a seconda delle etnìe e dei clan, con la sola eccezione

dei gitani spagnoli che, con il flamenco, utilizzano canoni musicali immutati da

oltre due secoli.

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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Danza tzigana (festa di matrimonio,1973)

I gruppi di Rom-Sinti che hanno avuto

contatti prolungati con le popolazioni te-desche, polacche e russe, hanno subìto

la forte influenza dei ritmi e delle musi-che klezmer, ebraiche, armene e russe,

creando un tipo di musica che a volte si distingue con difficoltà da quelle tradi-

zionali di questi popoli. Le danze rappresentano un momento di

grande socialità, forse l’unico, durante il

quale uomini, donne e bambini possono stare liberamente insieme senza distin-

zione di clan. Le danze tradizionali più antiche, con

una forte identità etnica e ben riconosci-bili sono tuttora portate in tournée e so-

no principalmente tre: Kolo serbo, facilmente riconoscibile per

la gioiosità, entusiasmo e precisione dei

passi di danza. I movimenti sono com-plessi e ritmati, con repentini cambi di

direzione ma non associabili al fraseggio musicale.

Hora rumena è la danza più diffusa nelle valli del Danubio, nei Carpazi e in

Romania. Questa danza in cerchio, te-nendosi per mano, è capace di coinvol-

gere interi villaggi per ore. Meno pratica-

ta è la variante della Hora rumena a coppie che è di provenienza alpina.

Horo bulgaro è una danza solenne e non ha tracce della gioiosità che caratte-

rizza le prime due. Probabilmente ciò è dovuto alla lunga oppressione ottomana

che ha lasciato segni evidenti di conta-minazione derviscia8. I ritmi serrati, in-

8 Dervisci: membri di confraternite mistiche sorte

nel mondo islamico nel XII secolo che cercavano il

raggiungimento dell'estasi attraverso il ruolo poten-

tissimo della danza (dervisci rotanti) su musiche

fatti, sono resi ancor più complessi da

ripetuti intrecci e da passi rapidi.

Famiglia e società

La famiglia costituisce per Sinti e Rom

l'elemento fondamentale della loro vita sociale. Il vincolo con la famiglia e con il

clan cui appartengono è molto forte per-ché sono solo queste istituzioni a garan-

tire la loro protezione e sicurezza. Questa istituzione risulta per i Sinti-Rom

più importante di quanto lo sia per i ga-gi, infatti la famiglia si deve occupare

anche di quelle funzioni che nella nostra

società sono affidate ad altre istituzioni, come la scuola, l'amministrazione pub-

blica, lo stato. Per loro non ha nessun senso parlare,

per esempio, di ospizi o case di riposo per i vecchi; nessuno abbandonerebbe

mai una persona anziana che è membro della famiglia a tutti gli effetti. Per loro,

inoltre, una famiglia numerosa è una

grande fortuna. I diversi gruppi presentano una notevole

varietà ed eterogeneità di elementi so-ciali dovuti per lo più alla diversità del

vissuto storico di ogni gruppo. I segni più evidenti sono i nomi (Harvati, Kalde-

rasa, Ursari…) sotto i quali gli individui si raggruppano e che hanno la funzione

essenziale di identificazione e di ricono-

scimento. La loro società non è affatto immobile e

fissa, come potrebbe sembrare, ma è in continuo movimento alla ricerca di sem-

pre nuovi equilibri. La tradizione di cambiamento e di rinno-

vamento che hanno sviluppato nel corso dei secoli ha permesso e permette oggi

una relativa stabilità.

Si tratta di una società patrilineare9 basata su un sistema egualitario in cui i

rapporti fra le persone sono caratterizza-ti dai semplici concetti di "dare", "avere"

e "ricambiare"; non esistono classi so-ciali, e i rapporti sono di tipo orizzontale.

I valori centrali, comuni a tutti i gruppi, sono la solidarietà, la reciprocità fra i

molto ritmate e ipnotiche (flauto verticale, timpani

e piatti di rame). 9 I diritti di successione e le eredità passano solo

attraverso i maschi.

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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membri, il rispetto, l'amicizia, la sacrali-

tà della vita, l'amore per la natura. Uno dei concetti chiave della cultura zin-

gara è la pace: pace all'interno della

comunità, pace fra i popoli di diverse nazionalità (sono sempre stati contrari a

qualsiasi guerra e sono l’unico popolo che non ha mai combattuto una guerra),

pace nella famiglia, e ricorrono alla vio-lenza solo in casi rarissimi. La caratteri-

stica principale della loro visione della vita e organizzazione sociale è la perce-

zione dualistica del mondo.

Una di queste è la dualità puro-impuro (susìpé-mellipé): sono puri i comporta-

menti e le azioni che onorano un indivi-duo, quali il rispetto, la cordialità, l'igie-

ne personale. Impuri sono i comporta-menti disonorevoli come l'indecenza,

l'impudicizia, l'adulterio, l'omicidio. Molta attenzione viene data al corpo: sono pu-

re le parti interne, mentre sono impure

quelle esterne, come la pelle e i capelli.

A.Modigliani – Donna zingara con bambino

Le parti superiori, come testa e bocca

sono pure, mentre i genitali ed i piedi

sono impuri. La donna ha il potere di contaminare l'uomo perché, a causa del

parto, la sua sessualità è impura, men-tre la sessualità maschile è pura in

quanto segno di fertilità. Così la donna per mantenersi pura, non deve esporre il

proprio corpo, deve avere un abbiglia-mento che la scopra il meno possibile,

deve passare un periodo di isolamento in

casa dopo il parto. La purezza fisica è molto importante

perché sottende la purezza morale e in-

fluisce sullo status sociale. I gruppi di Rom che non rispettano tali regole sono

considerati ‘indesiderabili’ e vengono banditi dall’accampamento.

Questi in seguito si aggregheranno con altri fuoriusciti e condivideranno un

degrado crescente stabilendosi in aree dove la qualità della vita diventa inso-

stenibile. Sono questi i “campi nomadi”

che associamo di solito agli “zingari” e che sono il risultato dell’incapacità del

capofamiglia di provvedere economica-mente al sostentamento dei familiari.

A questo punto inizia un circolo vizioso dal quale è difficile uscire: la mancanza

di risorse porta alla mancanza di vita so-ciale (per loro indispensabile), alla de-

pressione profonda, alla crisi di identità

e infine all’alcolismo che a sua volta im-pedisce di riuscire a trovare lavoro e così

si ricomincia a bere… Anche lo spazio è molto importante: l'est

è puro perché è il luogo dove sorge il so-le, dove nascono il calore e la luce; l'o-

vest è impuro poiché è il regno degli spi-riti. Il giorno è puro, la notte è impura.

Un'altra grande dualità è rappresentata

dai concetti di onore (che si raggiunge con il prestigio) e di vergogna.

Elemento fondamentale di prestigio è la virilità. L'onore personale e della propria

famiglia è mantenuto attraverso un comportamento irreprensibile (rispetto,

cordialità, convivialità, solidarietà, ospi-talità), e attraverso una profonda cono-

scenza della tradizione; ne consegue che

gli uomini anziani sono quelli dotati di maggior prestigio.

L'uomo di prestigio (barò rom) deve sa-per badare alla propria famiglia, senza

farle mancare niente. Il timore di perde-re la faccia di fronte agli altri (e quindi la

vergogna) lo impegna in un'aspra com-petizione. Ciò comporta un altro duali-

smo: da una parte la fortissima solida-

rietà tra tutti i membri del gruppo, dall'altra, tensioni e rivalità per la ricerca

del prestigio che viene messo in atto un complesso sistema di doni e controdoni

per accaparrarsi le simpatie degli altri individui.

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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L'eccessiva ostentazione di ricchezza e di

generosità però dà luogo a derisione e disprezzo: questo è un modo per man-

tenere la competizione entro limiti so-

cialmente accettati. Per evitare che l'uomo di maggior pre-

stigio del gruppo assuma comportamenti eccessivamente autoritari e dispotici, ci

si affida all'importanza del consenso so-ciale: il responsabile del gruppo non può

esserlo senza il consenso della comunità e deve giungere a questo ruolo per desi-

gnazione degli altri; e benché responsa-

bile di una grande famiglia, magari quel-la più numerosa della comunità, non può

essere considerato rappresentante di al-tre famiglie, perciò esistono più respon-

sabili e non un solo capo.

Famiglia Sinta del Friuli (1921)

Fulcro della società è la famiglia (famili-

je), non solo quella coniugale, ma so-

prattutto la famiglia estesa (clan). L'ap-partenenza è profondamente sentita; si-

gnifica sentirsi parte di un complesso di valori etici vincolanti e così l'individuo

esiste perché dotato di un'identità socia-le determinata dalla famiglia di apparte-

nenza. Il punto di forza della famiglia e-stesa è la solidarietà, la protezione mo-

rale, il sostegno psicologico e materiale,

la condivisione di tutte le risorse, ed es-sere esclusi dalla famiglia costituisce

inoltre una vera e propria morte sociale. Il matrimonio (biav) conferisce presti-

gio sociale, ed è quindi un dovere perché garantisce la sopravvivenza della fami-

glia anche se i ruoli non sono paritari: la donna, infatti, non può imporre nessun

comportamento al marito. I matrimoni

possono essere legali o di fatto, ma sono per lo più combinati dai genitori dei nu-

bendi; tuttavia è sempre la comunità

che ratifica l'unione con la sua approva-zione.

All'interno della famiglia i ruoli della

donna e dell'uomo sono stabiliti rigida-mente: l'uomo si occupa della sfera

pubblica, delle attività socialmente rile-vanti; stare in casa è segno di mollezza

e debolezza. La donna deve occuparsi della vita do-

mestica e il suo prestigio è determinato dalle attività di moglie e madre; per evi-

tare che possa compromettere l'onore

della famiglia (per esempio con il tradi-mento) è sottoposta al controllo ferreo,

prima del padre e poi del marito, e que-sto spiega l’assenza totale della prostitu-

zione tra i Sinti e i Rom. Nella famiglia inoltre riveste grande im-

portanza l'uomo anziano (phuro): in quanto capofamiglia, protegge l'onore e

il prestigio, prende le decisioni importan-

ti sul futuro dei figli; la sua autorità non è coercitiva ma la sua autorità morale è

tenuta in grande considerazione. I figli costituiscono la massima ambi-

zione per i genitori: la nascita è l'evento che finalizza il matrimonio, soprattutto

se si tratta di figli maschi. Con la nascita di un figlio maschio, infatti, la donna di-

venta una "romni", cioè una donna a

tutti gli effetti, mentre il marito diventa "rom", cioè uomo.

L'educazione dei figli è collettiva, assicu-rata da tutta la famiglia; non c'è separa-

zione fra il mondo del bambino e quello degli adulti: sono in continuo contatto

fisico e sociale. Il bambino ha tre tipi di educatori: gli anziani, i genitori e i fra-

telli maggiori.

Il bambino apprende per immersione nella famiglia: l'esperienza, l'iniziativa

personale, la responsabilità sono conti-nuamente sollecitate; i bambini vivono

in assoluta libertà, crescendo imparano le restrizioni morali a cui dovranno sot-

toporsi nel corso della loro vita. La liber-tà di cui godono non è mancanza di con-

trollo, in quanto il controllo è globale da

parte del gruppo, ma si tratta di un'edu-cazione all'indipendenza, alla responsa-

bilità e all'autonomia. Questo tipo di educazione spiega l'av-

versione dei Sinti-Rom verso la scola-rizzazione dei propri figli perché nelle

ore che sono lontani il “gruppo” non ha il

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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controllo su di loro, sul loro comporta-

mento e su ciò che viene loro insegnato, non tanto dal punto di vista culturale

(matematica, scienze, storia, geografia)

quanto da quello dei “valori”. Il sistema di mantenimento dell'ordi-

ne sociale è costituito da un insieme di leggi morali tramandate oralmente che

regolano la convivenza. L'efficacia di questo sistema giuridico di-

pende dal consenso sociale. Non ade-guarsi a queste norme significa in molti

casi non solo essere esclusi ma addirit-

tura espulsi dalla comunità. Esiste una specie di corte di giustizia

(kris) che regolamenta le controversie che turbano l'ordine sociale e indeboli-

scono la comunità: gli uomini che ne fanno parte sono scelti in funzione della

loro reputazione e della loro rispettabili-tà ed esprimono il pensiero della colletti-

vità.

L'aspetto "comunitario" si manifesta an-che attraverso le sanzioni: qualunque sia

il tipo di sanzione inflitta al colpevole, da una parte la sanzione colpisce tutta la

famiglia, perché la responsabilità è col-lettiva, e dall'altra è una sanzione innan-

zitutto sociale, accompagnata dalla ri-provazione della comunità intera.

Il potere della kris è innanzitutto di coe-

sione sociale: senza il consenso del gruppo la punizione non avrebbe più

senso in quanto non esiste nessun indi-viduo incaricato di esercitare il potere.

Per quanto riguarda il lavoro tutti i me-stieri sono concepiti come se si trattasse

di una vendita,di beni o servizi a clienti Gagi: l'aspetto del negoziare è sempre

presente in tutte le loro attività. Quello

che li caratterizza nell'esercizio delle loro attività economiche è la polivalenza: a

seconda del luogo, del momento, dell'occasione, sviluppano differenti atti-

vità e questa disposizione rende l'orga-nizzazione economica dinamica e adat-

tabile alle risorse offerte nel luogo. Un'altra caratteristica dei mestieri dei

Rom e Sinti è quella di essere creativi:

nel corso della storia hanno sempre sa-puto sfruttare alla perfezione le loro abi-

lità manuali, diventando ottimi profes-sionisti.

Il lavoro è ritenuto una necessità; il Sin-to-Rom lavora per il sostentamento, non

per arricchirsi: il lavoro deve togliere

meno tempo possibile agli affari sociali.

Oggi la loro situazione economica va peggiorando: le risorse da sfruttare sono

sempre più limitate, la differenza fra

gruppi familiari poveri e ricchi diviene sempre più marcata e la disoccupazione

diventa dilagante così come la dipenden-za dai servizi sociali.

Religione

Non esiste una religione tipicamente

Rom-Sinta, ma esistono diverse religioni che diventate prevalenti a seconda del

paese di stabilizzazione. Inizialmente,

adattarsi agli usi religiosi del luogo, era un modo per evitare le persecuzioni, ma

nonostante questo, le diverse Chiese li hanno sempre esclusi, anzi hanno dato

spesso un forte contributo alle loro per-secuzioni.

Processione a Les-Saintes-Maries-de-la-Mer

Camargue, Francia

Buona parte delle credenze e dei rituali cristiani sono stati assorbiti nel comples-

so culturale sinto-rom. È il caso del culto

di certi santi, che non sono santi zingari, ma che determinano pratiche religiose e

sociali, trasformate dalla cultura. È il ca-so della devozione che molti hanno per

la Madonna. Nella società zingara, il sacro è sempre

presente nel quotidiano e il quotidiano fa sempre riferimento in qualche modo al

sacro. I pellegrinaggi costituiscono l'a-spetto più visibile delle pratiche religiose

dei Sinti e Rom: nati come giustificazio-

ne ai loro spostamenti, alcuni sono di-ventati oggi veri e propri pellegrinaggi

zingari riconosciuti tali dalle autorità re-ligiose.

Negli anni Cinquanta è nato in Francia un movimento pentecostale che si è am-

piamente esteso in Europa e che in Italia

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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accoglie la stragrande maggioranza dei

Sinti. Vi sono poi altri riti religiosi legati al

buddismo e all'induismo, praticati quan-

do ancora vivevano in India, ma sono praticamente scomparsi del tutto: ne

rimangono solo alcune tracce, come, per esempio, il bruciare tutto ciò che appar-

teneva al defunto. Secondo la loro tipica visione dualistica, i

Sinti-Rom credono nell'esistenza di una forza benefica (Devel)10 e di una forza

malefica (Beng); a queste forze, presen-

ti in ogni momento della giornata, sono collegati i concetti di buona (baxt) e cat-

tiva (bibaxt) sorte. I Rom-Sinti sono molto superstiziosi e fatalisti e pensano

che gli eventi della vita siano regolati dalla fortuna (Devel) intesa come tutto

ciò che è desiderato e realizzato con successo.

Spiriti buoni o cattivi intervengono con-tinuamente nella vita degli uomini.

Ancor di più ascoltando i racconti dei vecchi zingari si sente spesso parlare di

esseri demoniaci (Nivasha, Phuvasha...),

di streghe, di spiriti dei morti (Cohane), o di spiriti benigni. Anche loro, come gli

induisti o i buddisti, credono nella me-tempsicosi, credono cioè che l'anima di

un essere umano nel momento della morte si trasferisca in un oggetto, in un

animale o in un uomo. Hanno un grande rispetto per il defunto,

tant'è che giurare sui propri morti è se-

gno di assoluta credibilità e sincerità. modo sincero.

I molti nomi degli “zingari”

10 In lingua Romani significa Dio e deriva dal ter-

mine indiano-sanscrito Deva.

Molti nomi con i quali vengono chiamati

rimandano alla storia di questo popolo. In Francia vengono chiamati Bohe-

miens, poiché quando gli zingari arriva-

rono in Francia, poterono esibire un sal-vacondotto donato loro dall'Imperatore

Sigismondo (1368-1437) che era anche re di Boemia. In Spagna vengono chia-

mati anche Ungaros riferendosi al loro lungo soggiorno in terra d'Ungheria.

Molti altri termini con i quali vengono chiamati gli zingari rimandano sia ad

una errata identificazione con esiliati e-

giziani che a causa della loro fede reli-giosa erano stati cacciati dall'Egitto e as-

similati a quelli provenienti dal Piccolo Egitto (Peloponneso). Gitani, Gitans,

Gypsies, Yeftos, sono tutti nomi che si rifanno a questa leggenda. Spesso anche

il modo di vivere ha determinato il loro nome. E' questo il caso del termine ita-

liano nomadi con il quale vengono

chiamati gli zingari e in Sicilia si usa an-cora il nome camminanti. Questi appel-

lativi generalizzano la caratteristica di non avere una dimora fissa, anche se e-

sistono molti nomadi stanziali. I nomi Zingari, Zigeuner, Tsiganes,

sono i più diffusi in Europa, tuttavia que-sto termine ha in tutte le lingue una

connotazione negativa.

Il termine che gli zingari usano maggior-mente per definirsi è Rom (al plurale:

Rom, Roma). É questo il nome che or-mai usano per designare tutto il loro po-

polo anche se i Rom che nel tardo me-dioevo (XIV-XV secolo) nelle loro migra-

zioni arrivarono in Occidente (Ger-mania, Austria, Boemia, Slovenia ed Ita-

lia del Nord) preferiscono essere chia-

mati Sinti. Questo nome deriva da Sindh: la regione del Pakistan occiden-

tale, attraversata dal fiume Indo, dalla quale erano partiti.

I nomadi che invece sono arrivati più tardi, per esempio, dalla seconda metà

del XIX secolo in poi e negli ultimi anni, provenienti dalla ex Jugoslavia si sono

stabiliti soprattutto nell'Europa del Sud e

dell'Est – cioè la gran parte dei nomadi europei - si definiscono Rom.

Le eccezioni però sono molte e possiamo segnalare, ad esempio, che gli zingari

dell'Iran non conoscono e quindi non u-sano il nome Rom, quelli di Spagna pre-

feriscono chiamarsi Kalo (plurale: Kale)

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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e quelli dell'Armenia usano per se stessi

il termine Lom. Il popolo dei Rom che per molto tempo

ha abitato le regioni dei Balcani, usa i-

noltre chiamarsi con altri nomi che ricor-dano il lavoro che facevano in quelle re-

gioni. Così troviamo i nomi Lovara, dal-la radice linguistica ungherese lov che

significa cavallo e che ci ricorda che era-no allevatori di cavalli, e Kalderaš (o

Kaldaras), dal vocabolo tardo latino cal-daria usato in Romania che significa pa-

iolo; molti zingari infatti lavoravano co-

me fabbri il rame e il ferro.

Rom e Sinti in Italia

In Italia ci sono circa 160mila Rom: 100mila di cittadinanza italiana, circa

60mila provenienti da paesi dell’Est e dall’ex Jugoslavia. Di questi ultimi un

buon numero è arrivato in Italia a segui-

to della seconda guerra mondiale, ma la maggior parte tra la fine degli anni ‘60 e

l'inizio degli anni '70. Gli ultimi sono ar-rivati dalla Bosnia e dal Kosovo.

Sinti e Rom Italiani ed Europei, presenti sul territorio nazionale hanno proprie so-

cietà, differenti culture e costituiscono vere e proprie Minoranze Nazionali. Si

autodefiniscono con diverse caratteriz-

zazioni anche su base regionale, ad e-sempio: Sinti Lombardi, Rom Abruzzesi,

Sinti Eftavagengre, Rom Napulengre, Camminanti Siciliani.

Le Minoranze Europee, presenti sul terri-torio nazionale, si autodefiniscono Rom,

Roma e Rrom a seconda della prove-nienza e con diverse caratterizzazioni

anche su base regionale, ad esempio:

Roma Kaloperi, Rrom Ursara, Rom Shif-tarjia, Rom Rudara.

Ad oggi sono presenti in Italia trentuno diverse Minoranze Nazionali ed Europee

Sinte e Rom. Le Minoranze Europee provengono es-

senzialmente da Bosnia, Confederazione Jugoslava, Croazia, Romania, Bulgaria,

Polonia e Ungheria. Nel periodo estivo

sono presenti Sinti e Rom di nazionalità francese.

Rom abruzzesi e molisani Estesi anche nel nord della Campania e

della Puglia, nel Lazio e in Umbria. Giun-ti in Italia al seguito dei profughi arba-

res’h (albanesi) dopo la battaglia di Ko-

sovo-Polje nel 1392, sono il gruppo più

legato alla tradizione romanì conservan-do intatto l'uso dell'idioma romani. Il lo-

ro mestiere tradizionale è l'allevamento

e il commercio dei cavalli e, nel caso delle donne la chiromanzia (romnìa).

Rom napulengre (napoletani) Vivono in comunità tutto intorno a Napo-

li. Fino a trent’ anni fa erano ben inseriti nell'economia campana al punto da ge-

stire, quasi esclusivamente, la fabbrica-zione di arnesi per la pesca. Esperti di

intrattenimento, hanno praticato per se-

coli lo spettacolo ambulante. Rom cilentani

Stanziati da secoli in diversi centri del basso Salernitano. Circa 800 rom si tro-

vano ad Eboli dove alcune donne hanno raggiunto alti livelli di scolarizzazione,

fino alla laurea. Rom lucani

Anche loro in passato erano allevatori di

cavalli e artigiani dei metalli. Vivono in tutta la Basilicata con alcune comunità

nell'alto cosentino. Sono tra i gruppi più integrati nel sud: una romnì lavora nella

segreteria del sindaco di Melfi e il sacre-stano di Lauria è un rom.

Rom pugliesi A Palo di Bari è segnalata con certezza

una delle testimonianze più antiche delle

comunità rom in Italia. Hanno un tenore di vita più basso rispetto ai rom lucani.

Tra di loro è ancora diffusa la lavorazio-ne del metallo.

Rom calabresi Sono i rom più poveri del nostro paese.

Presenti in tutte le province calabresi, eccetto Vibo Valentia. Sono diffusissime

le baraccopoli. Dopo aver abbandonato il

commercio di cavalli e l'attività di fabbri, hanno cominciato a dedicarsi alla rotta-

mazione. Camminanti siciliani

Semi-stanziali, sono diffusi anche a Mi-lano, a Roma e a Napoli. Assieme ai rom

kalderasha e ai sinti giostrai conservano mestieri antichi come quello di arrotino e

ombrellaio. La più grande comunità vive

a Noto. Sinti giostrai

Assieme ai rom abruzzesi sono tra i più antichi a livello di insediamento e sono

diffusi nelle regioni del centro-nord. Da-ta la grande integrazione di questa co-

munità col territorio, l'utilizzo della lin-

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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gua romanì è quasi soppiantato dall'ita-

liano. Hanno ottimi livelli di scolarizza-zione e istruzione; sono anche artigiani

costruttori di giostre (Brescia e Mantova)

e sono molto attivi nella vita sociale e politica: a Mantova c’è un sinto eletto

nel consiglio comunale. I Sinti contano oggi circa 30mila unità.

Rom Harvati (o Larvati) Il loro gruppo è giunto in Italia dal nord

della Ex Jugoslavia, come conseguenza delle due guerre mondiali. Riconosciuti

anch'essi cittadini italiani, vivono nel

centro nord, principalmente nelle regioni orientali. Insieme al sottogruppo dei

Khalderasha, sono l'ultimo gruppo dalle tradizioni seminomadi ancora abili

nell'attività della lucidatura e della batti-tura dei metalli.

I gruppi principali di rom stranieri Khorakhané (lettori del corano) e Shifta-

rija: (albanesi) sono musulmani, prove-

nienti soprattutto dal Kosovo, ma anche

dalla Bosnia-Erzegovina, Macedonia e dal Montenegro.

Gagikane (di origine serba), Dasikhanè e

Kanjarja (di origine serbo-macedone) sono cristiano-ortodossi. Rudari: (inta-

gliatori), cristiani ortodossi di lingua ru-mena. Bovara: (gli allevatori di cavalli) e

Kaloperi (piedi neri): piccoli gruppi pro-venienti dalla Bosnia.

Infine ci sono i Rom romeni: sono il gruppo in maggiore crescita e hanno

comunità a Milano, Roma, Napoli, Bolo-

gna, Bari, Genova, ma si stanno espan-dendo anche nel resto d’Italia.

A seguito dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea, dal 2007 è in corso

un afflusso consistente di rom romeni in Italia e negli altri paesi dell'Europa Occi-

dentale in qualità di cittadini europei.

Ringraziamenti

Un grazie di cuore a Carlo Berini dell’Istituto di Cultura Sinta, a Sergio Franzese studioso

di cultura e lingua romani, e a Maria Teresa Spagna della Provincia di Mantova per il

supporto che hanno dato alle mie ricerche, per la documentazione fornita e per la loro

grande disponibilità.

Un grazie speciale alle comunità Rom e Sinti di Pistoia e Prato per la loro cortesia,

pazienza e ospitalità.

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Laura Calciolari Sinti e Rom

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Bibliografia

Adriano Calocci “Gli zingari, storia di un popolo errante”

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Massimo Converso

“Zigeuner, lo sterminio dimenticato” Sinnos, 1996

Françoise Cozannet

“Gli zingari, Miti ed usanze religiose” Edizione Jaca Book, 2000

Vaux de Foletier “Mille anni di storia degli zingari”

Jaca Book, 1990

Alaina Lemon “Between Two Fires : Gypsy Perform-

ance and Romani Memory from Pushkin to Post-Socialism”

Duke University Press, 2000

Kendrix – Puxon,

“Il destino degli zingari” Rizzoli, 1988

Dieter W. Halwachs:

"Romani - attempting an introductory overview "

Policy Press, 1997

Ian Hancock

“The Pariah Syndrome: An Account of Gypsy Slavery and Persecution”

Karoma, 1987

Donald Kenrick “Gypsies from India to

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CRDP, 1993

Bart McDowell

“Gypsies: Wanderers of the World” National Geographic Society, 1970

Carla Osella "Zingari profughi"

Edizioni Gruppo Abele, 1997

Giorgio Viaggio

“ Storia degli zingari in Italia”

Anicia, 1997

Krzysztof Wiernicki

“ Nomadi per forza – Storia degli Zinga-

ri” Rusconi, 1997

Letture

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Mirella Karpati, Fra i Rom: vita e storie zingare, (Realtà e scuola: proposte di

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D.H. Lawrence, La vergine e lo zingaro, (racconti tradotti da E. Vittorini), Oscar

Mondadori, 1971

Autori vari, Romane Krle, Voci zingare, Edizioni Sensibili alle foglie, 1992

Diane Tong, Storie e fiabe degli zingari, Guanda editore

F. Lazzarato, V. Ongini, Il vampiro rico-noscente. Fiabe, leggende e miti della

tradizione zingara, Mondadori editore

Marie Voriskovà, I quattro fratelli. Fiaba

zingara, Sonda editore, (Supertascabili)

D. e L. Williamson, La nascita dell'uni-corno e altre leggende dei nomadi scoz-

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Sitografia

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www.erc.org

www.gypsyloresociety.org

www.provincia.mantova.it

www.sucardrom.eu

www.unionromani.org

www.vurdon.it

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Edizione Ottobre 2008

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