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MATTEO Introduzione, traduzione e commento a cura di Giulio Michelini

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Matteointroduzione, traduzione e commento

a cura diGiulio Michelini

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Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 28th Revised Edition, edited by Barbara Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Münster/Westphalia, © 2012 Deutsche Bibelgesellschaft, stuttgart. Used by permission.

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titoLo e posizione neL Canone

il vangelo secondo Matteo è stato sempre considerato il van-gelo per eccellenza, il «primo vangelo», e non solo perché apre il canone del nt, ma soprattutto perché (con Giovanni) è stato il vangelo più commentato dai padri, anche se per un vero e proprio commentario si dovrà attendere origene, intorno al 240.

Conosciuto dalla Didachè (probabilmente già nella seconda metà del i secolo), un suo versetto viene ripreso dallo pseudo-Barnaba e considerato come scrittura ispirata (Lettera di Barnaba 4,14, che cita Mt 22,14); poco dopo, negli anni trenta del ii secolo, un autore di nome Matteo verrà menzionato come il compositore dell’omonimo vangelo da un vescovo della Frigia, in asia Mino-re, papia di Gerapoli. La sua testimonianza (riportata da eusebio nella Storia della Chiesa 3,39.16), anche se enigmatica e quindi soggetta a diverse interpretazioni, direbbe – almeno nella sua par-te non discussa – che Matteo raccolse i detti di Gesù e li ordinò: si tratta forse di quelli che poi diventeranno i cinque discorsi del primo vangelo? Un’altra importante informazione proveniente da papia riguarda il fatto che Matteo abbia compilato i detti del si-gnore «in lingua ebraica», notizia confermata da origene, secon-do il quale Matteo, l’ex pubblicano e poi apostolo, scrisse in lin-gua ebraica un vangelo per i credenti provenienti dal giudaismo. se dunque sappiamo dagli scrittori cristiani antichi che esisteva un vangelo di Matteo in ebraico (p. es., secondo ireneo, Contro le eresie 3,1.1, Matteo avrebbe composto un vangelo scritto fra

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gli ebrei, nella loro lingua, mentre pietro e paolo predicavano a roma), la situazione si complica quando alcune testimonianze antiche sembrano confondere il vangelo di Matteo, poi ritenuto canonico, con altri scritti. per la complessa situazione riguardante un vangelo in ebraico si veda più avanti, in questa introduzione, la parte dedicata al testo e alla sua trasmissione.

Un’ultima questione riguarda la designazione «vangelo secon-do Matteo»: probabilmente questa non deve essere considerata un’aggiunta successiva e tardiva, ma facente parte già dall’anti-chità del testo, perché gli scritti anonimi erano relativamente rari e un rotolo o un codice dovevano avere comunque un titolo1.

aspetti Letterari

Genere letterario e accorgimenti stilisticiil genere di questo libro è quello evangelico, del quale però

Matteo non è l’inventore. se Matteo ha avuto come sua fonte il vangelo di Marco, allora è anche chiaro che è stato inevitabil-mente condizionato da esso: Matteo è venuto a conoscenza degli avvenimenti che erano già narrati in quel vangelo, e anche del modo in cui erano stati organizzati. Lo stilema che Matteo usa è infatti la «forma vangelo», al quale anch’egli sceglie di attenersi e che anch’egli contribuisce a sviluppare. possiamo immaginare che, se avesse voluto, Matteo avrebbe potuto scegliere semplice-mente di editare o collazionare anche solo i discorsi di Gesù che ci trasmette nel suo libro (in modo analogo a quanto farà, p. es., il cosiddetto Vangelo di Tommaso, che in realtà non è un vangelo ma una raccolta di centoquattordici detti attribuiti a Gesù, senza alcu-na cornice narrativa), o quelle che sono anche le cosiddette «parti proprie» (che non sono presenti in Marco o in Luca), evitando, in ogni caso, una narrazione da capo della storia di Gesù. L’evangeli-sta, invece, scrive dall’inizio un vangelo secondo il proprio genio, utilizzando quelle strutture logiche e mentali che caratterizzano

1 M. Hengel, Die Vier Evangelien und das eine Evangelium von Jesus Christus, Mohr siebeck, tübingen, 2008, p. 88.

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la sua enciclopedia linguistica, culturale e religiosa giudaica: ne consegue che per alcune sezioni del suo vangelo Matteo sembra aver lavorato in modo da lasciarci più chiaramente intravedere la sua impronta. La sua originalità emerge maggiormente fino al c. 12 (laddove raggruppa nei cc. 8–9 una serie di elementi come le guarigioni e i miracoli che invece si trovano sparsi nel secondo vangelo), e riemerge poi nel racconto della passione. Lo stile di Matteo, poi, è evidente non solo dalla sua teologia (si veda, p. es., l’uso delle formule di compimento per raccordare l’at all’evento Gesù), ma anche nel suo lessico (con termini propri e un greco in-fluenzato non solo dalla Settanta ma anche dagli scritti rabbinici), o nella ripetizione di alcune formule (come anche nei doppioni; vedi commento a 15,29-39). ancora, caratteristici del primo van-gelo sono la speciale elaborazione triadica che Matteo ha usato molte volte, e il modo in cui racconta i miracoli che ha trovato in Marco (abbreviando la parte narrativa e omettendo diversi dettagli descrittivi, per mettere invece in risalto le parole di Gesù e dare alla scena un significato non semplicemente situazionale, ma per-manente, che valga per tutti).

Quello di Matteo però non è semplicemente un racconto come il vangelo di Marco: a quest’ultimo, p. es., manca il resoconto dell’inizio della vita di Gesù e degli anni che precedono il suo mi-nistero pubblico, che invece si trova nel primo vangelo. per que-sto, hanno ragione coloro che insistono sul fatto che il vangelo di Matteo è anche una «biografia», che in parte ricalca quelle antiche (pur non riprendendone alcune caratteristiche, quali la descrizione fisica del personaggio, o l’introspezione psicologica dello stesso, ecc.). altre ipotesi sono state formulate sul genere letterario di Matteo: alcuni, p. es., si soffermano sul rapporto tra il testo del vangelo e la liturgia giudaico-cristiana, congetturando che l’opera sia nata come un «lezionario» che accompagnava l’anno liturgico (M. Goulder). altri, invece, come a. Mello, considerando la gran-de libertà che Matteo usa nel trattare la sua fonte, ritengono che il primo vangelo sia un midrash, ovvero la riscrittura di un’opera precedente, come appunto il vangelo secondo Marco. La ragione di questa rilettura deriverebbe dalla crisi successiva alla scompar-

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sa del tempio del 70 d.C., allorquando i cristiani ebbero bisogno di una riformulazione del concetto della «presenza di Dio», ovve-ro della sua Shekinà: le ripetute affermazioni matteane sul «Dio-con-noi» (1,23), e su Colui che sarà «con voi tutti i giorni, sino alla fine del tempo» (28,20), ovvero il Dio che ora è avvicinabile tramite Gesù (vedi commento a 28,18), confermerebbero questa interessante ipotesi.

Il rapporto con l’AT: citazioni e allusioniper undici volte nel primo vangelo ricorrono le cosiddette «for-

mule di compimento», caratterizzate proprio dall’uso del verbo «compiersi»: in Gesù l’evangelista vede le antiche profezie realiz-zate, al modo in cui il Messia è venuto a compiere la Torà (5,17) e la giustizia (3,15). Queste formule attraversano tutto il vangelo, a partire dal racconto dell’infanzia, dove sono maggiormente con-centrate (1,22; 2,15.17.23), proseguendo nel ministero in Galilea (4,14), le guarigioni (8,17; 12,17), i discorsi (13,35), l’ingresso a Gerusalemme (21,4), fino alla sua consegna da parte di Giuda (26,56; 27,9). si distinguono nella loro formulazione (vi è un’im-portante differenza tra «allora si compì», che ricorre solo in 2,17 e 27,9, e tra «affinché si compisse», che si trova tutte le altre volte2), e sono presenti soprattutto nei primi tredici capitoli, nei passi ca-ratteristici del materiale di Matteo, a dimostrare che fanno parte della sua opera redazionale e della sua teologia.

Le citazioni dall’at in Matteo aprono la cosiddetta questione dell’intertestualità, che nel nostro caso consta di questi aspetti: 1) il pre-testo da cui proviene la citazione (col problema del suo significato originario); 2) la citazione vera e propria, (e con essa il problema dello stato dell’originale ripreso dall’evangelista: dall’ebraico o dalla settanta, o da una diversa forma del testo, a

2 La formula «affinché si compisse» introduce azioni che sono compiute da Gesù stesso o da Dio. La formula «allora si compì», invece, dice che la scrittura non è compiuta per diretto volere di Dio, ma per l’azione umana che si oppone a Gesù: la morte degli innocenti (2,17) e la consegna del Messia (27,9), con la sua conseguente morte, pertanto, non sono attribuibili a Dio stesso. Un caso ancora diverso è quello di 2,5-6, dove una citazione non è introdotta da formule di compimento ma è parte della narrazione. in 26,56, invece, non è Matteo ad usare la formula di compimento, ma Gesù stesso.

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noi sconosciuta?); 3) il testo in cui viene inserita la citazione (nel nostro caso il vangelo di Matteo) e con ciò il problema del modo in cui essa viene ripresa o modificata e il motivo teologico per cui viene inserita; 4) il fattore della competenza del lettore, ovvero di come esso sia in grado di decifrare questo complesso processo intertestuale e cogliere il senso dell’operazione. Di volta in volta verranno date alcune indicazioni, ma per un discorso più generale sull’intertestualità in Matteo si può vedere il commento a 27,9-10, e poi quello a 1,23.

Articolazione del raccontose l’originalità di Matteo si rende evidente nel momento in cui al

racconto marciano l’evangelista aggiunge un vangelo delle origini e i cinque discorsi di Gesù, è al lettore però che spetta il compito di trovare una trama nel racconto, che sia il più possibile rispettosa dell’intenzione stessa del testo3. il modo in cui questo può essere suddiviso, ovvero la sua strutturazione, è infatti in parte operazione arbitraria, perché condizionata comunque da una precomprensione teologica, che si attua più o meno consapevolmente nell’operazione ermeneutica. p. es., nel 1918 Benjamin W. Bacon, con la proposta di leggere Matteo come un «nuovo pentateuco», riteneva di poter sud-dividere l’intero testo evangelico in cinque grandi libri per trovarvi la controparte cristiana della Legge data a Mosè. se il ragionamento dello studioso prendeva l’avvio da due dati immediatamente evin-cibili dalla lettura del primo vangelo come l’alternanza tra discorsi e narrazioni e il ricorrere di una formula («e avvenne che, quando Gesù terminò…» in Mt 7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1), questo tentati-vo sul piano teologico creava non poche difficoltà, perché postulava un’opposizione dialettica tra i due testamenti. invece, gioverà chia-rire sin da ora che il presupposto di una «nuova Torà» è fuorviante, perché il vangelo di Matteo come «nuova Legge» coglie semmai soltanto uno degli aspetti di esso, e neanche il più importante: mai in Matteo – scriveva G. Bornkamm già negli anni ’60 – il Vangelo

3 si veda, per un approfondimento e una discussione sui diversi modelli di struttura di Matteo, G. Michelini, «La struttura del Vangelo secondo Matteo. Bilancio e prospettive», Rivista Biblica 55 (2007) 313-333.

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di Gesù prende il posto della Torà4. in ogni caso, ancora oggi ottimi esegeti (distanziandosi però dall’ipotesi originaria di Bacon) riten-gono che Matteo abbia «riscritto la Torà in senso messianico, cioè attualizzandola nella figura di Gesù Messia»  (A. Mello)5, con un processo di riscrittura del pentateuco simile a quello a cui si assiste in alcuni manoscritti del mar Morto, al modo in cui il libro dei Giu-bilei è una rilettura di Gen 1–es 15 o il Rotolo del Tempio lo è di es 34–Dt 2 (George J. Brooke)6. tanti altri tentativi per trovare una struttura a Matteo sono stati compiuti, e alcuni di questi vengono oggi riattivati (come, p. es., la struttura chiastica proposta da C.H. Lohr nel 1961, che trova oggi un sostenitore in t.J. Vanderweele7). Forse, però, la novità più interessante a questo livello è rappresen-tata dallo studio di James e. patrick8. se qualche tempo fa si poteva concludere che l’indagine sulla struttura del vangelo di Matteo fos-se ormai esaurita, questa ricerca riapre invece la questione, a partire da un elemento caratteristico del primo vangelo, ovvero le citazioni messianiche dal profeta isaia che sarebbero state inserite dall’evan-gelista in luoghi strategici (secondo la tecnica esegetica giudaica del pesher, un metodo usato anche dagli autori dei manoscritti del mar Morto), sulla base delle quali si potrebbe dunque strutturare l’intero vangelo. senza voler approfondire l’argomento, e nell’attesa che quest’ultima proposta venga attentamente valutata, per quanto ci riguarda possiamo dire che una suddivisione di base del vangelo può essere compiuta considerando almeno tre livelli di pensiero che s’intersecano tra loro, e che ci portano a leggere Matteo e a suddivi-derlo sulla base di una linea cristologica, di una linea geografica, e infine di una linea legata all’alternanza di discorsi ed eventi. 

4 ripreso da M. Grilli, «il compimento della Legge come “sintesi della tradizione e della novità di Gesù” nel ripensamento di Matteo», in Ricerche Storico Bibliche 1-2 (2004) 299..

5 a. Mello, Evangelo secondo Matteo, edizioni Qiqajon, Magnano (Vc) 1995, p. 33.6 G.J. Brooke, «aspects of Matthew’s Use of scripture in Light of the Dead sea scrolls»,

in e. Mason et al. (ed.), A Teacher for All Generations, Fs. Van Der Kam, Brill, Leiden 2012, pp. 821-838.

7 t.J. Vanderweele, «some observations Concerning the Chiastic structure of the Gospel of Matthew», Journal of Theological Studies, 59 (2008) 669-673.

8 J.e. patrick, «Matthew’s Pesher Gospel structured around ten Messianic Citations of isaiah», Journal of Theological Studies, 61 (2010) 43-81.

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il vangelo di Matteo anzitutto può essere suddiviso in tre parti9, delimitate dalla frase «da allora Gesù cominciò a…» che ricorre solo due volte (4,17; 16,21) – e solo in questo vangelo – e che può essere considerata una cifra caratteristica di Matteo. tale fra-se mostra un cambiamento sostanziale di azione, e infatti serve a Matteo per segnalare in primo luogo l’inaugurazione del ministero pubblico di Gesù (4,17), e poi la sua decisione di andare a Gerusa-lemme (16,21); la stessa frase però evidenzia anche un mutamento di prospettiva su Gesù, la cui identità si svela e si comprende pro-gressivamente, secondo il percorso ora accennato. Questo artificio letterario matteano da solo, però, non riesce a rendere lo sviluppo del racconto nella sua complessità e articolazione. Già all’interno di queste tre parti, p. es., si notano altri segnali che permettono ulteriori suddivisioni e collegamenti.

emerge pertanto un’altra macrostruttura, quella che viene da altri segnali del testo, corrispondenti ai luoghi delle scene evangeliche e agli spostamenti di Gesù. Questa suddivisione, basata su elementi geografici, magari è più evidente nel raccon-to di Luca, ma è presente anche in Matteo (come nei restanti vangeli), e dice che nella storia lì narrata ci sono diversi luoghi, che vanno dalla Galilea a Gerusalemme, che possono servire come itinerario di quel viaggio che è anche metafora biografi-ca o addirittura cristologica. Liberata dall’ingenua convinzio-ne che sovrappone «storia» e «intreccio», questa strutturazione geografica (considerata “classica”) ha qualcosa da dire se non altro perché provvede una minima traccia da poter seguire già da una prima lettura. L’idea che ne deriva è quella di un viag-gio teologico verso la città santa, Gerusalemme, alla quale, a guardar bene, il diavolo porta Gesù sin dalle prime battute del racconto (cfr. 4,5-7), e dalla quale ripartirà poi la storia, appa-rentemente conclusa alla morte del Messia, per spostarsi final-mente in Galilea – ancora su un monte come già per l’ultima prova (cfr. 4,8 e 28,16) – e continuare fino alle terre di tutte le nazioni (cfr. 28,19). La geografia di Matteo, insomma, è an-

9 J.D. Kingsbury, Matthew. Structure, Christology, Kingdom, Fortress press. philadelphia 1975; in italiano si può vedere Id., Matteo. Un racconto, Queriniana, Brescia 1998.

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che teologia, perché se all’inizio del racconto riprende i luoghi della storia ebraica (nell’ordine del racconto: Betlemme, con il richiamo alla monarchia davidica; ancora Betlemme, con l’al-lusione a rachele e all’esilio babilonese; l’egitto, con Mosè e la storia dell’esodo), poi si sposta al nord, in Galilea, dove risiedono i pagani (cfr. 4,15), e dove prende forma la prima azione pubblica di Gesù, l’inizio della predicazione con l’invi-to al cambiamento di mentalità. praticamente, a partire dall’ar-rivo di Gesù in Galilea, a Cafarnao, in 4,12, prende l’avvio la sezione della Galilea che si estende fino a 16,20 (in 16,21 Gesù annuncerà la sua decisione di salire a Gerusalemme e inizierà il viaggio). Un ulteriore riferimento geografico è la Giudea, che appare già con il Battista (cfr. 3,1) e nella cui area si trova Ge-rusalemme, dove finalmente giungerà Gesù e dove si chiuderà la sua esperienza terrena. in mezzo a queste due collocazioni geografiche principali (Galilea e Giudea) vi è lo spazio ideale di collegamento conferito da quell’elemento che è il viaggio, che inizia, come si è detto, in 16,21 e termina in 20,34. Da questo elemento dipende la possibilità di delimitare la restante parte del vangelo con la sezione di Gerusalemme (21,1–27,66), delimitazione che è possibile non in forza della frase «da allo-ra Gesù cominciò a…», ma per il fatto che a Gerusalemme si compie il destino finale del Messia, con il suo insegnamento, la sua passione, la morte e la risurrezione (cfr. c. 28).

in sintesi: per quanto abbiamo detto sin qui, l’intero primo vangelo può essere già visto non solo come una progressione di tre atti (1,1–4,16; 4,17–16,20; 16,21–28,20), ma anche come un dramma in cinque parti (considerando la risurrezione come la conclusione del dramma), che è la struttura che suggeriamo noi (1,1–4,16; 4,17–16,20; 16,21–20,34; 21,1–27,66; 28,1-20). in queste parti poi sono ravvisabili altre sezioni, rese evidenti dall’intercalarsi dei cinque discorsi di Gesù e delle sezioni nar-rative che si trovano prima e dopo di questi. ecco perché sin dall’antichità si insisteva sul fatto che il primo vangelo fosse, rispetto agli altri, più «ordinato»: proprio a ragione della scan-sione tra discorsi e racconti, un elemento letterario che non può

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non essere preso in considerazione (e che per alcuni è la struttura primaria del vangelo10).

riassumendo, si possono proporre tre articolazione del vange-lo:

1. suddivisione cristologica: 1,1–4,16 (Gesù Messia secondo le scritture11); 4,17–16,20 (Gesù Messia in parole e opere); 16,21–28,20 (Gesù Messia e Figlio di Dio nel suo regno);2. suddivisione geografico-biografica: 1,18–2,12 (a Betlemme); 

2,13-23 (in egitto e ritorno in Galilea); 3,1-17 (in Giudea); 4,1-11 (nel deserto, a Gerusalemme e su un monte); 4,12–16,20 (in Ga-lilea e ancora più a nord); 16,21–20,34 (il viaggio verso Gerusa-lemme); 21,1–27,66 (in Giudea e a Gerusalemme); 28,1-10 (la tomba vuota e la risurrezione); 28,11-20 (“epilogo” in Galilea).

3. suddivisione letteraria, sulla scansione di narrazione e discor-si: 1–4 (narrazione); 5–7 (discorso della montagna); 8–9 (narra-zione); 10 (discorso d’invio); 11–12 (narrazione); 13 (discorso in parabole); 14–17 (narrazione); 18 (discorso comunitario); 19–23 (narrazione); 24–25 (discorso escatologico); 26–28 (narrazione).Ciascuna delle suddivisioni sopra riportate è giustificata da al-

cuni segnali presenti nel racconto di Matteo. La struttura cristolo-gica è individuata dalle due frasi «da allora Gesù cominciò a…», in  4,17  e  16,21. Quella  geografica  è  basata  invece  sui  seguenti segnali: 2,1: «dopo che Gesù fu generato a Betlemme di Giudea»; 2,13: «fuggi in egitto»; 2,23: «abitò in una città chiamata naza-ret»; 3,13: «Gesù dalla Galilea venne al Giordano»; 4,12: «si ritirò nella Galilea»; 16,21: «da allora Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme»; 21,1: «e quando si avvicinarono a Gerusalemme…»; 28,16: «Gli undici discepo-li, poi, andarono in Galilea». La terza suddivisione è basata sulla frase «e avvenne che, quando Gesù terminò… (questi discorsi / di istruire i suoi discepoli / queste parabole / tutti questi discorsi)» che indica la fine della parte non narrativa, e che ricorre in 7,28; 

10 Cfr. D.C. allison, «Matthew», in J. Muddiman – J. Barton (ed.), The Gospels, Uni-versity press, oxford 2010, p. 27.

11 i titoli di questa parte sono tradotti dalla struttura proposta da M. Grilli – C. Langner, Das Matthäus-Evangelium. Ein Kommentar für die Praxis, Katholisches Bibelwerk, stut-tgart 2010.

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11,1; 13,53; 19,1; 26,1. raccogliendo tutti gli elementi di cui so-pra, e ordinandoli in modo che non si sovrappongano, ne deriva lo schema che proponiamo di seguito e che guiderà il nostro com-mento a Matteo.

1,1–4,16 Prima parte: il Messia d’IsraeleLibro dell’origine di Gesù (1,1–2,23)L’inizio della vita pubblica (il Battista, il battesimo, la prova) (3,1–4,11)ritorno in Galilea e arrivo a Cafarnao (4,12-16)

4,17–16,20 Seconda parte: le opere del MessiaL’inizio della missione e le prime opere di Gesù (4,17-25)La halakà di Gesù: il primo discorso (5,1–7,27)alcuni versetti di raccordo: conclusione del discorso e inizio della parte narrativa (7,28–8,1)Le opere del Messia (dieci miracoli) e altri insegnamenti (8,2–9,34)Gli inviati del Messia: il secondo discorso (9,35–10,42)Un versetto di raccordo: conclusione del discorso e inizio della parte narrativa (11,1)il Messia Gesù, Figlio e servo, nuovo Giona (11,2–12,50)Le parabole (ascoltare, comprendere, fare): il terzo discorso (13,1-52)Un versetto di raccordo: conclusione del discorso e inizio della parte narrativa (13,53)Dal rifiuto a Nazaret all’annuncio della passione (13,54–16,20)

16,21–20,34 Terza parte: il Messia verso GerusalemmeDa Cesarea di Filippo alla Galilea e verso Gerusalemme (16,21–17,27)La comunità del Messia: il quarto discorso (18,1-35)Due versetti di raccordo: conclusione del discorso e inizio della parte narrativa (19,1-2)Oltre il Giordano, fino a Gerico (19,3–20,34)

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21,1–27,66 Quarta parte: il Messia a GerusalemmeL’ingresso a Gerusalemme (21,1-11)Gesù nel santuario: segni, insegnamenti e discussioni (21,12–23,39)L’ultimo discorso di Gesù (24,1–25,46)passione e morte del Messia d’israele (26,1–27,66)

28,1–20 Quinta parte: la tomba vuota e la conclusione in Ga-lileaLa tomba vuota e l’annuncio della risurrezione (28,1-10)La menzogna e il segno per i sadducei (28,11-15)il risorto e l’invio ai pagani (28,16-20)

Linee teoLoGiCHe FonDaMentaLi

accantonata l’ipotesi che tutto il vangelo di Matteo già sul pia-no formale (ovvero nella sua struttura) possa esprimere una teo-logia (magari quella della «nuova Torà», come sosteneva Bacon, di cui si è detto sopra), le linee teologiche che emergono dal testo sono deducibili piuttosto da elementi redazionali nascosti tra le ri-ghe. non abbiamo a che fare, infatti, con una trattazione teologica sistematica, ma, piuttosto, con una teologia implicita e obliqua. La ragione è data anche dal fatto che il primo vangelo, già dal-la sua struttura – e poi evidentemente anche, come conseguenza, nella sua teologia –, dipende da quello di Marco e da un’ulteriore fonte di detti gesuani, oltre che, ovviamente, dalla Bibbia ebraica. se questa idea corrisponde al vero, allora il pensiero teologico di Matteo si dovrà ritrovare soprattutto nei cambiamenti che questi ha compiuto rispetto a Marco, nelle aggiunte e nelle omissioni. Matteo più che essere l’autore di una storia, la racconta di nuovo, aggiungendovi un suo commento e parlando alla e della sua co-munità. possiamo sottolineare, in breve, le seguenti linee teologi-che fondamentali presenti nel primo vangelo.

teologia. il Dio del primo vangelo è lo stesso dell’at, colui che ha salvato israele dalla schiavitù dell’egitto (cfr. commento a

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Mt 22,23-33), e che ha dato la Torà sul sinay, quella che ora viene spiegata da Gesù sul monte. Le molte citazioni anticotestamenta-rie dimostrano che Matteo non vede alcuna frattura con il passato, ma una storia della salvezza costruita sulla continuità: Gesù è il Messia di israele.

Cristologia. solo Matteo, tra tutti gli altri autori dei vangeli canonici, ritrae Gesù che, in modo esplicito, conferma la Torà (cfr. commento a 5,17-48), ed esprime la preoccupazione che essa venga messa in pratica, fin nel minimo dettaglio (cfr. 5,19): addi-rittura il Gesù di Matteo chiede ai suoi di pregare perché il giorno del suo ritorno non solo non venga d’inverno (come è scritto in Marco 13,18), ma di sabato, in modo che esso non sia violato dai discepoli che dovranno fuggire (Mt 24,20). e l’evangelista insiste proprio sul sabato – diversamente dagli altri vangeli – sottolinean-do il rapporto tra questo giorno e la risurrezione di Gesù (vedi nota a 28,1). La morte del Messia per Matteo è un evento drammatico ma salvifico, attraverso il quale è dato il perdono a Israele (altro elemento esclusivamente matteano; cfr. 1,21 e 26,28), al modo in cui nella  tradizione biblica e giudaica  l’efficacia del perdono di Dio era resa visibile attraverso il simbolo del sacrificio del capro nel giorno dell’espiazione (vedi commento a 27,11-26). il Mes-sia sofferente e risorto di Matteo, poi, è probabilmente ricalca-to, in analogia con una cristologia presente anche nel vangelo di Giovanni, sulla figura – che viene ora sempre meglio definita in rapporto al giudaismo del i sec. d.C. – del cosiddetto «Messia di Giuseppe» (o «di efraim»; vedi nota a 13,55); questa simbolica si affianca così a quell’altra figura, sempre giudaica e molto pre-sente in Matteo, di un «Figlio dell’uomo» (che però nel libro di Daniele o negli scritti enochici che lo riattualizzano non è figura sofferente). per il resto, Matteo non presenta grandi novità sulla cristologia: tutti i titoli relativi a Cristo che si trovano nel suo van-gelo sono comuni alla tradizione cristiana antica.

Escatologia. nel primo vangelo – oltre al lungo discorso esca-tologico dei cc. 24–25 – vi sono forse due idee principali che ca-ratterizzano il rapporto di Gesù con il mondo, il presente e il fu-turo: le espressioni «regno dei cieli» e «Figlio dell’uomo». per

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quanto riguarda la prima, non si tratta semplicemente, come si ipotizzava agli inizi del ’900, di una circonlocuzione alternativa a «regno di Dio», più comune nel nt (ovvero di una formula per evitare, in modo reverenziale, di pronunciare il nome di Dio). essa segnala piuttosto la grande differenza tra il regno dove è presente Dio, e quelli terreni governati dagli uomini (soprattutto l’impero romano)12, che sarebbero stati presto rimpiazzati, secon-do le parole di Gesù, da un’altra signoria. per far questo, l’evan-gelista avrebbe preso come sfondo principale i cc. 2–7 di Daniele e l’escatologia giudaica in genere. È proprio in tali testi (il libro di Daniele, però nella rielaborazione compiuta dal Libro delle Para-bole di Enok) che si parla della figura del «Figlio dell’uomo», così importante per Matteo, che la utilizza più degli altri evangelisti (trenta occorrenze contro le venticinque di Luca e le quattordici di Marco)13 per applicarla a Gesù (vedi il commento a 9,1-8 e a 25,31-46, come anche la nota a 26,64).

Soteriologia. se del rapporto tra il peccato e la morte del Mes-sia si è accennato sopra, e se il detto di Gesù sulla sua vita data in riscatto per molti non è esclusivamente matteano (Mt 20,28 // Mc 10,45), rimane da ricordare un ultimo elemento circa la sal-vezza. Questa, per i membri giudeo-cristiani della comunità di Matteo, non dipende solo dal Messia Gesù, ma ancora dall’osser-vanza della Torà. altra cosa è la questione dei pagani che si stanno avvicinando alla Chiesa, e ai quali, secondo quanto già paolo e Giacomo dovevano aver chiarito nell’assemblea di Gerusalemme (at 15,1-35), non è richiesta la circoncisione (elemento che sem-bra presente anche nel primo vangelo, in particolare nelle parole di Gesù ai farisei in 23,15; vedi commento) e l’osservanza della

12 Cfr. J.t. pennington, Heaven and Earth in the Gospel of Matthew, Brill, Leiden 2007.13 Secondo la classificazione di R. Bultmann, tredici di questi detti riguardano la venuta 

del Figlio dell’uomo, dieci si riferiscono alla passione di Gesù, e sette alla sua attività terrena. Di questi trenta detti cinque non si trovano né in Marco né in Luca, e sono peculiari del primo vangelo: Mt 10,23; 13,37.41; 19,28; 25,31. Questi si riferiscono alla venuta futura del Figlio dell’uomo, e tre in particolare ad una sua funzione giudiziale. secondo L.W. Walck, The Son of Man in the Parables of Enoch and in Matthew, t&t Clark, London - new York 2011, almeno due di questi detti, insieme a quelli sempre sull’avvento di Gesù condivisi con Marco o Luca, sarebbero, diversamente dai detti che parlano della sofferenza di Gesù, dipendenti da una visione del Figlio dell’uomo mediata dal Libro delle parabole di Enok.

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Torà. per Matteo la salvezza eterna dei pagani dipende, se inter-pretiamo bene la scena del loro giudizio in 25,31-46, dal modo in cui questi si saranno comportati nei confronti anche verso uno solo dei «più piccoli» dei fratelli di Gesù; anche ai pagani, però, è riservata una salvezza sin dal momento in cui potranno conoscere ed osservare le parole del Messia, ed è questa la ragione per cui il risorto invierà loro gli Undici (cfr. 28,19).

Ecclesiologia. Una delle caratteristiche proprie di Matteo è re-lativa alla comunità di Gesù. solo in Matteo, infatti, tra i vangeli, occorre la parola «Chiesa» (ekklēsía, che significa «assemblea»: 16,18; 18,17). Questa comunità, a prescindere dal suo statuto re-ligioso o sociale (per il quale si veda appena sotto), è composta di «piccoli» (10,42; 11,25; 18,6.10.14 e 25,40.45), e non di perfetti, perché al suo interno, come si legge nella parabola degli invitati a nozze, ci sono «cattivi e buoni» (22,10). tale coesistenza deve sussistere fino alla fine del tempo, al modo in cui la zizzania e il grano  devono  crescere  insieme  (cfr.  13,24-40):  affinché  ciò  sia possibile, coloro che sbagliano devono essere aiutati a convertir-si, attraverso ammonimenti (cfr. 18,15-18). L’ultima parola sul peccato, però, spetta al perdono (cfr. 18,21-22). Questa comunità, infine, è fondata su una roccia, Pietro, che svolge nel primo van-gelo un importante ruolo di mediazione, e riceve da Gesù stesso il potere di interpretare in modo autorevole il suo pensiero e la Torà (cfr. commento a 16,19b e a 17,24-27).

Destinatari, Datazione e LUoGo Di CoMposizione, aU-tore

non disponendo di elementi utili per poter determinare da chi, quando e dove sia stato scritto il primo vangelo, , possiamo cer-care di elaborare alcune ipotesi a partire dal testo stesso. esso, infatti, anche se fruibile da qualsiasi lettore posteriore, deve essere stato pensato anzitutto per una particolare comunità cristiana, che si distingue, p. es., da quelle paoline della diaspora, o da quella latina di Marco: la comunità di Matteo.

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La comunità dell’evangelistaLa ricerca biblica sul vangelo di Matteo negli ultimi anni si è con-

centrata molto sul contesto teologico e sociale in cui lo scritto è nato (Stanton, Saldarini, Overman, Sim, Repschindinski, Foster), in defi-nitiva affrontando da un altro punto di vista il tema del rapporto tra comunità di Matteo e giudaismo. Dagli sforzi compiuti sinora, si può affermare che il lettore a cui il primo vangelo si rivolgeva in origine, secondo quanto possiamo dedurre da alcuni indizi interni al testo stesso, apparteneva a una comunità giudeo-cristiana ancora fedele alla Torà. pertanto il lettore doveva avere una buona competenza scritturistica (a somiglianza dell’autore Matteo), che presumeva non solo una conoscenza di essa, ma anche delle tradizioni giudaiche coeve e delle discussioni che si agitavano tra i farisei, come quel-la riguardante le ragioni per divorziare (vedi commento a 19,3-12). il lettore originario del primo vangelo apparteneva a una comuni-tà attraversata da alcune emergenze, dovute alla tensione derivante dall’appartenenza alla radice giudaica e dall’incipiente apertura del messaggio cristiano ai pagani: era cioè una Chiesa di ebrei, ma che non poteva non aprirsi ai pagani. insistiamo su questi ultimi dati.

1. Una comunità di ebrei. alcuni indizi nel vangelo di Matteo, come, p. es., l’espressione «loro sinagoghe» (vedi per maggiori det-tagli la nota a 9,35), oppure frasi simili come «loro scribi» (7,29), potrebbero indurre a pensare che, quando Matteo scrive il suo van-gelo, una rottura tra la comunità cristiana e il giudaismo (tra Chiesa e sinagoga) si è già consumata (è la tesi, p. es., di U. Luz). a riprova vengono portati quei brani che sono letti nel contesto di una polemi-ca antigiudaica caratterizzata da toni forti e violenti, brani come le invettive contro i farisei o i sadducei (cfr. p. es. Mt 23) o contro altre componenti della leadership religiosa del tempo (come 21,43-45). altri testi matteani, poi, vengono interpretati nel senso di una così decisa critica contro israele, che addirittura pregiudicherebbe la sua futura funzione storica salvifica: tra questi ricordiamo subito 21,18-22, il racconto del fico infruttuoso e maledetto, identificato da molti, appunto, con israele stesso, oppure la ben tristemente famosa cosid-detta «automaledizione» di 27,25, con la frase «il suo sangue su di noi e sui nostri figli», destinata, secondo molti, a segnare sin da quando 

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è stata pronunciata – e per sempre – la sorte di tutto l’israele di Dio. a proposito di questi testi si daranno le dovute spiegazioni nelle rela-tive sedi, ma da subito ci dichiariamo d’accordo con quegli studiosi che ritengono che il gruppo di Matteo e il suo portavoce, l’autore del primo vangelo, sono sì ebrei che credono che Gesù sia il Messia e il Figlio di Dio, ma sono ancora ebrei. Come scrive saldarini, «que-sto gruppo è una minoranza fragile, che sta ancora considerando se stessa come giudaica, e che viene ancora a essere identificata, dagli altri,  come  la comunità ebraica. Nonostante  il  forte conflitto con  i leader della comunità ebraica, e l’esperienza di misure disciplinari contro di loro, o meglio, proprio in forza di queste relazioni negative, il gruppo di Matteo è ancora giudaico»14. È in questo modo che si può affrontare anche la questione dei conflitti che nel vangelo di Matteo vedono contrapposti Gesù (o i suoi) e i farisei. se è vero che nel terzo vangelo il Maestro si siede a tavola con loro (Lc 7,36-50; 11,37-54), e ciò potrebbe significare che Luca vuole sottolineare la relazione che li lega, e se è altrettanto vero che Matteo non riporta questi episodi (cfr. Mt 26,6-13; 15,1-9), gli studi di sociologia sulla «non-conformi-tà» dimostrano che la resistenza alle strutture sociali e la «devianza» sono, paradossalmente, sempre parte di una società funzionante. in altre parole, l’idea che i conflitti documentati nel primo vangelo im-plichino una rottura completa (nel caso, coi farisei) è una conclusione affrettata contraria ai normali processi sociologici.

Questa posizione è a nostro avviso più sostenibile di quella che vede la comunità di Matteo in lotta contro il giudaismo perché di-stintamente separata da esso, o dell’opinione di coloro che, come W. trilling, ritengono che la comunità di Matteo si considerasse il «vero» israele (postulando così, necessariamente, un vangelo di Matteo basato su una tradizione giudeo-cristiana rielaborata però da pagano-cristiani)15. il primo vangelo, che non conosce né una

14 a.J. saldarini, Matthew’s Christian-Jewish Community, University of Chicago press, Chicago 1994, pp. 1-2.

15 W. trilling, Il vero Israele. Studi sulla teologia del vangelo di Matteo, piemme, Casale Monferrato 1992 (orig. tedesco, Das wahre Israel, Leipzig 1975); cfr. s. McKnight, «a Loyal Critic: Matthew’s polemic with Judaism in theological perspective» in C.a. evans – D.a. Hagner (ed.), The New Testament and Anti-Semitism, Fortress press, Minneapolis (Mn), 1993, pp. 55-79

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«nuova» Legge (vedi commento a 5,17-48), né un «nuovo» patto o una «nuova» alleanza (vedi nota a 26,28), non ci lascia pensare che la comunità in cui nasce sia o si consideri il «vero» israele (magari per sottolineare la continuità con esso) anche perché, tra l’altro, ciò automaticamente relega gli ebrei non credenti in Gesù Messia nella condizione di un israele «non vero». Dalla lettura di Matteo, al contrario, è più facile pensare a un conflitto non con o contro il giudaismo, ma dentro di esso. Ultimamente ci si è spinti a  identificare  la  comunità di Matteo come particolarmente vici-na ai farisei16, e questo spiegherebbe proprio il riconoscimento di autorità che Gesù dà a questo movimento (o meglio, al loro insegnamento, con il quale condivide, p. es., la credenza nella ri-surrezione dei morti: cfr. 22,31-3217) con il detto, esclusivamente matteano, di 23,2-3a («sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. pertanto, tutto quanto vi dicono fatelo e osser-vatelo»). tra l’altro, il primo vangelo è certamente a conoscenza delle discussioni e degli accesi dibattiti che si agitavano in seno ai farisei a riguardo dell’interpretazione della Torà, e che è necessa-rio presumere per spiegare la domanda che essi rivolgono a Gesù sul divorzio (cfr. 19,3). se separazione c’è stata, in conclusione, ha avuto luogo da questo movimento, o da qualche sua compo-nente, ma non da tutto il giudaismo (vedi, a proposito, il commen-to teologico a 23,1-12)18.

2. La comunità e i pagani. La questione conseguente alla pre-cedente, ugualmente oggetto di discussione tra gli specialisti, è

16 Cfr. a. runesson, «rethinking early Jewish-Christian relations: Matthean Commu-nity History as Pharisaic Intragroup Conflict», Journal of Biblical Literature 127 (2008) 95-132.

17 non tutto l’insegnamento dei farisei è avallato da Gesù, come si evince, p. es., dalla questione riguardante il lavaggio delle mani (cfr. commento a 15,1-2) o dal differente ap-proccio sul divorzio (19,3-12). alle affermazioni di Gesù in Mt 23,2-3a si deve poi accostare quanto egli dice sul «lievito» dei farisei (e sadducei), lievito che per Matteo è proprio il loro scorretto insegnamento sulla ricerca di «segni dal cielo» (16,5-12). su questo punto si veda ora G. Michelini, «La funzione del fraintendimento nella questione del lievito. Mt 16,5-12 // Mc 8,14-21 (Lc 12,1)», Convivium Assisiense XiV/2 (2012) 7-31.

18 per una trattazione dei farisei nel primo vangelo, e sulla problematica della distinzione tra questo movimento e quello di Gesù, si può vedere ora: B.C. Dennert, «Constructing righteousness. the “Better righteousness” of Matthew as a part of the Development of a Christian identity», Annali di storia dell’esegesi 28/2 (2011) 57-80..

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quella del rapporto della Chiesa di Matteo coi pagani. se la comu-nità a cui è destinato lo scritto è principalmente (o, ancora, come riteniamo noi, esclusivamente) composta di giudeo-cristiani, que-sta stessa comunità però non ignora la necessità di doversi con-frontare con i membri delle altre nazioni (i gōyyim o «gentili») cosa che del resto è già storicamente avvenuta nella vita terrena di Gesù e soprattutto in quella dell’apostolo paolo. se rimaniamo al nostro vangelo, nella genealogia del Messia compaiono donne pagane; e, anche se a nostro avviso i maghi che si recano a Bet-lemme non sono gentili, Gesù stesso, come sottolineato in 4,15 («Galilea dei pagani») è vissuto in mezzo a essi, e sin dall’inizio del suo ministero ha avuto modo di confrontarsi con loro (cfr. 8,5-13), ammirandone anche la fede (cfr. 8,10; 15,28; e anche 27,54). il Gesù di Matteo non è venuto però per i gentili: lo dice lui stesso (cfr. 15,24) e, addirittura, proibisce tale tipo di missione ai Dodici (10,5). D’altra parte, in alcuni insegnamenti di Gesù (come nella parabola di 22,1-14, che però non è esclusivamente matteana e si trova anche in Lc 14,15-24) e in altre poche situazioni (come il riferimento alla speranza dei pagani nel Messia Gesù in 12,18.21) si possono trovare alcuni indizi per un’apertura ai gentili, che poi è la conseguenza o l’allargamento della disponibilità che Gesù ha già mostrato verso i peccatori e gli esclusi. Ciò non toglie, però, per fare solo un esempio, che il luogo più sacro di tutta la terra d’israele, e di Gerusalemme, ovvero il santuario, per Matteo non sia «per tutte le nazioni» (Mc 11,17), ma semplicemente la «casa di preghiera» (Mt 21,13) per israele. in ogni caso, l’attenzione di Gesù ai non ebrei riporta l’israele di Dio alla sua benedizione ori-ginaria, che nell’intenzione di Dio era già estesa mediante questo popolo eletto anche a tutte le nazioni (cfr. Gen 12,3). sarà però solo dopo la sua morte che il Messia potrà inviare i suoi discepoli verso i popoli pagani (cfr. Mt 28,19), al modo in cui Giona, che all’inizio non voleva recarsi a ninive, dopo i tre giorni nel ventre del pesce, si rivolge finalmente ai peccatori di quella città (cfr. Mt 12,38-42; 16,1-4). perché ciò possa avvenire, sarà necessario il sacrificio del pastore: solo con la sua morte e risurrezione le «ossa inaridite» ritorneranno dall’esilio e rientreranno nella terra e nella

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città santa di Gerusalemme (vedi commento a 27,52-53). allora i discepoli del Messia, che già avranno avuto modo di dare testimo-nianza ai pagani che li perseguitano (cfr. 10,18), come Gesù stesso aveva fatto (cfr. 20,19), e predetto (vedi anche i detti di 24,14 e 26,13 sul vangelo annunciato nel «mondo intero») saranno capaci di accogliere quelli che si accostano alla comunità di Gesù: dopo tutto, il Maestro aveva insegnato che il giudizio finale dei gentili non sarebbe stato di condanna o di vendetta, ma di misericordia, se i pagani avessero avuto la stessa misericordia nei confronti dei discepoli di Gesù (cfr. 25,31-46).

3. La comunità di Matteo tra ebrei e pagani. il processo di tra-sformazione che sta sullo sfondo del primo vangelo è dunque ap-pena all’inizio: i giudeo-cristiani della comunità di Matteo sono legati alla Torà, la difendono e la mettono in pratica. Matteo scrive il suo vangelo quando la separazione dalla sinagoga non ha ancora avuto luogo19. L’evangelista sta dunque cercando di ritrarre Gesù in modo che risulti attraente agli altri ebrei, anche, probabilmente, per difendersi dalle accuse che vengono da questi ultimi, che ve-dono i cristiani, a causa della loro fede in Gesù Messia, e del loro modo di intendere la Torà, piuttosto come pericolosi estranei. in secondo luogo, gli effetti della missione di paolo con la relativa apertura ai pagani (che quando Matteo scrive ha già avuto luogo), se da una parte può preoccupare gli ebrei e la stessa comunità di Matteo (che ribadisce come Gesù sia venuto per l’israele di Dio), dall’altra sono ormai innegabili: la missione del Messia si sta ri-velando come universale, al di là delle aspettative. ne consegue un duplice sguardo che caratterizza il vangelo di Matteo, il primo verso israele e il secondo verso i gentili: «il vangelo di Matteo cerca di difendere e definire  il giudeo-cristianesimo, da un  lato, e l’unità con i pagano-cristiani, dall’altra. Conferma la continu-ità con le antiche promesse di israele, e al tempo stesso sostiene la fedeltà alla persona del Messia e alla sua missione»20. Quella

19 J.D.G. Dunn, «the Question of anti-semitism in the new testament Writings of the period», in id. (ed.), Jews and Christians. The Parting of the Ways A.D. 70 to 135, J.C.B. Mohr (paul siebeck), tübingen 1992, p. 209.

20 B.e. reid, The Gospel According to Matthew, Liturgical press, Collegeville (Mn) 2005, p. 7.

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missione a tutti i popoli pagani che chiude il primo vangelo, e che chiede a essi non la circoncisione, ma il battesimo, prevedendo perciò che essi non siano tenuti (come invece la comunità di Mat-teo è ancora) a osservare i precetti della Legge (cfr. at 15).

Matteo e i manoscritti del Mar Morto a riguardo del rapporto tra il primo vangelo, la sua comunità

e l’ambiente in cui esso viene a formarsi, non può essere elusa la questione delle connessioni tra Matteo, gli scritti del Mar Morto e altri scritti canonici cristiani e non, che presumibilmente sono da collocarsi nello stesso periodo di composizione del vangelo.

Le pubblicazioni degli ultimi anni hanno messo in luce diverse analogie tra il nostro testo e i frammenti di Qumran21. Un primo punto di contatto riguarda il modo di Matteo di leggere la Bibbia ebraica: «tra i vangeli, quello di Matteo dà maggiormente pro-va di familiarità con le tecniche giudaiche di utilizzazione della scrittura. esso cita spesso la scrittura alla maniera dei pesharim di Qumran»22. in verità questa caratteristica tocca molti scritti ca-nonici cristiani, ma forse è proprio nel caso di Matteo che emerge in modo più chiaro, in quanto è nel primo vangelo che si trovano così tanti riferimenti intertestuali. ecco allora che per Matteo vale ancor più quanto si può dire per tutti i vangeli, ovvero che essi hanno chiare «rassomiglianze con Qumran nel modo di utilizza-re le scritture. Le formule per introdurre le citazioni sono spesso le stesse, p. es.: “così è scritto”, “come sta scritto”, “conforme a quanto è scritto”. L’uso simile della scrittura deriva da una somi-glianza di prospettiva di base nelle due comunità, quella di Qu-mran e quella del nt. entrambe erano comunità escatologiche che vedevano le profezie bibliche come realizzate nel loro tempo, in un modo che andava al di là dell’attesa e della comprensione dei profeti che le avevano originariamente pronunciate. entrambe avevano la convinzione che la piena comprensione delle profezie

21 Un aggiornamento bibliografico sull’argomento si può trovare ora in G.J. Brooke, «As-pects of Matthew’s Use of scripture in Light of the Dead sea scrolls», cit., pp. 821-822, n. 2.

22 Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (27 maggio 2001), 15.

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era stata rivelata al loro fondatore e da lui trasmessa, il “Maestro di Giustizia” a Qumran, Gesù per i cristiani»23. per un esempio concreto su questo aspetto, si può vedere il caso della citazione isaiana in Mt 11,5 (vedi commento).

Un tema toccato da Matteo e che si ritrova in modo analogo ne-gli scritti di Qumran è quello delle beatitudini, in particolare per la somiglianza a un frammento della grotta 4 (vedi commento a Mt 5,3-12). ancora altri collegamenti sono stati trovati dagli studiosi (come quello tra la figura di Giuseppe in Matteo e quella di La-mek, padre di noè, secondo l’Apocrifo della Genesi [1QapGen]), e saranno messe in rilievo nel corso del commento. per quanto riguarda il giudizio complessivo sulla questione, a nostro avviso non si può giungere a conclusioni esagerate rispetto alle premesse: se vi sono evidenti e innegabili punti di contatto tra Matteo (insie-me a Luca e altri testi neotestamentari) e gli scritti del mar Morto, questi sono dovuti anzitutto alla loro medesima appartenenza al giudaismo del secondo tempio; altre deduzioni non sono dimo-strabili, ed esulano comunque dall’analisi dei dati letterari del primo vangelo, perché vanno a toccare invece questioni storiche riguardanti il rapporto tra il cristianesimo degli inizi e i movimenti a esso coevi.

Matteo e gli altri scritti giudaico-cristiani La bibliografia sul primo vangelo si è recentemente arricchita 

anche di ricerche riguardanti il milieu giudaicocristiano condiviso da altri due testi con la stessa probabile provenienza: la Didachè e la Lettera di Giacomo. se i punti di contatto tra Matteo e il pri-mo documento sono evidenti (in particolare per quanto riguarda il «discorso della montagna») e studiati sin dalla sua scoperta nel 187324 – e ora sono ribaditi anche grazie al fatto che si può leggere quest’opera non semplicemente come la prima produzione della

23 Ibid., 13.24 per una panoramica delle questioni si può vedere H. Van de sandt (ed.), Matthew and

the Didache. Two Documents from the Same Jewish-Christian Milieu?, royal Van Gorcum - Fortress press, aassen - Minneapolis (Mn) 2005; H. Van de sandt – J.K. zangenberg (ed.), Matthew, James and Didache. Three Related Documents in their Jewish and Christian Settings, society of Biblical Literature, atlanta (Ga) 2008.

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patristica, ma come uno scritto giudaicocristiano25 – il problema è definire le reciproche dipendenze tra Didachè e Matteo: vi è una tradizione orale di detti di Gesù che è poi confluita nei due distinti libri, o una dipendenza comune da una raccolta di detti26, oppure la Didachè semplicemente conosce e riprende Matteo, o, secondo le ipotesi più innovative (che però non hanno avuto fortuna), è il contrario27? Comunque sia, nel commento saranno presentati i punti di contatto tra questo scritto antico e il primo vangelo, va-lorizzando il testo della Didachè per quanto riguarda l’interpreta-zione di qualche testo o variante testuale (vedi, p. es., nota a 6,7).

La Lettera di Giacomo da parte di molti studiosi, e da tempo, è stata confrontata con il primo discorso di Gesù in Matteo, sottoli-neando che anche Giacomo si rivolge inequivocabilmente a lettori di tradizione giudaica che ancora osservano la Torà di Mosè (si confronti Mt 5,17-18 con Gc 2,10). La prospettiva nei confronti di questa è comune: ai due autori non sembra infatti interessa-re l’aspetto cerimoniale della Legge, e nemmeno temi come la circoncisione o, almeno per quanto riguarda la parte del primo vangelo più vicina alla lettera di Giacomo (il cosiddetto «discorso della montagna»), questioni come le norme alimentari. sia Matteo sia Giacomo sono concentrati sugli imperativi morali che vengo-no compresi a partire dall’amore per il prossimo (Mt 5,43-48 = Gc 2,8), e mirano alla perfezione della vita (Mt 5,48 = Gc 1,4), mettendo in atto la Torà che è perfetta (Gc 1,25).

Data e luogo di composizioneLa data di composizione del vangelo di Matteo non può essere

desunta da chiari elementi presenti nel testo. Gli studiosi e i com-

25 Questa è la pista di lettura fornita anche da M. Morselli – G. Maestri, Didachè. La Torà del Messia attraverso i Dodici Apostoli ai goyim, Marietti, torino 2009.

26 si tratta dell’ipotesi di K. niederwimmer, The Didache, Fortress press, Minneapolis (Mn) 1998, p. 76 (orig. tedesco Die Didache, Göttingen 1989).

27 si tratta della posizione di a.J.p. Garrow, The Gospel of Matthew’s Dependence on the Didache, Clark international, London - new York 2004. Ma l’ipotesi della precedenza della Didachè su Matteo sembra avere un qualche significato per spiegare la questione del digiuno in Matteo, per la quale vedi il nostro commento a Mt 6,1-18 e l’articolo di J.a. Draper, «Do the Didache and Matthew Reflect an “Irrevocable Parting of the Ways” with Judaism?», in H. Van de sandt (ed.), Matthew and the Didache, cit., pp. 217-242.

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mentatori del primo vangelo sono pressoché unanimi nel ritenere che sia stato scritto dopo la guerra giudaica, la catastrofe naziona-le del 70 d.C., in quel periodo di riorganizzazione del giudaismo che deve fare i conti con la distruzione del simbolo nazionale del tempio. rimangono pochi gli studiosi di Matteo che – come J. nolland – datano il vangelo in un periodo precedente.

sono state avanzate diverse ipotesi circa il luogo di compo-sizione del vangelo. i dati esterni di cui disponiamo non sono di grande utilità. tra quelli che possiamo cogliere dall’analisi del te-sto,  invece, ve ne  sono  sufficienti per  abbozzare alcune  ipotesi. L’idea di partenza è che il primo vangelo potrebbe essere stato composto in un ambiente legato a una città, anche per il fatto che il termine pólis («città») compare ventisei volte in Matteo (contro le otto di Marco). Fino a qualche tempo fa questa città veniva identificata quasi unanimemente, anche grazie alle ricerche di G. theissen, con antiochia sull’oronte, in siria: città cosmopolita ed ellenizzata, e con una presenza giudaica importante. Questa ipote-si tra l’altro spiegherebbe la ragione per cui in Mt 4,24 si legge che la fama di Gesù si sparse per tutta la siria (elemento che l’evan-gelista non sembra aver desunto da Marco, anche se in Mc 3,8 si parla di Tiro e di Sidone); sono a favore di questa identificazione il fatto che pietro, presonaggio prominente nel vangelo di Matteo, era  una figura  importante  nella  comunità  di Antiochia  (cfr. Gal 2,11-21), e poi il fatto che la prima volta che il vangelo di Matteo viene citato da un padre della Chiesa è proprio nelle lettere di ignazio di antiochia. Contro questa ipotesi però vi è un’obiezio-ne non secondaria: questa località sembra essere troppo lontana geograficamente dalla scena delle tensioni tra quello che poi sarà il giudaismo rabbinico e comunità di discepoli di Cristo che sono sullo sfondo del vangelo (al tempo di Gesù la Giudea), e che mol-to probabilmente, al tempo in cui Matteo scrive, si era già spostata in Galilea.

se altre località ovviamente erano state proposte per localizzare la comunità di Matteo (alessandria, da s.G.F. Brandon; Cesarea Ma-rittima, da B. Viviano; Cesarea di Filippo da G. Künzel; Damasco, da J. Gnilka; una città della Fenicia, da D. Kilpatrick), per la Galilea

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si pronunciano oggi la maggior parte degli esperti. Questa ipotesi fu promossa da B.H. streeter, che la presentò per primo nel 1924, e di-vulgata da J.p. Meier, e poi accolta da r.H. Gundry, D.a. Hagner, D. senior, U. Luz, D.C. sim, J.a. overman, a.J. saldarini, a.M. Gale. L’ipotesi che Matteo abbia scritto il suo vangelo per una comunità o un gruppo di comunità nel nord della terra di israele è sostenibile grazie a molti argomenti: più degli altri vangeli, per Matteo la casa di Gesù è a Cafarnao (cfr. 4,13), la sua missione si svolge in Galilea (cfr. cc. 3–18), e quindi l’autore potrebbe essere uno scriba di tiberiade, o della stessa Cafarnao. soprattutto, proprio in Galilea l’evangelista Matteo con la sua comunità entrerebbero in conflitto con l’emergen-te movimento rabbinico, staccatosi, a causa della guerra giudaica, da Gerusalemme prima, e da Yamnia poi. per la Galilea, da ultimo, a.M. Gale arriva a postulare proprio sefforis, distante se non qualche chilometro da nazaret e città ricca, importante e cosmopolita, la cui popolazione era largamente giudaica28. L’ipotesi di sefforis però non si è ancora fatta strada tra gli esperti di Matteo, e ha (come già la pre-cedente) alcuni punti deboli che dovranno essere meglio considerati.

L’autoreQuanto scritto sopra ci permette ora di stilare un breve profi-

lo dell’autore. È un giudeo-cristiano, competente nelle scritture d’israele (che riprende e applica alla storia di Gesù più di quanto non facciano gli altri vangeli) il cui autoritratto, a parere di alcu-ni, si troverebbe celato nell’allusione a quello scriba «padrone di casa, che toglie dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (13,52). Non è un testimone diretto degli eventi (e l’identificazione Mat-teo-evangelista con quella di Matteo-apostolo non può derivare dalla lettura del primo vangelo29), non fosse altro per il fatto che il

28 Cfr. a.M. Gale, Redefining Ancient Borders. The Jewish Scribal Framework of Mat-thew’s Gospel, Clark international, London - new York 2005.

29 Joseph ratzinger affermava: «oggi gran parte della critica è unanime nel sostenere che il primo vangelo non è attribuibile all’apostolo Matteo, ma risale a un’epoca più tarda ed è stato redatto approssimativamente alla fine del I secolo in una comunità giudeo-cristiana siriaca… rimane inspiegato a chi vada ricondotta la redazione del Vangelo di Matteo»; J. ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, san paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001, pp. 206-207.

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racconto della vocazione di un «Matteo» in 9,9 (scena che viene normalmente identificata con la vocazione dell’evangelista) è pra-ticamente identica a quella di «Levi» in Mc 2,14.

È un cristiano di una generazione successiva a quella di Gesù30, coeva al tempo in cui i farisei-rabbini stanno acquisendo un ruolo fondamentale per l’interpretazione della Torà e la sua applicazio-ne nella vita pratica. non è da escludere che l’autore Matteo possa provenire proprio dalla cerchia di questi, ma che si distanzi da essi (o da alcuni di essi) per la credenza nella messianicità di Gesù, e forse, ancora meglio, per questioni specifiche di halakà. Che sia culturalmente e teologicamente vicino al movimento dei farisei lo si deduce dal modo in cui presenta Gesù in rapporto alla Torà (cfr. soprattutto la domanda sul divorzio in 19,3, che non ha paralleli nei sinottici) e dal modo in cui ne parla: come quelli che sono an-cora insediati sulla cattedra di Mosè (23,2).

ancora, gioverà ribadire che per le ragioni presentate sopra Matteo non è antigiudaico, e nonostante alcuni toni polemici, il suo vangelo, diversamente da quanto viene ancora affermato da

30 rimane dunque aperta la domanda sul modo in cui l’evangelista abbia potuto conoscere il materiale su Gesù, la sua vita e le sue parole. se molti ritengono più plausibile ed eco-nomica l’ipotesi che avesse davanti il testo di Marco e un’altra fonte, nota anche a Luca (Q, dal tedesco Quelle: è la famosa ipotesi delle «due fonti»), non tutti condividono più questa strada. Vi sono coloro, p. es., che si orientano sì per una dipendenza di Matteo da Marco, ma non da altre fonti (per alberto Mello, che riprende da Michael Goulder, Matteo avrebbe liberamente rielaborato in modo midrashico il vangelo di Marco); vi è anche l'ipotesi di Martin Hengel, e che a noi, anche se poco frequentata, sembra la più interessante, secondo la quale Matteo avrebbe ripreso non solo Marco, ma rivisto anche Luca, che dunque doveva conoscere (M. Hengel, Die Vier Evangelien und das eine Evangelium von Jesus Christus, cit., pp. 274-353). esiste anche l’ipotesi che parte dalla tradizione orale, secondo la quale Matteo, Marco e Luca avrebbero fatto un uso indipendente della tradizione orale su Gesù. Questa tesi, antica, venne ripresa a fine anni ’80 da Bo Reicke, e ora riformulata da Armin D. Baum sulla base di un confronto con la tradizione orale rabbinica (per una sintesi: a.D. Baum, «Matthew’s sources. oral or Written? a rabbinic analogy and empirical insights», in D.M. Gurtner – J. nolland (ed.), Built upon the Rock. Studies in the Gospel of Matthew, eerdmans, Grand rapids [Mi] - Cambridge, 2008, pp. 24-52). sarebbe proprio quest’ultima ipotesi, a parere di James D.G. Dunn, a spiegare anche l’origine di quella parte propria del primo vangelo, che non può dipendere solo da fonti scritte (Jesus Remembered. Christianity in the Making, eerdman, Grand rapids [Mi] - Cambridge 2003, p. 161). resta da consid-erare ancora un’altra recentissima soluzione sulla questione della relazione tra Matteo e gli altri vangeli o le sue fonti, quella basata su un Vangelo secondo gli Ebrei, di cui riferiremo sotto, alla nota 36.

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molti, non è affatto contro gli ebrei31. se ci sono espressioni forti nei confronti di israele o dei suoi capi, ciò rientra nell’atteggia-mento che hanno avuto prima di Matteo i profeti con le loro invet-tive, e deriva dall’atteggiamento che Gesù stesso aveva tenuto nei confronti di alcune realtà che non poteva non criticare, come, p. es., la gestione del tempio di Gerusalemme.

testo e trasMissione DeL testo

il testo che verrà commentato di seguito è, giova ricordarlo, un testo ricostruito, cioè eclettico, basato sulle lezioni dei più impor-tanti manoscritti, tra cui alcuni antichi frammenti papiracei del ii o iii secolo. i più antichi papiri32 che trasmettono Matteo sono:

papiro di oxyrinchus 4404 (î104) conservato all’ashmolean Museum di oxford (ii secolo; solo per 21,34-37; 43.45);

papiro di Magdalen Greco 18 (î64) e papiro di Barcellona 1 (î67), due frammenti dello stesso manoscritto conservati il primo al Magdalen College di oxford e il secondo presso la Fundación san Lucas evangelista di Barcellona (ii-iii secolo: parti di Mt 3; 5; 26);

papiro di oxirynchus 2683 (î77) e papiro di oxyrinchus 4403 (î103), conservati all’ashmolean Museum di oxford (entrambi del ii-iii secolo; il primo contiene 10 versetti del c. 23, il secondo 5 versetti dei cc. 13-14);

papiro di oxirynchus 2 (î1), conservato all’University Mu-seum di Filadelfia (III secolo; qualche versetto del c. 1);

papiro Michigan 137 (î37), conservato alla ann arbor Univer-sity (iii secolo; contiene Mt 26,19-52);

papiro Chester Beatty i (î45), conservato a Dublino nell’omonima biblioteca; un altro frammento del medesimo manoscritto è catalogato come papiro Vindobonensis Greco 31974 alla Österreichische natio-nalbibliothek di Vienna (iii secolo; qualche versetto dei cc. 20; 21; 25);

31 per una recente trattazione della questione, di taglio anche pastorale, si veda a.-J. Le-vine, «Matthew and anti-Judaism», Currents in Theology and Mission, 34 (2007) 409-416.

32 Cfr. D.C. Parker, An Introduction to the New Testament Manuscripts and Their Texts, Cambridge University press, Cambridge 2008, pp. 317-319.

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papiro Michigan 6652 (î53), conservato alla ann arbor Uni-versity (iii secolo; contiene 26,29-40);

papiro di oxyrinchus 2384 e papiro 3407 dei papiri della so-cietà italiana (î70), due frammenti dello stesso manoscritto con-servati il primo all’ashmolean Museum di oxford e il secondo all’istituto papirologico «G. Vitelli» di Firenze (iii secolo; contie-ne qualche versetto dei cc. 1; 2; 3; 11; 12; 24);

papiro di oxyrinchus 4401 (î101), conservato all’ashmolean Museum di oxford (iii secolo; contiene versetti del c. 3 e l’inizio del c. 4).

il testo integrale del vangelo è trasmesso dai seguenti codici:sinaitico (א) scoperto da C. von tischendorf nel monastero di

santa Caterina al sinai, risale al iV secolo ed è conservato presso la British Library di Londra;

Vaticano (B), anch’esso del iV secolo, conservato presso la Bi-blioteca apostolica Vaticana;

alessandrino (a) conservato presso la British Library di Lon-dra (V secolo; lacunoso però fino a Mt 25,6);

di efrem riscritto (C) conservato presso la Bibliothèque natio-nale di parigi (V secolo; mancano: 1,1-2; 5,15-7,5; 17,26-18,28; 22,21-23,17; 24,10-45; 25,30-26,22; 27,11-46; 28,15-20);

di Beza (D) conservato presso l’University Library di Cam-bridge (V secolo; lacunoso per 1,1-20; 6,20-9,2; 27,2-12);

di Washington (W) conservato presso il smithsonian institute di Washington (V secolo).

Merita attenzione, per quanto riguarda il codice di Beza, non solo  il  testo  greco,  che  potrebbe  riflettere  un  testo  che  risale  ai primi testimoni (r.t. France), ma anche la traduzione in latino che si trova a fianco di esso (indicata con la lettera minuscola d), alla quale spesse volte si ricorrerà nel commento33.

alcune varianti interessanti, poi, si trovano nelle traduzioni an-tiche, tra le quali segnaliamo quelle in siriaco: quella più antica, la Vetus syra (trasmessa nel codice sinaitico siriaco [sys], conser-

33 si può vedere su questo a. ammassari, Il vangelo di Matteo nella colonna latina del Bezae Codex Cantabrigiensis. Note di commento sulla struttura letteraria, la punteggiatura, le lezioni e le citazioni bibliche, LeV, Città del Vaticano 1996.

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vato al Monastero di Santa Caterina al Sinai [fine del IV inzio del V secolo] e nel codice Curetoniano [syc], che prende il nome dal suo scopritore W. Cureton ed è conservato alla British Library di Londra [V secolo]), e la posteriore peshitta (syp; V secolo).

La Vulgata di Girolamo (iV secolo), invece, sarà sempre un co-stante riferimento per la traduzione, insieme, in alcune occasioni, alla traduzione gotica di Wulfila.

il punto sul testo di Matteo è stato però recentemente riaperto a seguito di nuove scoperte, ricerche o pubblicazioni34. p. es., nel 2001 venne pubblicato da H.-M. schenke un papiro della prima metà del iV sec., il Codex Shøjen (Manoscritto 2650), nel quale si può leggere Mt 5,38–28,20 nella versione in medio egiziano: il suo editore riteneva che la traduzione in quella lingua fosse stata compiuta non sul testo greco di Matteo che ora possediamo, ma su un testo greco indipendente, traduzione a sua volta di un originale ebraico di un vangelo di Matteo in mano a giudeo-cristiani (simile a quello dello shem tov, di cui si dirà subito). Un altro studioso, però, t. Baarda, nel 200435 è giunto alla conclusione che l’ipotesi di schenke non è sostenibile, e che si potrebbe trattare semplice-mente di una traduzione più libera del testo greco che conosciamo.

È invece oggetto di maggiore attenzione il cosiddetto Vangelo ebraico di Matteo di shem tov. Dato che le ricerche recenti su questo documento non sono state tradotte o divulgate in lingua italiana, e per il fatto che nel presente commento lo citeremo alcune volte nelle note filologiche, sarà bene ricordare che se i padri testimoniano l’esistenza di un vangelo di Matteo in lingua ebraica, finora nessun manoscritto antico ce  l’ha  tramandato36.

34 per una panoramica si può consultare C.a. evans, «Jewish Versions of the Gospel of Matthew», Mishkan 38 (2003) 70-79.

35 t. Baarda, «Mt. 17:1-9 in “Codex schojen”», Novum Testamentum 46 (2004) 265-287.36 La questione è molto complicata. i padri della Chiesa conoscono e citano spesso alcuni

vangeli giudeo-cristiani che non sono presenti nella lista dei quattro canonici: Girolamo si riferisce a un vangelo che dice di aver letto e copiato, e che chiama di volta in volta Vangelo secondo gli Ebrei, oppure Vangelo degli Ebrei, oppure Vangelo ebraico o ancora Vangelo ebraico secondo Matteo. Un altro scrittore, più antico, egesippo, nella metà del ii secolo distingue invece tra due vangeli giudeo-cristiani, quello Secondo gli Ebrei e un vangelo in lingua siriaca (aramaica). Un altro autore, del iV secolo, epifanio di salamina, conosce anche un Vangelo secondo Matteo in ebraico che egli attribuisce ai nazareni, e cita anche un cosiddetto Vangelo degli Ebioniti. Gli studiosi si dividono nell’interpretare queste testimo-

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Un vangelo di Matteo in ebraico è però conservato all’interno di un trattato polemico anticristiano del XiV secolo, intitolato Even Bohan, composto da un ebreo spagnolo, shem tov ben isaac ben Shaprut, tra il 1385 e il 1400, al fine di criticarlo parola per pa-rola. Un esegeta statunitense, George Howard, lo pubblicò una prima volta nel 1987 e poi in una edizione riveduta nel 200537, ritenendo che esso non fosse semplicemente una traduzione rab-binica medievale di Matteo, ma che conservasse (con successivi rimaneggiamenti) un testo risalente al i secolo. alcuni studiosi hanno respinto questa ipotesi di lavoro; altri38, invece, pensano che le ricerche a riguardo debbano continuare e che le intuizioni di Howard siano in qualche modo fondate. Craig a. evans, in particolare, ritiene che il testo dello shem tov «possa davve-ro custodire una tradizione testuale indipendente del vangelo di Matteo, magari collegata al “vangelo in ebraico” citato da papia nel ii secolo»39. Un dato di fatto è che in alcune sue parti il co-siddetto Vangelo ebraico di Matteo concorda con una recensione

nianze, ma a parere di C. Gianotto (I vangeli apocrifi, il Mulino, Bologna 2009) vi sarebbe un consenso almeno nell’ipotizzare l’esistenza di tre vangeli giudeo-cristiani: un Vangelo degli Ebioniti, un Vangelo dei Nazareni, e un Vangelo secondo gli Ebrei. il Vangelo secondo gli Ebrei, tra l’altro, è tornato recentemente all’attenzione degli studiosi grazie alle ricerche di James r. edwards (The Hebrew Gospel and the Development of the Synoptic Tradition, eerdmans publishing, Grand rapids [Mi] 2009), che presenta un’ipotesi alternativa a quella delle due fonti. Questo Vangelo secondo gli Ebrei, in lingua ebraica, però, rappresenterebbe un’ipotetica fonte non tanto per il Matteo canonico, con il quale non deve essere confuso, quanto piuttosto per il vangelo di Luca; anzi, potrebbe essere identificato con una delle fonti che l’autore del terzo vangelo dice di aver consultato (cfr. Lc 1,1-4). sempre a parere di edwards, il vangelo di Matteo che ora possediamo non sarebbe una traduzione dal Vangelo in lingua ebraica citato dai padri, anche se spesso nelle fonti patristiche i due vangeli sono identificati con lo stesso autore Matteo. Per quanto riguarda il vangelo canonico di Matteo non cambiano molto i dati della questione, se non il fatto che esso non sarebbe più il primo ma l’ultimo vangelo sinottico scritto. secondo l’ipotesi di edwards, Matteo avrebbe avuto come fonti: Marco, una sua fonte propria (M), e una fonte in comune con Luca (che si distin-gue, come detto, dalla fonte propria di Luca, che è il Vangelo secondo gli Ebrei; anche Luca, ovviamente, avrebbe avuto come fonte Marco). Luca e Matteo, dunque, condividerebbero solo una fonte composta di 177 versetti (che non sarebbe però la postulata fonte Q dei detti).

37 G. Howard, The Gospel of Matthew according to a Primitive Hebrew Text, Mercer University press, Macon (Ga) 1987; id., Hebrew Gospel of Matthew, Mercer University press, Macon (Ga) 2005.

38 sono intervenuti sull’autorevole rivista statunitense Catholic Biblical Quarterly a favore di Howard (o almeno di alcune delle conclusioni a cui questi arriva): D.J. Harrington, nel 1988; W. Horbury nel 1996; r.F. sheddinger, nel 1999.

39 C.a. evans, «Jewish Versions of the Gospel of Matthew», cit., pp. 70-79; 72.

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attestata soltanto nel codice sinaitico (א), oppure con altre at-testate solo in un papiro del iii secolo, il papiro Chester Beatty i (î45). La forma di quel testo, poi, è vicina alla versione della Vetus latina, della Vetus Syra e del Diatessaron di taziano. se questa ipotesi fosse accolta, dovremmo anche accettare l’idea di un vangelo di Matteo in ebraico tradotto poi in greco, cosa che in verità non sembra essere suffragata dall’analisi del testo greco che ora possediamo (che non è semplicemente una traduzione dall’ebraico); altre soluzioni, però, sono possibili40. sul piano teologico, il Vangelo ebraico di Matteo di shem tov lascia in-travedere una tendenza giudaico-cristiana. Mentre lasciamo alle note e al commento alcune osservazioni particolari su singoli versetti (si veda la crux di Mt 15,23, risolvibile con la lettura dell’Even Bohan), sin da ora possiamo accennare a queste sue caratteristiche teologiche: le differenze tra giudaismo e cristia-nesimo vengono attenuate; la figura del Battista è più esaltata di quanto non lo sia nel Matteo canonico, e nessuno è più grande di lui (nemmeno il più piccolo nel regno: vedi note a 11,11.13; 17,11); l’ingresso dei pagani nel regno dei cieli non è previsto per  l’era presente, ma solo dopo  la  sua fine  (vedi nostro com-mento a 25,31-46 e soprattutto a 24,15-22); il riconoscimento di Gesù come Messia ha luogo nel racconto solo dopo la pro-fessione di pietro (prima Gesù non ha mai questo titolo, che si trova invece nel vangelo greco canonico in 1,1.17.18; 11,2; que-sto fenomeno però è conforme al fatto che in alcuni manoscritti antichi, almeno per i casi di 1,18 e 11,2 – vedi relative note filo-logiche – avviene la stessa cosa).È però necessario precisare, a riguardo dello shem tov, che rispetto alle altre varianti testuali che vengono riportate nelle note di questo commento e che si trovano in testimoni dal ii secolo in avanti, il suo testo non ha la stessa autorevolezza, e la discussione sulla sua attendibilità non è ancora conclusa; se si rivelasse infondata l’ipotesi della sua

40 rimane la possibilità che possa essere accaduto come per la Guerra Giudaica di Fla-vio Giuseppe: inizialmente scritta in aramaico, o in ebraico, viene però ri-scritta in greco, col risultato che il testo che abbiamo ora non sembra affatto una traduzione da una lingua semitica, anche grazie al riadattamento compiuto dall’autore stesso.

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39 introDUzione

antichità, in ogni caso rimarrebbe un’utile attestazione riguar-dante l’interpretazione del primo vangelo nella storia, e in defi-nitiva sulla storia degli effetti di Matteo non solo per la riflessio-ne cristiana, ma anche per quella giudaica. Un utile strumento, insomma, un’ulteriore versione antica, per dirimere anche que-stioni riguardanti passi difficili da comprendere e tradurre (vedi l’esempio alla nota 12,18).

Altri manoscritti citati nel commentoGreci

papiro di Berlino 16388 (î25) conservato allo staatlichen Mu-seen della capitale tedesca (iV secolo; contiene 18,32-24; 19,1-3.5-7.9-10);

papiro di Colonia 5516 (î86) conservato allo institut für alter-tumskunde (iV secolo; contiene 5,13-16; 22-25);

codice alessandrino (a) conservato alla British Library di Lon-dra (V secolo; del vangelo di Matteo sono rimasti soltanto i fogli che contengono la parte finale: 25,7–28,20)

Codice purpureo di s. pietroburgo (n), la maggior parte dei fogli di questo codice sono conservati alla Biblioteca statale di pietroburgo; un’altra parte si trova al Monastero di san Giovanni sull’isola di patmos e poi altri singoli fogli sparsi fra biblioteche e musei di Londra, atene, Lerma, new York, roma e Vienna (Vi secolo);

codice regio (L), conservato alla Bibliothèque nationale di pa-rigi (Viii secolo);

codice di Dublino (z), conservato al trinity College della capi-tale irlandese (Vi secolo);codice Koridethi (Θ) conservato all’Istituto nazionale georgia-

no dei Manoscritti, a tiblisi (iX secolo);codice di Cipro (K) conservato alla Bibliothèque nationale di

parigi (iX secolo);codice di Mosca (V) conservato al Museo storico della capitale

russa (iX secolo);codice di Monaco (X) prende il nome dalla città in cui è conser-

vato, alla Universitätsbibliothek (X secolo);

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introDUzione 40

codice di Tischendorf (Γ) conservato in parte presso Biblioteca statale di pietroburgo e in parte alla Bodleian Librar di oxford (X secolo)

manoscritto Greco 14 (33), in minuscolo, della Bibliothèque nationale di parigi (iX secolo);

manoscritto Gruber 152 (1424), in minuscolo, conservato pres-so la Lutheran school of theology di Chicago (iX-X secolo).

La dizione «testo bizantino» indica quello riportato dalla maggioranza dei manoscritti esistenti; essa viene usata perché si tratta del testo adottato dalla Chiesa di Bisanzio a partire dal iV secolo.Latini

Codice di Bobbio (k) conservato alla Biblioteca nazionale di torino (iV-V secolo)

Codice Colbertinus 4051 (c), conservato nella Bibliothèque nationale di parigi (Xii-Xiii sec.).

BiBLioGraFia

CommentialbrIght W.F. – Mann C.S., Matthew. A New Translation with

Introduction and Commentary, Doubleday, new York 1971.davIeS W.D. – allISon D.C., A Critical and Exegetical Commen-

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