Le foreste della Pianura Padana - Orobievive · 2016-12-06 · 12 13 GOITO MARMIROLO PORTO...

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Le foreste della Pianura Padana

Q UA D E R N I H A B I TAT

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Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del TerritorioMuseo Friulano di Storia Naturale · Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

“Le Foreste della Pianura Padana - Un labirinto dissolto”a cura di Sandro Ruffo

testi diFrancesco Bracco · Silvano Marchiori · Franco Mason · Adriano Zanetti

con la collaborazione diGiovanni Boano · Gabriella Buffa · Giovanni B. Delmastro · Luca Lapini · Giuseppe Muscio · Mauro Rottoli

illustrazioni e rielaborazioni diRoberto Zanella tranne 81 (Franco Mason)

progetto grafico diFurio Colman

foto diArchivio Bosco delle Sorti della Partecipanza 93, 101Archivio Corpo Forestale dello Stato, Verona 106Archivio Museo Friulano di Storia Naturale 26, 29/1, 32, 33, 36, 37, 39, 40, 41, 43, 45, 46, 47, 56, 57, 83/1Mauro Bertossi 67Compagnia Generale Ripreseaeree, Parma, 90, 144-145Andrea dall’Asta 51, 61, 63Giovanni B. Delmastro 100, 109, 112Luigi Felcher 65/1, 66Carlo Guzzon 68Luca Lapini 64, 69, 72, 73, 75Giuliano Mainardis 50, 54, 55, 58/2, 59Franco Mason 13, 14, 15, 22, 74, 94, 98, 99, 103, 104, 105, 107, 110, 111, 115, 117, 119, 120, 124, 125,130, 142, 148Giuseppe Muscio 29/2, 121Ivo Pecile 87Francesco Sguazzin 48, 76, 135, 141Fabio Stergulc 11, 77, 78, 83/2, 84, 88, 128Roberto Zucchini 58/1, 65/2, 140

©2001 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine©2002 · 1a ristampa

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 02 6

In copertina: Area di risorgiva e bosco planiziario, Pianura Padana (foto Fabio Stergulc)

Q UA D E R N I H A B I TAT

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I TO R I O

M U S E O F R I U L A N O D I S TO R I A N AT U R A L E • C O M U N E D I U D I N E

Le foreste della Pianura PadanaUn labirinto dissolto

Agli occhi del viaggiatore che si trova oggi a percorrere la PianuraPadana si aprono paesaggi caratterizzati da ampie distese aperte ecoltivate, nuclei rurali, aree densamente abitate e centri industriali.È questo uno scenario ove, con rare eccezioni, l’impronta dell’uomorisulta marcata e profonda, a scapito di una Natura alla quale vieneconcesso sempre meno spazio.Ma qual era l’aspetto della Pianura Padana prima che l’uomo lamodificasse radicalmente? Un intervento che è iniziatoblandamente 7000 anni fa, quando la necessità di disporre di spaziaperti per la nascente agricoltura spinse le comunità umane adiradare la copertura forestale, ma da allora non si è più arrestato,intensificandosi in epoca romana per riprendere con maggior vigorea partire dall’anno Mille.Del verde mantello che copriva originariamente questa regionegeografica ci restano ora solo alcuni brandelli: i boschi planiziari.Essi non ci sono giunti integri, o in buono stato, ma hanno subitosfruttamenti, trasformazioni e aggressioni di ogni tipo che, in alcunicasi, sono tuttora in atto. Ciononostante alto è il loro valore: nonsolamente naturalistico, in quanto habitat di specie animali evegetali di elevato interesse biogeografico, ma anche piùampiamente culturale, come testimoni degli eventi storici chehanno plasmato il paesaggio della Pianura Padana che noiconosciamo.La pubblicazione di questo volume dei Quaderni Habitatrappresenta una importante occasione per fare il punto sulleconoscenze relative a questi ambienti e per proporre una visionepiù moderna e armonica di selvicoltura naturalistica, che vede ilbosco non solo come fonte di produzione legnosa ma come unecosistema complesso il cui delicato equilibrio è reso ancor piùprecario dalle ridotte dimensioni di questi ultimi lembi delle grandiforeste che migliaia di anni fa coprivano la Pianura Padana.

Alessandro La PostaServizio Conservazione della NaturaMinistero dell’Ambiente

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Francesco Bracco · Franco Mason

Aspetti floristici e vegetazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

Francesco Bracco · Silvano Marchiori

Aspetti faunistici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

Adriano Zanetti

Problematiche di conservazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

Franco Mason

Didattica nei boschi planiziari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

Franco Mason

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

IndiceQuaderni habitat

1Grotte efenomenocarsico

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

6La macchiamediterranea

7Coste marinerocciose

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

12I prati aridi

13Ghiaioni erupi dimontagna

14Laghettid'alta quota

15Le faggeteappenniniche

IntroduzioneFRANCESCO BRACCO · FRANCO MASON

Area con acque stagnanti nel Bosco di Muzzana (Friuli)

Il bosco è oggi idealmente associato ad ambienti di montagna o di collina. Col-legamento non casuale poiché il “paesaggio orizzontale” che caratterizza laPianura Padana non evoca certo il mosaico di intricate foreste naturali e diacquitrini dell'epoca preromana, piuttosto monocolture agrarie ed inquinateconcentrazioni urbane.A questo proposito va ricordato che nella sola Lombardia risiedono otto milionie ottocentomila abitanti, il 65% dei quali in pianura, e che in essa si concentraun quarto del prodotto interno lordo italiano.L'osservazione della Pianura Padana attraverso le foto satellitari restituisce unquadro paesaggisticamente uniforme in cui solo l'addensarsi delle grandiconurbazioni, quella milanese/briantea e quella veneta ad esempio, costituisceun elemento di netta diversificazione rispetto allo sfondo generale definito dalleestensioni di colture industriali. La domesticazione del paesaggio è capillare etrova ulteriore espressione nella estensione di un reticolo di vie di comunica-zione, di variabile dimensione, densamente e ampiamente distribuito. Taleimmagine macroscopica riflette lo stato di profonda trasformazione del paesag-gio padano in cui la foresta, l'espressione vegetazionale naturale più tipica egeneralizzabile, non si manifesta ormai che in via così ridotta da apparire spo-radica ed eccezionale rispetto al contesto ambientale che l'uomo ha ridefinitocon la sua opera nel corso dei secoli.Oggi la presenza del bosco appare paradossalmente quasi estranea e risultain genere accantonata in ambiti particolari e ristretti ove la foresta è statagarantita da condizioni di tipo diverso.Un elemento di sicura difesa è rappresentato dalla presenza dei grandi fiumi lacui azione morfogenetica potente e temuta ha reso, per secoli, poco appetibilile terre prossime alle sponde, sulle quali colture e insediamenti umani risulta-vano minacciati continuamente dalla divagazione degli alvei. Tale fattore è sta-to poi associato o sostituito da condizioni diverse, in buona parte legate agli usicui essi venivano a essere soggetti.I boschi si sono conservati perché luoghi legati all'esercizio della caccia (adesempio buona parte del boschi della valle del Ticino e quello della Mandria), alloisir della nobiltà (il Bosco della Fontana) o ancora alla permanenza di regolee statuti di sfruttamento e gestione antichi e conservatisi nei secoli (il Boscodelle Sorti della Partecipanza di Trino). La sopravvivenza della foresta planizia-

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re insomma è dovuta a un precario insieme di fattori concorrenti naturali eantropici, tutti mutevoli nel tempo legati come sono tanto alla evoluzione dellevicende economiche e sociali, che ad un'influenza antropica progressivamentesempre più forte sui fiumi, i grandi demiurghi vendicativi, creatori del paesaggiofisico e vegetale della pianura alluvionale.Le vicende del Bosco Valdemar di Carpenedo, descritte da Susmel in “I rovere-ti di Pianura della Serenissima”, costituiscono uno degli innumerevoli esempi didistruzione del bosco planiziario. In questo bosco, dal 1747 ad oggi, la superfi-cie si è contratta, dagli oltre cento originari, a soli due ettari a stridente e peno-so sfondo del traffico della tangenziale di Mestre ! Drammaticamente veloce è stata anche la scomparsa delle foreste di cacciadei Gonzaga di Mantova, che solo nel 1500 si estendevano su circa 2.000 etta-ri nei pressi del comune di Marmirolo. Le tappe della loro frammentazione sonostate ricostruite a partire dal 1776 fino ad oggi anche in termini quantitativi. Una

1312

GOITO

MARMIROLO

PORTO MANTOVANO

GOITO

MARMIROLO

PORTO MANTOVANO

GOITO

MARMIROLO

PORTO MANTOVANO

5 km0

N

1776

1860

1996

Frammentazione escomparsa del boscodai comuni di Goito,Porto Mantovano eMarmirolo (Mantova).Oggi in questi territorisopravvive il soloBosco della Fontana

Area di margine boschivo

1514 simile rappresentazione è fornita anche da Paiero per la Pianura Friulana traIsonzo e Tagliamento, passando attraverso tre date: 1816 (4.986 ettari), 1917(2.080 ettari) e 1962 (786 ettari). Per concludere il già tristissimo quadro, bastiricordare che solo nel 1893, quindi in tempi non molto lontani, è stato propostodi applicare al Bosco della Fontana un dettagliato progetto di “Riduzione a col-tura ordinaria”, fortunatamente mai attuato.L’erosione delle aree forestali della Pianura Padana è però ripresa successiva-mente e continua subdolamente ancora oggi con la scomparsa delle piccoleareole forestali e della rete dei filari campestri di querce non censite e quindinon tutelate pubblicamente, fenomeno da ascrivere una volta di più all'indiffe-renza e all’insofferenza dei moderni agricoltori industriali nei confronti dellavegetazione forestale, a tutti gli effetti “concorrenziale” rispetto alle più redditi-zie colture agrarie.

I piccolissimi boschi relitti come Tetti Girone (Vigone, Torino) sono inesorabilmente minacciati di definitivascomparsa; area dopo area, sono sottoposti ad erosione (sopra) ed isolamento (a sinistra)

■ Paesaggio e vegetazione forestale Padana: profilo storico ed evolutivo

La vegetazione forestale oggi più ubiquitariamente diffusa nella Pianura Pada-na è costituita dai saliceti a salice bianco (Salix alba). Questi trovano spazio aridosso del fiumi ove ancora il condizionamento morfogenetico, in termini dierosione e deposizione, risulta regolarmente presente su base stagionale. Essiquindi, appartenendo al paesaggio vegetale planiziare, sono vincolati agliapparati alveali del fiumi, risultando perciò emarginati dall'ambito della vera epropria pianura alluvionale dei fondivalle e dei terrazzi. Quali caratteristichepossedeva allora la grande foresta che occupava tali estensioni prima delle tra-sformazioni impresse dall'uomo al paesaggio della Pianura Padana? Informazioni in merito possono essere rintracciate a diverso livello temporalenelle testimonianze fornite dai pollini conservatisi nei sedimenti e, relativamen-te a un’epoca più recente, nelle testimonianze storiche fornite dagli autori anti-chi. La palinologia in particolare ci può rendere conto di quale fosse lo statodella vegetazione forestale dopo le crisi glaciali della prima parte del Quater-nario: in base ai dati raccolti si tende a collocare l'affermazione della forestamista di querce, unitamente ad altre essenze forestali in rapporto alle variabilicondizioni di disponibilità idrica e prossimità ai fiumi, tra l'inizio del periodoboreale (6800-5500 a.C. circa) e il periodo atlantico (5500-2500 a.C.), in corri-spondenza rispettivamente della manifestazione delle culture mesolitica e neo-litica. Secondo le interpretazioni attuali tale foresta venne costituita con entitàche nella Pianura Padana erano già presenti nella foresta colchica (il terminederiva da Colchide, un territorio dell’Asia Minore) nel periodo interglaciale pre-cedente l'ultima glaciazione (Würm) e sopravvissute a quest'ultima crisi clima-tica. La foresta decidua mesofila attuale della Pianura Padana risulterebbeun'espressione relittuale di quella già esistente nell'interglaciale Riss-Würm,ma impoverita per la scomparsa di entità come Abies nordmanniana e Zelkovaallora presenti.In epoca preromana la pianura era occupata da grandi foreste in cui dominava-no le querce, gli olmi e i tigli. Polibio nel Il secolo a.C. descrive, sia pure in viaindiretta facendo riferimento alla produzione di ghiande, un paesaggio di que-sto tipo, in cui però nota la presenza di aree intensamente coltivate con abbon-dante produzione di messi. Dai molti accenni in vari autori si raccolgono

17Aspetti floristici e vegetazionaliFRANCESCO BRACCO · SILVANO MARCHIORI

I boschi planiziari dell’area di San Giorgio di Nogaro (Udine) nel secolo XVII

comunque informazioni in merito all'esistenza di grandi estensioni forestaliquali la Selva Litana, presso Bologna, e la Selva Lupanica tra Isonzo e Liven-za, confinante a ovest con la Selva Fetontea che si estendeva verso Altino.Ancora sono segnalate la Selva Lugana presso Peschiera del Garda e la SelvaPaludosa di Modena. Se pure ampiamente diradate a scopo agricolo, tali selvepermasero con estensioni assai ampie presso le vie consolari, così da condi-zionare le vicende militari anche in epoca imperiale.Virgilio, con numerose cita-zioni di essenze forestali, ci dà ancora qualche indicazione sulla composizionedelle foreste ripariali (salici, pioppi, ontani) mentre meno immediata è la perce-zione della composizione delle foreste sulla pianura alluvionale, per la tenden-za a raccogliere sotto lo stesso nome le essenze produttrici di frutti utilizzabiliquali ghiande e faggiole. Oltre alle querce, sicuramente in primo luogo la farniae poi cerro e rovere, era presente probabilmente il faggio per quanto la suaattuale assenza dal contesto padano rende difficile definirne il ruolo effettivo.L'uso del bosco in epoca romana risulta assai articolato identificandosi infatti lasilva caedua, il bosco ceduo, in opposizione alla silva incaedua, mantenuta adalto fusto. Esistevano anche la silva palaris, il bosco da pali, e la silva fructiferaseu glandaria di querce e forse faggi, destinata all'alimentazione dei suini. Unelemento di conservazione fu la destinazione di alcuni boschi al culto pubblicoo privato (boschi sacri e boschi religiosi). Il quadro della vegetazione forestalesubì però ampie variazioni in funzione della colonizzazione e soprattutto dellacenturiazione che implicava la bonifica e la distribuzione delle terre. Le neces-sità finanziarie dell'impero implicarono poi la confisca e la successiva rivenditadei boschi sacri e religiosi cui venne inferto un grave colpo con l'editto di Teo-dosio che, alla fine del IV sec. d.C., proibì il culto degli alberi e ordinò l'abbatti-mento dei boschi sacri.

Con la fine dell'Impero Romano le estensioni forestali andarono incontro pro-babilmente a una certa espansione, specie in prossimità dei grandi fiumi, per laregressione delle colture. Con l'arrivo dei Longobardi il manto forestale subìuna nuova degradazione per la mancanza di norme gestionali e l'introduzioneindiscriminata del diritto di taglio (jus lignandi). Migliore risultò invece la situa-zione sotto la dominazione franca in cui il bosco, come supporto necessarioall'esercizio della caccia, venne difeso mediante la nomina di nobili responsabi-li dell'amministrazione e della gestione delle foreste. In tutto il Medioevo all'e-sercizio della caccia si associò l'uso delle foreste per il pascolo dei suini, anchecon effetti di sovrapascolamento, e spesso nell'ambito delle grandi proprietàdegli enti religiosi vennero intraprese iniziative di disboscamento su superficiabbastanza ampie.Dal IX sec. d.C. in poi la presenza della foresta andò contraendosi con conti-nuità sino all'epoca attuale e ciò risultò particolarmente veloce nella pianuracentro-occidentale ove anche le aree palustri vennero utilizzate per le marcite ole risaie. Nella Pianura Veneta, viceversa, la Repubblica di Venezia compresel'importanza strategica del bosco sia quale fonte di legname da costruzione perle navi o le palafitte utilizzate per le fondazioni nella città di Venezia, che per ilcontrollo del territorio e la prevenzione del sovralluvionamento delle lagune. Aciò si deve l'emanazione di una complessa serie di norme la cui applicazione

1918

30 m

20 m

10 m

2 m

Una sezione realistica di un querco-ulmeto della Valle del Ticino. Gli alberi dominanti sono farnia, piopponero e olmo; di quest’ultimo esistono individui morti per grafiosi. Nella radura a destra dominano il meloselvatico ed arbusti di nocciolo

Il sistema di diradamento delle foreste di pianura operato dai primi agricoltori del Neolitico

2120

Negli anni ’50, Pignatti ha definito lavegetazione originaria della pianuraPadana come Querco-Carpinetumboreoitalicum. Tale termine è stato ela-borato sulla base del confronto tra iboschi residui padani e le foreste cen-troeuropee.Il querco-carpineto, il bosco compostoin predominanza dalla quercia, in parti-colare la farnia (Quercus robur s.s.), e ilcarpino bianco (Carpinus betulus) costi-tuirebbe la formazione climacica, quellache dovrebbe ancor oggi diffondersi inpianura una volta abbandonati i coltivi.I dati pollinici (derivati dallo studio deipollini) e antracologici (derivati dallostudio dei carboni di legna negli scaviarcheologici) si discostano da questaipotesi, soprattutto per quanto riguardail periodo cosiddetto Atlantico (ca. 5500-2500 a.C.). In questa fase climatica, chegrossomodo coincide con la nascita e losviluppo dell’agricoltura in Italia (Neoliti-co), le temperature non differivanosostanzialmente da quelle attuali: lavariazione della vegetazione sembraquindi dovuta a fattori diversi.Agli inizi del Neolitico, nei siti padani edella Pianura Friulana, la quercia èeffettivamente predominante, ma il car-pino è decisamente subordinato o addi-rittura assente.Oltre alla quercia abbondano il frassino(Fraxinus spp.) e l’acero (Acer sp.), iltiglio (Tilia sp.) è segnalato costante-mente nelle analisi polliniche, l’olmo(Ulmus sp.) sembra avere una maggioreimportanza nella pianura emilianarispetto alla pianura a nord del Po.Per tutto il Neolitico l’importanza delcarpino è ridotta; comincia a diffondersinell’età del Bronzo, spesso in concomi-tanza con il declino dell’acero e del fras-sino.I dati antracologici, e la percentuale del-le piante arboree nei diagrammi pollini-ci, sono efficaci indicatori del progressi-vo effetto dell’attività antropica sulle for-

mazioni forestali. Gli inizi dell’agricoltu-ra, ma soprattutto la sua intensificazio-ne nell’età del Bronzo - con l’invenzionedell’aratro e la comparsa di un’attrezza-tura più efficace - portano ad una rapidadiminuzione delle superfici forestali; l’a-prirsi di grandi radure favorisce l’aumen-to di specie lucivaghe, come il nocciolo(Corylus avellana), il biancospino (Cra-taegus sp.) e le piante da frutto (meli epruni, Malus sp., Prunus spp.).Questo aspetto, nei carboni di legna,risulta particolarmente amplificato dauna scelta che predilige il legno di pian-te alimentari, spesso ottime anchecome combustibile. L’attività antropicanon solo determina questi effetti piùmacroscopici, ma probabilmente modifi-ca anche la vegetazione forestale insenso stretto.Sarebbe così interpretabile la diffusionedel carpino e il costituirsi di quell’aspet-to della vegetazione intuito da Pignatti.Lo stesso autore ci fornisce la chiaveinterpretativa del fenomeno quandodescrive il carpino come una specie pio-niera, diffusa soprattutto nei boschi gio-vani sottoposti a ceduazione, che tendea ridursi quando i boschi diventano piùmaturi.La storia più recente della vegetazioneforestale, sulla base delle indaginiarcheobotaniche, indica l’affermarsi delquerco-carpineto in senso stretto intor-no al primo millennio a.C.Nell’età del Ferro e in età romana, ten-dono a scomparire quegli elementi resi-duali che fornivano una maggiorevarietà alla foresta planiziare. Il faggio(Fagus sylvatica), ancora presente inlocalità di pianura nell’Atlantico, scom-pare progressivamente; l’abete bianco(Abies alba), segnalato nell’alta pianurain diversi siti neolitici, si sposta insiemeal faggio a quote più elevate. Si accre-sce l’importanza dell’olmo (Ulmus sp.),forse in rapporto ad un suo maggioreimpiego come materiale da carpenteria.

Composizione della vegetazioneforestale della Pianura Friulana nelNeolitico antico, in base alle indaginiantracologiche.Le specie forestali più rappresentatesono le querce, l’acero e i frassini.È assente il carpino. La preponderanzadi melo, pero o biancospino, legata aduna selezione attiva dell’uomo, indica lapresenza di ampie radure aperte nellaforesta per coltivare i primi campi.Il ritrovamento di qualche carbone di vitesilvestre indica un inizio di interesseverso questa specie, che verràsottoposta a coltura solo nelI millennio a.C.

Composizione della vegetazioneforestale della Pianura Lombardanell’età del Bronzo, in base alle indaginiantracologiche. Le querce sono ancoradominanti, i frassini scarseggiano,l’acero è assente. Il carpino è presente: ipollini ne indicano un’importanza moltomaggiore di quanto segnalato daicarboni di legna. L’olmo è in nettacrescita. Durante l’età del Bronzo, intutta l’Italia settentrionale, il corniolo(Cornus mas) è sottoposto ad intensacoltura, forse per ricavare una bevandadalla fermentazione dei frutti. Il pino,assente nei pollini, è quasi certamentespecie importata dalle montagne.

Indagini archeobotaniche e ricostruzione delle antiche foreste Mauro Rottoli

melo, pero, biancospino . . . .35,64%quercia . . . . . . . . . . . . . . . . .28,09%frassino . . . . . . . . . . . . . . . . .17,62%acero . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12,98%pioppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2,12%nocciolo . . . . . . . . . . . . . . . . .1,49%pruno . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1,10%faggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,47%vite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,16%olmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,16%spinocervo . . . . . . . . . . . . . . .0,16%corniolo . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%carpino . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%salice . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%pino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%ontano . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%ligustro . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%

melo, pero, biancospino . . . .12,24%quercia . . . . . . . . . . . . . . . . .52,86%frassino . . . . . . . . . . . . . . . . . .3,13%acero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%pioppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,52%nocciolo . . . . . . . . . . . . . . . . .1,30%pruno . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%faggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,00%vite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,78%olmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9,11%spinocervo . . . . . . . . . . . . . . .0,00%corniolo . . . . . . . . . . . . . . . . .12,50%carpino . . . . . . . . . . . . . . . . . .3,13%salice . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1,56%pino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1,56%ontano . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1,04%ligustro . . . . . . . . . . . . . . . . . .0,26%

Si fanno strada progressivamente lespecie coltivate. A partire dall’età roma-na, il castagno (Castanea sativa), giàpresente in ristrette stazioni di rifugio,viene estesamente coltivato in pianura enelle basse montagne.L’aumento progressivo dell’importanza

dei pioppi (Populus ssp.), dei salici (Salixspp.) e degli ontani (Alnus glutinosa/incana), indica una rapida riduzione del-l’area di foresta mista in pianura, e unmaggiore utilizzo delle ristrette forestegolenali.

Sammardenchia-Cûeis(Pozzuolo, Udine)

Castellaro del Vhò(Piadena, Cremona)

divenne però sempre meno rigorosa a partire dalla fine del sec. XVII, inne-scando quindi un processo di drastica riduzione delle superfici boscate.All'epoca attuale tale contrazione della foresta da un lato risulta tendenzial-mente bloccata dalla tutela cui le estensioni residue sono soggette per la istitu-zione di parchi e aree protette; è però anche vero che la sempre maggior regi-mazione dei corsi d'acqua e il conseguente più esteso utilizzo agricolo dellegolene fluviali rende progressivamente sempre più precarie le condizioni diconservazione soprattutto delle estensioni forestali minori o frammentarie cheproprio in tali ambiti si vedevano garantita una collocazione.

■■ Il contesto fitogeografico

Lo studio botanico dei boschi della Pianura Padana ha suscitato discussioni percirca mezzo secolo: le dimensioni del problema (una superficie di circa 50.000kmq) e la ristrettezza degli esempi sopravvissuti hanno condotto ad una visionegenerale di questa vegetazione probabilmente realistica, ma contemporanea-mente ricca di questioni aperte.Il primo elemento chiave è la frammentazione della copertura forestale, che nel-l’arco di tutta la Pianura Padano-Veneta presenta ormai pochissimi esempi, spe-cie se si considerano le estensioni maggiori e si escludono, come nel nostrocaso, quelle più diversificate dal tipico contesto alluvionale, quali i boschi ripariali

o paludosi e le vegetazioni forestali collocate sui rilievi dunali e paleodunali del-la costa adriatica. Va anche ricordato che la copertura forestale potenzialmenteesistente, se pure in riferimento ai soli ambienti mesofili, non risulta omogeneaper tutta l’estensione della pianura; si può infatti in prima approssimazionedistinguere su base geomorfologica la fascia di alta pianura impostata su sedi-menti fluvioglaciali prewürmiani alterati (ben riconoscibile soprattutto in Piemon-te e Lombardia) dall’ambito di deposizione più recente, würmiana e postglacia-le, che comprende il piano generale terrazzato della pianura e i fondivalle deigrandi solchi fluviali che lo incidono. In entrambi i casi la ricostruzione precisadella coltre forestale non è semplice, ma va sottolineato come la stragrandemaggioranza dei boschi esistenti si trovi negli ambienti del secondo tipo, piùigrofili per il livello di falda più prossimo alla superficie e meno acidofili per laminore alterazione dei suoli.Lo stato naturale della vegetazione nell’alta pianura risulta quindi un problemafitogeografico non completamente risolto: alle condizioni imposte da uno sfrutta-mento territoriale antico e pesantissimo si associano infatti la presenza di vege-tazioni inconsuete nel paesaggio italiano, quali le brughiere, e l’importante ruoloforestale di entità di discusso indigenato in loco come il pino silvestre (Pinus syl-vestris). La descrizione della vegetazione forestale della Pianura Padanaseguirà quindi prevalentemente gli esempi relativi alle vegetazioni forestali dellabassa pianura.Nella Pianura occidentale le estensioni di interesse maggiore sono quelle de LaMandria presso Torino e del Bosco della Partecipanza di Trino Vercellese. Acavallo tra Lombardia e Piemonte si estendono le residue foreste della valle delFiume Ticino, costituenti il complesso boschivo maggiore della pianura che,sempre nella zona pavese, giunge con frammenti anche presso il fiume Po. Lapianura lombarda ospita lungo i corsi di Adda e Oglio estensioni ridotte di boscoplaniziario mentre presso il Mincio all’esistenza di minuscoli residui di boscoposti lungo il fiume si accompagna l’importante presenza del Bosco della Fonta-na poco a Nord-Ovest di Mantova.Nella pianura a sud del Po vi sono pochi esempi di vegetazione forestale plani-ziaria e può valere quale riferimento la Foresta Panfilia localizzata in fregio albasso corso del fiume Reno. Ristretti ma significativi sono gli esempi di vegeta-zione forestale della Pianura Veneta e in Friuli: alle spalle della Laguna di Mara-no, la bassa pianura ospita un complesso di aree forestali, non esteso ma digrande rilievo, in quanto dal suo studio è iniziata, circa mezzo secolo fa, l’analisidella foresta planiziaria padana attuale.Una prima chiave di lettura della vegetazione forestale planiziaria risiede nell’a-nalisi della sua composizione floristica e, in particolare, nell’esame delle sueproprietà corologiche. Il termine corologia definisce la disciplina geobotanicache studia la distribuzione geografica delle specie e delle altre categorie tasso-

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Sottobosco a campanelle invernali (Leucojum vernum)

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Con il termine di Pianura Padana si indivi-dua la vasta area pianeggiante, dalla for-ma vagamente triangolare, che si esten-de fra Alpi, Appennino settentrionale emare Adriatico, comprendendo così nonsolo il vasto bacino del fiume Po, maanche quelle che vengono definite comePianura Veneta e Friulana, nelle qualiscorrono fiumi anche di un certo sviluppo(Adige, Piave, Tagliamento, Isonzo).La Pianura Padana rappresenta la testi-monianza attuale dell’ultima grandeingressione marina nell’area che oggicostituisce la penisola italiana: durante lefasi più intense dell’Orogenesi Alpina siforma un vasto golfo che si estende fra irilievi alpini e quelli dell’Appennino Tosco-Emiliano.Alla fine del Cenozoico i sedimenti che sioriginano dal disfacimento delle catenemontuose in sollevamento vanno a riem-pire, gradualmente, questa insenatura: sitratta soprattutto, per la fascia più orienta-le, di depositi marini arenaceo-argillosimentre nella zona occidentale prevalgonoi depositi di tipo fluvio-lacustre.L’emersione della Pianura Padana avvie-ne nel Pleistocene medio-superiore(quindi meno di 2 milioni di anni fa),anche se possono ancora verificarsi brevie territorialmente limitate fasi di ingressio-ne marina.Con l’emersione viene a formarsi un reti-colo drenante che fa assumere all’areapadana un aspetto simile a quello attuale;l’altro elemento che, a grande scala, hadeterminato l’odierna morfologia dellaPianura Padana (ma anche dei rilievi alpi-ni che la circondano) è l’azione dei ghiac-ci durante il susseguirsi, nel Quaternario,delle fasi glaciali e dei successivi postgla-ciali. Negli ultimi milioni di anni il susse-guirsi di variazioni climatiche, legate inparte a fattori astronomici, ha infatti com-portato l’alternarsi di fasi più calde e piùfredde: durante queste ultime le tempera-ture medie più basse erano solo di pochigradi (4°-6°) inferiori all’attuale ma ciò era

sufficiente a mantenere una enormedistesa di ghiacci che copriva tutte la vallialpine, con spessori a volte superiori ai1000-2000 m. Minime variazioni delletemperature portavano a fasi di espansio-ne o di ritiro dei ghiacci con conseguenteazione erosiva o di deposito.Nella Pianura Padana sono presentidepositi glaciali connessi alle varie fasiGunz, Mindel, Riss e, soprattutto, Würm.Per quest’ultima fase glaciale il massimoavanzamento si verifica circa 30-40 milaanni fa e viene a coprire, quasi sempre,anche i depositi legati alle glaciazioni pre-cedenti.Questi depositi sono rappresentatisoprattutto dai livelli fluvio-glaciali colle-gati al postglaciale würmiano (il ritiro deighiacci si avvia in maniera marcata circa15-10 mila anni fa): è in questo periodoche si formano gli attuali bacini idrograficiche trasportano verso valle i prodotti dellosmantellamento delle catene montuose.Si tratta di ampie conoidi formate daidepositi più grossolani nelle aree più vici-ne ai rilievi e più fini man mano che il pen-dio dell’alveo diminuisce e ci si avvicina almare o, nel caso specifico, a quel grandecollettore di acque che è il fiume Po. I fiu-mi divagavano nell’ampia pianura da lorostessi originata, spostandosi continua-mente, formando nuovi alvei, abbando-nando meandri, modificando più volte ilproprio letto.Rilevante, nel determinare le caratteristi-che della pianura, è il ruolo delle litologiepresenti nelle aree montuose con unaevidente differenziazione fra la catenaalpina, in cui dominano i depositi carbo-natici e magmatico-metamorfici, comun-que più resistenti e che quindi danno ori-gine a granulometrie maggiori, e quellaappenninica che presenta litologie arena-ceo-marnose le quali, disgregandosi, pro-ducono sedimenti piuttosto fini. Non vapoi dimenticato che mentre l’area alpinaha subito fortemente l’azione modellatri-ce dei ghiacciai quaternari, altrettanto

L’origine geologica della Pianura Padana Giuseppe Muscio

Estensione di mare e terre emerse, in confronto con l’attuale linea di costa italiana, durante il Pliocene(sopra) ed all’acme della glaciazione würmiana (sotto), quando tutta l’area nord adriatica era emersa

non è avvenuto per l’area appenninica.Anche la composizione litologica delleghiaie e delle sabbie che formano la pia-nura alluvionale dipende ovviamente dal-le rocce che costituiscono le aree ove ifiumi esplicano al loro attività erosiva.Nella Pianura Veneto-Friulana sono pre-valenti le litologie calcareo-dolomitiche(nelle aree montane sono diffuse diverserocce sedimentarie, ma quelle arenaceenon sono particolarmente resistenti al tra-sporto).Analoghe sono le caratteristiche litologi-che della Pianura Lombarda, mentre ibacini che fanno capo all’Adige ed all’a-rea piemontese presentano anche

abbondanza di rocce magmatiche emetamorfiche, spesso molto resistenti. Imateriali più fini sono prevalentementesilicei in quanto è questo il più diffusominerale resistente all’erosione.Questa differenza di substrato litologicocomporta una diversificazione nei suolipresenti: essi sono infatti il risultato delladecomposizione e trasformazione deisubstrati presenti con la successivamigrazione ed accumulo di sostanzeminerali ed organiche. A parità di altrecondizioni (soprattutto climatiche) ladiversità di substrato implica nei suoli ilvariare di parametri quali acidità o alcali-nità, permeabilità, ecc.

nomiche. Dall’analisi di queste si rica-vano informazioni in merito all’esisten-za di territori floristicamente omogeneie ai processi che hanno portato allacostituzione della flora in termini dimigrazione e di evoluzione.In particolare la distribuzione geografi-ca delle specie è stata descritta secon-do i gruppi corologici, il cui significato èquello di raggruppare all’interno dellastessa categoria le entità il cui territoriodi diffusione, o areale, tende ad esserecoincidente. Deve essere rilevato comela vegetazione forestale planiziaria nonpresenti entità di elevato valore fitogeo-grafico in assoluto, nel senso che que-sto viene attribuito a organismi ad area-le molto ristretto (entità stenoendemi-che) che costituiscono quindi elementidi biodiversità insostituibili, univoca-mente legati a quel territorio particolare.Viceversa la vegetazione forestale dellapianura tende ad essere dominata dagruppi corologici le cui entità presenta-no areali di dimensioni subcontinentalie quindi abbastanza ampie. È interes-sante però l’assortimento dei gruppicorologici che, almeno in parte, puòrendere conto della storia biologica ditale vegetazione e del contesto fitogeo-grafico in cui si situa. Bisogna ricordarecome nell’evoluzione degli studi fitogeo-grafici la Pianura Padana sia stata fattaricadere di volta in volta in ambiti diver-si. Le tendenze sia pure estremizzate esemplificate sono due: considerarel’ambito padano come estensione diquello continentale, proprio alla partecentro orientale del continente europeo,o viceversa ritenerlo in continuità con ilbacino del Mediterraneo cui si lega per

la collocazione a sud delle Alpi. Come èragionevole aspettarsi, l’originalità bio-logica della Pianura Padana sta proprio,in quanto zona di transizione, nel cumu-lare elementi diversi e permetterne laconvivenza. Prevalgono in particolare leentità di collocazione francamente tem-perata e tra esse hanno un ruolo parti-colarmente importante le specie adareale europeo ed europeo-caucasicoquali, ad esempio, palèo silvestre (Bra-chypodium sylvaticum), mughetto (Con-vallaria majalis), sanguinello (Cornussanguinea), nocciolo (Corylus avella-

na), fusaggine (Euonymus europaeus), geranio di S. Roberto (Geranium rober-tianum) e ultima, ma certo non meno importante, farnia (Quercus robur). Questeda un lato ci informano, insieme alle specie con areale a gravitazione centroeu-ropea quali il carpino bianco (Carpinus betulus), del fondamentale caratteretemperato-continentale di questa vegetazione, ma contemporaneamente ciricordano l’origine fitogeografica lontana di questaformazione forestale nella foresta colchica, cheappunto prende il nome dalla Colchide situata sul-le rive sud-orientali del Mar Nero. Il contesto fito-geografico viene comunque ulteriormente precisa-to dall’esistenza di almeno altre due componenticorologiche significative: quella legata al bacinodel Mare Mediterraneo e quella di carattere sud-esteuropeo-balcanico. Il primo gruppo può essererappresentato ad esempio da specie quali tamaro(Tamus communis) e pungitopo (Ruscus aculea-tus), mentre il secondo comprende ad esempio fal-sa ortica maggiore (Lamium orvala) e frassinomeridionale (Fraxinus oxycarpa). Va da sè che,considerata la grande estensione della PianuraPadano-Veneta in direzione Est-Ovest e il fatto cheessa si apra al mare solo ad oriente sulla costieraadriatica, i due ultimi contingenti corologici, al con-trario dei primi, non risultano distribuiti omogenea-mente ma tendano piuttosto a gravitare nelle for-mazioni forestali della pianura nord-orientale. Que-sta considerazione può permettere di formulare

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Fusaggine (Euonymus europaeus)

Sanguinello (Cornus sanguinea)

Mughetto (Convallaria majalis) Nocciolo (Corylus avellana)

Palèo silvestre(Brachypodium sylvaticum)

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qualche ipotesi in merito ad una possibile articolazione della copertura forestalerimasta in tipi tra loro vicarianti secondo un gradiente Est-Ovest, che potrebbeanche venir confermata dalla variabile composizione dei sedimenti costituenti lapianura, di natura francamente calcarea a oriente e alquanto impoveriti dellacomponente carbonatica ad Ovest.Un’ultima considerazione di carattere generale. Pur avendo precisato il limitedella trattazione presente, bisogna comunque rilevare come la generalità deglistudiosi di vegetazione riconosca all’interno della vegetazione forestale meso-fila e meso-igrofila della pianura due grandi ripartizioni in linea di larga massi-ma riconoscibili in funzione del ruolo delle tre essenze forestali principali dellaforesta planiziaria: la farnia, il carpino bianco e l’olmo campestre (Ulmusminor). Le prime due si associano, con molte altre entità, a formare i querco-carpineti che esprimono, secondo un modello generalmente valido per tutto ilcontinente europeo, la vegetazione forestale stabile sui suoli alluvionali profon-di, ben provvisti d’acqua durante tutto il ciclo stagionale. Questi potrebberoessere collocati in misura prevalente sul Piano Generale Terrazzato. La farnia el’olmo campestre tendono invece a formare i querco-ulmeti in situazioni carat-terizzate da maggior presenza di acqua, dovuta alla falda più prossima allasuperficie del suolo. Una situazione in cui questo si realizza è il fondo delle val-li terrazzate incise dai grandi fiumi nella pianura; alla maggior disponibilità diacqua si associa anche la ricorrente azione del fiume che, nel corso delle eson-dazioni legate alle fasi stagionali di piena ordinaria, può invadere temporanea-

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Carpino bianco (Carpinus betulus) Farnia (Quercus robur)

Carpino bianco (Carpinus betulus)

Famiglia: Corylaceae.Albero che raramente raggiunge i 20 mdi altezza, in media i 10-12 m.Tronco: con rami ascendenti, tende aformare una chioma rotondeggiante edensa.Corteccia: liscia di color grigio cenerino(aspetto di un osso ripulito), in vec-chiaia risulta percorsa da scanalaturelongitudinali profonde.Foglie: semplici, con picciolo breve ealterne; lamina ellittica verde cupa sullapagina superiore e più chiara e opacadi sotto, con leggera peluria sulle ner-vature; queste molto pronunciate, robu-ste e fortemente anastomizzate fraloro, tanto da rendere la foglia rugosa;margine fogliare con caratteristica dop-pia seghettatura.Fiori: unisessuali, riuniti in amenti pen-duli a sessi separati portati dallo stessoindividuo.Frutti: appaiono portati da caratteristi-che brattee trilobate raccolte in infrutte-scenze pendule.Il carpino bianco ha una vasta distribu-zione nell’Europa centrale e sudorien-tale, fino al Caucaso e all’Asia minore,mentre ad occidente penetra fino aiPirenei. In Italia è abbastanza comuneal Nord, dove può salire fino ai 1000 mdi altitudine, mentre diviene raro versoSud e manca totalmente nelle isole.Specie amante dell’ombra, predilige iterreni sciolti, profondi e freschi, tutta-via, si adatta bene anche ai terrenipoveri, rivelando una buona indole pio-niera. Oltre che con la farnia e le quer-ce caducifoglie in genere, entra anchein altri consorzi boschivi collinari emontani. Soprattutto in passato, nel-l’ambito dei parchi, ha avuto un largoimpiego nella costituzione di impiantidecorativi, le carpinate, e di grandi siepitopiate, cioè potate in forme geometri-che più meno complesse.

Farnia (Quercus robur)

Famiglia: Fagaceae.Albero di altezza notevole, raggiunge i30-35 m con punte di 50, può arrivare a1000 anni di età.Tronco: diametro ragguardevole fino a 2m; legno forte e pregiato; porta ramimassicci e nodosi che terminano innumerosi rami secondari ; chioma diforma irregolare.Corteccia: grigio-scura e pruinosa, conl’età si scurisce e si fessura longitudi-nalmente.Foglie: semplici e alterne, con consi-stenza tenera, un po’ coriacea nelle piùvecchie; lamina con 4-6 lobi arrotondatiper lato; base auricolata che circonda ilbrevissimo picciolo.Fiori: con sessi separati, sono presentisullo stesso individuo; i maschili posti inamenti lassi e penduli; i femminili solita-ri o in piccoli gruppi.Frutti: le ghiande, sono attaccate, isola-te o in gruppi di 2-3, ad un lungo pedun-colo pendente (da cui il nome “querciapeduncolata” con cui spesso ci si riferi-sce a questa pianta); la ghianda è inse-rita, alla base, in una resistente cupolalegnosa, che la ricopre per circa metà.La farnia presenta un areale di distribu-zione vastissimo: Europa, Caucaso eAfrica del Nord. È frequente nell’Italiasettentrionale e centrale, mentre sirarefà verso Sud, mancando del tutto inSardegna.Molto esigente in fatto di umidità, sop-porta inverni rigidissimi e gelate tardive.Predilige i terreni freschi, ricchi, fertili eprofondi, non troppo compatti e evitanettamente i terreni alcalini.Essa rappresenta l’albero che costitui-sce il perno di tutte le formazioni fore-stali planiziari.È un albero longevo, dalla crescita len-ta, il cui legno veniva in passato utiliz-zato per la costruzione delle navi.

Carpino bianco e farnia Gabriella Buffa

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La stesura di una mappa di boschi più omeno noti e potenzialmente ascrivibili,almeno in prima istanza, ai querco-car-pineti, è un punto fermo, una primabase conoscitiva, utile almeno a fornireun’idea della diffusione ed estensionedi queste formazioni, altrimenti scono-sciute nel loro insieme. Da questa pri-ma mappa, si può comprendere come,accanto ai boschi più estesi e piùimportanti come le Sorti della Parteci-panza, la Mandria, Bosco della Fonta-na, Boschi di Muzzana, ne esistanomolti altri meno estesi ma meritevolialmeno di pari attenzione e protezione.Forse, le aree indicate non risulterannoesaustive e, a una analisi più approfon-dita di carattere geobotanico e fitoso-ciologico, non risulteranno tutte pro-priamente ascrivibili a querco-carpineti,ma ciò non è evidentemente tra gliobiettivi di questo libro. La carta vuoleinvece evidenziare l’esistenza di conte-sti territoriali in cui i querco-carpinetipossono trovare espressione ed esserequindi uno stimolo per realizzare un pri-

mo inventario complessivo e standar-dizzato dei boschi planiziari, che vadaoltre le barriere geografiche e politicheregionali, permettendo così di disporrefinalmente di un quadro completo eaggiornato. Nella carta, redatta nellaprimavera del 2000, non è compresa laForesta di Montona (Antico Bosco di S.Marco) di ha 986, oggi in Istria (Croa-zia), riprodotta qui sotto in una mappadel 1753.

I querco-carpineti planiziari Franco Mason mente i boschi con le sue acque. Naturalmente oggi l’azione di tale fattore risul-ta profondamente alterata dalla derivazione delle acque e dalla costruzione diarginature che di fatto costringono le acque del fiume all’interno di fasce gole-nali molto strette anche durante le piene. La presenza del querco-ulmeto èquindi funzionalmente legata all’esistenza del fiume, anche se è vero che, perla sua posizione più arretrata, la corrente non agisce su di esso con la stessaintensità con cui interviene sulle tipiche vegetazioni del greto quali ad esempioi saliceti a salice bianco (Salix alba). In ogni modo la sua esistenza dipende,almeno in parte, da un fattore localizzato, il fiume, più che dalle condizionigenerali del clima, che costituisce in linea di principio, la causa determinantefondamentale delle caratteristiche di struttura e composizione floristica dellavegetazione.

■ La vegetazione forestale

La descrizione puntuale in termini botanici dei boschi planiziari risente dellacondizione di frammentarietà in cui la copertura forestale della Pianura Padanarisulta ridotta; al di là quindi delle generalizzazioni già accennate un approcciorealistico richiede l’esame dei singoli casi da cui emerge l’esistenza di elemen-ti unificanti, ma contemporaneamente anche la varietà di fattori naturali e antro-pici che hanno condizionato la vegetazione e le vicende storiche che ne hannopermesso la conservazione sino alla nostra epoca.

I Boschi della Mandria. Nelle immediate vicinanze di Torino, all’interno delParco regionale della Mandria, si estende (per oltre 1 500 ettari) il frammentopiù occidentale di bosco in qualche modo assimilabile alle foreste planiziarie.La sua situazione è particolare, in quanto la sua conservazione è legata allapratica dell’allevamento dei cavalli destinati alla corte dei Savoia e ancheattualmente esso rappresenta una zona di rifugio per gli ungulati selvatici. Laconservazione della foresta e della sua espressione floristica è stata quindimolto condizionata, sia in passato che attualmente, da una frequentazione ani-male forse eccessiva. Il territorio si colloca tra la pianura sulla sinistra della Stu-ra di Lanzo e i primi rilievi collinari pedemontani incisi da impluvi. Anche in que-sto caso, come per il Bosco della Partecipanza di Trino, la vegetazione foresta-le tende ad articolarsi in funzione di situazioni differenziate per morfologia esubstrato. Riferendoci però ai boschi interpretabili quali querco-carpineti plani-ziari possiamo definire il seguente quadro vegetazionale.Gli alberi più frequenti sono farnia, carpino bianco, ciliegio selvatico (Prunusavium) e significativa è la presenza di frassino maggiore (Fraxinus excelsior),che troveremo sempre meno spostandoci verso oriente. Due entità che ci indi-cano la prossimità della vegetazione collinare sono poi rovere (Quercus

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TRENTO

VENEZIA

BOLOGNAGENOVA

MILANO

AOSTA

TORINO

FIRENZE

TRIESTE

>200 ha51-200 ha10-50 ha<10 ha

petraea) e pioppo tremolo (Populus tremula). Con un ruolo inferiore solo a quel-lo della farnia, sono presenti la robinia (Robinia pseudacacia) e la quercia ros-sa (Quercus rubra), la cui introduzione, legata a impianti eseguiti sul terrazzopiù rilevato, si è notevolmente espansa. La loro diffusione è un buon indice del-la pressione antropica esercitata sull’area, che trova anche conferma nello stu-dio fitogeografico della vegetazione forestale. Vi hanno infatti un ruolo impor-tante le specie distribuite su territori geografici molto ampi e le specie esotiche,cioè quelle estranee alla flora spontanea e quindi diffuse volontariamente oinvolontariamente dall’uomo. Entrambi i contingenti sono una espressione del-l’influenza antropica, legata all’utilizzo per scopi diversi e anche al contestoperiurbano del bosco stesso. Tra gli arbusti si notano, oltre alla presenza cherisulterà consueta di nocciolo e biancospino comune (Crataegus monogyna),numerosi individui delle specie arboree già segnalate, soprattutto carpino bian-co e robinia; vi è anche un’elevata frequenza dei rovi (Rubus hirtus, R. ulmifo-lius). Il quadro conferma la presenza di una certa discontinuità della coperturaforestale che favorisce le specie con carattere colonizzatore o meglio adattateal taglio. Nel sottobosco erbaceo si realizza una buona rinnovazione di farnia ecarpino bianco cui si associano anemone bianca (Anemone nemorosa),mughetto, palèo silvestre, sigillo di Salomone comune (Polygonatum odora-tum), felce aquilina (Pteridium aquilinum), erba lucciola pelosa (Luzula pilosa)e salvia vischiosa (Salvia glutinosa).

Il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino Vercellese e Lucedio. Puressendo la principale testimonianza di vegetazione forestale della pianura pie-montese centro-orientale (oltre 500 ettari di estensione), bisogna specificareche i boschi di quest’area si collocano in una situazione ambientale che non èassimilabile a quella della pianura alluvionale. Il bosco si sviluppa infatti su un

terrazzo morfologico che costituisce un pianalto mediamente elevato di 20-30metri sopra il livello della pianura, raggiungendo anche una elevazione di quasiuna cinquantina di metri. Si tratta di antichi depositi alluvionali formati da alter-nanze di ghiaie con livelli lenticolari di sabbie e di argille. A differenza di ciò cheavviene nel tipico contesto della pianura, i suoli hanno subito un’evoluzionemolto lunga che può essere fatta risalire almeno in parte all’interglaciale Günz-Mindel e ha comportato una forte alterazione superficiale che ha dato origine aun terreno ferrettizzato di colore rosso-bruno. Tali condizioni si riscontrano inanaloghe formazioni alluvionali dell’alta pianura e anche la vegetazione fore-stale di quest’area tende a convergere con i modelli colà esistenti. La topono-mastica locale rende conto tanto della storia molto antica di quest’area foresta-le quanto delle condizioni per cui essa ha potuto conservarsi sino ai giorninostri. Il nome “lucedio” viene fatto risalire a lucus dei, cioè bosco del dio. Sitratterebbe, quindi, di una testimonianza dell’esistenza della foresta in epocaromana, quando sarebbe stata dedicata al culto del dio Apollo. Partecipanza diTrino indica invece una forma di uso collettivo del bosco, originatasi alla fine delsecolo XIII, che ne ha permesso la sopravvivenza, anche se al prezzo di uneccessivo sfruttamento sino dall’epoca medioevale. Le intense ceduazioni delpassato sono probabilmente la causa della ridotta presenza dello strato arbo-reo e di uno sviluppo maggiore della coltre alto arbustiva. L’articolazione morfo-logica dell’area è tale per cui tendono ad alternarsi due tipi di bosco. Il primo,decisamente accantonato sulle aree più elevate, nelle esposizioni maggior-mente favorite dal punto di vista termico, si distingue in modo abbastanza net-to dal quadro dei boschi della pianura: si realizza tra gli alberi la dominanza dirovere accompagnata da farnia e carpino bianco, questo però in netto subordi-ne. Oltre alle specie nemorali frequenti in pianura come anemone bianca emughetto, vi compaiono in modo caratteristico alcune entità di impronta medi-

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Anemone bianca (Anemone nemorosa)Rovo (Rubus hirtus)Biancospino comune (Crataegus monogyna) Sigillo di Salomone (Polygonatum odoratum)

terranea quali pungitopo, erba lucciola mediterranea(Luzula forsteri) e asfodelo bianco (Asphodelus albus).Il secondo tipo di bosco rientra più propriamente nellacategoria dei querco-carpineti planiziari e occupa gliimpluvi e le aree pianeggianti. Le essenze arboree piùrappresentate sono farnia e carpino bianco, cui si associameno frequentemente il tiglio selvatico (Tilia cordata). Gliarbusti presenti sono soprattutto carpino bianco, noccioloe fusaggine. Il corteggio erbaceo comprende molte entitàricorrenti nelle foreste planiziarie come anemone bianca,mughetto, festuca dei boschi (Festuca heterophylla) ealtre proprie di questo contesto ma alquanto più rare,come la carice brizolina (Carex brizoides), o ancora lega-te alle vegetazioni forestali dei rilievi come la dentariaminore (Cardamine bulbifera). L’interpretazione di questosecondo tipo di vegetazione non è semplice in quantoassomma elementi diversi: quelli dei boschi mesoigrofilidella pianura di impronta europea con altri che richiamanoinvece la vegetazione forestale mesofila del rilievo appen-ninico. La comprensione di questa complessità è peròresa più critica dal forte impoverimento floristico che que-sta foresta ha subito nel corso dell’ultimo secolo. All’iniziodel XX secolo infatti il fitogeografo Giovanni Negri avevadescritto in un’erudita memoria la flora e la vegetazione

del Bosco della Partecipanza e questo ha permesso di evidenziare come adistanza di ottant’anni la presenza di molte specie si sia rarefatta drasticamenteo risulti addirittura azzerata. La causa di ciò è probabilmente legata al forteingresso di robinia, la cui diffusione, in entrambi i tipi di vegetazione, è statafavorita dall’eccessiva pressione di taglio. La sua affermazione tende infatti aprovocare un diradamento del sottobosco, erbaceo e basso arbustivo, in cui alpiù sopravvivono solo poche entità nitrofile (amanti delle sostanze azotate).

I boschi della Valle del Ticino. Nella Valle del Fiume Ticino, e più precisamen-te nella zona a Sud della linea congiungente Milano e Novara, è ospitata lamaggiore estensione di foresta planiziaria della Pianura Padana. Il fiume Ticinoscorre in questo tratto, limitato a meridione dalla confluenza con il fiume Po, inuna valle che appare marcatamente incisa nel piano generale della pianura.L’estensione delle aree boschive è di circa 8.000 ettari, comprese le colture dipioppo ibrido (Populus canadensis) che vi sono inframmezzate. Il suo studio,condotto parallelamente alla pianificazione dell’area protetta che oggi ne garan-tisce la conservazione (Parco Lombardo della Valle del Ticino; Parco del Ticino,

Regione Piemonte), ha condotto alla descrizione di un’as-sociazione vegetale che viene considerata rappresentati-va delle situazioni esistenti, almeno nel settore centro-occidentale della Pianura Padana: il querceto di farnia consigillo di Salomone maggiore (Polygonato multiflori-Quer-cetum roboris). Anche le estensioni forestali molto minoriesistenti lungo il corso planiziario dei fiumi Adda e Ogliorientrano in questa associazione.Questa foresta rappresenta una delle espressioni piùcomplesse della vegetazione padana e mostra una strut-tura articolata in più strati. Gli alberi hanno un’altezzavariabile tra 20 e 25 m, gli arbusti circa 7 m e i piccoli arbu-sti intorno al metro. La copertura dei diversi strati, cioè lapercentuale di superficie ricoperta dalle chiome delle pian-te, varia notevolmente e in modo inversamente proporzio-nale tra gli strati dominanti di maggiore altezza e quellidominati più bassi. Tale variabilità si associa anche ad uncerto differenziamento di condizioni ecologiche all’internodi questa associazione, che viene evidenziato attraversola descrizione di tre sottounità (subassociazioni) rispettiva-mente a olmo campestre, a carpino bianco e ad anemonebianca.Vi sono comunque caratteri comuni a tutta l’associazionee tra questi il primo è la costante presenza della farnianello strato arboreo, che tende a determinare l’aspetto complessivo della vege-tazione, cui si associa con minor frequenza il pioppo nero (Populus nigra).Vedremo che la presenza di quest’ultima specie tende a risultare più importan-te negli aspetti più umidi del querceto a sigillo di Salomone maggiore e inoltre,avendo una vocazione marcatamente pioniera e colonizzatrice, tende a veniresclusa dagli aspetti forestali più stabili. Negli strati arbustivi la nota più costan-te è la presenza del nocciolo in quantità rilevante e ai cui arbusti la ceduazionepiù spesso conferisce una tipica forma ad ombrello. Abbastanza frequenti tra gliarbusti, ma in misura nettamente subordinata, risultano anche la fusaggine e ilcorniolo (Cornus mas). Se le entità precedenti fanno tutte parte a buon dirittodella vegetazione forestale in senso stretto, va notato come tra gli arbusti com-paiano anche specie che vengono normalmente associate alla vegetazionedelle siepi o del mantello forestale, cioè della vegetazione arbustiva che si svi-luppa in condizioni naturali ai limiti del bosco definendone il confine. Tali entitàovviamente rifuggono dalle situazioni più ombreggiate e si presentano ove lacopertura degli alberi risulta ridotta. Un buon esempio è il biancospino comuneche presenta le spine, carattere comune a molti degli arbusti del mantello qua-

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Festuca dei boschi(Festuca heterophylla)

Carice brizolina(Carex brizoides)

li pruni, rovi e rose. Nel sottoboscoerbaceo le specie che meglio caratte-rizzano questo tipo di vegetazionecomprendono il mughetto, il sigillo diSalomone maggiore (Polygonatummultiflorum) e ancora l’asparago selva-tico (Asparagus tenuifolius) dal fustoramificato con caratteristici fascetti dimolti rami capillari verdi (cladodi).Si è accennato in precedenza che laforesta di quercia presenta di fatto treaspetti differenziati in termini di asset-to strutturale e di composizione floristi-ca. Tale variabilità pare connessa inprimo luogo alla disponibilità di acquagradatamente minore, legata ad unlivello progressivamente più profondo

della falda acquifera e non a diverse condizioni di esondabilità che risultanocomuni ai suoli su cui si sviluppano tutti gli aspetti dell’associazione.Nell’ambito della pianura alluvionale, su suoli sabbioso-limosi con profonditàdella falda di una quarantina di centimetri, è presente la sottoassociazione aolmo campestre. Si tratta del consorzio più favorito dal punto di vista idrico chevede affermarsi nello strato arboreo l’olmo campestre a fianco della farnia.L’olmo ha subito nel giro degli ultimi 30/40 anni numerose traversie in quantoha dovuto affrontare la comparsa di un fungo parassita specifico (Graphiumulmi) causa della grafiosi, patologia con frequentissimo esito letale. Ciò hacausato la morte degli esemplari maturi, spesso maestosi, di olmo ma non hacomportato la sparizione della specie in quanto a tale moria è corrisposta ingenere una forte rinnovazione da seme.Nello strato erbaceo questa sottoassociazione si lega alla presenza del palèosilvestre e di altre specie più marcatamente igrofile come la consolida mag-giore (Symphytum officinale) e l’erba cucco (Cucubalus baccifer). Le due sot-toassociazioni successive si situano entrambe in condizioni caratterizzate dafalda più profonda, ma sempre in grado di interagire con gli apparati radicali.La sottoassociazione a carpino bianco costituisce la foresta più ombrosa escura per la forte copertura dello strato arboreo che, grazie alla presenza delcarpino bianco, raggiunge valori superiori al 50%, quasi doppi rispetto allealtre due sottoassociazioni. A tale forte affermazione degli alberi corrispondeuna contrazione degli strati arbustivi da cui tendono a scomparire tutte le spe-cie dei mantelli forestali e delle siepi. Anche la copertura dello strato erbaceorisulta molto contenuta e vede la comparsa caratteristica della pervinca (Vinca

minor). Ultimo termine in cui risulta articolata la vegetazione è infine quellolegato alla comparsa nel sottobosco erbaceo delle spettacolari fioriture di ane-mone bianca cui si associa la minuscola moeringia a tre nervi (Moehringia tri-nervia). In questa situazione fanno nuovamente la loro comparsa gli arbusti deimantelli forestali e al biancospino si associano anche il ligustro (Ligustrum vul-gare) e il sanguinello. Vi compare purtroppo anche l’invadente robinia sia in for-ma arbustiva che arborea.La generale esondabilità dei suoli su cui si sviluppa tale vegetazione e la pre-senza di un buon numero di specie nemorali influenzate dalla falda freatica ten-dono a far ricadere tali formazioni forestali nell’ambito dei querco-ulmeti. Ècomunque vero che l’importanza assunta dal carpino bianco in almeno una del-le sottoassociazioni testimonia in modo importante la tendenza evolutiva di que-sta vegetazione verso la formazione dei querco-carpineti che costituiscono l’e-spressione forestale stabile con il significato di climax della Pianura Padana.L’importanza delle foreste planiziarie della valle del Ticino sta anche nel fatto cheesse conservano, benché su superfici ridotte, le vegetazioni forestali di contatto,insediate sulle differenti forme del paesaggio di origine fluviale che inducono unadiversificazione della vegetazione in senso igrofilo o xerofilo e infatti due sono lesituazioni tipo che troviamo descritte. Nell’ambito di quella che appare come lapianura uniforme si celano in realtà difformità di livello, legate alla presenza dimodeste depressioni o di piccoli rilievi, cui si associa anche una diversificazionedei sedimenti. La loro origine risiede nella rielaborazione del paesaggio che il fiu-me ha operato divagando naturalmente con il proprio letto.Una prima situazione è legata ai paleoalvei, cioè ai residui degli antichi canali

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Asparago selvatico (Asparagus tenuifolius) Pervinca (Vinca minor) Ligustro (Ligustrum vulgare)

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Olmo campestre (Ulmus minor)

Famiglia: Ulmaceae.Albero grande e molto longevo (fino a 5secoli) che può raggiungere i 30-40 mdi altezza e i 2-3 m di diametro.Tronco: un po’ sinuoso, porta una chio-ma ampia e densa, con ramificazionisottili, che tendono a distribuirsi congeometria alterna estremamente rego-lare.Corteccia: rossastra, con l’età si fessu-ra in profondi e stretti solchi longitudi-nali; in alcuni individui, sui rami del dia-metro di 1-2 cm, presenta tipiche crestesuberose lineari distribuite radialmenteintorno ai rami stessi.Foglie: picciolate e alterne; lamina, dop-piamente dentata al margine, di formaovoidale, a massima larghezza nel ter-zo superiore; apice acuto o acuminato;base tipicamente asimmetrica.Fiori: molto numerosi, riuniti in glomeru-li roseo-porporini, posti sui rami dell’an-no precedente.Frutto: piccola samara, con achenioquasi centrale, circondato da un’ala cir-colare, interrotta da un’incisione profon-da che arriva fino al centro.L’olmo campestre presenta un’arealevastissimo che si estende a gran partedell’Europa centro-meridionale, all’Asiaminore e all’Africa settentrionale; in Ita-lia, la specie è presente in tutte le regio-ni, dalla pianura fino a circa 500-600 m,con punte massime di 1200 m sulleAlpi.La sua diffusione è stata ampiamentefavorita dall’uomo che lo utilizzavacome sostegno della vite o per le albe-rature stradali. Spontaneamente colo-nizza i suoli freschi, profondi e fertili,ma si adatta bene anche a suoli pesan-ti e argillosi.Non forma mai boschi puri, ma general-mente si accompagna alla farnia, dellaquale condivide largamente le esigen-ze ecologiche.

Pioppo nero (Populus nigra)

Famiglia: Salicaceae.Albero maestoso che in condizioni otti-mali può raggiungere i 40 m di altezzae un diametro del tronco oltre il metro.Tronco: negli esemplari maggiori labase si allarga radialmente a formarecaratteristici contrafforti.Corteccia: nelle parti giovani è grigiacon sfumature biancastre o giallastre,con l’età si fessura in senso longitudi-nale e diviene scura.Foglie: alterne, glabre, con lunghi pic-cioli leggermente compressi ai lati;lamina verde lucente su entrambe lefacce con caratteristico contorno trian-golare; margine minutamente dentico-lato; apice acuminato; base più o menoarrotondata e cuoriforme.Fiori: unisessuali in infiorescenze pen-dule, portate separatamente da indivi-dui diversi; fioritura da marzo ad aprile.N.B. non va confuso con il pioppoeuroamericano (Populus canadensisL.), ibrido coltivato dalle foglie più gran-di che assumono all’emergenza uncaratteristico color bronzo.Il pioppo nero occupa un vasto arealeche si estende a quasi tutta l’Europacentro-meridionale, all’Asia occidentalee all’Africa settentrionale; comune intutta Italia, sale nelle Alpi sino a 1400-1500 m di quota.Nella nostra Penisola è comune in tuttoil territorio, ma in particolare lungo i fiu-mi e i laghi, in continuità con le forma-zioni arboree legate all’acqua. Specieamante della luce e mediamente ter-mofila, predilige i terreni freschi eprofondi e quelli periodicamente inon-dati. L’elevata germinabilità dei suoisemi, la grande facilità di dispersionene fanno però anche una specie pionie-ra che riesce a colonizzare gli spazi piùdifficili.L’età media del pioppo nero è di circadue secoli.

Olmo campestre e pioppo nero Gabriella Buffa

percorsi attivamente dal fiume, che oggi si presentano come modeste depres-sioni. Il loro progressivo riempimento è avvenuto in condizioni di sempre mag-giore affrancamento dalle correnti attive del fiume e come risultato il substratoè costituito da un’alternanza di sabbie fini e grossolane in cui compaiono peròlivelli di argilla che si sono potuti depositare in condizioni di acqua ferma o pres-soché tale. Questo avviene nelle depressioni ormai lontane dal corso attivo delfiume e in cui l’acqua ristagna a seguito delle fasi di esondazione stagionale. Èsoprattutto la natura dei sedimenti fini del suolo che implica una permanenzapiù duratura dell’acqua, a differenziare le condizioni in cui la vegetazione si svi-luppa, mentre il livello della falda, a 40cm dal piano di campagna, non è parti-colarmente diverso da quello visto per itipi precedenti. Il risultato è che nellavegetazione forestale l’essenza domi-nante diviene il pioppo bianco (Populusalba), cui si associano altre specie piùo meno igrofile, quali l’olmo campestre,l’ontano nero (Alnus glutinosa), il fras-sino maggiore e il ciliegio a grappoli(Prunus padus). Quest’ultimo è partico-larmente interessante: oltre a essereun piccolo albero che offre in primavera

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Olmo campestre (Ulmus minor) Pioppo nero (Populus nigra)

Pioppo bianco (Populus alba)

belle fioriture bianche, rappresenta,insieme al frassino, una entità cheaccomuna i boschi della pianura aquelli delle Alpi. Nel nostro Paese infat-ti questi alberi si distribuiscono soprat-tutto nei solchi vallivi alpini, mentre laloro presenza in pianura è meno fre-quente. La copertura non elevata dellostrato arboreo lascia un certo spazioagli arbusti, tra cui i più frequenti sonocomuni al querceto a sigillo di Salomo-ne: fusaggine, nocciolo e corniolo. Spe-cie arbustive più igrofile che si ritrovanoin questa vegetazione sono poi il pallondi maggio (Viburnum opulus) e il rovocesio (Rubus caesius). La composizio-ne del sottobosco erbaceo è in gran

parte allineata con quella del querceto, soprattutto nella sua sottoassociazionea olmo campestre, con cui questo tipo di bosco risulta frequentemente a con-tatto.La situazione morfologica opposta è quella che si ritrova in aree, appena rile-vate, corrispondenti alle antiche barre di centro canale. Queste grossomodocorrispondono alle isole che un fiume costruisce per deposizione nel proprioalveo, finendo così per ramificarsi in modo complesso assumendo l’andamentoa rami intrecciati o braided secondo la terminologia anglosassone. Il fattoredeterminante anche in questo caso è la granulometria dei sedimenti: questisono costituiti da frammenti alquanto grossolani, depositati in presenza dellacorrente viva del fiume. Il risultato è la costruzione di modeste elevazioni costi-tuite da alternanze di sabbie e ghiaie in cui la falda è più profonda (130-150 cm)per cui si producono condizioni di aridità a causa del forte drenaggio del suolo.Si stabilisce quindi una copertura forestale aperta in cui gli arbusti tendono adassumere un ruolo maggiore di quello degli alberi. Le specie arboree hannoanche un’altezza ridotta, 10-12 m al massimo, e sono rappresentate ancora dafarnia, olmo campestre e pioppo nero, cui però si associano entità decisamen-te più termofile quali la roverella (Quercus pubescens) e l’orniello (Fraxinusornus). Quest’ultimo tende a svilupparsi maggiormente in forma arbustivainsieme al biancospino, al ligustro, alla rosa selvatica (Rosa canina), al meloselvatico (Malus sylvestris) e al crespino (Berberis vulgaris). La composizionefloristica risulta abbastanza complessa e ricca: la ridotta copertura degli stratipiù elevati permette infatti l’ingresso di numerose entità erbacee e arbustive dipiccola taglia. Vi sono piante del corteggio erbaceo dei boschi e degli arbusteti

termofili quali il dittamo (Dictamnusalbus), il sigillo di Salomone comune eil vincetossico (Vincetoxicum hirundi-naria). La complessità strutturale favo-risce, oltre alle specie erbacee degliambiti più tipicamente forestali, la pre-senza di piante che trovano la loro col-locazione più importante negli orliboschivi, in quelle fasce cioè che, purrisentendo della presenza ravvicinatadella vegetazione arborea che provocaombreggiamento e accumula fogliemorte, ne rimangono di fatto esterne.Si tratta di specie quali la rosa serpeg-giante (Rosa gallica), l’erba di S. Gio-vanni (Hypericum perforatum) e il gera-nio sanguigno (Geranium sangui-neum). Ad esse si aggiungono le specie delle praterie magre e aride come ilforasacco eretto (Bromus erectus), la codolina nuda (Phleum phleoides), ilgarofano certosino (Dianthus carthusianorum) e il fiordaliso cicalino (Centau-rea deusta). L’ultimo contingente che vi compare è infine quello comune allabrughiera dell’alta pianura lombarda e piemontese: si tratta di arbusti come ilbrugo (Calluna vulgaris), la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), il gineprocomune (Juniperus communis) e di erbe quali la felce aquilina, la viola selvati-ca (Viola canina) e la dantonia minore (Danthonia decumbens).La presenza di queste ultime entità permette infine di ipotizzare che l’attualeaspetto di questa vegetazione, definita con il termine di “bosco-parco”, è pro-babilmente legato non solo al determinismo naturale, ma anche al tipo di sfrut-tamento operato dall’uomo in passato. È infatti credibile che si siano sovrappo-sti gli effetti del prelievo eccessivo di legname, del pascolo esercitato nella fore-sta diradata e infine dell’incendio teso a evitare la diffusione degli arbusti. Lavegetazione costituita da questi ultimi è infatti il prodromo fondamentale allostabilirsi, o al ristabilirsi, della vegetazione forestale e molte delle essenze cita-te in precedenza (ligustro, rose, biancospino ecc.) giocano in effetti un ruoloimportante a tal fine.

Il Bosco della Fontana. È la maggiore formazione forestale della pianuraorientale lombarda (circa 200 ettari) e si trova nella pianura alla sinistra del fiu-me Mincio su sedimenti depositati nell’interglaciale Riss-Würm. Il substratocomprende materiali di dimensioni grossolane, ghiaie e sabbie, mantenuti lega-ti da una frazione rilevante di elementi fini, limi e argille. La falda freatica è

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Rovo cesio (Rubus caesius) Melo selvatico (Malus sylvestris)

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Acero campestre (Acer campestre)

Famiglia: Aceraceae.Albero di piccola taglia (raramentesupera i 15 m di altezza); spesso a por-tamento arbustivo.Tronco: spesso contorto e molto ramifi-cato, porta una chioma tondeggiante,leggera e poco coprente.Corteccia: bruno-giallastra con screzia-ture rossastre.Foglie: opposte, lungamente picciolatecon lembo piccolo (di norma inferiore ai10 cm) che presenta 3-5 lobi arrotonda-ti, grossolanamente dentati, separati daincisioni profonde.Fiori: verdi-giallastri, poco appariscentie riuniti in corimbi terminali eretti; la fio-ritura, contemporanea all’emissionedelle foglie, avviene tra aprile e maggio.Frutti: sono muniti di ala atta al volo pla-nare (samare) e saldati a due a due;nella doppia samara presenta le due aliopposte e allineate; colore ramato bril-lante a maturazione (settembre – otto-bre). L’acero campestre presenta unareale molto vasto che comprendequasi tutta l’Europa, l’Algeria, il Cauca-so e zone limitrofe.Pur essendo abbastanza indifferente alsubstrato, predilige i terreni freschi,anche se non umidi, e si adatta ai suoliargillosi. Specie tipicamente amantedella luce, abbonda nei boschi mesofilia bassa copertura arborea, al marginedelle radure e dei sentieri, dalla pianurafino a circa 1000 m di altitudine.La sua diffusione è stata largamentefavorita dall’uomo, specialmente untempo, in qualità di tutore per la vite, ecome pianta ornamentale; sopportabene le potature, alle quali reagisceemettendo robusti ricacci, e per questaattitudine si è dimostrato adatto, nel-l’ambito del paesaggio agrario tradizio-nale, ad essere modellato in formeobbligate per costituire le siepi.

Frassino meridionale

(Fraxinus oxycarpa)Famiglia: Oleaceae.Albero che non supera i 20 m di altezzacon chioma folta.Corteccia: grigia finemente e profonda-mente fessurata a reticolo.Foglie: opposte, composte, imparipen-nate e picciolate; da 5 a 13 fogliolinelineari-lanceolate con apice acuminato;margine dentellato, con un numero didentelli pari a quello dei nervi lateralidella foglia.Fiori: brevi e penduli in pannocchieposte all’ascella delle foglie.Frutti: acheni dotati di un’ala allungata(samare).

N.B. Il frassino meridionale si distinguedal frassino maggiore (Fraxinus excel-sior), diffuso in Italia settentrionale, perle gemme di colore bruno-verdastro(anziché nere), per le foglioline menofittamente dentellate e per la corteccia.Essa appare più solcata e bitorzolutanel frassino meridionale rispetto aquanto non lo sia in quello maggiore.L’areale del frassino meridionale è limi-tato all’Europa meridionale e orientale;da noi si trova praticamente in tutta laPenisola ed è più raro al Nord e nelleisole.Esso risulta localizzato nei particolarie ormai rari ambienti forestali umidiche gli sono più congeniali: boschiigrofili, anse fluviali periodicamenteinondate e comunque su suoli alluvio-nali ricchi di acqua.Il legno di frassino si presenta con fibra-tura diritta e tessitura da media a gros-solana. Offre ottime doti di resistenzameccanica ed è di facile lavorazione. Sipresta molto bene ad essere curvatoed è quindi utilizzato per la costruzionedi articoli che richiedano questa carat-teristica, ad esempio quelli sportivi: inpassato esso era impiegato per la pro-duzione degli sci.

Acero campestre e frassino meridionale Gabriella Buffa

abbastanza prossima alla superficie, meno di un metro di profondità, ma tendead avere un andamento non perfettamente uniforme presentandosi più profon-da verso Nord e più elevata a Sud. Il Bosco della Fontana è un’area che hamantenuto la propria fisionomia forestale grazie all’esistenza, al suo interno, diun castello dei Gonzaga, edificato verso la fine del XVI secolo, e al conseguen-te uso legato alle necessità della corte mantovana. Il suo mantenimento è ilrisultato di un’alternanza di pratiche forestali diverse che hanno dovuto fare iconti sia con le necessità di prelievo del legname sia con eventi naturali cata-strofici come il fortunale del 1949 che abbattè quasi un quarto della superficieforestale. In tale occasione il recupero della vegetazione implicò l’impianto dispecie esotiche ed estranee al contesto padano, quali platano (Platanus hybri-da), noce nero (Juglans nigra), pioppo canadese e soprattutto quercia rossa(Quercus rubra) che ebbe tanto successo da presentare oggi problemi digestione e controllo delle sue popolazioni.La situazione vegetazionale del Bosco della Fontana tende a differenziarsi infunzione della diversa profondità della falda. Nelle porzioni più affrancate dallapresenza di acqua si ha la costituzione di un querco-carpineto in cui, tra glialberi, alla farnia e al prevalente carpino bianco, si associano cerro (Quercuscerris) e orniello. Viceversa ove la falda si approssima alla superficie tendonoad affermarsi olmo campestre e frassino meridionale. Presenti in entrambe lesituazioni sono acero campestre, ciliegio selvatico e ciavardello (Sorbus tormi-nalis). Gli arbusti più frequenti sono nocciolo, corniolo, ligustro e due specie dibiancospino: più diffuso quello selvatico (Crataegus oxyacantha), meno fre-quente quello comune.

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Acero campestre (Acer campestre) Frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa)

Nel sottobosco è presente una flora piuttosto ricca in cui coesistono elemen-ti di origine diversa.Tralasciando le entità che abbiamo già osservato più volte nella flora nemo-rale padana (pervinca, anemone bianca, palèo silvestre, sigillo di Salomonemaggiore, carice delle selve, ecc.), la nota più significativa è costituita dal-l’associarsi di specie europee dei boschi freschi di latifoglie, quali anemoneepatica (Hepatica nobilis), scilla silvestre (Scilla bifolia) e mercorella bastarda(Mercurialis perennis), a entità di impronta mediterranea come pungitopo,gigaro chiaro (Arum italicum) e viola bianca (Viola alba). Significativo è infineil contingente con distribuzione Sud-Est europea rappresentato dalla falsaortica maggiore (Lamium orvala).Il Bosco della Fontana, in virtù della sua posizione geografica e probabilmen-te anche della propria continuità temporale, conserva una notevole ricchezzafloristica che, forse meglio di altri esempi, pur essendo presenti numerosespecie esotiche, fornisce un’informazione sui contenuti botanici originari dellaforesta padana.

La Foresta Panfilia. La Foresta Panfilia o Bosco di S. Agostino rappresentauno dei rarissimi esempi di vegetazione forestale (si estende per circa 80ettari) nella pianura a Sud del Po. Si colloca in un’estensione golenale del fiu-me Reno che viene inondata regolarmente da parte dello stesso. La suavegetazione, conseguentemente, risulta ben diversa da quella del querco-carpineto planiziario, richiamando forse gli aspetti più umidi a olmo campe-stre o pioppo bianco delle foreste della valle del Ticino, dai quali comunque sidifferenzia per la prossimità all’Adriatico e per avere alle spalle la catenaappenninica. Gli alberi che ne caratterizzano la fisionomia sono olmo campe-stre, farnia, pioppo bianco e frassino meridionale. Il corteggio arbustivo com-prende, oltre a frassino e olmo evidentemente capaci di rinnovazione, ancherovo cesio, prugnolo selvatico (Prunus spinosa), sanguinello, ligustro, bianco-spino selvatico e nocciolo. Lo strato erbaceo ha una copertura elevata marisulta molto povero di specie.L’entità di gran lunga dominante è la carice maggiore (Carex pendula), cui siassociano solo sporadicamente pochissime altre erbe. Il motivo di questasituazione risiede nella forte influenza esercitata dal fiume Reno e, in parti-colare, dalla deposizione di limo conseguente a ogni esondazione, cui caricee rovo cesio sono ben adattati, ma che sfavorisce invece il corteggio erbaceotipicamente nemorale e anche il rinnovo della farnia. Queste condizioni sonoin gran parte comuni ai resti delle foreste ripariali delle valli della penisola,soggette a un simile regime deposizionale di origine appenninica, e quindi laforesta Panfilia tende ad apparentarsi con essi più che con la vegetazione giàosservata per la Pianura Padana.

I boschi della Pianura Veneta. Nellapianura veneta non sopravvivono gran-di estensioni di bosco planiziario: quel-le esistenti hanno tutte superfici inferio-ri a 25 ha e ciò evidenzia una condizio-ne di notevole frammentarietà, ai limitidelle possibilità stesse di sopravviven-za. Nonostante ciò alcuni boschimostrano una composizione floristicacomplessa che conserva probabilmen-te alcune delle caratteristiche originalisignificative. Le principali formazioniboschive ascrivibili al querco-carpinetosono cinque: Bosco Carpenedo a

Mestre, Bosco Olmè a Cessalto, Bosco Cavalier a Gorgo al Monticano, BoscoBasalghelle a Mansuè e Bosco Lison a Portogruaro. L’ultimo si caratterizza peruna situazione di maggior disponibilità idrica rispetto agli altri. La connotazionefloristica e la composizione strutturale non sono uniformi, per cui a seguire visono alcune note sugli elementi comuni e sugli aspetti che caratterizzano inmodo peculiare questi boschi rispetto a quelli già visti.Gli alberi presenti nello strato arboreo sono farnia, carpino bianco e acero cam-pestre; ad essi si associano con frequenza, in condizioni di umidità crescente,

olmo campestre e frassino meridionalee, polarizzandosi nelle situazioni piùigrofile, pioppo bianco e salice bianco.La compagine arbustiva è abbastanzavariamente strutturata e comprende tut-ti gli arbusti già segnalati (nocciolo, ligu-stro, prugnolo selvatico, fusaggine,biancospino comune, ecc.) accompa-gnati però da una serie di entità nonosservate nella pianura più interna. Sitratta ad esempio della mediterraneaclematide fiammola (Clematis flammu-la), del caprifoglio peloso (Loniceraxylosteum) e del mirtillo nero (Vacci-nium myrtillus) dei rilievi alpini e prealpi-ni, della lantana (Viburnum lantana),della clematide paonazza (Clematis viti-cella) e del raro bossolo (Staphylea pin-nata) di provenienza orientale.

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Olmo campestre (Ulmus minor)

Carice delle selve (Carex sylvatica)

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Nei boschi della Pianura Padana com-paiono spesso specie esotiche natura-lizzate. Si tratta di entità estranee allanostra flora, introdotte per interventodell’uomo, le cui popolazioni si manten-gono ormai spontaneamente. La piùcomune è la robinia, detta anche acacia(Robinia pseudacacia), ben conosciutaper i grappoli di fiori bianchi, le spine e ilmiele. Introdotta dal Nordamerica circa3 secoli fa, è divenuta una delle prota-goniste del paesaggio planiziario. Inco-raggiata in passato perché ben sfrutta-bile nell’ambito dell’economia agricolatradizionale, è stata ampiamente favori-ta dalla forte ceduazione. Esclusa quin-di dalle coperture forestali più stabili èinvece molto concorrenziale in quelleaperte o discontinue oltre che nellevegetazioni legnose marginali, ove vie-ne ancora talvolta favorita a fini apistici.Un ruolo affine lo possiede l’albero delparadiso (Ailanthus altissima) introdottoin Italia nel 1760 dall’estremo orienteper fornire con le sue foglie il manteni-mento al bombice dell’ailanto che sipensava di utilizzare in sostituzione delbaco da seta. Si è poi diffuso ampia-mente, favorito, come la precedente, dauna fortissima capacità pollonifera chelo rende resistentissimo al taglio. Si rico-nosce bene per le grandi foglie compo-ste dall’odore sgradevole e alla fruttifi-cazione quando mostra le samare gial-lo-rossastre raccolte in grandi pannoc-chie pendule.Più localizzata, ma molto competitivaall’interno della vegetazione forestale insenso stretto, è la quercia rossa (Quer-cus rubra) proveniente dall’America set-tentrionale. Si riconosce dalle specieautoctone per le foglie grandi, consi-stenti e con lobi acuminati. Introdotta inEuropa alla fine del XVII secolo, ha avu-to fortuna nelle pratiche di afforestazio-ne per il rapido accrescimento e la resi-stenza ad alcune avversità (oidio) checolpiscono le specie nostrane.

Il pioppo canadese o euroamericano(Populus canadensis) nasce come ibri-do dall’incrocio del nostro pioppo nerocon un pioppo affine nordamericano(Populus deltoides). La sua coltivazione,nei tipici pioppeti coetanei e a sesto diimpianto regolarissimo, è molto diffusa.A crescita molto rapida, raggiunge diffi-cilmente età avanzate per la tendenza aspezzarsi o a rovesciarsi al suolo svel-lendo il palco radicale superficiale. Neiboschi è presente in seguito ad impian-ti. I pioppeti, in cui non vengono più pra-ticate le operazioni di lavorazione delterreno, tendono ad ospitare un corteg-gio arbustivo ed erbaceo simile a quellodel bosco planiziario.Il comune platano (Platanus hybrida),ospite non frequentissimo dei boschiplaniziari, è una pianta prodotta per ibri-dazione probabilmente in Inghilterraverso la fine del XVII secolo incrociandoil platano orientale (Platanus orientalis),presente in modo molto localizzato nelnostro paese e non in Padania, con ilplatano occidentale (Platanus occiden-talis) dell’America settentrionale. Anchese è stato diffuso in modo quasi ubiqui-tario nel paesaggio planiziare e puòprovocare l’impoverimento del sottobo-sco per l’accumulo di foglie morte moltocoriacee e di lenta decomposizione, difatto non appare particolarmente inva-dente.

Gli alberi esotici Gabriella Buffa La stessa ricca commistione fitogeo-grafica, che appare il carattere distinti-vo di questi frammenti forestali, è pro-pria anche del corteggio erbaceo.Anche in questo caso si ripresentanole entità nemorali che abbiamo incon-trato regolarmente nei boschi planizia-ri (anemone bianca, sigillo di Salomo-ne maggiore, salvia vischiosa, erbamaga (Circaea lutetiana), ecc.), ma simanifestano in modo più importanteentità legate normalmente alla vegeta-zione forestale dei rilievi. Si tratta adesempio dell’uva di volpe (Paris qua-drifolia), della gramigna di Parnasso(Maianthemum bifolium), del sigillo diSalomone verticillato (Polygonatumverticillatum) e della carice digitata(Carex digitata). Compaiono ancora

specie mediterranee quali gigaro chiaro e latte di gallina giallo (Ornithogalumpyrenaicum). Gli aspetti caratterizzati da maggiore disponibilità di acqua vedo-no ancora l’ingresso di campanellino palustre (Leucojum aestivum), del grup-po di entità affini al ranuncolo-botton d’oro (Ranunculus auricomus), del fava-gello (Ranunculus ficaria) e dell’ofioglosso comune (Ophioglossum vulgatum),assai raro a dispetto del nome.Una nota comune a tutti i boschi della pianura è l’essere stati soggetti a un dra-stico prelievo di legname durante gli anni della seconda guerra mondiale e ciòvale in modo particolare per la Pianura Veneta; la sovrapposizione degli effettidelle distruzioni di allora a quelli delle pratiche forestali di volta in volta adottatein seguito, hanno quindi prodotto la variabilità già ricordata, che si esprime conla differente dominanza delle entità arboree e il diverso assortimento struttura-le delle compagini arborea, arbustiva ed erbacea.

I boschi della Pianura Friulana. I boschi friulani, come già notato per quelliveneti, sono i relitti della copertura forestale della pianura, le cui estensioniperò raggiungono in qualche caso superfici più rilevanti. La loro localizzazioneè essenzialmente quella della bassa pianura ove si spingono quasi a ridossodei sistemi costieri. I più estesi sono Bosco Baredi (circa 160 ettari) e BoscoCoda Manin (circa 150 ettari) di Muzzana (circa 160 ettari), Bosco Boscat diCastions di Strada (circa 60 ettari) e Bosco Sacile di Carlino (circa 130 ettari);minor superficie occupano Bosco Ronchi di Sass a S. Giorgio di Nogaro, Bosco

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Albero del paradiso (Ailanthus altissima)

Robinia o acacia (Robinia pseudacacia)

48 ri domina la farnia accompagnata da frassino meridiona-le, olmo campestre, ciavardello e ciliegio selvatico. Il car-pino bianco in molti casi è stato favorito dalla ceduazioneper cui, oltre alla sua presenza nello strato arbustivo, simanifesta anche tra gli alberi con ruolo di dominanza.Il corteggio degli arbusti comprende il contingentecostante dei boschi padani (nocciolo, sanguinello, fusag-gine, ligustro, prugnolo selvatico, ecc.) cui si associanopallon di maggio, i due biancospini comune e selvatico,spino cervino (Rhamnus catharticus) e rosa cavallina(Rosa arvensis).Nei boschi del Friuli e in quelli del Veneto, si riscontra lapresenza di numerose specie erbacee di carattere micro-termo altrimenti diffuse nei boschi montani o ai loro mar-gini: oltre a quelle già richiamate possono essere ancorasegnalate aglio orsino (Allium ursinum), bucaneve(Galanthus nivalis), colchico (Colchicum autumnale), fiordi stecco (Daphne mezereum) e carice ombrosa (Carexumbrosa). Esse possono essere interpretate come relittiglaciali, cioè specie montane spinte a bassa quota dalleglaciazioni quaternarie e conservatesi localmente grazieai microclimi freschi forestali.È anche interessante notare che alcune di queste, comeil giglio di S. Giovanni (Lilium martagon) e il veratro bian-co (Veratrum album subsp. lobelianum), presentano un’a-simmetria di comportamento: in ambiente montano vivo-no essenzialmente all’interno di vegetazioni erbaceementre in pianura si rifugiano all’interno dei boschi.La complessità del quadro floristico è poi completatadalla presenza delle specie ricorrenti in ambiente nemo-rale: palèo silvestre, anemone bianca, melica delle fag-gete (Melica nutans), carice delle selve (Carex sylvati-ca), pervinca. Ad esse si associano entità più termofile agravitazione mediterranea o sud-orientale (tamaro, pun-gitopo, cicerchia veneta (Lathyrus venetus), asparagoselvatico, ecc.).Proprio questi elementi fanno ricadere i querco-carpinetiplaniziari friulano-veneti nell’associazione Asparagotenuifolii-Quercetum roboris, imparentandoli strettamentecon gli splendidi boschi della Slavonia.

49Sgobitta di Porpetto, Bosco Boscat di Precenicco, Bosco Leoni presso Aquileiaed altri. Malgrado un processo di contrazione estremamente drastica dellesuperfici forestali avvenuto nel corso dell’ultimo paio di secoli, questi residuiappaiono di notevolissima importanza.Proprio su di essi infatti sono stati compiuti gli studi che hanno portato Pignatti,nel 1953, a una prima ipotesi di descrizione del querco-carpineto della PianuraPadana (Querco-Carpinetum boreoitalicum) e in seguito, mediante la compara-zione con analoga vegetazione della Slovenia, hanno permesso la definizionedi un’associazione vegetale di gravitazione sudesteuropea sicuramente validaalmeno per tutta la pianura veneta e friulana, il querceto ad asparago selvatico(Asparago tenuifolii-Quercetum roboris). Si tratta di un bosco in cui tra gli albe-

Una radura nel Bosco Coda Manin (Friuli)Melica delle faggete(Melica nutans)

Carice delle selve(Carex sylvatica)