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343 Direttore responsabile Adolfo Lippi c.p. Direttore amministrativo Giovanni Pelà Cattedra Gloria Crucis Comitato scientifico Fernando Taccone c. p. - Piero Coda - Antonio Livi - Denis Biju-Duval Adolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p. A. Maria Lupo c. p. Segretari di redazione Mario Collu c. p. - Gianni Sgreva c. p. A. Maria Lupo c. p. Collaboratori Tito Amodei - Max Anselmi - Vincenzo Battaglia – G. Bicocchi - Luigi Borriello - Maurizio Buioni - Giuseppe Comparelli – F. Giorgini - G. Marco Salvati - Flavio Toniolo - Gianni Trumello - Tito Zecca Redazione: La Sapienza della Croce Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13 00184 Roma Tel. (06) 77.27.14.74 Fax 700.80.12 e-mail: [email protected] http./www.passionisti.it Abbonamento annuale Italia Euro 18,08, Estero $ 30 Fuori Europa (via aerea) $ 38 Singolo numero Euro 5,15 C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma Finito di stampare il 30-12-2006 Stampa Tipografia Città Nuova ISSN 1120-7825 Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 Sped. in abbon. post. Comma 20/c art 2 Legge 662/96 - Filiale di Roma LA SAPIENZA DELLA CROCE Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a cura dei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis della Pontificia Università Lateranense ANNO XXI - N. 4 OTTOBRE-DICEMBRE 2006 SOMMARIO Editoriale 345-348 Sacra Scrittura e teologia La Croce come rivelazione dell’amore di Dio del CARDINAL WALTER KASPER 349-358 Il dramma in Dio Studio sulla soteriologia teodrammaica di H.V. v. Balthasar di GIUSEPPE DELLA MALVA 359-382 La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas di GIAMPAOLO MANCA 383-414 Pastorale e spiritualità Le XXI “spade” della Via Mariae Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce (seconda parte) di ROBERTO A.M. BERTACCHINI 415-429 Salvezza e culture Senza limite di ELISABETTA V ALGIUSTI 431-434 Rassegna della stampa La Congregazione Passionista tra ascetismo, mistica e storia di TITO ZECCA C.P . 435-440 Recensioni 441-447 Schede bibliografiche 448-459 Indice generale 460-462

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Direttore responsabileAdolfo Lippi c.p.

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Cattedra Gloria CrucisComitato scientificoFernando Taccone c. p. - Piero Coda - Antonio Livi - Denis Biju-DuvalAdolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p. A. Maria Lupo c. p.

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ISSN 1120-7825

Autorizzazione del tribunale di Roman. 512/85, del 13 novembre 1985Sped. in abbon. post. Comma 20/c art 2Legge 662/96 - Filiale di Roma

LA SAPIENZA DELLA CROCE

Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passionea cura dei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucisdella Pontificia Università Lateranense

ANNO XXI - N. 4 OTTOBRE-DICEMBRE 2006

SOMMARIO

Editoriale 345-348

Sacra Scrittura e teologiaLa Croce come rivelazione dell’amore di Diodel CARDINAL WALTER KASPER 349-358Il dramma in DioStudio sulla soteriologia teodrammaicadi H.V. v. Balthasardi GIUSEPPE DELLA MALVA 359-382La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinasdi GIAMPAOLO MANCA 383-414

Pastorale e spiritualitàLe XXI “spade” della Via MariaeUna rilettura inedita del suo itinerario spiritualedall’infanzia alla croce (seconda parte)di ROBERTO A.M. BERTACCHINI 415-429

Salvezza e cultureSenza limitedi ELISABETTA VALGIUSTI 431-434

Rassegna della stampaLa Congregazione Passionista tra ascetismo,mistica e storiadi TITO ZECCA C.P. 435-440

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ADOLFO LIPPI C. P. SAPCR 21 (2006) 345-348

La povertà dell’essere padri e madriLa povertà di Dio Padre

di ADOLFO LIPPI C. P.

Una Shekinah che accompagna Israele nel suo esilio fa pensare a un Dioesiliato. In effetti, se ci riflettiamo, vediamo che Dio è esiliato dalla sua stes-sa creazione, della quale altri – un nemico – si è impadronito. È esiliato piùche mai oggi dalla mente e dal cuore dell’uomo secolarizzato, illuso di esse-re autosufficiente e geloso della sua autosufficienza.

Un Ordine di frati mendicanti fa pensare a un Dio mendicante. Infattiapparve sulla terra – Emanuele – mentre i suoi genitori medicavano un allog-gio e non lo trovavano. Mendicante non gratificato, deluso.

Esilio e mendicità: dov’è il Dio onnipotente del quale si è sempre par-lato? Chi si blocca in una certa teologia – quella dei nostri manuali – si ri-sente. Ha paura per Dio. Probabilmente non è una paura per Dio, ma per sestessi: chi ci garantirà, magari nei nostri privilegi, se Dio non è onnipotente,ma esiliato e mendicante?

Ma non è che Dio non sia di per sé onnipotente, come qualcuno ha cre-duto di dimostrare1. Onnipotente, Dio si fa povero diventando Padre e Madre.L’attributo di Dio che domina il Nuovo Testamento (ma che è presente,espresso o sottinteso, anche in tutto l’Antico Testamento) è quello di Padre,che, per l’epoca, comprende anche quello di Madre. Il pensiero sale a Dio peranalogia, non tanto dall’essere in quanto essere, privo di ogni determinazio-ne, ma dall’ente reale e, soprattutto dall’ente esistente e dall’ente più ricco dientità che noi conosciamo: il vivente, l’uomo. Un uomo può essere ricco e po-tente, ma se accetta di diventare padre, si impoverisce. Uno scapolo non de-ve confrontarsi continuamente con la moglie e con i figli. Questi possono es-sere insoddisfatti di lui. I figli, inoltre, possono nascere male, come la bambi-na down del romanzo di Veltroni2, si ammalano e vanno in crisi. Nell’adole-

Editoriale

1 Cf specialmente H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica,Il Melangolo, Genova, 1989.

2 La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, 2006.

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scenza e nella gioventù si ribellano. Se non si ribellano, non è detto che tuttovada bene. Ed esigono amore, non solo il mio, ma quello di ambedue i geni-tori concordi. Tutto questo sarà entusiasmante, in qualche momento di grazia,ma non è facile. In altri momenti, quale povertà!

La paternità spirituale, poi, quanta sofferenza! Una sofferenza continua.La sofferenza di Paolo: l’ansia per tutte le chiese: chi si scandalizza che io nonbruci? (2Cor 11, 28-29). Figliolini miei, che io di nuovo partorisco nel dolo-re (Gal 4, 19).

Così è la paternità di Dio. Se c’è un luogo in cui l’uomo è toccato da Dioe tocca Dio (un autentico locus theologicus), questo è l’esercizio della paternitàe della maternità, nella loro gratuità assoluta e incondizionata. Il figlio può esse-re un delinquente, può finire in carcere, ma è sempre figlio. Nelle povere madridei carcerati, che arrivavano con i mezzi pubblici dalle periferie urbane, carichedi pesanti pacchi, madri che per i loro figli avevano perso tutto – onore, denaro,pace – e, visitandoli, portavano loro tutto, ho visto la più forte manifestazionedella maternità che abbia conosciuto. Maternità e paternità gratuite e incondi-zionate, che incarnano ciò che Dio è nel suo mistero profondo. Padre-Madre,questo è il nome proprio di Dio, quello che meglio lo qualifica in quanto Dio.

Dio è onnipotente e più che autosufficiente nella sua natura, ma poiché,esistenzialmente, è padre e madre più di ogni altro padre e madre, è povero,esiliato e mendicante. Aimer c’est s’abaisser, diceva Santa Teresa di GesùBambino. Non c’è amore senza kenosi e l’Ur-Kenose, la kenosi del Padre ècertamente una della grandi intuizioni della teologia del nostro tempo. È unaluce che è grazia teologica. Poiché la filosofia classica non conosceva la ke-nosi di Dio, non poteva ammettere che Dio potesse amare e, ancor meno, chefosse addirittura Amore3. L’Amore è Croce. La Croce è Amore. Poiché DioPadre è, nel suo mistero profondo, Amore, per questo è Croce.

Il Dio Crocifisso, inchiodato, immobilizzato dal Suo essere Amore, è ilPadre che attende di essere riconosciuto come tale. Rischio della paternità ematernità, rischio di ogni Amore, rischio della kenosi. Rischio teologico piùancora che metafisico. Rischio trinitario4. Il Dio che si volge contro se stesso– osserva il Papa - è il Dio che volge il suo amore contro la sua giustizia, nelperdono5. Questo passaggio, però, non lo vuole compiere il Padre da solo, ma

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3 Cf BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 9.4 Sulla categoria del rischio nella Trinità, cf H. U. V. BALTHASAR, Teodrammatica,

5, Jaka Book, Milano, 1995, 209-210.5 Deus caritas est, 10.

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il Padre col Figlio, che incorpora le creature con la loro libertà. Dio vuole es-sere aiutato da noi a far trionfare la sua misericordia sopra la sua giustizia.Pensiamo alla conversione che postula in ciascuno di noi la riflessione di Bal-thasar nel libretto Breve discorso sull’inferno6. Se in me (come nella Chiesae in tutte le creature) crescerà il desiderio-preghiera che non ci sia per nessunaltro una condanna definitiva e assoluta, ci sarà misericordia anche per mestesso. Quando in tutte le creature sarà avvenuto questo, anche in Dio il per-dono avrà occupato tutto il posto dell’ira.

Questo perdono significa per tanti martirio: non soltanto del corpo, maanche dello Spirito, come fu per Gesù sulla croce. Non trattenere nulla per sécome si potrebbe fare anche quando si perde il corpo, quando si pensa: perdoil mio corpo, ma non il mio orgoglio, non cedo, non perdono. Prima che l’u-manità possa arrivare a queste mete, c’è ancora un immenso dolore da soste-nere. Ma questo non soltanto non vuol dire canonizzare il dolore, bensì piut-tosto radiarlo dal mondo. Per radiare il dolore dalle creature - quel dolore checi coinvolge tanto che una persona sensibile non può più godere pienamentedi nulla pensando che c’è gente che soffre - l’intera umanità deve accoglierela sofferenza della paternità e della maternità, perché finisca la sofferenza del-la fatalità, quella che proviene dalla natura e quella che proviene dalla con-flittualità fra uomini.

La sofferenza della paternità e della maternità è la sofferenza che hasenso ed è libera. È la sofferenza che ha dignità. La paternità-maternità di Dioè il vero apriori della Passione di Gesù. Secondo il mistico Paolo della Cro-ce, dal mare di Amore del Padre sgorga il mare di dolore del Figlio7. L’uma-nità strattonata tra la fuga da ogni sofferenza e il dolorismo fatalista è invita-ta dalla Parola di Dio ad abbracciare la sofferenza dell’Amore, perché sia ra-diata dal mondo la sofferenza della fatalità e della violenza.

E paternità-maternità sono anche un diritto, il diritto più grande del-l’uomo, il diritto a dare. Quanto chiasso si fa sui diritti a ricevere! Non si puònegare che essi sono i diritti primari. Si ha diritto a essere figli prima che adessere padri. Però sia l’uomo che il Dio trinitario non sono solo figlio. Mi col-pì moltissimo il racconto fatto da Philippe Madre di quel lebbroso privo dimani che era triste e un medico gli disse: perché sei triste? Farò di tutto perfarti dimenticare il tuo male. Ma il lebbroso rispose: non sono triste perché mi

La povertà dell’essere padri e madri. La povertà di Dio Padre 347

6 Queriniana, Brescia, 1988.7 Cf SAN PAOLO DELLA CROCE, Lettere ai laici, a cura di M. Anselmi, I, Cipi, Ro-

ma, 2002, 279.

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mancano le mani, ma perché non si crede che anch’io ho tante cose da dare8.L’uomo non è pienamente sviluppato finché non arriva a poter dare, certa-mente non senza patire. Questa è la luce della Croce, svelamento del volto diDio, ed è il messaggio che questa rivista cerca, non senza difficoltà, di tra-smettere, attraverso studi che sembrano molto lontani fra loro, ma si ritrova-no nella Croce. La Croce, non una bandiera da opporre ad altre bandiere co-me a volte si è fatto, oppure l’oggetto di una devozione sentimentale, ma laCroce di Cristo che è gloria della assoluta gratuità e, in quanto tale, gloria del-la Trinità.

EDITORIAL

By Adolfo Lippi

The poverty involved on becoming parentsThe poverty of God the Father

348 Adolfo Lippi

8 PH. MADRE, Guarire la ferita della vita, Gribaudi, Milano, 2005, 33.

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La Croce come rivelazione dell’amore di Dio

del CARDINAL WALTER KASPER

Il 24 ottobre u. s., è stato aperto l’anno accademico del-la cattedra Gloria Crucis, della Pontificia Università Lateranen-se, cattedra dalla quale emana anche questa rivista, con una le-zione inaugurale del cardinale teologo Walter Kasper. È statauna lectio magistralis straordinariamente comprensiva ed attua-le, che ha messo in luce l’importanza capitale degli studi di teo-logia della croce oggi. Vi ha partecipato anche il rettore magni-fico della stessa Università Monsignor Rino Fisichella. La le-zione verrà pubblicata in un fascicolo a parte della collana Glo-ria Crucis. Riproduciamo qui l’ultima parte, riguardante la teo-logia cattolica della croce.

1. La teologia cattolica della croce

Sulla base di una rilettura della Scrittura e della Tradizione patristica sti-molata dalla teologia ortodossa e da alcuni concetti fondamentali del pensie-ro di Lutero, anche l’odierna teologia cattolica ha sviluppato una teologia del-la croce. Tra i nomi da ricordare1, il più importante è sicuramente quello di H.U. von Balthasar2, a cui ritorneremo in seguito.

Ma la prima domanda che ci dobbiamo porre è: dove si situa la teologiacattolica all’interno di questa discussione? La teologia della croce luterana è distampo paolino; quella ortodossa viene solitamente descritta come giovannea.Quale è la caratteristica della teologia cattolica della croce?

1 St. P. BRETON, E. PRZYWARA, K. RAHNER, H. KÜNG, J. GALOT, H. MÜHLEN, W. KA-SPER, Jesus der Christus, Mainz 1974, 196-199; 214-219; Der Gott Jesu Christi, 241-245.

2 H. U. VON BALTHASAR, Mysterium paschale, in: Mysal. III/2, 133-326; Theodra-matik III, 297-309; IV, 191-243.

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La tesi qui sostenuta, che verrà argomentata più sotto nel dettaglio, èche la teologia della croce cattolica sia primariamente sinottica e possa esse-re definita petrina, come si spiegherà tra breve. Questa argomentazione partedalla croce storica e dalla sua interpretazione biblica; nella croce storica ten-ta di comprendere il Logos. In questo senso si tratta di una teologia “dal bas-so”, che non contrappone la kenosi al Logos, né comprende speculativamen-te il Logos come kenosi, ma lo ricerca nell’evento storico della kenosi e leg-ge nella croce la rivelazione dell’amore divino.

2. I fondamenti biblici del concetto di sostituzione vicaria

La tesi appena formulata ci porta, come secondo passo, a ricercare i fon-damenti biblici. L’esegeta Martin Hengel, di Tubinga, nel suo scritto “Pietrosottovalutato”, ha menzionato validi motivi che dimostrano sorprendente-mente come la tradizione sinottica, attraverso Marco, discepolo di Pietro, ri-salga fino a quest’ultimo. Hengel sostiene addirittura che la teologia di Pietropossa essere equiparata a quella di Paolo3.

Hengel ritiene anche che si possa ricondurre a Pietro l’interpretazione si-nottica della croce, sulla base del concetto di sostituzione vicaria. Il concetto disostituzione vicaria, già presente nella teologia veterotestamentaria del servosofferente (cfr. Is 52,13-53,12), è fondamentale per la venuta di Gesù in mezzoagli uomini, ad iniziare dal battesimo nel Giordano (cfr. Mt 3,15), fino ai rac-conti della passione (cfr. Mc 10,45) e a quelli dell’ultima cena (cfr. Mc 14,24;Mt 26,28; Lc 22,19 s; 1 Cor 11,24), che interpretano l’evento della croce comemorte vicaria “per gli altri”. Dalla tradizione sinottica, di stampo fortemente pe-trino, il concetto di morte vicaria passa poi alla tradizione paolina (cfr. 2 Cor5,21; Gal 3,13) e a quella giovannea (cfr. Gv 3,16; 10,11; 12,24 s; 15,13).

Quello della sostituzione è dunque un concetto chiave in tutti i Vangelie nell’intero Nuovo Testamento. Esso sembra risolvere il nostro problema,poiché può essere considerato il giusto punto di partenza biblico per una teo-logia della croce4.

350 Cardinal Walter Kasper

3 M. HENGEL, Der unterschätzte Petrus, Tübingen 2006.4 Anche W. PANNENBERG, a.a.O. 327, che rimane critico nei confronti della teolo-

gia della kenosi.

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Questo concetto è espresso nel Nuovo Testamento con la formula “pervoi”, “per noi”, “per molti”5, avente un triplice significato. Essa ci dice cheGesù ha dato la sua vita “al posto di” noi peccatori; noi come peccatori siamoassoggettati alla morte e non possiamo aiutarci da soli. In questa situazione,Dio è venuto in nostro soccorso ed ha assunto su di sé in modo vicario la ma-ledizione del peccato, della morte, dell’abbandono di Dio. Il primo significa-to è dunque quello dell’intervento personale di Dio. Il secondo si riferisce alfatto che Gesù ha dato la sua vita “per noi” e “per molti”; è quello del sacri-ficio di Cristo per il nostro bene, in nostro favore. Infine la formula ci indicache Gesù ha compiuto tutto ciò “a causa” nostra, spinto da compassione ver-so di noi.

Agire in modo vicario significa quindi che Dio interviene al posto delpeccatore, operando uno “scambio”, per la sua generosa misericordia ed il suoinfinito amore. Egli fa questo per noi e per il nostro bene, interviene per noi,muore al nostro posto affinché noi viviamo. Gesù prende il posto degli ultimiper farci posto presso Dio. La kenosi è la forma esistenziale dell’amore nellacondizione del peccato6. Non si svuota nel niente; essa mira piuttosto a ripor-tare il bene, a ripristinare l’ordine voluto da Dio7.

L’idea della sostituzione vicaria è stata accolta anche all’interno del cre-do apostolico, dove recitiamo: “Propter nostram salutem descendit de cae-lis”. I Padri della Chiesa, portando avanti la riflessione, hanno accostato aquesto concetto quello di commercium, ovvero di pio scambio. In modo con-ciso, si può dire che Dio è diventato uomo, è entrato pienamente nella condi-cio humana, affinché noi siamo divinizzati8.

La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 351

5 Cfr. H. RIESENFELD, Art. uJpevr, in: ThWNT VIII (1969) 510-518.6 K. H. MENKE, Art., Stellvertretung, V., in: LThK IX (2000) 955.7 L’espressione “Wieder-gut-machung” in tedesco (ripristinare il bene) viene inte-

sa qui in un senso più ampio rispetto alla teoria della soddisfazione di Anselmo da Can-terbury. Cfr. W. KASPER, Jesus der Christus, 260-263.

8 Paolo 2 Cor 8, 9 ne getta le basi; formulato esplicitamente in IRENEO DI LIONE,Adv. haereses III, 19; fondamentale per la cristologia in ATANASIO, De incarn. 54. Cfr. H.U. VON BALTHASAR, Theodramatik III, 226-230; E.M. FABER, Art. «Commercium», in:LThK II (1994) 1274 s.

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Il concetto di sostituzione vicaria è dunque un concetto teologico chia-ve9, che esprime la legge di una struttura in processo di divenire. È la leggedel chicco di grano che deve morire per produrre frutto (cfr. Gv 12,24). È lalegge del lasciare tutto per raccogliere un guadagno centuplicato (cfr. Mc10,28). È soprattutto la legge dell’amore. Soltanto nel darsi all’altro e nel-l’esserci pienamente per l’altro, l’amore realizza se stesso. L’abbandonare perguadagnare (cfr. Mc 8,35; Mt 10,39; 16,25; Lc 9,34; 17,33; Gv 12,25) è lalegge fondamentale dell’amore e dell’amicizia (cfr. Gv 15,13). Essa è la leg-ge di Cristo: portare i pesi gli uni degli altri (cfr. Gal 6,2).

È precisamente in questo ampio contesto che va compreso il grido di Ge-sù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34)10.Questo grido è espressione del profondo svuotamento di se stesso che compieGesù e della sua totale solidarietà con noi. Egli assume davvero su di sé il pesodell’abbandono di Dio, dell’eclissi di Dio dal mondo. Tuttavia, questa citazio-ne dell’inizio del Salmo 22 è, in linea con la tradizione ebraica, un riferimentoall’intero salmo, il quale comincia, è vero, con il lamento per l’abbandono diDio, ma si conclude con la riconfortante certezza che Dio rimane fedele al suopopolo. Per questo, il grido di abbandono lanciato da Gesù non può assoluta-mente essere letto in chiave atea. Esso non ci dice che Gesù ha per così dire ri-nunciato al suo essere Dio, ma esprime piuttosto il fatto che Dio ci soccorre eci salva perfino nella notte d’eclissi più buia in cui l’uomo possa trovarsi, in cuinoi, soprattutto al presente, ci troviamo. Anche in una simile situazione, egli èil Dio presente (cfr. Es 3,15), egli è il Dio con noi.

Luca ha interpretato giustamente le dure parole dell’abbandono riporta-te in Marco, dicendo: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc23,46). Ed in Giovanni troviamo l’affermazione che corona trionfalmente ilmistero della croce: “Tutto è compiuto!” (Gv 19,30).

Anche le parole della kenosi nell’inno della lettera ai Filippesi (cfr. 2,7;2 Cor 8,9; Eb 2,9) vanno capite in questo senso11. Kenosi (in latino exinani-tio) significa svuotamento, cessione, rinuncia, alienazione. Attraverso la pro-

352 Cardinal Walter Kasper

9 K.-H. MENKE, Stellvertretung Schlüsselbegriff christlichen Lebens und theologi-sche Grundkate-gorie, Freiburg, Br.2 1997; Art. Stellvertretung I-IV, in: LThK IX (2000)951-956; E. M. FABER, Der Selbsteinsatz Gottes, Würzburg 1995.

10 Cfr. H. GESE, Psalm 22 und das Neue Testament, in: ZThK 65 (1968) 1-22.

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pria auto-alienazione, Gesù, che era Dio nella forma (morϕhv), ha scelto diprendere il posto di noi peccatori, di noi che siamo assoggettati alla morte equindi suoi servi. Ecco perché Gesù assume la forma (morϕhv) di servo. Malasciandosi crocifiggere non per necessità del destino ma per sua propria vo-lontà e per obbedienza al Padre, egli sottrae alla morte il suo pungiglione (cfr.1 Cor 15,55) e ci libera dalla schiavitù, dandoci una nuova vita. L’auto-alie-nazione non si esaurisce dunque nel vuoto, nel nulla; al contrario, essa è la viaverso l’innalzamento, tramite cui Gesù diventa Kyrios, ovvero Signore delmondo. La morte di Gesù è la morte della morte e la liberazione a nuova vi-ta. La sua kenosi suggella così la vittoria della vita sulla morte, della libertàsulla necessità del destino, dell’amore sull’odio12.

Agostino ci fornisce una giusta interpretazione di tutto questo quandoscrive in modo conciso e pregnante: “Sic se exanivit: formam servi accipiens,non formam Dei ammitens, forma servi accessit, non forma Dei discessit”(Sermo IV, 5)13. Solo perché Dio, abbassandosi, si è reso presente e attivo, èpossibile dire: “Ucciso dalla morte, egli uccide la morte” (Agostino, In JoXII, 10 s.)14. “Mortem nostram moriendo destruxit” proclama la liturgia.

Si capisce dunque perché per Paolo la croce costituisca il mistero dellasapienza di Dio (cfr. 1 Cor 1,7-25; 2,6-10; 2 Cor 13,4) e la parola della crocesia l’essenza del messaggio salvifico (cfr. 1 Cor 1,18; 2,2). Negli scritti piùtardi del Nuovo Testamento la croce assume addirittura una dimensione co-smica; attraverso la croce, tutto (ta; pavnta) viene riconciliato a Dio (cfr. Col1,20). L’Apocalisse giovannea ci presenta l’agnello immolato come luce delcosmo (cfr. Apc 21,23).

Nel Nuovo Testamento la kenosi non è quindi contrapposta al Logos;sul Logos essa getta una nuova luce. A sua volta, il Logos non può essere in-terpretato in maniera speculativa e dialettica come kenosi. Piuttosto, è la ke-

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11 Cfr. E. KÄSEMANN, Kritische Analyse von Phil 2,5-11, in: Exegetische Versucheund Besinnungen, Vol.1, Göttingen 1960, 51-95; J. GNILKA, Der Philipperbrief, Freiburgi.Br. 1968, 112-131; R. SCHNACKENBURG, Mysal III/1, 309-322; H.U. VON BALTHASAR,Mysal III/2, 143-158.

12 Cfr. W. KASPER, Jesus der Christus, 185 s.13 AGOSTINO, Sermone IV, 5.14 AGOSTINO, In Jo XII, 10 s.

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nosi della croce a svelare pienamente il senso del Logos, che è l’amore. E l’a-more è il senso dell’essere.

Detto questo, ecco che abbiamo compiuto il primo passo verso una trat-tazione sistematica della teologia della croce.

3. Una trattazione sistematica della cristologia della kenosi

Il Nuovo Testamento ci dice che Dio stesso è all’opera sia nella kenosidi Gesù che nel suo innalzamento. Dio si rivela nel suo Figlio (cfr. Gv 3,16;1 Gv 4,9 s; Rom 5,8; 8,32). Nel Gesù terreno, nel Gesù crocifisso si manife-sta la gloria di Dio (cfr. Gv 1,4, ecc.) ed il suo amore (cfr. Rom 5,8 s; 8,32;Gv 3,16 s., ecc.). Sulla croce ci viene dunque svelato Dio stesso come amore(cfr. 1 Gv 3,8.16).

Nell’economia della salvezza, Dio non rivela “qualcosa” ma rivela sestesso (DV 2). Se la rivelazione è intesa come auto-rivelazione, allora la real-tà di Dio non è “qualcosa” che si nasconde “dietro” la sua rivelazione: là, Diostesso è presente. L’amore di Dio rivelatosi sulla croce rende visibile Dio stes-so come amore. Sulla croce egli si rivela come colui la cui essenza è amore.Detto in maniera più astratta: nella Trinità economica rivelata dalla croce edalla risurrezione, si rivela la Trinità immanente15.

Per comprendere più profondamente la natura trinitaria di Dio, possia-mo partire dalla natura dell’amore16. Precisamente da qui era partito ancheAgostino17, senza però sviluppare oltre il suo pensiero. Per lui, come per latradizione teologica classica, fondamentale è l’analisi dell’atto conoscitivo18.Nella teologia odierna possiamo costatare lo stesso interesse. Stimolato dalleanalisi di Fichte, di Schelling, di Hegel e soprattutto dal personalismo dialo-gico di origine ebraica, come in Martin Buber e, in modo sostanzialmente più

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15 K. Rahner ha espresso l’assioma: “La Trinità economica è la Trinità immanentee viceversa” (Osservazioni sul trattato dogmatico “De Trinitate”, in: Schriften zur Theo-logie, Vol. IV, , Einsiedeln 1960, 115); Der dreifaltige Gott als transzendenter Urgrund derHeilsgeschichte, in: Mysal II (1967) 328. Su questa problematica cfr. W. KASPER, DerGott Jesu Christi, 333-337; H.U. VON BALTHASAR, Theodramatik III, 297-305.

16 Cfr. W. KASPER, Der Gott Jesu Christi, 241-245; sviluppato ulteriormente in G.GRESHAKE, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg i. Br. 1997.

17 AGOSTINO, De Trinitate VIII,10: «Ecce tria sunt, amans et quod amatur et amor». 18 Cfr. W. KASPER, Der Gott Jesu Christi, 266 s.

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radicale, in Emmanuel Lévinas, lo studio del fenomeno dell’amore occupaadesso un posto di primaria importanza.

Oggi, il punto di partenza della riflessione teologica sulla Trinità è prin-cipalmente l’auto-comunicazione di Dio. Ma l’amore, che comunica se stes-so per essere una cosa sola con l’altro, non significa fusione. Il vero amorenon assorbe l’altro, né lo usa per la propria auto-conoscenza o auto-realizza-zione. L’amore non ha una struttura dialettica, ma una struttura dialogica.Amore significa essere una cosa sola con l’altro, preservando l’identità diognuno, e permettendo allo stesso tempo la realizzazione ed il compimento diciascuno. Chi darà la propria vita, la riceverà. L’unità nell’amore comportadunque il riconoscimento della differenza. L’amore sa distinguere e sa ritrar-si. L’amore fa un passo indietro; esso rende l’altro libero e ne riconosce l’al-terità. La logica dell’amore è dunque quella del lasciarsi spazio reciproca-mente: è quella, anche, della rinuncia. Amore e dolore, amore e morte, eccodue realtà strettamente legate, come ci dicono da sempre i grandi poeti.

Possiamo allora interpretare l’affermazione che Dio è amore così: Dioè se stesso nell’essere totalmente per l’altro. Il Dio-amore può essere conce-pito soltanto come un’auto-differenziazione al suo interno. Pertanto, la dottri-na trinitaria non contraddice il monoteismo, come più volte si sente dire. Es-sa esprime piuttosto il fatto che un Dio-amore può essere pensato soltanto inmaniera trinitaria. La Trinità è il monoteismo concreto19.

Di fronte alla realtà della sofferenza, la Trinità è l’unica forma di mo-noteismo che possa essere concepita e che possa esistere. Dalla croce in poi,pensare a Dio in modo trinitario significa pensare ad un Dio che al suo inter-no lascia spazio all’altro se stesso. Diversamente dal Dio onnipotente chemolti si immaginano, Dio è assolutamente non violento. Dio, nella sua essen-za, è colui che si apre totalmente e che si offre. Dio non opprime; egli si la-scia addirittura cacciare dal mondo, e ci si mostra debole, impotente20. Dio èin se stesso kenotico. Balthasar parla della kenosi originaria e di una “divi-sione” all’interno di Dio21. Ma in questo suo essere kenotico, Dio non rinun-

La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 355

19 W. KASPER, Der Gott Jesu Christi, 323; 354 ss, 373. Sull’attualità della questio-ne di fronte al problema del monoteismo cfr. M. STRIET, Monotheismus und Kreuz, in.IkaZ Communio 32 (2003) 273-284.

20 Secondo l’espressione molto citata di D. BONHOEFFER, Wiederstand und Erge-bung, München 1970, 394.

21 H. U. VON BALTHASAR, Mysal III, 152 s.

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cia a se stesso, non si trasforma in qualcosa di diverso, non abbandona la pro-pria divinità. In questa sua esistenza kenotica, Dio è Dio.

Come la croce è la rivelazione dell’amore intratrinitario di Dio, così l’a-more intratrinitario di Dio è la condizione interna che rende possibile la com-passione di Dio fino alla morte in croce. Origene ha formulato chiaramente que-sto prerequisito: “Primus passus est, deinde descendit. Quae est ista, quam pronobis passus est, passio? Caritatis est passio” (Homelia in Ez. VI, 8)22. La cro-ce è dunque la forma più esterna dell’amore divino che si dà, è la forma piùesterna dell’amore costitutivo di Dio, ovvero id quo maius cogitari nequit.

Questa tesi comporta una vera e propria rivoluzione metafisica23. La re-lazione non è più concepita come una semplice realtà accidentale. Così comela vera realtà non corrisponde più semplicemente né alla Sostanza, che sussi-ste in sé e per sé, né al Soggetto che esiste in sé e per sé secondo il pensieromoderno. Adesso è nella relazione stessa che si fonda la sussistenza delle per-sone della Trinità. Dio è relazione, e nella relazione egli viene a noi. Nell’es-sere il Dio per noi e con noi, egli rivela la sua natura più profonda.

Il tema della sofferenza di Dio, che è stato sempre così spinoso per latradizione teologica, acquista allora una nuova dimensione. La sofferenza, edin questo dobbiamo riconoscere che la teologia classica ha assolutamente ra-gione, non può essere sperimentata da Dio in modo passivo. Quando Dio sof-fre, lo fa in modo divino. La sofferenza divina non è espressione di una man-canza, ma di una libera volontà. Dio non è investito passivamente dal doloredella creatura, ma si lascia coinvolgere intenzionalmente. Per questo, l’onni-potenza di Dio non è in contraddizione con il suo amore; la sua onnipotenzasi manifesta nell’amore, poiché è precisamente l’onnipotenza che rende pos-sibile il ritirarsi senza rinunciare a se stessi. L’onnipotenza di Dio è l’onnipo-tenza del suo amore, che rivela ciò che è ed è ciò che è proprio nel lasciarespazio all’altro24.

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22 ORIGENE, Homelia in Ez. VI,8.23 Cfr. J. RATZINGER, Einführung in das Christentum, München 1968, 142-150; K.

HEMMERLE, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Einsiedeln 1976; W. KASPER, DerGott Jesu Christi, 354; 377; G. GRESHAKE, a.a.O. 457-460.

24 S. KIERKEGAARD, Die Tagebücher 1834-1855, München 1949, 239 f; K. BARTH,Kirchliche Dogmatik II/1, 597; Th. PRÖPPER, Art. Allmacht III, in: LThK I (1993) 416.

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La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 357

Il Dio compassionevole, che si manifesta sulla croce, è la risposta allaquestione della teodicea25: Dio è il Dio che soffre e che muore, e si fa vicinoa coloro che sono oppressi, torturati, martirizzati. Dio è al loro fianco e soffrecon loro. Questo non significa però che dobbiamo glorificare o divinizzare lasofferenza. Dio non divinizza la sofferenza, ma la redime, mutandola al suointerno. Non l’elimina, ma la trasforma in speranza. La croce è infatti la viaverso la risurrezione e la trasfigurazione. Il dolore e la morte non hanno l’ul-tima parola. La cristologia della kenosi ci conduce oltre se stessa, verso la cri-stologia pasquale dell’innalzamento e della trasfigurazione. Come dice laScrittura, “nella speranza noi siamo stati salvati” (Rom 8,20.24; 1 Pt 1,3).

4. Uno sguardo alla spiritualità cristiana odierna

Lo abbiamo appena detto: la teologia della kenosi non è una speculazio-ne astratta. Essa costituisce la tela di fondo della riflessione sulla teodicea e sulsignificato esistenziale della sofferenza e della morte. Essa è inoltre di grandeimportanza per il dialogo ecumenico. Una considerazione a parte meriterebbe ilsuo ruolo all’interno del dialogo interculturale e interreligioso, soprattutto perl’incontro con la spiritualità buddista ed il suo concetto di nirvana26.

In questo contesto, desidero fare solo alcune osservazioni conclusive sulsignificato che la teologia della kenosi riveste per una spiritualità cristianaodierna27. Vi sono molte figure di grande rilievo che hanno mostrato l’im-portanza della sostituzione vicaria e che, testimoniandola con la propria vita,costituiscono un esempio luminoso per la spiritualità odierna e per un rinno-vamento missionario della Chiesa: Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld,Edith Stein, Maximilian Kolbe, D. Bonhoeffer, Oscar Romero e molti altri.Ognuno a modo proprio, essi si sono immersi nel grido di dolore e di abban-dono di Gesù ed hanno portato sulle proprie spalle, con solidarietà, il peso

25 Critici su questa posizione di Balthasar: K. RAHNER, Schriften zur Theologie,Vol. 15, 1983, 211s; KARL RAHNER im Gespräch, ed. da P. Imhof und H. Biallowons, Vol.1, München 1982, 245 s.

26 La teologia della croce in questo contesto in K. KITAMORI, Theologie desSchmerzes Gottes, Göttingen 1972.

27 Cfr. H. SCHÜRMANN, Jesu ureigener Tod. Exegetische Besinnungen und Ausblick,Freiburg i. Br. 1975, 130-155.

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dell’eclissi di Dio dal mondo. Per loro, l’esperienza della notte, del deserto,dell’ultimo posto non ha significato un cammino verso un niente privo di sen-so, ma si è trasformata in qualcosa di attivo, in una vita spesa per gli altri, af-finché la luce di Dio risplendesse anche nel buio più opprimente.

Anche per il cristiano di oggi non esiste un altro cammino. Nel mondooccidentale, egli normalmente non è esposto ad una brutale violenza anti-cri-stiana, ma è costretto a vivere in una società che non conosce Dio, o lo cono-sce così poco da non essere neppure in grado di sostenere un ateismo co-sciente. A Dio si è ormai indifferenti. Il mondo è diventato un deserto, unanotte in cui non si distingue più nulla, in cui non c’è più né un sotto né un so-pra, in cui si è perso l’orientamento.

In questa situazione, la Chiesa non può più atteggiarsi a potente istitu-zione, portando davanti a sé la croce come segno temporale di vittoria. Il cri-stiano, piuttosto, dovrà sperimentare l’impotenza della croce, dovrà condivi-dere la sofferenza di altri. Ed è proprio ora, in questa notte d’eclissi, che eglidovrà preservare e testimoniare per gli altri la luce della fede, della speranzae dell’amore. Ecco la sfida del cristiano di oggi e di domani: una presenza at-tiva a favore degli altri.

Maria è esempio e tipo di questa esistenza kenotica, lei, l’umile servache ha dato spazio a Dio, dapprima nel suo cuore e poi nella sua carne. Ma-ria ha portato avanti la speranza fino ai piedi della croce. E lo ha fatto per noi.Ha pronunciato il suo “fiat” al posto di tutta l’umanità. Maria è fulgido esem-pio di un’esistenza attiva “per” l’altro; ella è l’aurora di un nuovo mondo.

THE CROSS AS A REVELATION OF GOD’S LOVEBy Cardinal Walter Kasper

On the 24th October last the Chair of Gloria Crucis at the Pontifical LateranUniversity was inaugurated. It is from that Chair that this Review is published.There was an inaugural lecture delivered by the theologian Card. Walter Kasper.It was an amazingly comprehensive and up-to-date effort which brought to lightthe enormous importance of the theology of the Cross in our day. Mnsgr. RinoFischella, the Rector Magnificus of the University, also took part. The lecture willbe published in a separate fascicle of Gloria Crucis. Here we reproduce the lastpart of it, which treats on the Catholic theology of the Cross.

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Il dramma in DioStudio sulla soteriologia teodrammaticadi H. U. v. Balthasar1

di GIUSEPPE DELLA MALVA

Il prof. Giuseppe della Malva ci offre qui una presentazio-ne rigorosa del pensiero di Balthasar sull’assunzione del dram-ma dell’uomo da parte di Dio nel Cristo. Il precedente articolocontenente una parte della lectio magistralis di Walter Kasper al-la cattedra Gloria Crucis mostra quanto questo aspetto sia im-portante per una concezione veramente cattolica della TheologiaCrucis. Inoltre, il pensiero di Balthasar, per quanto sia semprepiù studiato di anno in anno (la nostra rivista ha dedicato ad es-so un buon numero di articoli), attende ancora di essere piena-mente condiviso nella Chiesa. A questo servono certamente studicome il presente, che lo riesprimono e lo ripropongono in mododa farne un pensiero che circola e nutre la vita della Chiesa, co-me lo stesso Balthasar si augurava che avvenisse, magari anchecon nuovi arricchimenti.

1 Per le citazioni delle opere di Balthasar saranno usate, in questo testo, le seguen-ti sigle: GL = Gloria. Una estetica teologica, Queriniana, Brescia, 1 (1994); 2 (1985); 3 (1986);

4 (1986); 5 (1978); 6 (1991); 7 (1991);TD = Teodrammatica, Queriniana, Brescia, 1 (1987); 2 (1992); 3 (1992); 4 (1999); 5

(1995);TL = Teologica, Queriniana, Brescia, 1 (1997); 2 (1990); 3 (1992); SI = Lo Spirito e l’I-

stituxione, Morcelliana, Brescia, 1979; MP = Teologia dei tre giorni, Queriniana,Brescia, 1990 (Titolo originale Mysterium paschale); TS = Teologia della storia,Morcelliana, Brescia, 1964.

GIUSEPPE DELLA MALVA. SAPCR 21 (2006) 359-382

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1. Le radici del Theo-drama: la libertà infinita come amore trinitario

1.1. Dall’excursus storico–soteriologico alla fondazione trinitario-imma-nente

Il nodo del teodramma, in cui Dio investe il suo impegno supremo: asso-luta libertà “in-contro-come libertà creata”, sta nell’evento della croce, il qualetuttavia può essere considerato solo su sfondo trinitario, al punto che una sote-riologia non è praticabile se non partendo di qui2. Ciò ora è detto consuntiva-mente a mo’ di assioma, ma von Balthasar vi giunge attraverso un lungo excur-sus storico, proposto, sotto forma di “pars destruens”, come percorso propedeu-tico a una corretta ermeneutica della nozione di “vicarietà” cristologica. Questa,nella comprensione dell’autore, non s’identifica tout-court con nessuno dei mo-delli soteriologici sorti lungo la storia della teologia - epoca patristica, medioe-vo, età moderna - inabili a rendere pienamente ragione del pro nobis neotesta-mentario, «nodo più intimo del gioco d’insieme tra Dio e l’uomo»3, e delle cin-que categorie bibliche ad esso sottese: dedizione, scambio di posto, riscatto dalmale, introduzione alla vita divina trinitaria e amore misericordioso di Dio4.

Nei Padri della chiesa5 la disputa cristologica condiziona fortemente la ri-flessione soteriologica: se questa infatti nello “scambio dei posti” fornisce aquella, contro le coeve eresie, la garanzia della piena divinità, come della totale

2 Cf. TD4, 296-297.3 TD4, 221. Questo “per noi” è, a parere dell’autore, la matrice di tutto l’intellectus

fidei, il «punto fontale della cristologia della Chiesa primitiva» (SI, 344), «l’avampostodogmatico» (TD3, 104) a cui «sta appesa tutta la fede cristiana» (ID., L’uomo e la vitaeterna, op. cit., 39), perché ne è «la parola primordiale... la radice da cui si è sviluppatotutto l’albero del Credo e della dogmatica. Per noi Gesù si è incarnato, per noi e per i no-stri peccati è morto e risorto: e, se ha potuto far questo, era fin dal principio “veramenteFiglio di Dio” (Mc 15,39)» (ID., Il Rosario, Milano 1978, 63).

4 Cf. TD4, 221-224. La disamina constata il cedimento della storia della soteriolo-gia rispetto a tre pericoli fondamentali: «1. che un aspetto venga innalzato a dominante alpunto che gli altri debbano scontare del loro peso; 2. che il peso pieno dell’affermazionecapitale (cui mirano tutti i cinque aspetti) venga sostituito da un equivalente per la ragioneche quello sarebbe troppo legato al suo tempo e questo più conforme allo spirito di un’al-tra epoca, ma senza possedere la carica dell’affermazione biblica; 3. che non sopportandola tensione esistente tra più aspetti, la si attenui o la si elimini a favore di una sintesi appa-rente» (TD4, 224).

5 Cf. TD4, 225-235.

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Il dramma in Dio 361

umanità del mediatore del Patto, quella, dovendo affermare la perfetta impecca-bilità del Redentore, deve altresì porre un limite all’admirabile commercium cheardisce asserire: «Holon en heautoi eme pheron meta tou emou»6. Riandando aitesti patristici, non sarà difficile rilevare che «La formula “me tutto e tutto il mio”consegue dappertutto la stessa circoscrizione alle conseguenze e ai castighi delpeccato, mentre il peccato stesso non viene portato»7 né il peccatore rappresen-tato davanti a Dio dal Salvatore in azione sul teatro del mondo.

La delimitazione dello “scambio dei posti”, inconsapevole nei Padri, sifa cosciente e persino indispensabile nelle teologie medievali8 di Anselmo edi Tommaso, accomunate dal rilievo accordato alla satisfactio (variante delterzo tema biblico). Ciò è evidente nella pionieristica “soteriologia sistemati-ca” del primo9, dove, non il contatto con il peccato degli altri - il Salvatoremuore innocente - ma la volontarietà e il “divino valore” danno un “sovrap-peso” redentivo alla morte di Gesù, il quale «Meno che mai allora... è il “por-tatore dei peccati del mondo”»10.

Allo stesso modo nell’Aquinate - che pur introduce tutti i possibili mo-tivi della Scrittura e dei padri, compreso lo scambio dei posti, e tratta detta-gliatamente le passiones assunte da Gesù, il quale quasi sibi adscribit tutti ipeccati dell’umanità - «manca ogni intimo contatto tra Gesù e la realtà deipeccati come tale»11.

L’età moderna12, preoccupata di superare un linguaggio soteriologicoritenuto ormai incomprensibile e al contempo la diastasi tra Cristo e gli altri

6 «Mi ha portato tutto in sé con tutto il mio» (PG 36, 109C, cit. in TD4, 232). Lafrase di Gregorio di Nazianzo - del quale è più nota la classica «Quod non assumptum nonsanatum», divenuta poi magisteriale (cf. DS 291) - è perfettamente rappresentativa delcommercium patristico, che sostiene «lo scambio di “egli come Dio-uomo e di noi comeuomini-Dio”» (TD4, 227).

7 TD4, 234.8 Cf. TD4, 235-245.9 Cf. TD4, 235. Pur cogliendolo nei «suoi difetti» (TD4, 240), Balthasar scagiona

Anselmo dall’«insensata polemica» che lo accusa di «giuridismo» (cf. TD4, 235. 237;TD2, 148; TD3, 224-225; GL2, 225-226) e «di aver escogitato un Dio Padre crudele»(TD4, 239), mentre lo elogia per il «transito, nella teologia, da una visuale estetica a unadrammatica» (TD4, 238). Una monografia su Anselmo è in GL2, 190-234.

10 Cf. TD4, 240.11 TD4, 243.12 Cf. TD4, 245-293.

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362 Giuseppe della Malva

uomini, si ramifica in due strade che sembrano contraddirsi: la solidarietà –che in genere traspone il piano ontico del commercium patristico all’anodinolivello socio-psicologico13 – e la sostituzione, eccessivamente radicalizzatanella luterana dialettica del “sub contrario”14 o nell’idea di “pena sostitutiva”,avanzata da autori sia protestanti che cattolici15. Un’analisi a sé infine è de-dicata alla teoria del capro espiatorio di Girard, ripresa e corretta poi daSchwager, la quale, benché imponente, non evidenzia il peso del peccato néil significato rivelativo della croce di Gesù16.

Senza puntare ad un sistema staurologico17, Balthasar ritiene che tuttele riduzioni storiche del polivalente pro nobis neotestamentario - in sintesi:disattenzione alle ultime necessarie conseguenze della donazione del Figlio

13 Cf. TD4, 252; ID., Se non diventerete come questo bambino. Quattro meditazio-ni cristologiche, Casale 1992, 57. Tra i vari nomi ascritti a questa categoria spiccano quel-li di H. Kessler, J. Alfaro, H. Küng, Schillebeeckx, Ch. Duquoc, K. Rahner. A quest’ulti-mo Balthasar dedica un ampio excursus (cf. TD4, 252-263), al quale dobbiamo qui ac-cennare, spinti non certo dall’intenzione di addentrarci nella polemica o d’interpretareuna già interpretata lettura di Rahner, ma dalla necessità di evidenziare la peculiarità del-l’impianto soteriologico balthasariano, ottenuta anche nel distacco da quello. Dell’autoredel Grundkurs Balthasar contesta i presupposti - quello esegetico che, negando nella co-scienza di Gesù l’interpretazione della propria morte in chiave sacrificale-espiativa, rela-tivizza anche l’“hyper” eucaristico; quello speculativo che, escludendo nell’immutabileDio l’opposto movimento ira-riconciliazione (cf. TD4, 254-255), elimina il «decisivomomento drammatico» (TD4, 263; cf. ID., Tu coroni l’anno con la tua grazia, Milano1990, 57) - e la conclusione: l’attribuzione teologica del “pro nobis” cristologico (cf.TD4, 255). Questa, rifiutando un’«impensabile sostituzione vicaria», non spiegherebbedella «morte esemplare» di Gesù - pur fondata sull’“unio hypostatica” (cf. TD4, 255-256)- «l’assoluta singolarità» (TD4, 259; vedi complementariamente: GL7, 148-149) né l’ac-cadere nel dolore e nell’abbandono di Dio (cf. TD4, 255; ID., Cordula. Ovverosia il casoserio, Queriniana, Brescia, 1993, 102) e, dovendo porre «un accento antiocheno di ten-denza estremistica» in direzione della «totale dedizione dell’uomo Gesù a Dio», condur-rebbe antropologia e cristologia ad «una formale identità» (cf. TD4, 260-261).

14 Il «rigetto di una vera teologica a favore di una continua dialettica della contrad-dizione» rende, in ordine al «Dio nudo» (TL2, 302) che scopre, inafferrabile il contenutorivelativo; in ordine all’uomo, «caratterizzato dallo stesso simul di Cristo», impraticabilela giustizia personale relativa all’imitazione del Cristo-exemplum (Cf. TD4, 267-268). SuLutero vedi: TL2, 294-302.

15 Cf. TD4, 269-276. Per l’area protestante si citano K. Barth, Pannenberg e J.Moltmann; per quella cattolica Blondel, Daniélou e Martelet.

16 Cf. TD4, 276-291; ID., Crucifixus etiam pro nobis, Communio 49 (1980) 23.17 Perentoriamente: «la croce rompe ogni sistema» (TD4, 297).

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Il dramma in Dio 363

(Padri) o alla realtà del peccato che persiste pure davanti al merito di Cristo(Anselmo); mancata conciliazione della vicarietà innocente con l’amore diDio (Lutero) o del caricamento dei peccati da parte dell’uomo con l’iniziati-va di Dio (Girard, Schwager, Pannenberg) oppure ancora della gratia sola conla libertà creaturale non cancellata dal peccato - vadano superate nella cate-goria di Stellvertretung. Secondo l’autore, infatti, soltanto questa «dura paro-la»18 che alcuni vorrebbero evitare, forma l’«indispensabile concetto»19 di“vicarietà” in grado di attingere pienamente il significato che tutto il NuovoTestamento20 - in una specie di continuità eccedente rispetto all’Antico21 - at-tribuisce al “per noi” cristologico.

Il pensiero si erige su base trinitario-immanente. Benché, infatti, una«piena dottrina della Trinità possa svolgersi solo a partire da una teologia del-la croce»22 - ovvero dalla storica «kenosi di Dio»23 - quella dovrà porsi ne-

18 ID., La mia opera ed Epilogo, Milano 1994, 155.19 TD3, 113.20 In riferimento all’idea che «Gesù Cristo ha sofferto per noi... è dimostrato con

sicurezza che il pensiero dell’espiazione vicaria di questo dolore, che si esprime in questaformula, è prepaolino» (ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 19) e che pertanto non fu«per primo Paolo, bensì già la più antica riflessione gerosolimitana sullo scandalo dellacroce a ricevere tutta la luce dall’idea di rappresentanza vicaria» (SI, 344). Ecco perché,così inteso, di necessità «il “pro nobis”... attraversa tutti gli strati del Nuovo Testamento»(ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 21. Il corsivo è nostro).

21 La continuità è data dal sorgere e dal persistere della categoria, che garantisce, alivello biblico, la precomprensione del senso di “rappresentanza vicaria”. È importantenotare, infatti, che il «nucleo più antico della cristologia, dal quale si svilupperà l’interadogmatica, senza dubbio si è formato in riferimento ai canti del servo di Dio isaiano, lacui sofferenza era stata intesa come una prestazione espiatoria in rappresentanza vicariaper i “molti”, e che a loro volta questi canti del servo di Dio non emergono ex abruptonell’Antico Testamento, ma hanno affondato le loro radici molteplici nelle offerte di rap-presentanza vicaria da parte delle grandi figure di fondatori» (SI, 345): Abramo, Mosé, iprofeti. L’eccedenza sta invece nella pregnanza teologica di cui il Nuovo Testamento ca-rica la categoria stessa, rispetto alla quale, ultimamente, l’Antico Testamento risulta«frammentario, incoativo»; i suoi, tutt’al più, sono «accenni e presentimenti di una miste-riosa rappresentanza (anzitutto nell’elezione di uno al posto dell’altro e per lui), ma persi-no nei canti del “servo di Dio” l’intero processo (per quanto riguarda il soggetto) resta in-determinato e viene cantato in un’atmosfera di sogno, di presagio, di profezia: tutto atten-de l’atto reale, che eliminerà i limiti di quanto è particolare e proprio di un determinatopopolo» (SI, 346). Cf. GL6, 349-351.

22 TD4, 297.23 TD4, 302.

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cessariamente come intimo presupposto di questa, profilandosi, nello stessotempo, alternativa agli “extrema vitanda” di K. Rahner e di J. Moltmann24.Ciò le riuscirà se prenderà l’abbrivo da «una teologia negativa che esclude daDio qualsiasi esperienza e sofferenza intramondana e tuttavia avvia in Dio lecondizioni della possibilità per una tale esperienza e sofferenza... fino all’as-sunzione dell’abbandono di Dio efficamente sostitutivo»25. Dio, in tal caso,non potrà apparirle che «eterna e assoluta autodedizione», già in se stessodunque «amore assoluto, a partire dal quale soltanto si chiarisce la autodedi-zione libera verso il mondo»26 fino alla croce, ma senza bisogno, per il suoautodivenire, né del mondo né della croce.

1.2. La libertà infinita come eterna e assoluta autodedizione

Insieme ad un Bulgakov depurato dai suoi presupposti sofiologici, Bal-thasar individua la «verità teologica... mediatrice tra i due estremi inconcilia-bili»27 di una rigida immutabilità di Dio e una mutabilità alienante, nell’ardi-to concetto, riferibile con linguaggio analogico all’«“evento” eterno delleprocessioni divine»28, di «Kenosi primordiale»29. Questa, nell’intratrinitario«“altruismo” (Selbstlosigkeit) delle persone divine quali pure relazioni» d’a-

364 Giuseppe della Malva

24 Balthasar è convinto che «bisogna trovare una strada per interpretare una Trinitàimmanente che sia a tal punto il fondamento del processo del mondo (fino alla crocifissio-ne) che essa possa né apparire, vedi Rahner, come un processo formale di automediazione diDio, né, vedi Moltmann, come irretita nel processo del mondo» (TD4, 300). Oltre che «nelvortice della “teologia del processo” di Whitehead» (TD4, 299), Moltmann finirebbe, se-condo il nostro autore, nell’«“ambiguità” di Hegel secondo cui non si dà Trinità senza mor-te e dolore e croce» (TD5, 194), la quale ultima «diventa non soltanto il luogo privilegiato(in ultima analisi unicamente valido) dell’autorivelazione della Trinità, ma addirittura il luo-go del suo vero adempimento» (TD4, 299). Il pericolo di Rahner, invece, è ravvisato in que-sto caso nell’“e viceversa” del Grundaxiom («la Trinità “economica” è la Trinità “imma-nente” e viceversa»: K. RAHNER, La Trinità, Brescia 1998, 30, dove tutta la frase è in cor-sivo), in conseguenza del quale «la Trinità immanente ed eterna di Dio rischia di risolversinella economica» (TD3, 468), stante che «La Trinità economica non può essere affermatasemplicemente identica alla Trinità immanente, per quanto le leggi della prima derivino dal-la seconda» (TD3, 148). Sul Grundaxiom vedi anche: TD4, 298-299.

25 TD4, 302.26 Cf. TD4, 301. Il corsivo è nostro.27 Cf. MP, 45-46.28 MP, 22.29 TD4, 308.

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Il dramma in Dio 365

more30, s’identifica con «l’autoespressione del Padre nella generazione delFiglio», mediante la quale egli, per pura “libertas”31, «si disappropria radi-calmente della sua divinità e la transappropria al Figlio»32.

A tale dinamico, eterno33 movimento di donazione coincidente con«l’imprepensabilmente generante»34 Padre stesso - che «senza trattenersi nul-la» dunque «non perisce dentro il dono»35 - corrisponde la libera risposta delFiglio come “imprepensabile autoaccoglimento”36 ed «eterno rendimento digrazie (eucharistia) alla sorgente paterna... così disinteressato e senza calcoloalcuno quale era la dedizione prima del Padre»37.

Ed emergendo da entrambi, «quale loro “noi” sussistente, respira il co-mune “Spirito” che a un tempo tenendo aperta la differenza (come essenza del-l’amore) la suggella e, quale l’unico Spirito di entrambi, le serve da ponte»38.Ora - si afferma - «la prima “kenosi” intradivina... abbraccia da ogni lato le al-tre»39, da quella rese radicalmente possibili: la creazione, l’alleanza40, la croce-

30 GL7, 195. Il concetto di “altruismo”, quale «ultimo presupposto della kenosi»(MP, 45), è attinto alla moderna teologia russa - lo attesta lo studio cui Balthasar allude(GORODETSKY N., The humiliated Christ in modern Russian thought, London 1938,cit. in MP, 45) - particolarmente da Solowjew - al quale è dedicata un’ampia ed elogiati-va monografia in GL3, 260-324 - Tarejew, oltre che dal già menzionato Bulgakov.

31 Cf. TL2, 141.32 TD4, 301. Cf. TL2, 153.33 «Il dramma trinitario ha una durata eterna: mai il Padre è stato senza il Figlio,

mai il Padre e il Figlio sono stati senza lo Spirito» (TD4, 304).34 TL2, 118. «Il Padre, che non può essere appunto pensato (arianamente) come

esistente “prima” di questa autodonazione, è questo movimento di donazione» (TD4, 301;il corsivo è nostro. Cf. TD4, 302-303; TD2, 243; TD5, 80).

35 TD4, 303. L’espressione si avvicina a quella del Laterano IV, secondo cui il Padregenerando «non ha dato la sua sostanza al Figlio in modo da non averla più lui» (DS 805,cit. in TL2, 118; TL3, 185). In ciò Balthasar si distanzia anche dai Kenotici tedeschi del XIXsecolo, i quali spingono a pensare che «l’essenza di Dio sia in sé (univocamente) “kenoti-ca”» (MP, 40) e quindi costretta all’«autolimitazione» (MP, 42-43; cf. TD5, 190-191).

36 Cf. TD5, 79.37 TD4, 301. 38 TD4, 301-302; il corsivo è nostro. Cf. TD4, 308.39 TD4, 301.40 Creazione e patto «possono essere chiamati una nuova “kenosi”» (TD4, 305), o

«“autodelimitazione” del Dio trinitario»: la prima «in forza della libertà donata alle creatu-re»; il secondo, «più profonda autodelimitazione», per il fatto che «da parte di Dio, è perprincipio incancellabile, faccia pure Israele quel che vuole» (TD4, 308). Alla kenosi dell’al-

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eucaristia. Difatti, unicamente nella trinitaria differenza delle Ipostasi, che con-figura Dio come amore41 e in cui «è assolutamente bene che esista l’altro»42, ri-siede la possibilità di una libertà creata43 gratuitamente posta44, di una sua even-tuale «peccaminosa distanza»45 e di un suo recupero. Più precisamente, è all’in-terno della “generatio” o “processio” del Figlio46 – “il Tutt’Altro”47 in Dio - «po-sizione di una distanza infinita assoluta»48, che trovano inclusione il mondo49 -e di esso “archetipicamente” la finitezza, il tempo, la morte50 - la sua libertà e

366 Giuseppe della Malva

leanza, tuttavia, si concede poca attenzione - in altri contesti è addirittura omessa (cf. per es.:MP, 45; GL7, 195; TD2, 250 nota 121, dove è presentato Bulgakov) - a favore di un rilievoaccordato alla prima e alla terza kenosi economica e al loro imprescindibile legame.

41 «Dio senza la differenza delle Ipostasi non può più essere quel Dio che la rivela-zione conosce: il Dio dell’amore» (TL2, 69). Cf. TD5, 71.

42 TD5, 70.43 Cf. TD4, 310; SC, 315-316. TL2, 271: «Il luogo metafisico-ontologico della

creatura è ormai la diastasi delle persone divine nell’unità della divina natura». Significa-tiva e sintetica inoltre è una citazione di A. Gerken, che apre il capitolo «Mondo dalla Tri-nità» in: L’ultimo atto: «La possibilità della creazione riposa nella realtà della Trinità. UnDio non trinitario non potrebbe essere creatore» (A. GERKEN, Theologie des Wortes,Düsseldorf 1963, 81, cit. in TD5, 53).

44 «Chi penetra nei misteri di Dio sa sempre meglio che il mondo come tutto ècreato “inutilmente”, ossia per libero amore infondato, e che proprio questo gli conferisceil suo solo plausibile senso» (TD2, 246).

45 TD4, 310.46 Cf. TD4, 303. 305. Il riferimento biblico alla creazione nel Figlio è individuato

particolarmente nell’inno di Col 1 (cf. per es.: TD2, 248).47 «Le divine Persone sono a vicenda (nell’identità della loro essenza) il Tutt’Altro

nel senso che in Dio non si può dare nessun concetto astratto di persona che valga per tut-ti» (TD5, 72, nota 14).

48 TD4, 301.49 Cf. TD4, 303. 305. 308; TD5, 211. Laconicamente: «L’infinita distanza tra Dio e

mondo ha radice in quella tra Dio e Dio» (TD2, 252).50 La kenosi primordiale è il luogo teologico in cui l’autore riconosce «le idee arche-

tipe» (TD5, 78) della finitezza, qui assimilata alla dimensione spaziale - riconducibile intra-trinitariamente, in forza del positivo mutuo “lasciar essere” delle divine Ipostasi (cf. TD5,73-78), a quella vitale “distanza” relazionale che è un tutt’uno con la “vicinanza” della “cir-cumincessio” (cf. TD5, 80) - del tempo - in Dio coincidenza di «essere eterno o assoluto edivenire» (TD5, 58; cf. TL1, 1) - e della morte - «incondizionata autodedizione di ogni di-vina Ipostasi alle altre» (TL2, 70), simile ad una «super-morte, che si trova come aspetto diogni amore e che fonderà all’interno della creazione tutto ciò che in essa potrà essere unamorte buona: dal dimenticarsi per la creatura amata fino a quel supremo amore che “dà lavita per i suoi amici” (TD5, 72; cf. TD5, 207-210). È chiaro che soprattutto quest’ultimo

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«tutte le distanze che possono aggiungersi all’interno del mondo finito fino a nonescludere il peccato»51. Questo, scoprendo qui, parallelamente al teodramma, lesue radici, si svela come “perversione” della libertà umana, la quale, posta al-l’interno dell’eucarestia del Figlio52 e partecipe della sua autonomia, dice “no”alla gratitudine, alla dedizione53 e all’amore54, in una contraddittoria55, menzo-gnera56 «volontà di autonomia intesa a non ricevere né a dare»57. Esso, insoffri-

Il dramma in Dio 367

punto - se non altro per l’audacia della terminologia usata (“morte”, “buona morte”, “super-morte” in Dio) - presta il fianco, su terreno dogmatico, a numerose critiche, come quella diK. Rahner che accusa tali riflessioni di “neocalcedonismo” e a cui il teologo svizzero ri-sponde tenendo fede alla «formula “Uno della Trinità ha patito”... sempre riconosciuta co-me ortodossa (DS 401, 432)» (TD5, 13) e con l’intera sua dottrina trinitaria. In generale, aldi là di ogni possibile osservazione, Balthasar ritiene che solo una fondazione trinitario-im-manente scongiuri il pericolo del mito, trappola per le pur suggestive moderne teologie del“dolore in Dio”, dove «il modello, in riferimento al quale la morte e il dolore si leggono inDio, è sempre la morte e il dolore fuori di Dio nel mondo» (TD5, 197).

51 TD4, 301.52 Cf. TD4, 308-309.53 «Questo mistero è oscuro: è l’autochiusura dell’essere e perciò la sua non verità.

È il rifiuto di quell’autodedizione, in cui amore e verità sono una cosa sola: e questo ri-fiuto è peccato» (TL1, 235. Il corsivo è nostro).

54 Cf. TD4, 305-306; SI, 362. GL6, 186: «l’essenza caratteristica della colpa teolo-gica... consiste nell’inconcepibile rifiuto di una risposta di amore all’inconcepibile offer-ta di un amore eterno» (il corsivo è nostro).

55 «In questo no insorge nella creatura la contraddizione contro il carattere di ana-logia e d’immagine che essa deve necessariamente avere in forza della sua localizzazioneall’interno delle relazioni trinitarie» (TD4, 306; il corsivo è nostro). L’uomo, infatti, inquanto alterità rispetto a Dio-Trinità ne è “immagine”: «Inaequalitates (tra Dio e il mon-do, che è l’altro di Dio) oriuntur ex aequalitates (dalla differenza tra il Padre e il Figlio, ilquale non è un’altra cosa da Dio, ma, come lo Spirito, l’Altro in Dio)» (TL2, 32), cosic-ché, paradossalmente, «proprio in quanto sei il non-Dio, sei simile a Dio» (ID., Il cuoredel mondo, Casale 1998, 11). Sull’uomo come imago Trinitatis, vedi: TD3, 483-486;TL2, 25-49, dove si rigetta una dialettica di tipo hegeliano - che fa, sì, di tutto una “ima-go Trinitatis”, ma dissolve la positività dell’altro nel momento oppositivo, in vista di unasuperiore sintesi - a favore di una dialogica - quella di F. Rosenzweig, M. Buber, F. Ebner- in cui «l’altro è il positivo». Ecco perché, essendo trinitario, «Dio dice tu a ciascuno dinoi» [ID., L’uomo e la vita eterna, in Communio 115 (1991), 39] e per noi «Dare del tu al-la libertà assoluta è inevitabile» (TD2, 273).

56 Già intuito con l’approccio orizzontale, solo ora diventa palmare che «l’essenzadel peccato è la menzogna» (ID., La preghiera contemplativa in ID., Nella preghiera diDio, Milano 1997, 193) la quale, tuttavia, avrà la sua massima manifestazione dinanzi al-la massima rivelazione di Dio: la croce di Cristo.

57 TD4, 306.

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bile per Dio e ad un tempo possibile proprio in forza della trinitaria “assenza dicalcolo” con cui l’amore divino si autodona inerme alla libertà creata58, rimanecomunque, nel flusso infinito della distensione eucaristica del Figlio, un preve-dibile59 «punto di contorsione, al di sopra di cui l’onda dell’amore» trinitario «èsempre più avanti»60. Ciò significa, in ordine all’interesse che ci muove, che seil «no della creatura risuona nel “posto” della differenza intradivina», allora «ilFiglio, che facendosi uomo entra in questa “tenebra” della negazione, non ha bi-sogno... di cambiare, come “luce” e “vita” del mondo, il “posto” suo proprioquando, brillando nelle tenebre, intraprende la loro “sostituzione vicaria”»61.

58 Se l’amore di Dio che non calcola è radicalmente vulnerabile (cf. TD4, 306; TD5,181-183) dinanzi alla libertà creata che può scegliere di «indugiare e mantenersi entro il cal-colo della sua egoistica autonomia» (TD4, 305), ciò non comporta «nessuna incapacità diDio, nessuna incertezza circa una sua possibilità a convincere l’uomo recalcitrante, ma indi-ca la nessuna potenza giacente nella sua onnipotenza, impotenza che... è perfettamente iden-tica alla sua potenza: superiorità sulla costrizione di dover intervenire dispoticamente o per-fino violentemente» (TD4, 308-309). Altrove si è detto che in Dio la potenza è solo per ilbene (cf. TD4, 138-139) - si noti il contrasto con la “potenza del male” umana (cf. supra 22)- e che in lui esiste una “latenza” che non coarta la libertà finita, ma in una “segreta presen-za e accompagnamento” (cf. TD2, 256-268), fa sì che questa abbia a «realizzarsi anzituttocome vera decisione (pro o contro il suo in-essere in Dio)» (TD2, 297; cf. TD4, 139).

59 Una previsione del peccato, estrema conseguenza della libertà finita, si dà già nel-la creazione di questa (cf. MP, 45; GL7, 195; TD4, 63), irreversibile “engagement” di Dio(cf. TD1, 121), che pertanto «“include nel conto” anche la croce» (MP, 45; cf. ID., Edito-riale, Communio 94 (1987) 2-3). Ora, «l’“idea” di creazione fino alla croce» (TD5, 431),che tuttavia - si badi - non può hegelianamente «essere scoperta, svelata e monopolizzatacome legge universale del creato» (ID., La verità è sinfonica, Milano 1974, 51) - nell’«as-soluta libera posizione del Figlio come Dio da parte del Padre divino giace... a un tempo, co-me realizzabile e come già inclusa nella vita divina e, in quanto inclusa, già “superata” nel-l’assoluta gratutità e vitalità trinitaria» (TD5, 431).

60 TD4, 307.61 TD4, 310; il corsivo è nostro. Si eviti di concludere che il “dramma primordiale”

abbia in sé qualcosa di “giocoso” (cf. TD4, 304; TD5, 209) o che la libertà creata non siapresa sul serio (cf. TD4, 308). Il peccato infatti è «amara e oscura» realtà di separazione daDio; reale «l’abbandono di Gesù da parte del Padre» nell’“ora” della croce, ma entrambipossono verificarsi solo all’interno dell’«insuperabile “separazione” di Dio da se stesso» onell’«assoluta distanza intratrinitaria tra l’ipostasi che dona e l’ipostasi che riceve la divini-tà» (cf. TD4, 302. 310). Inoltre, tale prospettiva, che l’autore ritiene propriamente “cattoli-ca”, «trascende sia una dialettica del capovolgimento sia una coincidentia oppositorum. Es-sa dice piuttosto inclusione: della natura nella grazia, del peccato nell’amore perdonante, ditutti gli scopi in una gratuità suprema» (ID., Cattolico, Milano 1976, 37).

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Molteplici, in definitiva, nella prospettiva dell’autore, i guadagni di unatrinitaria che a ritroso, partendo dalla croce, perviene all’idea di Ur-kenose.Reperita, infatti, nella Trinità immanente - già in se stessa amore - l’ultimopresupposto dello “scambio dei posti” o “sostituzione vicaria”, le cinque ca-tegorie sottese al “pro nobis” neotestamentario trovano convergenza ed ordi-ne62, mentre è evitata ogni unilateralità dei sistemi storico-teologici; «viene...a cadere in pezzi la vecchia concezione dell’immutabilità di Dio»63, il qualeperaltro sfugge a una «fusione mitologico-tragica nel senso di una teologiadel processo moltmanniana o hegeliana»64 alienante65; si chiarisce infine chel’ultima kenosi economica è «non soltanto cristologica, ma interamente trini-taria»66, mentre si individua l’“unus de Trinitate” che solo può assumere fini-tezza, tempo e morte unitamente al pro nobis (eucaristico e) di croce: il Figlioche, «nel “tropos” della prontezza disponibile»67 o «modus dell’accoglimen-to»68 e «nella risposta all’autodonazione paterna, si mantiene sempre prontoad accogliere ogni pensabile forma di prodigalità quanto a se stesso... nellapremessa che debbano sorgere delle creature libere»69 in lui. Nessun titani-smo dunque né alcuna costrizione a tanto: «lo smarrimento dell’uomo nellasperduta finitezza fa» solamente «uscire in luce il centro, finora nascosto, del

62 «Il motivo (secondo) del commercium si basa ora completamente sul primo,quello della donazione nella perdizione del Figlio in quanto questa è la rappresentazioneeconomica dell’autodedizione trinitaria nell’amore del Padre (motivo quinto). Questoinalveamento trinitario rende pure accessibile il terzo tema scritturistico (salvezza comeriscatto liberatorio) che dev’essere trattato unitamente al motivo dello scambio, come in-fine anche il quarto (introduzione nella vita trinitaria) che emerge immediatamente daiprecedenti» (TD4, 309).

63 P. ALTHAUS, Kenosis, in RGG III, 1245-1246, cit. in MP, 44.64 TD4, 310.65 L’argomento è oggetto di reiterata considerazione nelle opere di Balthasar, al

quale importa liberare il campo soteriologico da ogni possibile fraintendimento speculati-vo in ordine alla “kenosi” del Verbo: «la rinuncia alla “forma di Dio” e l’assunzione della“forma di servo”, con tutte le sue conseguenze, non introducono nella vita trinitaria di Dionessuna autoalienazione. Dio è sufficientemente divino per divenire in un senso vero enon solo apparente, attraverso l’incarnazione, la morte e la risurrezione, ciò che egli è giàda sempre in quanto Dio» (MP, 185; il corsivo è nostro). In altri termini, «è impossibiledisgiungere cristologia dinamica e cristologia ontologica» (MP, 185. Il corsivo è nostro).

66 TD4, 308.67 TD2, 252.68 TD4, 303.69 TD4, 307; cf. TL2, 145.

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piano di Dio a riguardo del mondo: la possibilità della libertà infinita di per-seguire lo smarrito fino allo smarrimento più profondo: il Verbo del Padre, ilFiglio si fa carne»70.

Duplice “conditio sine qua non” di una salvezza intesa in termini di vi-carietà è, da una parte, che il Salvatore sia il filosoficamente inescogitabile“universale concretum” che unisce in sé senza immistione il contingente-fat-tuale e il necessario-universale, includendovi l’esistenza degli uomini di tuttii tempi e, dall’altra, che la carne che egli assume sia la “caro peccati”, segna-ta dal triplice limite di finitezza, tempo e morte. La morte che egli assume do-vrà a sua volta connotarsi, come per ogni uomo, quale contraddizione supre-ma, destino incombente, esperienza di gettatezza e luogo di solitudine. Esi-genze di brevità ci negano la possibilità di sviluppare in questa sede tutti gliargomenti accennati71. Ci limiteremo dunque a portare ad emersione sola-mente i gradi di significato che stratificano il concetto di solitudine applicatoalla morte di Gesù.

2. Il centro del centro del Theo-drama: l’assunzione della morte

2.1. L’assunzione della morte come solitudine

Occorre precisare subito che la solitudine di cui qui si tratta è quella delpeccato. Essa inevitabilmente pervade, come l’approccio antropologico ha giàrilevato, la forma storica del morire umano. Il “Verbum caro” la assume nel-la sua morte in modo assolutamente unico e irripetibile (come abbandono diDio), poiché va ad estirparne la radice, il peccato, del quale svela e vicaria-mente patisce l’estrema inconciliabilità con l’amore di Dio (come “ira diDio”) e del quale attraversa tutta l’abissalità (fino alla “seconda morte”). Que-

370 Giuseppe della Malva

70 TD2, 260. Il corsivo è nostro.71 Per un maggiore approfondimento rimando al secondo capitolo della mia tesi,

precisamente al punto 2 (“Il centro del Theo-drama: il Verbum caro”) e alla prima partedel punto 3 (“Il centro del centro del Theo-drama: l’assunzione della morte”), dove peral-tro, quali ponti tra l’universale concretum e l’assunzione del trinomio finitezza-tempo-morte, sono sviluppate le equazioni cristologiche di missione come persona, di obbedien-za come libertà e di libertà come amore, onde scongiurare l’equivoco di una qualsiasi for-ma di eteronomia nell’azione salvifica del Figlio.

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Il dramma in Dio 371

sti elementi, riordinati, vanno ora osservati da vicino, affinché il concetto di“vicarietà” cristologica elaborato da von Balthasar sia mostrato in tutta la ric-chezza teologica che egli stesso vi riconosce.

2.1.1 L’ira di Dio e il peccato

Perché la redenzione non scada a dottrina anodinamente epica, né sia fat-ta coincidere con una astorica volontà di salvezza del Padre che nella pasqua delFiglio impartirebbe un “insegnamento simbolico” all’umanità, è necessario, aparere del nostro autore, non lasciar cadere l’«idea veterotestamentaria della“collera di Dio” e le molte idee corollarie» come «residui arcaici storico-reli-giosi che il Nuovo Testamento ha definitivamente smitologizzati»72.

Piuttosto, recuperare questi elementi, che il Nuovo Patto non attenua marilegge cristologicamente in chiave espiativa73, è invece ineludibile presup-posto per un equilibrato realismo soteriologico. Quest’ultimo, forte del maidimenticato approccio trinitario alla croce, saprà certamente non assolutizza-re ira e amore74, ma anche non contrapporli, giacché proprio della loro uni-tà75 testimonia la rivelazione neotestamentaria.

In questa unità l’ira di Dio trova la sua sola possibile spiegazione teo-logica. Essa è «l’altra faccia dell’amore»76 divino che, in “engagement” con

72 TD3, 111. Il corsivo è nostro.73 Numerosi, al riguardo, i passi riportati, peraltro in stretta concatenazione: 2Cor

5,18; Col 1,20; Rm 3,25; Rm 5,8; Rm 8,32; 1Gv 4,10; Gv 3,16; Gal 3,20, solo per citarnealcuni (cf. TD3, 112-113; GL7, 187).

74 GL7, 188: «si farà attenzione ai due estremi: interpretare la passione di Cristocome un’esplosione punitiva dell’ira di Dio contro la vittima innocente (spiegazione ver-so cui andò la Riforma) o vedere in essa una semplice manifestazione di sovrabbondanzadell’amore di Dio». L’equilibrio va cercato, quindi, in uno sguardo trinitario: non «si puòparlare di una “ira” di Dio che si scaricherebbe sul portatore del peccato del mondo la-sciando così il posto ad un amore riconciliato... piuttosto si potrebbe parlare di un “per-messo” del Padre al Figlio di spingersi nell’amore fino a questa follia» (ID., La semplici-tà del cristiano, op. cit., 58).

75 «Precisamente l’amore estremo che si manifesta nel cuore di Dio mostra la deci-sività assoluta della sua opposizione contro tutto ciò che viola l’amore; e precisamente laforma trinitaria di questa rivelazione dell’amore in Gesù Cristo ci permette di vedere l’u-nità di amore ed ira come necessaria» (TD4, 317. Il corsivo è nostro).

76 MP, 128.

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la libertà finita già nella creazione77 e poi nel patto78, non può assistere in-differente all’autodistruttiva scelta dell’uomo di alienarsi da Dio. In questosenso ha ragione M. Barth: «l’ira di Dio è la temperatura del suo amore»79.

Più in profondità, la collera in Dio coincide con l’inevitabile rigetto delmale, di quanto cioè si oppone radicalmente al suo amore. Stante, infatti, lacontraddizione assoluta tra il male e l’amore santo divino80, «un Dio cheamasse soltanto e non odiasse il male... si contraddirebbe»81. In quest’altrosenso allora si deve convenire con A. J. Heschel: questo pathos in Dio è iden-tico al suo ethos82.

Con più precisione, l’ira di Dio ha per oggetto il peccato. Questo, infat-ti, già in se stesso pura contraddizione83, è menzogna e dunque in nessun mo-do integrabile con la verità di Dio84, della quale è «distorsione immediata»85.Ora, se «la verità è la spiegazione dell’amore di Dio mediante Gesù, allora lamenzogna è la categorica, incondizionata negazione di questa verità»86. Il

372 Giuseppe della Malva

77 «Già nella creazione Dio Padre si è legato, poiché ha rimesso agli esseri creati leloro energie e leggi come loro proprie; legato ancor più, in quanto ha elargito loro auten-tica libertà, che includeva la possibilità di volgersi in avversione a Dio, di accendere in luiil fuoco della sua “collera”, che egli stesso non poteva spegnere con una pura “parola dipotenza dall’alto”, senza contraddirsi. La creatura libera trae Dio entro l’elemento tragi-co» (SI, 47-48).

78 Dio «che nella sua grazia si è piegato fino all’uomo ed ha concluso con lui unpatto - da parte di Dio indissolubile - è costretto, per la sua stessa fedeltà e veracità, a “in-collerirsi”, invece di volgere le spalle, con una superiore non divina indifferenza, alla de-vastazione della sua opera e “lasciare che ciò che è storto sia diritto”. Egli deve piuttostotrattare con tutta serietà il partner del patto e, con il giudizio, il castigo, la pena, riportarloa quel diritto che lo sviato non può restaurare» in ogni caso (MP, 110).

79 BARTH M., cit. in TD2, 152.80 Cf. MP, 128. 81 TD4, 316.82 Cf. TD4, 320.83 «Il male è contrapposto non solo al bene, ma anche a se stesso» (citaz. di S. Ba-

silio in: ID., Il chicco di grano. Aforismi, op. cit., 39).84 «La negatività dell’odio e della menzogna non può in nessun modo venire inte-

grata nella verità come un necessario momento di transito. Rispetto a tale negatività c’èda parte della verità solamente l’assoluto rifiuto, il giudizio... La diabolica contra-dizionenon è assimilabile nella logica di Dio» (TL2, 282).

85 TL1, 235.86 TL2, 281.

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peccato quindi, alla radice, è insensato87 «odio della verità che è Cristo»88 ein ciò “Mysterium Iniquitatis” dal fondo imperscrutabile. Tuttavia, «con ilconcetto di “odio”, in quanto antitesi dichiarata e aggressiva dell’amore, diquell’amore che caratterizza Dio nella sua dedizione trinitaria ed economica(cfr. 1Gv 4,16), ci accostiamo il più possibile al centro del suo mistero»89 edella biblica “ira di Dio”. Per l’uno e per l’altra, infatti - peccato e collera di-vina - d’ora in poi non valgono più analisi astratte: tutto si addensa nell’e-vento cristologico.

Qui si concreta e si estremizza quella che l’autore chiama la «specificalegge teodrammatica di ritmo dell’intensificazione», secondo cui «il semprepiù dell’impegno di Dio evoca e provoca il sempre più della contraddizioneantidivina»90. Tale opposizione non ha fondatezza logica e, pur pervadendol’intero corso della storia91, non può acutizzarsi che laddove l’amore trinita-rio rivela, in Cristo, la sua infondata gratuità: l’«amore di Dio, che invia laLuce-Parola nel mondo provoca l’odio... Viene dunque svelato nel Figlio l’a-more assoluto e immotivato, amore che nel suo non-accoglimento da partedella tenebra fa apparire questa tenebra come “immotivata” ([Gv] 15,25: sen-za ragione), come abissale»92.

L’“escalation” tra misericordia e colpa93, debordando nell’escatologiache Cristo inaugura94, non può che condurre l’amore di Dio ad un definitivaadirata condanna del peccato. In termini giovannei: al libero autoaccecamen-

87 «Di fronte al Logos, in cui abita ogni senso e fondamento, l’odio della menzo-gna può essere soltanto abissale e insensato» (TL2, 278).

88 TL2, 278.89 TD5, 173.90 TD4, 51. Si tratta, in sostanza, di quel “duplice crescendo teodrammatico” che

già prima abbiamo osservato (cf. supra, 23-25), ma che solo ora si svela in tutta la suaprofondità e nel suo parossismo: «Il dramma tra l’uomo e Dio raggiunge qui la sua akme,poiché la perversa libertà finita getta tutta la sua colpa su Dio come sull’unico imputato ecapro espiatorio, e Dio se ne lascia totalmente colpire non solo nell’umanità di Cristo manella sua stessa missione trinitaria» (TD4, 312).

91 La «legge teodrammatica di fondo della storia del mondo» sostiene che «ilquanto più della rivelazione dell’amore divino (irrazionale) provoca un quanto più (irra-zionale Gv 15,25) di odio umano» (TD4, 315. Il corsivo è nostro).

92 TD5, 172.93 TD4, 318.94 Cf. TD4, 315; TD3, 106-107.

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to95 corrisponde la tenebra ed «è la tenebra ciò che costringe la Luce a farsigiudizio»96.

2.1.2 Il giudizio e la croce

Per sviluppare - peraltro solo in parte97 - ciò che il titolo impone e le ri-flessioni successive, è necessario reintrodurre qui il termine “obbedienza”,capitale nella cristologia balthasariana. Quanto sopraesposto sopporta una ri-lettura e un approfondimento a partire da questo concetto.

Si può dire, infatti, che il “ritmo drammatico” non si gioca che tra la cre-scente universale peccaminosa disobbedienza e la misericordia di Dio che,mediante uomini da lui stesso scelti, appronta una “scala dell’obbedienza”98

alla discesa dell’“uomo mediatore”. Da questa scala e sopra lo stesso media-tore scende anche l’ira di Dio e il suo giudizio99.

La domanda che chiede della possibilità di quest’ultima affermazionepassa attraverso un’altra: chi è fatto erede di questa «mediazione più che profe-tica»100? Più precisamente: «chi può caricarsi del peso di quest’ira in modo daplacarla?». La risposta immediata è: non certo «il peccatore, poiché appunto la

95 «Poiché l’essenza del “mondo” secondo l’“accezione” giovannea è di opporsi»alla rivelazione di Dio in Cristo, «cresce l’opposizione del mondo nella stessa misura incui crescono l’offerta dell’amore e le sue prove: alla gratuità dell’amore corrisponde lagratuità dell’odio (15,25) e dell’accecamento (12,40s)». Quella che Gesù ha di fronte non«è semplicemente gente che non vede ma che è capace di vedere e che decisamente si ini-bisce la vista» (cf. Gv 9,41) (GL7, 341).

96 TD5, 171.97 «Noi qui non possiamo che dare una risposta parziale alla questione dei rappor-

ti tra croce e giudizio; per una soluzione soddisfacente occorrerebbe trattare anche delladottrina della giustificazione. Occorrerebbe mostrare come il giusto possa essere giusta-mente condannato perché possano essere giustificati l’ingiusto e il peccatore. Qui tratte-remo espressamente solo la prima parte dell’affermazione, quella che esprime il drammacentrale della rivelazione» (MP, 110).

98 Cf. GL6, 184-252. «Dove l’uomo ha completamente fallito, la storia del patto diDio diventa una storia di Dio con se stesso. Non si poteva assolutamente prevedere inqual modo questa storia si sarebbe conclusa. Dio vuole costruirsi una scala di uomini pre-scelti, destinata a farlo discendere sino alla tenebra senza Dio. Una scala fatta di obbe-dienza» (GL6, 191).

99 Cf. TD4, 321.100 TD4, 322.

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eccita finché è peccatore», ma «colui che è senza peccato»101. Deve, infatti,«subentrare per lui» - in “rappresentanza” cioè del peccatore102 - «un uomo chenello stesso tempo incorpori davanti a Dio il peso del peccato e l’innocenza del-l’amore affinché la misericordia di Dio non debba staccarsi dalla sua insepara-bile giustizia»103. Ora, «nessuno che sia puro uomo - comunque caricato di mis-sioni immense - può “portare via i peccati del mondo”: è necessaria a tanto unapersona divina»104, poiché «allo stesso modo che solo Dio può perdonare i pec-cati, così solo Dio può “portare i peccati”»105. Solamente l’Uomo-Dio, CristoGesù, può garantire la bilateralità del patto, infranto dalla disobbedienza uma-na, la consumazione della collera di Dio e la justitia Dei106.

Ciò però non avviene per incanto107. Ben diversa, infatti, è «la rappre-sentanza vicaria “magica”, consueta in tante religioni» e «la rappresentanzavicaria “personale”, che si attua per libero amore»108 nel Figlio fatto uomo.Questa, a differenza della prima, non rimane periferica all’umano da riscatta-re. E ciò perché l’amore e solo «l’amore è capace di comprendere il destinoaltrui, di accompagnarvisi, vivendolo come se fosse il proprio, di identificar-si con esso, nel caso limite, così da avere la disposizione volontaria ad assu-mere il destino d’altri al posto del proprio (o come il proprio)»109. Dal mo-mento, poi, che «la realtà del peccato non può venir mutata in irrealtà da undecreto esterno di Dio»110, va presupposto che in Cristo, dall’interno, «siastato attraversato tutto l’abisso del no umano contro l’amore di Dio», fino al-l’assunzione vicaria del giudizio di questo su quello, fino all’esperienza del«peirasmos del rifiuto stesso senza tuttavia aver peccato (Ebr 4,15)»111. De-

101 GL7, 189; cf. ID., Il cristiano e l’angoscia, Milano 1987, 63-64.102 Cf. GL7, 189-190; ID., Gesù e il perdono, Communio 77 (1984) 12-13.103 ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 29.104 TD3, 470.105 TD2, 117-118.106 Cf. MP, 111.107 «La passione di Cristo non è... un processo magico, attraverso il quale un Dio

collerico, che esige giustizia, sarebbe trasformato nel suo sentimento e atteggiamento inun Dio di misericordia e grazia (come talvolta imposta la cosa una dottrina esteriorizzatadella soddisfazione, fraintendendo Anselmo), “poiché Dio ha tanto amato il mondo da da-re il suo Figlio unigenito” [Gv 3, 16]» (SI, 344). Cf. ID., Cattolico, op. cit., 42.

108 SI, 349.109 SI, 348.110 ID., Gli stati di vita del cristiano, Milano 1984, 113.111 MP, 126.

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ve accadere insomma che Dio in Cristo si faccia «in una sola persona “sog-getto e oggetto” del giudizio»112. Come e dove tutto questo sia reso propria-mente possibile lo dicono la passione e la croce di Gesù.

Nella passione il Figlio può «condurre alla sua fine escatologica l’iraterribile, divinamente fondata, che attraversa tutto l’Antico Testamento»113 esvuotare “il calice della vertigine”114 in forza della sua «pronta disponibilitàa bere il “calice” della collera [di Dio], cioè a lasciar sfogare interamente sudi sé la furia di tutto il potere del peccato. Qui l’odio del peccato è superatodall’amorosa obbedienza; l’impazienza del peccato contro Dio è superata dal-la pazienza del Figlio di Dio. Essa, per così dire, afferra dal basso il peccatoe lo solleva dai cardini»115 .

Più precisamente - secondo quanto Paolo116 e gli evangelisti117 attesta-no concordi - è la «croce... soprattutto giudizio divino sul “peccato” (2Cor5,21)»118, del quale ormai è sancita l’ultima condanna119. Qui «ha luogo lakrisis sul mondo nella sua totalità (Gv 12,31), come evento giudiziale assolu-tamente oggettivo» perché «viene svelato nella maniera più completa il pec-cato del mondo»120 nella sua irriducibile incompatibilità con l’amore di Dio.Il giudizio della croce denuncia appunto questo: l’impossibilità di una sintesitra il peccato, «definitivamente concentrato nel Figlio crocifisso»121 e lì mas-

112 MP, 111.113 MP, 129.114 Cf. TD4, 313-327.115 SI, 350. Il corsivo è nostro.116 Paolo «presuppone... il giudizio della croce, dove Dio, in quanto è l’uomo Cri-

sto, prende su di sé tutto il peccato di “Adamo” (Rm 5,12-21) per “essere consegnato”(Rm 4,25) come concretizzazione “corporale del peccato e dell’inimicizia” (2Cor 5,21;Ef 2,14) al “giudizio di condanna da parte di Dio” (Rm 8,3) e, in quanto vita di Dio mor-ta nell’abbandono da parte di Dio e seppellita, per essere risuscitata da Dio “per la nostragiustificazione” (Rm 4,25)» (MP, 112. Il corsivo è nostro).

117 «Resta che gli evangelisti - in modi diversi ma convergenti - intendono la crocecome giudizio. E precisamente come il giudizio escatologico. Non solo come ricostituzio-ne della giustizia (salvifica) di Dio (dikaiosuvnh qeou~), ma come krisis» (GL7, 206).

118 MP, 109.119 Cf. GL7, 206.120 MP, 113.121 TD5, 223.

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simamente svelato nella sua menzognera122 e contraddittoria123 essenza, el’amore (adirato) di Dio che Gesù stesso incarna124.

Ora, di questo giudizio l’«aspetto più importante sta qui nel fatto che ilGiudice appare come il Crocifisso»125: il Figlio, «operando realmente la so-stituzione vicaria, sperimenta su di sé il necessario e giusto giudizio di Dio sulmale»126, la “distanza” mediante cui il primo respinge il secondo e l’angosciadovuta a chi, per amore, si espone all’uno e all’altro insieme.

2.1.3 L’angoscia vicaria

Derivando principalmente dal fatto che dell’“ora” del “giudizio”127 Gesùha «voluto sperimentare per amore esclusivamente il suo carattere giudiziariorinunciando a tutto ciò che potesse consolarlo, confortarlo o addolcire il dolore,per essere nella kenosi puro spazio all’urto del peccato del mondo»128, l’ango-scia del Redentore, di consistenza chiaramente non psicologica ma teologica129,è espressione della serietà con cui egli viene caricato del peccato:

«L’oscuramento avvenuto nella passione non è un regresso nella sua co-scienza, ma l’ultimo e necessario passo verso il pieno adempimento del-la sua missione. Poiché se non si trattava di trascinare esteriormente ungrave peso ma veramente di “portare i peccati”, allora bisognava espe-

122 ID., Il Rosario, op. cit., 56: «nel corpo del Figlio... il peccato, che è sempremenzogna e apparenza, mostra il suo vero volto».

123 TL2, 284: «la contraddizione non può venir dominata dallo stesso sofferente,non può essere portata a sintesi, non è una sola verità».

124 ID., Il Rosario, op. cit., 71: «nel Crocifisso si trovano insieme: l’ira di Dio, chenon vuole scendere a patti con il peccato, ma può solo ripudiarlo e bruciarlo, e l’amore diDio, che comincia a rivelarsi proprio al posto di questa inesorabilità».

125 ID., I giudizi divini nell’Apocalisse, Communio 79 (1985) 21.126 ID., Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 34.127 Va ribadito che questa “ora” coincide con «l’ingresso del peccato del mondo nel-

l’esistenza personale, corporale-psichica del nostro rappresentante e mediatore» (MP, 94). 128 GL7, 203.129 «L’ora piomba su Gesù che l’attende e lo getta a terra. Che Egli poi cada in

un’angoscia mortale fino a sudare sangue, non è un fatto psicologico, ma teologico» (ID.,Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 35). L’autore ritiene che precisamentequesto “livello dogmatico” superi il kierkegaardiano concetto di “angoscia” (cf. ID., Ilcristiano e l’angoscia, op. cit., 56).

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rimentare interiormente che cosa è il peccato veramente, cioè agli occhidi Dio: “perdita della gloria di Dio” (Rm 3,23), della possibilità di ac-cedere a Lui con la fede, la speranza e la carità, quello stare davanti aDio che la Scrittura descrive con l’espressione “stare davanti al giudi-zio dell’ira” (Rm 3,5 e altrove). L’esperienza di questo giudizio dell’iraha in sé qualcosa di definitivo, eterno a causa del nascondimento dellasperanza e dell’amore»130.

La speranza qui sottratta è quella della resurrezione, quella che, irre-sponsabilmente anticipata in un’ipotesi teologica alla passione131, vanifiche-rebbe giocosamente132 la stessa idea di sostituzione vicaria, dal momento cheil «peccatore può sperare, il “peccato” no; ma Cristo, per amore nostro, Dio“lo trattò da peccato” (2Cor 5,21)»133. In forza di questa sostituzione, pren-dendo «il posto dell’uomo peccatore, e togliendo... la distinzione fra la colpaaltrui e la propria innocenza»134, oltre ogni biblica separazione tra angosciadei buoni e angoscia dei malvagi135, «oltre... ogni possibile pretesa particola-

130 ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 25; cf. TD2, 280. L’autore altrove pre-cisa che non «si può tuttavia affermare che l’angoscia propria della croce arrivi a metterein dubbio in qualche modo la fede, la speranza e la carità nella loro assolutezza, che di-speri della loro efficacia, che divenga l’opposto di queste tre... Quantunque soggettiva-mente possa condurre molto vicino a questo limite, non lo oltrepassa mai. Poiché oggetti-vamente è essa stessa un modus della fede, dell’amore e della speranza, una fase del lorocompimento, un processo vitale loro interno» (ID., Il cristiano e l’angoscia, op. cit., 51).

131 TL2, 211: «l’idea di una “trascendentale speranza di resurrezione”, prima chevenga esaurita la profondità della colpa del mondo portata sulla croce, sembra una irre-sponsabile anticipazione». Il riferimento polemico qui è ancora alla teologia di K. Rahner.

132 In Gesù «la coscienza dell’inutilità delle sue fatiche (cfr. Mt 11,16s.)... non puòessere vanificata dalla prospettiva di un happy end “al terzo giorno”» (TL2, 212; cf. MP,98-99).

133 ID., Il Credo, op. cit., 44.134 TS, 52; cf. SC, 342.135 «Tutte le angosce dell’Antico e del Nuovo Testamento sono qui riassunte e su-

perate all’infinito, poiché la persona che in questa natura umana si angoscia è lo stessoDio infinito. Si tratta in primo luogo della sofferenza di colui che è infinitamente puro, in-finitamente giusto (che è al contempo Dio), di fronte a tutto ciò che Dio detesta e che soloal Puro (che al contempo è Dio) appare in tutta la sua orripilanza, è in secondo luogo lasofferenza vicaria di questo puro per tutti gli impuri, vale a dire la sofferenza di quell’an-goscia che di diritto ogni peccatore dovrebbe subire davanti al tribunale di Dio giudice»(ID., Il cristiano e l’angoscia, op. cit., 37. Il corsivo è nostro).

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re d’aver ragione», nella «sua attivissima disponibilità a prender le parti diognuno secondo il volere del Padre»136, Gesù si rivela veramente «il servo diDio sofferente in vece di altri»137:

«L’angoscia» di Gesù «è un com-patire con i peccatori, tale che la perdi-ta reale di Dio (poena damni) che li minaccia è stata assunta dall’amoredi Dio fattosi uomo nella forma di un timor gehennalis: poiché i peccatidel mondo vengono “caricati” su di lui, Gesù non distingue più se stessoo il proprio destino da quello dei peccatori... e sperimenta perciò l’ango-scia e il terrore che essi avrebbero dovuto giustamente provare»138.

Decisivo comunque «è che tutto questo venga “caricato” da Dio. Nonsoltanto l’elemento ostile a Dio contenuto nel carico diventa nausea assolutain chi ama Dio ed è da lui nutrito (Mt 4,4; Gv 4,34), ma la stessa disponibili-tà di quest’elemento antidivino ad opera di Dio genera in lui l’angoscia asso-luta»139. L’ipotesi, qui legittima, che soggettivamente Cristo abbia potuto vi-vere la sua passione come “castigo”, benché oggettivamente non lo fosse af-fatto140, mira solamente a spiegare l’insuperabilità del suo “dolore sostituti-vo”141 e della sua estraniante angoscia vicaria:

«L’incomprensibile combinazione tra peccato del mondo e volontà diDio - peccato del mondo che si è condensato nell’assoluto sdegno diDio, ira di Dio che ha preso corpo nel peccato del mondo e si è dimo-strata perfettamente in questo giustificata - rende impossibile nella vit-tima ogni rapporto con Dio e con il mondo»142.

136 ID., Cattolico, op. cit., 43-44.137 ID., Dove ha il suo nido la fedeltà?, Communio 26 (1976) 18.138 MP, 97.139 GL7, 191.140 «Vanno qui accuratamente evitate false conseguenze: non si potrà dire cioè che

Cristo venga “punito” da Dio al posto del peccatore. E nemmeno che Egli si senta “dannatoe maledetto” da Dio e mandato all’“inferno”; infatti quello che noi ci immaginiamo comecondizione infernale sussiste in forza di un odio per Dio. Non avrebbe alcun senso attribuireal Crocifisso anche solo un qualsiasi risentimento nei confronti del Padre. E tuttavia la sof-ferenza prolungata e totale (Durchleiden) di ciò che spettava invece al peccatore; la separa-zione da Dio, forse la perfetta e definitiva separazione: questo è senz’altro possibile comeesperienza del Figlio di Dio» (ID., Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 37).

141 Cf. TD4, 314.142 GL7, 191.

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In sostanza, l’angoscia nella quale «il portatore dei peccati» sperimenta«tutto il suo fare e soffrire come l’assoluta insensatezza», come «pura inutili-tà»143, deriva precisamente da questo suo duplice incompatibile legame: colpeccato144 e con la volontà di Dio145, alla quale comunque il Figlio, nello Spi-rito, anche ora obbedisce146, come ha sempre fatto:

«La sorgente, di cui il Figlio vive eternamente, sembra inaridita e quinditutto quello che il Figlio ha fatto per mandato del Padre perde il suo si-gnificato; è stato inutile. Non è affatto il suo fallimento terreno, alla finedella vita, che dà questa sensazione al Figlio, ma, molto più a fondo, il do-ver sopportare nel proprio intimo il contrasto inconciliabile tra il peccato,che egli ha in sé, e la volontà di salvezza del Padre amoroso. Come in-carnazione del peccato, egli non può trovare alcun appoggio in Dio, si èidentificato con quello che Dio respinge eternamente lontano da sé»147.

Vincendo la massima tentazione - quella di non credere più all’amore diDio148 - l’angoscia per l’irragionevolezza dell’abbandono del Padre, dal Fi-

380 Giuseppe della Malva

143 TL2, 305.144 «Ricevendo come carico ciò che per Dio è l’assolutamente inutile, egli stesso

diventa l’universalmente inutilizzabile (apodokimasqhvnai: essere dichiarato inutilizza-bile: Mc 8,31; Lc 9,22. 17,25)» (GL7, 204. Il corsivo è nostro).

145 «Poiché il Figlio non riceve più risposta dal Padre tutto gli deve apparire comepuramente inutile, insensato, anche la sua assoluta obbedienza (“nelle tue mani... ”), concui egli senza accorgersi di ciò che fa sostiene in sé la contraddizione del peccato e la su-pera scavalcandola da sotto» (TL2, 286).

146 È ancora lo Spirito, nell’inversione trinitaria, che possibilita questa situazioneche «rientrava essa pure nella deliberazione trinitaria... adesso il Figlio è completamentel’uomo carico di peccato e lo Spirito Santo gli presenta la volontà del Padre solo comel’opposizione manifesta tra ciò che è semplicemente imposto e ciò che è puramente intol-lerabile» (ID., Il Rosario, op. cit., 50).

147 ID., Il Rosario, op. cit., 69-70. In corsivo abbiamo posto i termini dogmatica-mente più problematici, oggetto di riflessione nella parte critica della tesi.

148 «Nella tentazione del deserto, tutte le tentazioni del mondo - di una vita facile,attraente per l’uomo - si opponevano alla volontà del Padre e questi poteva vincere in lui,perché stava davanti all’anima sua come colui che è infinitamente più grande e degno diadorazione. Ma adesso la tentazione è un’altra. La scelta non è tra il Padre e il mondo, matra due immagini del Padre e cioè quella del Dio, conosciuto da sempre e prima dell’oscu-ramento interiore come onnipotente e infinitamente buono, che poteva seguire una strada

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glio sperimentata vicariamente e specularmente al «senza ragione del pecca-to umano»149, è dunque già spazio soteriologico:

«Sulla croce, il Figlio abbandonato dal Padre ha espiato, in linea di prin-cipio, per tutti i peccati di tutti gli uomini e ha subito e sofferto fino infondo, in rappresentanza vicaria, la derelizione di tutti i peccatori daparte di Dio. Il non voler comprendere l’amore di Dio, da parte degli uo-mini, è pienamente ripreso e assorbito entro l’incomprensione, da partedel Figlio, del perché il Padre lo abbia abbandonato»150.

Ed è in questo abbandono, in cui vige l’“assoluta solitudine”151, che ilnostro autore ritiene necessario spingere l’indagine teologica, onde portare ademersione gli ultimi strati dell’azione vicaria compiuta dal Verbo fatto carne.

(continua)

GOD AND DRAMA

A study of the theo-dramatic soteriology in Urs von BalthasarBy Giuseppe della Malva

Professor Giuseppe della Malva gives us a thorough presentation of thethinking of Balthasar regarding God’s assumption in Christ of thedrama of man. The preceding article, containing a part of WalterKasper’s Lectio Magistralis to the Chair of Gloria Crucis, serves tohighlight the importance of this aspect for a truly Catholicunderstanding of the theology of the Cross. Furthermore, the thinking

completamente diversa per giungere alla stessa meta, e questo Dio spietato della giustizia,come appare adesso al Figlio il Padre, visto e sperimentato attraverso il cuore dei peccato-ri. Il sole dell’amore è sparito dietro le nuvole e si avverte solo il brontolio del temporaledivino» (ID., Il Rosario, op. cit., 49-50).

149 TD4, 309. 150 SI, 363. Paradossale incontro del peccato come “contraddizione” e del “giudi-

zio” come condanna (del peccato), la tenebra della croce, «in quanto movimento di defini-tivo rigetto, viene vissuta dal sofferente in rappresentazione vicaria, e il suo “perché” det-to a Dio può solo rimanere senza risposta» (TL2, 285).

151 Cf. GL7, 191.

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382 Giuseppe della Malva

of Balthasar, ever more studied year after year (our Review hasdevoted a goodly number of articles to the same) is waiting to be fullyshared within the Church. Studies such as the present one are certainlyuseful in this sense, as they re-express and re-propose the subject so asto make it a thinking which will circulate throughout the Church andnourish its life, just as Balthasar himself had wished, even perhaps withadded enrichment.

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GIAMPAOLO MANCA SAPCR 21 (2006) 383-414

La Metafisica del Dononel pensiero di E. Lévinas

di GIAMPAOLO MANCA1

Il pensiero di Lévinas attira l’attenzione di molti studio-si del nostro tempo. Anche la nostra rivista gli ha dedicato va-ri articoli. Il presente studio viene offerto da uno studioso dietica e teologia morale. È certamente importante che un mora-lista verifichi la valenza di una filosofia che si propone soprat-tutto come etica. In un prossimo articolo lo farà confrontandoil pensiero di Lévinas con i problemi che si dibattono oggi sul-la bioetica. In questo articolo l’autore espone magistralmentele basi del pensiero di Lévinas sulla donazione originaria e sul-la metafisica del dono, titolo, questo, di una sua recente pub-blicazione.

Nella sua opera Metafisica del Dono, Giampaolo Manca, affronta, lun-go tutto il pensiero del filosofo francese E. Lévinas (1905-1995), la riflessio-ne sulla donazione dell’Altro e sulla risposta donante del soggetto (responsa-bilità etica). Nel presente articolo l’autore espone in maniera sintetica il pen-siero sulla donazione originaria (donation originelle) presentata dal filosofofrancese, che parlando della relazione con il Prossimo (Autrui, ovvero Altri)usa molto spesso il verbo donner (donare, dare). Di qui la possibilità di indi-viduare nel pensiero levinassiano una vera e propria Metafisica del dono, chepuò costituire un contributo altamente efficace per il rinnovamento del dia-logo tra filosofia e teologia e, soprattutto, per un “approfondimento erme-neutico” dei fondamenti etici della Teologia Morale.

383

1 Dottore in Teologia Morale, laureato in Filosofia con specializzazione in Antro-pologia Filosofica, ha pubblicato recentemente l’opera Metafisica del dono, Chirico Edi-tore, Napoli 2006.

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1. La soggettività relazionale nel pensiero di E. Lévinas

Sappiamo ormai bene che E. Lévinas ha proposto una relazione del sog-getto con l’Altro (il prossimo), di tipo assimetrico, per cui si realizza una situa-zione in cui il primo si spoglia (si denuda) della sua identità “originariamente”all’insegna dell’egoismo, ovvero del potere e della violenza, per volgersi allaresponsabilità infinita (etica) grazie alla relazione etica con l’alterità dell’altroche mi sta di fronte. La denudazione non è una limitazione, ma la “rottura delsistema egoistico ed egocentrico”; rottura che fa cessare il movimento egoisti-co del Medesimo (soggetto violento), interrompendo il “per sé” (il conatus es-sendi), per farlo diventare per-Altri, o preferibilemnte dono-per-Altri.

Di fronte ad Altri, l’Io conserva tutta la forza, ma ricevendo l’appelloetico nella relazione sociale, si “vergogna” di questa sua tendenza all’egoi-smo e all’usurpazione, risvegliandosi così nella sua responsabilità2. Nell’ir-ruzione del Volto d’Altri l’Io si scopre ingiustificato e sempre ingiustificabilenel suo egoismo, si sente colpevole; ma in forza dell’Alterità, si trasfigura co-me “vero soggetto” che è tale nella responsabilità e nell’ospitalità accoglien-te di Altri. Il soggetto mette in discussione il proprio potere, per imparare con-tinuamente a saperlo deporre: «La mia libertà è così messa in causa da unMaestro che può investirla. Allora, la verità, esercizio sovrano della libertà,diventa possibile» (TI, 104 [105]).

Essere responsabili significa essere buoni, poiché il soggetto non fa piùcalcoli, ma si pone oltre le “strategie violente” del potere, adottate per il con-seguimento del proprio inter-ess-amento. Ora, nella responsabilità l’attenzio-ne è centrata sull’Altro e sui suoi “bisogni” che causano indigenza e miseria.Nella responsabilità etica avviene il superamento dell’essere da parte dell’In-finito, ovvero la «rottura dell’inlacerabile essenza dell’essere» (DMT, 209[244]), e l’alterità si rivela come senso autentico dell’uomo, liberato dalla vio-lenza del perseverare nel proprio essere; in questo modo il soggetto diventa“sempre più soggetto”, “sempre più uomo”, e, allo stesso tempo, l’Altro di-venta “sempre più Altro”, “sempre più uomo”.

384 Giampaolo Manca

2 Cfr. EDE, 244 [202].In questo riferimento bibliografico all’opera di Lévinas (Scoprire l’esistenza…), e nei

seguenti riferimenti, abbiamo utilizzato una sigla che rimanda all’opera. L’elenco delle sigle(con relativa opera indicata nell’edizione francese e nell’edizione italiana da noi utilizzate) loabbiamo posto alla fine del presente articolo. I due numeri dopo la sigla indicano il numerodelle pagine; quello tra parentesi quadra si riferisce all’edizione in italiano da noi utilizzata.

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Nella relazione sociale si verifica un vero e proprio rovesciamento ri-spetto alla metafisica ontologica. Infatti, nell’ontologia l’io è preoccupato disé e ciò che lo pone a disagio è la bontà – debolezza dell’uomo che non riescenella piena affermazione di sé; nell’etica, invece, l’io si preoccupa dell’Altroin quanto Altri, che implora aiuto e la consapevolezza della mancanza di bon-tà diviene la sua vergogna (“pienezza d’essere”). L’Anteriorità della respon-sabilità rispetto alla libertà rappresenta la Bontà del Bene, elezione del sog-getto da parte del Bene (Infinito) che si annuncia nell’Altro, prima di ogni miascelta, perché il Bene elegge per primo. In tal modo l’Etica diventa la Filoso-fia Prima, la Meta-fisica, e l’ontologia assume una posizione secondaria inquanto riceve il senso dalla relazione etica (La Metafisica).

Di qui l’affermazione “sconvolgente” del nostro filosofo: il piano etico“preesiste”3 al piano ontologico, la responsabilità viene prima della libertà:

«Essere responsabile nella bontà è essere responsabilità al di qua o al difuori della libertà. L’etica si insinua in me prima della libertà. Prima del-la bipolarità del Bene e del Male, l’io si trova compromesso con il Be-ne nella passività del sopportare. L’io si è compromesso con il Bene pri-ma di averlo scelto» (DMT, 206 [241]).

L’affermazione levinassiana sulla “preesistenza dell’etica sull’ontolo-gia” si pone certamente all’insegna della novità, per cui abbiamo «l’ etica co-me filosofia prima», poiché «l’etica è prima dell’ontologia», «essa è più on-tologica dell’ontologia, più sublime dell’ontologia» (DVI, 143 [114]): l’eticacoincide con la metafisica, metafisica dell’alterità, che noi chiamiamo anchemetafisica del dono, in quanto Altri è donazione originaria, per cui Altri “in-veste” il soggetto del dinamismo del dono. Grazie alla preesistenza della di-mensione etica, l’ontologia acquista il giusto senso, il senso del dono.

Il soggetto presentato da Lévinas è posto oltre l’ontologia, esso non èdetto (asserzione teoretica)¸ ma assoluto dire: si esprime, parla4. L’elezione ocon-pro-missione con il Bene, che fa nascere la Bontà (responsabilità-per-al-tri), è l’altezza più grande, dinamismo vitale che porta all’Altro, che fonda l’i-dentità del soggetto al di là di un ritorno su di sé; al di là della tendenza al do-minio e all’egoismo che “uccide”. Elezione per l’esodo di un eccomi-per-gli-

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 385

3 Cfr. TI, 220 [206].4 Cfr. AE, 35 [23].

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Altri come risposta e-norme5, fuori cioè dalla norma dell’essere. Il per-Altridiviene così un consegnarsi all’Altro, un essere soggetto nel senso di sogge-zione-ad-Altri, «sostituzione di ostaggio» (AE, 196 [155]).

La responsabilità, come risposta originaria o preliminare rispetto alla li-bertà, cioè senza impegni assunti preliminarmente, «è la fraternità umanastessa anteriore alla libertà» (AE, 184 [145]). La passività del sop-portare in-dica la novità della risemantizzazione della categoria ontologica di sub-stan-tia; questa ora significa sopportare la gravità dell’Altro, perché il soggetto èsub-jectum all’Altro, al di là di una decisione personale. Di qui la conclusio-ne che «La distinzione tra libero e non-libero non è l’ultima distinzione chedistingue l’umano dal non-umano, e nemmeno il senso dal non-senso» (DMT,206 [241]). Di qui le affermazioni del filosofo, per il quale Altri investe e giu-stifica la mia libertà6. Tale investitura si riferisce all’autonomia relazionaledella persona, la cui libertà non è violenza perché investita da Altri, che nonviene totalizzato. L’investitura non annulla l’autonomia, ma ne è la giustifi-cazione, per cui essa diviene piena di senso e di promesse. Riprendendo Car-tesio, l’alterità è l’idea dell’Infinito, che emerge come evento dell’eterono-mia-nell’autonomia, in una unità-asimmetrica e in una armonia-plurale: l’e-teronomia giustifica la libertà rendendola responsabile di Altri di fronte ad unappello che io non ho deciso di sentire. La significazione della relazione conaltri, relazione del faccia-a-faccia si ribella ad ogni intellettualismo ontologi-co, poiché chiama il soggetto-in-relazione a pensare una Trascendenza al di làdell’immanenza, ovvero l’eteronomia della responsabilità che “i greci” nonci hanno insegnato7.

Altri, in quanto eteronomia, dona all’autonomia (alla libertà) senso ecompito8. Il soggetto esce dalla sua solitudine per vivere il rapporto con Altri,dinanzi al quale si scopre come il potente, mentre Altri si rivela il debole; di quila necessità che io gli offra il mio soccorso9. Nella scoperta della mia indegni-tà nasce la verità etica, che, innanzitutto, è accogliere la donazione di Altri, pre-

386 Giampaolo Manca

5 Cfr. AE, 283 [228], c.n.6 Cfr. TI, 281 [257]. Si veda anche: TI, 83-89 [84-89] e 214-215 [202].7 Cfr. DVI, 48 [41]; qui, nella nota 19, il filosofo precisa: «A meno che essi non ce

l’abbiano suggerito sia nel Démone di Socrate sia nell’entrata attraverso la porta, del-l’intelletto agente in Aristotele».

8 Cfr. EDE, 244-245 [202-203].9 Nella relazione sociale sono in rapporto anche con Dio, perché «Dio comanda so-

lo attraverso gli uomini per i quali bisogna agire» (EDE, 246 [204]).

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stargli aiuto, rispettandolo nel suo “mistero”. La coscienza morale è, per Lévi-nas, l’accoglienza di Altri, e nasce, solo «quando la libertà, invece di autogiu-stificarsi, si sente arbitraria e violenta [cattiva coscienza ]» (TI, 83 [83]).

La filosofia è considerata dal nostro filosofo «esposizione della mia li-bertà al giudizio dell’Altro» (EDE, 247 [204]) e in virtù di ciò, Altri è il cri-terio supremo da cui dipendono la giustizia e la verità. Di qui la conclusioneche la filosofia, in quanto amore per la verità “sempre futura”, poiché semprenuova nella relazione con Altri, si rivela come saggezza dell’amore (AE, 53,nota 1 [37, nota 5]).

Una figura importante di cui Lévinas si serve per descrivere la sogget-tività è quella della prossimità (relazionale), intesa come la significazionestessa della soggettività convocata dall’Infinito. La prossimità relazionalenon rientra nell’ordine del movimento della conoscenza, non è relativa ad unsapere a priori10. A partire dalla prossimità l’ordine ontologico assume «ilproprio giusto senso» (AE, 33 [21]), proprio perché l’essere è compreso a par-tire dal terzo escluso11.

Dal pensiero di Lévinas emerge chiaramente che la competenza del ri-conoscimento di Altri non è un atto esclusivo del soggetto, ma si tratta di unacompetenza propria della persona umana come partecipazione/comunicazio-ne che avviene nella società con Altri: il soggetto relazionato con l’Altro è illuogo ermeneutico dell’agire etico (res-ponsabile) dell’uomo-per-l’uomo, nelcammino storico verso la piena realizzazione, verso il Vero Bene della perso-na e della comunità. Di qui il “principio di individuazione” del soggetto uma-no. Un nuovo principio al di là dell’ontologia, al di là dei principi ontologici(aristotelico-tomisti) di materia e forma: «La responsabilità è un’individua-zione, un principio di individuazione. Riguardo al famoso problema “l’uomoè individuo per mezzo della materia o per mezzo della forma?”, io sostengol’individuazione per mezzo della responsabilità per Altri» (EN, 118 [143]).

Di fondamentale interesse per noi è l’affermazione che evidenzia comel’umano possa essere riconosciuto solo al di là dell’atteggiamento di potere,da intendersi, aggiungiamo noi, anche come potere di conoscere la dimensio-

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 387

10 Cfr. AE, 102-103 [79].11 Cfr. AE, 30 [19].Per la metafisica ontologica classica «l’essere è, e il non essere non è», e tertium

non datur. Nella proposta metafisica di Lévinas ritroviamo che questo “terzo”, veramen-te non datur nell’ontologia, “si dona” propriamente nell’etica, poiché è l’altrimenti cheessere (Cfr. TI, 259 [238]).

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ne biologica a livelli sempre “più profondi”. Ecco l’affermazione di Lévinas:«L’umano si offre soltanto ad una relazione che non è un potere» (EN, 23[40]); e questo perché l’umanità si offre al di là dell’interpretazione dei datipuramente ontici, biologici, genetici, anche se non affatto trascurabili: l’uma-nità si dona come ascolto e parola12! Lévinas parla anche di epifania di Altri,ma per vivere tale epifania e il relativo “ascolto del volto”, è necessaria unavista “altra”; o meglio, è necessario “l’occhio che ascolta”: «La luce si pre-senta […] nella luce che non è tematica, ma risuona per l’“occhio che ascolta” di unarisonanza unica nel suo genere, della risonanza del silenzio» (AE, 54 [38])13.

Essendo la dimensione etica relazionale-partecipativa, dobbiamo direche Io “conosco me stesso ri-conoscendo l’Altro”. Si tratta dell’esperienza del-l’incontro, come passaggio/esperienza14, esodo dal Même verso Autrui, unesodo ermeneutico all’insegna dell’ascolto che conduce “continuamente” aciò che “dà senso”. Grazie all’incontro/relazione con l’Altro, il quale manife-sta la sua alterità, traccia dell’Infinito, mi riconosco differente radicalmente daogni altro uomo, cioè mi ri-conosco persona, irriducibile ad un concetto teo-retico. C’è una solidarietà profonda tra me, gli altri e il creato: se c’è violenzasull’Altro, “morte” dell’Altro, nasce necessariamente la morte del proprio Sé.Dalla responsabilità nasce la giustizia all’insegna del dono. Una Giustizia nonmeramente distributiva (suum cuique tribuere), ma caratterizzata dall’uno-per-l’Altro (justitia est secundum ad alterum).15. La giustizia consiste nell’ante-porre gli obblighi verso l’Altro agli obblighi verso se stessi, nell’anteporrel’Altro allo Stesso16. È a partire dalla “metafisica del dono” che si acquisiscecompetenza nella capacità di “rispondere (re-sponsabilità) ai bisogni” dell’Al-tro; la vita vera dell’Altro è la mia vita; così nel cammino storico all’insegnadel dono io divento sempre “più uomo”. L’essere-per-Altri (passività più pas-siva di ogni passività) permette, quindi, che si realizzi il sorgere del senso (pro-duzione di senso) dell’umano, l’Uno-per-Altri, la bontà o carità17 o «amore

388 Giampaolo Manca

12 Cfr. EN, 22 [40].13 All’ “occhio che ascolta” si contrappone la visione “chiara e distinta” dell’inter-

pretazione dei dati scientifici (occhio che vede!), ovvero il permanere nell’ambito del-l’ontologia, che per Lévinas, da Aristotele in poi, l’ontologia è divenuta una scienza deltutto immanente.

14 Cfr. DL, 253-281 [227-249].15 Cfr. G. PIANA, “Figure di un’etica della responsabilità”, Hermeneutica 2001. Do-

mande di etica, Vago di Lovagno: Morcelliana, 2001, 125-151.16 Cfr. EDE, 237-238 [196].17 Cfr. EN, 221 [252-253].

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senza concupiscenza» (EN, 241 [273]). Scrive ancora Lévonas: «Nella rela-zione personale di me all’altro, l’“evento” etico, carità e misericordia, genero-sità e obbedienza, conduce al di là o innalza al di sopra dell’essere» (EN, 221[252], c.n.).

Per Lévinas la parola responsabilità esprime quanto si vuole comunica-re con i termini biblici ebraici h’essed e rah’amim (misericordia) 18. In Uma-nesimo dell’altro uomo, quando parla di “misericordia”, Lévinas fa esplicitoriferimento al termine ebraico “Rachamìm”: «Pensiamo al terminebiblico “Racha-mìn” [Rachamìm] che si traduce misericordia, ma che contiene un riferimen-to alla parola “Rachèm” – utero: si tratta di una misericordia che è come unacommozione di viscere materne» (HAH, 94, note 6 [145, nota 10]).

L’Altrimenti che essere, il senso per l’ontologia, è l’eccomi, risposta al-la parola del volto, suono udibile solo nella sua eco, “semplicità complessa”di un aver ricevuto (non si sa da dove!) l’ordine di cui non sono autore. È ilrivelarsi dell’Infinito che si contrappone «all’apparire indiscreto e vittoriosodel fenomeno» (EDE, 291 [242]); non si tratta di un trionfo dell’Infinito, madi una epifania umile19.

2. La donazione originaria “di” Altri nella relazione metafisica

Lévinas valorizza evidentemente l’autonomia del soggetto dinanzi al-l’eteronomia di Altri, nella proposta di una rinnovata armonia (conciliazione)tra autonomia ed eteronomia: il soggetto nella relazione sociale è anch’esso

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 389

La tradizione cattolica (si veda, per es., Tommaso d’Aquino) parla della carità co-me forma di tutte le virtù. In Lévinas l’amore a-Dio (l’Uno-per-l’Altro), che è anche amo-re da-Dio (volto d’Altri) o amore di-Dio (relazione etica), crea continuamente il rispettoper l’Altro, fino a morire-per-l’Altro. La responsabilità, l’Uno per l’Altro, è liberazionedella libertà che diviene «amore che sa donare» (Cfr. T. LONGHITANO, Il dono che redime.Il legame tra l’antropologia filosofica e la teologia mistica, Dissertazione dottorale, Ro-ma: 2003, 29).

18 Cfr. “Giustizia, amore e responsabilità. Un dialogo tra Emmanuel Lévinas e PaulRicœur”, in E. LÉVINAS, G. MARCEL, P. RICŒUR, Il pensiero dell’altro, Roma: Edizioni La-voro, 1999, 79.

19 Lévinas riprende la verità umile-incarnata del Dio di Kierkegaard (Cfr. NP, 99-115 [81-93]). Si veda anche: G. MODICA, Lévinas interprete di Kiergegaard, in AA.VV.,La persona e i nomi dell’essere. Scritti in onore di Virgilio Melchiorre, vol. II, Milano: Vi-ta e Pensiero, 2002, 1157-1176, ivi 1164.

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inizio e tramite dell’autonomia (autonomia relazionale), ispirato da Altri (ete-ronomia). Quest’aspetto esprime un aspetto interessante di Altri che si donaal soggetto. Così scrive il filosofo:

«Possibilità di trovare, anacronisticamente [fuori dal tempo sincronicodella teoretica, fuori dalla presenza] l’ordine nell’obbedienza stessa e diricevere l’ordine a partire da se stesso – questo capovolgimento dell’e-teronomia in autonomia è la modalità in cui l’infinito avviene, modali-tà che la metafora dell’iscrizione della legge nella coscienza esprime inmodo rimarchevole, conciliante (in un’ambivalenza la cui diacronia è lasignificazione stessa e che, nel presente, è ambiguità) l’autonomia e l’e-teronomia» (AE, 232 [186], c.n.).

L’obbedienza è la modalità del risveglio del soggetto nel suo vivere per-l’Altro, che è già nel-medesimo, ovvero già donato al soggetto, per cui Altribatte nel cuore del medesimo20. Ovviamente “non è un altro medesimo”,“l’Altro non è un altro Stesso”21; anche in questa dimensione formale, l’Al-tro è scandalo che inscrive un’inquietudine22, per cui il soggetto è risveglia-to dall’Altro come se questi bussasse alle sue pareti: «L’Altro nel Medesimoè la mia sostituzione all’altro secondo la responsabilità, per la quale, insosti-tuibile, sono convocato» (AE, 181 [143]).

Il verbo “battere”, riprende il verbo ebraico pa’am, che significa agita-re, urtare, e anche il battere del cuore (battito cardiaco). Da pa’am deriva il so-stantivo pa’om, ossia battito, pulsazione; e da pa’am deriva anche il sostanti-vo pa’amon, ossia colpo della campana23. Di qui le considerazioni filosoficheche l’Altro “risuona” nel soggetto come “battito del cuore e nel cuore”.

È interessante rilevare che il cuore nella cultura semitica indica la sededelle decisioni, pertanto la sede dell’opzione fondamentale per-Dio e per-Al-tri. Si potrebbe anche dire che l’Alterità-nel-Medesimo si configura come op-zione antropologica consegnata nella relazione sociale dall’Uno-all’Altro, op-

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20 «Battito dell’Altro nello stesso, il quale, precisamente, agita il riposo. (Ricordoche in ebraico il colpo e [il battito del] campana hanno la stessa etimologia: il verbo agi-tare!)» (DMT, 159 [192]).

21 Cfr. DVI, 130 [104] e DMT, 132 [166].22 Cfr. DMT, 148 [181].23 Per l’etimologia ebraica del verbo battere ci siamo riferiti ad una nota J. Rolland

presente in DMT, 159, nota 1 [192, nota 32].

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zione che è dimensione integrante del “contenuto” della stessa soggettività.La scelta fondamentale risuona nel cuore della soggettività etica (relaziona-le), nell’interiorità più profonda dell’uomo; opzione antropologica che in-quieta continuamente il soggetto, senza concedergli sosta per il riposo.

L’idea dell’Infinito si trova nel soggetto, come dimensione relaziona-le/sociale, che genera una pre-comprensione antropologica all’insegna del-l’accoglienza (del dono) e della responsabilità o contro-dono, è ospitalità24,soggettività fondata nell’alterità25.

Rileviamo che l’espressione “contro-dono” non deve essere equivocato,in quanto per noi indica la risposta (re-sponsabilità) che, in quanto personale,pertanto sempre segnata dall’alterità, è sempre “al di là”, e sempre sovra-bbondante, e-norme, a-simmetrica. Questo è il senso che diamo alla parolacontro nell’espressione contro-dono, in sintonia col pensiero levinassiano.

Nella luce dell’alterità anche le cose assumono un nuovo significato: es-se non si situano più nella prospettiva dell’uso, poiché «un Altro è associato al-la mia relazione con esse. Designando una cosa la designo ad Altri» (TI, 230[214]). Le cose vengono così situate nella prospettiva d’Altri; anch’esse diven-gono dono-per-l’Altro. È l’Alterità a far sì che le cose siano offribili: staccatedall’egoismo dell’uso, partecipano anch’esse della mia libertà investita!

La responsabilità non è propriamente la decisione di una scelta libera(incondizionata), altrimenti si resterebbe ancora nel primato del Soggettochiuso nell’autonomia, ma è la vera possibilità di affermazione e realizzazio-ne del soggetto relazionato; la responsabilità viene da un “al di là” della mialibertà, da un “passato immemorabile”, vera dia-cronia o an-archia. La “re-sponsabilità infinita” (etica), non è altro che l’anteriorità della “Bontà del Be-ne”, ossia il «il Bene prima dell’essere […] che assegna il soggetto […] al-l’approssimarsi all’altro, all’approssimarsi al prossimo» (AE, 195 [154-155]).È qui che comincia il Sé, non nell’auto-posizione sovrana di una libertà illi-mitata. Esso comincia nel fatto che «nessuno può sostituirsi a me che mi so-stituisco a tutti […] L’io della responsabilità è io e non un altro» (AE, 200-201 [159]).

Il soggetto è posto in quanto è deposto, in quanto svuotato dei suoi po-teri violenti, che tendono a ridurre tutto ciò che limita la sua libertà. Per il fi-losofo tale svuotamento coincide con la bontà:

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 391

24 «Possedere l’idea dell’infinito significa aver già accolto Altri» (TI, 94 [92]). Siveda anche: TI, 12 [25].

25 Cfr. TI, 11 [24].

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«Io responsabile non finisco più di svuotarmi di me stesso. IncrementoInfinito nel suo esaurimento in cui il soggetto non è semplicemente unapresa di coscienza di questo dispendio, ma ne è il luogo e l’avvenimen-to e, se così si può dire, la bontà» (DVI, 120 [97], c.n.)26.

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26 Scrive ancora Lévinas: «La relazione con Altri mi mette in questione, mi svuotadi me stesso e lo fa incessantemente, permettendomi di scoprire così sempre nuove risor-se» (EDE, 269-270 [222], c.n.). Si veda anche: TI, 274 [250].

Pensando al termine svuotamento, non può non venirci alla mente la kénosis(ksnwsij) di cui parla s. Paolo in Fil 2,7. La parola Kénosis ha interessato enormementeLévinas, che dichiara di accettare assolutamente, procurandogli spesso delle obiezioni ne-gli ambienti ebraici (Cfr. TRI, 56 [49]). Lévinas ha dedicato un articolo alla kénosis dal ti-tolo “Judaïsme et Kénose” (1985), che ora si trova in HN, 133-151 [131-149]. Si veda an-che: lo studio di M. FAESSLER, Humilité du signe et Kénose de Dieu, in J. GREISCH, J. ROL-LAND (ed.), Emmanuel Lévinas. L’éthique comme philosophie première, Paris: Les Édi-tions du Cerf, 1993, 239-257.

Per la comprensione della nozione di kénosis nel nostro pensatore, ci sembra mol-to importante il seguente testo: «L’essere è attraverso l’etica. L’uomo, dunque, rispondedell’universo. Egli fa e disfa i mondi [= l’oggettività di essere Altri], li innalza e li abbas-sa. Il regno di Dio dipende da me. Dio ha subordinato la sua efficacia – la sua associa-zione al reale e la presenza stessa del reale – al mio merito e demerito; ma proprio questoDio regna attraverso la mediazione di un ordine etico, laddove un essere risponde di unaltro. Il mondo è non perché persevera nell’essere, non perché essere sarebbe la sua pro-pria ragion d’essere, ma perché, attraverso l’operare dell’uomo può essere giustificato nelproprio essere. L’umano è la possibilità di essere-per-l’altro. È la giustificazione di ogniesistere […] Più importante dell’onnipotenza di Dio è la subordinazione di tale potenzaal consenso etico dell’uomo. Ed è qui uno dei significati primari della Kenosi» (HN, 145[143], ultimo c.n.).

Anche l’uso della parola umiltà esprime l’accoglienza da parte di Lévinas del si-gnificato della parola Kénosis (Cfr. TRI, 57 [49]). La parola “umiltà” (humilité) è usata daLévinas per tradurre il termine ebraico ‘anawah, che caratterizza Mosé in Numeri, 12, 3(Cfr. TRI, 57 [49]). La Kénosis, come l’annuncia l’ebraismo (cfr. Salmo 91,15), è – diceLévinas – «l’umiltà di Dio nella sua associazione alla miseria dei miserabili!» (TRI, 59[51], c.n.).

Lévinas parla dell’umiltà di Dio (ksnwsij) nel contesto di un discorso sulla pre-ghiera. Riportiamo l’intero paragrafo per una adeguata comprensione del nozione: «La ve-ra preghiera non potrebbe mai essere preghiera per sé. Si prega in verità sempre per gli al-tri o per Israele, le cui sofferenze nella persecuzione significano attacco alla gloria di Diomanifestata nella Rivelazione e nelle sofferenze di Israele. Ma ecco la cosa più sorpren-dente: l’uomo pieno di sconforto, straziato dal dolore, può pregare per sé. Ma la sofferen-za del particolare è sempre sofferenza di Dio che, secondo il Salmo 91,15, “è con lui nel-lo sconforto”. Il senso della vera preghiera per sé è una preghiera per un Dio che soffre;

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La libertà è trasformata in responsabilità-per-l’Altro, fino alla sostitu-zione, figura questa che esprime il senso ultimo della responsabilità27, nel suodivenire eccomi-per-Altri, rispondente di tutto e di tutti. La sostituzione nonconsiste nel mettersi al posto dell’altro uomo, per vivere i suoi sentimenti, percui l’uno diventa l’altro, ma è portare conforto ad Altri¸ segnato dalla debo-lezza e dalla essenziale finitezza; questo comporta il sacrificio del proprio in-ter-essa-mento, per sopportare il peso della sofferenza dell’Altro nella re-sponsabilità28.

Ciò che caratterizza ancora la relazione etica, la responsabilità, è l’of-ferta del mondo ad Altri29, della «diaconia che costituisce la soggettività delsoggetto, tutta intera tensione verso l’altro» (NP, 113 [92]), in una sola paro-la, donare e questo poiché

«Il donare è in qualche modo il movimento originale della vita spirituale[…] La vita spirituale è essenzialmente vita morale e il suo luogo predi-letto è l'economico […] l'Altro è sempre il povero, la povertà lo definiscein quanto altro, e la relazione con l'altro resterà sempre offerta e dono,mai avvicinamento “a mani vuote”» (DL, 93-94 [87], secondo c.n.).

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 393

ecco il versetto sulla kenosi, come l’annuncia l’ebraismo: l’umiltà di Dio nella sua asso-ciazione alla miseria dei miserabili! E si possono, forse, invertire i termini di questa teo-logia della sofferenza e intendere Dio a partire dalla sofferenza che, nella mia sofferenza,arriva a Lui. Si può dire che Colui che soffre nella mia sofferenza – anche se è quella cheio stesso ho meritato a causa del mio peccato – è Dio […] Le preghiere degli uomini chesoffrono devono alleviare questa tortura o questa “Passione” di Dio. È questa la kenosi?Penso che, in ogni caso, sia qualcosa che le si avvicina! La mia formulazione “Dio cheviene all’idea” esprime la vita di Dio. Discesa di Dio! Esprimendoci in tedesco va ancormeglio: wenn Gott fällt uns ein (“quando Dio ci viene alla mente”). Questo si ricollega aquel che dicevamo un momento fa sulla prossimità. È probabilmente per questo che il Va-ticano II invita ebrei e cristiani a informarsi reciprocamente sulle loro dottrine. Come seda questa conversazione dovessimo aspettarci frutti più cospicui di quelli che potrebbe ri-servarci la lotta degli uni per la conversione degli altri!» (TRI, 58-60 [50-52]). Si veda an-che: HN, 149-150 [147-148].

27 Cfr. DVI, 129-130 [104]; EN, 65 [86]; TRI, 57 [49].28 «Sostituirsi è portare conforto associandosi a questa debolezza ed essenziale fi-

nitezza d’altri, sopportarne il peso sacrificando il proprio inter-essamento e la propriacompiacenza-a-essere, che si trasformano in responsabilità per altri». (E. LÉVINAS, “Re-sponsabilità e sostituzione. Dialogo con Emmanuel Lévinas”, in A. PONZIO, Responsabi-lità e alterità in Emmanuel Lévinas, Milano: Jaca Book, 1994, 161).

29 Cfr. TI, 189 [177].

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La risposta del donare, per cui la metafisica levinassiana è a buon dirit-to metafisica del dono, si pone di fronte ad una donazione originaria, che èquello di Altri; pertanto, a questo punto, possiamo dire che la responsabilitàsi configura come contro-dono. Il dono è far circolare un bene verso l’Altrocon gratuità, ovvero senza garanzia di restituzione, di contropartita, al di là,pertanto, della razionalità del per-sé30. Si dona all’Altro perchè l’Altro sia li-bero di donare, escludendo un obbligo della restituzione, evidenziando chenon c’è mai garanzia che l’Altro doni se stesso – si potrebbe pensare al ditta-tore, al carnefice, al tiranno: «la restituzione non è assicurata, e il dono dun-que è a rischio, se si dà per ricevere […] Anche la restituzione è un dono»31.

Il rivelarsi di Altri non è né abbandono, né perdita. Altri non si sottrae,ma neppure “dà” la sua interiorità perché sia totalizzata, con-tenuta, com-pre-sa. La relazione sociale con Altri consiste nel “non-dare” l’alterità, poiché do-na la sua alterità. Cioè, Altri “non-dà” la sua alterità perché venga com-pre-sa, ma si dona come totalmente Altro, non tematizzabile: Altri dona il suonon-darsi (es gibt), per questo altri dona veramente se stesso32. L’incontrocon l’Altro è così interpretato dal filosofo come donazione, o meglio comedonation originelle: «La trascendenza non è una visione d’Altri ma una do-nazione originaria» (TI, 189 [177], c. n ).

Altri si dona al soggetto, e quest’ultimo contro-dona ad Altri: donazio-ne asimmetrica in piena gratuità: gratuità integrale» (AE, 17 [9]), gratuità del-l’amore, verità che libera l’uomo, «gratuità etica: senza reciprocità» (VI, 44).L’uno-per-l’Altro, esposizione ad Altri, ha il senso del «“prendersi cura del bi-sogno dell’altro”, delle sue infelicità e delle sue colpe, cioè come donare»(AE, 119 [92]). Il volto d’Altri (la Trascendenza della persona), va ricono-sciuto da una “voce”, piuttosto che nel contesto di una visione sensibile: ilvolto è parola, ovvero una voce che è appello, invocazione di vita.

Fondamentali, per l’ermeneutica dell’alterità della persona umana, sonole affermazioni del filosofo concernenti il ri-conoscimento dello sguardo esi-gente e supplicante dell’Altro, che chiede di donare al Maestro. Così scriveLévinas:

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30 Cfr. J.T. GODBOUT, Lo spirito del dono, cit., 307.31 J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Torino: Bollati Boringhieri, 1998, 79-80.32 Nei testi levinassiani per esprimere il dono l’autore usa il verbo donner, che in

italiano può tradursi in “dare” o “donare”. La realtà del dono di Altri è espressa anche me-diante un altro verbo importante, se présenter (“presentarsi”), che, alla luce del pensierolevinassiano, è possibile interpretare sempre nel senso del donarsi.

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«Questo sguardo che supplica ed esige […] si riconosce donando (pro-prio come si “mettono in questione le cose donando”) – questo sguardoè appunto l’epifania del volto come volto. La nudità del volto è indi-genza. Riconoscere significa riconoscere una fame. Riconoscere Altrisignifica donare. Ma significa donare al maestro, al signore, a chi si av-vicina come “voi” in una dimensione di maestosità» (TI, 73 [73], c.n.).

Il soggetto nella relazione sociale, è ricondotto alla sua realtà ultima, sirisveglia alla profondità del suo essere uomo come possibilità vera di dono-ad-Altri: «Riconoscere altri significa […] instaurare, con il dono, la comuni-tà e l’universalità» (TI, 74 [74], c.n.). Riconoscere per offrire il proprio esse-re, nel senso del servizio: «Io sono per l’altro in una relazione di diaconia: so-no al servizio dell’altro» (DMT, 188 [223]). In altre parole, la responsabilitàsi esprime concretamente nella bontà33, l’eccomi del servizio, che costituiscela meraviglia del donare: essere buoni significa donare34.

Il corpo è la possibilità stessa del donare35, «perché la soggettività èsensibilità […] e la materia è il luogo stesso del per l’altro» (AE, 124 [96]).La soggettività incarnata (di carne e di sangue nella materia, esposizione al-l’Altro) è donatrice di ogni senso perché donazione originaria, perché Uno-per-l’Altro36; relazione a senso unico, perché non ritorna al punto di parten-za. L’uno-per-l’Altro è andare incontro all’Altro senza preoccuparsi del suomovimento verso di me, perché io compio sempre un passo in più verso di lui,una risposta sempre in più attraverso la responsabilità37. La risposta di Altrinon la conosco e non mi interessa: se si donasse per ricevere, il dono sarebbea rischio! Non sono sicuro della risposta dell’Altro, perché c’è assenza di ob-bligo, ovvero assenza di contratto, di costrizione e ciò comporta la non-ga-ranzia della risposta: «La libertà e la non garanzia sono le due facce dello stes-

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 395

33 Cfr. TI, 200 [187]. «Il concetto d’Altri non ha certo alcun nuovo contenuto ri-spetto al concetto di io; ma l’essere-per-altri non è un rapporto tra concetti la cui com-prensione coinciderebbe, né la concezione di un concetto da parte di un io, ma la mia bon-tà. Il fatto che, esistendo per altri, esisto diversamente che non esistendo per me, costitui-sce proprio la moralità» (TI, 292-293 [268]).

34 Cfr. NP, 50 [48]. Scrive B. Johnstone: «To be good is to give» (B. JOHNSTONE,“The Gift: Derrida, Marion and Moral Theology”, Studia Moralia, 42(2004)411-432, ivi432).

35 Cfr. AE, 111 [86], c.n. Si veda anche: AE, 127, 173 [99, 137].36 Cfr. AE, 126 [98].37 Cfr. AE, 134 [105].

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so fenomeno»38. Il donatore dona non perché utilitaristicamente riceva luipersonalmente, ma perché scopre che il donatario (Altri) è già dono-per-il-soggetto. Se Altri non è accolto come dono “che chiama al dono”, si generala violenza.

La donazione autentica deve esser un donare fino in fondo, cioè capaci-tà di strapparsi il pane dalla propria bocca39:

«Passività dell’essere per l’altro che è possibile solo nella forma delladonazione del pane stesso che io mangio. Ma per questo bisogna preli-minarmente godere del proprio pane, non tanto per avere il merito didarlo, ma per dare il proprio cuore – darsi donando» (AE, 116 [90]).

Il dono, poiché è uno «strappare da sé», è «un offrirsi che è sofferenza»o «la sofferenza nell’offrirsi» (AE, 92 [69]), un soffrire malgrado sé: l’Uno-per-l’Altro attraverso il dolore40, in una relazione di prossimità/sostituzione.Pertanto, la responsabilità infinità è «donare-fino-alla-fine», è «gravità del-l’amore del prossimo», fino al «dono ultimo di morire per Altri» (DVI, 247[190]). Il dono della vita è il segno vivo della capacità dell’uomo di uscire dalproprio inter-ess-amento, mettendo in questione l’egoistica persistenza nelproprio essere: «il superamento nell’umano dello sforzo animale della vita,puramente vita – del conatus essendi della vita» (EN, 213 [242]).

“Dare il superfluo”41 non è donare, perché la responsabilità che si espri-me nella forma della donazione significa «l’essere-strappato-da-sé-per-un-al-

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38 J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Torino: Bollati Boringhieri, 80. Si vedaanche: Ibid., 21.

Scrive ancora Godbout: «Non c’è mai garanzia di restituzione. È questa una primacaratteristica fondamentale che distingue il dono dagli altri sistemi sociali. Che cosa im-plica questa assenza di garanzia che viene dalla libertà del donatore e di chi riceve? Ciòpresuppone una grande fiducia negli altri. Il dono è il sistema di circolazione delle coseche richiede la maggior fiducia negli altri. Infatti esso presuppone che, anche se si fa il ge-sto del dono al fine di ricevere, gli altri, anch’essi liberi, lo faranno volontariamente, sen-za alcun obbligo. Dunque, anche so lo si fa per ricevere, c’è già una differenza importan-te tra un sistema di dono e un altro sistema. È la fiducia negli altri che, sola, assicura larestituzione» (J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, cit., 22).

39 «Dare fino in fondo è infatti dare il pane strappato dalla propria bocca» (DMT,221 [256]).

40 Cfr. AE, 119 [92].41 «Il dare offre non la super-flussione del superfluo, ma il pane-strappato-dalla-

propria-bocca» (AE, 123-124 [96]).

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tro-nel-dare-all’altro-il-pane-della-propria-bocca, o il poter-dare-la-propria-anima-per-un-altro» (AE, 126 [98]).

Nei lavori successivi a Totalité et Infini, il filosofo individua il percorsoper ritrovare l’alterità nel cuore stesso del soggetto; per un passaggio dall’ete-ronomia all’autonomia relazionale. L’alterità viene dalla diacronia dell’eccomi,come Altro-nel-medesimo, cioè viene dalla passività dell’Uno-per-l’Altro:

«La passività è il luogo – o più precisamente il non-luogo – del Bene, ilsuo far eccezione alla regola dell’essere, sempre scoperto nel logos, ilsuo eccettuarsi dal presente […] L’invisibile della Bibbia è l’idea delBene al di là dell’essere. Essere obbligato alla responsabilità, questonon è incominciato mai» (HAH, 78 [121]).

In questo modo, l’Altro è nel Medesimo, e quest’ultimo – senza assi-milare l’Altro – vive l’inquietudine, l’evasione dall’essere totalizzante, vive ilDesiderio di Altri, per poi ritornare all’Essere e donargli il senso della dona-zione originaria.

La donazione originaria di Altri è un “attacco non-violento” portato«alla vita che vive o gode della vita» (AE, 119 [93]), perchè Altri sconvolgeil godimento; il soggetto prende consapevolezza della propria interiorità egoi-stica ed egocentrica, vive l’esperienza di poter «interrompere il per sé» (AE,94 [71]), al fine di «nutrire la fame dell’altro del proprio digiuno» (AE, 94[71], c.n.). Il dono del soggetto è offrirsi ad Altri¸ come risposta alla stessa“logica sovrabbondante”42 del dono di Altri. Anche il corpo del soggetto èconcretamente offerto ad Altri in una relazione caratterizzata dall’imperativodel servizio; l’Uno deve donare ad Altri43.

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 397

42 P. Ricœur definisce il dono “logica della sovrabbondanza” o “retorica dell’ec-cesso”. Così scrive il filosofo: «È possibile ora introdurre la logica del dono. Abbiamo op-posto, fin dalle prime parole di questa esposizione, la logica della sovrabbondanza alla lo-gica dell’equivalenza, che, diremo più avanti, è quella degli scambi e delle distribuzionigiuste. Logica di sovrabbondanza vuol dire: dare più di quel che è dovuto, più di quel cheè atteso, rivendicato, giustamente preteso. Dare senza esigere un ritorno. A questa dissim-metria tra dare e ricevere si oppone l’equilibrio dello scambio» (P. RICŒUR, “Giustizia eamore: l’economia del dono”, in D. JERVOLINO, Ricœur. L’amore difficile, Roma: Edizio-ni Studium, 1995, 135-153, ivi 139). Si veda anche: P. RICŒUR, Amore e giustizia, Bre-scia: Morcelliana, 2000, 35-45.

43 Scrive Lévinas: «Il paradosso di questa responsabilità è dato dal fatto che io mitrovo obbligato senza che questo obbligo abbia avuto origine in me» AE, 28 [17]). E an-cora: «Obbedienza stra-ordinaria – servizio senza servitù – alla dirittura del viso dell’al-

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L’io relazionato significa l’astriction44 al donare, a piene mani, alla cor-poreità45. Nella relazione sociale, infatti, nasce un vero e proprio “vincolomorale” (astriction) vissuto nella concretezza vitale della donazione. La sog-gettività è tale per il vincolo dell’essere offerto ad Altri, una “obbligazioneetica”46 che scaturisce dall’essere presi prima da Altri, che dopo aver com-preso Altri. Certo, il soggetto può sottrarsi alla responsabilità originale, per-ché è libero, e può esserlo in modo assoluto (autonomia assoluta), con la “ca-duta” nella soggettività violenta, incapace di donare. L’obbligazione eticadella donazione significa «essere-stato-offerto-senza-ritegno» (AE, 120 [93]),prima, cioè, dei limiti trovati con la razionalità teoretica/speculativa.

Il per-Altri “della” 47 donazione esprime la dimensione dell’al di là del-l’ontologia e pertanto anche la dimensione della fede; perché, donare, al di làdelle certezze razionali, esprime la fede in una promessa di bene di cui è por-tatrice la relazione sociale, che dice l’umano dell’uomo, in quanto Altri è do-no-per-me che mi fa uscire dal per sé, dall’autonomia assoluta e dalle mie cer-tezze totalizzanti.

La relazione etica, fondata sulla fede del faccia-a-faccia, costituisce l’o-riginario “spossessamento” della realtà biologica pura e semplice, «la messain comune originaria», «una prima donazione» (TI, 189 [177]), l’offerta di mestesso e del mondo ad Altri, perché Altri sia e sia veramente. Di qui la mera-vigliosa scoperta che «la trascendenza non è una visione d’Altri ma una do-nazione originaria» (TI, 189 [177]).

L’incontro con Altri “si produce” fondamentalmente come accoglienzae come offerta del mondo nel linguaggio. Scrive Lévinas: «La “visione” delvolto non si separa da questa offerta costituita dal linguaggio. Vedere il voltosignifica parlare del mondo. La trascendenza non è un’ottica ma il primo ge-sto etico» (TI, 189 [177]). Pertanto, il linguaggio, esprime la donazione ori-

398 Giampaolo Manca

tro uomo, il cui imperativo irrecusabile non deriva dalla minaccia e la cui autorità incom-parabile comanda attraverso una sofferenza e si dice precisamente parola di Dio. È qui cheprobabilmente Dio viene all’idea! Risposta da mantenere in questa obbligazione. Essa nonè mai esaustiva e non annulla mai la responsabilità» (TRI, 62 [53-54]).

44 Astriction deriva dal verbo astringere, che significa – oltre che stringere e chiu-dere – legare, vincolare, obbligare.

45 Cfr. DMT, 220 [256].46 È importante distinguere l’obbligazione etica dalla necessità, poiché l’obbiga-

zione ha la sua significazione nel riferirsi alla libertà umana, che detiene sempre la facol-tà di non-rispondere.

47 Da intendersi come genitivo soggettivo.

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ginaria, apre la prospettiva dell’orizzonte del senso per l’uomo. La Trascen-denza, che la tradizione biblico-giudaica riconosce alla persona umana, espri-me le caratteristiche stesse del soggetto autonomo-relazionato che si ponenella prospettiva eterocentrico-oblativa. In sintonia con tale tradizione, Lévi-nas non considera la persona umana alla stregua degli altri enti, come ogget-to da utilizzare per i propri benefici, ma con essa ogni uomo è chiamato a vi-vere il “dialogo della responsabilità”, perché possa avere senso la libertà delsoggetto responsabile. La Trascendenza indica pertanto non una “sostanza aldi là del mondo”48, ma una relazione, il primo gesto etico.

Nella terza sezione di Totalité et Infini, Lévinas analizza il rapporto travolto e ragione, presentando affermazioni molto interessanti ai fini della Me-tafisica del dono. Così scrive il filosofo: «il volto instaura la ragione […] ilvolto è l’evidenza che rende possibile l’evidenza» (TI, 178 [209]); «nell’ac-coglienza del volto, la volontà si apre alla ragione» (TI, 241 [224]).

Abbiamo visto sopra che il volto è da ricondurre alla donazione origi-naria e, pertanto, dobbiamo rilevare che l’instaurazione della ragione si hacon la donazione; il volto è anche dire, è linguaggio che da Altri giunge al-l’Uno, è tradizione49, tradizione del dono nella relazione sociale: linguaggiodel dono!

«Il dire è il fatto che davanti al volto io non resto semplicemente là acontemplarlo, gli rispondo. Il dire è un modo di salutare altri, ma salu-tare altri significa già rispondere di lui. Davanti a qualcuno è difficile ta-cere […] rispondere a lui è già rispondere di lui» (EI, 82-83 [102-103]).

Lévinas precisa ancor meglio che cos’è la ragione, affermando che «illinguaggio non solo serve la ragione, ma è la ragione» (TI, 182 [212-213]). Ilvolto instaura la ragione anche perché fonda il dialogo, caratterizzato dalla bi-polarità Soggetto-Altri:

«È, nella sua bipolarità insormontabile, il fenomeno originale della ra-gione. Gli interlocutori come singolarità, irriducibili ai concetti che co-

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 399

48 «Con la nozione di trascendenza Lévinas non intende indicare la caratteristica diuna sostanza che sta al di là del mondo – secondo il senso metafisico classico di trascen-denza – bensì un’originale relazione processuale tra due termini, di natura etica, in cui ilsoggetto è implicato pur senza esserne all’origine» (G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas,cit., 145).

49 Cfr. AE, 263 [211].

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stituiscono comunicando il loro mondo o facendo appello alla giustifi-cazione d’Altri, presiedono alla comunicazione. La ragione presupponequesta singolarità o queste particolarità, non a titoli di individui offertialla concettualizzazione o che si spogliano della loro particolarità per ri-trovarsi identici, ma appunto come interlocutori, esseri insostituibili,unici nel loro genere, volti. La differenza tra le due tesi: “la ragione creai rapporti tra l’Io e l’Altro” e “l’ammaestramento dell’Io da parte del-l’Altro crea la ragione” non è puramente teorica» (TI, 282 [258]).

Il Medesimo e l’Altro presiedono a quella comunicazione importanteche costituisce la «genesi della mente umana»50.

Il dialogo è all’insegna della non-violenza, perchè Altri, infatti, è la non-violenza per eccellenza, che instaura la libertà del Medesimo e la investe inresponsabilità infinita. L’alterità «mette fine alla violenza e alla contingenzae, anche in questo senso, instaura la ragione»( TI, 223 [209]), la ragione del-la pace, perché «l’Altro non è per la ragione uno scandalo, ma il primo inse-gnamento razionale, la condizione di ogni insegnamento» (TI, 177 [208]), lapromessa del Bene infinito per l’uomo. Nella relazione sociale «risiede il ca-rattere razionale della relazione etica e del linguaggio» (TI, 222 [208]).

L’irrazionalità è costituita dall’Io che vuole esercitare il suo potere, chefa rientrare tutto nel sistema, incapace di porsi in ascolto di Altri, ma solo ca-pace di monologo che porta alla libertà arbitraria e violenta. Ricevere, acco-gliere Altri, significa essere istruito51, superamento incessante di sé o tempo.

Solo a partire dalla relazione sociale (etica) si apre il campo della Ra-gione e della verità, perché «il volto è l’evidenza che rende possibile ogni evi-denza, al pari della veracità divina che sostiene il razionalismo cartesiano»(TI, 224 [209])52.

400 Giampaolo Manca

50 A questo proposito scrive C. Taylor: «La genesi della mente umana non è “mo-nologica”, ossia non è qualcosa che ciascuno di noi sviluppa per conto proprio, ma dialo-gica» (C. TAYLOR, Il disagio della modernità, Bari: Editori Laterza 2002, 39).

51 «Un essere che riceve l’idea dell’infinito – che riceve, in quanto non la può trar-re da sé – è un essere istruito in modo non maieutico, un essere il cui esistere stesso con-siste in questa incessante ricezione dell’insegnamento, in questo incessante superamentodi sé (o tempo). Pensare significa avere l’idea dell’infinito o essere istruito» (TI, 223[209]).

52 Scrive ancora Lévinas: «Il pensiero comincia con la possibilità di concepire unalibertà esterna alla mia. Pensare una libertà esterna alla mia è il primo pensiero […] Lacondizione del pensiero è una coscienza morale» (EN, 27 [45]).

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3. La verità come circolarità asimmetrica di dono e contro-dono

Nella relazione etica, l’Altro, poiché si esprime53, è sempre da ascolta-re, attraverso un “esodo ermeneutico dall’essere”, tale da permettere di acco-gliere la rivelazione di Altri. Nel contesto ontologico, la persona si riduce adun concetto adeguato alla ragione, ad un oggetto di comprensione, ovvero“persona concettualizzata” secondo schematismi rigidi di un pensiero dedut-tivo; si tratta dunque della persona senza mistero, ovvero non è più persona.La stessa cosa si deve affermare per Dio e il suo mistero. Lévinas non nega lafiducia nella ragione, bensì afferma che la ragione nasce nella relazione sog-getto-Altri54, in cui si ritrova il vero orizzonte di senso, che esprime la Tra-scendenza di Altri e dello stesso soggetto.

L’esperienza dell’alterità, che costituisce «l’esperienza per eccellenza»(TI, 10 [23]), è la verità:

«Nella verità il pensatore è in rapporto con una realtà che è distinta dasé, altra da sé […]. La verità indicherebbe allora la meta finale di unmovimento che parte da un mondo intimo e familiare, per quanto nonancora del tutto esplorato, verso l’estraneo, verso un là, come ha dettoPlatone. Più che un’esteriorità, la verità implicherebbe la trascendenza.La filosofia si occuperebbe dell’assolutamente altro, sarebbe l’eterono-mia stessa […]. Per questo la filosofia si identifica con la metafisica ela metafisica s’interroga sul divino» (EDE, 229-230 [189-190]).

Alla verità Lévinas riconosce la dimensione eteronoma, che scaturiscedal fatto che necessariamente implica l’assolutamente altro, l’eteronomia inquanto tale. Di ciò si è sempre occupata la metafisica, ma non è stata in gra-do di coglierla. La verità è epifania a distanza, in un rapporto di “relazione”nella “separazione”:

«La verità presuppone un essere autonomo nella separazione – la ricer-ca di una verità è appunto una relazione che non si fonda sulla priva-zione del bisogno. Cercare e ottenere la verità significa essere in rap-porto, non perché si è definiti da altro da sé, ma perché, in un certo sen-so non si manca di niente» (TI, 55 [59]).

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53 Cfr. TI, 61 [64].54 Cfr. TI, 282 [258].

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La ricerca della verità è relazione, rapporto con l’esteriorità, e l’esterio-rità, cioè la Trascendenza, è la verità, fondata sul linguaggio:

«La verità sorge là dove un essere separato dall’altro non vi si immergema gli parla. Il linguaggio che non tocca l’altro, foss’anche di tangenza,raggiunge l’altro interpellandolo o comandandolo, o obbedendogli contutta la correttezza di queste relazioni. Separazione ed interiorità, veritàe linguaggio – costituiscono le categorie dell’idea dell’infinito o dellametafisica» (TI, 56-57 [60]).

La verità è modalità della relazione tra il Medesimo e l’Altro, dove l’u-no è dono per l’Altro, in quell’astriction che realizza la circolarità del dono-contro-dono. La verità è il dis-corso del dono nella relazione Medesimo-Al-tri: è il discorso filosofico, la sapienza dell’amore55.

Lévinas si oppone a quella conoscenza fondata sull’ontologia tradizio-nale che si configura come assolutizzazione della deduzione teoretica (empi-rismo, funzionalismo, ontologismo, biologismo, ecc.), per cui il Nostro deci-de di passare ad una conoscenza all’insegna dell’inter-leggere da intendersicome contemplazione dis-inter-essata56. La verità è intesa come rispetto diAltri che va incontro all’intelletto, interpellandolo; e l’opera dell’intelletto èaspirazione all’esteriorità, che è Desiderio; ma non è conoscenza oggettiva, èdiscorso, è capacità di accogliere la donazione originaria dell’Altro in quantoAltri, rispondendo ai suoi bisogni, perché viva in modo pieno; e ciò dà sensoanche alle relazioni che il soggetto instaura con il Mondo57. Nella relazionesociale inizia il linguaggio, che è ascolto dell’Altro, e la nota caratteristica dellinguaggio è l’interpellanza, il vocativo: «La società è il luogo della verità. Ilrapporto morale con il Maestro che mi giudica, sottende la libertà della miaadesione al vero. Così inizia il linguaggio» (TI, 104 [100]).

Il linguaggio manifesta la singolarità dell’uomo come essere parlante,perché risponde, è responsabile58. Il linguaggio può essere parlato solo edesclusivamente se il soggetto si de-pone al di là di ogni sistema totalizzante(orizzonte di identificazione); l’interlocutore, affinché ci possa essere il lin-guaggio del dono, non deve essere posto sul mio stesso piano: «L’interlocu-

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55 Cfr. TI, 66 [68].56 Cfr. ECFP, 67 [47].57 Cfr. HS, 77 [59].58 Cfr. EN, 38 [54].

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tore non è un Tu, è un Lei» (TI, 104 [100]), e «la mia libertà è così messa incausa da un Maestro che può investirla. Allora, la verità, esercizio sovranodella libertà, diventa possibile» (TI, 104 [101]). La verità, quindi, non è da in-tendersi nel senso di svelamento (come in Heidegger)59, ma come manifesta-zione kath’autò, nel senso che Altri parla, si dice al soggetto, si dice a noi60.

La donazione originaria di Altri “ispira” il soggetto, lo muove a parla-re e «la mia risposta […] produce la sua verità» (TI, 324 [299]). Cosi il sog-getto diviene “profeta”, perché parla in nome della donazione originaria, del-l’Infinito, testimonianza viva di promessa di Bene per il soggetto e per Altri,al di là di ogni violenza, nella res-ponsabilità61. La “ri-velazione” di Altri èsignificare o avere un senso: presentarsi significando è parlare. Il significatoè l’irruzione dell’esteriorità e il discorso è «una relazione originaria con l’es-sere esterno». Tale relazione (discorso/dialogo) «è la produzione di senso»(TI, 61 [64], c.n.) nel fuori-contesto della donazione di Altri. O meglio, la pro-duzione del senso è data dalla circolarità ermeneutica dono/contro-dono. Sitratta della sporgenza della verità sull’essere, definita da Lévinas con una me-tafora: curvatura dello spazio intersoggettivo62.

Lévinas riprende la soggettività trascendentale proposta da Kant, mane propone un “rivisitazione”, ovvero la presenta come soggettività al servi-zio dell’“oggettività dell’essere”. Tale oggettività però non è certo da inten-dere nel senso dell’essere come fenomenalità. Pertanto, il soggetto-in-rela-zione si pone in ascolto del volto d’altri, donazione originaria, che attende“risposta”. L’oggettività coincide così con il linguaggio che nasce nella rela-zione sociale:

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59 «Riconoscere la verità come svelamento significa rapportarla all’orizzonte di co-lui che svela […] L’essere svelato è relativamente a noi e non Kath’auto» (TI, 59 [62-63]).

60 Così scrive Lévinas: «La manifestazione kath’auto consiste per l’essere nel dir-si a noi, indipendentemente da qualsiasi posizione che noi potremmo aver preso nei suoiconfronti, nell’esprimersi […] l’essere non si situa nella luce di un altro ma si presenta dasé nella manifestazione che deve soltanto annunciarlo […] L’esperienza assoluta non èsvelamento ma rivelazione» (TI, 60-61 [64]).

61 La giustizia è risposta ai bisogni veri dell’altro uomo in quanto Altri: justitia estsecundum ad alterum.

62 Scrive il filosofo: «Questa sporgenza della verità sull’essere e sulla sua idea chenoi suggeriamo con la metafora della “curvatura dello spazio intersoggettivo”, significal’intenzione divina di ogni verità. Questa “curvatura dello spazio” è, forse, la presenzastessa di Dio» (TI, 324 [300]).

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«L’oggettività non è ciò che resta di un utensile o di un cibo, separatidal mondo in cui entra in gioco il loro essere. Essa si pone in un dis-corso, in un intra-ttenimento che propone il mondo. Questa proposizio-ne è tenuta tra due punti che non fanno sistema, cosmo o totalità. L’og-gettività dell’oggetto e il suo significato provengono dal linguaggio»(TI, 97 [95]).

Il significato oggettivo delle cose ha la propria origine al di là del-l’oggettività dell’oggetto, cioè in Altri, indipendente dai movimenti del sog-getto. Altri è interlocutore nella bipolarità della diversità, irriducibile ad unaforma, ad un tema.

4. Il “giusto senso” donato all’ontologia. Dall’etica alla giustizia: il terzo

Il problema della giustizia dell’essere trova la sua genesi nell’esistenzadegli Altri del mio prossimo. Infatti, se ci fossi soltanto io e il mio prossimonon ci sarebbero problemi, in quanto gli dovrei tutto in assoluta gratuità. Diconseguenza, non sarebbe necessaria la tematizzazione e la riflessione, per-ché non ci sarebbe nessuna comparazione e nessun calcolo da effettuare. Maquesta assoluta gratuità viene turbata a partire dall’entrata in scena del “ter-zo”, ovvero degli Altri di Altri o degli Altri prossimi.

Di qui la nascita del problema della giustizia, le cui esigenze implicanotematizzazione, sincronia, oggettivazione, presenza, intenzionalità ecc. – ov-vero, la presenza dell’essere (ontologia), che però ha ricevuto e sempre rice-ve il vero senso dall’etica, ove il non comparabile – il mio prossimo e il pros-simo del prossimo – diventa ora comparabile: è necessaria una sinossi a par-tire dall’altro dell’essere, per cui la “filosofia dell’essere” diviene non una “fi-losofia della violenza”, ma una “filosofia del dono”, in cui la ragione è capa-ce «di fermare la violenza per raggiungere l’ordine [ontologia] della pace»(AE, 33 [22]). Rileviamo che “ci piace” interpretare «l’ordine della pace» co-me l’ontologia rinnovata dalla significazione della donazione originaria. Ilper-Altri è pertanto responsabilità per l’Altro e per il Terzo, è giustizia.

Non una condanna dell’essere, quindi, ma addirittura una rinnovata visio-ne di esso: a partire dalla prossimità etica (relazione sociale non totalizzante)l’essere assume il giusto senso, perché è capito a partire dall’altro dell’essere:

«Il modo di pensare qui proposto non consiste nel misconoscere l’esse-re e neppure nel trattarlo, secondo una pretesa ridicola e sdegnosa, co-

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me cedimento di un ordine o di un disordine superiore. Ma è a partiredalla prossimità che l’essere assume, al contrario, il proprio giusto sen-so» (AE, 19 [21], c.n.).

La donation originelle produce la giustizia perché il volto d’Altri si ri-vela immediatamente «volto unico e in rapporto con dei volti» (AE, 246[198]).

La “logica dell’equivalenza” (reciprocità/giustizia/essere), per essereveramente tale, deve portare in sé la traccia della bontà, ossia la traccia diquell’al-di-là-dell’essenza che permette non un calcolo ideale, dove gli indi-vidui sono strumenti di una collettività che deve funzionare negando l’indivi-dualità, ma un “calcolo” che, pur essendo tale, è investito dal dono dell’alte-rità e ciò permette di investire di bontà gli Altri, il Terzo, ovvero «La giusti-zia inizia con Altri» (EDE, 241 [199], c.n.). In tal modo si eleva la giustiziaal di sopra della semplice delimitazione sospettosa del mio e del tuo (giusti-zia distributiva: uniquique suum) e si orienta in un altro senso, risposta al-l’Altro, verso il Bene dell’Altro e del Terzo (justitia est secundum ad alte-rum), nel quale io sono debitore di tutti.

Se non ci fosse la bontà (l’Uno-per-l’Altro), la giustizia si ridurrebbesempre all’utilitarismo, la cui regola è quella del do ut des (certezza del con-traccambio in forza di un contratto) e dell’uniquique suum, che è il tema del-l’essere come potere e violenza (ingiustizia) e non dell’essere come giustizia.

La relazione con il terzo non fa altro che “tradire” la mia relazione anar-chica con l’Infinito, in una incessante testimonianza della relazione asimme-trica. Essa legittima il servizio responsabile dello Stato e della politica, che sioccupano di regolare i rapporti nel rispetto e nell’accoglienza della dignità ditutti e di ciascuno (bene comune). Li legittima perché trova loro una fonda-zione «pre-etica che impedisce la degenerazione in una mera tecnica dell’e-quilibrio sociale»63. Tutto ciò ha una notevole implicazione per il soggettostesso, in quanto bisogna ammettere che nella molteplicità ci sono anch’io,perché anch’io sono tra gli Altri del mio prossimo: «io sono altri per gli al-tri» (AE, 247 [198]). La giustizia (dimensione ontologica), è “oggettivazio-ne” della mia relazione con l’Alterità, vivendo la responsabilità verso gli al-

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63 A. PEPERZAK, “Introduzione a Altrimenti che essere”, in ECFP, [136].Una politica e uno Stato ispirati dal Bene sono ciò che effettivamente garantiscono

la giustizia (cfr. ibid. [135-136]). Essa nasce a partire dal terzo, ovvero a partire dall’Al-tro in quanto è “multiplo” (Cfr. B. BORSATO, L’alterità come etica, cit., 132).

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tri e verso me stesso, mediante un progetto antropologico all’insegna del do-no-ad-Altri.

5. La metafisica del dono per l’ontologia della pace

Abbiamo rilevato come, secondo Lévinas, la relazione sociale costitui-sce la vera metafisica, perché

«Essa è rivolta all’“altrove”, e all’“altrimenti”, e all’“altro” […] essaappare infatti come un movimento che parte da un mondo che a noi ciè familiare […] da una casa “nostra” e nella quale abitiamo, e va versouna casa “non-nostra” ed estranea, verso un laggiù» (TI, 21 [31]).

L’incontro con l’Altro uomo, assolutamente Altro rispetto a me, annun-cia l’Infinito, annuncia il comandamento etico dell’amore64: «Questo infini-to, più forte dell’omicidio, ci resiste già nel suo volto, è il suo volto, è l’e-spressione originaria, è la prima parola: “non uccidere”» (TI, 217 [204]) equesto perché di fronte all’Altro io scopro il mio potere violento e, allo stes-so tempo, la chiamata al bene che Altri mi rivolge e che è il mio stesso bene.L’espressione del volto non sfida la mia debolezza di potere, ma il mio “po-tere di potere”: «un potere su ciò che sfugge al potere. Ancora potere, dato cheil volto si esprime nel sensibile; ma già impotenza, dato che il volto fa a pez-zi il sensibile» (TI, 216 [203]). La resistenza di ciò che non ha resistenza, èresistenza etica dell’epifania del volto, la cui prima parola è il comandamen-to della vita.

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64 «Volto, al di là del visibile che si offre allo sguardo, al potere della rappresenta-zione che già sfigura altri e non vi ritrova che una forma plastica. Significazione del vol-to, nudità senza difesa, rettitudine di una esposizione alla morte, mortalità e, nello stessotempo, significazione di un comando, un comandamento: “Non ucciderai!”. Obbligo di ri-spondere dell’unico, e per questo di amare: amore al di là di ogni sensibilità, pensiero del-l’unico: Amore di Dio nell’amore del prossimo. Tale significazione etica originaria delvolto significherebbe in questo modo, senza alcuna metafora o figura, in senso rigorosa-mente proprio, la trascendenza di un Dio che non è oggettività, nel volto in cui parla, chenon “prende corpo”, ma che si avvicina esattamente attraverso questo rinvio al prossimo,obbligando gli uomini gli uni verso gli Altri, rispondendo ognuno della vita di tutti» (HN,201-202 [201-202]).

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L’intento prioritario del nostro filosofo non è quello di costruire una nuo-va etica, bensì quello di «cercarne il senso»65, di qui la ricerca ermeneutica alfine di individuare i «principi primi dell’etica»66. L’etica è la filosofia prima checerca, non dei contenuti dogmatici o moralistici, ma le condizioni di possibilitàdell’etica stessa: «L’etica è il campo che designa il paradosso di un infinito inrapporto col finito senza smentirsi in questo rapporto» (AE, 232 [186]).

Il vero “esistere” del soggetto consiste nell’accogliere l’idea dell’Infini-to, ovvero nell’essere incessantemente istruito dalla donazione di Altri, supe-rando il potere del per-sé. Di qui l’affermazione levinassiana sul “pensare ra-zionale”: «pensare significa avere l’idea dell’Infinito o essere istruito. Il pen-siero razionale si riferisce a questo insegnamento» (TI, 223 [209]).

La relazione sociale introduce in me ciò che non era in me e questa azio-ne pone fine alla violenza, instaura la Ragione, che consente il passaggio dal-l’ontologia della violenza all’ontologia della pace, perché alla Ragione «si at-tribuisce la virtù di fermare la violenza per raggiungere l’ordine della pace»(AE, 33 [22]). L’insegnamento della donazione originaria è «elezione da par-te del Bene che, per l’appunto, non è azione, ma la non-violenza stessa»(HAH, 77 [120]), «non-violenza per eccellenza», che libera la mia libertà fi-nita instaurandola in responsabilità infinita:

«Il volto in cui si presenta l’Altro – assolutamente altro – non nega il Me-desimo, non gli fa violenza come l’opinione o l’autorità o il sovrannatura-le taumaturgico. Resta a misura di chi accoglie, resta terrestre. Questa pre-sentazione è la non-violenza per eccellenza, infatti invece di ledere la mialibertà la chiama alla responsabilità e la instaura. Non-violenza, mantie-ne però la pluralità del Medesimo e dell’Altro. È pace» (TI, 220 [206]).

La pace è accoglienza della diversità dell’Altro (dono gratuito) che miri-crea, per una comunità generata al donarsi, poiché Altri non fa altro chedonarsi a me per primo e, allo stesso tempo, Altri mi ordina di servirlo: «dia-conia prima di ogni dialogo» (EI, 94 [111]) e il donare si identifica piena-mente con lo «spirito umano» (EI, 93 [110]). La donazione ad Altri della dia-

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65 «Il mio compito non consiste nel costruire un’etica; tento soltanto di cercarne ilsenso […] Si può senza dubbio costruire un’etica in funzione di ciò che ho detto, ma nonè questo il mio tema specifico» (EI, 85 [105]).

66 G. MURA, “La ‘provocazione’ etica di Emmanuel Lévinas”, introduzione all’e-dizione italiana di EI, [5-6]).

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conia esprime il senso vero dell’Infinito, testimonianza (traccia, gloria) del-l’Infinito67, il disinteressamento dell’eccomi:

«Accusativo meraviglioso: eccomi sotto il vostro sguardo, obbligato,vostro servitore […]. Il discorso religioso preliminare ad ogni discorsoreligioso non è il dialogo. È l'eccomi detto al prossimo a cui sono con-segnato e in cui si annuncia la pace, cioè la mia responsabilità per altri»(DVI, 98 [123]).

Tutto ciò non significa rinunciare alla propria diversità, bensì si tratta diuna chiamata ad arricchirsi della diversità dell’Altro. La pace è l’unità dellediversità, l’unità della pluralità:

«L’unità della pluralità è la pace e non la coerenza di elementi che costi-tuiscono la pluralità. La pace non può quindi identificarsi con la fine deicombattimenti che cessano per mancanza di combattenti, per la sconfittadegli uni e la vittoria degli Altri, cioè con i cimiteri e gli imperi universa-li futuri. La pace deve essere la mia pace, in una relazione che parte daun io e va verso l’Altro, nel desiderio e nella bontà in cui l’io contempo-raneamente si mantiene ed esiste senza egoismo» (TI, 342 [314]).

Altri fa irruzione, appare al soggetto nella prossimità etica che permet-te il dischiudersi del senso nel compimento dell’umanità del soggetto stesso,che esce dalla chiusura egoistico-centrica, dalla cecità e dalla sordità nei con-fronti dell’Altro uomo, poiché «l’umano è la possibilità di essere-per-l’altro»(HN, 145 [143]). Di qui la conclusione che «la pace con l’altro è prima di tut-to mio affare. La non-indifferenza, il dire, la responsabilità, l’approssimarsi,è la liberazione dell’unico responsabile – di me» (AE, 217 [174]).

Per Lévinas la relazione sociale fondata sulla donazione è la sola chepuò assicurare un futuro di pace, poiché essa si offre al soggetto prima dellasua stessa libertà, o meglio instaura la libertà, perché noi siamo com-pro-mes-si con il Bene prima che esso venga scelto; com-pro-missione nella “passivi-tà” dell’accogliere e del donare68.

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67 Cfr. DVI, 98 [122].68 Lévinas non ha affatto «la certezza» che la donation originelle «possa trionfare»,

poiché «vi possono essere periodi in cui l’umano si estingue completamente» (EN, 124[148-149]).

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La com-pro-missione con il Bene (Altri), però, si vive esclusivamentenella «fede del faccia a faccia»69, che costituisce la risposta in cui è inscrittala promessa del Bene tanto per il singolo quanto per la comunità; promessagià testimoniata da coloro che ci hanno preceduto, che hanno amato fino amorire per-l’altro. La fede è la struttura originaria della coscienza morale, co-incidente con la relazione sociale; quest’ultima mostra come è superficiale edinopportuna ogni opposizione tra fede e ragione. La fede nell’Altro, promes-sa di bene per il soggetto e la comunità, genera un sapere non violento, un sa-pere che “non uccide”, ma genera la vita: è questa, per Lévinas, la sapienzadell’Amore.

Il soggetto responsabile vive pienamente la sua umanità grazie alla rela-zione sociale, per cui si passa dall’“autonomia totalizzante” all’autonomia re-lazionale del soggetto, che per il dono dell’alterità dell’Altro si trascende,compie quell’esodo di liberazione dalla schiavitù nell’inter-ess-amento delper-sé, alla responsabilità della “sostituzione” all’Altro (diaconia/dono): «Tra-scendersi, uscire da casa propria al punto di uscire da sé, è sostituirsi all’altro:[…] espiare per l’altro» (AE, 279 [225], c.n.). L’essere è così ricreato come“luogo” della Donazione e della Vita per l’Altro e per il Soggetto stesso.

La relazione Soggetto-Altro costituisce il centro/vertice per il dono delsenso alla dimensione ontica e per la moralità della persona; in questo modo ilsoggetto è radicalmente salvato (HAH, 97 [150]) dall’alterità dell’Altro, e nondall’essere. Di fatto è proposto un “nuovo orizzonte di senso”, in una ri-nnova-ta circolarità ermeneutica Soggetto-Altro, per cui il Nostro parla di una «Sinn-gebung etica» (» (EDE, 188 [154]), ovvero Sinngebung relazionale: essa si“produce” solo nella relazione sociale, luogo dell’accoglienza e del rispetto del-l’Altro. In Lévinas l’idea dell’Infinito, ovvero l’Alterità relazionale (Trascen-denza) – rivelantesi nella relazione etica –, rappresenta la donazione di senso,la significazione e quindi la direzione vera cui tende tutto l’agire dell’uomo, unagire che è promessa di realizzazione personale anche per il Soggetto, promes-sa di realizzazione vera per l’intera comunità. Per questi motivi Ph. Nemo af-ferma che «Emmanuel Lévinas è il filosofo dell’etica, senza dubbio il solo mo-ralista del pensiero contemporaneo»70. La «vera essenza dell’uomo» è signifi-

La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 409

69 E. LÉVINAS, G. MARCEL, P. RICŒUR, Il pensiero dell’altro, cit., 65.70 PH. NEMO, Premessa al dialogo, in EI, 7 [41]. Così scrive G. Mura, esperto del pensiero di Lévinas: «Lévinas è considerato oggi

come uno dei più grandi, forse il solo, moralista del secolo, non perché abbia elaboratouna qualche filosofia morale, ma perché ha evidenziato quelli che si potrebbero chiamare

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cata dal ri-conoscimento dell’alterità dell’Altro, farlo vivere come Altro da me– attualizzazione della creatio ex nihilo –, realizzando una opzione per la Vita,“infinitamente diversa dalla violenza” del mio egocentrico narcisismo, che ne-ga l’esistenza dell’Altro. Il vero senso donato all’uomo nella donation originel-le della relazione sociale è produrre la verità dell’Altro71, con la responsabilitàinfinita, nel donare la Vita all’essere, in una parola, Pace.

Conclusione

Il pensiero di Lévinas fa emergere che la donazione originariia di Altri eil dono di sé ad Altri, in quanto promessa di realizzazione piena per il soggettoe per la comunità, costituisce la struttura originaria della persona: l’uomo è do-nazione, e in quanto donazione originaria è persona. Lui solo prende consape-volezza, nella relazione etica, di essere tale donazione, poiché capace di coglie-re la significazione di Altri e di Sé, per poi donare il senso all’essere

Riteniamo di poter dire che la coscienza non inventa il Bene e neppure loritrova nei dati, ma lo riceve in dono dall’Altro, nella relazione etica, in cui lavita meta-fisica dischiude il senso della vita e “crea” la coscienza. Il dono delsenso, viene altresì testimoniato nella stessa comunità umana e passa continua-mente dall’Uno all’Altro, rinnovandosi e arricchendosi: il senso del dono e ildono del senso è tradizione, che per noi cristiani si arricchisce con la pienezzadel dono del Cristo, il quale si è “svuotato” (ksnwsij) per la vita di Altri72.

Accogliendo la proposta levinassiana, siamo ora maggiormente convin-ti del fatto che soprattutto la Teologia Morale debba imparare continuamentea ripartire dal contesto relazionale in cui si rivela il discorso del per-Altri, ov-

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i «principi primi» dell’etica, i principi che rendono etica ogni etica, che sono propri, inmodo categorico, dell’etica in quanto tale» (G. MURA, “La ‘provocazione’ etica di Em-manuel Lévinas”, Introduzione all’edizione italiana di EI, [33-34], ivi [5-6]).

71 Cfr. TI, 324 [299].72 «Il dare [nel senso di donare] si situa, dunque, non solo al livello creazionale del-

l’essere e dell’esistere, ma costituisce anche l’anima dell’evento salvifico della croce. Do-po la radicale donazione di sé, fatta da Cristo sulla croce, ogni dare cristiano diventa unaproiezione storica del passaggio pasquale del Figlio di Dio nella sua umanità mortale.Comprendendo la risposta la risposta del Padre al dono del Figlio, la Pasqua di Gesù ècompleta con la risurrezione e con il dono definitivo dello Spirito» (A. WODKA, “L'obla-tività neotestamentaria e il discorso etico-morale. II: il dono del dare (2 Cor 8-9)”, StudiaMoralia, 37(1999)5-33, ivi 31, c.n.

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vero del dono di sé fino allo “svuotamento”. Purtroppo, la Teologia Morale,nei secoli, è stata intaccata – e forse lo è ancora – da elementi di un intellet-tualismo disincarnato, che hanno portato alla proposta di un soggetto separa-to e solipsistico e ad una impostazione fortemente deduttiva e poco induttivadella morale. Il sapere autentico, in cui s’inscrive anche il “sapere” della Teo-logia Morale, riconosce il suo debito alla relazione etica, che produce la ve-rità per la Vita, verità che può essere vissuta. Così scrive G. Angelini:

«La stessa idea di verità nella sua accezione più radicale rimanda alla fi-gura del senso, della proporzione dunque del reale con il desiderio di vi-vere che è costitutivo dell’uomo. Sicché verità per eccellenza è soltan-to quella della quale appunto l’uomo può vivere»73.

Ci pare di poter interpretare la con-pro-missione con il Bene, che pro-viene da un passato anarchico, come la promessa della Vita umanamente rea-lizzata (vita buona), che ci giunge attraverso la relazione etica fondata sullafede del faccia-a-faccia, in quanto essa non si fonda su teorie scientifiche, an-che se tiene conto di quanto afferma la scienza; anzi, ribadiamo che i datiscientifici ri-cevono il senso anche dalla precomprensione antropologica. Ilbene per la persona, in tutte le fasi della sua esistenza (dal concepimento allamorte), in cui riconosciamo l’appello alla vita piena, personale, è sempre “be-ne creduto” ed in quanto creduto può dirsi veramente “Il Bene per l’embrio-ne umano”. Esso è al di là del piano ontico, e proprio perché “ho fede” in es-so, io vivo la responsabilità-per-l’Altro e non il contrario; cioè, non cerco co-noscenze scientifiche per decidere in favore della vita dell’altro, scelgo il suofuturo, che si annuncia nella relazione etica. La coscienza morale, in quantofede del faccia a faccia è dunque coscienza credente, che muove la responsa-bilità del soggetto verso l’Altro con i gesti più grandi di accoglienza voluti perfede, perché «volere si può soltanto a prezzo di riconoscere nell’atto stesso lavia promettente che sola consentirà a me di trovarmi»74.

Il linguaggio del dono, come risposta ad Altri, dischiude la prospettivadel sensato nella e per la comunità. Questo perché

«La funzione originale della parola non sta nel designare un oggetto al-lo scopo di comunicare con altri, in un gioco di nessuna importanza, ma

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73 G. ANGELINI, Teologia Morale fondamentale, Milano: Glossa, 1999, 569.74 G. ANGELINI, Teologia Morale fondamentale, cit., 569.

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nell’assumere per qualcuno una responsabilità presso qualcuno. Parlarevuol dire impegnare gl’interessi degli uomini. Essenza del linguaggiosarebbe la responsabilità» (QLT, 46 [51].).

La Trascendenza, che noi riconosciamo nella persona, esprime le carat-teristiche del soggetto autonomo-relazionato, che si pone nella prospettivaeterocentrico-oblativa; tale riconoscimento impone che la persona (dal conce-pimento alla morte) non sia considerata puro “oggetto”, puro e semplice ma-teriale biologico (come l’embrione) da sfruttare per benefici personali o digruppo, ma lasciato “essere” nella sua diversità. La Trascendenza, riconosciu-ta in seno all’opzione antropologica – che ha in sé l’opzione di fede –, indica,pertanto, non una «sostanza al di là del mondo»75, ma il primo gesto etico perla giustizia che dona la Vita.

Elenco delle opere di Lévinas in italianocitate con relative abbreviazioni

AE Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Paris: Kluwer Academic,1996 (1974) [Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano: Ja-ca Book, 1983].

DL Difficile liberté. Essais sur le judaïsme, Paris: Albin Michel, 1995(1963); second édition revue 1976)[Difficile libertà. Saggi sul giudai-smo, Milano: Jaca Book, 2004].

DMT Dieu, la mort et le temps, Paris: Grasset, 1995 (1993) [Dio, la mortee il tempo, Milano: Jaca Book, 1996].

DVI De Dieu qui vient à l’idée, Paris: Vrin, 1992 (1982); seconde éditionrevue et augmenteé, 1986 [Di Dio che viene all’idea (conforme allaprima edizione): Milano: Jaca Book, 1986].

EDE En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Paris: Vrin,1984 (1949) [Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Milano:Raffaello Cortina editore, 1998].

ECFP Etique comme philosophie premiére, Paris: Payot & Rivages, 1998(1982 [Etica come filosofia Prima, in Lévinas E. –PEPERZAK A., Eti-ca come filosofia prima, Milano, Guerini e Associati, 1989, 47-59].

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75 G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas, cit., 145.

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EI Étique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Paris: Librairie Ar-thème Fayard et Radio-France, 1984 (19821)» [Etica e Infinito. Dia-loghi con Philppe Nemo, Roma: Città Nuova, 1984].

EN Entre nous. Essais sur le penser-à-l’autre, Paris: Grasset, 1993 (1991)[Tra noi. Saggio sul pensare all’altro, Milano: Jaca Book Melangolo,1998].

HAH Humanisme de l’autre homme, Montpellier: Fata Morgana, 1994(1972) [Umanesimo dell’altro uomo, Genova: Il melangolo, 1985].

HN A l’heure des nations, Paris: Minuit, 1988 [Nell’ora delle Nazioni,Milano: Jaca Book, 2000].

HS Hors sujet, Montpellier: Fata Morgana, 19941 [Fuori dal soggetto,Genova: Marietti, 1992].

NP Noms propres, Montpellier: Fata Morgana, 1987 (19751); [Nomi pro-pri, Casale Monferrato: Marietti, 1984].

QLT Quatre lectures talmudiques, Paris: Les éditions de Minuit, 1968[Quattro letture talmudiche, Genova: Il melangolo, 2000].

TI Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Paris: Kluwer Academic,1990 (1961) [Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano: JacaBook, 1990].

TRI Transcendance et intelligibilité. Suivi d’un entretien, Genevre: Laboret Fides, 1996 (1984) [Trascendenza e intelligibilità, Genova: Mariet-ti, 1984].

VI Il volto infinito. Dialoghi (1992-1993).

A cura di A. Biancofiore, Bari: Palomar, 1999

THE METAPHYSICS OF GIFT IN THE THOUGHT OF E. LÉVINAS

By Giampaolo Manca

The thought of Lévinas is drawing the attention of many scholars of ourtime. Even our Review has devoted various articles to the same. Thepresent study is authored by a scholar of ethics and moral theology. Itis certainly important that a moralist should verify the validity of aphilosophy which above all else is proposed as a study in Ethics. In a

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coming article he will do just this as he confronts the thought ofLévinas with those problems debated today regarding bio-ethics. In thepresent article the author masterfully expounds on the basis of Lévinas’thought regarding original donation and the metaphysics of donation,which forms the title of a recent publication.

414 Giampaolo Manca

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ROBERTO A.M. BERTACCHINI SAPCR 21 (2006) 415-429

Le XXI “spade” della via MariaeUna rilettura inedita del suo itinerario spiritualedall’infanzia alla croce

di ROBERTO A. M. BERTACCHINI

Seconda parte dell’articolo pubblicato in SapCr XXI (2006), 291-312.

La vita di Nazareth

Qui è la «colomba» nascosta nella roccia, di cui parla il Cantico deicantici.1 A Nazareth Maria vive costantemente con Gesù, in intimità col Ver-bo di Dio (XIII asse della sua via). E c’è un salto di qualità rispetto alla cor-rente comprensione della vita cristiana. Non si tratta di pregare un’ora al gior-no, e neppure sei o sette. È qualcosa di totalmente diverso. Paolo ne accennaquando dice: pregate incessantemente.2 Nei primi secoli del monachesimo vifurono gli acemeti, il cui ideale era quello di rinunciare anche al sonno, pur dinon interrompere la preghiera. Ma gli acemeti forse non avevano capito pro-prio al 100%, perché il salmista dice: anche nel sonno il mio cuore mi istrui-sce.3 Gesù qualche volta pregava anche di notte, altre si alzava prestissimoper pregare; ma normalmente dormiva anche lui. E altrettanto Maria. Tuttaviaanche quando lei dormiva, Gesù le dormiva a poca distanza, sotto lo stessotetto. Mt 18, 20 dice: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in

Pastorale e Spiritualità 415

1 Cfr CT 2,14. Dal punto di vista della via Mariae Nazareth è importante per al-cuni tratti che emergono da Luca, e anche per qualche altro del tutto plausibile derivabi-le da qualche mistica, ecc.

2 1Tess 5, 17.3 «Invano vi alzate di buon mattino,/ tardi andate a riposare/ e mangiate pane di su-

dore:/ il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» [Ψ 127, 2]; «anche di notte il mio cuo-re mi istruisce» [Ψ 16,7]. Alla lettera sarebbe durante le notti i miei reni mi hanno cor-retto: ciò che si può intendere anche in senso metaforico. Infatti i reni purificano, e le pu-rificazioni spirituali avvengono nelle notti interiori, dove si operano le separazioni dallescorie degli affetti e dei giudizi disordinati.

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mezzo a essi». Ciò significa che vivere insieme a Gesù, in intimità con Gesù,è possibile anche oggi, sotto opportune condizioni. Ma per ora non entro nelmerito di cosa significhi essere riuniti nel nome di Gesù, che è cosa un po’ di-versa da come talvolta s’intende.

Questa intimità ha due note di fondo, senza le quali non si comprende-rebbe la comunione spirituale dell’anima col suo Dio. La prima è la tenerezza.Quella di una mamma verso il suo piccolo sembra scontata. Invece nella vitaspirituale nulla è ovvio. E, soprattutto, non è scontato trattare Dio con delica-tezza e con tenerezza. Baciare Gesù era facile, baciarne l’anima molto meno.Ed è qui la delicatezza e il tatto della Vergine, che quando a Gesù lava i piedi-ni è consapevole che sta adorando il Verbo di Dio, annichilitosi in un bimbetto.La seconda nota è che Maria si fa cibo di Dio. Lo fa durante la gestazione, dan-do a Gesù il proprio sangue; lo fa poi allattandolo; e lo continuerà a fare in Egit-to digiunando per dare a Gesù il necessario. Non si può far crescere Dio in noie in mezzo a noi, senza sacrifici e senza tenerezza e delicatezza. Dio tratta Abra-mo da amico, perché ne vede la maturità umana e la solidità di cuore e di pen-siero. E altrettanto troviamo in Maria, dove l’ossequio verso il Signore si fondenel calore di un affetto delicato e sempre rispettoso.

Questo asse della via Mariae,4 bisogna ammettere che anche nei santilo si ritrova a fatica, almeno come chiara trasparenza mariana.5 Forse in Ma-dre Teresa, che in effetti era spinta a trattare i poveri con un affetto orientatodalla consapevolezza della presenza in loro di Gesù, e anche dalla sensibilitàche partecipa della sofferenza dell’altro, sentendola in sé, e rispondendo con-solando. Probabilmente in Cusmano, che ben comprese la differenza tra be-neficenza e carità cristiana: se il povero non è accolto nella Chiesa come inuna famiglia, e col calore della famiglia, non ci siamo proprio. E per questoegli arrivava a praticare e chiedere un eroismo che era vero ossequio, perchéai poveri si dava un trattamento migliore che a se stessi. Macrina fu un’altragrande, ma visse nel sec. IV, e il popolo cristiano per lo più oggi neppure nericorda il nome.

4 È ancora il primo: quello della douleia sacra, che ora si precisa nel modo.5 Ciò dipende infatti molto dalla cultura. Il Dizionario Enciclopedico di Spirituali-

tà (E. ANCILLI ed.), omette la voce ossequio, ritenendo dunque il concetto marginale. Ne-gli scritti di Loyola il senso dell’ossequio è molto forte, così anche l’invito a una preghieraintima e affettiva. Tuttavia il riferimento a un archetipo mariano non è evidente. Inversa-mente in una spiritualità fortemente mariana, come quella della Lubich, ricorre il temadella volontà di Dio, ma non l’ossequio come asse ascetico.

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Per i dodici anni di Gesù,6 la famigliola sale al Tempio con particolaregioia e solennità: Gesù diverrà maggiorenne e gli saranno riconosciuti i dirit-ti e doveri di un israelita adulto. Tra essi anche quello della emancipazione,ossia del non dover render conto ai genitori delle sue azioni. È per questo cheresterà nel Tempio a loro insaputa. Ma quando Maria si accorge di averlo per-so, per lei è un colpo: è la dodicesima spada. Spiegare in cosa consista non ètanto semplice, perché in quel momento Maria fu presa da molte emozioni epensieri. Ci fu l’ansia della mamma che non sa dov’è suo figlio, e non le sem-bra una cosa normale. Dunque si interroga: perché? Ho fatto qualcosa che nondovevo? C’è la moglie che vede il marito preoccupato. Infine c’è la «Sposa»cui viene a mancare lo «Sposo». Ed è propriamente questa la spada: Dio sisottrae all’intimità con l’anima, senza preavviso e senza apparente motivo. Ein un attimo l’anima passa dalla pienezza all’esser vuota, svuotata del suo Te-soro. È un buco tanto più terribile quanto maggiore sia la precedente autoco-municazione divina, la precedente intimità.

La risposta di Maria a questa spada è complessa: per prima cosa tornaindietro. Non è Dio che deve andare da lei, ma lei da Dio. Così si spoglia delsuo essere mamma, ossia propriamente della sua autorità materna. Era statanecessaria per far crescere Gesù, ma adesso vi è una discontinuità, e Marial’accetta. È un momento di buio e di confusione, cui accenna anche il Vatica-no II nella parte finale della Lumen gentium, parlando di peregrinatio fidei (n.58). «Perché Gesù non mi ha detto?»: questo tormento si fa esame di co-scienza, alla ricerca inutile – e ancor più dolorosa – di qualche sbaglio (noncerto di Gesù). E così è costretta a rivivere più penosamente la propria inade-guatezza. Non avrebbe mai voluto separarsi da quel Figlio, ma comprendeche quella sarebbe stata solo la prima di molte altre e più dolorose separazio-ni. Forse già intuisce, nella sua lungimiranza, che nella sua missione non po-trà seguire il messia. Madre e poi, in un certo senso, messa da parte, come ser-va inutile. E Maria di nuovo scende: sono una serva inutile. Uno spasimo. Maquando Gesù insegnerà ai suoi discepoli: dopo aver fatto tutto questo, dite:«Siamo solo servi inutili»,7 pensava alla sua mamma, e indicava la via perimitarla.

Le XXI “spade” della via Mariae 417

6 Secondo la Valtorta, Hillel riconobbe in Gesù il messia. È dunque plausibile chesi fosse realizzata da poco la profezia della soppressione del regno di Giuda. Dato che es-sa avvenne nel 6 d.C., fu probabilmente poco dopo quell’evento che Gesù si rivelò ai dot-tori del Tempio, e comunque prima della morte di Hillel (10 d.C.).

7 Lc 17, 10.

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L’assenza di Gesù – ossia un’assenza non preavvisata – è per Maria ladegradazione da madre di Dio a moglie di Giuseppe. E Maria ingoia e scen-de, scende senza fermarsi fino all’abisso. E si sente indegna anche di esseremoglie. Ritiene giusto tutto, il ripudio del Figlio, ed anche quello eventualedel marito.8 Serva inutile… e giustamente messa da parte. Don Milani vissequalcosa di simile, per quasi tutta la vita. De Lubac, gesuita, si trovò più o me-no in questa situazione: il superiore della comunità gli ordinava di andare inun’altra, distante molte ore di viaggio. E, arrivato lì, gli si ordinava di torna-re indietro. Visse su un treno per oltre un mese. A Padre Pio per anni fu proi-bito avere contatti con le persone… Messi da parte. Servi inutili. E Maria co-me risponde? Accettando pienamente la «degradazione» a moglie: «Tuo pa-dre e io, angosciati, ti cercavamo…».9 S. Paolo, dopo aver ricevuto la visio-ne che gli cambierà la vita, torna a Tarso a fare il suo mestiere, e vi resteràsinché Barnaba non si ricorderà di lui e se lo andrà a prendere.10 Per chi viveal centro del Vortice divino, esser messo da parte è un colpo tanto più pro-fondo quanto più intensa sia la fusione in Dio. Sentirsi ripudiati da Dio è sem-plicemente terribile. Ma è in quest’inferno che l’anima matura alla virtù del-la soavità. E questo (XIV) è l’asse più noto della spiritualità mariana, ancor-ché talvolta non ben compreso.

Quella di Maria è infatti una soavità radicale, che si sviluppa a partire dauna piallatura radicale: resa perfetta dalle cose che patì.11 Non si può com-prendere il senso della piallatura, se non si scende nella vergogna che l’animaprova.12 Chi non conosce il disonore non può capire. Ma anche chi lo conosce,

8 Secondo Hillel, si poteva essere ripudiate per molto meno, anche solo per aver cu-cinato male… Cfr R. PENNA, L’ ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bolo-gna 1991, p. 42.

9 Lc 2, 48.10 Cfr Atti 9, 30; 11, 25.11 Cfr Ebr 5, 8s.12 La vergogna è il muro di separazione più tremendo. Gesù in croce vive una ver-

gogna cosmica. Il Padre che non lo riconosce e che ratifica il giudizio dei sacerdoti, è un«padre» che ripudia il figlio. E Gesù-ripudiato è un Gesù ricoperto della vergogna del ri-pudio. Ne segue che nel grido di abbandono Gesù manifesta la propria vergogna. Vergo-gna di figlio ripudiato; vergogna di uomo disonorato; vergogna di israelita scomunicato;vergogna di messia fallito; vergogna di Dio dedivinizzato. Non c’è vergogna umana chepossa paragonarsi alla sua. Persino il santo che improvvisamente si ritrova peccatore, per-ché misteriosamente Dio gli sottrae la sua Grazia, e che dall’abisso della vergogna conti-nua a lodare e a benedire Dio, non prova che in modo infinitamente pallido la vergogna

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solo alla lontana comprende cosa significhi sentirsi disonorati da Dio. La vitadiventa un deserto, senza nessuna attrattiva. Tutto è amaro, anche la lode uma-na, che si accoglie con sobrietà per non esser scortesi, ma che dentro suona ir-ridente, inutile, vuota. Il Ripudio divino è la Grande Medicina che trasforma l’a-nima docile in sacramento stabile dello Spirito Santo. Maria fu sempre tale sa-cramento ma, come Gesù, anche lei cresceva in età sapienza e grazia.13 Luca,sobrio nella sua narrazione, ci lascia una traccia del cataclisma che segnò l’ani-ma della Vergine. Infatti dice che Gesù restò loro sottomesso.14 Nella stessa vi-ta dei santi è raro trovare qualcosa del genere. Una delle poche eccezioni po-trebbe essere (forse) Padre Pio. La soavità di Maria prima e dopo la maggioreetà di Gesù sembra la stessa, ma non è più la stessa; e infatti Luca annota: ser-bava tutte queste cose nel suo cuore.15 Maria stava diventando in modo semprepiù profondo sacramento del Padre, che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugliingiusti.16 Quando Dio si sottrae in modo violento all’anima, è per renderla quelsole che egli è,17 nella notte infinita del peccato. Ecco perché la soavità non èpiù la stessa. Perché si è inserita una distanza radicale tra l’anima e il mondo.S. Agostino in una pagina accenna alla sua solitudine di Vescovo, pur circon-dato da tanti amici e da una comunità che lo amava. Eppure avverte che ben po-chi riescono a scendere nell’intimo del suo cuore. La sottomissione di Gesù èdunque la risposta all’oblazione perfetta di Maria.

di Gesù. Occorre entrare nel mistero della vergogna di Dio, per comprenderne non solo enon tanto la piccolezza, quanto l’infinità dell’Amore. Per comprendere la via cristiana e ilrapporto fra via, verità e vita. Tutto è infatti chiuso nel sigillo della vergogna. Il sigillo bat-tesimale, come il sigillo apocalittico non è altro che la vergogna (oggi ne abbiamo persoun po’ il senso, ma è possibile risalirvi attraverso due tracce: la teologia della discesa agliinferi e la storiografia della Chiesa antica: emblematico è ad es. il «duello» tra Ambrogioe la Chiesa di Milano che lo vuole Vescovo). Solo chi vive in modo immacolato la ver-gogna, ossia senza giudizio e senza ribellione, grato a Dio della condivisione intima deldestino dei più disgraziati che gli viene concessa, e per i quali sente sgorgare spontaneoun affetto profondo e senza alterità, solo questi ha realmente fatto propria la via cristiana.Questi vive realmente la pasqua, il passaggio dalla regione della dissimilitudine al para-diso della somiglianza. Perché è la vergogna che blocca l’affetto e crea alterità. È la con-divisione della vergogna che ristabilisce l’affetto e la Comunione. Maria fu completa-mente avvolta dalla vergogna del Figlio.

13 Lc 2, 52.14 Lc 2, 51a.15 Lc 2, 51b.16 Cfr Mt 5, 45.17 Cfr Mt 13, 43.

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A Nazareth Gesù lavorò con Giuseppe,18 fino alla morte di questi, chesi immagina avvenuta quando Gesù era adulto, nella pienezza della sua forzafisica. Per Maria fu un dolore, come lo è sempre il distacco da una personacara. Ma insieme a esso vi fu la doppia consolazione di saperlo nel seno diAbramo,19 e che gli fossero risparmiate le sofferenze connesse alle successi-ve vicende messianiche. Dopo la morte di Giuseppe, Gesù divenne formal-mente capofamiglia; tuttavia nelle attese dei compaesani Maria conservò sulFiglio un ascendente, che divenne per lei la tredicesima spada. Gesù era or-mai in età di sposarsi, tutti vedevano che era bravo nel lavoro, onesto, pio. Sa-rebbe stato un buon marito… Di fatto andò più o meno così: qualche ebreache gli aveva messo gli occhi addosso lo fece capire alla madre, e qualche pa-dre non ebbe bisogno di imbeccate. Così Gesù era invitato alle feste dove sa-rebbe stato possibile scambiare qualche parola con la figlia. Qualche volta an-dò per cortesia, ma la cosa non ebbe seguito. Qualche volta declinò l’invito.Questo comportamento lasciava perplessi, e iniziarono le pressioni su Maria.

In questi casi è facile opporre un rifiuto, se esiste qualche altra candi-data che sia preferita. Ma questo non era il caso e, per non offendere le «pre-tendenti», alla fine fu necessario lasciar trasparire la verità: Gesù non avevaalcuna intenzione di sposarsi. E a quel punto le pressioni su Maria cambiaro-no registro: tuo figlio è tanto religioso, ma la legge e i rabbini invitano tutti asposarsi. Devi fargli capire che sta sbagliando, sei sua madre, alla fine… Ilconsenso sociale si coagula contro Gesù, e Maria non riesce a fare breccia persgretolarlo. Non può. Se lo facesse dovrebbe mettere i nazareni gli uni controgli altri, produrre divisione, creare inimicizie. E Maria non ci pensa proprio.Invece comprende che quel dissenso sociale si ripeterà durante la missionepubblica. L’accusa di essere una madre debole e troppo accondiscendente època cosa rispetto ai giudizi che sente serpeggiare, e che saranno quelli cheritroveremo accentuati durante la predicazione. Non dicono ancora che Gesùè un demonio, ma che è un tipo strano sì, che è senza criterio, sì.

Loro non sanno che stanno giudicando il Verbo di Dio, ma Maria lo sa.Perciò percepisce con chiarezza l’oggettività del peccato e la sua gravità; evede benissimo che vi sono due mentalità destinate a scontrarsi: quella di Dio,e quella del «buon senso» umano, per non dir peggio. Il miracolo farà brec-

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18 Non abbiamo fonti che parlano della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Al mas-simo si trova qualcosa nelle visioni di qualche mistica (belle alcune pagine della Valtor-ta). La parte che segue è dunque particolarmente una ricostruzione senza pretese storiche.

19 Cfr Lc 16, 22.

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cia nelle persone semplici, di buon cuore. Ma né il miracolo né la predicazio-ne potranno scalfire la mentalità mondana, nella sua forma più radicale e pa-tologica. Ecco il senso della spada, che si coglie solo alla luce della lungimi-ranza della Vergine. Tutto quello che riesce a fare è di trattenere dalla parte diGesù una parte della parentela più stretta (ma non i capifamiglia). E lo faorientando chi poté alla conoscenza della spiritualità essena, o forse anche al-la sequela del Battista, appena ebbe notizia dell’inizio della sua predicazione.Coloro che si avvicinarono a questa forma di religiosità ebraica non ebberobisogno di lunghi discorsi per comprendere l’atteggiamento di Gesù: vedeva-no infatti che a Qumran in molti erano celibi, o che lo era il Battista e qual-che suo seguace. Dove vede che c’è ascolto, Maria si limita a raccontare qual-cosa della propria esperienza al Tempio, e degli insegnamenti ricevuti, dei lo-ro effetti sulla sua anima. In questo modo chi ne raccoglie le parole resta li-bero, e decide secondo coscienza.

Ma, tra i pretendenti, vi era anche qualche buon partito, che aveva cre-duto bene incentivare Gesù dandogli lavoro, e pagandolo con generosità. E,in queste cose, lo smacco brucia e sovente si tramuta in atteggiamenti contra-ri. Il lavoro divenne più scarso, e alla fine Gesù dovette accettare qualchecommissione che lo tratteneva anche a lungo lontano da Nazareth. Così, inquei frangenti, alla lontananza di quel Figlio si sommavano nel cuore di Ma-ria le querele dei delusi: eh, se si fosse sposato adesso avrebbe questo e que-st’altro, e non doveva certo lasciarti sola… Una vera tortura, a cui ella ri-spondeva con la soavità del silenzio. E questo è un altro asse (XV) della viaMariae.20 Notiamo, infatti, che il silenzio ha molte forme. Può essere duro,severo, addolorato, o anche soave. Maria ingoia amaro e tace dolce. E lo puòfare, perché pensa: hanno ragione. Tuttavia nel riconoscere le ragioni di chiaccusa suo Figlio, mai si schiera dalla loro parte fino a mettersi contro Gesù:pensa che hanno ragione, ma non lo dice. Dicendolo li avrebbe confermatinella loro prospettiva parziale, e non può. Dà loro ragione nel proprio intimoper difenderli e intercedere per loro, come aveva fatto con Giuseppe; ma taceper difendere Gesù senza doverli attaccare. E così vive l’impotenza di Dio da-vanti al peccato. Ossia la pazienza di Dio Padre. Una pazienza che è assolu-ta, proprio perché assoluta la riprovazione sociale: i capi sono tutti contro di

Le XXI “spade” della via Mariae 421

20 Maria incassa, restando soave ai figli. La sua maternità non è solo soavità, maanche franchezza che ammonisce, incoraggiamento, consolazione, ecc. Ma dal punto divista ascetico l’elemento primo è l’accoglienza eroica dello sgradevole, che farà di lei lamadre dei peccatori.

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lei. E saranno tutti contro Gesù, durante la sua missione.21 Non per caso è an-cora Luca che ci narra della chiusura di Nazareth, che poi si propagò anchealtrove, probabilmente attraverso la rete farisaica.

Dal punto di vista della via Mariae, anche tutto questo pesa, perché laVergine fu la prima a comprendere come stavano le cose, e ben si guardò dal-l’impancarsi in una funzione non sua: piuttosto sta un passo indietro. Mariaspesso comprende che nell’occhio altrui vi è qualche bruscolo, ma per primacosa pensa: Gesù ci vede meglio di me. E dunque non prende iniziative, ma cer-ca di rafforzare l’azione di Gesù, o di portare le persone a contatto con lui. Da-re un nome a questo atteggiamento spirituale non è facile: è certamente seque-la; è cristocentrismo; è anche equilibrio, che procede da una corretta compren-sione della propria missione in rapporto a quelle altrui. E come Maria non pre-varica Gesù, similmente non prevaricherà Pietro, né Giovanni o altri. Si po-trebbe quasi dire che Maria è maestra nello star ferma. È un paradosso, come sivede dalla visita a Elisabetta, dalla fuga in Egitto, ecc. Ma è la sua anima chespontaneamente è inclinata a ritirarsi, a far spazio, al passo indietro. E questo lovedremo meglio appresso, considerando l’episodio di Cana, dove per una voltaella esercita una certa autorità. Ma a modo suo, con tenerezza materna.

Tuttavia Maria comprende la missione di Gesù soprattutto nella prospet-tiva fallimentare determinata dal convergente volere dello Spirito e della li-bertà peccatrice e inaccogliente la grazia. E questa comprensione si traducenella radicalità della sua immolazione. Come Gesù, ella prega, soffre, ama,spera. L’eroismo della speranza mariana non si comprende se non in tale pro-spettiva tragica. Maria spera e si affida, ma trafitta. Ella comprende che vi èuna sola giustizia: quella che rende giusti. E che per rendere giusti i peccatoriostinati una sola via è possibile: l’immolazione alla loro follia.22 Infatti noncredono all’amore.23 E chi non crede all’amore, neppure può accogliereun’ammonizione, un consiglio: e meno che mai un’ispirazione angelica. Ha bi-sogno del sangue, della tragedia consumata per svegliarsi dal suo delirio, perrimanere toccato interiormente e convertirsi. Maria lo sa. E anche la Chiesa

21 Con rare eccezioni: Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e forse Gamaliele, che pe-rò non si mise di traverso, come farà invece dopo la Risurrezione, e con peso (cfr Atti 5,34ss). Egli cioè non fu contro, ma neppure a favore.

22 Invece il nostro cuore vorrebbe il lieto fine, e talvolta una giustizia che non è tut-ta sbagliata, ma che ha il fiato corto della scarsa magnanimità, quando non l’asma dellagrettezza.

23 Cfr 2Tess 2, 10 e per opposizione 1Gv 4, 16.

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apostolica lo aveva altrettanto ben compreso. Da qui l’efficacia della sua pe-netrazione evangelizzatrice.24

La missione pubblica

In questo tempo la tredicesima ferita, soprattutto in qualche circostan-za, si farà più pesante: la missione pubblica fu occasione di trepidazione, disofferenze, di gioie, e anche di altre spade, concentrate particolarmente nellapassione. Tuttavia il Nuovo Testamento ci lascia già prima altre tracce dellavia Mariae, che è utile raccogliere. Del distacco da Nazareth non parla, ma èimplicito. Non fu il primo, e non ebbe l’inaspettato della dodicesima spada,ma fu comunque non meno lacerante. Questa volta al perdere Dio per Dio,nell’accettazione della Sua volontà, si aggiunge la trepidazione della preca-rietà e la certezza che la missione sarà per il Figlio più occasione di pianto chedi gioia, come egli stesso dirà (altri è colui che semina… altri chi miete).25 Siaggiunge il senso di una definitività dolorosa, di una discontinuità: comunquenon sarà più come prima. Gesù non sarà più tutto per lei, e lei non potrà piùessere tutta per Gesù, almeno in quel modo in cui lo era stata nell’intimità del-la sua vita nascosta. Ci saranno i discepoli, e ci saranno gli avversari. E qui ladodicesima e la tredicesima spada si fondono, si uniscono nel rinnovare piùacutamente la ferita dell’Amore impotente, cui ella risponde – come sempre –rifugiandosi nella propria douleia sacra: la schiava compiace e basta. Mariavorrebbe, ma non può. Vorrebbe essergli vicino, e deve rimanere a Nazareth;vorrebbe poterlo sostenere economicamente, ma è povera; vorrebbe dargli ap-poggio sociale, ma la sua rete di relazioni è insignificante; vorrebbe dargli ap-poggio politico, ma a Gerusalemme ci sono i Romani e lei è solo una poverae disprezzata ebrea. Deve lasciare il Verbo-di-Dio-incarnato nella sua solitu-dine umano-divina. Una solitudine che le torna addosso trafiggendola di rim-balzo, sicché lasciandolo si sforza di reprimere il pianto e di sorridere, ma c’èun tremore lieve che non può soffocare. Gesù ne resta ferito, e insieme sente

Le XXI “spade” della via Mariae 423

24 Attualizzando dobbiamo riconoscere che mai abbiamo avuto tanti martiri cri-stiani come nel sec. XX (si pensi al genocidio armeno, che ne fu solo una parte). Eppureil loro sangue non ha ottenuto ciò che ottenne il sangue antico. Perché? Certo non è lo stes-so essere in grazia, ed essere fonte di grazia. I primi martiri erano sale della terra, ossiafonte di grazia. Ma qui si aprirebbero questioni di teologia pastorale troppo complesse perpoter essere anche solo accennate.

25 Cfr Ψ 126, 5s; Gv 4, 36ss.

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tutto l’amore della mamma, di quella mamma che deve lasciare per noi… Manelle troppo lunghe ore di quella casa vuota, Maria contemplò il mistero delPadre, e del suo troppo vuoto paradiso, che Gesù voleva riempire (vado a pre-parare dei posti per voi… dirà alla fine).26 Sente in sé la ferita di quel vuoto,tanto più immenso, e aumenta ancora l’affetto della propria preghiera.

Delle tentazioni nel deserto ci parla la Fonte Q, ripresa da Luca e Mat-teo. Ma alle tentazioni non erano presenti i discepoli. Che Gesù ne abbia rac-contato in un momento di intimità è possibile, ma improbabile per due moti-vi: sul piano letterario manca Gesù narratore. Perché? Sul piano spirituale,Gesù che narra una propria vittoria sembra un Gesù che si vanta: non è da lui.Infine la Fonte Q è ripresa da Luca e Matteo secondo due piccole varianti. Ciòlascia pensare a una tradizione orale, che tuttavia dovette avere una fonte au-torevolissima, per essere accolta subito dalla Chiesa. Uno scenario plausibileè che Maria abbia misticamente sentito nella preghiera ciò che Gesù viveva,27

ragion per cui sarebbe la redazione lucana quella più fedele alla catechesi ma-riana.28 E prima ella sente la fame del suo digiuno, e poi il confronto terribi-le con Satana. E questa fu la quattordicesima spada. Due sono le sue noteprincipali: la perfidia, e la predizione della croce, ossia del fallimento dellapredicazione messianica.

Una perfidia che già si annuncia nei «se»: se sei Figlio di Dio = «Io nonti credo e ti sfido». Già questo è brutto, perché tenta di far leva sull’orgoglio.Poi c’è la seconda parte: dì a questa pietra che diventi pane = usa del tuo po-tere divino a tuo favore. E Gesù vince rifiutando la sfida e contrattaccando:sei tu che hai fame, perché denutrito della Parola di Dio. A questo punto Sa-tana attacca il messia: vuoi essere il Re della terra? Ti aiuto: adorami! Cioè:metti la tua missione più in alto di Dio. Questo è un punto che per lo più sfug-ge.29 Invece Gesù risponde: piuttosto di alterare l’ordine soprannaturale, pre-ferisco perdere. Il terzo assalto è infine il più tremendo, perché questa voltaSatana usa la stessa parola di Dio, facendosi teologo: sta scritto… Natural-

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26 Cfr Gv 14, 2s.27 Nei mistici si trovano cose di questo genere. Per es. sono noti fenomeni di bilo-

cazione, o anche di conoscenza interiore dei pensieri altrui. Se questi doni si ritrovano inalcuni santi, pensare che Maria non ne abbia partecipato è arduo.

28 Cfr Lc 4, 1-13. 29 È ciò che in un certo senso capitò a Mosè, quando uccise l’egiziano: aveva col-

to il senso generale della propria chiamata, ma non ancora l’ordine delle cose, che si chia-rirà nell’esperienza mistica.

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mente non riesce a ingannare Gesù, ma la sconfitta ne aumenta il livore in unaminaccia che è appena accennata nella redazione lucana: si allontanò fino altempo opportuno.30 E qui Maria per la prima volta ha veramente paura.31 C’èla paura della mamma per il figlio, c’è la paura di fronte a una minaccia co-smica, irreversibile; e – soprattutto – c’è la paura indotta dall’interferenza disatana sull’attenzione di Gesù.32

Molto acutamente il prologo giovanneo – anche questo probabile sedi-mento delle catechesi mariane – esordisce dicendo che il Verbo era pròs tòntheón. E cioè la sua attenzione era rivolta al Padre. Satana tenta esattamentequesto: di distogliere l’attenzione di Gesù dalla persona del Padre. È unoschermo opaco, che Gesù supera con la fede. Ma Maria, seguendo mistica-mente l’attenzione di Gesù, si trova improvvisamente davanti a un orrore ina-spettato: l’oscuramento del contatto interiore col Padre. E questo per un ver-so la spaventa nel presentimento della battaglia finale, ma soprattutto per lachiara percezione dell’orrore infernale. È dunque qualcosa di diverso dall’e-sperienza della perdita di Gesù nel tempio, dove era mancato questo elemen-to. Ma siccome l’attenzione di Maria è misticamente fusa con quella di Gesù– XVI asse della sua spiritualità –, il superamento dello scoglio avviene giàcon la risposta: Non tenterai il Signore Dio tuo, dove l’attenzione torna tran-quilla pròs tòn theón.

Alle nozze di Cana abbiamo altri elementi chiari. E il primo è la fusio-ne tra carità umana e interesse messianico per l’avvento del Regno. Questoasse (XVII) della spiritualità mariana non sempre è intimamente capito e vis-suto, perché non sempre si coglie in Maria la virtù della vigilanza. Secondola Valtorta, quando Maria allattava Gesù, avvenne che una donna che avevada poco partorito non potesse allattare, e il suo bimbo stesse morendo. Marianon ci pensò due volte e lo allattò lei. In quel caso vi era un’urgenza, e il Re-gno lo si predicava più coi fatti che con le parole. Gesù era appena nato, e bi-

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30 Lc 4, 13.31 Non ebbe paura quando vide Giuseppe rabbuiarsi? Timore senz’altro, ma paura

forse no. In Maria solo il diabolico produce propriamente paura. E in quel caso esso restòprobabilmente schermato dalla lotta di Giuseppe, che ella ben vide, e a causa della qualeegli si meritò l’epiteto di giusto.

32 L’arte contemplativa sale sempre a Dio. Dare attenzione a Gesù era per Maria es-sere in una fortezza protetta, inattaccabile. Ma nel momento in cui l’attenzione di Gesùdeve confrontarsi con Satana, Maria, dando attenzione all’attenzione di Gesù si trova da-vanti l’avversario. Ecco il punto.

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sognava accontentarsi. Ma nel momento in cui ha inizio la missione, subitoMaria cambia registro. Soprattutto nel Vangelo di Marco questo avverbio ri-corre molte volte, e dovrebbe far riflettere sul suo valore ascetico (prontezzae tempestività). C’è un problema e Maria lo vede: manca il vino, forse ancheperché i commensali sono più di quelli previsti. E, in simili casi, la soluzionepiù ovvia e semplice sarebbe stata di chiederne in prestito da qualche vicino.Invece Maria si rivolge a Gesù. Se non avessimo le battute giovannee del dia-logo, potremmo pensare che è un modo di dargli onore e responsabilità, co-me si sarebbe fatto col maestro di banchetto, che poi avrebbe provveduto. MaGesù risponde: «Cosa a me e a te o donna?». Il latino e il greco hanno due da-tivi di vantaggio, come se vi fosse un verbo sottinteso: cosa interessa a me ea te? Dunque Gesù riconosce che vi è un interesse comune, che appunto èquello del Regno; e infatti, a sottolineare quanto ben avesse capito sua Madre,aggiunge: «Non è ancora venuta la mia ora».33 Gli era chiaro che gli stavachiedendo di comportarsi da Dio, di togliersi le frasche di dosso e rivelarsi.

Gesù la scoraggia? Difficile dirlo, perché può essere che nel risponderele abbia sorriso, e Maria abbia compreso che si trattava solo di una scherma-glia, di una provocazione per lasciare a lei l’iniziativa. E a questo punto Ma-ria si rivolge ai diakonoi, e invece di dare un ordine dice loro: ciò che vi diràfatelo.34 L’imperativo c’è, e pure in greco. Ma la costruzione della frase ha ilsenso di un invito, perché Gesù avrebbe anche potuto non dire nulla. QuindiMaria invece di dare un comando in senso proprio, orienta i diakonoi nella lo-ro missione: essere al servizio del messia, in attesa della sua parola, pronti adarle compimento. Torna l’asse pedagogico-transitivo che già si è visto, maprecisato in senso ecclesiale. Maria orienta i diakonoi del banchetto, ma Gio-vanni riporta l’episodio perché siano i diaconi della Chiesa a imparare, comelui imparò da Maria. D’altra parte l’episodio conferma la grande intimità spi-rituale e sintonia tra Maria e Gesù. Quell’intimità e sintonia che va molto ol-tre la conoscenza dei prodigi divini, e che si era sviluppata in un crescendocontinuo, dalle estasi nel Tempio prima, alla vita di Nazareth poi. Ma ad essagià si è accennato.

La quindicesima spada arriva a Nazareth. Luca è molto fine, perché do-po aver parlato delle tentazioni, annota sobriamente: «la sua fama si sparse»ed egli insegnava «glorificato da tutti».35 Gesù è dunque un uomo di succes-

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33 Gv 2, 4.34 Gv 2, 5.35 Lc 4, 14s.

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so, ma questo lo si liquida in due righe: non è qui il Vangelo. Esso cominciainvece nell’insuccesso, ossia con la predicazione a Nazareth. E qui, sicura-mente alla presenza anche di Maria, Gesù dice: nessuno è profeta in patria.36

Questa la spada, anch’essa complessa, che la ferisce con raffinatezza, e cheproprio attraverso Luca possiamo ricostruire almeno in parte. Si è detto cheGesù a Nazareth non era ben visto dai notabili, ma questo prima dell’iniziodella sua missione. In verità, quando ritorna, la fama dei prodigi compiuti al-trove lo aveva preceduto, tanto che sarà motivo di rimprovero.37 Si potevadunque almeno sperare che le mutate circostanze avrebbero indotto un diver-so atteggiamento dei suoi compaesani. In cuor suo questo Maria orante chie-deva al Padre: ma tale grazia non fu accordata, e ciò la ferì certo in molti mo-di. Dobbiamo infatti pensare che la preghiera di Maria fosse ordinariamenteaccolta, e che dunque ella si sia fatta scrupolo di non aver chiesto nel modogiusto, o la cosa giusta.38 Il rifiuto è sempre un trauma, e per Maria il no delPadre lo era in modo per noi difficile anche da immaginare, perché il nostroamor di Dio è purtroppo ben lontano dal suo.

In più, la fama di Gesù è occasione di un maggior indurimento dei na-zareni, tanto che pensano di ucciderlo. Maria sente tutto questo in sé, e com-prende che tale durezza la separa da Gesù, al di là di ciò che entrambi avreb-bero desiderato: toglie lei a lui e lui a lei. Comunque egli avrebbe lasciato Na-zareth, ma forse il giorno seguente o anche dopo. Invece è costretto a partiresenza neppure il viatico della mamma. E qui è tentata di rispondere all’indu-rimento con durezza, ma capisce che avrebbe solo danneggiato il Signore, esi trattiene. Continua ad amare e servire i compaesani nel sangue di tale feri-ta. Tuttavia, come detto, la spada trafiggente è nelle parole di Gesù, che in ef-fetti sono per lei, sono risposta alla sua domanda sulla preghiera inesaudita.L’intenzione del Figlio è di rassicurarla: non è colpa tua. Ma al tempo stessole dischiudono scenari inaspettati. Nessuno è profeta in patria… la prima co-

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36 Lc 4, 24.37 Lo si deduce da Lc 4, 23: Gesù esplicita il rimprovero che legge nei cuori degli

astanti.38 «Non avete, perché non chiedete. Chiedete e non ricevete, perché chiedete ma-

le» [Gc 4, 3s]. Indubbiamente spesso la preghiera fallisce per le ragioni addotte dall’A-postolo; ed è certo che il Padre desideri farci toccare la sua vicinanza, esaudendo i nostridesideri. Ma talvolta proprio lo Spirito spinge a chiedere ciò che non può essere conces-so, almeno a breve termine. E Dio si compiace massimamente di una tale preghiera, cheè assolutamente perfetta, perché pura espressione di giustizia ubbidiente. È qui che si con-divide con Dio la tragedia del peccato, del no umano a Dio.

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sa che Maria intuisce è la tragedia, è la spada di Simeone che si arroventa nelsuo cuore. E qui può essere utile una riflessione.

La «patria» connota sempre una socialità «locale», limitata. È un noicontrapposto a un loro. E che nessuno possa essere profeta in patria, derivadal fatto che la profezia è sempre un invito a uscire dalla località verso l’uni-versale. Maria comprende il messaggio di Gesù, e vi aderisce aprendo il pro-prio cuore alla cattolicità. Ma questo asse (XVIII) della sua spiritualità ha co-me contrappunto il rifiuto della grettezza locale, che è rifiuto di un figlio (Ge-sù nazareno), di un amico (Gesù uomo), del messia (Gesù figlio di Davide),di Dio (Gesù Verbo). Maria capisce che Nazareth è solo l’emblema di mille emille chiusure che nella Storia si opporranno a Gesù. E con tale spada nelcuore va oltre, secondo l’invito del Figlio. È in questo andare oltre assolutoche Maria anticipa la presenza in terra della Gerusalemme celeste. La spadaha tagliato il cordone ombelicale di un’appartenenza (al popolo eletto) che an-cora coesisteva all’appartenere a Dio, e fin qui ne era stato il mezzo. Ma ades-so Dio le chiede di più, e Maria sanguinante aderisce.

Marco, con molto garbo, ci dà traccia anche di un altro episodio che cer-to ferì a fondo la Vergine. Gesù guarisce un lebbroso toccandolo, poi lo invi-ta a presentarsi al sacerdote, tacendo però ad altri l’episodio. Viceversa que-sti strepitò la notizia a tutti, e Marco annota che così facendo costrinse Gesùa rimanere in luoghi deserti, senza entrare nei villaggi. Luca ricordando l’e-pisodio sottolinea che Gesù nel deserto pregava; ma l’intenzione narrativa diMarco è ben diversa: egli allude al fatto che toccare un lebbroso rendeva im-puri, per cui, saputolo, i notabili scansavano Gesù e gli impedivano di entra-re in città, mentre il popolo accorreva comunque a lui. La notizia arrivò pre-sto anche a Maria, perché il fatto secondo Marco e Matteo avvenne in Gali-lea. E Maria sentì in sé, rinnovata in Gesù, la ferita del proprio allontana-mento dal Tempio. Prima giudicata impura la madre, adesso il Verbo di Dio.Cosa avrà pensato nel suo cuore? Gesù poteva guarire il lebbroso anche sen-za toccarlo, ma guarirlo non gli basta: sente affetto per questo intoccabile, elo tocca in un atto di solidarietà umanissimo e divino. Il contatto: questo sa-cramento così importante dell’affetto, che in Gesù è sacramento dello SpiritoSanto. Il Signore sapeva bene che così facendo trasgrediva la legge, ma loslancio prevale sul calcolo della ragione.

Maria vede dunque in Gesù la propria stessa trasgressività, e riflette chetanta libertà derivava anche dal modo in cui da bambino lo aveva educato. Maigli aveva creato sensi di colpa dandogli l’impressione di ritenerlo impuro perqualche motivo. Se era impolverato lo lavava, e dunque proprio la polvere del-

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la strada era occasione del contatto affettuoso. Lo stesso il contatto di Gesù collebbroso. L’idea di Maria era che la purezza fosse una questione interiore, co-me le avevano confermato gli angeli in molte visioni. E quest’idea aveva tra-smesso a Gesù bambino. Adesso si accorge che vi sono due mondi destinati ascontrarsi, due modi di intendere la religiosità ebraica del tutto diversi. E in que-sto scontro Gesù è formalmente dalla parte del torto. Nella sua chiaroveggen-za Maria comprende molto bene il punto: la purezza è negli occhi di chi guar-da e mai così adamantina come negli occhi di Dio. Ma l’idea corrente è diver-sa. Così Maria è costretta ad accettare il conflitto apostolico nella sua radicali-tà e strutturalità. Non cercherà mai lo scontro, ma aderisce al giudizio di Gesù:«non sono venuto a portare la pace, ma la spada».39 E accettare il conflitto è ac-cettare la lacerazione permanente del cuore, asse intimo della sua spiritualità.40

Altra ferita non da poco sarà sapere Gesù deriso, e persino accusato di es-sere un demonio.41 Qualsiasi madre si sentirebbe trafitta, ma Maria era ben con-sapevole madre del Verbo: siamo a un altro livello. Non sente solo irrispettosi-tà, o l’anticarità che diffama: sente l’empietà che chiama demonio Dio, il sata-nismo che disconosce in Dio l’Amore. Sente cioè la presenza del nemico del-l’uomo che sta conducendo la sua battaglia contro Dio, e che non smetterà nelsuo dannato intento. Non si prenderà pause di sorta, ma in ogni modo studieràdi penetrare nei cuori fino alla guerra conclusiva. Questa ferita è un rinnovarsiattualizzato della quattordicesima spada: la perfidia; ed è alla luce di questa fe-rita che occorrerà considerare a fondo la maternità spirituale di Maria.

(continua)

THE XXI “SWORDS” OF THE VIA MARIAE

A NEW READING OF ITS SPIRITUAL ITINERARY

By Roberto A. M. Bertacchini

This is the second part of the article begun in SapCr 21 (2006), 291-312.

Le XXI “spade” della via Mariae 429

39 Mt 10, 34; e Lc 12, 51 precisa che tale spada è la divisione.40 Se si vuole è l'asse degli assi, ossia qualcosa di così profondo da essere in rap-

porto a ogni singola spada. Per questo si può considerare fuori categoria, anche se - pro-priamente - è ancora l'asse sacerdotale che torna.

41 Cfr Mt 9, 24 e Mc 3, 22.

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Senza limite

di ELISABETTA VALGIUSTI

Borat: insegnamenti culturali dell’America a beneficiodel glorioso popolo del Kazakhstan. Questo è il titolo del filmcomico di Sacha Baron Cohen uscito recentemente nelle saleamericane e inglesi. È un film provocatorio che suscita allo stes-so tempo ilarità e irritazione tanto è oltraggioso e provocatorio.È una satira divertentissima ma estremamente dolorosa. Borat-Cohen è un clown innocente e perfido. Il film è uno shock irresi-stibile ma molto, molto sconsigliabile.

Questo genere di film, indirizzato specialmente ai giova-nissimi, ci chiama a prendere coscienza della cultura in cui vi-viamo e a domandarci seriamente come reagire.

Il film Borat è uscito nelle sale americane a novembre ottenendo un risul-tato strepitoso al botteghino. Il film ha suscitato molte polemiche riguardanti l’e-strema volgarità del linguaggio e delle scene, l’ utilizzo ignobile del Kazakhstancome presunta patria di Borat, il ridicolizzare vari stereotipi americani.

Cominciamo da Borat. È un giornalista televisivo del Kazakhstan cheall’inizio del film ci illustra con grande orgoglio il villaggio in cui vive, la suafamiglia, i vicini, i costumi del luogo. È una descrizione raccapricciante, ver-gognosa, che provoca un’ilarità demenziale nonostante la repulsione che siprova. Una repulsione di tipo culturale perché ci si vergogna a ridere di unasituazione tanto disgraziata e bifolca tanto più se associata all’idea di un pae-se, un popolo, che in ogni caso Borat definisce grandioso.

Lo stesso Borat è un’assurdità indescrivibile. Si esprime con un lin-guaggio oltre ogni decenza, fa il verso agli occidentali nei vestiti e nei modi,si crede uno che conosce il mondo. Infatti, sta partendo per un viaggio di la-voro con il suo orribile produttore Azamat, destinazione New York. Scopo delviaggio è realizzare un documentario per far conoscere la cultura americanaai connazionali nella speranza che li stimoli a un cambiamento.

A New York, Borat si comporta come un selvaggio seminando scandaloovunque. È anti-semita, sessista, razzista, scurrile, feticista, logorroico, esibi-zionista.

Salvezza e culture 431

ELISABETTA VALGIUSTI SAPCR 21 (2006) 431-434

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432 Elisabetta Valgiusti

Riesce a intervistare alcune personalità creando situazioni vergognose.Scandalizza le rappresentanti di un’associazione femminista con una frase deltipo “ In Kazakhstan teniamo le donne dentro le gabbie e diciamo: Dio, uomo,cavallo, cane. E poi donna e ratto.” Si può immaginare la reazione delle donne.

La cosa straordinaria è che Borat è l’unico attore del film. Quasi tutti glialtri personaggi sono persone vere che gli hanno concesso un’intervista o lo han-no invitato credendolo effettivamente un giornalista con la sua troupe al seguito.Quindi, il film utilizza in buona parte l’effetto della candid-camera per creare si-tuazioni paradossali in cui inserire misfatti indescrivibili. Borat provoca scene didelirio socio-culturale sfruttando ad arte pregiudizi di ogni genere che suscitanoconsensi o conflitti ma il tutto rimane oltraggioso. Per lo spettatore può diventa-re faticoso da sopportare. Ma altrettanto difficilmente può evitare di essere tra-volto dalla comicità irrefrenabile di battute, situazioni, facce, azioni.

Borat è Sacha Baron Cohen, famoso attore inglese del programma co-mico Da Ali G Show, pluri-premiato (Bafta Awards and Mtv), amatissimo inInghilterra.

Cohen non è semplicemente un protagonista ma è il film in sé. Durantele riprese, più volte Cohen ha affrontato situazioni rischiose continuando acomportarsi come se lui fosse veramente Borat. Riferiscono sia successo an-che con alcuni agenti federali insospettiti dal trambusto che il passaggio del-la troupe provocava.

Torniamo alla trama. A New York, Borat riceve la notizia della morte del-la moglie. È felicissimo. Decide di continuare il viaggio fino a Los Angeles perconoscere Pamela, la donna più bella del mondo, un’attrice di cui si è innamo-rato vedendola in televisione. Il viaggio via terra per Los Angeles diventa unagalleria di stereotipi americani da stravolgere, una descrizione impietosa e vio-lentemente sbilanciata delle differenze culturali americane. Borat incontra gen-te di ogni genere, partecipa a un rodeo, a una celebrazione religiosa, a una ce-na in una casa borghese dove invita una prostituta a raggiungerlo, si fa ospitarenel camper di un gruppo di alcoolisti, balla con un gruppo di giovani di colore.Dappertutto, crea sconcerto e incidenti, perde tutto (compresa la gallina che te-neva in valigia), fino a raggiungere la mitica Pamela a Los Angeles.

Pamela è una vera star. Borat decide di farle la proposta di matrimoniosecondo lo stile classico del Kazakhstan. Così, si reca al negozio dove sa chePamela incontrerà i suoi fans e tenta con la forza di infilarla in un sacco e ra-pirla. Pamela fugge come nei film che è solita interpretare e Borat la inseguema viene bloccato e malmenato dalle guardie del corpo di Pamela.

Quell’idiota di Borat sembra finalmente prendere coscienza: non ha ca-pito niente dell’America. Decide che è tempo di tornare a casa ma è molto tri-ste. Prima di partire va a salutare la prostituta che aveva conosciuto e con la

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quale si era comportato come un vero gentleman. In Kazakhstan viene ac-colto con grandi feste insieme alla nuova moglie americana. Non si possonoriportare alcuni dettagli di questa ultima vicenda tanto sono allucinanti.

È con grande titubanza che abbiamo osato scrivere di questo film. Ef-fettivamente, il film sconfina continuamente nell’oltraggio ma è talmente fol-le ed esilarante, il gioco è talmente scoperto e trasgressivo, che non si può nonridere e riderne. Non possiamo invitarvi ad andarlo a vedere perché potresteesserne disgustati ma è un fenomeno che va commentato.

Sappiamo che il cinema internazionale è ormai un prodotto rivolto quasiesclusivamente ai giovanissimi. Quindi, funzionano film dai contenuti fiabe-schi, avventurosi, fumettistici, horror, violenti. Negli ultimi anni, anche la com-media volgare ha riscosso notevole successo raggiungendo anche il pubblicopiù adulto. Borat è l’apoteosi di questo genere ma supera ogni limite, è moltosovversivo perché stravolge tutte le categorie del politicamente/socialmente/culturalmente corretto e, allo stesso tempo, si rende interessante perché annullale barriere tanto è eccessivo, liberando da qualsiasi pregiudizio, da qualsiasi va-lutazione. Lo scopo di Borat è far ridere e, quindi, spiazzare all’infinito le con-venzioni prendendosi gioco di tutto senza risparmiare niente e nessuno. Borat èuna maschera impietosa e violenta che pretende il tuo riso e sa come ottenerlo.Purtroppo, il divertimento non basta a dare una struttura consistente al film chea tratti rivela tutti i suoi limiti, specialmente la ripetitività e la meccanicità de-gli avvenimenti. Inoltre, diventa noioso il continuo accumulo di anti-america-nismo che sfrutta tutti i cliché noti e questo aspetto rivela una tendenza ideolo-gica che stona un po’ con l’idiozia di Borat ma che gli torna utile in chiave sa-tirica. L’ignoranza innocente e il buon cuore dello straniero kazacheno sonostrumenti usati per mitigare l’amoralità del linguaggio e di certi atteggiamenti.Comunque, Borat è un esempio pessimo per i giovanissimi

Borat-Cohen potrebbe essere uno che non si è fatto scrupoli per arriva-re al successo ma è un genio creativo che va osservato nella sua evoluzioneartistica sperando che trovi una chiave più dignitosa per le sue interpretazio-ni comiche.

Va detto che Cohen è intellettualmente molto brillante. Così ha rispostoalle più o meno presunte critiche del governo del Kazakhstan: “ Mi sono senti-to in una strana situazione quando il governo del Kazakhstan mi ha dichiaratoil suo nemico pubblico numero uno. Come si fa a credere che esista un paesedove gli omosessuali indossano cappelli blu e le donne vivono in gabbia…?”.

Riguardo alle accuse di anti-semitismo, risponde :“ Borat funziona co-me uno strumento, essendo lui un anti-semita, fa sì che la gente abbassi laguardia e renda palese il suo pregiudizio, cioè se è anti-semitismo o se è ac-cettazione dell’antisemitismo…”.

Senza limite 433

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Cohen è un ebreo osservante, si è laureato in storia a Cambridge. Nonsi sa molto di lui che rilascia interviste solo interpretando il suo personaggio.

Molte polemiche sul film sono state probabilmente stimolate anche danotizie combinate ad arte sui vari siti internet dedicati al film e riprese daigiornali. È evidente che siano vere alcune proteste del governo del Kazakh-stan, di associazioni ebree, etc.

Riportiamo qualche notizia sperando siano vere:

Dariga Nazarbayeva, donna politica e figlia del Presidente del Kazakh-stan Nursultan Nazarbayev, ha affermato: “ Non dovremmo temere l’umori-smo e non dovremmo tentare di tenere sotto controllo qualsiasi cosa (riferen-dosi alla chiusura forzata del primo sito web del film operato dal governo).

Il centro europeo di ricerche che si occupa della discriminazione deglizingari Rom e Sinti, ha denunciato il film per diffamazione e per incitamentoalla violenza contro il gruppo etnico.

Due gruppi di uomini ripresi nel film hanno presentato una denunciacontro il film per frode, recessione dal contratto, falsificazione del diritto co-mune, appropriazione di sembianze, danno emotivo.

Una signora che aveva invitato a cena Borat e permesso le riprese dellacena ha chiesto come risarcimento-danni una percentuale sugli incassi.

La troupe del film era composta di otto persone che si sono anche oc-cupate della sicurezza di Cohen che spesso è stato aggredito oltre che arre-stato. Il film non aveva una sceneggiatura ma una serie di scene scritte da Pe-ter Baynahm, Anthony Hines, Dan Hazer, che Borat-Cohen ha stravolto viafacendo con le sue improvvisazioni. Il regista Larry Charles ha precedentiesperienze di serie televisive comiche.

Segnaliamo l’attore Ken Davitian nel ruolo del produttore Azamat e Pa-mela Anderson nel ruolo di se stessa, cioè la regina della serie televisiva Bay-watch.

SALVATION AND CULTURE WITHOUT LIMITS

By Elisabetta Valgiusti

Borat: America’s cultural teaching in benefit of the glorious people of Kazakhstan.This is the title of a comedy film by Sacha Baron-Cohen recently screened in theUnited Kingdom and the United States. Outrageous and provocative, it is achallenging film which provokes at one and the same time both hilarity and irritation.It is a highly amusing satire yet it’s extremely sad. Borat-Cohen is a clown who is bothinnocent and treacherous. The film is an almost irresistible hit yet definitely notrecommendable. This genre of film, directed principally toward the lower rung ofyouth, seeks to draw attention to the culture within which we live and questions theway we react to it.

434 Elisabetta Valgiusti

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La Congregazione Passionistatra ascetismo, mistica e storia

di TITO ZECCA C.P.

In concomitanza con la celebrazione del 45° capitolo generale dellaCongregazione della Passione, tenutosi in Roma nell’ottobre del 2006, è usci-ta la seconda edizione della sintesi storica dell’istituto passionista curata daFabiano Giorgini1. Il titolo del libro è:

F. GIORGINI, La Congregazione della Passione di Gesù, Sguardo stori-co della spiritualità, organizzazione, sviluppo.

E mentre scorriamo questo volume ci viene spontaneo e senza forzatu-re abbinare questa lettura ad altre due recenti pubblicazioni. La prima opera èdi un giovanissimo scrittore, Roberto Saviano. Il suo libro si intitola Gomor-ra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra 2,giunto in pochi mesi alla VII edizione. Sono poco più di trecento pagine do-ve con una documentazione ineccepibile ed una prosa ardente ed incalzante,Saviano denuncia, punto per punto, le varie “province” di questo impero delmale, non a caso chiamato Gomorra dall’A., ispirandosi al prete don Giu-seppe Diana che con coraggio, pagato con la vita, aveva denunciato questametastasi del malaffare che sembra estendersi senza più freni. Ed altrettantospontaneamente associavamo queste terre dominate dal “Sistema” (così siautorefenziano i malavitosi camorristi) alle antiche maremme, percorse inlungo e largo da Paolo della Croce con i suoi primi compagni e tanti altri mis-sionari passionisti. L’altra è un’opera cinematografica che sorprendentemen-te ha incontrato interesse e attenzione dal grosso pubblico in tutta Europa. Si

Rassegna stampa 435

1 F. GIORGINI, La Congregazione della Passione di Gesù. Sguardo storico dellaspiritualità. Organizzazione. Sviluppo, Curia Generale dei Passionisti, Roma 2006, pp.266, s.i.p.

2 R. SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominiodella camorra, Milano Mondadori 2006.

TITO ZECCA C.P. SAPCR 21 (2006) 435-440

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tratta del film di Philip Gröning, Il grande silenzio3. Racconta in poco menodi due ore la vita quotidiana e stagionale dei monaci della Grande Chartreu-se. Senza nessun artificio ed effetti speciali il regista ha vissuto in pieno la vi-ta monastica per svariati mesi. Ci scorre così davanti agli occhi la vita di si-lenzio, di preghiera, di lavoro, senza omettere salutari momenti ricreativi, diqualche decina di monaci che hanno scelto di isolarsi dal mondo per entrarenel cuore del mondo, compiendo così il disegno del Padre che vuole appuntofare di Cristo il cuore del mondo. Solo pochissime parole alla conclusione delfilm ne affidano il messaggio, pronunciate da un vegliardo ormai cieco pienodi sapienza e con il cuore pieno di misericordia verso il mondo che non sa co-sa perde allontanandosi da Dio. La vita diventata rito liturgico, il rito diven-tato vita appagante e rasserenante.

Mi viene spontaneo collocare la vicenda carismatica ed istituzionale na-ta con Paolo della Croce tra le aride maremme della malavita e il deserto fio-rito della vita contemplativa. E non posso non rilevare che in questo parados-so tra dimensione contemplativa ed espressione apostolica, ambedue esigentidedizione assoluta, si svolge tutta intera la storia della congregazione dellaPassione.

La prima edizione di questo volume risale al 1986. Già in questa pub-blicazione l’A., storico della congregazione con all’attivo una nutrita serie dipubblicazioni, rivolgendosi in modo particolare ai giovani in formazione, siriprometteva di far conoscere, quasi a volo d’uccello, la storia della fonda-zione avviata da Paolo Dànei della Croce nel 1720. Egli desiderava anche in-formare a grandi linee sui contenuti della sua ricca spiritualità delineando nel-lo stesso tempo la formazione spirituale ed intellettuale data ai membri del-l’istituto e voleva infine tracciare nei suoi principi fondamentali e nella espli-cazione concreta il servizio apostolico compiuto dall’istituto dal Settecento ainostri giorni.

Non è facile, in poco meno di trecento pagine, riproporre in sintesi esau-stiva una storia quasi tre volte centenaria. La congregazione passionista nonha avuto una espansione geografica e soprattutto numerica tale da competerecon altri ordini e congregazioni, plurisecolari se non millenari. Sono poco più

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3 P. GRÖNING, Il grande silenzio. Ripetizione, ritmo, silenzio, ed. in DVD, Metaci-nema Multimedia san Paolo Srl, 2006.

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di 2.200 i membri attuali della congregazione. Le case dei passionisti assom-mano attualmente a 381, sparse in 58 nazioni 4. La quantità numerica comun-que non certo gioca di vantaggio sulla qualità della vita di consacrazione chei passionisti lungo questi secoli hanno realizzato con ottimi esiti. «Tenendopresente, scrive il Giorgini, i criteri indicati dal fondatore per il discernimen-to delle vocazioni e per la loro formazione, si può capire come molti religio-si e religiose hanno raggiunto un’elevata conformazione con Cristo Crocifis-so espressa nella realtà di una vita santa, o molto esemplare, a gloria di Dioed a beneficio della Chiesa. L’osservanza regolare, “sempre animata ed ac-compagnata dallo spirito interiore del cuore”, è secondo il fondatore, “unmezzo efficacissimo e tutto adatto per acquistare la perfezione cristiana nellostato di vita che i nostri hanno eletto”»5. I santi canonizzati che la congrega-zione annovera sono 46, i beati 357 ; 16 sono i venerabili e 15 i servi di Diodei quali è in corso il processo canonico. Una percentuale davvero cospicuadi santità riconosciuta e proposta che, restando fedele al carisma originario, siè articolata secondo particolari carismi e specifiche culture locali.

La vera espansione dell’istituto, fuori dall’ambito dell’antico Stato Pon-tificio, è iniziata solo dalla fine degli anni ’40 dell’800, per merito e respon-sabilità di uno dei più insigni superiori generali, p. Antonio Testa che diressel’istituto dal 1838 al 1862. Egli trovò nel beato Domenico Bàrberi un colla-boratore convinto ed entusiasta. Il Bàrberi aprì ai passionisti la strada verso ilNord-Europa, specialmente in Belgio, Regno Unito e Irlanda. Il beato Dome-nico, ricordiamolo, accolse John Henry Newman nel seno della Chiesa Cat-

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4 Cfr. Relazione sullo stato della Congregazione del Superiore generale P. Otta-viano D’Egidio, presentata al 45° Capitolo generale 1-22 ottobre 2006, Segreteria Gene-rale C.P. p. 19 (anche nel sito web www.passiochristi.org).

5 F. GIORGINI, op. cit., p.247.6 Paolo della Croce (+1775); Gabriele dell’Addolorata (+1862), Vincenzo M.

Strambi (+1824), Innocenzo Canoura Arnau (+1934). Per i particolari vincoli con la con-gregazione vengono annoverate nell’albo dei santi passionisti anche Gemma Galgani(+1903) e Maria Goretti (+1902).

7 Domenico Bàrberi (+1849), Carlo Houben (+1893), Isidoro de Loor (+ 1916),Bernardo Silvestrelli (+ 1911) e Lorenzo Salvi (+ 1856); sono 28 i martiri: Niceforo DiezTejerina e 26 compagni uccisi per la fede nella persecuzione spagnola (+ 1936) e il bul-garo mons. E. Bossilkov fucilato nel 1952 durante la persecuzione comunista-stalinista;non omettendo i due giovanissimi emuli di Gabriele dell’Addolorata, ossia GrimoaldoSantamaria (+ 1902) e Pio Campidelli (+ 1889).

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tolica. Qualche anno dopo la congregazione impiantava le sue tende dell’im-menso continente nord-americano.

L’espansione dell’istituto fuori dell’ambito italiano ha posto per lunghidecenni gravi problemi di identità dello stesso. Si può riscontrare, ed il volu-me del Giorgini ce lo indica in modo adeguato, il travaglio affrontato dai su-periori, dai capitoli generali e dalla legislazione conseguente per riuscire aconciliare la fedeltà al carisma originario con le diversificazioni culturali lo-cali e le mutate esigenze dei tempi. Insomma per realizzare concretamentequello che con felice espressione il concilio Vaticano II ha espresso con la for-mula della “accomodata renovatio”: rinnovamento del carisma originale at-tualizzandolo nel tempo presente.

Per chi ha conoscenza della storia della vita religiosa non è certo unanovità sapere che i passionisti per molto tempo sono stati individuati più perl’austerità della vita regolare che per il loro apostolato specifico, ossia la pre-dicazione, in particolare degli esercizi spirituali, delle missioni ai fedeli (mis-sioni parrocchiali o al popolo) e le altre varie forme di predicazione sempredi tipo catechetico-popolare (tridui, novene, ottavari, ecc.). Le case conven-tuali dei passionisti si chiamavano “ritiri”; il distacco anche fisico dall’abita-to stimolava molto la vita contemplativa fin quasi al limite della vita clau-strale. La tradizione di una intensa vita contemplativa ricalcata sulla spiritua-lità del deserto, ma soprattutto ispirata al movimento francescano nelle suevarie riforme, risaliva al fondatore ed ai suoi primi compagni. Le scelte fon-damentali di Paolo della Croce, di austero stampo ascetico, erano comunquemodulate secondo lo spirito intensamente apostolico attraverso il quale lanuova fondazione trovava la sua specifica collocazione nel concerto della vi-ta consacrata. Collocazione che trovava nel riconoscimento del magisteropontificio il suo sigillo supremo. Benedetto XIV, Lambertini, approvando leRegole composte da Paolo della Croce nel 1741, infatti, riconosceva la lorospecificità apostolica, anzi missionaria, nella loro dedizione ai poveri più ab-bandonati, agli emarginati delle maremme, privi di qualsiasi assistenza e cu-ra spirituale. La predicazione della Passione di Gesù era finalizzata appunto afornire a un gregge senza pastore, perso nella caligine e nei luoghi oscuri del-la disperazione, un segno di speranza e di fiducia. I passionisti, insomma ri-entravano nella plurisecolare forma di vita apostolica che si ravvisa negli “uo-mini della penitenza” che non finalizzavano la stessa per una ricerca assolutae solitaria di Dio al modo anacoretico o cenobitico monastico ma per una ade-guata e persuasiva testimonianza dell’evangelo vissuto, prima che annunzia-

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to, “sine glossa” e “ad litteram” alla maniera apostolica8. I passionisti, in al-tri termini, riprendevano in piena crisi illuministica che scompaginava le an-tiche certezze della “christianitas” post-tridentina, la collaudata formula delpredicatore itinerante che ha attraversato i secoli e che ebbe la massima fiori-tura nell’età di mezzo. Formula che assumeva la penitenza come atteggia-mento culturale radicale, basata innanzitutto sul valore della povertà, intesacome pietra di paragone della cultura penitenziale e veicolava, la stessa dallapredicazione popolare. “Nella Passione di Gesù c’è tutto” è l’imperativo ca-tegorico totalizzante di Paolo della Croce e della sua fondazione. La vita stes-sa del predicatore penitente si identificava come passione per la Passione; lasua attività apostolica era tutta orientata a far sì che la stessa passione per laPassione si accendesse nei suoi ascoltatori, perchè “la Passione di Gesù è lapiù grande e stupenda opera del divino Amore”. Nella predicazione itineran-te, vuoi negli esercizi spirituali “chiusi” come pure nella predicazione dellemissioni al popolo, una delle finalità dalle quali si misurava il buon risultatodello zelo apostolico si concentrava nell’ “insegnare a meditare”; in altri ter-mini; quello che era stato proposto nelle predicazioni appassionate che spes-so toccavano i “novissimi”, e soprattutto la riproposizione della dolorosa Pas-sione del Redentore come argomenti atti a scuotere il torpore della mancanzadi pratica sacramentale, doveva essere oggetto di diuturna meditazione, perfar sì che la predicazione penitente producesse frutti ricchi e duraturi. La fio-ritura di santità laicale germinata in seguito alla predicazione e soprattutto al-la “direzione spirituale” che conta tra i passionisti uomini di grande prepara-zione e di insigne vita interiore ne sono la dimostrazione concreta.

Attorno alle due fondazioni paulocruciane, la Congregazione della Pas-sione e le monache passioniste di clausura, lungo l’arco di questi tre secoli distoria sono sorte varie istituzioni, quali la confraternita laicale della Passionee decine di congregazioni maschili e femminili di vita apostolica o di forte im-pronta ascetica9. Vari gruppi, movimenti ed associazioni laicali si ritrovanonella spiritualità passionista; come pure Istituti secolari canonicamente rico-nosciuti.

Scorrendo le vicende in cui nasce e si afferma la congregazione aposto-lica10, non prive di forti contrasti e difficoltà di ogni genere, analizzando la

8 Cfr lo stimolante e documentato studio dell'antropologa I. MAGLI, Gli uomini del-la penitenza, Franco Muzzio editore 1995.

9 F. GIORGINI, op. cit., pp.223-247, passim.10 Id, ivi, pp.13-36, passim; e pp. 173-211 (cammino storico).

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struttura organica della congregazione11, i suoi elementi di spiritualità e diformazione12, esaminando le forme “classiche” della sua forma di predica-zione non si può non costatare che le sue strutture fondamentali attuali e lasua formula di evangelizzazione non hanno perso molto dello smalto iniziale.Non mancano certo inquietudini e problematiche legate principalmente allascarsezza delle vocazioni specialmente nelle aree della congregazione tocca-te dal secolarismo; come pure non ci si nasconde che una mera fedeltà alla let-tera e non allo spirito del carisma e della istituzione che lo ha veicolato in va-rie forme storicamente incarnate, con esiti più o meno positivi, porterebbe aduna sclerosi irreversibile dell’organismo che ha prodotto frutti di santità e diapostolato altamente qualificati. E sono noti i rischi delle derive ideologicheche vorrebbero utilizzare come supporto carismatico di forte impronta teolo-gica quale quello radicato nella staurologia, progetti ed utopie di stampo me-ramente politico e sociologico. Per questo da vari anni, specialmente nell’ul-timo capitolo generale celebrato nel mese di ottobre di quest anno, i respon-sabili ed i rappresentanti della congregazione si sono interrogati sul tema del-la “ristrutturazione”, proponendo un coraggioso itinerario che porti la fami-glia passionista ad una sempre più adeguata fedeltà al carisma nel momentostorico attuale.

Il volume del Giorgini che abbiamo il piacere di presentare ai nostri let-tori è un utile strumento di conoscenza e, perchè no? di lavoro, per vivere, at-tualizzandola nella nostra temperie così convulsa ed articolata, la grande“passione per la Passione” così come è nata dal cuore del mistico della Pas-sione, san Paolo della Croce e di tanti suoi figli e discepoli.

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11 Id, ivi, pp. 37-68, passim.12 Id, ivi, pp.69-130, passim.

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GIULIANA BUTTINI, La parola continua nel segno dei tempi. Messaggi di Gesù.volume I (anni 1972-1975). Prefazione di P. Antonio M. Artola, C.P., Roma 2006,pp. 292.

È un libro che raccoglie “locuzioni” interiori che la signora Giuliana Butti-ni ha sentito nel suo spirito da parte di Gesù, Parola eterna del Padre celeste, permezzo della quale tutto è stato creato e tutto è stato redento. Non sono quindi me-ditazioni nel senso ordinario della parola anche se, per alcuni aspetti, i pensieriespressi si avvicinano alla meditazione del mistero di Gesù, uomo – Dio, salvato-re del genere umano, e contemplazione del mistero della vita umana e della suaavventura nel cammino del tempo (“il tempo va e voi nel tempo andate” p. 236),dell’esperienza del dolore fisico e psicologico che l’accompagna in una misuratanto forte. Le locuzioni hanno avuto prima di tutto la funzione di portare la si-gnora Giuliana e il suo marito Luigi ad una scoperta rinnovata della fede cristianaed a trovarla verità di vita nel momento in cui più l’oscurità travagliava il lorospirito per la morte dell’unico figlio: “Vi ho prestato un ragazzo Angelo, come perun onore, a voi lo avevo affidato e lo ritroverete tutto vostro. Allora ve lo donerò,non sarà più un prestito. Allora ognuno di voi apparterrà all’altro” (p. 28).

Sono parole di conforto per scoprire il dolore, anche quello causato dallamorte fisica, come “grazia” ricevuta dal Padre; come via per comprendere meglioil dolore fisico e spirituale di Gesù nella passione e sulla croce: “tu che conoscil’amore verso tuo figlio, prima come dedizione e pazienza, dopo con lancinantedolore, puoi comprendere anche il Mio dolore sul Calvario vedendo quanti figliperdevo” (p. 31). La Parola, Cristo, vuole rafforzare nel credente la fede nella vi-ta eterna mentre contempla il fluire del tempo e si sente la sofferenza per la sepa-razione dalle persone amate: “La vita esiste oltre la vita che passa…Tu hai lacreatura più amata in Luce di Gloria” (p. 32). Giuliana viene assicurata che il fi-glio è vivo in Dio e prega per i genitori: “quello che in terra si amò, torna allamente anche oltre e soprattutto le creature amate e lasciate a piangere sono sem-pre nella mente e nella visione dei veri vivi” (p.162). Le locuzioni vogliono ancheeducare a comprendere il mistero del dolore di Gesù sulla croce: “In quel dolorevidi ogni creatura in corpo e spirito, vidi le azioni di ogni creatura soffrii e gioiiper esse!”(p.40). Condividere la croce di Gesù è il modo che Gesù stesso dona perincontrare il suo volto beatificante: “a voi ho dato il peso della Mia Croce perchévoi riportandola a Me ritrovaste il Mio volto… Vi aspetto là donde Mi renderetela Croce” (p.90). Lo scrivere per la signora Giuliana è stato un atto di obbedienzaa Gesù per essere come un piccolo canale della grazia divina. Chi legge vi trove-rà parole che susciteranno nel suo spirito una risonanza che l’aiuterà a scoprire lapresenza misteriosa ma reale della Parola eterna, Cristo Gesù ed a scoprire “quelfilo invisibile che lega gli uni agli altri: l’Amore!”(p. 71). Questa straordinaria

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presenza di Gesù nello spirito di Giuliana deve servire per renderla capace di aiu-tare altre persone ad avvicinarsi a Gesù: “In terra, quando portai l’amore e la re-denzione, venni per i peccatori, ora, attraverso voi vengo per i peccatori. Tendetecosì le mani ai fratelli che non mi conoscono perché a Me vengano” (p. 256). For-se può creare meraviglia trovare l’intervento di vari angeli e santi come media-zione privilegiata di cui Gesù si serve per fare udire la sua voce a Giuliana. Percomprendere l’insieme di queste manifestazioni mistiche occorre leggere con at-tenzione la presentazione e la prefazione che ne fa il p. Artola all’inizio del volu-me e poi anche l’appendice nel paragrafo “Il Gesù dei Messaggi”. Queste intro-duzioni e spiegazioni aiutano a porre l’opera di Giuliana nella sua giusta luce spi-rituale e nell’alveo della tradizione cattolica in cui troviamo, tra le altre mistiche,B. Caterina Emmerick, Maddalena de’ Pazzi, Maria Valtorta che, a loro modo,hanno compiuto un lavoro simile manifestando le locuzioni interiori che sentiva-no e che erano vita spirituale loro comunicata perché fosse di aiuto ad altre perso-ne che cercano Gesù che dice: “Tutti vi ho visto sulla Croce…ad uno ad uno vi hovisti, bene conosco ognuno di voi” (p. 236).

P. Fabiano Giorgini C.P.

PALMITESSA NICOLA, Evangelizzatore della giustizia. Padre Annibale, oggi, sup-plemento al n. 3 di ADIF, luglio-set. 2006, pp 48, Curia Generale dei Rogazioni-sti, Roma, Nuova Serie, n. 20.

“Non vi è chi non deplora lo stato convulsivo in cui si trova ai nostri giorniquella classe di operai e di contadini, cui fu dato a considerare la loro disagiata con-dizione nelle attuali universali miserie, e a cui una falsa scuola ha insegnato chedebbono insorgere contro i possidenti e contro i governanti, per afferrare il vellod’oro, ed essere felici”. Così scriveva, sul periodico “Dio e il prossimo” (Messina,dic. 1920) il Santo del Rogate, molto noto, appunto, per la passione per le vocazio-ni sacerdotali e religiose alla base del suo apostolato e della fondazione degli Istitu-ti religiosi che ne hanno preso nome e programma. Molto noto, anche, Padre Anni-bale, per l’istituzione di laboratori di artigianato, orfanotrofi femminili e maschili, il“Pane di S. Antonio”, l’eroico prodigarsi in generale per il degradato quartiere“Avignone” di Messina e, in particolare , in occasione del devastante terremoto checolpì la città nel 1908 (vedi la succinta “Cronologia. Vita e opere”).

Ma il valore specifico, il valore aggiunto di questo agile, chiaro, succoso con-tributo (che si aggiunge ad altri, sui vari aspetti della vita, della spiritualità, delleopere di Padre Annibale, canonizzato nel 2004), sta, come benissimo dice il titolo

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suffragato dall’esposizione nella definizione di evangelizzatore della giustizia. An-zitutto la fondazione biblica della santità come giustizia verso Dio e verso il prossi-mo e, di conseguenza, la scrupolosa, esatta, diligente (“giureconsulto di Dio”) os-servanza personale. Poi, le ripetute ammonizioni agli uomini di Chiesa e ai suoi re-ligiosi, ai governanti, ai proprietari e datori di lavoro, perché attraverso la promozio-ne della giustizia evangelica predicata dalla Chiesa, si elimino le cause che portano,inevitabilmente a sofferenze ingiustificate e comprensibili e violente rimostranze.

Comprensibili, ma fonte di ulteriori sciagure se manipolate da “false scuole”che predicano la sovversione, come tragicamente la storia insegna. Altra cosa, se-gno dei tempi, su cui forse valeva la pena qualche osservazione critica, l’invito a,per così dire, stare contenti del proprio stato perché “le dita della mano…non sonouguali”. Ma a questo si potrà rimediare in una auspicabile più distesa trattazione.

Salvatore Spera

CEDARMAS ANTONELLA, Per la cruna del mondo. CARLO CAMUCIO E MOISÉ VITA

CAFSUTO, due pellegrini nella Terra Santa del Settecento, FRANCO ANGELI (“Temidi Storia ’77”. Istituto Pio Pascini Miscellanea), Milano 2006, pp 388, cm 16x23,€ 27,00.

Una gran bella cornice, ben costruita a incastro e indubbiamente arricchen-te per la ricchezza degli elementi assemblati per ricostruire tutti gli elementienunciati nell’intestazione: il periodo, i luoghi, i viaggi e le relative motivazionipiù o meno religiose e culturali, politiche e commerciali. E, dunque: il pellegri-naggio come esperienza del sacro, ma anche curiosità e interessi; la Palestina ot-tomana nel Settecento, un periodo di declino già annunziato ma con strutture ab-bastanza solide per dominare ebrei e cristiani; la Custodia di Terra Santa per soc-correre i cristiani e, analogamente, le Comunità ebraiche per gli Ebrei; il pellegri-naggio cristiano in “Terra Santa” (con un flashback su Cinque e Seicento quandoil flusso era più ricco) e in parallelo, l’aliyyah ebraica nella “Terra Promessa”.

Hisce positis, si arriva a Carlo Camucio, arcidiacono di Carnia, un pellegri-no cristiano che già si era recato a Roma per il Giubileo e a Roma avrebbe, poi,soggiornato nel corso di una carriera ecclesiastica che lo avrebbe visto, in una vi-ta itinerante, vescovo di Capodistria, arcivescovo di Tarso e Patriarca di Antio-chia. Dopo un utile paragrafo: “Aspetti della società friulana nel Settecento” e ildetto profilo biografico, siamo rapidamente ragguagliati su un brogliaccio (piùche diario) dove emerge la motivazione religiosa (già evidenziata nelle memorie,riportate, del precedente pellegrinaggio a Roma e Loreto del 1750) del viaggio in

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Terra Santa del 1752-53, tra annotazioni di spese, disagi di viaggio, piccoli episo-di e disturbi per “la maniera di cucinare svedese, ch’è peggio della tedesca” du-rante il lungo viaggio da Livorno ad Alessandria. E poi: donne-guida, lettere diraccomandazione, liturgie…

Più ricco, più vivace il diario del gioielliere ebreo fiorentino, anche lui mol-to religioso e osservante ma “curioso” di popoli e costumi e con l’occhio sempreattento dell’uomo di affari, rispettoso delle altre religioni, in ottimi rapporti con iFrancescani della Custodia. Il diario, elaborato successivamente al viaggio(1773-35), è in italiano, una delle numerose lingue che “l’uomo di mondo” prati-cava agevolamente.

Salvatore Spera

WALTER VELTRONI, La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, 2006, pp. 155, € 16,00.

Recensire un’opera di narrativa non essendo un critico letterario, ma unteologo, può essere visto come una presunzione. Ma ognuno fa quello che può.Allora si potrebbe parlare delle risonanze che un’opera di narrativa suscita in unteologo. C’è stato chi ha detto che c’è più teologia in tanti romanzi che in certitrattati di teologia. A questo pensavo scrivendo questa recensione.

Il romanzo di Veltroni – un politico militante della sinistra italiana – si col-loca senza rimpianti nel pieno dell’affluent society: la società italiana del XXI se-colo, dove si comunica normalmente via Internet e il giovane fa le sue vacanze inAmerica. Non appare affatto il proletariato. Peraltro, alla retrocessione dei pro-blemi economici fa riscontro la crescita dell’insicurezza, della paura e l’ingigan-timento dei problemi affettivi. Paura non solo dei terroristi – ben presenti nell’I-talia degli anni ’70 del secolo scorso -, ma paura che le strutture su cui riposa l’e-quilibrio affettivo si sgretolino da un istante all’altro. E, infatti, l’irreparabile suc-cede. Il papà del protagonista scompare nel nulla proprio quando ha raggiunto ilvertice della realizzazione di sé.

Nasce Stella, una figlia con la sindrome di Down: è interessante vedere co-me si è tranquillamente ingiusti di fronte a queste povertà verso le quali proba-bilmente c’era poca sensibilità in passato e non c’è una sensibilità adeguata nean-che oggi. C’era qualche ragione nella scomparsa inspiegabile del padre? Forseun’altra donna da godere? No, ma soltanto l’afferrarsi alla sopravvivenza di unuomo che sta sperimentando come la scalata al potere e all’avere l’ha ridotto auna paura invincibile e al rifiuto verso se stesso, suo e forse dei suoi. Anche nelcuore del figlio che lo ha tanto cercato, lui piomba nella tenebra.

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In mezzo a questo fallire delle persone affermate c’è la presenza dei picco-li, unica portatrice di speranza, della bambina down e soprattutto di Lorenzo, ilfiglio del protagonista. Nel cuore di Lorenzo, a otto anni e fino ai venti, nasce unseme: quello che lo fa uscire dalla tirannia di ciò che è ritenuto socialmente gra-tificante e gli fa scegliere la sorellina down e l’aiuto dei genitori. Diventa papàdel papà impaurito dal si (si fa così, si pensa così), come accade realmente oggiabbastanza spesso. Restringe la propria vita per attuare questo programma, untempo si diceva: abbracciare la rinuncia. Alla fine anche il papà, che ha scopertola vergogna in cui è precipitato il proprio padre, può correre verso Stella, in va-canza in California. Non c’è altra via di vita.

È il baluginio di una rivelazione per l’uomo del nostro tempo? Un tempoche abbatte i confini fra ebrei e cristiani, fra cattolici e protestanti, fra credenti eatei, fra Occidente e Oriente? Un tempo che, abbattendo i confini, svela il limitedi ciascuna incarnazione del seme messo da Dio nel cuore dell’uomo, seme chevuole svilupparsi al di là degli impedimenti? È questa la scoperta dell’alba? Il be-ne è lì come tocco di un Dio che non si conosce, come traccia di un Dio semprenascosto e innominabile. Il bambino con il suo diritto all’affetto, la famiglia chesi dissolve e riappare. La carità (Deus caritas) come caratteristica dell’essere-ca-ro. Prese un bambino e lo pose nel mezzo (Mt 18, 3).

Poi c’è il fare memoria: i diari, la possibilità di vivere tante vite oltre la pro-pria, al di là della propria, una possibilità che noi religiosi avevamo sperimentatonella lettura delle biografie e dei processi canonici dei nostri santi. La possibilità divarcare la barriera dell’alterità – in modo virtuale perché poi si possa varcare in mo-do reale -, uscendo dal narcisismo individualista. Essere un altro e permettere al-l’altro di rivivere in me, diacronicamente e sicronicamente. E c’è anche l’esperien-za del rivivere quel momento traumatico della propria infanzia e capire.

E, finalmente, c’è l’esperienza dell’alba, che si ripete ogni mattina: le albeche sono “anticipazioni di Dio, silenzio e grandezza, pausa e attesa, inizio e fine,tradizione e cambiamento” (p.11).

(Adolfo Lippi)

FUMAGALLI BEONIO-BROCCHIERI MARIATERESA, Cristiani in armi. Da Sant’Ago-stino a Papa Wojtyla, Laterza (“I Robinson. Letture”), Roma-Bari, pp XIII+211,cm 14x21, rilegato con sopracoperta, € 16,00.

La lucidissima Prefazione del card. Jean-Louis Tauran al corposo Enchiri-dion della pace (2 vol, EDB 2004) ricorda una Chiesa “che cammina insieme conl’umanità” e i cristiani “operatori di pace” e lontani da un pacifismo naif consa-

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pevoli che “gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la mi-naccia della guerra fino alla venuta di Cristo” (GS 78). La pace è sempre possi-bile, (e lo si afferma chiaramente in una teologia della pace lentamente e fatico-samente elaborata e in una pedagogia della pace elaborata e proposta. Ma la real-tà storica (né pessimisti disperati né ottimisti ingenui, ma realisti operativi) che cimette continuamente di fronte al terrorismo, ai conflitti irrisolti, ai rigurgiti etni-ci, alle violenze dei prepotenti e dei tiranni, ci ricordano senza mai cessare di an-nunciare a tutti il “vangelo della pace”, che non siamo ancora nel “Regno dei cie-li”. Le 18 pagine di bibliografia ignorano quest’opera. Peccato!

Lo sapevano anche i grandi utopisti, da Erasmo a More a Campanella, chel’esperta studiosa di filosofia medievale non trascura di citare in una rapida rasse-gna (“non è un libro sulla guerra, ma sulle idee”) che si sofferma volentieri sulla“guerra santa” e la “guerra giusta”, che è incontrovertibile quanto dice Agostino:“La volontà deve tendere alla pace mentre la necessità spinge alla guerra” e che“Talvolta è necessario che gli uomini buoni intraprendano la guerra contro gli uo-mini violenti”. Dopodiché tutti vogliamo, appunto, la pace e ricorriamo alla guerrasolo come drammatica “estrema ratio”, il volume è utilissimo come contributo alladialettica, al dibattito che sempre c’è stato e giustamente continua sullo spazio, l’e-quilibrio realisticamente possibile. Ma è proprio qui che ci sembra di ravvisare unatendenza utopistica della studiosa regolarmente severa nel giudicare le scelte per laguerra, anche quando erano una, appunto drammatica, necessità.

Non si può non condividere l’auspicio di Paolo VI: “Mai più la guerra” manon ha senso concludere che “solo con il pontificato di Giovanni XXIII, la ter-minologia bellicosa del “perfetto cristiano”, del crociato e del cavaliere della fe-de viene felicemente abbandonata”. Allo stesso modo che quello cristiano non è“prevalente pessimismo” ma realismo.

Salvatore Spera

ARRUGA LORENZO, Mozart da vicino, Rizzoli (“La Scala”), 2006, pp 176, cm16x23, rilegato con sopracoperta, allegato CD, € 24,00.

Un libro che si distacca decisamente al di sopra di molta produzione occa-sionale (il 250° dalla nascita), scritto con amore e competenza, capace davvero diavvicinarci al mistero del genio di Mozart, di introdurci nel suo meravigliosomondo musicale, a mano a mano che si snoda la sua vicenda biografica così inti-mamente legata a una stupefacente produzione tutta di valore assoluto, eppureobbediente a una dinamica artistica interna. Molto utilizzato il prezioso, vivace,

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a tratti impertinente Epistolario che racconta dei viaggi numerosi, faticosi, cheportavano a conoscere il mondo dorato dei nobili e potenti, dei musicisti, dei tea-tri, ma anche “triste destino” di dire continuamente addio anche a persone care.Mozart, allo stesso tempo sincero e vigile, comunica con il padre e con la sorel-la, descrive luoghi e persone, ci trasmette le sue impressioni sulla vita artistica(esclusivamente e totalmente musicale), lascia trasparire la soddisfazione per isuccessi, la delusione per le incomprensioni, le piccinerie, i soprusi, si lascia an-dare anche ai sogni di una vita matrimoniale tranquilla. Ma c’è anche una sfre-nata esaltazione del corpo in lui così sensibile alla bellezza femminile di cui saesplorare astuzie e rischi. Da Ponte incomparabile librettista, ma anche descrive-re, con la musica, con gli strumenti, con la voce, rapimenti, estasi, abbandoni elanguori. Il tutto in un sapientissimo intreccio dove la musica, praticamente tuttala musica, la tradizione letteraria, la vita di società sono trasfigurate dal suo ge-nio musicale dove non è irrilevante il suo animo, la sua indole, la sua esperienza,dalla “capretta” M. Anna Thekle, a Aloyaya Weber, alla moglie Constanza.

Le numerose attestazioni di fede cattolica, possibilmente non al di sopra diun tradizionalismo stereotipo, non sono, comunque prive di valore ed esse pure al-la base di una musica che se non volessimo definire religiosa o addirittura liturgi-ca, è capace di esprimere il sublime, il trascendente, insomma: il divino. Tutto que-sto e molto altro (compresi efficaci, rapidi schizzi di storia delle idee e della cultu-ra) in un libro che ci fa gustare Mozart dal di dentro del suo ineffabile mistero.

Salvatore Spera

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1. Riflessioni teologichepreliminari.

I vangeli descrivono benissimo lavicenda di Gesù fino alla morte,mentre sono parchi nel descrivere iltempo che va dalla sepoltura alla re-surrezione. Che Gesù sia realmentemorto, proprio perché realmente uo-mo, è fuori di ogni dubbio. Come fusolidale con i viventi, altrettanto lofu con i morti e a questa solidarietàbisogna lasciare tutta la sua ampiez-za e la sua problematicità. Spesso alGesù morto venivano attribuite varieazioni, mentre in realtà egli condivi-de la passività di tutti i morti. Nean-che il: “discese agli inferi”, in questocaso è del tutto buono, in quanto es-so esprime un’attività. L’espressioneentra nel credo solo dopo l’interpre-tazione di Rufino (359) ad Aquileia.Occorre qui riflettere bene per cerca-re di capire in che misura si possa in-terpretare questo “discese”. Il termi-ne katabàinein è stato formato incorrispondenza precisa al termineananbàinein, usato per esprimere ilritorno al Padre. In ambedue i casil’uso del termine deriva dal sensonaturale dell’uomo, per cui il cielosta sopra e la tenebra e i morti stan-no sotto; perciò il descendit nonesprime una attività quanto una soli-

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darietà con i morti. Quello di Gesù èun cammino verso i morti: “Egli an-dò presso le anime in carcere e pre-dicò ad esse la lieta novella” (1 Pt3,19). Tale “percorso” è in paralleli-smo con la resurrezione che inaugu-ra il cammino verso il cielo (1 Pt3,22). Tali azioni sono vissute da Ge-sù in forma passiva; è Dio l’agente,il soggetto attivo. Non c’è alcunadifficoltà che impedisca di intenderequesto “andare presso le anime incarcere” come un essere presso diesse e considerare il “predicare” co-me l’annuncio della redenzione atti-vamente patita sulla croce dal Gesùvivente e non già come una nuovaattività, distinta dalla prima. L’esseresolidale con i morti porta nel loro re-gno la salvezza conclusa sulla crocee la “predicazione” non è altro senon l’effetto nell’al di là di ciò che èavvenuto nella storia.

2. Il Nuovo Testamento

L’A.T. non conosce comunicazio-ne tra Dio e il regno dei morti, ma sache Dio ha potere anche su questo re-gno, perciò può parlare di un Dio chefa scendere nello sheol e richiama daesso. Per il NT non è la discesa versomorti che è importante, ma l’ascesa.L’essere ridestato dai morti compare

TEOLOGICO (38)

TEMA: IL CAMMINO VERSO I MORTI (Sabato Santo). BALTHASAR H.URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp.131-163.

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circa 50 volte in tutto il NT. Il centroè che Dio non ha lasciato Gesù nel-l’Ade, ma lo ha ridestato. Il fatto didiscendere e di risalire trovano com-pimento in Ef. 4, 8 dove il salire è ci-tato per primo e solo dopo, come pre-supposto si cita l’essere disceso negliinferi della terra. Nel salire però egliporta con sé prigionieri e cioè le stes-se potenze, oramai prive di forza, cheprima tenevano prigionieri gli uomi-ni, tra le quali è inclusa anche la mor-te, l’ultimo nemico (1 Cor. 15, 26). Lamorte è sempre legata al peccato, per-ciò non si ha il diritto di distingueretra morte fisica e quella spirituale. Laparabola di Mc. 3, 24-27 in cui si di-ce che chi incatena è il più forte ed ilpadrone della casa, si attua quandoGesù scende nel cuore del potere diSatana: la morte. Senza l’exusia diCristo di sciogliere dalle doglie dellamorte non ci potrebbe essere l’exusiadella Chiesa di sciogliere dal peccato.In Ap. 1,18 non si parla né di lotta nédi discesa ma di potere assoluto che sibasa sul fatto che il Signore era mor-to ed ora vive per l’eternità, ha cosìvinto la morte e ne ha fatto un “pas-sato” per se e per tutti. Allo stessomodo Mt. 27,51-53 riferisce il risulta-to di questa vittoria in modo figuratoe visibile con lo scuotimento dellaterra tale che i sepolcri si aprono e imorti risorgono. Sulla croce è già sta-ta distrutta la potenza dell’Ade, ma lasepoltura di Cristo ed il suo “esserecon i morti” sono ancora necessari,perché nel giorno di Pasqua possa av-venire, con il Cristo primogenito, la

risurrezione comune. Perciò non sipuò affermare che tra la morte e la re-surrezione non resti lo spazio per unostato particolare, perché in essa Gesùpassa un tempo reale, condividendola passività con tutti morti.

3. Solidarietà nella morte.

Tale solidarietà è espressa conl’accurato racconto della sepoltura ecura del cadavere e tutto ciò implicache Egli è presso i morti.

a. Lo sheol: l’essere tra i mortinon redenti implica che Gesù è “sce-so” nello sheol, che è l’Ade, di cuiEgli possiede le chiavi. In questo sta-to i morti sono nelle tenebre, nellapolvere, nel silenzio e non c’è possi-bilità di ritorno. In esso non c’è néattività né conoscenza di ciò che av-viene sulla terra e si è privati di ogniforza e vitalità. Essi sono nel “paese”dell’oblio.

b. Come stato: l’AT pone l’ac-cento più sullo stato dei morti chesul luogo e non fa meraviglia quindise nella teologia cristiana stato e luo-ghi stiano l’uno accanto all’altro.L’Ade è da intendersi uno stato, piùche un luogo.

c. Solidarietà: questa solidarietàè lo scopo del descensu. Il fine percui Cristo va nell’Ade, secondoTommaso non dipende da una insuf-ficiente sofferenza sulla croce, madall’assunzione di tutti i defectus deipeccatori, perciò Cristo dovette fer-marsi nell’Ade per tutto il tempo cheil suo corpo restò nel sepolcro, per

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espiare tutta la pena imposta ai pec-catori. Le doglie della morte, nellequali anche Cristo cade, saranno eli-minate solo quando il Padre lo faràrisorgere. In tutto ciò Egli condividefino in fondo la logica dell’umanomorire.

d. Indeterminatezza dello sheol:sotto questa solidarietà si nascondeun difficile problema teologico la cuidialettica non può essere risolta dalnostro pensiero limitato dalla catego-ria del tempo. Il problema è: la penainflitta all’umanità precristiana, acausa del peccato originale è definiti-va e consiste nella privazione dellavisione di Dio. Ma i giusti che visse-ro nella speranza e nella fede nonsperimentano tutta la foga della dan-nazione, in quanto attendono con fe-de la salvezza e perciò chi vive real-mente tutta la forza della dannazioneè proprio Cristo che, prese su di sétutto l’abisso dell’inferno per libe-rarci dalla discesa in esso, ed è pro-prio dal punto più profondo dellaperdizione che Cristo risana ogni uo-mo e tutta la creazione e da qui il Pa-dre lo ridesta dalla morte.

4. L’essere morto del Figlio

Cristo, risparmiando ai morti, tut-ta l’esperienza della morte comepoena damni, prese su di sé tuttaquesta esperienza, sostituendosi adessi. Perciò egli è l’unico che andan-do al di là della comune esperienzadella morte ha misurato le profondi-tà dell’abisso.

a. L’esperienza della secondamorte: è Nicolò Cusano che ha am-messo la passione del sabato santo el’ha considerata come appartenentealla passione espiatrice. In questaseconda morte l’anima del Figlio di-scende nell’inferno dove ha la visio-ne profonda e totale della morte co-me assenzalontananza da Dio.Quando il Padre lo risuscita lo strap-pa dal più profondo inferno ove lasofferenza del Cristo è pari a quelladei dannati che più dannati non po-tevano essere. Egli è il solo che at-traverso una morte così penetrò nel-la gloria.

b. L’esperienza del peccato inquanto tale: in questa seconda mor-te Cristo fa l’esperienza del puropeccato in quanto tale, non del pec-cato personale, ma quello astratto daquesta realtà, contemplato nella suanuda realtà in quanto peccato. Inquesto stato il peccato è amorfo eforma quello che potrebbe esserechiamato il secondo caos. Egli vive econtempla la profondità dello sheol ela radicalità dell’inferno come asso-luto svuotamento di vita. Qui l’infer-no è contemplato dal redentore nelsuo “in sé” per diventare, nella suaperdizione assoluta, un “per Lui”;ciò su cui, nella risurrezione, riceveil potere e le chiavi.

c. Evento trinitario: l’essere coni morti del Figlio è l’atto estremo diobbedienza al Padre che lo invia persalvare l’uomo, allora deve inviarlo,per conseguenza anche nell’infernoed Egli può essere lì solo come mor-

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to. Qui il Figlio deve osservare quantodi deforme e di caotico c’è nell’ambitodella creazione per riportarlo, in quan-to Redentore sotto il suo possesso. Cri-sto ha percorso le profondità dell’infer-no perché non legato dal peccato ed èquindi libero tra i morti. Il suo spro-fondare nell’Ade, sperimentandone laprofondità, è una presa di possesso eun crearne la via d’uscita che risorgen-do comunica a tutti.

5. La salvezza nell’abisso.

In quanto trinitario, il camminoverso i morti è necessariamente salvi-fico. Non si può dire che Cristo nonha portato la salvezza nel vero infernoma solo nel limbo, il che è un aprioriscolastico. Prima di Cristo c’era solol’Ade da cui egli libera i morti con lasolidarietà con essi, i quali ora posso-no prendere la loro decisione sottol’influsso dell’orientamento fonda-mentale della loro vita e ciò vale sia

per i morti prima di Cristo che perquelli dopo.

a. Il purgatorio: dal punto di vi-sta teologico esso non può avere ori-gine che il sabato santo, in cui il Cri-sto solidale con i morti, introduce lamisericordia davanti al fuoco dell’i-ra divina.

b. Lo “scioglimento dei vincoli”:l’opera del Cristo nell’Ade è la vi-sione totale del puro peccato e losperimentare in esso la morte pura.Egli però, non essendo legato al pec-cato, “passa” attraverso di esso. C’èqui una forte tendenza ad anticipareil frutto della Pasqua al sabato santo,come fa l’iconografia Orientale chenel descensus, vede il Cristo comecolui che rompe i vincoli e sfonda leporte dell’inferno, mentre l’atteggia-mento giusto del sabato santo è l’ac-compagnare da lontano il CristoDiomorto con i morti.

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.

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1. L’affermazione teologicafondamentale.

La croce e sepoltura appaiononella loro importanza a partire dallaresurrezione. In essa il Padre porta acompimento la sua opera inviando loSpirito a Gesù e nel mondo. Ciò è unavvenimento sovrastorico e storicoche fonda la fede e tuttavia ci sfugge.

a. Unicità dell’affermazione.aa. La filologia impone di far di-

re ai testi ciò che essi vogliono dire ela loro valutazione nei nostri riguar-di è posteriore. Tutta la Chiesa credenella resurrezione e la testimonianzapiù antica è contenuta in 1 Cor 15,3-5, dove si professa la morte, sepoltu-ra e risurrezione di Cristo, e dovequest’ultima, è un atto specifico diDio e non la sola presa di coscienzadel significato della croce.

bb. Che un morto riabbia la vitanon è ignoto al mondo biblico, maquesta risurrezione non ha analogiacon nessun altra, in quanto qui si in-tende il passaggio di Gesù da unaforma di vita che ha lasciato la mor-te dietro di sé una volta per sempre.Questo è il passaggio da un eone alnuovo eone, che ci sfugge pur essen-do un fatto della storia che ha un’a-pertura sulla storia, ma che alla fine

la trascende. Per capire ciò la scrittu-ra ci fornisce tre categorie di com-prensione.

1) La rappresentazione crescentedel Dio vivente dell’AT che si mani-festa come tale proprio in questa re-surrezione.

2) L’orizzonte aperto dell’apoca-littica giudaica precristiana che parladella resurrezione dei morti alla finedei tempi. L’idea di Gesù primogeni-to dei morti è un’idea inaudita siaper i giudei che per i pagani.

3) La pretesa di Gesù di essere oc-casione decisiva di salvezza o perdi-zione eterna. Questo gli apostoli lohanno capito solo dopo l’incontro conil risorto, è tale incontro, al quale era-no impreparati che li porta ad usareanalogie ed immagini per annunciarela resurrezione. Analogie che lorostessi correggono o abbandonano per-ché incapaci di tradurre anche mini-mamente quell’evento. La prima per-cezione che hanno avuto è che Diostava dalla parte di Gesù e che lo giu-stificava e con lui giustificava anchequanti credevano in lui.

b. La forma trinitaria dell’affer-mazione.

La resurrezione è opera del Padree in rapporto con essa sta l’effusionedello Spirito e solo perché il Padre

TEOLOGICO (39)

TEMA:IL CAMMINO VERSO IL PADRE (Pasqua) Parte Prima. BAL-THASAR H. URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp. 165-201.

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ha effuso nel nostro cuore lo Spiritodel Figlio suo che l’evento salvificodella risurrezione acquista per noi unsignificato esistentivo. Solo se si ri-conosce la matrice trinitaria dell’e-vento si può parlare poi in manieraadeguata del pro nobis e del promundo. Al Padre è sempre ascrittal’iniziativa della risurrezione, il qua-le porta a compimento la sua azionecreatrice del mondo proprio attraver-so la risurrezione del Figlio dai mor-ti. Questa matrice trinitaria risuonacome un ritornello in tutte le affer-mazioni kerigmatiche. In tutto ciòEgli si mostra come il Dio vivente efedele che vivifica i morti. In questaresurrezione Dio manifesta definiti-vamente la doxa che pervade tuttol’AT. Il Padre mostrando il Figlioglorificato e giustificato, manifestase stesso, non a tutti, ma solo ad al-cuni testimoni, perché Dio non simanifesta mai nel suo mistero essen-ziale. Nelle manifestazioni del risor-to è Dio che si auto manifesta in lui,è il Figlio che manifesta la gloria delPadre e viceversa ed è proprio perquesto che il risorto nell’apparire dauna parte si dona e dall’altra si sot-trae. Non c’è dunque rivelazione de-finitiva della trinità prima del compi-mento del mistero pasquale, prepara-ta dall’opposizione delle volontànell’orto degli ulivi e dall’esperienzadi abbandono sulla croce.

c. Autotestimonianza del risorto.Attenendoci all’affermazione teo-

logica fondamentale ne abbiamo mo-

strato l’unicità e l’assenza di analo-gie, quindi abbiamo considerato lasua forma teologica trinitaria ed ora laconsideriamo nel suo contenuto con-creto di esperienza narrativa degli in-contri con uno che era morto ed è sta-to visto vivo.

aa. Queste “dimostrazioni” del ri-sorto non sono catalogabili come vi-sioni né soggettive né oggettive e sipongono al di qua di ogni questioneesegetica. Qui si tratta prima di tuttodi un incontro tra persone che si rico-noscono; è Lui il risorto che prendel’iniziativa e che si mostra e che chia-ma per nome: “Maria!” (Gv 20,16).

bb. L’incontro con il risorto fa sca-turire convincimento, conversioneconfessione dei peccati. Qui i discepo-li sono consapevoli, non solo di esse-re da Lui conosciuti, ma piuttosto pe-netrati fino in fondo. Conosciuti daLui molto meglio di quanto si cono-scano essi stessi. Dai testi non possia-mo dedurre che la causa di Gesù po-tesse andare avanti dopo la sua morte,anzi, perciò dobbiamo dedurre chequalcosa di straordinario deve esseredavvero accaduto e non poteva certoessere la testimonianza delle donne afar ripartire i discepoli. Agli undici de-ve essere capitato qualcosa di simile aquanto successo a Paolo a Damasco,uno “stramazzare” a terra davanti alrisorto, alla sua penetrazione che rag-giunge la profondità dell’umanità deldiscepolo che provoca la conversionedi tutto l’atteggiamento interiore del-l’uomo. Anche le più dure parole digiudizio nel risorto sono sempre paro-

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le di salvezza e di perdono come è di-mostrato in Emmaus e nella storia diTommaso.

cc. È a partire dall’esperienza delcrocifisso come vivente che gli apo-stoli giungono alla confessione delladivinità del risorto in quanto percepi-scono il lui, la presenza del Dio vi-vente, colui che fa scendere all’Ade erisalire (1 Sam 2,6). Da ciò l’attribu-zione al risorto dei titoli divini all’i-dea dell’esaltazione del servo aKyrios e messia.

dd. Gli evangelisti affermano con-cordemente che a partire dalla Pasquasi è svelato ai discepoli il senso dellavita precedente di Gesù, nonché laglobalità delle scritture. Ciò che è de-cisivo non è che alcune parti dell’ATvengono interpretate in modo nuovoma bensì che tutto l’AT venga portatoad una sintesi superiore che non èraggiungibile soltanto da esso. L’e-sperienza con il risorto getta una luceparticolare su tutta la scrittura, taleesperienza si impone loro da sé. Noncome esperienza irrazionale da razio-nalizzare per forza ma piuttosto comecentro magnetico che ordinava attor-no a sé tutti i frammenti di significatodelle scritture.

ee. Che la manifestazione di Gesùsia inseparabile dalla sua scomparsa edalla sua partenza, rappresenta l’altra

faccia del tema della Pasqua: quellodella missione. Gesù è colui che met-te i testimoni sulla via verso i fratelli,loro che sono stati gratificati dalla suavisione e che hanno ricevuto il suoSpirito, ora sono inviati verso gli altri,affinché credano e siano salvati. L’in-vio dei testimoni in Mt. è caratteriz-zato da quattro “tutti” che indicano ledimensioni del potere del Cristo Mes-sia. A Lui è stato dato tutto il potere,nei cieli e sulla terra, il ché stabilisceil fondamento della missione, perciòli invia a tutti i popoli, stabilendonel’estensione nello spazio e nel tempo;invitandoli a conservare tutto ciò cheha insegnato loro che rappresenta lacattolicità del compito ricevuto, men-tre la garanzia dell’esito di tale mis-sione è data dalla sua presenza, tutti igiorni fino alla fine del mondo. Unatale missione si può avere solo dopola Pasqua. Le apparizioni del risortohanno lo scopo principale nello“smuovere” i discepoli verso la mis-sione. Gesù spira su di loro lo Spiritoche deve “spingerli” verso le vie delmondo. Ma senza un reale incontrocon il risorto: il CrocifissoVivo, unamissione di tali proporzioni sarebbestata non solo impossibile ma ancheimpensabile.

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.

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2. La situazione esegetica

a. Aporia e tentativi di soluzione:la resurrezione è un fatto storico e me-tastorico, di cui il risorto stesso è lavia: non c’è un cammino previo a cuifar riferimento. Nella storia si costatasolo il sepolcro vuoto, il non essercipiù! La resurrezione non è quindi di-mostrabile, ciò che può essere dimo-strato è solo la convinzione dei testi-moni, che partendo dal nuovo eone, èin qualche modo una dimostrazioneanche se non scientifica. La storia cidice che i discepoli, di fronte alla mor-te di Gesù non avevano certezze sullasua resurrezione, anzi per loro la cau-sa di Gesù era morta e sepolta con lui.Perciò è lecito pensare che deve esse-re intervenuto qualcosa che li ha fatticambiare prospettiva e li ha spinti afondare la Chiesa. I testi si offrono anoi pur con varie difficoltà, come unraggio di luce che passa attraversouno spettro, i vari testi portano un lo-ro colore proprio e fanno intravedereseppur in qualche modo il bianco checertamente c’è. Qualcosa di straordi-nario è certamente avvenuto, maquando si cerca di esprimerlo non sihanno né immagini né categorie ade-guate per farlo. Però Lui, il crocifissomorto non c’è e chi l’ha visto, ha spe-rimentato il crocifisso Vivo.

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b. Opzioni dell’esegesi: come ab-biamo detto, i testi della resurrezioneportano con sé varie difficoltà esege-tiche che qui accenneremo soltanto. Ilprimo è dato dalla conclusione di Mc16,8 in cui le donne fuggono dal se-polcro piene di paura. Si potrebbepensare che la pagina conclusiva siastata perduta o che Marco abbia volu-to davvero concludere così perchénon considera le apparizioni comeparte della storia umana di Gesù ma aparte… però qui le donne non disseronulla dell’incontro con l’angelo perpaura… L’altro problema è dato dailuoghi delle apparizione del risorto incui si cita Gerusalemme e la Galilea.Marco manda i discepoli in Galilea ecosì Matteo, anche se inserisce un’ap-parizione alle donne vicino al sepol-cro. Gv mantiene il binomio Gerusa-lemme-Galilea, accogliendo l’appari-zione alla Maddalena come in Mt. edinserendo l’apparizione ai dodici inGerusalemme come Lc, (il quale èl’unico che situa tutte le apparizioniin Gerusalemme), pur lasciando l’an-nuncio dell’angelo di recarsi in Gali-lea. È difficile dire se le due tradizio-ni hanno origini indipendenti e sonostate riunite poi sotto l’ipotesi di unviaggio-fuga dei discepoli. La que-stione del sepolcro vuoto invece sipone in modo diverso, esso non è ci-

TEOLOGICO (40)

TEMA: IL CAMMINO VERSO IL PADRE (Pasqua) Parte Seconda.BALTHASAR H. URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp.201-237.

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tato come dimostrazione della resur-rezione, ma come qualcosa che pro-voca confusione e smarrimento, èquindi un segno ambiguo che preparale apparizioni di Pasqua e viene inter-pretato solo da esse. Congiunta a que-sta vi è la questione sul numero e lamodalità delle apparizioni degli ange-li al sepolcro. I testi poi offrono ancheseri problemi sull’interpretazione del-la formula kerigmatica fondamentaleche dichiara che Cristo è stato risusci-tato il terzo giorno secondo le scrittu-re. È l’interpretazione del terzo gior-no che appare difficile e controversa.Il testo di riferimento potrebbe essereOs 6,1: “al terzo giorno risorgeremoe vivremo al suo cospetto”. La cosapiù naturale pare sia che il terzo gior-no si basi sul fatto storico e quindi osulla scoperta del sepolcro vuoto osulla prima apparizione. Allo stessomodo anche l’ascensione ha i suoiproblemi, in quanto è solo Lc che lacita nei suoi due scritti come avvenu-ta davanti ai discepoli dopo i 40 gior-ni. Qui il problema sta nell’accogliereuna ascensione staccata o procrasti-nata dalla resurrezione, o meglio sulcome interpretare il tempo delle appa-rizioni posto tra i due grandi eventi: laresurrezione dai morti ed il ritorno alPadre.

3. Il dispiegarsi simbolicodegli aspetti teologici.

a. La necessità della simbolizza-zione: l’automanifestazione di even-ti trascendenti di fronte a testimoni

nello spazio e nel tempo, richiede uncampo di libertà non solo a colui chesi rivela bensì un campo di libertà la-sciato all’interpretazione del fatto inparole ed immagini umane. Le paro-le e le immagini restano sempre af-fermazioni limite nel tentativo di co-municare qualcosa che però superaquesto eone e si pone già nel nuovo.Dentro questa libertà i testimonihanno operato le loro scelte interpre-tative per cui è inutile il tentativo diarmonizzare ad ogni costo i loroscritti, piuttosto vanno visti come le-gittime scomposizioni dell’unità ine-sprimibile, come avviene per la lucequando penetra nello spettro. Se dauna parte non bisogna cadere nellamitizzazione, come gli apocrifi, dal-l’altra non si deve neppure pretende-re un’uniformità espressiva, perchéresurrezione e ascensione sono pernoi, in questo mondo temporale emortale, escatologiche.

b. L’evento della resurrezione:giustamente, per l’atto della resurre-zione non si danno testimoni, comedel resto per l’atto dell’incarnazio-ne.Tuttavia questi atti sono eventifondamentali di salvezza che Dionon opera del tutto senza l’uomo cheè chiamato a dare sempre la sua ade-sione. Il sì di Maria all’annunciazio-ne è fondamentale tanto quanto il sìdella Maddalena a non trattenere Ge-sù, che non essendo ancora salito alPadre, si trova a “metà strada” tral’inferno e il paradiso (resurrectio infieri). Il sì delle tre Marie, citati nei

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racconti della resurrezione simbo-leggiano l’adesione della Chiesaamante.

c. Lo stato del risorto: come ab-biamo detto sopra, lo stato del risor-to è assolutamente unico in quantonell’abbassamento profondo e nellatotale glorificazione egli sperimental’unità degli opposti, assoluto abban-dono da Dio e sua piena unione. Inambedue i casi si tratta dell’obbe-dienza della divinità del Figlio comerappresentazione dell’amore trinita-rio in sé e per il mondo. Questoevento unico sta a significare la svol-ta degli eoni e la fondazione del nuo-vo mondo mediante la morte dell’an-tico. La motivazione fondamentaledelle apparizioni del risorto è la suaspontanea autocomunicazione ai di-scepoli. Tale autocomunicazione,provoca qualcosa di sconcertante neitestimoni che è definito da essi in va-rie forme: gioia, stupore incredulo,paura, angoscia, ardere del cuoreecc. In ciò si manifesta non solo la li-bertà del risorto di darsi, ma anche lalibertà dell’uomo di reagire comepuò. In tutto ciò egli è il Signore e, inquanto tale, si dona e si sottrae. È co-lui che chiama i suoi per nome, cheli costringe ad adorarlo (Mt 28,9.17)e come nei giorni precedenti siede atavola con loro (Lc 24,41ss.), manon si ferma con essi.

d. Fondazione della Chiesa: aa. Le apparizioni sfociano per

natura loro in missioni: è non tratte-

nendolo ma portando l’annuncio aifratelli che Maria sperimenta la Pas-qua. Tutte le narrazioni pare che ga-reggino nel sottolineare proprio lapriorità della testimonianza. In Mt. liinvia in forza del potere ricevuto sututte le cose e su tutti i tempi; in Gvl’invio è radicato nella trinità: “Comeil Padre ha mandato me così io man-do voi” (20,21). A loro, raccolti attor-no al risorto, viene svelata la totalitàdella scrittura fissandola nella “me-moria” della Chiesa. Alla scritturasubito si aggiungono i sacramenti, inprimis in Gv dove assieme allo Spiri-to è donato il potere di rimettere ipeccati, in Mt poi quello di battezza-re tutte le genti e attraverso il ban-chetto il far “questo in memoria dime” annunciando così la sua morte ela sua resurrezione. Il banchetto ri-mane al di là, del punto che segna iltrapasso, da un eone all’altro ed è ilpunto di comunione intima tra il ri-sorto e i suoi, ha con sé un tono di ri-conciliazione che sfocia nell’unitàprofonda tra i partecipanti.

bb. L’aspetto maschile e gerarchi-co della Chiesa, trova il suo contrap-peso nell’accentuato ruolo delle don-ne durante le scene della passione edella resurrezione. Qui non è in gio-co tanto la priorità maschile o fem-minile, quanto l’equilibrio tra Chiesacome sposa di Cristo e come istitu-zione gerarchica. In tutti i racconti aPietro viene data una certa priorità.Solo Paolo non riporta le apparizionialle donne e cita solo quelle agli uo-mini.

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cc. Con il problema di una Chie-sa maschile o femminile è congiuntain Gv l’allegoria dettagliata sul rap-porto tra Chiesa istituzione (Pietro) eChiesa della carità (il discepolo pre-diletto). Solo chi accoglie i due apo-stoli come simboli reali di questedue facce della Chiesa, comprendel’intenzione dell’evangelista. Questidue poli ci presentano una Chiesadegli inizi armonica tra l’impegnodella carità e la necessaria tensioneistituzionale.

dd. Tutta la fondazione della Chie-sa è congiunta alla missione delloSpirito. Il suo carattere pneumatico larende diversa rispetto ad ogni altraistituzione umana e la sua visibilitànon può mai essere separata dal suocarattere essenzialmente pneumatico.Questo appare chiaro dalla stessa Pa-rola che le è stata affidata che è Paro-la dello Spirito “che dimora in voi”(Gv 14,17) che vi istruisce e vi ricor-da (Gv 14,16) e vi introduce ad ogniverità (Gv 16,13). Il carattere pneu-matico della Chiesa non permettenessuna garanzia di ciò che è visibilee tangibile né nella magia sacramen-taria dei cattolici né nella magia scrit-turistica dei protestanti. La Chiesa èfondata sulla nuova Alleanza, che nonè l’Alleanza della lettera ma delloSpirito.

e. Esistenza del mistero pasqua-le: la Chiesa non è stata fondata finea se stessa ma è inviata al mondo sulquale il Signore a ricevuto ogni po-tere. Essa è inviata senza alcun limi-

te di spazio e di tempo come affermala conclusione di Matteo. Non laChiesa, ma il mondo è stato riconci-liato con il Padre attraverso la mortee la risurrezione del Figlio e tuttaviala riconciliazione avvenuta ha biso-gno del ministero ecclesiale al servi-zio di questa riconciliazione. PerPaolo tutto ciò è chiaro: “Noi fungia-mo da ambasciatori di Cristo… ricon-ciliatevi con Dio.” (2 Cor 5,20). InCristo si compie l’antica Alleanza,così che in lui si raggiunge la pienez-za della riconciliazione con Dio. Cri-sto, in quanto Dio e uomo è l’Allean-za incarnata nella sua pienezza, equindi la nuova ed eterna alleanza, equanti vivono in lui, attraverso la do-nazione della propria esistenza nellafede, divengono partecipi di questagiustizia di Dio e della pace che in es-sa regna tra Dio e il mondo. Resta pe-rò il problema di come l’uomo, chevive nel vecchio eone possa accoglie-re il risorto e rispondere alla sua chia-mata. Cristo, attraverso il suo abban-dono totale alla croce e all’inferno èdivenuto vincitore del mondo, ma iosono ancora nel mondo. Attraverso lasua chiamata, con la quale mi inseri-sce nel suo destino totale, io sonochiamato a morire al mondo, esser se-polto con Cristo e risorgere con lui(Rm 6,2ss.), devo cercare ciò che stain alto, ma che per me rimane ancoranascosto. Questa anticipazione di ciòche può solo essere sperato nella fedeed atteso con pazienza, stende il cri-stiano sulla croce delle traverse incro-ciatesi del vecchio e del nuovo eone,

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ponendolo tra un già e un non ancora.Egli vive diviso tra il possesso antici-pato della cittadinanza celeste e l’esi-genza di introdurre, ciò che là è giàstato realizzato, in un mondo che pernatura, corrotta dal peccato, si ergecontro l’irruzione del Regno escato-logico. Paolo concepisce la sua esi-stenza di testimone come una corsa invista del raggiungimento della sal-vezza, dove questa non sta a signifi-care solo la salvezza dell’anima, libe-razione individuale, ma anche realiz-zazione della speranza escatologicadi giustizia, umanizzazione dell’uo-mo (fino alla piena maturità di Cristo)e pace della creazione tutta. Questaseconda faccia della riconciliazionecon Dio è sempre stata trascurata daquando si è smesso di comprendersiin maniera escatologia. La Gaudiumet Spes ha intrapreso il difficile com-pito di sintesi di quanto fin qui abbia-

mo detto, ponendo proprio il Cristorisorto come suo centro unificatoretra il già e il non ancora in cui il cri-stiano è chiamato a dare la sua testi-monianza. La Chiesa e i cristiani nonhanno dunque un posto determinatonel triduo pasquale, il loro posto nonè né davanti né dietro la Croce, ma daambedue le parti e sono continua-mente rimandati da un luogo all’altro.Questa però non è un’altalena, perchéCristo è il centro di ambedue le partie l’esistenza cristiana ed ecclesiale èesistenza espropriata in Lui. Infatti:“Nessuno di noi vive per se stesso enessuno muore per se stesso… Siache viviamo sia che moriamo, siamoquindi del Signore. Per questo infattiCristo è morto ed è risorto a nuovavita, per regnare come Signore sui vi-vi e sui morti” (Rom 14,7ss.).

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.

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INDICE GENERALE

EDITORIALI

La prima Enciclica di Benedetto XVI: la rivelazione di Dio come amore e ilcompito della carità(Adolfo Lippi) 3La povertà dell’essere padri e madri. La povertà di Dio Padre.(Adolfo Lippi) 345

SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA

Kenosi di Dio e mistero della Chiesa nella teologia di Pavel A. Florenskij(Lubomir Zak) 13Eucaristia e Croce (Seconda parte)(Roberto A. Maria Bertacchini) 39La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale (Prima parte)(Maurizio Buioni c.p.) 55Il cuore di Cristo sorgente inesauribile di vita per l’umanità (Prima parte)(Sr Maria Lupo c.p.) 109La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale (Seconda parte)(Maurizio Buoni c.p.) 121Il cuore di Cristo sorgente inesauribile di vita per l’umanità (Seconda parte)(Sr Maria Lupo c.p.) 227Il Dio Kenotico di un non cristiano.Pensare Dio - Pensare Israele - Pensare l’uomo in dialogo con Lévinas(Adolfo Lippi c.p.) 241La croce come rivelazione dell’Amore di Dio.(Card. Walter Kasper) 349Il dramma in Dio. Studio sulla soteriologia teodrammatica di H.U. v. Balthasar(Giuseppe della Malva) (Prima parte) 359La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas(Giampaolo Manca) 383

PASTORALE E SPIRITUALITÀ

Un duplice centenario: I Venerabili Fortunato de Gruttis e Giovanni Bruni(Tito Zecca c.p.) 75

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I programmi di ristrutturazione degli istituti religiosi: il carisma e le scelte profetiche(Adolfo Lippi c.p.) 147Il contributo teologico e spirituale di Candido Costa al carisma passionistanella linea del Cantico dei Cantici (Prima parte)(Max Anselmi c.p.) 165 Il contributo teologico e spirituale di Candido Costa al carisma passionistanella linea del Cantico dei Cantici (Seconda parte)(Max Anselmi c.p.) 267Un papa controverso: Clemente XIVAlcune riflessioni nel terzo centenario della nascita(Tito Zecca c.p.) 279

Le XXI spade della “Via Mariae”Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce(Prima parte)(Roberto A. M. Bertacchini) 291Le XXI spade della “Via Mariae”.Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce.(Seconda parte)(Roberto A. M. Bertacchini) 415

SALVEZZA E CULTURE

Una croce di Somaini(Tito Amodei) 85Una partita senza anima(Elisabetta Valgiusti) 91La divina commedia, celebrazione del mistero pasquale(Mario Campanari) 179Quanti crocifissi nell’arte del ’900(Tito Amodei) 193Immagini dalla Certosa(Elisabetta Valgiusti) 201Breton, Cárdenas e un Crocifisso (Tito Amodei) 315Un codice a casaccio(Elisabetta Valgiusti) 321 Senza limiti(Elisabetta Valgiusti) 431

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RECENSIONI

M. Cempanari, Sant’Angelo sul Monte Fogliano. Dal “Cenobio” benedettino al“Ritiro” passionista di Vetralla, 95. M. Cempanari, Le sculture della Scala San-ta. Storia, Illustrazioni, Schede, 97.Y. Congar, Diario del Concilio I-II, 98. M.Catto (ed), La direzione spirituale tra medioevo e età moderna. Percorsi di ricer-ca e contesti specifici, 100. E. Massa, Una cristianità nell’Alba del Rinascimento.Paolo Giustiniani e il “Libellus ad Leonem X” (1513), 100. J. Ratzinger, Nuoveirruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, 207. Ph. Madre, Dio guarisce…oggi, 208. P. Sequeri, Musica e mistica. Percorsi nella storia occidentale dellepratiche estetiche e religiose, 210. E. Citterio, La vita spirituale, i suoi segreti,211. J.M. Déguignet, Memorie di un contadino, 212. R. Beretta, Storia dei pretiuccisi dai partigiani, 213. G. Canobbio, Dio può soffrire?, 215. MaryrologiumRomanum. Ex Decreto Sacrosanti Concilii Vaticani II. H. Miztal, Le cause di ca-nonizzazione. Storia e procedura, 327. C.C. Canta, Sfondare la notte. Religiosità,modernità e cultura nel pellegrinaggio notturno alla Madonna del Divino Amore,328. S. Scave, Senza tradirsi, senza tradire. Silone e Tasca dal comunismo al so-cialismo cristiano 1900-1940, 329. K. Gibran, Gesù il figlio dell’uomo. Le sueparole e i suoi atti come narrati e ricordati da coloro che lo conobbero, 330. R.Levin Varnhagen, Nel mio cuore un altro paese. Una donna ebrea ai tempi diGoethe, 331. F.T. Madden, Le crociate. Una storia nuova, 332. J. Ratzinger, Ilcammino pasquale. Id. La bellezza della Chiesa. Id. Nuove irruzioni dello Spiri-to: i movimenti nella Chiesa, 333. G. Buttini, La Parola continua nel segno deitempi, Messaggi di Gesù, 441. N. Palmitessa, Evangelizzatore della giustizia,442. A. Cedarmas, Per la cruna del mondo, 443. W. Veltroni, La scoperta del-l’Alba, 444. M. Fumagalli, Cristiani in armi. Da Sant’Agostino a Papa Wojtyla,445. L. Arruga, Mozart da vicino, 446.

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE

(a cura di F. Maximus a S.R.P. cp.)D. SENIOR, La Passione di Gesù nel Vangelo di Matteo. (scheda 5) 103-106H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 1) 219-221H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 2) 222-224 H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 3) 335-337H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 4) 338-341H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 5) 448-451 H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 6) 452-454H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 7) 455-459