La “dittatura del presente” e l’idealità perduta. Riflessioni in dialogo con Gustavo...

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Roberta De Monticelli

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    La dittatura del presente e lidealit perduta.Riflessioni in dialogo con Gustavo Zagrebelsky

    di Roberta De Monticelli

    Poche parole, accese e nette, di critica di metodo e di merito del programma diriforme (e del modo in cui ci si arrivati) che dovrebbe fare dellattuale governoun governo costituente. Pubblicate sul sito di Libert e giustizia. Vi hannoaderito costituzionalisti di grande rilievo e molti altri cittadini. Perch ha sollevatotanta riprovazione e tanta irritazione, al punto che non si sono lesinate parolesprezzanti e toni ultimativi?

    Perch quelle parole implicavano un discorso sui fini. Non laccettazione passivadel discorso sui mezzi, che va sotto le etichette di governabilit e stabilit, mala messa in questione dei fini (governabilit di cosa e per cosa?). E non va bene. Econtro la dittatura del presente. Gustavo Zagrebelsky sembrava gi prevedere gliepisodi di intolleranza alla critica che sarebbero seguiti, e che del resto permeanoil dibattito pubblico italiano, quando scriveva la breve, serrata meditazione Controla dittatura del presente Perch necessario un discorso sui fini (Laterza LaRepubblica, aprile 2014).

    Vi si legge unarticolata risposta in 11 punti o brevi capitoli, corredata da alcunitesti da Platone, Aristotele, Norberto Bobbio, Tzvetan Todorov, PierreRosanvallon, Luciano Canfora e Marc Aug, oltre a una raccolta di dati I numeridella post-democrazia e a una Cronologia degli ultimatum a cura di GiulioAzzolini).

    La lettura che ve ne propongo un dialogo con questo testo vivido e lucido, piche una recensione neutra.

    Un allargamento di orizzonte

    Leggere questa meditazione significa esperire limprovviso allargamentodellorizzonte rispetto a quello delle polemiche, insieme asperrime eterribilmente miopi, dei giorni passati sul supposto conservatorismo deiprofessori. Improvviso, per la verit, questo allargamento di visuale apparirsoltanto a coloro ma sono i pi che hanno inconsapevolmente accettato di nonmettere in discussione i fini vale a dire, di accettare come condizione normalelassenza di una politica dalla scena della democrazia. Perch la politica ladiscussione (in regime democratico) e poi la scelta e lattuazione dei fini. Anzi: lademocrazia prima di tutto una, tra le altre, forma della politica e la politica sostanza della democrazia. Se manca la sostanza, la forma vuota di contenuto.La democrazia senza sostanza , allora, solo una messinscena (24). Fermiamoci.Capire questo importantissimo.

    Eravamo abituati a uno schema comodo e tranquillo di cosa sia stata la politica nel mondo, diciamo rapidamente, antico, e nel mondo moderno. Nelluno sidefinisce classicamente come larte (o la scienza) di governare gli stati secondogiustizia. Nellaltro come larte di conquistare e mantenere il potere. Zagrebelskyva pi a fondo. Magari, con la tradizione liberale, rigetta come illusorie le

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    fondazioni filosofiche e assiologiche della politica, leggendo in nuce nelplatonismo il mostro della verit totale. Questo in fondo si potrebbe discutere perch Platone anche limmensa invenzione del faccia a faccia socratico, ilconfronto sui fini nello spazio delle ragioni, quella invenzione completamentegreca che non soltanto lagor (la piazza con i suoi temibili risvolti), lusosocratico delle strade e delle piazze, lautonomia inaudita dellindividuo che sisottrae ai legami dellappartenenza (ricordate la scena platonica della caverna,dove stanno tutti vincolati a guardare il loro cinema?), si svincola, gira la testa inunaltra direzione, e si mette a cercare il vero, e poi chiede ragione, argomenta,prova a dimostrare a Trasimaco che ha torto, che la giustizia non lutile del piforte, a Eutfrone che non vero che buono ci che piace agli dei, a Gorgia chenon vero che non c alcuna verit. Prova ad argomentarlo, non sempre riesce adimostrarlo. Questa si chiama discussione razionale, e fa dellagor una cosa tuttanuova anche rispetto alla democrazia ateniese, in mano ai retori.

    Che oggi la ricerca assiologica su cosa sia una societ giusta possa fondare labuona politica, il neocostituzionalismo stesso lo ha mostrato con tutta lopera diRonald Dworkin e con tanto altro che si potrebbe evocare. Ma qui non serve e noncentra. Perch ladesione alla politica nel senso dei Moderni, in cui ovviamenteanche Zagrebelsky si muove, non affatto appiattita su un machiavellismo pi omeno disincantato, ma sottolinea proprio la circostanza che diventa costitutiva delfare politica la discussione dei fini cio in definitiva quel passaggio attraverso ilconfronto anche sulle ultime cose, in particolare sulle diverse scale e priorit divalori, che era leredit socratica (non a caso lo hanno chiamato intellettualismo,ed era semplicemente la pratica della libera ragione nella discussione morale ecivile).

    Resta lessenziale: per i moderni la politica non pu escludere la scelta, e inparticolare proprio la scelta dei fini. Non credo che questa tesi debba esserefondata su una qualche forma di relativismo assiologico, credo che senza dubbiodiversi ordinamenti di priorit di valori (e interessi) siano precisamentelespressione di diverse possibilit di realizzare felicit umane, che dipendono daidentit culturali, vocazioni individuali, possibilit materiali eccetera: dove labuona politica quella che consente ai portatori di questi diversi ordini di prioritnon solo di coesistere senza coartarsi reciprocamente (e senza devastare odissipare beni comuni non sostituibili), ma anche di elaborare corrispondentiprogetti di societ, pur allinterno delle regole del patto stesso che ci costituisce incittadini della nostra Repubblica. E queste regole, nella misura in cui rinviano aiprincipi di dignit, libert, eguaglianza, giustizia, solidariet e cittadinanza,appunto, sono del tipo che la nostra umana ragione in grado di difendere.Portano in s una caratteristica marca di universalit. Non sono relativi i principisu cui si fondano.

    Ma, ancora una volta, non questo lessenziale al nostro dialogo fra cittadini.Lessenziale verso cui punta il dito Zagrebelsky - che invece proprio questadiscussione e questa competizione nella elaborazione dei fini concreti, questocuore della politica e particolarmente della politica nella sua forma democratica,oggi sta venendo meno. Sta venendo meno a tal punto, che basta solo esprimere laradicalit che sempre caratterizza la domanda sui fini, per sollevare un coro diprotesta contro chi disturba il guidatore quando non un silenzio dal piombodelle rotative o dalla garrula voce dei conduttori televisivi.

    Questo il punto essenziale. Il fatto che la democrazia sembra proprio divenutauna semplice messinscena. Dove il significato effettivo di stabilit diventa quellodi inamovibilit del ceto dirigente che perpetua se stesso, e governabilitfinisce per significare il rovesciamento gerarchico delle posizioni reciproche deiparlamenti e dei governi.Paralisi della rappresentanza, congelamento dellacompetizione politica, perdita di significanza delle promesse e dei programmielettorali, condivisione e larghe intese.tutto ci quanto pu riassumersinellespressione, ormai di uso correntem, di postdemocrazia, parola che puassumersi nel significato di divieto di discorso sui fini (13).

    E stato detto, ai professori: a furia di gridare al lupo, al lupo nessuno vicreder pi. Ma gi da un pezzo in noi e fra noi, il lupo. Forse per questo sono(ma non certo da ora, bens da quando vige la logica delle larghe intese) tantosprezzanti, tanto infastidite le reazioni nei confronti di chi lo indica. Come se illupo fosse questo o quel dettaglio che non ha magari un significato univoco di pers (dipende dal contesto): come se lessere divenuto messinscena della democrazianon fosse, da anni a questa parte, il filo conduttore di tutte le iniziative di criticacosiddetta radicale, e in particolare di quelle volte a resistere agli autoproclamatigoverni costituenti.

    Perch, coshanno di male? Questo: che non esprimono alcun pensiero politico. Sidiscute, vero, dellopportunit di modificare le forme della politica ma, almenosulla sostanza, cio sui principi e sui fini del nostro stare insieme quelli indicatinella prima parte della Costituzione tutti si dicono concordi (30). E allora cosavogliamo ancora? Ecco, la risposta dovrebbe spiazzare chi si aspetta che alla fine ildiscorso dei professori sia sempre e solo un vano richiamo ai principi e valorifondanti, alla prima parte della Costituzione. Nemmen per sogno. Perch proprio questa unanimit sui principi la messinscena della democrazia. Accordopieno sui principi. Ma i principi non esistono se non c un pensiero politico che liinterpreta e che d un preciso ordinamento di priorit a interessi e valori. Anzipensieri, concezioni rivali perch diverse, progetti politici alternativi di cui uno

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    acceda al potere e si realizzi. Senza questo, i principi sono meno che niente. Pisono dati per ovvi e pi sono violati, quotidianamente.

    Che ne del lavoro come diritto; dei doveri di solidariet sociale; dellegualedignit di tutti i cittadini; dellambiente come patrimonio comune; della funzionesociale della propriet; degli obblighi tributari che devono ispirarsi allaprogressivit; dei diritti sociali come la salute, listruzione, la protezione dei pideboli? Sono solo esempi (30).

    Senza una politica (anzi pi duna, in costante competizione) che interpreti lelinee di una buona citt la democrazia una farsa dietro la quale c unretroscena, dove si svolge il dramma politico effettivo (24). Da quanto tempo lecose stanno cos? Tutti siamo ormai abituati a veder rispecchiati nei comicilendemica mancanza di pensiero (e la ridondanza di tecniche di marketing) deileader di turno. Ma qui alla risata amara pu seguire il lampo sconcertantedellintelligenza. Da cosa dipende che il pensiero politico in quanto pensieropratico - manchi?

    La riflessione di Zagrebelsky si apre su una bella immagine di una tragedia chemolti grandi pensatori dei grandi enigmi della socialit, forse Platone stesso ecertamente Simone Weil hanno descritto: i mezzi che si fanno fini, e destituisconocon il loro infernale automatismo (lo stesso che precipita lumanit nelle guerre) levolont stesse degli individui e i loro fini svuotandoli di un senso pi cheideologico e verbale. E limmagine delluroboro, il serpente che si morde la coda,il cerchio nichilistico potere-denaro-potere.

    E qui ci sono due piste, che ci vengono proposte, per la ricerca delle cause. Lunava in una direzione oggi molto battuta, certo interessante per il suo potereesplicativo abbastanza universale il problema non riguarda pi i destinidellItalia o dellEuropa, ma dellumanit globale. Questa pista rinvia a unadiagnosi economico-filosofica del capitalismo finanziario, con la sua tendenza asostituire i fremiti dei mercati alle deliberazioni nelle democrazie. Tendenza checulmina simbolicamente nellormai famoso report degli analisti della bancadaffari JP Morgan del maggio 2013, con linsofferenza che esso mostra verso leforme politiche che lEuropa ha costruito nei secoli della sua storia, insofferenzamotivata dal fatto che la democrazia una pietra dinciampo, che spezza il circolopotere-finanza (14).

    Laltra pista va a mio parere pi in profondit, oltre ad essere pi accessibile alpensiero non-specialistico che necessariamente quello dei cittadini come tali, esoprattutto alla loro, alla nostra residua capacit dazione. E senza perdereuniversalit, non perde neppure di vista le specificit della situazione italiana, chequanto a mercati e capitalismo francamente assai peculiare, con la piovra delparticolarismo consortile quando non mafioso che da sempre invade tanto lepubbliche amministrazioni quanto i sistemi dellinformazione, soffocando tanto lalibera competizione economica quanto lindipendenza o almeno il pluralismodellinformazione[1].

    Questa pista non perde affatto universalit e ampiezza di riferimenti: quella pifilosofico-politologica che coinvolge nellanalisi lintera tradizione dei criticipessimisti della democrazia, ed guidata dal dubbio radicale sulla stessa natura diquesta se essa modifichi veramente o no quella che da sempre la regola praticadellesercizio del potere: la persistenza, al pi la mutazione, delle oligarchie.Bench la teoria classica delle forme di governo ammetta come possibile il governodei molti o di tutti che caratterizzerebbe la democrazia, in pratica, si conosconosolo oligarchie del pi vario tipo, pi o meno ampie, pi o menostrutturate.Lesperienza storica mostra che la democrazia, nella sua forma purao pienamente realizzatadi fatto non esiste e non mai esistita, se non in effimerimomenti di gloria.quelli iniziali, dellinstaurazione del potere popolare cheabbatte le strutture gerarchiche del passato. Ma si tratta di momenti passeggeri edistruttivi, non duraturi o costruttivi (33). Oggi questa che era la voce di unJoseph de Maistre diventa tesi addirittura prevalente nella riflessione scientificasulla democrazia (23): guai alle anime belle, perch la democrazia comeautogoverno del popolo tanto pi irrealizzabile quanto pi idealizzata (51).

    Questa direzione di indagine, che permette di analizzare i modi specifici distrutturazione delle oligarchie italiane, permette di andare pi a fondo nonsoltanto nellintelligenza della situazione che nostra, ma anche nellanalisi dellabanalit specificamente nazionale del male (anche morale) che ci affligge.Nellanalisi cio del nichilismo, nome perfino nobile per quella merce da semprepi corrente in Italia, che si chiama cinismo, ma che in questi ultimi ventanni haavuto una peculiare libert di espressione attraverso la sistematica distruzione dirisorse pubbliche, incluse quelle della legalit (inquinamento del sistemanormativo, conflitti di interesse dilaganti, mafie, corruzione, illegalit industriale).E qui siamo tutti coinvolti, tutti quelli che hanno in definitiva accettato, o dovutoaccettare, di vivere nelle cerchie infernali in cui si dispiega luroboro. Zagrebelsky spietato nella diagnosi. La democrazia mostra di poter essere la pi efficaceformula dissimulatoria di ci in cui consiste la realt del potere (52). Di poterloessere e di esserlo di fatto divenuta, qui ed ora.

    E la realt del potere consiste qui ed ora nel modus operandi specificamenteitaliano del suo esercizio fondamentalmente oligarchico: lessere nei giri. Quiciascuno di noi pu aggiungere carne al fuoco dellanalisi. Come lesser presi e

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    collusi nei patti e legami impropri di tutte le entit che lo spirito delle leggivorrebbe reciprocamente indipendenti interesse pubblico e privato in primoluogo, con tutti i mostri generati da questo viscido connubio: ruoli pubblici che sifanno servizi privati, macchine daffari che si fanno organizzazioni di partito, larappresentanza politica che diventa servizio alla clientela, imprese che foraggianola politica per esserne sostenute, la politica che svende risorse e beni pubblici,privatizzando profitti e socializzando perdite, e unenorme percentuale delleattivit, dai consigli di amministrazione dimpresa agli organi di governo eautogoverno di tutte le comunit, comprese le amministrazioni locali, che si svolgesenza trasparenza, e di questa unulteriore enorme percentuale che travalica intutti i modi la legalit, in forma di evasione fiscale, corruzione, malversazione emafiosit. E qui davvero non si salva nessuno, se non forse, ma ben magrasalvezza, se in questa vita disperazione la cerchia dei reietti, degli esclusi dalprimo giro dei potenti- i privilegiati del potere e del denaro, i quali, con funzionidiverse (politiche, ideologiche, tecnico-esecutive, avvocatesche) lucrano delloscambio denaro-potere (16). Ed esclusi anche dal secondo giro, quelli cheoperano per fornire loro la humus materiale necessaria, in ci che restadelleconomia reale: vittime colluse con il primo giro perch, e fino a quando,li protegge desser cacciati nel terzo cerchio. Dove stanno gli inutili, i reietti, idisoccupaticome zavorra che non ha dirittodi frenare o impedire lacrescita.(17).

    Un problema. Dove comincia lambiguit?

    Lanalisi di Zagrebelsky si concluder con un atto di fede nonostante tutto. Evero, la democrazia potrebbe ridursi ai momenti di gloria in cui cadono le vecchieoligarchie. Ma in primo luogo c una bella differenza se data la possibilit dicreare momenti non eroici di distruzione delle oligarchie: non con le violenze ele distruzioni che accompagnano le rivoluzioni, ma con lappello alla forza dellalegge applicata in modo uguale per tutti e alla libera circolazione delleinformazioni: in una parola, alle precondizioni che permettono oneste misurazionidel consenso e del dissenso. In secondo luogo, proprio lanalisi spietata chepermette di ipotizzare una forza intrinseca nella democrazia, che la fa rivoltarecontro se stessa e diventare oligarchia dissimulata mostra che la democraziacela una contraddizione, la contraddizione che consente a chi ne escluso dicombattere [la realt del potere] legittimamente, proprio in nome dei suoi stessiprincipi, dietro i quali si opera la dissimulazione (53).

    Eppure questo nonostante tutto, questo ottimismo della volont sembrascontrarsi senza esito fausto con il dato di fatto che il pessimismo dellintelligenzaha illuminato: gli esclusi stessi o sono collusi, o lo sono stati: e come ipotizzare chepossano avere in quantit sufficiente a divenire maggioranza un orizzontediverso da quello del cerchio nichilistico? Come aver fiducia in quegli stessisoggetti che sono magistralmente descritti nel capitolo sul Servilismodemocratico? Il giro pesca in basso. Il ruere in servitium di cui parl Tacito,oggi, ha un aspetto democratico perch non si presenta a prima vista comesopraffazione, ma come partecipazione. La servit dispotica un poterecristallizzato; la servit democratica mobile, instabile, stressante (45). Oltre laservit democratica, per, c la vita dei reietti, la disperazione. E come averfiducia nella disperazione?

    Ma le risorse dellanalisi, e soprattutto il concetto centrale di questo saggio comedi altri ce lo precedono[2], quello di ambiguit della democrazia, permettono didire di pi, e forse di poggiare lottimismo della volont su basi meno precarie. Perquesto mi permetto di ri-orientare la discussione su questo binario dellambiguit,traducendo il termine nellidea di una doppia direzione possibile di sviluppo dellademocrazia. Se, tentando un prolungamento in questo senso, incorreremo nelvizio dellanima bella, questo non sar certo imputabile al nostro punto dipartenza e sar esclusiva colpa di chi scrive.

    Gi Gustavo Zagrebelsky va oltre lanalisi della dittatura dei mezzi (denaro epotere) che diventano fini, e della forma che il serpente nichilista ha preso nelmondo globale. I primi tre capitoli di questo libro ci illuminano su queste formedel nichilismo contemporaneo. Tutti gli altri, attraverso un prolungamento diquella che fu la riflessione di Norberto Bobbio, indagano sulle promesse nonmantenute di questo che secondo Bobbio essenzialmente il regime del poterevisibile[3]. E in particolare, appunto sulla persistenza delle oligarchie e su quelladel potere invisibile. Torniamo alla questione centrale: la promessa di quelleche possono essere mantenute? Oppure una di quelle, cos frequenti nella vitapolitica, che si fanno proprio per non essere mantenute?....In altre parole, lademocrazia unillusione? (37)

    Il serpente che si morde la coda, il cerchio nichilistico potere-denaro-potere cheZagrebelsky descrive forse precisamente il circolo vizioso che la democrazia hacominciato a percorrere, una delle due direzioni in cui il circolo necessario fracrescita della cittadinanza negli individui ed effettivo funzionamento delleistituzioni democratiche pu muoversi. Laltra direzione, quella virtuosa delladiminuzione della sudditanza degli individui, presuppone istituzioni chepermettano lesercizio pieno della cittadinanza e delle sue difficili virt, e che,prima ancora, rendano possibile lenorme maturazione morale che fa dei bambinidegli adulti capaci di autonomia e di responsabilit per i beni di tutti, e deicittadini. Labbiamo mai imboccata? No, se siamo ancora cos distanti da ognistandard europeo per la crescita personale dellautonomia, dellinformazione,

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    della capacit critica, del senso della cosa pubblica, del disprezzo dellillegalit inmasse tanto vaste di popolazione.

    Ma sul punto al quale arrivato il circolo vizioso, Zagrebelsky lascia pochesperanze: Se solo per un momento potessimo sollevare il velo e avere una vedutadinsieme, resteremmo probabilmente sbalorditi di fronte alla realt nascostadietro la rappresentazione della democrazia. Catene verticali di potere, quasisempre invisibili e talora segrete, legano tra loro uomini della politica delleburocrazie, della magistratura, delle professioni, delle gerarchie ecclesiastiche,delleconomia e della finanza, delluniversit, della cultura, dello spettacolo,dellinnumerevole pletora di enti, consigli, centri, fondazioni, eccetera, che,secondo i propri principi, dovrebbero essere reciprocamente indipendenti e invecesono attratti negli stessi mulinelli del potere, corruttivi di ruoli, competenze,responsabilit (42)

    C modo, da questa situazione di stallo, di invertire la direzione del circolo? Forses ma allora forse il momento venuto di un radicale mea culpa proprio daparte di tutti gli operatori delle professioni, delluniversit, della cultura, dellegerarchie intellettuali (ecclesiastiche e non), dei professori anche, che hannoreso possibile e vera la desolata descrizione qui sopra. Un mea culpa riguardo allarealt nascosta dietro la rappresentazione della democrazia: cio la completaerosione dellidealit, e con essa di tutto ci che ha natura di imperativo categoricoe normativo, di dovere insomma: lappiattimento dellideale sul fattuale e deldiritto sul potere. Il mea culpa investe gli operatori dellideale in due direzioni:quella del silenzio pubblico e quella della rassegnazione intellettuale nella ricerca enella formazione. Il silenzio corrisponde alla nostra auto-deresponsabilizzazione,allauto-destituzione dal compito, come diceva Kant, di dar voce alla ragionenello spazio pubblico che poi lauto-destituzione del soggetto morale nelle suevesti pubbliche, quelle del cittadino; e la rassegnazione intellettuale corrispondealla poca cura di un compito deontologico preciso. Perch chi, se non noi, avrebbedovuto tenere in vita il senso della differenza fra lidealit e la volont di potere?Evidentemente, non ne siamo stati capaci.

    E se questo vero, allora anche vero che i disfattisti del cambiamento non sonocerto quei pochi cittadini che, lungi dal fondare partiti o movimenti di massa,esercitano in tutti gli ambiti della vita civile il diritto-dovere della critica ciodella discussione dei fini.

    Torniamo allora al rimprovero fondamentale rivolto ai professori: a furia digridare al lupo, al lupo nessuno vi creder pi. Come se il lupo ancora dovessevenire. Come se non fosse gi in noi e fra noi. Il rabbioso, affamato ghigno dellefauci ci che resta in un uomo quando lo spogliate di tutta lidealit, che pensiero e cognizione del valore, ovvero di ci che prezioso, di ci in vista di cuisi dovrebbero fare le altre cose; di ci che non consuma la vita ma la ricrea, di ciche non serve ad altro ma d senso e valore alloggi. Come la bellezza, come lagiustizia, come la fioritura delle giovinezze, come la ricerca e la scienza, come ipaesaggi storici intrisi di memoria e di cultura che questo paese ancora in piccolaparte conserva. Ci la cui assenza la cui distruzione - cognizione del dolore, maanche sdegno e coraggio, e speranza e lotta, impegno etico, civile e politico.Tensione al fine.

    E chi ci ha spogliato dellidealit? Qui non c salvezza per nessuno. Noi stessi loabbiamo fatto, o i pi fra noi. La democrazia ce lo ha permesso. Non certo nelsenso che invece un regime non democratico, uno stato etico, crescerebbe negliuomini lidealit tutta la storia umana, e non solo quella dei totalitarismi,sembra confermare che non c peggior bestemmia che fare del valore strumento e in modo menzognero, fine - dellesercizio del potere. Non c altro peccatoimperdonabile, perch contro lo spirito: il peccato che trasforma in paroleassassine (Simone Weil) le parole divine, bellezza, giustizia, ricerca della verit.Che mette le bandiere dei valori sui cannoni o sui droni.

    Ma la nostra democrazia ci ha permesso di spogliarci di ogni idealit nella misurain cui ha espresso fino in fondo, dalla prima alla seconda Repubblica eaccentuando via via questa tendenza fino al parossismo dei nostri giorni, quellapossibilit che della democrazia costitutiva, e che Zagrebelsky ha illuminato conuna variazione sul concetto di ambiguit quello di mimetismo. Quasi tutti iregimi si qualificano come democratici. Perch , fra tutti, quelli democratici sonoi pi mimetici. La democrazia il solo regime che pu presentarsi comelorganizzazione di un potere disinteressato (52). Ma forse, per metterecompletamente a fuoco questo punto, occorre andare oltre Bobbio anche in temadi rapporto fra etica e politica.

    Lambiguit comincia nel pensiero. Dunque in certo modo comincia in noi, inciascuno di noi. Forse la radice dellambiguit va ritrovata l dove tutti i sistemiriconducono, l dove soltanto il pensiero umano si genera. Nella mente e nel cuoredi ciascuna persona. Lo diceva Aldo Capitini, uno dei fondatori di Giustizia elibert: ogni cosa preziosa nasce e riposa sulla prima pietra di unanima. Questovuol dire che il circolo vizioso della democrazia non pu arrestarsi e cambiarverso, in primo luogo, che nelle anime e naturalmente dove questo ancorapossibile. In quelle giovani, appena nate. Dunque s, la via lunga, se non vuoleesser eroica o sanguinaria. Ma in un certo senso la sua miglior parte non puattendere pi un solo momento. La rivoluzione deve esserci nel pensiero, ed davvero tempo. Probabilmente, del resto, questa rivoluzione in corso, nel

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    silenzio in cui sempre i semi germinano.

    La mia tesi che il nesso delletica con la politica oggi si esplichi in primo luogonel compito precipuo e pi trascurato che ha la nostra intelligenza : distinguere. Ilvero male non il male, ma la mescolanza del bene e del male. E questamescolanza larma in tempi in cui poca presa hanno le ideologie nel sensotradizionale del termine di cui si serve chiunque sguazzi oggi in quella totaleerosione del normativo e dellideale a vantaggio dei fatti e delle forze, quellanormalizzazione impunita dellillecito, quel nuovo modo che ha il reale diconsiderarsi razionale, in cui abbiamo identificato la cifra del nostro tempo, qui,nel paese Italia.

    Perch la mescolanza del bene e del male unarma? Perch per quantoscilipotica, o razziana, sia divenuta la coscienza di una maggioranza di politici dimestiere, impossibile per un essere umano fare o accettare senzaltro, senzascusanti, che sia fatto il male assoluto, il male in quanto male, e riconosciuto pertale senza residuo, il male puro. Qualunque di quelle operazioni che Bobbio eKant ritenevano inattuabili se non di nascosto, pu farsi oggi alla luce del sole,purch nel corrivo silenzio di stampa e media o nello stridore da pollaio dei talkshow che tutto copre di una stessa patina di nonsenso. Ma deve mescolarsi di unpretesto di bene, o almeno del viscido ragionamento del male minore, comequello che in certa sinistra italiana giustifica il crimine ecologico e ambientalepurch si salvi uno straccio di lavoro e occupazione.

    Perch occorre sempre un pretesto, una scusante? Perch solo cos lo sguardo pudistogliersi dalla parte di male e volgersi a quella di bene, per quanto infinitesima.Guardatene la controprova: il male assoluto, il male da tutti riconosciuto tale, haperduto lartiglio, diventato impotente: e infatti il male assoluto, se ci pensate,esiste per noi solo al passato, quando ha finito, per lo pi, di uccidere. Cos lamenzogna quando da tutti riconosciuta tale non fa pi male a nessuno. Malevero fa quando ancora mista di verit, e per questo tanti se ne credonolegittimati a distogliere gli occhi dalla parte di menzogna. Anche la menzognauccide solo finch non assoluta. E questa la sorte del male: mediet, mescolanza,ambiguit. Il suo color di topo indifferenza, ignavia, terzismo: banalit. E laganga sociale e consortile di cui si nutre ogni potere fondato sulla forza e su quelconsenso passivo, impersonale e senza volto di cui fatta infine sempre laviolenza, e in primo luogo la violenza fatta alla verit. Il potere del farabutto nelsilenzio di chi non gli chiede ragione. Ci sono silenzi che hanno la stessa naturadella nebbia e del fumo: offuscano le differenze, ottundono lattenzione. O fannoprendere la consistenza e il colore del fumo anche alla parola, la cui essenza luce,distinzione, chiarezza.

    C stato un momento in cui le parole-mantra di oggi, stabilit e governabilitnon erano ancora i nomi locali, italiani, della dittatura del presente. Non unaltraepoca: solo qualche anno ci separa da quel momento in cui parso che instabilite incertezza fossero, non, come sembra alla maggioranza politica di oggi, il maleassoluto ma al contrario, lespressione delle questioni politiche fondamentaliche venivano alla luce. Questioni di fine, appunto. Pareva che, dando loro spazio,affrontando instabilit e incertezza, fosse ancora possibile per la politica curare lapolitica. O almeno cos auspicava un uomo che era stato ministro delleconomia, eche fu anche duramente attaccato perch diceva che pagare le tasse una cosabellissima. Per quello che fu evidentemente giudicato un eccesso di idealit,appunto. Ne venissero ancora, di uomini cos. Lasciamo a lui lultima parola, chein poche righe riassume meglio di questa intera riflessione il senso che vorremmoavesse, il senso di un richiamo al discorso sui fini.

    Instabilit e incertezza non nascono da disaccordi in campi, pur importantissimi,di politica ordinaria: scuola, disoccupazione, servizi pubblici, sicurezza deicittadini. Ancor meno, per, nascono da un semplice scontro di personalit e dipotere. Le questioni da cui nascono sono pi, non meno, fondamentali dellapolitica ordinaria: contrappongono diverse concezioni dello Stato, della politica,della legalit. Al contrario delle deboli scosse di assestamento che dopo il 1948hanno accorciato la vita dei governi della Prima Repubblica lasciando intattestruttura del potere e direttrici di fondo, qui si muovono faglie profonde: lalegalit, lo Stato di diritto, larchitettura dello Stato, il funzionamento delleistituzioni e della democrazia[4].

    NOTE

    [1] Come dimostrano le ultime tristi vicende del Corriere della sera, cf, Report,14/04/2014. [2] Zagrebelsky (.) Il crucifige e la democrazia, [3] N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, ne Il futuro della democrazia,Einaudi, Torino 1984, p. 76 [4] T. Padoa Schioppa, La politica curi la politica, Corriere della sera,14/08/2010

    (22 aprile 2014)

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    Giovanni Domenella Universit degli Studi di Macerata Giurisprudenza

    L'idealit perduta a me pare sia solo quella di una metafisica delle ideeastratta dalla realt e dalle contingenze della storia. Cio quella dellaconfusione delle idee.

    Rispondi Mi piace Segui post 23 aprile alle ore 16.461

    Dado Derrick Top Commentator Scuola Media Sinopoli

    Guardi, Domenella, che "contingenze della storia" un ossimoro.La storia vive e giudica su tempi pi lunghi della nostracontingenza politica. In quest'ultima viviamo tutti, e dovremmoviverla alla luce dei valori ( e anche delle idealit) sui quali sifonda la nostra identit personale. Se li sacrifichiamo per seguirerealt e contingenze diventiamo banderuole o giunchi che sipiegano al potere dei dominatori del momento.

    Rispondi Mi piace 24 aprile alle ore 16.231

    Giovanni Domenella Universit degli Studi di MacerataGiurisprudenza

    Caro Dado il giacobinismo delle astrazioni e delle grandi paroleha gi avuto il suo storico giudizio.

    Rispondi Mi piace 30 aprile alle ore 18.43

    Tommaso Arcella Architect presso Self-Employed

    Bravo Dado.

    Rispondi Mi piace Segui post 24 aprile alle ore 19.071

    Crogenito Malatesta

    Idealismo, idealit, idein: termini inflazionati da personalit che guardano ilproprio ombelico; sono all'opera da decenni, oggi presentano il conto e lastoria nei suoi momenti fatali li giudicher come i vermi che rivoltano le zolledel terreno della giustizia.

    Rispondi Mi piace Segui post 1 maggio alle ore 12.351

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    democraziae populismo di John McCormickPer John McCormick, uno dei maggioriconoscitori di Machiavelli nel mondoamericano, alcune forme di populismo sonoassolutamente necessarie per rendere gli attualisistemi elettorali-rappresentativi pigenuinamente democratici.

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