Il tema dell’Apocalisse nella storia dell’arte in PDF/Capitolo 2.pdf · concepiti ancora come...

22
II CAPITOLO Il tema dell’Apocalisse nella storia dell’arte II.1. L'Apocalisse figurata tra Medioevo e Rinascimento Si le thème de l’apocalypse est un thème bien connu de la peinture religieuse dès le Moyen-Age, on a toutefois tendance à oublier qu’il s’est manifesté bien au delà de cette époque, jusqu’au XIX siècle, et qu’on peut le retrouver dans un art fort différent de celui des moines ou des peintres flamandes. 1 Nell’Inghilterra del XIX secolo, la paura e l’attesa degli avvenimenti predetti nell’ultimo libro della Bibbia, erano, come abbiamo visto, maggiormente sentite rispetto agli altri paesi europei nella stessa epoca, e la questione veniva principalmente trattata ponendo l’accento sul Giudizio Universale. Il tema religioso ha da sempre avuto un ruolo fondamentale nelle arti figurative, e, in particolar modo, l’Apocalisse ha stimolato svariati artisti proprio per le sue indiscusse caratteristiche figurative. 2 Non dobbiamo infatti dimenticare che l’ultimo libro della Bibbia è un testo che va al di là della semplice lettura, e fin dal prologo si presenta come un libro da “guardare”: Rivelazione di Gesù Cristo, a lui commessa da Dio per far sapere ai suoi servi ciò che deve tosto avvenire, e da lui manifestata, mediante l’invio del suo angelo, al suo servo Giovanni, il quale attesta, qual parola di Dio e dichiarazione di Gesù Cristo, quanto egli ha veduto. 3 Un libro la cui narrazione inizia effettivamente dopo l’esortazione «quello che vedi, scrivilo in un libro» (Apo I:11) e dove la vista gioca un ruolo così importante, che non meno di 36 volte nei suoi 22 capitoli, Giovanni scriverà «io vidi». Come conferma anche lo studioso Louis Réau, nella sua opera sull’iconografia nell’arte cristiana, «Nigún otro libro de la Biblia, salvo los Salmos, fue 1 J.D. Rudney, Apocalypse et peinture de catastrophe en Angleterre au XIXe siècle: les peintres John Martin, Francis Danby et Samuel Colman, in “Cahier Charles V”, vol. VII, 1985, p. 89: «Se il tema dell’apocalisse è certamente ben conosciuto nella pittura religiosa del Medioevo, si ha tuttavia tendenza a dimenticare che si è manifestato ben al di là di quest’epoca, fino al XIX secolo, e che lo si può ritrovare in un’arte ben differente da quella dei monaci e delle pitture fiamminghe». 2 C. Burdon, The Apocalypse cit., pp. 16-30. 3 Apo I:1-2, in La Sacra Bibbia cit., p. 2263.

Transcript of Il tema dell’Apocalisse nella storia dell’arte in PDF/Capitolo 2.pdf · concepiti ancora come...

II CAPITOLO

Il tema dell’Apocalisse nella storia dell’arte

II.1. L'Apocalisse figurata tra Medioevo e Rinascimento

Si le thème de l’apocalypse est un thème bien connu de la peinture religieuse dès le

Moyen-Age, on a toutefois tendance à oublier qu’il s’est manifesté bien au delà de cette

époque, jusqu’au XIX siècle, et qu’on peut le retrouver dans un art fort différent de celui

des moines ou des peintres flamandes.1

Nell’Inghilterra del XIX secolo, la paura e l’attesa degli avvenimenti predetti nell’ultimo

libro della Bibbia, erano, come abbiamo visto, maggiormente sentite rispetto agli altri paesi europei

nella stessa epoca, e la questione veniva principalmente trattata ponendo l’accento sul Giudizio

Universale. Il tema religioso ha da sempre avuto un ruolo fondamentale nelle arti figurative, e, in

particolar modo, l’Apocalisse ha stimolato svariati artisti proprio per le sue indiscusse

caratteristiche figurative.2 Non dobbiamo infatti dimenticare che l’ultimo libro della Bibbia è un

testo che va al di là della semplice lettura, e fin dal prologo si presenta come un libro da “guardare”:

Rivelazione di Gesù Cristo, a lui commessa da Dio per far sapere ai suoi servi ciò che

deve tosto avvenire, e da lui manifestata, mediante l’invio del suo angelo, al suo servo

Giovanni, il quale attesta, qual parola di Dio e dichiarazione di Gesù Cristo, quanto egli

ha veduto.3

Un libro la cui narrazione inizia effettivamente dopo l’esortazione «quello che vedi, scrivilo

in un libro» (Apo I:11) e dove la vista gioca un ruolo così importante, che non meno di 36 volte nei

suoi 22 capitoli, Giovanni scriverà «io vidi». Come conferma anche lo studioso Louis Réau, nella

sua opera sull’iconografia nell’arte cristiana, «Nigún otro libro de la Biblia, salvo los Salmos, fue

1 J.D. Rudney, Apocalypse et peinture de catastrophe en Angleterre au XIXe siècle: les peintres John Martin, Francis Danby et Samuel Colman, in “Cahier Charles V”, vol. VII, 1985, p. 89: «Se il tema dell’apocalisse è certamente ben conosciuto nella pittura religiosa del Medioevo, si ha tuttavia tendenza a dimenticare che si è manifestato ben al di là di quest’epoca, fino al XIX secolo, e che lo si può ritrovare in un’arte ben differente da quella dei monaci e delle pitture fiamminghe». 2 C. Burdon, The Apocalypse cit., pp. 16-30. 3 Apo I:1-2, in La Sacra Bibbia cit., p. 2263.

tan frequentemente illustrado ni inspiró tantas obras de arte esculpidas, pintaras o grabadas, sin

contar las tapicerías y vidrieras».4

Le immagini visionarie dell'Apocalisse costituiscono uno dei temi più diffusi dell'arte sacra

fin dall'epoca Carolingia (le apocalissi precarolinge sono purtroppo andate perdute), ed ebbero un

formidabile incremento, specialmente attorno all’anno Mille, quando, secondo la storiografia

romantica, la paura della fine del tempo dava particolare credito alle profezie di una Nuova Venuta

e della fine del mondo.5 In realtà, i maggiori storici del XX secolo hanno dimostrato che l’idea degli

orrori dell’anno Mille nasce più tardi, e che, al contrario, l’attesa fosse piena di speranze: «l’avvento

di un futuro raggiante».6 La crescente preoccupazione per l’educazione morale delle masse

illetterate fece sì che, a partire dal XIII secolo, si sviluppasse un particolare tipo di commento alle

Sacre Scritture: una forma condensata e riassuntiva, che prevedeva l’uso estensivo di immagini

creando, quindi, una vera e propria Bibbia illustrata. In particolare, questo avveniva con alcuni testi

concepiti ancora come volumi individuali, come è il caso dei Vangeli e dell’Apocalisse.7

Verso la metà del XIII un nuovo tipo di manoscritto miniato apparve in Inghilterra, [...]

divenendo subitamente molto popolare: l’Apocalisse, cioè un breve testo in latino o in

francese che spiegava le scene illustrate nelle miniature.8

Nella produzione di questi manoscritti miniati, la scuola anglosassone, sviluppatasi

soprattutto nei pressi di Canterbury e Winchester, ebbe un indiscusso posto d’onore, per la grazia e

la delicatezza delle sue opere. All’interno del ciclo anglo-normanno, sviluppatosi in seguito alla

conquista del 1066, si notano: il testo oggi conservato al Trinity College di Cambridge, miniato nel

1230 per la regina Eleonora, dall’Abbazia di Saint Alban; la famosa Apocalisse Douce della

Bodleian Library di Oxford, prodotta nel 1270 per Edoardo I, dall’Abbazia di Saint Augustine a

Canterbury; e la Lambeth Apocalypse, sempre miniata dall’Abbazia di Saint Augustine a

Canterbury tra il 1260 e il 1275, per Eleonora De Quincy, contessa di Winchester.9 È tale

l’eccezionalità di queste opere, che daranno vita a «la vogue d’une Apocalypse en images».10

4 L. Réau, Iconografíe cit., p. 692: «Nessun altro libro, eccetto i Salmi, fu tanto frequentemente illustrato né ispirò tante opere della scultura, pittura o dell’incisione, senza contare la tappezzeria e le vetrate». 5 Per uno studio approfondito si vedano M. Rickert, La miniatura inglese: dalle origini alla fine del secolo XII, in Collana della storia della miniatura, Electa, Milano, 1959; P. Skubiszewski, L’arte europea dal VI al IX secolo, UTET, Torino 1995; X. Muratova, L’Alto Medioevo: i secoli X e XI, UTET, Torino, 2000 entrambe le opere in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo. 6 X. Muratova, L’Alto Medioevo cit., p. 37. 7 G. Jaritz (a cura di), Il Manoscritto Medievale, Dipartimento di Studi Medievali, Central European University, Torino, s.d. (disponibile in www.ceu.hu). 8 M. Rickert, La miniatura inglese: dal XIII al XV secolo, in Collana della storia della miniatura, Electa, Milano, 1961, p. 9. 9 Per approfondimenti si vedano M. Rickert, La miniatura inglese: dal XIII al XV secolo cit.; F. van der Meer, L’Apocalypse dans l’art, Fonds Mercator, Anvers, Chêne, 1978, p. 175; L. Réau, Iconografíe cit., p. 695; M. Michael, Lo stile e il richiamo della fede, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese, nella collana La pittura in Europa, Electa, Milano, 1998, pp. 31-33, A.

Posséder une Apocalypse illustrée fut longtemps le privilège des grands et des maisons

religieuses bien dotées; seul les princes et les très grandes dames avaient les moyens de

se procurer un manuscrit luxueusement enluminé.11 Nelle opere medioevali era rappresentata una visione molto negativa dell’ira divina: esseri

infernali, mostri e strane creature del mondo onirico, facevano da corona alle vivide figure Sacre.

Questi simboli, evocatori di una terrificante vendetta, divennero così definitivamente parte «di un

grande repertorio medioevale raffigurante scene del Giudizio Universale, come pure nel fitto e

continuo svolgersi di motivi decorativi mostruosi e poi grotteschi».12 Ciononostante, come ci

ricorda lo storico Jean Delumeau, che ha curato la prefazione al testo di Frederik van der Meer,

L’Apocalypse dans l’art, la più grande epoca di diffusione delle paure e delle speranze

escatologiche nell’arte, si situò tra il Tardo Medioevo e il Rinascimento, e più precisamente tra la

fine XIV secolo e la metà del XVI: «Les plus puissantes et les plus nombreuses réalisations

iconographiques consacrées à l’Apocalypse, à l’Antéchrist et au Jugement dernier datent toutes du

temps de la Pré réforme et de la Réforme».13

I motivi storici, culturali e spirituali che portarono a questa crisi sono da ricercare nel fatto

che, in quegli anni, le strutture fondamentali della società europea entrarono in crisi, e le due forme

essenziali e millenarie di organizzazione temporale e spirituale persero autorevolezza: la Chiesa,

dilaniata da una lotta intestina, fu minata dallo Scisma d’Occidente (1378-1417); per contro, gli

imperi furono devastati da vere e proprie guerre, spesso lunghe ed estenuanti, come la Guerra dei

Cent’anni tra Inghilterra e Francia (1337-1453). Questa dissoluzione fu accompagnata da

movimenti rivoluzionari, non solo a carattere sociale, ma anche religioso.14 «Si dissolve l’ordine

esistente, le tradizionali forme di organizzazione decadono, insorgono molteplici forme di

millenarismo e nascono aspettative apocalittiche».15

È su queste basi che il testo sacro trovò la sua massima rappresentazione nell’arte

fiamminga di quegli anni, e più in generale, nei cicli figurativi del nord Europa. Gli artisti in primo

Varisco, L'illustrazione dell'Apocalisse: dal libro miniato ai libri tabellari, in Teologia dell’arte, Artcurel Editoriali (disponibile in www.artcurel.it). 10 F. van der Meer, L’Apocalypse cit., p. 172: «la moda di un’apocalisse in immagini». 11 Ivi, p. 273: «Possedere un’Apocalisse illustrata fu per lungo tempo privilegio dei grandi e delle case religiose ben dotate; solamente i principi e le donne molto nobili avevano i mezzi per procurarsi un manoscritto lussuosamente miniato». 12 A. Varisco, Il mille e l’Apocalisse. Storia dell’iconografia dell’apertura dei primi 4 sigilli. Il Beatus de Ljebana e altri, in Teologia dell’arte, Artcurel Editoriali (disponibile in www.artcurel.it). 13 F. van der Meer, L’Apocalypse cit., p. 9: «Le più possenti e numerose realizzazioni iconografiche consacrate all’Apocalisse, all’Anticristo e al Giudizio finale, sono tutte datate tra la Preriforma e la Riforma». 14 R.A. Giffiths, Il basso medioevo, in K.O. Morgan (a cura di), Storia cit., pp. 151-196; J. Białostocki, Il quattrocento nell’Europa settentrionale, in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo, UTET, Torino, 1989, pp. 1-5. 15 J. Białostocki, Il quattrocento cit., p. 4.

piano, per la loro produzione apocalittica, furono Dierick Bouts (c. 1415-1475), Hieronymus Bosch

(c. 1450-1516), Albrecht Dürer (1471-1528), Jean Duvet (1485-c. 1570), e Pieter Bruegel il

Vecchio (c. 1525-1569), i quali costituirono il punto di riferimento degli artisti apocalittici nei

secoli successivi.16 In particolar modo, il clima religioso, l’invenzione della stampa e la diffusione

dell’incisione, non solo trasmisero il testo di Giovanni ad un pubblico sempre più ampio, ma

consacrarono come massima espressione, per il loro grande impatto emotivo e la maestria tecnica,

le quindici xilografie dell’Apocalipsis cum figuris17 di Dürer (1498).

Fu in parte proprio la grande ammirazione del genio norimbergese, che creò un

appiattimento artistico attorno a questo tema: le successive Apocalissi figurate ripeterono, infatti,

pedestremente, la sua illustrazione. Tuttavia, i motivi di un simile silenzio artistico, sono da

ricercarsi prevalentemente nel mutamento dei gusti estetici:

Ciò che allontana gli artisti dal Libro dell’Apocalisse non è dunque la mancanza di una

concezione della storia in linea con la teologia di Giovanni, ma la lontananza dalla

forma estetica di tale teologia. Quando al simbolo si preferisce una lettura diretta e

morale della realtà, non ci si accosta all’Apocalisse ma a testi meno criptici, più

chiaramente esemplari ed etici.18

La storia dell’arte inglese del XVI e XVII secolo, vide un decisivo calo d’interesse nei

confronti del soggetto religioso, probabilmente anche a causa dell’allontanamento dalla Chiesa

Cattolica in seguito alla Riforma Protestante e allo Scisma Anglicano voluto da Enrico VIII. In

effetti, questi eventi fecero in modo che l’offensiva del Barocco fosse piuttosto temperata. Una

reazione che frenò sia gli aspetti figurativi più fastosi, tipici di questa corrente, sia ogni eventuale

influenza delle arti figurative legate alla Chiesa Anglicana. La Riforma promosse un senso di rigore

e sobrietà, che non fu di grande impulso per le arti figurative e decorative. La pittura religiosa

scomparve del tutto, a parte poche eccezioni, come, ad esempio, la commessa affidata nel 1682 al

16 Su questi artisti e la loro produzione si vedano H. Honour e J. Fleming, World History of Art, Fleming Honour Ltd., London, 1982, trad. it. a cura di E. Capriolo, Storia universale dell’arte, Laterza, Roma, 1982, pp. 271-387; J. Białostocki, Il quattrocento cit., passim. E ancora R. Maillard (a cura di), Dictionnaire universel de l’Art et des Artistes, Fernand Hazan, Paris, 1967-1968, trad. it. di M. Attardo Magrini, Dizionario universale dell'arte e degli artisti, Il saggiatore, Milano 1970; C. Pirovano (a cura di), Il dizionario dei pittori, in La Pittura in Europa, Electa, Milano, 2002; AA. VV., Enciclopedia universale dell'arte, Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia; Roma, 1958-1967; E. Benezit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs de tous les temps et de tous le pays par un groupe d'ecrivains specialistes francais et etrangers, Gründ, Paris, 1976, alle voci dei rispettivi nomi degli artisti . 17 «Nel 1498 compare un’opera d’arte che con ragione potrebbe essere definita un sintomo della svolta tra i grandi periodi della storia culturale europea. […] Nell’opera di Dürer siamo testimoni di una realtà terrificante, dinamica e visionaria, descritta con un potere di suggestione che lascia un’impronta durevole nella mente»: in J. Białostocki, Il quattrocento cit., p. 281. 18 A. Varisco, L’illustrazione del libro dell’Apocalisse Post-Rinascimentale, in Teologia dell’arte, Artcurel Editoriali, s.d. (disponibile in www.artcurel.it).

bolognese Benedetto Gennai dalla allora duchessa di York, e poi regina, Maria di Modena, la quale

richiese una pala d’altare, rappresentante la Sacra Famiglia.19

In campo strettamente artistico, la scuola inglese era ancora poco sviluppata e i committenti

britannici preferivano le opere e gli artisti stranieri, piuttosto che investire su quelli autoctoni. Il

gusto generale era principalmente dettato dall’arte fiamminga, certamente quella più apprezzata, la

quale era caratterizzata da ritratti e nature morte, con soggetti di frutta e ortaggi. Per di più, la

crescente tendenza a possedere una collezione d’arte privata da parte non solo della corte, ma anche

dei cittadini benestanti, poneva maggiormente l’accento su come il gusto artistico si avvicinasse più

che altro a soggetti laici di carattere personale.20

II.2. Arte in Inghilterra tra XVIII e XIX secolo

Dobbiamo attendere il Settecento per avere un risveglio generale dell’arte inglese21, e con

esso del tema religioso.22 La sensibilità letteraria che si sviluppò nel corso del XVIII secolo in tutta

Europa, permeò anche le belle arti, facendo un luogo comune del famoso motto “ut pictura poësis”,

derivante dall’oraziana Ars poetica.23 Sin dalla fine del Seicento, «the relationship between painting

and poetry had […] become fully acknowledged in England as an integral part of aesthetic theory

and practice».24 Di conseguenza, le teorie letterarie del neoclassicismo prima, e del romanticismo

dopo, diedero un indirizzo ben definito anche alle arti figurative. Già dagli anni ‘70 del Settecento,

decennio dello Sturm und Drang tedesco e di altre manifestazioni precoci del Romanticismo,

numerosi artisti dell’Europa settentrionale utilizzarono l’arte e le fonti letterarie classiche per

realizzare pitture e disegni, il cui carattere appassionato raggiunge il culmine delle tensioni

19 G. Arbore-Popescu, L’arte nell’età delle monarchie assolute, in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo, UTET, Torino 1997, pp. 178-185. 20 G. Arbore-Popescu, Immagine del potere, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., pp. 75-87. 21 O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione e delle rivoluzioni, in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo, UTET, Torino, 2000, pp. 24-32. 22 Una nuova commessa per un soggetto sacro arrivò soltanto nel secondo decennio del Settecento, quando Sir James Thornhill ricevette l’incarico di affrescare, con otto decorazioni monocrome, la cattedrale di Saint Paul: in G. Arbore-Popescu, L’arte cit., p. 178; Immagine del potere, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., p. 75. 23 S. Perosa, La transitabilità letteraria e figurativa, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., p. 261. 24 M. Roston, Changing Perspectives in Literature and the Visual Arts, 1650-1820, Princeton University Press, Princeton, 1990, p. 44: «in Inghilterra, la relazione tra la pittura e la poesia era diventata completamente riconosciuta come parte integrante della teoria e della pratica estetica».

interiori.25 Fu proprio in quegli anni che si ebbe uno sviluppo delle condizioni artistiche inglesi,

grazie soprattutto alla fondazione di numerose accademie di iniziativa privata, tra le quali divenne

un’istituzione la Royal Academy of Arts, creata nel 1768. Le composizioni pittoriche si

allontanarono finalmente dai ristretti confini della ritrattistica e delle nature morte, per dare vita ai

diversi generi, fra i quali la conversation piece, ossia il ritratto informale derivato, in particolar

modo, dal gusto per il romanzo; la pittura paesaggistica di derivazione francese e italiana; e, infine,

la history painting, dipinti narrativi che ricreavano episodi della storia, della mitologia e della

Bibbia.26 Londra viveva un vibrante momento nell’evoluzione della sua tradizione figurativa,

determinato dalla straordinaria libertà di cui godevano i suoi artisti, che non erano limitati da vincoli

di patronato, laico e religioso, o da uno stile ufficiale da seguire ed emulare. Il libero mercato

dell’arte e la stimolante competizione tra artisti che si affrontavano in mostre pubbliche, promossero

innovazione e originalità, e introdussero il movimento romantico.

Come mostra Murray Roston nella sua ampia analisi dei cambiamenti artistici e degli

sviluppi tra la fine del XVII e la metà del XIX secolo27, la pittura, come la letteratura di quegli

stessi anni, fondò le sue basi su alcune espressioni del passato, conformandosi prevalentemente a

«whate’er Lorrain light-touch’d with softening hue,/ Or savage Rosa dashed, or learnèd Poussin

drew».28 Seguendo i dettami della nuova corrente, gli artisti iniziarono ad esplorare le qualità

estetiche ed emozionali dell’immensità, dell’oscurità e del terrore. Le teorie sul Bello29 e sul

Sublime30, definite da Edmund Burke nel 1757, influenzarono ampiamente la pittura di fine secolo,

dando vita a diverse categorie visive, basilari per le grandi opere escatologiche. Con la qualità del

Pittoresco31, derivato da entrambi i concetti di Bello e Sublime, ma in opposizione tale da formare

una terza categoria estetica a se stante, si definiva ciò che in natura o nell’arte avesse elementi

25 Si veda l’attenta analisi sullo sviluppo del gusto romantico in I. Ciseri, Il Romanticismo: 1780-1860, Mondatori, Milano, 2003, passim. 26 I. Bignamini, Hogart e il suo tempo, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., pp. 111-133; O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., pp. 24-32. 27 M. Roston, Changing cit., pp. 193-253. 28 J. Thomson, The Castle of Indolence, I:38, in Complete Poetical Works, J.L. Robertson, Oxford, 1951, p. 265, citato in M. Roston, Changing cit., p. 195: «Tutto ciò che Lorrain toccava leggermente con una tinta tenue, / o il selvaggio Rosa gettava, o l’istruito Poussin disegnava». 29 Nel XVIII secolo, l’analisi del Bello era legata alla perfezione sensibile e al concetto di Sublime, con il quale aveva in comune il “sentimento”, ma mentre il primo aveva per fondamento il piacere, il Sublime derivava dal dolore: L. Grassi, voce Bello, in L. Grassi e M. Pepe, Dizionario della critica d’arte, UTET, Torino, 1978, vol. I. 30 Il Sublime era considerato un sentimento di piacere, a cui, però, si accompagnavano attrazione e timore insieme. Gli aspetti più rilevanti di questo concetto erano l’interesse per il terrifico, il tragico, il mostruoso, l’immaginoso e l’infinito, tutti elementi che andavano oltre le regole della tradizione. Nelle arti visive il Sublime aveva espressione attraverso la grazia, la grandezza, l’invenzione, l’espressione e la composizione. Il sentimento del Sublime si manifestava, dunque, attraverso un piacere negativo, la ricerca della grandezza assoluta e dell’infinito, dello stupore e dell’entusiasmo: L. Grassi, voce Sublime, ivi, vol. II. 31 Il concetto di Pittoresco, elaborato in Inghilterra tra il XVIII e il XIX secolo, era una particolare categoria del gusto legata a forme irregolari, intricate e selvagge che prendeva forma, in quegli anni, nell’arte dei giardini: L. Grassi, voce Pittoresco, ivi, vol. II.

proporzionati, ma irregolari, armoniosi, ma selvaggi. Espressione del Pittoresco erano, dunque, i

giardini all’inglese, che cercavano di ricreare, con un piacevole disordine artificiale, il Paradiso

Terrestre.32

Seguendo questi principi estetici, nella pittura vennero considerate massima espressione del

Pittoresco due figure seicentesche che trattarono la natura in maniera quasi opposta: il francese

Claude Lorrain e l’italiano Salvator Rosa.33 Il primo, che idealizzò il sentimento della natura, venne

assunto dagli artisti inglesi come maestro delle opere paesaggistiche. Per contro, rappresentante di

una natura «talvolta incommensurabile nelle sue vastità, talvolta temibile e potente al punto da

annientare l’uomo stesso»34, divenne il secondo, che a differenza di Lorrain, evitò le campagne

idilliache e pastorali per creare elaborate e malinconiche fantasie, caratterizzate da rovine e da

briganti. Fattori dunque strettamente legati agli aspetti grotteschi e terribili derivati dal Sublime,

come lo stesso Burke aveva annunciato nel suo scritto:

Whatever is fitted in any sort to excite the ideas of pain and danger, that is to say,

whatever is in any sort terrible, or is conversant about terrible objects, or operates in a

manner analogous to terror, is a source of the sublime; that is, it is productive of the

strongest emotion which the mind is capable of feeling.35

Un altro paesaggista, probabilmente più accreditato come modello per gli artisti romantici,

fu il francese Nicolas Poussin. Egli, a differenza di Rosa che rappresentò il selvaggio, e a differenza

di Lorrain che incarnò il mondo edenico, non venne preso come esempio per un solo stile, in quanto

le sue opere spaziarono dal pastorale idilliaco a più cupe e contrastanti rappresentazioni.36

In particolar modo, egli venne considerato il precursore del cosiddetto Sublime

apocalittico37, in quanto venne valutato unico e grande maestro delle rappresentazioni del Diluvio

Universale.38 Il tema tanto caro all’Inghilterra di fine Settecento, rappresentava «a bridge between

32 M. Roston, Changing cit., p. 203; O. Rossi Pinella, Il secolo della ragione cit., pp. 115-145. 33 Su Lorrain si vedano M. Kitson, voce Lorrain, Claude Gellée, in Enciclopedia cit., vol. VIII, 1958; M. Roston, Changing cit., pp. 193-253; R. Temperini, voce Lorrain Claude, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. G-N. Sulla figura di Salvator Rosa, si vedano M. Roston, Changing cit., pp. 193-253; D. Tarabra, voce Rosa Salvator, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. O-Z. 34 I. Ciseri, Il Romanticismo cit., p. 264. 35 E. Burke, Philosophical Enquiry cit., pp. 58-59: «Tutto ciò che sia in grado in qualsiasi modo di destare idee di dolore e di pericolo, ossia, qualsiasi cosa sia in un certo senso terribile, o versato ad uno scopo terribile, o agisca in maniera analoga al terrore, è fonte del Sublime, cioè produce la più forte emozione che la mente sia capace di sentire». 36 Riguardo Nicolas Pussin, si vedano J. Thuillier, voce Poussin, Nicolas, in Enciclopedia cit., vol. X, 1963; M. Roston, Changing cit., pp. 193-253; e particolarmente A. Mérot, Nicolas Poussin, Editions Hazan, Paris, 1990, trad. it. a cura di M. Parizzi, Nicolas Poussin, Leonardo Editore, Milano 1990, passim. 37 Il «Sublime apocalittico», a cui M.D. Paley ha dedicato un’intera opera dal titolo, appunto, The Apocalyptic Sublime cit. 38 R. Cariel (catalogo a cura di), Visions du deluge: De la Renaissance au XIXème siècle, Editions de la Réunion des musées nationaux, Paris, 2006, passim, di cui si ha visione di alcuni estratti in www.musee-magnin.fr. L’opera di Poussin, intitolata L’hiver, o Le Déluge, apparteneva ad un ciclo di quattro dipinti rappresentanti le quattro stagioni,

natural catastrophe and apocalypse by showing divine forces virtually breaking through nature».39

Nonostante il Sublime non fosse vincolato ad un unico genere artistico, la natura, come soggetto

principale o come sfondo, ne divenne espressione principale; una natura rappresentata in tutti i suoi

aspetti, dalle composizioni pacifiche di ampio respiro, alle forme più terrificanti, come mari

burrascosi, cime innevate o eruzioni vulcaniche.40

II.2.1. Le immagini di crisi

Per comprendere completamente quali furono gli sviluppi che portarono alla composizione

delle opere apocalittiche, non si deve sottovalutare tutta quella produzione artistica che, pur non

rappresentando obbligatoriamente il testo sacro, ne riproduceva perfettamente il sentimento: una

sublimazione, dunque, dell’esperienza religiosa, in un’epoca prettamente secolare. La guerra

napoleonica, e gli eventi che ne seguirono, stimolarono l’interesse degli artisti per la cronaca e

l’allegoria, la celebrazione e la pubblica accusa, con soluzioni stilistiche di straordinaria varietà.

Visti, dunque, gli sviluppi storici e sociali, e le nuove tendenze estetiche, anche nelle arti visive,

come nella letteratura, si accrebbe l’interesse per il Terribile e il Sublime, di cui erano espressione

perfetta le catastrofi, fossero queste tratte da temi religiosi o laici.41

A fascination with disaster gripped Britain in the first half of the nineteenth century,

notably in the uneasy years between 1815 and 1848, when conflicts over social reform

replaced warring with the French. Many people were obsessed by premonitions of doom,

and their preoccupation was reflected in the work of Romantic landscapists.42

metafora del ciclo naturale della vita e delle cose. Prodotte tra il 1660 e il 1664, costituiscono la maggiore impresa del pittore, col tentativo di dare prestigio alla pittura di paesaggio, ancora adombrata dalla pittura di storia. L’opera rappresenta un inverno mediterraneo, grigio e piovoso, e venne presto conosciuto, dagli artisti e dagli esperti d’arte inglesi, soltanto come il Deluge. Divenne particolarmente famoso, non solo perché riproponeva la struttura michelangiolesca del Diluvio Universale nella Sistina, che focalizza l’attenzione non su Noè e l’arca, bensì sui sofferenti, ma perché introduceva, inoltre, il motivo della famiglia inondata, simbolo della distruzione di tre generazioni. Un’altra caratteristica apprezzata dai romantici inglesi, furono le tinte spente, lugubri, che corrispondevano all’idea di un Sublime dal colore «sad and fuscous» (E. Burke, A Philosophical cit., p. 149): in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 7-11; A. Mérot, Nicolas cit., pp. 237-249. 39 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 2: «un ponte tra la catastrofe naturale e l’apocalisse, mostrando le forze divine virtualmente irrompere nella natura». 40 Per un quadro generale della pittura romantica, e delle sue espressioni paesaggistiche, il cosiddetto natural sublime, si veda I. Ciseri, Il Romanticismo cit., passim. 41 Riguardo alle immagini di crisi si veda l’approfondito studio di G.P. Landow, Images of Crisis: Literary Iconology, 1750 to the Present, Routledge & Kegan Paul, Boston and London, 1982, passim. 42 M. Whidden, Samuel Colman: Belshazzar’s cit., p. 3: «Un fascino per il disastro catturò l’Inghilterra nella prima metà del XIX secolo, particolarmente nei difficili anni tra il 1815 e il 1848, quando i conflitti sulle riforme sociali sostituirono la guerra con la Francia. Molte persone erano ossessionate dalle premonizioni rovinose e le loro preoccupazioni si riflettevano nel lavoro dei paesaggisti romantici».

Nonostante la tendenza alla secolarizzazione di scene religiose interessasse svariati generi

artistici43, essa ebbe massima espressione nelle opere paesaggistiche. Sin dalla fine del Settecento,

nacque un gusto strettamente legato alle immagini della natura nelle sue manifestazioni funeste, che

enfatizzavano la futilità degli sforzi umani: l’uomo appariva debole e senza speranze davanti alla

schiacciante forza della natura. A sostenere queste teorie vi furono, inoltre, alcuni eventi e

speculazioni scientifiche che impressionarono certamente gli artisti dell’epoca. In questi termini

vennero, infatti, interpretati i ritrovamenti compiuti durante gli scavi di Ercolano (1737) e di

Pompei (1748)44, o gli studi sul Diluvio Universale, che occupavano le discussioni degli intellettuali

fin dal Seicento.45 È proprio da queste basi che sorse la cosiddetta School of Catastrophe, che non

ebbe un gruppo di adepti preciso, ma coinvolse, più o meno temporaneamente, gran parte degli

artisti britannici.46 Come scrive George P. Landow nel suo studio su questo genere artistico,

sviluppatosi a partire dal 1750, l’essenza di questa tendenza, riscontrabile sia in campo letterario

che artistico, stava nella profonda rottura con la situazione passata: «The situation of crisis creates

or generates an entirely new imaginative cosmos for those who experience it».47 Un nuovo mondo

che, però, portava con sé una natura dalle forze immensamente più grandi rispetto a quelle umane:

una natura che minacciava la totale distruzione. Pertanto, l’attenzione venne rivolta alle tempeste di

neve, alle eruzioni vulcaniche, alle valanghe e ai naufragi, ossia, a tutti quegli eventi naturali che

interrompessero bruscamente la vita dell’uomo.

L’introduzione di questi temi catastrofici evidenziava, in realtà, sentimenti di paura e

smarrimento, e una conseguente ricerca del Dio che sembrava ormai aver abbandonato gli uomini al

loro destino. D’altra parte, i cataclismi continuarono ad avere i tradizionali significati religiosi di

punizione, prova per l’essere umano e mezzo per la sua educazione spirituale, fondendo il principio

di salvezza con quello di distruzione, secondo la visione cristiana del Giudizio Universale.48

43 Fin dalla metà del XVIII secolo, è evidente l’utilizzo di elementi precedentemente usati nelle opere sacre. Un esempio di tale tendenza sono i dipinti di Joseph Wright of Derby (1734-1797), nelle cui scene industriali, fattori come la luce e la struttura della composizione, ricalcano i modelli iconografici delle immagini religiose: M. Roston, Changing cit., pp. 246-250. 44 A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, O.H. Beck, München 1951, vol. III, trad. it. a cura di Anna Bovero, Rococò Neoclassicismo Romanticismo, in Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino, 2001, p. 138. 45 Effettivamente, fin da allora, artisti e studiosi si erano rivolti a questo episodio biblico, ponendo l’attenzione sul carattere religioso, sulla giustizia divina resa tangibile attraverso le forze degli elementi naturali. A tal proposito, alla fine del Settecento, vennero presi come esempio L’hiver di Poussin e il primo libro di The Sacred Theory cit., di T. Burnet, interamente dedicato alle teorie sul diluvio e la distruzione della Terra: in M. Roston, Changing cit., pp. 216-221; Si vedano anche M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 7-11 e M.S. Seguin, Le déluge universel: Science et histoire, in R. Cariel (catalogo a cura di), Visions cit., pp. 10-11. 46 M. Whidden, Samuel Colman: Belshazzar’s cit., p. 21. 47 G.P. Landow, Images cit., p. 5: «La situazione di crisi crea o genera in coloro che la vivono, un cosmo immaginativo completamente nuovo». 48 Ivi, pp. 3-33.

È in quest’ottica che si devono analizzare opere come: The Shipwreck (1805), Cottage

Destroyed by an Avalanche (1810), conosciuta anche come The Fall of an Avalanche in the

Grisons, e Snowstorm: Hannibal and His Army Crossing the Alps (1812) di Joseph M.W. Turner49;

o, ancora, The Destruction of Pompeii and Herculaneum (c. 1822) e Sadak in search of the Waters

of Oblivion (1812) di John Martin50, il quale conservò questo sentimento catastrofico durante gran

parte della sua produzione artistica.

Ma le immagini disastrose furono, soprattutto, alla base di molteplici rappresentazioni

bibliche (tra le quali emerge il tema del Diluvio) ispirate all’arte di Poussin e alle teorie di Burnet,

come le opere di Philippe Jacques de Loutherbourg (1790) , Francis Danby (1837-40), e i già citati

Turner (1813) e Martin (1834).51

II.3. Rinascita del tema religioso

Il tema religioso, soprattutto nelle sue sfumature escatologiche, si sviluppò sulle basi di

queste teorie estetiche e di questo fermento emotivo, attirando nuovamente l’attenzione dei pittori

durante il periodo della Rivoluzione francese52, quando la coscienza si concentrò sulla fugacità

degli ideali umani:

All’Illuminismo segue il Neoclassicismo; a questo il Romanticismo. Comune agli ultimi

due il desiderio di una realtà “altra” dalla presente, o comunque una visione dell’arte

come suscitatrice di verità eterne, al di là del corso quotidiano degli eventi.53

L’evoluzione delle tematiche e degli stili nel corso della prima metà del XIX secolo,

determinò la ripresa e la rielaborazione di soggetti tradizionali, ma anche la creazione di totalmente

nuovi. I principi basilari delle nuove correnti artistiche, combinate con gli eventi storici di quegli

anni, portarono dunque ad un recupero del testo dell’Apocalisse, come libro da tradurre in figura.

49 Per l’analisi delle opere si vedano: A. Staley, Joseph Mallord William Turner, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic Art in Britain, Paintings and Drawings, 1760-1860, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia, 1968, pp. 191-192; A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner, vie et oeuvre: Catalogues des peintures et aquarelles, Office du livre, Fribourg, 1979, trad. in. J.M.W. Turner: His Art and Life, Poplar Books, Inc., Secaucus, 1979, pp. 94-95, 153-156; G.P. Landow, Images cit., pp. 3-130; I. Ciseri, Il Romanticismo cit., pp. 265, 278, e il sito della Tate Gallery (www.tate.org.uk). 50 M.L. Pendered, John Martin, Painter: His Life and Times, Hurst & Blackett, London, 1923, pp. 58-60, 107-114; G.P. Landow, Images cit., pp. 9-10; W. Feaver, The Art of John Martin, Clarendon Press, Oxford, 1975, pp. 9-24, 55-59. 51 G.P. Landow, Images cit., pp. 133-179; J.C. Lebensztejn, Note sur le déluge et le sublime, e R. Cariel, De Poussin à Turner, fortune d’une icône, entrambi in R. Cariel (catalogo a cura di), Visions cit., pp. 12-16. 52 Per un’analisi degli sviluppi artistici nel periodo della Rivoluzione si veda E. Kennedy, A Cultural History of the French Revolution, Yale University Press, New Haven, 1989, passim. 53 A. Varisco, L’illustrazione cit.

Ciò che, però, mutò radicalmente, rispetto alle lontane raffigurazioni medievali e rinascimentali, fu

l’approccio con cui il pittore si avvicinava al testo:

Egli non desidera più spiegarlo agli altri, ma misurarsi con esso in una ricerca solitaria

d’identità spirituale. Se l’arte è misura dell’invisibile, l’Apocalisse che ci parla di realtà

escatologiche è per l’artista una Parola che lo sprona a cercare nuove forme di

espressione e una ritrovata vena simbolista.54

Se si collega il tema religioso al gusto per l’orrido, per il violento e per il sovrannaturale, che

fin dal 1770 si sviluppò come espressione del Sublime e della corrente neogotica, si ottiene il gusto

estetico attraverso il quale venivano rappresentate le scene sacre, ossia, ciò che Morton D. Paley

definisce il Sublime apocalittico. La sua analisi delle opere d’arte rappresentanti il libro

dell’Apocalisse o, più in generale, le visioni leggendarie e profetiche della Bibbia, identifica come

primo esponente di questa corrente,il pittore John Hamilton Mortimer (1740-1779).55

Death on a Pale Horse, esibita alla Royal Accademy nel 1775, raffigura un vero soggetto

apocalittico, non una semplice catastrofe, e, più esattamente, il momento in cui San Giovanni,

all’apertura del quarto sigillo, vede apparire l’ultimo cavaliere, la Morte:

Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva:

«Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava

Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra

per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.56

Nonostante il brano sia già di per sé spaventoso, Mortimer riuscì a dare del testo

un’immagine ancor più terrificante, combinando abilmente le fantasie neogotiche, alla violenza e

alla passione del Barocco. È palese l’indebitamento con l’incisione di Dürer, I quattro cavalieri

dell’Apocalisse, la cui Morte (raffigurata in primo piano in basso) rappresentava, quasi certamente,

uno dei rari soggetti apocalittici, di un certo valore, conosciuti da Mortimer.57 Benché fosse una

fonte inusuale per quei tempi, era ancora forte nell’immaginario collettivo, a quasi tre secoli di

54 Ibidem. 55 Su J.H. Mortimer si vedano: F. Cummings, John Hamilton Mortimer, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 106-110; E. Benezit, voce Mortimer (John Hamilton), in Dictionnaire critique cit., vol. VII. 56 Apo VI:7-8, in La Sacra Bibbia cit., p. 2269. 57 È probabile che Mortimer si sia ispirato anche ad opere minori, come, per esempio, l’incisione dell’italiano Stefano della Bella, La Morte sul campo di battaglia, del 1646 circa: in Norman D. Ziff, Mortimer’s Death on a Pale Horse, in “The Burlington Magazine”, vol. CXII, n° 809, August 1970, pp. 531-532. Per una breve descrizione dell’opera di West si faccia inoltre riferimento a M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 16-18 e il sito della Tate Gallery, www.tate.org.uk.

distanza, il ricordo dell’Apocalipsis cum figuris, in quanto, come si è detto, il tema apparve

raramente nella pittura postmedioevale.58

Malgrado la scelta di una resa più raccapricciante, la struttura del quadro, con la Morte che

arriva di lato, in basso a sinistra, la posa del soggetto, il cielo tempestoso e le figure impotenti in

primo piano sono derivate dall’incisore tedesco. Furono proprio il tema e lo stile della

rappresentazione a suscitare tanta ammirazione, da creare una nuova espressione artistica, che prese

forma esclusivamente in Inghilterra, «a mode that subsequently effloresced during the period of the

French Revolution, the Napoleonic Wars, and the agitation for Reform».59 Nonostante

dell’originale si siano perse le tracce, si può apprezzarne l’intensità in un’acquaforte di Joseph

Haynes, pubblicata nel 1784. L’opera di Mortimer fu certamente una fra le più bizzarre e influenti

della sua produzione artistica, in quanto ebbe un tale successo, che svariati pittori si dedicarono alla

raffigurazione dello stesso tema. Rappresenta, inoltre, per gli studiosi contemporanei, un valido

documento di quella vasta e cospicua corrente “del terrore”, che stava, appunto, emergendo nell’arte

inglese di quegli anni.60

Benjamin West (1738-1820)61 fu uno di quei pittori che rimasero particolarmente affascinati

dall’opera di Mortimer. Egli si dedicò al soggetto apocalittico, abbozzando l’opera tra il 1783 e il

1802 e presentando la versione definitiva nel 1817 col titolo Death on a Pale Horse; or the Opening

of the First Five Seals.62 La tela si presenta strutturalmente diversa dalla precedente, segnando il

distacco dalle rigidità del Neoclassicismo, e preannunciando la sensibilità del Romanticismo.

Il suo principale riferimento artistico fu Rubens, ma la quantità di personaggi e le

dimensioni, facevano dell’opera una vera e propria “sfida”.63 L’opera si distingue per il vasto

spazio, che abbandona del tutto la struttura stratificata. A favorire questo allontanamento fu,

innegabilmente, l’ampliamento del soggetto, non più ristretto a poche figure, ma esteso a numerosi

elementi sia terreni che celesti. Di particolare importanza fu, inoltre, l’uso del colore applicato

58 Ricordiamo d’altronde che Sir Joshua Reynold nel sesto discorso (1774) della sua raccolta, dichiarò che: «The works of Albert Durer, Lucas Van Leyden, the numerous inventions of Tobias Stimmer, and Jost Ammon, afford a rich mass of genuine materials, which wrought up and polished to elegance»: Discourses on Art, in The Works of Sir Joshua Reynolds, Knight; Late President of the Royal Academy, vol. I, T. Cadell and W. Davies, London, 4° ed, 1809, p. 176, (Le opere di Albrecht Dürer, Lucas Van Leyden, le numerose invenzioni di Tobias Stimmer, e Jost Ammon, fornivano una ricca quantità di materiale originali, che trasformavano e rendevano elegante). 59 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 1: «una moda che successivamente fiorì durante il periodo della Rivoluzione Francese, delle Guerre Napoleoniche e dell’agitazione per la Riforma». 60 Ivi, pp. 1-18. 61 Per uno studio su B. West si vedano F. Cummings, Benjamin West, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 97-104; E. Benezit, voce West (Sir Benjamin), le vieux, in Dictionnaire critique cit., vol. X; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 19-50; S. Barini, I. Citterio, M. Pirovano e S. Pirovano, voce West Benjamin, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. O-Z. 62 Vi furono altre due versioni precedenti: The Triumph of Death (1784) e The Opening of the Four Seals (1796): M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 19-26. Per l’analisi dell’opera si veda anche il sito della Tate Gallery, www.tate.org.uk. 63 O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., p. 271.

liberamente, alla maniera di Rubens, e non più definito da linee nette.64 La figura centrale della

Morte perdeva le sue sembianze scheletriche, per dar vita a una figura grande, forte e possente, che

in «its moral impression would approximate to that of the visionary Death of Milton».65

Tutt’intorno venivano ripresi ed ampliati i temi classici che accompagnavano queste

rappresentazioni. Alle spalle della Morte, un’orda di mostri, incarnazione del verso «gli veniva

dietro l'Inferno», e davanti il gruppo familiare distrutto. Nella parte sinistra altre vittime della

carneficina, mentre nella parte destra spiccano altre tre figure a cavallo: il Messia, rappresentato sul

cavallo bianco con la corona e l’arco66; il cavaliere col cavallo rosso che aveva il potere «di toglier

la pace dalla terra e far che si sgozzino gli uni gli altri, e gli fu consegnata una grande spada»67; e

il cavaliere dal cavallo nero con la bilancia in mano.

Il periodo tra il 1790 e il 1810 vide l’emergere di numerose rappresentazioni profetiche e

apocalittiche nelle arti figurative, con svariati artisti che traevano i propri soggetti dai libri della

Bibbia. Immagini che emergevano da un vasto insieme di preoccupazioni: il millenarismo, la

rinascita dell’Evangelicalismo e un senso di crisi politica durante l’era rivoluzionaria. In questo

contesto, l’opera di West, molto vicino ai circoli millenaristi inglesi, venne concepita come

elemento di un ciclo di pitture. I dipinti che illustravano l’Apocalisse, infatti, sarebbero dovuti

essere esposti nella cappella del Castello di Windsor. Ma il progetto fallì, e vennero prodotte

solamente due composizioni68: Death on a Pale Horse e The Destruction of the Old Beast and false

Prophet (1804), raffigurante il passo del XIX capitolo dell’Apocalisse.69 E questo non fu l’unico

progetto apocalittico di West: egli tornò spesso su questo tema, soprattutto tra il 1797-98, quando,

sotto il patronato di William Beckford, eseguì ben sei rappresentazioni del Libro di Giovanni, che

64 A tal riguardo, si veda la descrizione dell’opera in John Galt, A Descrition of Mr. West’s Picture of Death on the Pale Horse: Or the Opening of the First Five Seals, C. H. Reynell, London, 1818, pubblicata come opuscolo di sette pagine in occasione dell’esibizione al n° 125 di Pall Mall, e inclusa successivamente nella biografia del 1820 (Nonostante appaia solo la sigla “J.G.”, appare ovvio che si tratti di Galt in quanto amico e biografo dell’artista). John Galt (1779-1839) meglio conosciuto come romanziere, si occupò ampiamente di West, pubblicando una biografia in due parti: The Life and Studies of Benjamin West (1816) e The Life, Studies and Works of Benjamin West (1820). 65 J. Galt, A Description cit., p. 3: «la sua impressione morale approssimerebbe la visione della Morte di Milton». 66 In realtà, nelle precedenti versioni questo soggetto rappresentava semplicemente il cavaliere dal cavallo bianco, di cui si parla nell’Apocalisse VI:2, ma John Galt, nella descrizione del dipinto, introduce questa nuova interpretazione: «it was not THE SAVIOUR healing and comforting the afflicted, […] it was the King of Kings going forth "conquering and to conquer," to bruise the head of the serpent, and finally to put all things under his feet»: ivi, p. 4 (non era il Salvatore che guarisce e conforta gli afflitti, […] ma il Re dei Re che va avanti “vincitore per nuove vittorie”, per schiacciare la testa del serpente e finalmente mettere ogni cosa ai suoi piedi). 67 Apo VI:4, in La Sacra Bibbia cit., p. 2269. 68 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 31-36. 69 «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco. Colui, che gli sta in sella, è detto fedele e verace, e giudica e guerreggia con giustizia. I suoi occhi sono fiamma di fuoco; sul suo capo stanno molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce fuorché egli stesso; indossa un mantello intriso di sangue, e ha nome: “Verbo di Dio”. Lo seguono sopra cavalli bianchi le schiere celesti, vestite di bisso bianco, nitido. Dalla sua bocca esce una spada tagliente, per percuotere con questa le genti; ed egli avrà da governarle con verga di ferro, egli da pigiare nel tino il vino dell'accesa ira di Dio Onnipotente. E porta scritto sul mantello e sul suo fianco un nome : “Re dei Re e Signore dei signori”», Apo XIX:11-16, in La Sacra Bibbia cit., p. 2282.

avrebbero dovuto adornare la Revelation Chamber di Fonthill. Purtroppo, ancora una volta, il

progetto non andò in porto, e le opere rimasero incompiute o semplicemente abbozzate.70

Furono diverse le variazioni sul tema alla fine del XVIII secolo, e, sicuramente, due

importanti figure furono di grande stimolo: Thomas Macklin con la Poets’ Gallery (1788) e

l’illustrazione della più grande Bibbia mai stampata al mondo (c. 50x40 cm), conclusa nel 1791 e

pubblicata nel 1800 (successivamente rivista e ampliata nel 1816); e Robert Bowyer, con una

successiva illustrazione del testo sacro (c. 1824), che comprendeva più di 6000 incisioni, tratte dai

maggiori artisti della storia di tutti i tempi.71 Entrambi i progetti biblici attirarono la partecipazione

di numerosi artisti, tra i quali si distinse il francese Philippe Jacques de Loutherbourg (1740-

1812)72, il quale portò la sensibilità apocalittica verso sfumature di occultismo, derivate dai suoi

interessi alchemici e dai circoli swedenborghiani di cui faceva parte. Nonostante Macklin avesse

ingaggiato svariati artisti coevi per il suo progetto, fra i quali Reynolds, West, Füssli, e Hamilton,

de Loutherbourg apportò il maggiore contributo, producendo 22 delle 71 immagini73 e quasi 125

vignette di apertura e chiusura di ogni libro, che poi vennero riprese nel progetto di Bowyer. Come

osserva Thomas S.R. Boase, riguardo alla collaborazione di quest’artista, «no other group of

paintings exemplify so clearly the early stages of the Romantic Movement in England».74

Sebbene adottasse un senso apocalittico pressoché per qualsiasi scena della Bibbia, la

massima espressione si ha, ovviamente, nelle due opere create per l’ultimo libro: The Angel Binding

Satan (1792) e The Vision of the White Horse (1798), conosciuta anche come The Opening of the

Second Seal.

Quest’ultima, in particolar modo, mostra gli sviluppi che questo genere di pittura stava

percorrendo in quegli anni, successivamente alle esposizioni di Mortimer e di West. The Vision of

the White Horse venne inserito come illustrazione del XIX capitolo, nonostante rappresentasse i

primi versi del VI capitolo: «Ed ecco alla mia vista un cavallo bianco, in groppa ad esso uno che

aveva un arco; a lui fu data una corona, ed egli partì vincitore per nuove vittorie».75 Traendo

spunto dalle prime due versioni del Death on a Pale Horse di West, de Loutherbourg riesce a creare

un’opera originale, modificando completamente l’impianto del quadro: il soggetto è concentrato 70 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 36-50. 71 T.S.R. Boase, Macklin and Bowyer, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, vol. XXVI, n° 1/2, 1963, pp. 148-177; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 65. 72 Per alcuni cenni sull’artista e la sua produzione artistica si vedano: E. Benezit, voce Loutherbourgh ou Lutherbourg ou Lautherbourg (Philipp Jakob I ou Jaques Philippe I), in Dictionnaire critique cit., vol. VI; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 51-70. 73 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 54. In realtà nel sito della Tate Gallery, che conserva l’opera (www.tate.org.uk), viene fornito il dato di 21 opere su 72. 74 T.S.R. Boase, Macklin cit., p. 150: «nessun altro gruppo di pitture è esempio così chiaro della fase iniziale del movimento romantico in Inghilterra». 75 Apo VI:2, in La Sacra Bibbia cit., p. 2269.

solo sui primi due cavalieri, che galoppano non più sul fermo terreno, ma in cielo. Tutti gli elementi

(lo sfondo nuvoloso, l’uso del colore, le posizioni delle figure) contribuiscono a fare di quest’opera,

una perfetta rappresentazione del Sublime apocalittico.76

De Loutherbourg si dedicò anche alla pittura di scene non bibliche, seguendo la tendenza di

una secolarizzazione del tema religioso, tanto che il forte tono catastrofico e apocalittico

caratterizzò la maggior parte delle sue opere, sia quelle a carattere paesaggistico, come Survivors of

a Shipwreck attacked by Robbers (1793) e An Avalanche, or Ice-Fall, in the Alps (1803), sia le

rappresentazioni dei disastri umani in The Great Fire of London in 1666 (1797) e Coalbrookdale by

Night (1801), o, ancora, le scene di battaglia, fra le quali ricordiamo The Battle of the Nile (1802).77

II.3.1. Figure chiave per lo sviluppo dell’arte apocalittica: Füssli, Blake e

Turner

Alla luce di tutto ciò, e vista l’evoluzione della cultura artistica in Inghilterra durante gli

ultimi anni del Settecento, si possono inquadrare e comprendere meglio figure come Johann

Heinrich Füssli (1741-1825) e William Blake (1757-1827), i quali, accanto alla realizzazione di

simboli ed emblemi fantastici, dalla grande potenza evocativa, affrontarono opere a carattere

religioso. Proprio per l’approccio che ebbero nei confronti delle rappresentazioni escatologiche, essi

possono essere considerati fra gli anticipatori delle tendenze artistiche che prenderanno forma nelle

opere degli artisti apocalittici del secolo successivo.

Johann Heinrich Füssli, meglio noto nei circoli artistici inglesi come John Henry Fuseli,

nacque a Zurigo, ma trascorse gran parte della sua vita in Gran Bretagna, diventando un artista

particolarmente influente nella produzione artistica inglese. Qui espose regolarmente alla Royal

Academy, affermandosi immediatamente come maestro del genere immaginario, data la forte

caratterizzazione fantastica e visionaria di The Nightmare, apparso per la prima volta a Londra nel

1781.78 Egli «si consacrò così definitivamente pittore del sublime, dell’oscuro, dello spettrale del

magico, tanto che venne soprannominato Principal Hobgoblin Painter to the Devil».79 La sua

formazione umanistica e l’amore per i classici lo avvicinarono al tema religioso: attorno al 1790 gli

76 Per l’analisi dell’opera si veda M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 58-59 e il sito della Tate Gallery, www.tate.org.uk. 77 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 68-70. 78 L’opera ebbe altre cinque versioni. Per approfondimenti sulla figura e sulle opere di Füssli si vedano: R. Todd, Tracks cit., pp. 61-93; F. Cummings, John Henry Fuseli, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 121-127; O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., pp. 211-215; G. Bungarten, voce Füssli Johann Heinrich, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. A-F. 79 G. Bungarten, voce Füssli Johann Heinrich cit.: «il più importante spirito e pittore al servizio del Diavolo» (trad. it. a cura di G. Bugarten).

proposero, infatti, l’illustrazione delle opere di Milton, che vennero esposte nel 1799 alla Milton

Gallery: più di quaranta dipinti che lo impegnarono per quasi dieci anni, e anche se l’impresa si

rivelò un fallimento finanziario, resta comunque utile per comprendere come lo stesso approccio

fantasioso delle prime opere, venisse utilizzato per trattare il tema sacro, in un clima di «sublime

mefistofelico».80

Il tema religioso venne approfondito nel 1796, con la partecipazione alla Macklin’s Bible,

per la quale illustrò il brano dell’Apocalisse:

«Sette candelabri d'oro e, in mezzo dei candelabri, uno simile a uomo, vestito di un abito

talare, e ricinto alle mammelle di una fascia di oro. Aveva il capo e i capelli bianchi

come la lana candida, come neve, e gli occhi quali fiamme di fuoco […] e teneva nella

sua mano destra sette stelle. Dalla bocca gli usciva un’acuta spada a due tagli, e

splendeva nel viso come fa il sole nel suo forte».81

Il soggetto era indubbiamente sublime e onirico allo stesso tempo, tanto che, argomentando

la sua scelta, l’artista scrisse: «Of the several moments before me I have taken what appeared to me

the most Sublime, the Sudden apparition and trance of John».82 Il St John's Vision of The Seven

Candlesticks, possiede, ancora una volta, uno stile altamente espressivo e semplificato. L’opera

gioca sul contrasto tra la greve corporatura del profeta, curva su se stessa e appesantita dalla

lunghezza degli arti, contro la suprema grazia della divinità, «luminous and androgynous-

looking».83

Il punto di vista ribassato e il lungo abito del Cristo, con la fascia alta e i drappeggi degli

abiti femminili, accentuavano l’effetto di impotenza del profeta. Per il suo espressionismo e per il

suo interesse attorno all’immaginario, che spesso sfociava nel terribile, Füssli anticipò l’età

romantica ed ebbe molti ammiratori, tra i quali i suoi studenti alla Royal Academy e un’altra figura

fondamentale per gli sviluppi artistici di quegli anni, William Blake.84

80 D. Blayney Brown, L’evasione romantica, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., p. 182. Si vedano come esempio Satan Starting from the Touch of Ithuriel’s Spear (1779) o The Night-Hag Visiting Lapland Witches (1796). 81 Apo I:12-16 in La Sacra Bibbia cit., p. 2264. 82 Lettera a William Roscoe del 15 giugno 1796, in D.H. Wienglass, The Collected English Letters of Henry Fuseli, Kraus International Publications, Millwood, New York, 1982, citata in M.D. Paley. The Apocalyptic cit., p. 41: «Fra i vari momenti davanti a me, ho scelto quello che mi sembrava il più Sublime, l’improvvisa apparizione e catalessi di Giovanni». 83 M.D. Paley. The Apocalyptic cit., p. 41: «luminoso e dall’aspetto androgino».Per l’analisi dell’opera vedi anche www.tate.org.uk. 84 Per una ricerca più approfondita sulla figura e sulle opere di Blake, si vedano: R. Todd, Tracks cit., pp. 29-60; F. Cummings, William Blake, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 157-166; S. Barini, I. Citterio, M. Pirovano e S. Pirovano, voce Blake William, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. A-F.

Quest’ultimo è certamente il maestro più riconosciuto per quanto riguarda le immagini a

soggetto fantastico–religioso:

So early in his artistic career did Blake come to apocalyptic subjects that his treatment of

some of them antedates or is contemporary with comparable works by the considerably

older artists West and de Loutherbourg.85

Nel 1784, mentre il Triumph of Death di West era esposto alla Royal Academy, Blake si

presentava con un acquerello intitolato War unchained by an Angel, Fire, pestilenc, and Famine

following e da quel momento i temi della guerra, della peste, della fame e del fuoco, con le loro

connotazioni apocalittiche, furono presenti lungo tutto il corso della sua produzione artistica, che si

sviluppò durante quegli anni così ricchi di fermenti millenaristi.86 Nonostante, rappresentasse

soggetti terribili, egli sembrò deliberatamente evitare il Sublime di Burke, rinnegando il gusto per

l’oscurità, tanto cara agli artisti coevi. Per lui, infatti, «Obscurity is Neither the Source of the

Sublime not of any Thing Else».87 Tutte le sue opere, nonostante echeggino lo stile di Füssli, furono

formulate così singolarmente, da essere fuori da qualsiasi schema del periodo, mantenendo, anche

nell’illustrazione dei temi più terribili e drammatici, un forte rigore nelle forme e nel colore.

Accanto alle linee neoclassiche, egli utilizzò prevalentemente la tecnica della tempera, recuperata

dall’epoca medioevale, come «materia più adeguata alla lievità delle sue piatte figure fluttuanti in

situazioni ambientali indefinite».88 Malgrado, dunque, Blake si allontani dallo stile catastrofista che

prese forma alla fine del XVIII secolo in Inghilterra, gran parte della sua produzione ebbe come

tema centrale l’Apocalisse.

In seguito a un accordo con l’amico e mecenate Thomas Butts, produsse, infatti, numerose

rappresentazioni della Bibbia, di cui dieci illustrano passi dell’Apocalisse e due raffigurano proprio

il Giudizio Universale.89 Fra le varie opere, le più drammatiche furono quelle che avevano come

85 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 71: «Blake arrivò così presto ai soggetti apocalittici nel corso della sua carriera artistica, che, il modo in cui li trattò, risulta in anticipo o contemporaneo se paragonato alle opere di artisti considerevolmente più grandi, come West e de Loutherbourg». 86 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 71. 87 Annotazioni per Reynolds, in D.V. Erdman (a cura di), The Complete Poetry and Prose of William Blake, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1983, p. 658, citato in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 100: «L’oscurità non è né sorgente del Sublime, né di nessun altra cosa». 88 O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., p. 215. 89 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 81. Blake produsse, in tutto, quattro opere trattanti il tema del Giudizio Universale; opere bibliche nell’ispirazione ma non legate ad un preciso capitolo o verso, se non poche righe generali. Il Giudizio Universale è descritto, infatti, in una parte piuttosto breve, ma intensa dell’Apocalisse: «Vidi poi un grand trono bianco e Colui che vi sedeva, dalla cui presenza fuggirono la terra e il cielo e di essi non si trovò più traccia. Vidi i morti, grandi e piccoli, stare innanzi al trono; e furono aperti dei libri. Fu pure aperto un altro libro, quello della vita; e i morti furono giudicati da ciò che stava scritto nei libri, secondo le loro azioni. Il mare mise fuori i morti, che si vi trovavano; la morte e l’Averno resero i morti di loro pertinenza. Ciascuno di quelli fu giudicato secondo le sue azioni; e la morte e l’Averno furono gettati nello stagno del fuoco. La seconda morte è questa: lo stagno del fuoco; e in quello stagno fu gettato chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita»: Apo XX:11-15, in La Sacra Bibbia cit., p.

soggetto il Diavolo, i quattro acquerelli dedicati ai capitoli 12 e 13, sintesi di vero e proprio

«apocalyptic theatre».90

Come osserva Martin Butlin, uno dei maggiori biografi di Blake, «In no other case does

Blake devote so many illustrations to a mere two chapters of the Bible».91 The Great Red Dragon

and the Woman Clothed with the Sun e «The Devil is Come Down», prodotti tra il 1803 e il 1805,

descrivono due brani pressoché consecutivi del XII capitolo. Il primo descrive l’inizio del capitolo,

quando «una donna, a cui è manto il sole, la luna le sta sotto i piedi, e le cinge il capo una corona

di dodici stelle»92 sta per partorire il Messia. La composizione è dominata dal drago che si erge

possente di spalle, con le grandi ali da pipistrello dispiegate nella parte superiore della tela, e, nella

parte inferiore, la maestosa coda, che trascinava «la terza parte delle stelle del cielo»93, gettandole

sulla terra, rigirata su se stessa in spire serpentine. Blake scelse di mostrare solo tre delle sette teste,

con un ovvio richiamo al Satana descritto da Dante nell’Inferno, che l’artista si cimenterà ad

illustrare qualche anno dopo.94 Il “grande visionario” aggiunse alla tradizionale interpretazione,

anche elementi della filosofia teologica di Swedenborg (alla quale era profondamente legato), e

della propria personale mitologia, tanto che alcune parti dell’opera ricordano le figure mitologiche

create per i suoi Prophetic Books, pochi anni prima. Egli mise in scena i due opposti: l’istintiva

virilità maschile, demoniaca e distruttiva, ma anche potente e grandiosa, che fronteggia

un’apparentemente fragile donna, illuminata dal Sole e gravida, portatrice, in realtà, di un nuovo

sapere, di una rinnovata, illuminata e spirituale, cultura dell'umanità. La struttura dunque è

bilanciata tra la linea verticale del demone che sovrasta quella orizzontale della donna sottomessa.

Al contrario, in «The Devil is Come Down», la donna diventa anch’essa protagonista, in

netto contrasto con il drago: «Quando il dragone si vide precipitato sulla terra, inseguì la donna

che aveva partorito il maschio. Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila, perchè

volasse al deserto, al suo posto, dove fosse nutrita per un tempo, più tempi e metà di un tempo,

lungi dalla vista del serpente».95 Tutta l’opera è giocata sul contrasto delle due figure, dettato non

solo dalla contrapposizione dei colori, ma anche dalle linee spigolose e demoniache per Satana,

2283. Le opere prodotte tra il 1805 e il 1810, ebbero come punto di partenza il Last Judgement eseguito tra il 1805 e il 1806 per la poesia The Grave (1743) di Robert Blair, e conosciuto attraverso un’incisione di Luigi Schiavonetti. 90 Questo termine venne usato da J. Mede in riferimento al testo di San Giovanni, e riadattato sulla figura di Blake da M.D. Paley, in The Continuing City: William Blake’s “Jerusalem”, Clarendon Press, Oxford, 1983, citato in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 87. 91 M. Butlin (catalogo a cura di), William Blake, Tate Gallery Publications, London, 1978, citato in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 87: «In nessun altro caso Blake dedicò così tante illustrazioni a due semplici capitoli della Bibbia». 92 Apo XII:1, in La Sacra Bibbia cit., p. 2274. 93 Ibidem, Apo XII:4. 94 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 87. 95 Apo XII:13-14, in La Sacra Bibbia cit., p. 2274.

morbide e celestiali per la donna.96 Come si può notare in tutte le raffigurazione del Diavolo97, la

rappresentazione delle forme demoniache è scrupolosamente attenta alle descrizioni fatte nel testo

dell’Apocalisse, sfociando spesso in figure grottesche, uniche dominatrici delle composizioni

artistiche.

In questo processo di evoluzione artistica risulta fondamentale l’osservazione di colui che

ispirò gran parte del gusto del XIX secolo: Joseph M.W. Turner.98 La sua vasta e varia produzione

artistica consente di trattare questo maestro separatamente rispetto agli altri esponenti della School

of Catastrophe, in quanto la sua attenzione verso il tema apocalittico iniziò prima e fu soltanto una

delle sue numerose espressioni pittoriche. Turner, infatti, abbandonò presto le tendenze artistiche di

quell’epoca, frequentemente basate sulla definizione del Sublime di Burke, per creare uno stile del

tutto personale, costruito su giochi di luce e di colore, su forme convulse e circolari e su

rappresentazioni eteree: un vero e proprio «Turnerian sublime».99

Nonostante, a volte, prendesse spunto dalle opere di Martin e Danby, con i quali era in

“competizione”, egli sviluppò un’arte assolutamente originale così grandiosa da annebbiare

completamente il rapporto che ebbe con il tema apocalittico. Indubbiamente, con i suoi 76 anni di

vita, fu il pittore che segnò maggiormente il panorama inglese di quel tempo, influenzando, e più

spesso offuscando, un’intera generazione d’artisti, tanto che risulta obbligatorio, nell’analisi

dell’arte ottocentesca, fare riferimento alla sua figura, soprattutto per l’importanza che acquistò la

sua rappresentazione della natura. Ciononostante, troppo spesso si è sorvolato sull’analisi delle sue

opere secondo la chiave apocalittica e catastrofica che, invece, caratterizzò parte della sua

produzione. Proprio perché meno evidente che in pittori come Martin, Danby e Colman, ancora in

tempi recenti quest’aspetto viene semplicemente accennato nelle biografie e negli studi su

quest’artista, rendendo difficile un concreto inserimento di quest’artista nella School of

Catastrophe.100

96 La fisicità del drago è portata all’estremo, e tutti gli elementi caratterizzanti oltre ad essere accentuati, sono in primo piano: le enormi ali da pipistrello, le tre teste con le corna, e la coda arrotolata su se stessa. Sotto di lui, la donna che brilla dei colori dell’oro, è morbidamente avvolta in una veste che lascia intravedere la rotondità della sua gravidanza, ripresa anche dalla forma delle grandi ali d’aquila, molto più curve di quello che dovrebbero essere. 97 A tal proposito, si vedano anche The Great Dragon and the Beast from the Sea, detto anche «And Power was Given Him over all Kindreds and Tongues and Nations», e The Number of the Beast is 666, rappresentazioni del XIII capitolo dell’Apocalisse, perfettamente analizzate in F. Cummings, William cit., in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 161-163. 98 Sulla figura di Turner si vedano: A. Staley, Joseph cit., in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 189-198; A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., passim; M. Chamot, voce Turner, Joseph Mallord William, in Enciclopedia cit., vol. XIV, 1966; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 101-121; S. Barini, I. Citterio, M. Pirovano e S. Pirovano, voce Turner Joseph Mallord William, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. O-Z. 99 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 117: «Sublime di Turner». 100 Gli unici approfondimenti sull’argomento sono stati trovati in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 101-121.

Negli anni in cui West, de Loutherbourg e Blake realizzavano i loro terribili soggetti, anche

Turner si volse al tema apocalittico, legandolo al suo primo interesse: la pittura di paesaggio. Di

fatto, egli enfatizzò l’aspetto monumentale e il potere della natura, messa in relazione alla debolezza

e alla pochezza del genere umano. Attraverso la rappresentazione dell’ambiente, evocò sentimenti

di profonda spiritualità, concentrandosi sulla visione di un paesaggio che fosse sintesi di catastrofe

naturale o divina “ricompensa”, dando vita alla rappresentazione del paesaggio apocalittico.101 La

sua produzione, in questo senso, iniziò nei primi anni dell’Ottocento, con la creazione di alcune tele

rappresentanti le piaghe bibliche e altri temi semi-apocalittici102, che segnarono l’inizio di una lunga

serie di raffigurazioni di cataclismi, disastri cosmici e furie elementali.103 Fin da queste prime opere

si nota l’importanza della natura, per la quale Turner s’ispirava al paesaggio di Poussin, che, come

abbiamo visto, era considerato uno dei massimi rappresentanti dell’arte paesaggistica.104 A

differenza di West o de Loutherbourg, i quali disegnarono figure dominanti, Turner presentò i

protagonisti come piccoli dettagli, concentrandosi sulle qualità apocalittiche del paesaggio.

Decisamene più importante, per la formazione di questo pittore, fu la composizione del

Deluge (c. 1805), nella quale egli combinò equilibratamente la natura e l’uomo, diventando un

modello per i giovani artisti come Martin e Danby. Sebbene l’opera rimandi ancora una volta allo

stile severo dell’artista francese, in realtà, se ne allontana per prendere una forma nuova, ravvivata

dall’uso del colore nello stile di artisti italiani, quali Tiziano e Veronese. Ciò che però si scosta

maggiormente dalla tradizione è la rappresentazione dell’episodio biblico in maniera catastrofica,

elemento completamente assente nel Diluvio di Poussin e di derivazione più recente. Il disastro si

svolge in uno sfondo totalmente naturale, al centro del quale, un gruppo di persone tenta

disperatamente di arrampicarsi su una barca allagata: a sinistra, tra altra gente travolta dalle acque,

un airone annega, intanto che, in primo piano, un serpente nuota avvolto su sé stesso; sulla destra,

invece, dietro una donna dalle sembianze di una Maddalena, un possente uomo di colore aiuta una

donna svenuta con in braccio un bambino, mentre accanto a lui viene riproposto il gruppo morente

delle generazioni, già visto in opere precedenti. Ogni cosa nel dipinto, tranne l’arca ormai lontana,

sta per essere spazzata via da un’enorme onda. Di conseguenza, tutto concorre ad accentuare quella

tendenza pessimista che dubitava della validità del Diluvio come giusto mezzo di divina punizione,

portando lo spettatore a fraternizzare con le vittime, che eroicamente e drammaticamente cercano la

101 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 101. 102 Le prime opere a carattere apocalittico furono per l’appunto: The Fifth Plague of Egypt (1800); The Army of the Medes Destroyed in the Desart [sic] by a Whirlwind (1801); The Tenth Plague of Egypt (1802); The Destruction of Sodom (1805): in A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., pp. 65-86; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 102-106. 103 A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., p. 65. 104 Per una breve analisi del rapporto tra Turner e l’arte di Poussin si veda J. Ziff, Turner and Poussin, in “The Burlington Magazine”, vol. CV, n° 724, July 1963, pp. 315-321.

salvezza, aiutandosi fra di loro. L’immaginazione del Settecento sovvertì, dunque, il tradizionale

significato cristiano del Diluvio, per creare un evento dove non dominano le regole del Signore, ma

quelle di una natura infuriata contro degli innocenti.105

A palesare l’attitudine pessimista di Turner, vi erano non solo le immagini, ma anche alcuni

testi da lui scritti come commento alle sue tele. Nonostante il concetto fosse già stato introdotto nel

1810 con The Fall of an Avalanche in the Grisons, egli compose un poema intitolato Fallacies of

Hope, di cui, occasionalmente, utilizzò estratti a corredo dei titoli delle opere esposte. A tal

riguardo, la prima opera in mostra con un brano di commento tratto dalle Fallacies fu Snowstorm:

Hannibal and His Army Crossing the Alps106, esibita nel 1812, che, introducendo il tipico vortice

presente in gran parte della sua arte successiva, mostra l’abilità del pittore nella combinazione tra la

grande pittura storica e l’uso moderno degli effetti naturali, «whose sublime violence borders on the

apocalyptic».107

Già in quest’opera si intravede come Turner muterà il suo stile nel rappresentare il Sublime

apocalittico; fatto evidente già nella seconda decade del secolo e chiaro nelle successive opere a

tema biblico, apparse negli anni ’40 dell’Ottocento, quando l’ormai affermato Martin sembrava

volersi misurare con lui. In questo senso furono concepite opere come Shade and Darkness – the

Evening of the Deluge e Light and Color – the Morning after the Deluge – Moses writing the Book

of Genesis, entrambe esibite nel 1843, in seguito all’esposizione, qualche anno prima, di Eve of the

Deluge e Assuaging of the Waters di Martin; e ancora The Angel standing in the Sun108 del 1846,

che seguiva le numerose rappresentazioni di angeli che Martin aveva inciso per l’illustrazione della

Westall’s Bible (1836). Nonostante non possano essere considerate imitazioni delle opere di Martin,

i dipinti di Turner devono essere intesi «as tacit ‘answers’ or responses to a challenge».109

È dunque chiaro come, all’inizio del nuovo secolo, immagini di orrore apocalittico, di

devastazioni, di piaghe e pestilenze fossero alla base delle arti figurative visionarie. Il tema

apocalittico poteva essere trattato in termini illusionistici o simbolici, e questo era ciò che

differenziava pittori come West, che mantenne la straordinarietà delle visioni di San Giovanni

usando colori naturali e la costruzione prospettica, rispetto ad artisti innovativi come Blake che,

105 G.P. Landow, Images cit., pp. 133-144. 106 Per l’analisi dell’opera si vedano A. Staley, Joseph cit., in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 191-192; A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., pp. 94-95, 153-156; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 108-111; I. Ciseri, Il Romanticismo cit., p. 278. 107 M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 109: «la cui sublime violenza sfocia nell’apocalittico». Sull’influenza che quest’opera ebbe su Martin e Danby si veda A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., p. 155. 108 Per una breve descrizione delle opere sopraccitate di Turner e un’analisi dei rapporti con gli altri pittori apocalittici, si vedano: A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., pp. 198-199, 216, M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 113-118, e il sito della Tate Gallery (www.tate.org.uk). 109 A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., p. 216: «come tacite “risposte” o repliche a una sfida».

interpretando i contenuti, accentuò la stilizzazione e il simbolismo delle immagini a discapito della

resa naturalistica. Lo stesso contrasto si potrà ritrovare nella generazione successiva tra le opere di

Turner, che aveva una visione della religione meno esplicita e dottrinale, e quelle di Martin, Danby

e Colman. Ciò che lo studioso Christopher Burdon afferma riguardo West e Martin, è, pertanto, una

teoria estendibile anche agli altri due grandi componenti della School of Catastrophe:

[They] saw their art as a kind of Christian evangelism, read the text of Revelation, it

seems, in a lurid and literal way and tried to reproduce its visions in the midst of the

known world, asking the viewers of their pictures to imagine the power of God invading

it.110

Di conseguenza, nonostante questa corrente interessasse numerosi artisti fin dal XVIII

secolo, la produzione di Martin, Danby e Colman fu una rappresentazione «beaucoup plus

populaire, spectaculaire et même littérale»111, nella quale si tralasciò il messaggio di speranza e di

gloria, tipico delle teorie millenariste, per mettere in evidenza l’aspetto più violento e catastrofico

delle visioni di San Giovanni, grazie anche all’utilizzo degli elementi sublimi elaborati da Burke. I

pittori disponevano di mezzi stilistici adatti ad evocare il Sublime, fra i quali figurano più

caratteristici la ripetizione di certe linee, le dimensioni imponenti delle tele, l’uso di profondità e

prospettive che si perdono nell’oscurità, e la sensazione di schiacciamento delle figure dei

protagonisti112, tutti elementi, come si vedrà nel prossimo capitolo, facilmente ritrovabili nella gran

parte delle loro opere.

110 C. Burdon, The Apocalypse cit., p. 21: «[Loro] videro la propria arte come una sorta di evangelismo cristiano, lessero il testo dell’Apocalisse, sembra, in maniera impressionante e letterale, e provarono a riprodurre le visioni nel mezzo del mondo conosciuto, chiedendo agli spettatori dei loro quadri di immaginare il potere di Dio che lo invadeva». 111 J. Durbin Rudney, Apocalypse et peinture cit., p. 89: «molto più popolare, spettacolare e anche letterale». 112 Ivi, p. 97.