Il "Laboratorio Segreto" dell'Architettura

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L'intimo legame tra arti plastiche e progetto di architettura in Le Corbusier (di Fabrizio Foti)

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« La clef de ma création artistique c’est mon œuvre picturale entreprise en 1918 et sans cesse pour sui vie ».

(Le Corbusier, Le Corbusier parle, Genève, 1967)

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Sono un architetto. Ma sono (o almeno mi sento di essere) anche un pittore. Da tempo mi interrogo sui termini del confronto dialettico tra le due attività e su quali possano esserne i rispettivi punti di incontro. Quali le opportunità che persegibili concordanze possano stabilire. Ma so-prattutto, mi sono sempre chiesto, l’interazione tra queste discipline quali significativi risultati potrebbe raggiungere. Questa ricerca, pertanto, consiste in una occasione di indagine sul legame tra arti plastiche e progetto di architettura. Un contenuto emerge con evidenza in questo rapporto: il ruolo che la pittura e la scultura hanno avuto per molti grandi architetti, tra passato e presente, nella loro condizione parallela e sistematica di pittori e scultori. Il fare nella pittura e nella scultura, come ambito sperimentale e ca-mera di decantazione di principi “invarianti” sulla realtà delle forme, è il fondamento e l’obiettivo della doppia vitalità creativa. Essa si ma-nifesta in una complessa rete di interrelazioni e reciproche influen-ze, dirette e indirette, tra gesto e pensiero, tra sentimento e ragione, proiettate verso un unico sentire poetico e verso una preciso conte-sto materiale e concettuale dell’opera d’arte. La vita delle forme, come campionario astratto di puri fatti plastici, in cui regole e principi strutturali sottintendono significati immutabili al cambiamento di scala e contesto, è l’ideale ambito di osservazione e apprendimento per l’artista-architetto. Dipingere e scolpire: sono azioni, queste, di un pedagogico e com-plesso momento di elaborazione/esplorazione/meditazione, per l’architetto, sui principi immutabili delle forme e sui propri valori universali, sull’idea di materia, di spazio, di luce e di colore. Manipo-lare la materia conferendole una forma, espressione di una precisa

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1. LE CORBUSIER E IL LABORATORIO SEGRETO DELL’ARCHITETTURA

«Dans le corp même de l’événement plastique, tout n’este qu’unité: vo-lume et polychromie. Tout est dans tout! L’artiste, dans son laboratoire secret, poursuit une recherche de synthèse des arts, par ses inventions et un renouvellement constant de son écriture plastique, il enrichit ses créations qui reflètent aussi bien la force du dessinateur que l’intensité du coloriste».(Le Corbusier, Unité, in L’Architecture d’Aujourd’hui, numero specia-le, Parigi, 1948).

Disegno, pittura, scultura, architettura: discipline di esplorazione e manipolazione della materia e dello spazio. La loro convivenza, nella pratica quotidiana di un artista, definisce un metodologia disciplina-re precisa. In essa, tutte le attitudini artistiche plastiche, necessitano di una regia unica. Esse sono strumenti sensibili con finalità unica: la poesia. Questa, la poesia, è la principale preoccupazione di Le Cor-busier, fondamento per la Gesamtkunstwerke, l’opera d’arte totale, che racchiude in un unico ideale tutte le espressioni del sentire po-etico. Opera d’arte totale, non intesa come “bauhausiana” fusione delle arti in una unica disciplina della creazione artistica, strumento di realiz-zazione di un oggetto artistico utilitaristico che le racchiude tutte. Bensì, opera d’arte totale in quanto espressione di una “concordan-za” tra le arti. “Concordanza-alleanza” che si manifesta attraverso un dialogo sot-teso tra le arti, fatto di armonia tra spazio, luce, volume, materia e colore, investigati attraverso le diverse esperienze artistiche 1.Concordanza percepibile, non più attraverso la superata concezione prospettica rinascimentale, bensì attraverso lo sguardo del corpo in movimento nello spazio, quindi, nella quarta dimensione.L’architettura ha il ruolo di regia suprema e di terreno fertile, in cui si mettono in sintesi tutte le indagini e le riflessioni maturate attraver-so l’esperienza diretta nelle arti. Detto questo, occorre precisare che l’incessante ragionare sul rap-porto tra le arti maggiori vede, in Le Corbusier, ripensamenti e con-comitanze di posizioni.Infatti, se le sue posizioni sono chiarite come in un manifesto delle intenzioni in alcuni celebri scritti e interventi2, di fatto, alcune delle sue opere sono una chiara manifestazione di contaminazione creati-va tra le arti3. Mi riferisco in particolar modo alle opere mature quali la cappella di Ronchamp, il Carpenter Visual Art Centre di Harvard, il Padiglione Philips a Bruxelles. Opere queste in cui, oltre ad una palese manifestazione della

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quadri del periodo purista, piuttosto che del periodo delle Femmes, per comprendere il passaggio da volume-massa a superficie. La tan-gibilità del disegno risiede in una nitidezza geometrica del contorno, prima, e in una evidenziazione del contorno stesso, dopo (soprattut-to dal periodo degli objets à réaction poétique).

1.2.4- L’investigazione sullo spazio e sulla forma: indipendenza dei sistemi formali, l’astrazione spaziale (layering) e l’astrazione forma-dimensione (scaling).

«The Cubist principle of fusing different wiews was here regularized: the bottle top for exemple was treated as a pure circle. Objects and surfaces were container in their outlines and were spliced together with purely abstract shapes in flat layers» 40.

Alla perdita del carattere volumetrico delle composizioni a olio, cui corrisponde l’appiattimento bidimensionale e la sintetizzazione geometrica dei soggetti, Le Corbusier fa progressivamente corri-spondere un’astrazione dello spazio. Dalle spazialità assonometri-che si procede ad un processo di annullamento della profondità pro-spettica o assonometrica, per una totale astrazione bidimensionale. La bidimensionalità dello spazio determina uno schiacciamento su un unico livello del campo visivo di tutti gli oggetti. Alla loro sovrap-posizione e fusione corrisponde, comunque, un’autonomia formale che è resa leggibile attraverso il disegno41. Il vigore della linea disegnata, come una linea-forza, che prevale sul-le campiture cromatiche sovrapposte, come in trasparenza, è un fe-nomeno di layering molto diffuso nell’opera di Le Corbusier, soprat-tutto a cominciare dal periodo delle Femmes. Questa astrazione del rapporto tra forma e spazio, con l’autonomia figurativa delle forme si ritornerà approfonditamente anche nei ca-pitoli successivi. Occorre tuttavia anticipare un cenno sulle analogie che tale processo manifesta anche nel progetto.Si pensi, a titolo di esempio, ad alcuni celebri progetti urbanistici,

Fig. 20-23: Le Corbusier, alcuni quadri a olio di

soggetti del periodo detto delle Femmes e arazzo Trois

femmes sur fond blanc (1950, Kunstmuseum, Berlino).

Fig. 24: Le Corbusier, Présence II, arazzo (1949)

e Fig. 25: Le Corbusier, La femme et la moineau,

arazzo, 1957.Opera cui fa riferimento il testo

riportato nella citazione da Le Corbusier e la rivoluzione

continua in architettura di Charles Jencks, pag. 278/9.

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come La Ville Radieuse: tutti i sistemi principali (sistemi di circola-zione, edifici residenziali e di servizio, vegetazione), sono entità for-malmente e spazialmente autonome, pur sovrapposte planimetri-camente, come in una composizione bidimensionale astratta, il cui disegno le rende intelligibili.

«Tali opere multistrato, facendo propri i mezzi espressivi dell’opera me-diale postmoderna di artisti come Sigmar Polke e David Salle, presenta-no una grande carica di energia e di ostentazione (fig. 173). C’è ancora il “matrimonio di contorni” del Purismo, l’importanza della linea e del profilo che creano una sinfonia di forme portatrice di echi, ma ora c’è anche un contrapporsi di temi in giustapposizione. Come la sovrap-posizione nella pianta di una città del palinsesto di epoche differenti, ciascuna delle quali ha lasciato una traccia, questi dipinti stratificano il colore al di sopra di tutto, lo oppongono alla linea e ai profili attraverso le figure. Il risultato è sempre qualcosa di più che una sola possibilità visiva e simbolica di lettura. I dipinti diventano puzzle visivi, un gioco tra forme simili; il colore piatto è contraddetto da un’ombreggiata pro-fondità. La stratificazione e la composizione qui inventate diventano il metodo per progettare un’intera città, Chandigarh» 42.

In un celebre Carnet Nivola 43 vi è un disegno assai bizzarro. In questo schizzo, successivamente riproposto anche nelle tavole del Poeme de l’angle droit (pag.9), vi è raffigurato lo stesso Le Corbusier, parzial-mente immerso nell’acqua, presumibilmente del mare. Il punto di vista è l’occhio stesso di chi si ritrae.Le forme del corpo emergenti dall’acqua appaiono come faraglio-ni, dorsi rocciosi, spiagge. Quest’ambiguità per cui antropomorfismi trovano analogie con forme topologiche corrisponde ad un altro interessante aspetto della produzione di Le Corbusier: l’astrazione forma-dimensione (scaling). Sguardo ravvicinato e sguardo geogra-fico colgono lo stesso paesaggio di forme.Le frequenti allusioni al corpo come paesaggio, prima negli schizzi dei carnets44, poi nei quadri a olio, dagli oggetti come architetture,

Fig. 26-27: Le Corbusier e Pierre Jeanneret, progetti urbanistici per la Schelda di Anversa (1933) e per La Ville Radieuse (1930-35).

Fig. 28: Le Corbusier, Carnet Nivola, disegni a penna su carta (Fondation Le Corbusier).

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alle architetture come composizioni di surreali nature morte, testi-moniano la precisa convinzione di Le Corbusier di una invarianza dei principi formali fondamentali, al cambiamento della scala. Ecco per-ché un objet trouvée, come il carapace di un granchio, può diventare la copertura di Ronchamp.Sicuramente, questa tendenza ad astrarre la realtà delle forme, riuti-lizzandole a scale diverse e in contesti d’uso diversi, testimonia una certa propensione al surrealismo di Le Corbusier.Questa visionaria intuizione, che sembra anticipare le teorie sulla matematica del frattale, nell’ invarianza dei principi morfogenetici a qualsiasi scala dimensionale, nasce nel modo più naturale possibile: attraverso “l’osservazione dal transatlantico”45 di Rio de Janeiro e la

Fig. 31-32: Le Corbusier, ritratto di Pilar Palacio e

disegni su carta tratti da Carnet Barcelone e

C10, 1931-33 (Fondation Le Corbusier, Parigi).

Fig. 33-34: Josephine Baker e immagini tratte da

JENGER, JEAN , Le Corbusier. L’architettura come armonia.

Fig. 29-30: Un carapace di granchio della collezione

privata di Le Corbusier (Fondation Le Corbusier, Parigi), e un’immagine di

Ronchamp.

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riscoperta dell’eros, in compagnia di Josephine Baker (1929).Ma di questo se ne parlerà esaustivamente nel capitolo 4.

1.2.5- Il vocabolario formale naturale.

La natura, come più volte è stato detto, detiene una fonte inesauribi-le di riferimenti e suggerimenti che necessitano di essere osservati, compresi nell’essenza, “digeriti” e riutilizzati come campionario tra-sfigurato di vocaboli del personale repertorio formale. Le Corbusier conduce incessantemente un processo di appropriazione di nozioni attraverso gli schizzi, gli appunti, i quadri.La natura, in tutte le sue manifestazioni, ivi incluso il corpo, è il sog-getto fisso della sua ossessione-osservazione. Dalla natura Le Corbu-sier prende spunto, astraendone il senso, per creare.Così in pittura, come nelle sculptures partagées con Savina, nelle scul-ture sulla spiaggia di Long Island con Nivola, nei progetti di architet-tura e urbanistica i vocabolario naturale, con i suoi principi geome-trici, morfogenetici, proporzionali suggerisce sempre una risposta ai complessi quesiti tecnici, tipologici, programmatici del progetto. Anche gli oggetti della produzione industriale, pur non apparte-nendo direttamente alla natura, in quanto non direttamente creati da essa, sono il risultato di un processo di selezione formale che ha origine dalle leggi della natura. Le nature morte del periodo purista celano gli stessi principi morfologici, depurati, selezionati, sintetiz-zati, di una mela, piuttosto che di una pigna, di un albero, di un fiore. La selezione macchinista della produzione standardizzata, con le sue contingenze tecniche, legate alla produzione in serie, detiene con-sapevolmente e inconsapevolmente, le leggi estetiche di economia, funzionalità, ergonomia, coerenza forma-struttura, che il maestro ricerca in pittura e in architettura e che la natura detiene spontanea-mente innata in tutte le sue manifestazioni.

1.2.6- La luce del Mediterraneo, “La Clef” rivelatrice dell’essenza delle forme.

La “chiave” di tutto, però, è la luce. Materia prima dell’avvenimento plastico, la luce è ciò che chiarisce le forme e le rende decifrabili. Essa è la decisiva e più importante invariante plastica.

«Au cours des année, je suis devenu un homme de partout. J’ai voyagé à travers les continents. Je n’ai qu’une attache profonde : le Méditerranée. Je suis un méditerranéen, très fortement. Méditerranée, reine des for-mes et de lumière. La lumière et l’espace. Le fait, c’est le contact pour moi en 1910 à Athènes. Lumière décisive. Volume décisif: l’Acropole»46.

Fig. 35: Le Corbusier, schizzi tratti da: Le Corbusier lui-meme e Maison des hommes (Fondation Le Corbusier, Parigi).

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2. PLASTIQUE-ARCHITECTURE: EVOLUZIONE DEL POTENZIALE CREATIVO IN LE CORBUSIER. FATTORI ENDOGENI ED ESOGENI DELLA FORMAZIONE.

L’attitudine nelle arti è sempre stata una costante dell’esistenza di Le Corbusier. Del resto, tale attitudine è stata una lezione tramandata del patrimo-nio culturale di famiglia. Sono note le predisposizioni pedagogiche trasmesse sul giovane Jeanneret all’interno del contesto familiare e nell’ambito dei luoghi natii. La madre, Marie Charlotte Amélie, gran-de appassionata, conoscitrice e interprete di musica. Il fratello Al-bert, musicista di talento. Il padre, Georges-Edouard, come il nonno, era pittore-artigiano, incisore e cesellatore di orologi. La cittadina che ha dato i natali a Jeanneret, La Chaux- de- Fonds, rientrava (e tuttora rientra), in un distretto svizzero- quello della ca-tena dello Jura a confine con la Francia- di consolidata importanza per la produzione artigianale, in progressiva industrializzazione, di orologi di precisione. La Omega nasce in questa città (1848). Del di-stretto fanno parte anche Ulysse Nardin (1846), Rolex (1908) e la Ze-nith Watch Company (1865). Quest’azienda orologiera, come noto, viene fondata da Georges Favre-Jacot, uno dei primi committenti del giovane Jeanneret architetto. In questo ambito, storicamente caratteristico del rapporto tra ricerca artistica applicata all’ornamento e produzione proto-industriale, cre-sce e si forma il futuro uomo pluridisciplinare: Le Corbusier1.Il rapporto sinergico tra produzione industriale e pratica nelle arti applicate, è quindi lo scenario fisso caratteristico della crescita, tra infanzia e adolescenza di Charles Edouard Jeanneret. Questo scena-rio, di cui Jeanneret è attore, è il principale fattore endogeno che contribuisce alla formazione di un pensiero in “incubazione”: l’im-portanza di una interazione tra le pratiche artistiche come opportu-nità di sviluppo di reciprocità strumentali. Reciprocità finalizzate alla produzione di un vocabolario artistico originale2. Altri fattori, ancora, costruiscono tasselli indispensabili nella cresci-ta formativa del potenziale creativo di Jeanneret. Questi hanno una relazione diretta con il contesto della nascita e della crescita ado-lescenziale dell’artista-architetto svizzero (fattori endogeni). Fattori come quello di cui si è sopra accennato. Di questi, fa sicuramente parte l’apprendistato con il maestro e mentore L’Eplattenier.Altri fattori sono, invece, di natura esterna al contesto (fattori esoge-ni), in quanto non direttamente legati ad esso. Di questi fanno parte i viaggi formativi, le esperienze lavorative in Francia da Auguste Per-ret e in Germania da Peter Behrens, le corrispondenze con William Ritter, e le letture da questi suggerite3.

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3. L’ESPERIENZA PURISTA: DALLA NATURA ALLA MACCHINA.

«Le virtù plastiche: la purezza, l’unità e la verità tengono sotto di sé la natura domata» 1.

La mostra alla Galerie Thomas a Parigi (1918-19) segna l’inizio di un’epoca rivoluzionaria e di un sodalizio tra Jeanneret e Ozenfant che dura quasi dieci anni2. Il soggiorno di Bordeaux da Ozenfant, prima della produzione delle opere e dell’organizzazione dell’esposizione di Parigi, ha galvanizza-to Jeanneret. Il contributo eccezionale di Ozenfant nell’indottrina-mento dialettico e nella formazione della tecnica pittorica di Jean-neret ha dei risultati radicali. La Cheminée e Nature morte avec livre, verre et pipe, sono i due primi quadri puristi a olio di Jeanneret.Mentre il primo quadro, La Cheminée (1918), è manifestazione tangi-bile di una svolta pittorica e poetica rispetto alla produzione eclet-tica e dilettantesca precedente, la seconda tela prodotta e inserita nell’esposizione, La Nature morte avec livre, verre et pipe (1918), mani-festa una maggiore cristallizzazione dei principi del Purismo.Il primo quadro condensa, in un’immagine quasi innaturale, l’idea-le purista di architettura: essenza stereometrica del volume sotto la luce e il rigore della geometria. Lo spazio rimanda ad uno degli schizzi dell’Acropoli fatto da Jeanne-ret nel 1911 durante il soggiorno ad Atene 3. Il secondo quadro, invece, segna un progresso nella volontà di es-senza dei volumi. I colori sobri sono ridotti a poche sfumature oppo-ste di grigio, bianco, crema, blu notte e marrone scuro. La luce irradia in un’atmosfera come di tempo congelato. Gli oggetti sono illuminati dall’alto e la luce sembra dare più carattere volumetrico agli oggetti.

«Proportions sont les rapports des nombres constituant le tableau. Plus les élément sont justes entre eux, plus le coefficient de beauté tend à au-gmenter» 4.

Fig. 65 : Le Corbusier, Nature morte avec livre, verre et pipe (1918), olio su tela (Fondation Le Corbusier, Parigi).

Fig. 66 : Le Corbusier, Atene : veduta dell’Acropoli da Nord, Settembre, 1911, schizzo tratto da: Le Corbusier lui-meme (Fondation Le Corbusier, Parigi).

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Fig. 67-79 : Le Corbusier, Le Bol rouge, Nature morte à

l’œuf, Nature morte à la pile d’assiettes ou Gutare “Claire de

lune”, Nature morte rouge ou violon, Cruche, verre, carafe et

livre, Nature morte au siphon 2e version, Grande nature morte

« Independants », Nature morte pâle à la lanterne, Nature morte

aux dés, Nature morte claire à las de pique, Nature morte verticale I(con il confronto con l’impianto

dell’Acropoli di Atene), Nature morte aux nombreaux objets, Nature morte aux nombreaux

objets II, Bouteille et livre (rose), olio su tela (1918-1926).

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dei singoli dovevano risolversi attraverso tante spazialità settorializ-zate. S’impose dunque un sistema compositivo per aggregazione di volumi, motivo per cui il risultato finale avrebbe restituito un’idea di palazzo piuttosto che di due case. Per entrambe le residenze, Le Corbusier realizza una disposizione delle funzioni per plan renversé 61, invertendo cioè la collocazione di zona notte al primo livello e zona giorno al secondo, che offre l’ac-cesso al terrazzo-giardino. Il fondale della strada senza uscita è co-stituito dal volume curvo, sospeso dal suolo su setti e pilotis, della galleria La Roche. L’ingresso di casa La Roche si apre su una hall, le cui dimensioni contenute sono percettivamente dilatate dallo spa-zio multiplo che tiene insieme tutti e tre i livelli in alzato.La sensazione di spazio proporzionato dei vuoti interni della hall e della galleria, cui fanno da contrappunto i volumi delle rampe, e la composizione degli alzati, tra interno ed esterno, sono calibrati ed equilibrati attraverso l’ausilio dei tracciati regolatori e della sezione aurea, che disciplinano misura e posizione di ogni elemento, «confe-rendo all’opera l’euritmia» 62.Potendo svincolare la struttura dalla distribuzione e dall’involucro, grazie alle sperimentazioni sul sistema Dom-ino, Le Corbusier utiliz-za finalmente superfici prive di funzione strutturale, ma che caratte-rizzano univocamente le volumetrie della casa, secondo il principio della pianta come generatrice.La casa La Roche è un laboratorio di sperimentazione di una spazia-lità nuova: la sequenza di spazi e di scarti di scala; i colori e la «pre-miere essais de polychromie» ben regolata, in equilibrio con il bianco, che consentono l’affermazione del volume (o il suo annullamento) e

Fig. 89-90 : Le Corbusier, maison Jeanneret-La Roche,

ingresso e hall di casa La Roche (Parigi, 1923).

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l’accentuazione plastica dei chiaroscuri; la promenade architecturale come “processione”, metafora della circolazione macchinista della rampa della galleria. Un complesso esempio, quindi, di cubismo ar-chitettonico in cui tutti i principi sono orchestrati attraverso il siste-ma unificante della percezione nello spazio-tempo. Nella Jeanneret-La Roche, finalmente Le Corbusier può mettere in pratica le riflessioni suggerite dall’esperienza dell’Acropoli63.

«In Maison La Roche formal and colouristic contrasts are dramatized by the ever-changing point of view, a procession trough spaces and volu-mes that Le Corbusier called the promenade architecturale» 64.

Quando Le Corbusier sistemò i dipinti cubisti di proprietà di La Ro-che nella galleria ultimata, il banchiere chiese di cambiarne la posi-zione e di sostituirli con i dipinti di Ozenfant e Jeanneret, per dare al Purismo il posto d’onore, in quanto:

«La vostra pittura è al livello della vostra architettura e poiché da lì è uscita, è logico che lì ritorni»65.

In riferimento a quanto precedentemente accennato sugli studi sulla policromia di cui la maison Jeanneret-La Roche è testimone, le proprietà chiaroscurali sono calibrate all’interno della casa attra-verso l’interazione tra luce-ombra e colori. Le asciutte forme archi-tettoniche del vocabolario purista trovano nel colore una coerente espressione di decoro per un nuovo ordine moderno dell’architet-tura. Il colore, al pari della geometria, della proporzione, e della luce è l’elemento invariante di definizione armonica, tra «événement pla-stique» e spazio, di una unità. La maison Jeanneret-La Roche e per lo più tinteggiata in bianco, ma all’interno le superfici in ombra sono spesso blu, mentre quelle maggiormente esposte alla luce sono tin-teggiate in un rosso tendente al marrone. Spesso vengono accostati colori contrastanti che frammentano e scompongono percettiva-mente l’inviluppo dello spazio. Il colore, in generale, astrae la materi-cità delle parti architettoniche. Tutti i colori più soventemente utiliz-zati negli interni della casa sono selezionati, come campioni di una gamma cromatica di cui se ne conoscono le proprietà, dai quadri ad olio coevi del periodo66. Il quadro è lo strumento di indagine cono-scitiva delle possibilità combinatorie, come delle forme, così anche dei colori. Presi singolarmente, o in associazione, questi stabiliscono una caratterizzazione dello spazio, in accordo con le superfici e, so-prattutto, con la luce, di cui i colori sono strumenti di esaltazione:

«J’ai pensé depuis quelques années, que la polychromie de l’interieur de

Fig. 91-92 : Le Corbusier, Nature morte claire à l’as de pique (1922) e Nature morte foncée à l’as de pique (1922), olio su tela.

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Fig. 95-101 : Confronto tra alcuni quadri a olio di Le

Corbusier e le piante di villa Stein de Monzie.

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La villa rappresenta la sintesi del pensiero moderno lecorbusieriano. Essa è il punto di arrivo di un percorso di ricerca cominciato a di-ciassette anni a La Chaux-de-Fonds e continuato, dopo i viaggi tra il 1907 e il 1911, in Francia a Parigi insieme ad Amedée Ozenfant. Villa Savoye non è solo la messa a punto, alla scala domestica, dei cin-que punti della nuova architettura, ma è la rassegna antologica di tutti i temi e di tutte le lezioni dedotte dall’esperienza di quarantadue anni di vita e di episodi biografici determinanti del maestro svizzero. Essa è l’evoluzione delle invarianti plastiche trasferite e sintetizzate, attraverso il contributo della sperimentazione in pittura, in un’ideale architettonico coerente ad un principio costruttivo: geometria, pro-porzioni geometriche, ordine strutturale della forma e disposizione degli elementi disciplinate attraverso i tracciati regolatori e la sezio-ne aurea; la luce, come strumento di costruzione di una manifesta-zione plastica in accordo con i colori, investigati attraverso la pittura purista, nelle loro implicazioni psicologiche, ivi collocati sapiente-mente; le investigazioni sull’astrazione dello spazio e della scala di-mensionale degli oggetti; la composizione per oggetti del vocabola-rio plastico nelle loro forme elementari, le più belle, le ideali. La villa contiene e delimita, come i bordi di una tela estrusi nello spa-zio, un microcosmo proiettivo dell’idea urbanistica di strutturazione della città per livelli indipendenti, riprodotta alla scala architettoni-ca: verde e circolazione veicolare al piano terra, piano di vita staccato dal piano di campagna e rialzato su pilotis, tetto giardino.Come rammenta Curtis74, Le Corbusier ricerca attraverso la villa un’icona rappresentativa di un equilibrio tra l’archetipo e l’ideale di stabilità classica del linguaggio: dalla capanna primitiva di Laugier al tempio periptero, i riferimenti ideali di Le Corbusier sono un antido-to ieratico contro la provvisorietà e la temporalità.

«The “Classicism” of the Villa Savoye is of a generalized kind: impecca-bile proportions, harmony of part and whole, the sense of repose, a just sense of hierarchy. Trabeation is given a new elemental definition using the simplest forms of column, slab, wall and opening»75.

Le Corbusier utilizza correzioni ottiche, come nel Partenone, nell’as-sottigliamento della sezione dei pilotis delle campate corrispondenti alle aperture sul patio del primo piano, sul lato ovest. Le forme curve delle pareti frangivento del solarium, come della scala a chiocciola interna, e la loro plastica organizzazione dimostrano analogie con la successiva esperienza metafisica e surrealista dell’attico Betsegui.

«Cette villa a été construite dans la plus grande simplicité, pour des clients dépourvus totalement d’idées préconçus: ni modernes, ni anciens. […]

Fig. 102 : Le Corbusier, villa Savoye a Poissy (1928-30).

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L’architecture arabe nous donne un enseignement précieux. Elle s’ap-précie a la marche, avec le pied ; c’est en marchant, en se déplaçant que l’on voit se développer les ordonnances de l’architecture»76.

Questa dichiarazione di Le Corbusier comunica in modo estrema-mente chiaro due peculiarità della villa: la prima è la volontà del progetto di ricercare l’equilibrio tra valori classici e spirito moderno, la seconda è la caratteristica di organizzare e strutturare gli spazi in base ad una percezione in movimento lungo un percorso.Per meglio chiarire questo concetto è opportuno compiere una rico-gnizione sul luogo.Si entra nella proprietà da Sud, nel giardino, dopo un rapido sguar-do verso la casa del custode e giardiniere. Per raggiungere la villa si attraversa, mediante un sentiero sterrato, un piccolo bosco che lascia scoprire gradualmente il volume bianco della casa. L’accesso principale si trova sul lato opposto, verso Nord, perciò si è costretti a girare intorno alla casa. Questo cammino, semicircolare come la traiettoria della macchina che vi accedeva, ci consente di osservare in movimento la casa e di comprenderne la sua dinamica plastica nello spazio-tempo. Non solo: ci rendiamo conto che il quadrilatero verde del lotto è completamente cinto da quinte arboree molto alte che proteggono la casa da indesiderati contatti esterni. Il lotto sembra dunque una “casa verde” in cui si è inserita, come una scatola cinese, un’altra casa.Come fare a guardare il mondo oltre queste mura? Incuriositi ci si avvicina all’ingresso della casa.Una volta raggiunto l’ingresso principale, ci accorgiamo che nel co-ronamento della casa, costituito dalle curve pareti di protezione del solarium, si apre qualcosa. Entriamo oltrepassando il colonnato di

Fig. 103-104 : Le Corbusier, villa Savoye a Poissy (1928-

30). Immagini delle pareti curve del solarium di

copertura e della scala a chiocciola interna.

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pilotis e la porta di ferro di ingresso. La promenade, all’interno del-la casa di fronte all’ingresso, ci conduce, nel suo circuito attraverso la casa, nel soggiorno, nel patio di fronte al soggiorno e, infine, sul tetto, dove in corrispondenza di essa ritroviamo la strana apertura vista precedentemente. Essa si apre nel muro di coronamento che delimita e protegge dal vento il solarium. Attraverso questo percorso a spirale che ci ha guidato, dall’ingresso alla proprietà, attraverso il lotto e la casa, fino al tetto-giardino, ci si rende finalmente conto del senso di tutto questo.Ecco che la “macchina-tempio”, manifesto purista dell’abitare mo-derno, rivela un’altra ragione di sé: la promenade architecturale, il “sesto” fondamentale punto dell’architettura, è l’organica estensione del percorso che, dall’esterno all’interno e poi di nuovo all’esterno, consente di percepire in movimento il susseguirsi di paesaggi, di spazi e di forme sotto la luce. Questa, insieme al coronamento della villa, nature morte fatta architettura, costituiscono una composizio-ne mirata di conquista del paesaggio. Raggiungere il tetto giardino, solarium e copertura del soggiorno, e scoprire che oltre i limiti si apre una cornice sul paesaggio, oltrepassando con lo sguardo la cortina verde che cinge la villa, è sicuramente un tema centrale che rende più complesso e affascinante il programma.Il tema è analogo ad una precedente esperienza progettuale di Le Corbusier, la Petit Maison sul lago Lemano, realizzata per i genitori, da cui «si acquista una vista impareggiabile e inalienabile su uno degli orizzonti più belli del mondo» 77. Anche in questo caso, come vedremo in seguito, Le Corbusier chiu-de gli orizzonti, rivelandoli in punti strategici attraverso delle cornici, interruzioni del limite. La promenade e la cornice sul paesaggio di villa Savoye, fondale che ci proietta nell’orizzonte, individuano l’asse ideale della casa. Il solarium della villa, inoltre, come il suo patio al piano inferiore, è

Fig. 105-107 : Le Corbusier, villa Savoye a Poissy (1928-30). La sequenza dalla promenade architecturale che consente di conquistare la vista sul paesaggio mediante la finestra a giorno del solarium.

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4. LA CRISI DEL PURISMO E LA NUOVA STAGIONE CREATIVA.

Nonostante i successi della rivista L’«Esprit Nouveau», che negli anni era diventata un riferimento ideologico ed estetico in Francia e in molte parti d’Europa, arrivando all’attenzione di istituzioni quali la Bauhaus1, la crisi dei rapporti tra Amedée Ozenfant e Le Corbusier fu la principale, se non unica, causa della chiusura della rivista, nel 1925. I due si scambiavano accuse velenose causate da reciproche invidie e gelosie:

«Le Corbusier era furioso per il fatto che Ozenfant avesse cambiato data su diversi dipinti per dimostrare di aver sempre avuto un’idea un anno prima. Inoltre “Saugnier” (pseudonimo del co-autore Ozenfant, n.d.r.) stava acquisendo eccessivi meriti in quanto autore di Vers une Architec-ture, che era stato pubblicato nel 1923 sotto doppio nome, raggiungen-do immediatamente fama mondiale. Così Le Corbusier omise il nome Saugnier nella seconda edizione e dedicò il libro a Ozenfant»2.

L’episodio più amaro per Le Corbusier fu quando Ozenfant, per “li-quidare” i servizi di Le Corbusier nella rivista, gli diede un assegno con una somma così ridicolmente bassa che Le Corbusier lo tenne per tutta la vita nel portafoglio, mostrandolo ogni volta che parlava del suo ex amico. La rottura tra i due arriva proprio nel momento in cui, per Le Cor-busier, si registra il consolidamento del successo, sia editoriale (so-prattutto con Vers une Architecture), che come architetto: sono gli anni, tra il 1926 e il 1929, in cui riesce a mettere in pratica i sui studi sui 5 punti dell’architettura, sui prototipi di residenza e sull’impiego trasversale delle invarianti plastiche, tra pittura e architettura, attra-verso realizzazioni quali la maison Cook(1926), le due case al Weis-senhof di Stoccarda (1926-27), la villa Stein-de Monzie (1926-27), e la villa Savoye (1928-31). Il 1928 è l’anno dell’indiscutibile consacrazione internazionale di Le Corbusier. Nonostante l’insuccesso e la delusione per gli esiti del concorso per il Palazzo delle Nazioni di Ginevra (1927), Le Corbusier riscuote numerosi consensi per il progetto e aumentano considere-volmente le richieste di assunzione nell’atelier di rue de Sévres. Inol-tre egli riceve molti inviti a tenere conferenze, tra cui a Vienna, Praga, Varsavia, Madrid e Mosca.Dall’acceso dibattito, aperto in due opposte fazioni, tra modernisti e sostenitori del progetto di Le Corbusier e accademisti oppositori, scaturisce l’iniziativa voluta da M.me Hélène de Mandrot-Revilliot di organizzare il primo C.I.A.M., nel castello di La Sarraz. Il Congresso si svolge dal 26 al 28 Giugno del 1928. Le Corbusier, nella sua relazione

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pipa e il fumo della pipa. E anche un piccolo uccello che prende il volo, e, in una graziosa nuvoletta rosa, scrivo: Lirismo.E sostengo: lirismo = creazione individuale. E spiego ulteriormente: tut-to ciò che è dramma, che è patetico e aggiungo: vi sono in queste cose dei valori eterni, capace di accendere, in tutti i tempi, una fiamma nel cuore degli uomini.La traiettoria ha raggiunto il suo bersaglio: partita dagli elementi mate-riali che sono l’aspetto dei tempi, e per conseguenza mobili, effimeri, ma ciò nondimeno costituiscono il trampolino che dà slancio alla traietto-ria, essa è passata attraverso il sogno umano, per attingere ai valori eterni: l’opera d’arte che è immortale e continuerà a parlarci attraverso tutti i secoli a venire»8.

Anche in questo periodo, come nel precedente e nei successivi, si riconosce un passaggio evolutivo nello studio della forma, in pittura, dalla consistenza volumetrica dei soggetti ad una loro progressiva sintetizzazione, alla tendenza astrattiva alla bidimensionalità e alla fusione dei contorni e delle sagome sovrapposti.Le leggi geometriche della natura, astratte e rese essenziali negli oggetti della produzione industriale, trovano negli oggetti a re-azione poetica le loro più complesse combinazioni e commistioni morfologiche. Oggetti in cui l’opera del tempo esprime una mera-vigliosa attitudine scultorea, nella sua azione costante e incessante, fondata su rigorosi principi fisico-matematici e geometrici. Oggetti in cui Le Corbusier non è più attratto solo dalle lisce, incorruttibili e astratte superfici puriste, bensì dalle porosità, dalle rugosità e dalle

Fig. 114-117: Le Corbusier, disegni di ossa e radici tratti

da Carnet B9 (Fondation Le Corbusier).

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scabrosità materiche, testimonianze tangibili dell’azione naturale del tempo. Questo nuovo interesse per la materia naturale, che il maestro sviz-zero comincia a maturare, è un tema che dalla pittura si proietta pro-gressivamente anche in architettura, a cominciare da opere quali la maison di M. Errazuriz in Chile (1930) e la villa di M.me de Mandrot a Le Pradet (1930-31), piuttosto che i più tardi progetti quali la petite maison de week-end a Celle-St-Cloud o la casa a Les Mathes sull’Oce-ano Atlantico (1935) o i prototipi di autocostruzione post-belliche delle Murondins (1940). Opere di premonizione in cui ritorna il tema dell’archetipo, in forma di arcaismo regionalista, indagato molti anni prima già nelle maisons Monol e nei megaron delle maisons Citrohan, del 1920 9. Opere in cui l’astratta interpretazione purista del distacco dal sedime, vengono sostituite da una sensibilità organica per una giacitura di «réponse ou site», in cui alle bianche e sottili superfici esterne di invilippo dello spazio si sostituiscono ruvide, screziate e spesse murature in pietra, in legno, in vetro-mattone o in beton-brut.Mentre il ruolo pedagogico del purismo aveva contribuito all’impo-sizione di una disciplina strutturale del pensiero, una metodologia rigorosa cui hanno fatto riferimento le invarianti plastiche e i cinque punti dell’architettura, il periodo degli oggetti a reazione poetica, tutt’altro che transitorio (lo dimostra il fatto che, a cominciare dal 192710, gli oggetti a reazione poetica compaiono in pittura e per-mangono incastonati, stratificati e fusi con gli altri soggetti pittorici fino alla fine della vita di Le Corbusier), si impone come strumento di crescita ed emancipazione artistica del maestro svizzero. Ciò avviene soprattutto attraverso una nuova codificazione formale dei cinque punti, ovvero mediante una loro re-interpretazione se-mantica in chiave bio-morfica, mutuata da una necessità imposta dal cambio di scala dei progetti. Difatti, mentre l’introduzione dei cinque punti in architettura vengono sperimentati alla scala della residenza singola o collettiva di piccole dimensioni attraverso l’im-piego degli objets-type (vedi ad esempio: maison Cook del 1926, villa Stein-De Monzie del 1927, le due case al Weissenhof di Stoccarda del 1926-27, la villa Savoye del 1928-31), i progetti di grande scala architettonica, affrontati a cominciare dal Palazzo delle Nazioni di Gi-nevra, il Centrosoyus, il Pavillon Suisse, l’Immeuble Clarté di Ginevra, etc., impongono un adattamento formale, strutturale e dimensiona-le dei pilotis, delle fenêtres au logeur, della plan libre, della façade libre e del tetto giardino. In sintesi il cambio di scala impone una riformu-lazione morfologica dei cinque punti. Attraverso la sperimentazione degli objets à réaction poétique, Le Corbusier riesce ad espandere le possibilità conoscitive, approfondendo il bagaglio acquisito grazie

Fig. 118-119: Le Corbusier, Schizzo tratto da Precisions e Conchiglia (Carnet B9, Fondation Le Corbusier, Parigi)

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Fig. 130-131: Josephine Baker e Le Corbusier:

La Femme au billard, olio su tela (1929).

Fig. 132-133: Le Corbusier dipinge la scultura di Savina

Femme e una immagine della scultura.

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4.1.1- Il viaggio in America Latina e la riscoperta delle forme della natura attraverso il paesaggio. Josephine Baker: la nuova musa ispiratrice.

La predisposizione di Le Corbusier verso una riapertura ai temi legati alla natura, per mezzo di referenti organici, precede la svolta radicale di una nuova tensione creativa, le cui prime basi vengono consolida-te attraverso la ripetizione del “rito iniziatico” del viaggio. Il viaggio in America Latina del 1929 e i viaggi in Spagna e Algeria, a cominciare dal 1931, sono momenti determinanti di una svolta de-cisiva nelle concezioni urbanistiche e architettoniche, come conse-guenze di un nuovo orientamento poetico attraverso la pittura. In essi, soprattutto nel viaggio in America Latina di cui si riconosce il ruolo di epifanica rimessa in gioco dell’artista, si manifestano nuovi impulsi e nuove consapevolezze, oltre all’avvio di una nuova e profi-qua stagione artistica:

«I due mesi e mezzo che L-C passa tra Buenos Aires, Montevideo (con puntate aeree verso Nord: sopra i grandi fiumi e la foresta amazzoni-ca), visite a São Paulo e Rio de Janeiro, sono – probabilmente – uno dei momenti più intensi e felici della sua vita. Le conferenze che deve tenere […], lo stimolano a fare una summa retrospettiva di tutta la sua opera. Ma la scoperta della straordinaria naturaleza sudamericana lo entusia-sma e lo riempie di nuova tensione creativa»12.

Come per le esperienze giovanili dei viaggi in Italia e in Oriente, la ri-proposizione del viaggio, quindi, si palesa come occasione di rinno-vamento ciclico della ricerca paziente. Esso rappresenta il momento magico dell’autodidatta, che ha dalla sua parte l’occhio e la mano, legati al pensiero, come strumenti di conoscenza, per registrare nuo-ve riflessioni in incubazione. Il termine chiave di questo viaggio, che assume molteplici significati, anche metaforici, è la distanza: - la distanza dalle abitudini, dal progetto, dalla pittura quotidiana, per la concentrazione assoluta sulla contemplazione, sulla scrittura delle impressioni, come necessità di uno stimolo di cambiamento di rotta della creazione; - la distanza concettuale come necessità, per una efficace messa a fuoco su una simbolica visione d’insieme della comprensione, dei pensieri e dei ragionamenti;- la distanza letterale che consente non solo lo sguardo analitico, che coglie solo l’essenziale, il dato tipologico, tecnico, strutturale delle cose, ma anche l’abbandono alla pura contemplazione dei “paesaggi sublimi” dell’America Latina e dell’Algeria;

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sul transatlantico trascorrono 11 giorni di passione per Le Corbusier. Non è chiaro di quale natura sia stata la relazione tra i due, ma vi sono numerosi appunti, lettere e disegni, addirittura una scrittura per un balletto che Le Corbusier progetta per la Baker24, che manifestano inequivocabilmente il fascino esercitato della donna sull’architetto. Le Corbusier ne rimane talmente ammaliato da tributarla diverse volte, come in Précisions sur l’état actuel de l’architecture et l’urbanisme, il libro che raccoglie le idee maturate durante il viaggio in America Latina e i testi delle conferenze ivi tenutesi, nel quale di lei dice:

«Vive percorrendo il mondo. Commuove immense folle. Esiste dunque un cuore in fondo alle folle? La musica ne trova la strada. L’uomo è una magnifica bestia. Ma bisogna sublimarlo, strapparlo alle abominevoli menzogne che fanno della sua vita un inferno, senza che ne misuri la ragione, senza che ne denunci la causa».

Charles Jencks, in riferimento ad un articolo pubblicato su Opposi-tions n. 19/20, di Stanislaus Von Moos (Le Corbusier as painter, p. 89), afferma:

«Vi sono innumerevoli schizzi di nudi a partire dalla figura di Josephine e alcuni dipinti degli anni trenta che la monumentalizzano e la trasfor-mano in una divinità animale, una figura mitica che può, come hanno sostenuto alcuni storici, essere messa in relazione con le figure preistori-che della fertilità del Neolitico, forse la dea della luna. Troviamo parec-chi tipi di donna ritratti: una grande figura della dea-madre, la figura sottile e alta della donna-capra (la Licorne), la grassa pescatrice di Ar-cachon, la lottatrice. Queste sono le principali figure che ritrae e spesso sembrano avere le acconciature di Joséphine, la sua bocca, le sue postu-re. Molti sono disegnati o dipinti a memoria e forse in questo modo egli costruisce un archetipo collettivo del simbolo femminile» 25.

Joséphine è dunque la scintilla, la causa scatenante di una nuova ricerca dei significati formali, attraverso Il risveglio dell’eros e dell’in-teresse verso le forme erotiche del corpo, sopite durante il periodo purista. Ella trasmette, più o meno inconsapevolmente a Le Corbu-sier, la gioia della contemplazione del corpo e l’amore per la sessuali-tà, che la formazione protestante dello Jura e la propensione ad una condotta austera e quasi monacale avevano sempre inibito.Questa libertà di espressione del corpo provoca la riproposizione di un tema che già aveva affascinato Le Corbusier negli anni giovanili, a più riprese, nel 1907-08 e nel 1917, con chiari riferimenti ai soggetti erotici di Rodin, e nuovamente dal 1928 26 e che rivive nei carnets de voyage, prima, e nei quadri a olio, dopo.

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Fig. 142 -148: Le Corbusier: disegni a matita e quadro a olio sui soggetti

femminili, probabilmente ispirati a Josephine Baker prodotti a cominciare

dal 1929. Molti di essi fanno parte della celebre Collezione Ahrenberg.

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5. GLI ANNI DELLA MATURITA’: VERSO L’OPERA D’ARTE TOTALE.

Nonostante l’affermazione internazionale tra gli anni ’20 e i ’301, si apre un periodo di grandi delusioni e sconfitte per Le Corbusier: egli realizza molto poco e le sue dottrine urbanistiche vengono ignorate da Stalin, Hitler e Mussolini.Inizialmente illuso dal governo filo-tedesco di Vichy, da cui Le Corbu-sier sperava di ottenere incarichi per realizzare finalmente i suoi pro-getti per Algeri, egli ne viene allontanato dopo tante energie spese nei tanti progetti urbanistici e architettonici avanzati. Il suo appello all’Autorità inserito ne La Ville Radieuse (1935), di cui invia una copia a Stalin, Mussolini, Pétain e Nehru, verrà considerato più tardi solo da quest’ultimo. Le sue idee sull’architettura alla grande scala e sull’ur-banistica vengono contrastate e polemicamente combattute.Ciò nonostante, la parentesi dell’esilio di Ozon, nuovo momento di decantazione delle riflessioni sulla forma tra arte e architettura, è l’ulteriore tassello determinante, preparazione del campo fertile della grande intensità creativa, degli ultimi venti anni della vita di Le Corbusier. Attraverso l’esilio volontario si predispongono le forze e le tensioni del periodo in cui la sintesi dei mondi paralleli della creazio-ne, vissuti in presa diretta da Le Corbusier, trova l’ultimo grande slan-cio verso l’equilibrio del sapere scientifico e dell’impulso alla creazio-ne artistica. La sintesi dei saperi – artistici e scientifici - si rappresen-ta, così, in un unico e univoco complesso soggetto, espressione delle attitudini nei differenti e contestuali medium della comunicazione del significato estetico. La sintesi delle arti, concetto dal significato aperto a molteplici interpretazioni, trova in Le Corbusier, a seguito di questa parentesi pre-bellica, concomitanti declinazioni di cui le ultime opere architettoniche sono eloquenti corollari.In Le Corbusier, ognuna delle modalità interattive tra le arti mag-giori, dalla coabitazione orchestrata e simultanea – la concordanza-alleanza2 – all’unione e commistione, come risonanza intertestuale delle proprietà invarianti viventi in un unicuum, ha come obiettivo prioritario il compimento dell’opera totalizzante, che racchiude in una unica e complessa entità l’equilibrio virtuoso tra ragione e sen-timento.Nel primo caso si ha una dialettica indiretta, tra virgolette, tra ogget-to e spazio: in questo caso vi è la giusta e proporzionata collocazione di un determinato oggetto artistico (di qualsiasi scala), che stabilisce relazioni armoniche e armoniose con uno spazio architettonico o un ambiente naturale appropriato (dalla scala dello spazio dome-stico alla scala percettiva del paesaggio), che lo accolga. Ne risulta una simbiosi che comunica armonia tra «azione dell’opera e reazione dell’ambiente» 3.

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Fig. 194 (a-b): Le Corbusier, la Cappella di Ronchamp,

il telaio strutturale di facciata sud, prima e

dopo il riempimento per la realizzazione dei cunei

luminosi.

Fig. 197-198 (a-b): Le Corbusier a Long Island da Costantino Nivola, si

esercita nelle sculture di sabbia e gesso (1951).

Fig. 195-196: Le Corbusier: villa Shodan

ad Ahmedabad (1951-54), viste sull’ingresso con

la loggia e sul fronte dei brise-soleil.

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architettonico-scultoreo della villa, coerente con il mantenimento dell’intelligibilità del carattere del volume complessivo.Le profondità dei campi visivi e le loro successive sovrapposizioni in trame geometriche prospettiche enfatizzano la caratteristica am-biguità del susseguirsi di esterni e interni. «Il fuori è sempre un den-tro» e «l’esterno è sempre un interno» percepibile nel susseguirsi degli sguardi nello spazio-tempo27. Lo stesso principio si estende per suc-cessive analogie dall’architettura al paesaggio, tra l’architettura e la città e tra la città ed i luoghi con cui questa stabilisce i suoi legami. Esso diventa precisa volontà estetica nello «spazio indicibile» , «nel gioco sapiente, corretto e magnifico dei pieni e dei vuoti sotto la luce» , in modo che «emettano» e «rispondano» 28.Il rinnovamento dell’attitudine artistica attraverso l’espansione delle modalità conoscitive viene perciò implementata grazie alla scultura, la quale offre opportunità strumentali, attraverso le nuove modalità creative di ricerca artistica.Ma l’esperienza più assimilabile alla scultura, compiuta da Le Cor-busier, la si deve all’ amicizia con Costantino Nivola. Le sculture sulla sabbia nelle spiagge di Long Island29 costituiscono un rapido ed ef-ficace sistema di apprendimento, con la sabbia e con il gesso, delle possibilità espressive e tecniche delle forme a perdere30.Le sperimentazioni sulla matericità e la ruvidezza delle superfici realizzate con rapide passate di gesso sulla sabbia le ritroviamo, per analogia, nelle pareti di Ronchamp, mentre tale tecnica diventa strumento operativo di ricerca nei provini per le superfici del padi-glione Philips.

5.2- L’Espace Indicible e la Synthèse des Arts Majeurs.

Il testo dell’Espace Indicible, il cui manoscritto (13/09/1945) viene pubblicato nella sua prima versione in francese e nel rispetto dell’im-postazione grafica redatta da Le Corbusier sul numero speciale Art di L’Architecture d’Aujourd’Hui (Aprile 1946), viene ripubblicato

Fig. 199 (a-b) -200: Immagini dei calchi di Long Island e dei modelli a perdere per i calchi in gesso delle calotte 1:25 del padiglione Philips (da A.Capanna).

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Ciò che lega in un’unica traiettoria ideale le opere del maestro prece-dentemente citate, oltre a quanto appena sostenuto, è il riferimento simbolico, attraverso il dialogo sotteso con lo spazio e con l’ambien-te (espace indicible) e letterale, attraverso le forme organiche allusive del padiglione auricolare. In riferimento a Ronchamp, la metafora acustica44 ricorre sovente nelle parole di Le Corbusier, sia in Ronchamp e Textes et Dessins pour Ronchamp, che in Modulor: dalle «sculture acustiche» all’«acustica plastica», dall’«acustica paesaggistica» alla «cassa di risonanza» e al «fenomeno acustico del dominio delle forme».

«Sulla collina avevo disegnato con cura i quattro orizzonti. Questi schiz-zi, andati perduti o smarriti, provocarono dal punto di vista architetto-nico una risposta acustica – un’acustica visuale delle forme… Le forme fanno rumore e silenzio; alcune parlano, altre ascoltano»45.

«Acoustique visuelle, phénomène introduit au domaine des formes: les formes font du bruit et du silence ; les unes parlent, les autres écou-tent… Une étrange unanimité a rassemblé l’opinion mondiale, y com-pris même, celle de Rome» 46.

«Osservate il gioco delle ombre, entrate nel gioco… Ombre esatte, niti-de o sfumate, definite dal rigore e dalle regole del tracciato, ma anche arabesco e ritaglio così ammaliante  ! Contrappunto e fuga. Musica, grande musica…»47.

Le affinità con il mondo della musica sono inevitabili in quanto le re-gole della composizione musicale sono quanto di più vicino alle re-gole proporzionali della serie del Modulor. Il mondo della categoria invariante della proporzione avvicina inevitabilmente Le Corbusier alla musica. Ma è l’Eupalinos di Paul Valery, poeta filosofo e collezio-nista di conchiglie, l’oggetto di un tributo di Le Corbusier, attraverso la cappella di Ronchamp.La cappella appare come un Ozon architettonico, conchiglia da cui si ascolta il paesaggio (réponse au site), che stabilisce una sottile e poetica dialettica con il luogo (Espace Indicible). La cappella è una forma di tramite tra l’uomo e il paesaggio, uno strumento per met-tere l’uomo in ascolto.Ma la metafora dell’acustica non è significativa solo di una proprietà di provocazioni sensoriali. La cappella è acustica in quanto detentri-ce di armonia musicale sottintesa nelle proporzioni e nelle sue re-gole antropometriche, disciplinate dal Modulor, di cui la cappella è una coerente restituzione architettonica: «un fenomeno acustico nel dominio delle forme» 48.

Fig. 203-204: Le Corbusier, Nature morte, punta

secca (1947) e disegni per Ronchamp con tracciati regolatori. Nell’incisione vivono incastonate nella

composizione, e ripetute a varie scale, le forme della

pianta della cappella di Ronchamp.

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In Ronchamp, inoltre, Le Corbusier realizza un condensato delle sue capacità ricognitive sul vasto repertorio morfo-tipologico registrato nel corso della sua vita – dalle chiese di Gabrovo49 al Serapeo del Canopo50 e alle cento celle di Villa Adriana51, dagli oggetti a reazione poetica alle sculture acustiche – mettendo a punto l’uso sistematiz-zato delle invarianti plastiche. Un condensato di referenti morfo-tipologici trasformati, ri-assem-blati e orchestrati in una «forme une» di «événements plastiques». La cappella è oggetto di un artificio estetico distintivo, una «archi-sculpture»52 che trascende le convenzionali rappresentazioni della costruzione, elevandole a puri fatti plastici di carattere scultoreo. L’obiettivo raggiunto è l’opera d’arte totale53.Infine, nella cappella di Ronchamp, Le Corbusier riesce magistral-mente nel tentativo di trasformare la luce – la suprema tra le inva-rianti plastiche - in materia architettonica e in agente espressivo di manipolazione delle forme. E, in tale occasione, giunge alla celebre dichiarazione poetica:

Fig. 205: Le Corbusier, la chiesa di Gabrovo e il paesaggio vicino a Tolone rivivono nella silhouette della cappella di Ronchamp, a dimostrazione della sua capacità mnemonica di immagazzinamento dati tipologici e morfologici attraverso l’osservazione e il disegno.

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Fig. 208-214: Le Corbusier (pagina precedente), immagini

dei soggetti lesbo; Deux femmes étendues au compotier, olio su cartone (1935); Deux Femmes,

olio su tela (1939);a fronte, murale casa Badovici, Cap

Martin; immagine tratta da La Mia Opera (1960) e litografia

sulla traiettoria del sole nelle 24 ore tratta da Le poheme de l’angle droit (1955); pianta del Carpenter Visual Art Centre a

Harvard, Cambridge (1961-64).

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diagramma della traiettoria del sole, ricordano in forme sintetiche le serie lesbiche delle opere del periodo delle Femmes su cui Le Corbu-sier ha molto indugiato in numerosi disegni, schizzi, dipinti murari e quadri. Ma anche, ovviamente, le sculture acustiche degli Ubu e degli Ozon, o i contorni bidimensionali di forme biologiche del cor-po umano. Le Corbusier, inoltre, sensibile al progresso dell’elettronica con tutte le potenzialità che essa avrebbe potuto trainare, avrebbe voluto che nell’edificio fosse introdotta e diffusa la musica elettronica secondo una «route sonore stéréophonique» 57.L’equilibrio tra intenzione artistica totalizzante e approccio scientifi-co nella complessità della fusione delle arti in un unico soggetto di comunicazione di un messaggio estetico contemporaneo e la simul-taneità delle esperienze nello spazio tempo, erano d’altronde già state sperimentate da Le Corbusier nel precedente padiglione ide-ato per la Philips nell’Esposizione Universale di Bruxelles del 1958.Il Padiglione Philips58, per suo conto, apre i confini dell’arte verso nuovi significati e concezioni: l’oggetto d’arte diviene istallazione e performance. Il padiglione è un organismo sensibile di trasmissioni di immagini, suoni, sensazioni. Esso venne concepito, con il determi-nante contributo di Iannis Xenakis ed Edgar Varese, come un nuo-vo tempio multimediale dell’arte intesa come azione, come evento. L’esperienza della simultaneità dei medium e la concezione di uno spazio, non inteso come contenitore di oggetti, quanto piuttosto or-ganicamente partecipativo di un evento, apre alle porte dell’Istalla-zione e dell’happening. L’arte, in tal senso non più manufatto statico separato dalla vita ma un complesso sistema sintetico e cinematico, materiale e immateriale confuso con essa.La matematica e la figuratività della trigonometria sono lo scalpel-lo a servizio dell’architetto-scultore. L’archi-sculpture risuona anche grazie al recupero operativo della tecnica delle sculture di sabbia e gesso, apprese con Nivola sulle spiagge di Long Island a New York, che viene re-impiegata per i provini delle calotte dei paraboloidi del padiglione59.Iannis Xenakis definirà il Padiglione Philips come nuovo spazio geo-metrico adatto all’effetto stereofonico totale, materializzazione di una nuova dimensione del suono realizzata grazie alle nuove tecni-che elettroacustiche. Il padiglione dell’Expo di Bruxelles rappresenta una prima effettiva esperienza di sintesi artistica totale, tra suono, luce, architettura, «una prima tappa verso un “Geste Electronique”».Le Corbusier, come già detto, attento osservatore e interprete dei mutamenti storici del dopoguerra, dell’evoluzione tecnologica dell’elettronica e del suo inevitabile imporsi come nuovo paradigma tecnico-economico, percepisce i condizionamenti, e le potenzialità,

Fig. 215: Le Corbusier-Xenakis-Varese, interno del Padiglione Philips di Bruxelles (1958).

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IL “LABORATORIO SEGRETO” DELL’ARCHITETTURA.

alcuna traccia di contatti per corrispondenza successivi tra Le Cor-busier e Utzon. Né, tantomento, è logico supporre che ci possano essere testimonianze, in Fondazione, di contatti tra Utzon e la We-ber. Occorrerebbe più tempo per verificare, invece, se la Weber abbia indirettamente riferito di ipotetici acquisti, da parte di Utzon, a Le Corbusier. Oppure occorrerebbe sapere, direttamente da Utzon, o dal figlio Jan, con cui ho avuto uno scambio di mail, nel corso della ricerca, se ci siano stati contatti di altro tipo o se le opere grafiche e la scultura siano state effettivamente acquistate e, in questo caso, dove sono custodite.C’è anche da dire che l’ultima lettera di Le Corbusier a Jørn Utzon risale a un anno e mezzo circa prima della morte del maestro sviz-zero. Mentre, il 28 Febbraio 1966, Utzon si dimette dall’incarico di progettista e direttore dei lavori dal cantiere dell’Opera di Sydney, quando ancora non erano state ultimati i gusci delle coperture del grande edificio.Questo il motivo per cui si è persa l’occasione irrinunciabile di com-piere due imprese storiche del ‘900: ultimare il grande capolavoro del progetto di Utzon per l’Opera di Sydney e collocarvi al suo inter-no, secondo sensibili principi di sintesi e concordanza tra le arti, tan-to cari a Le Corbusier, sue pregevoli opere artistiche quali gli smalti, l’arazzo e, chissà, una scultura e un grande ciclo di litografie.Sull’arazzo originariamente immaginato per essere collocato all’in-terno degli spazi dell’Opera di Sydney, Les Des sont Jetés, sappiamo, grazie alla testimonianza di Jan Utzon, figlio del grande architetto danese, che questa è ancora custodita nella casa di Hellebaek, in Da-nimarca, insieme al disegno su carta (di formato presumibilmente pari ad un A2) da cui è stato prodotto l’arazzo. Sappiamo anche che la sua riproduzione è stata regolarmente acquistata da Ove Arup per il suo studio di Londra. Mentre, sempre secondo le parole di Jørn Ut-zon riferiteci per mano del primogenito Jan, una terza copia è stata prodotta per conto di Le Corbusier ed è stata utilizzata come fondale del feretro, nel corso del suo funerale.

Fig. 238: Le Corbusier con Heidi Weber (Zurigo 1960).

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