Ercolano E Pompei

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da Ercolano e Pompei. Morte e rinascita di due città di Egon Corti Storia dellarte Einaudi 1

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da Ercolano e Pompei.Morte e rinascitadi due città

di Egon Corti

Storia dell�arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Egon Corti, Ercolano e Pompei. Morte e rinascita didue città, presentazione di Amedeo Maiuri, trad. it.di Silvana Lupo, Einaudi, Torino 1957Titolo originale:Untergang und Auferstehung von Pompeji und Hercu-laneumF. Bruckmann, München

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Indice

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II. Sotto il dominio di Roma. Il terremoto dell�anno 63 (8o a. C. - 64 d. C.) 4

III. Dalla ricostruzione alla catastrofe dell�anno 79 (64 d. C. - 79 d. C.) 39

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Capitolo secondo

Sotto il dominio di Roma. Il terremoto dell�anno 63 (8o a.C. - 64 d.C.)

Pompei era uscita dagli sconvolgimenti della guerrasoltanto con qualche leggera ammaccatura. Anche seaveva dovuto cedere ai coloni romani di Silla una partedel territorio e l�amministrazione civica, con conseguentiurti fra la popolazione autoctona e i nuovi venuti, lacittà era rimasta intatta. La sua importanza commercia-le si era anzi accresciuta, perché nella vicina Stabia, untempo sua pericolosa rivale, tutte le braccia disponibilierano state assorbite dal lavoro di ricostruzione. Eccoperché gran parte delle attività riservate a questa cittàpassarono a Pompei. Anche qui come a Ercolano, laromanizzazione dell�ordinamento civico si effettuòmediante la sostituzione iniziale degli antichi magistra-ti con funzionari romani e con l�istituzione di nuovecariche, ricalcate sul modello romano. Venne istituito,come autorità suprema, un consiglio municipale, checorrispondeva press�a poco al senato di Roma ed eracomposto di consiglieri (decuriones) e presieduto da duemembri eletti dalla cittadinanza (duumviri), ai quali spet-tava l�ufficio di convocare il consiglio, fare le leggi eorganizzare l�elezione dei magistrati della civica ammi-nistrazione. Essi erano assistiti da un questore o ammi-nistratore e da due edili, cui incombeva la sorveglianzadelle strade, dei monumenti e dei mercati, nonché ilmantenimento dell�ordine e, in caso di effrazioni mino-ri, l�esercizio della giustizia. Tutti gli aspiranti a una di

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queste supreme magistrature dovevano dimostrare diessere possidenti: le cariche erano onorifiche, e i titola-ri non potevano percepire alcun compenso dall�erario,non solo, ma erano tenuti a finanziare di tasca propriala costruzione di grandiosi edifici di utilità pubblica el�organizzazione di spettacoli teatrali e altri divertimentiper intrattenere i loro concittadini. Ciò per evitare ilpericolo che si arricchissero a spese della comunità.

Accanto a questi alti magistrati, ce n�erano moltialtri cui incombevano responsabilità minori, anch�essireclutati quasi tutti fra i Romani, o fra quei Pompeianiche avevano sposato con entusiasmo la causa di Roma.Il risultato fu una rapida integrale romanizzazione diPompei e Ercolano mediante l�adeguamento dell�aspet-to esteriore e dell�assetto interno di queste città allo stilearchitettonico e alle istituzioni dei Romani. Di conse-guenza, anche la lingua latina andò lentamente sosti-tuendosi a quella osca, mentre nel Foro le antiche unitàosche di peso e di misura venivano ragguagliate alleunità del sistema valevole a Roma.

Fu presto evidente che, piú ancora della popolazionedi Ercolano, quella di Pompei subiva quest�evoluzionesenza quasi opporre resistenza. La cittadinanza romanaconcessa a tutti rendeva accetto il nuovo ordine; benpresto s�iniziò un�èra di prosperità, gli scambi com-merciali e turistici si accrebbero, e le due località � spe-cialmente Ercolano � per la loro posizione privilegiatasul litorale del golfo napoletano, diventarono luogo diresidenza o di villeggiatura di Romani altolocati, desi-derosi di sottrarsi alla febbrile attività politica dellacapitale e di stabilirsi temporaneamente o stabilmentein luoghi piú tranquilli favoriti dalle bellezze naturali.Qui essi costruirono ville e lussuose dimore, facendoaffluire tra la popolazione locale le loro ricchezze, cheandarono anche a vantaggio dei monumenti, delle piaz-ze e degli stabilimenti pubblici, ma soprattutto del Foro

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Rettangolare, centro della vita mercantile e politica, dicui era piú facile modificare la struttura e le costruzio-ni perché si trovava alla periferia, verso il litorale.

Se l�influenza romana, sensibile ormai ovunque,abbassava il livello artistico ereditato dai Greci, essa rap-presentava tuttavia un progresso decisivo nel campodella tecnica architettonica e nell�impiego del materialeedile. L�attività dei costruttori era intensa, soprattuttonel Foro che, in posizione splendida dirimpetto alla baiadi Stabia con l�isola di Capri sullo sfondo, sovrastato aest dalle montagne e a nord dalla mole del Vesuvio,offriva uno spettacolo superbo: una piazza bordata pertre lati dal colonnato dorico eretto da Vibio, discendentedalla schiatta illustre dei Popidi, e tutt�intorno templimaestosi: quello di Giove a nord, quello di Apollo aovest e, nell�angolo sud-ovest, la Basilica circondata dacolonne. I Romani si accinsero a pavimentarlo di lastredi travertino, poi soprelevarono sul portico dorico unloggiato in stile ionico, e infine l�adornarono di statuedi divinità e di cittadini illustri, preoccupandosi soprat-tutto di sostituire alcune case di abitazione privata, cheancora sussistevano nel settore est, con edifici nuovi.

Due possenti archi di trionfo, a destra e a sinistra,vennero a dare rilievo al grande tempio situato a norde dedicato alla somma divinità di Giove, formando inpari tempo una grandiosa via di accesso al Foro. Preclusoal traffico dei carriaggi e dei cavalli, esso costituiva ungradevole luogo di passeggio per i cittadini, e di profi-cuo, indisturbato commercio per i mercanti. Si andavaal Foro per visitare i templi o sacrificare agli dèi; ci siincontrava fra conoscenti, si parlava di politica, e ci sirecava negli uffici municipali per pagare le imposte.Nella Basilica, vasto edificio dove si trovavano la borsae il mercato, si potevano consultare i soci di negozi e gliavvocati, e si ricorreva alla giustizia; insomma, il Forosoddisfaceva a tutte le esigenze e a tutti i desideri. In

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seguito, venne posta la prima pietra per la costruzionedi uno splendido stabilimento termale in prossimità diesso, perché anche questo edificio di massima utilità sitrovasse piú vicino al cuore della città, e in quanto ibagni pubblici dei tempi osco-sannitici sulla via di Sta-bia, trovati dai Romani al loro arrivo, non rispondeva-no piú alle nuove esigenze.

Il grande Teatro semicircolare scoperto, edificatopresso la porta di Stabia, era adibito ai ludi. Un tempo,in mancanza di un luogo più appropriato, le feste e leprocessioni religiose e persino i combattimenti di torivenivano tenuti nel Foro. Anche i Romani apprezzava-no simili spettacoli e sapevano che dovunque il popolocerca e ama la distrazione, e non c�è mezzo migliore perconquistarne il favore.

Così, nell�80 a. C., venne ideata la costruzione di unedificio colossale capace di contenere la quasi totalitàdegli abitanti. Una volta edificato quel teatro, nonsarebbe stato difficile trovare anche i mecenati dispostia sovvenzionare combattimenti di tori e di gladiatori. Lesperanze puntavano sui due arci-ricchissimi costruttoridel piccolo Teatro, Caio Quinzio Valgo e M. Porcio, cheinfatti, dopo la loro elezione alle piú alte magistratureciviche, decisero di costruire un Anfiteatro gigantesco.Uno di essi, Valgo, nei giorni in cui Silla lottava a Romaper la conquista del potere, mentre innumerevoli fami-glie venivano massacrate o esiliate, aveva ammassatoun�enorme fortuna con la speculazione comprando i lorobeni, e adesso si era ritirato a Pompei, dove cercava diguadagnarsi la considerazione generale con la sua muni-ficenza.

L�Anfiteatro doveva contenere non meno di sedici-mila spettatori, di cui tredicimila seduti. Ora, se si con-sidera che Pompei a quel tempo contava al massimoquindicimila abitanti, è evidente che nel costruirlo giàsi teneva conto dell�incremento demografico della città,

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calcolando del pari che gli abitanti delle località vicinesarebbero affluiti in massa agli spettacoli. Per difender-si dal sole micidiale, fu ideato un immenso velario tesosopra l�arena e le gradinate degli spettatori. Situato all�e-stremità sud-est della città, l�Anfiteatro, leggermenteincassato, formò il centro attorno a cui sorsero in segui-to numerosi stabilimenti sportivi. Gli architetti l�ave-vano ideato magistralmente, provvedendolo di entratee di uscite sapientemente disposte, le quali permetteva-no accessi ed evacuazioni rapidissimi. Pompei potevaandarne fiera, tanto più che a quell�epoca (8o a. C.) nep-pure Roma ne possedeva uno simile. Questo anche se igiochi crudeli che vi si svolgevano, di animali o uominiaizzati l�uno contro l�altro fino a trovare morte cruen-ta, costituivano una vera aberrazione. Eppure, per quan-to inumani, essi appassionavano freneticamente la popo-lazione, incurante della sorte orribile riservata a tantiesseri. Certi pompeiani ne erano talmente entusiasti, cheun certo Umbricio Scauro, arricchitosi con la fabbrica-zione e il commercio della famosa salsa di pesce, dispo-se per testamento che la sua tomba fosse ornata di unbassorilievo in pietra raffigurante ludi gladiatorî ecombattimenti fra uomini e fiere. Un�iscrizione precisache il gladiatore Bebrix, dodici volte vittorioso, si eramisurato con un certo Nobilio, vincitore solo undicivolte. I ludi scolpiti sulla pietra sono quelli elargiti dopomorte in onore del testamentario Umbricio Scauro, e visi scorgono leoni e pantere, cinghiali, tori e gazzelle inlotta e in fuga; a volte, per evitare che fuggissero e pereccitarli di piú, i due animali, pantera e toro ad esem-pio, venivano legati insieme con una lunga fune.

Scene consimili adornavano anche lo zoccolo che cor-reva intorno all�arena dell�Anfiteatro, dove a volte glispettacoli avevano carattere incruento e atletico, comeai giorni nostri. Questi ultimi, tuttavia, non bastavanoa soddisfare la crescente sete di divertimento della

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popolazione. Inoltre, nella stagione inclemente, i luoghidi spettacolo scoperti diventavano inutilizzabili, e inconsiderazione di ciò, nell�anno 75 a. C. circa, fu deci-sa la costruzione di un teatro coperto, l�Odeon, capacedi contenere millecinquecento persone, annesso a quel-lo piú grande già esistente, cioè nell�area riservata aglistabilimenti di cura e di riposo.

Mentre Ercolano, e ancor piú Pompei, si sviluppa-vano rapidamente avvantaggiandosi dell�amministrazio-ne romana e degli stretti legami che le univano all�Ur-be, questa era ancora agitata da gravi torbidi esterni edinterni. La sua sorte era ancor sempre condizionata dal-l�esito delle lotte per la conquista del potere, e la repub-blica agonizzante si preparava a cedere il posto alla pote-stà di un singolo, cioè alla monarchia. Questo trapasso,come sempre accade, implicava contrasti e sconvolgi-menti terribili, tanto piú sensibili in quanto la popola-zione frazionata in classi contrastanti era dominata daun ristretto numero di privilegiati, che opprimevano ilceto plebeo. È impossibile stabilire, sia pure approssi-mativamente, a quanto assommasse a quell�epoca lapopolazione complessiva dell�Italia. Secondo OscarJäger1 poteva raggiungere la cifra di venti o ventiduemilioni, di cui tredici o quattordici erano schiavi. Ora,una simile sproporzione costituiva un grave pericolo, ese ne ebbe la prova nel 71 a. C. circa, quando gli schia-vi si ribellarono ai loro padroni, spesso di una crudeltàefferata nei loro riguardi. Istigatore della sommossa fuun trace a nome Spartaco, destinato prima o dopo all�or-ribile fine che attendeva tutti i gladiatori, il quale riu-scí a convincere una settantina di compagni che, comelui, facevano parte di una scuola gladiatoria vicino aCapua, a fuggire per predicare la libertà a milioni di altrischiavi. Il loro esercito, che andava via via ingrossan-dosi, dapprima riuscí a sconfiggere un distaccamentoromano mandato da Capua. Gli insorti si impossessaro-

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no delle armi e dei vestiti dei soldati e cercarono unpunto strategico favorevole per difendersi contro letruppe romane lanciate al loro inseguimento. Lo trova-rono sulle falde scoscese di un versante del Vesuvio, verafortezza naturale tutta traforata di grotte, che offriva unriparo e favoriva irruzioni di sorpresa di nuclei isolati.Le cronache pervenuteci di questa battaglia contro letruppe del console Clodio Gabro, che credeva di aver giàaccerchiato le forze di Spartaco, ci dànno una descri-zione dell�aspetto esteriore del Vesuvio che differiscesensibilmente dalle altre, e specialmente da quella delgeografo romano Strabone. Lucio Anneo Floro dice: «Amezzo di corde fatte di tralci di viti, essi (gli insorti) silasciarono scivolare nelle forre della montagna dissemi-nata di grotte, raggiunsero la base di essa e, utilizzandoun passaggio ritenuto impraticabile, piombarono all�im-provviso sul campo del generale romano, pronto a tuttosalvo che a una simile eventualità». Gli assedianti furo-no sbaragliati, le truppe di Spartaco saccheggiarononumerosi villaggi non fortificati dei dintorni, e per uncerto tempo imposero persino il loro dominio a unagrande parte dell�Italia meridionale, non escluse Pompeie Ercolano. Spartaco accarezzava il progetto di marcia-re su Roma e occuparla; senonché, due anni piú tardi,Crasso riuscí finalmente a vincere i ribelli e ad annien-tare definitivamente l�eroico condottiero e il suo eser-cito di servi, forte di sessantamila uomini.

Dopo questi due anni di terrore, il dominio romanovenne ristabilito ovunque. Anche Pompei riprese le sueabituali occupazioni. Adesso si imponeva la pavimenta-zione delle strade principali che intersecavano la città,percorse dall�intenso traffico dei carriaggi che vi lascia-vano solchi profondi. Sulla destra e sulla sinistra di que-ste arterie si aprirono numerose botteghe che offrivanoagli avventori i prodotti dell�industria pompeiana, e spe-cialmente generi alimentari; i termopoli, specie di bar

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aperti sulla strada, vendevano ai passanti bevande e cibicaldi, contenuti in recipienti di bronzo incastrati nelbanco.

A Ercolano, per contro, nessuna traccia di simileevoluzione: il traffico, molto piú modesto, non lasciavasul selciato le sue impronte e le botteghe erano rare. Main compenso si trovavano ovunque testimonianze del-l�attività della popolazione, dedita soprattutto alla pescae al traffico marittimo: reti e ami, cordami e altri attrez-zi da marinai. Tutt�intorno sorgevano ville, nei puntipanoramici più belli, scelti dagli architetti di preferen-za vicino al mare.

Nel frattempo, a Roma, la situazione politica eragiunta all�urto decisivo fra i partigiani della repubblicae i propugnatori della monarchia. La possente figura diCesare stava aprendosi la via al potere, e infatti nel 47a. C., dopo aver sconfitto nel corso della guerra civile ilsuo accanito rivale Gneo Pompeo, egli diventò il signo-re assoluto di Roma. La potestà del senato sembravadefinitivamente tramontata, quando, alle idi di marzodell�anno 44, la soppressione di Cesare pose brusca-mente fine a un regime totalitario che lo aveva portatoa conglobare in sé la carica di generalissimo, di giudicee di pontefice supremo. Eppure il pericolo della ditta-tura non tramontò con lui, e la concezione del dominiouniversale di un singolo sull�esempio di Alessandro Ma-gno, continuò a maturare lentamente.

L�estendersi della signoria di Roma sull�Oriente elle-nizzato e sul mondo culturale del Mediterraneo rese piúsensibile l�influenza greca sulla vita romana; influenzache si esercitò non solo nell�Urbe e nelle città e provin-ce ad essa sottomesse, ma specialmente a Pompei e aErcolano, antiche colonie greche cresciute nello spiritoellenico e da esso profondamente permeate sin dagliinizi. Cosí, soprattutto in queste città, si operò quel-l�intima fusione fra le due culture greca e romana che in

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seguito doveva esercitare un influsso cosí decisivo sulmodo di vita e sul progresso dell�universo intero. Aitempi dell�impero, un lusso crescente, una sempre piúraffinata concezione di vita, furono i sintomi più mani-festi, senza che tuttavia si riscontrasse un adeguatomiglioramento nei costumi e nella morale delle masse.Lo stesso avvenne nel campo della religione, della filo-sofia e della poesia. Si cercava di porre sullo stesso pianole divinità greche e romane, umanizzandole e prenden-do a soggetto di rappresentazioni artistiche le loroavventure erotiche. Ne risultò un indebolimento delsentimento religioso, sensibile soprattutto nelle classicolte. Una simile concezione, che generava negli animidubbio e incertezza sulla parte che gli dèi potevanoavere nel destino umano, portò a un interesse semprecrescente per le religioni esoteriche dell�Egitto e dellaGrecia, e specialmente per quelle che, attraverso i miste-ri, incutevano sgomento e sacro timore. Inoltre, lapotenza e il benessere in continuo aumento, incremen-tavano l�immoralità, la quale trovava appagamento neiculti segreti, spesso basati su degenerazioni sessuali.Ecco come il culto egiziano di Iside e i misteri grecipenetrarono in Italia e nelle città campane.

Questo stato di cose non era sfuggito all�attenzionedel piú celebre oratore romano, giurista e partigiano diPompeo, Marco Tullio Cicerone. Questi esercitava sullavita intellettuale e politica del suo tempo un�influenzaprofonda e spesso, per riposarsi dalle sue occupazioni sfi-branti � come, ad esempio, la scoperta e la repressionedella congiura di Catilina, che mirava alla piú alta magi-stratura dello Stato, cioè al senato �, sentiva il bisognodi riposarsi lontano dalle cure del mondo. Fra le suenumerose ville di campagna, ce n�era una battezzata dalui Pompeianum, una bella dimora tranquilla nei dintornidi Pompei, ove egli amava ritirarsi. La sua fortuna tut-tavia ebbe fine con la soppressione di Cesare: un anno

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piú tardi subì anch�egli la stessa sorte e non vide più l�a-scesa di Ottaviano, nipote di Cesare, da questi designatoper testamento suo figlio e successore. Ottaviano, dopoaver sconfitto nel 31 a.C. Marco Antonio, col qualeCesare aveva diviso il consolato, conquistò il potereassoluto, non soltanto su Roma, ma anche sulla quasitotalità del mondo allora conosciuto. Oltre la dignitàconsolare gli fu conferito il titolo di Augusto, cioè «favo-rito dagli dèi», quello di «venerabile accrescitore del-l�Impero», e il senato lo proclamò infine imperatore conpieni poteri. Di qui alla deificazione del nuovo monar-ca non c�era che un passo. Ben presto infatti in tutte lecittà italiane sorsero templi dedicati a Augusto, ove siveneravano non solo l�imperatore, ma tutti i membridella sua famiglia. Per tal modo, il concetto della conti-nuità perenne della dinastia veniva inculcato nel popo-lo romano. Augusto si rivelò subito un monarca saggio,previdente e ligio ai suoi doveri. Lo dimostrano i risul-tati raggiunti sotto il suo regno: grandiosi monumentitestimoniano della sua munificenza; la scultura e la pit-tura ispirate ai modelli greci fiorirono splendide; lacoscienza di appartenere a una potenza mondiale sirafforzò notevolmente. Ben a ragione, Virgilio si rivol-ge cosí all�imperatore nella sua Eneide: «Sei Romano, equesto è il tuo mestiere. Reggi il mondo, tu ne sei ilsignore!»

Augusto, che spesso viaggiava attraverso i suoi stati,come tutti i suoi sudditi era entusiasta della bellezzanaturale del golfo di Napoli. Egli si adoperò a cancella-re ovunque le tracce lasciate dalle guerre civili, poi este-se le frontiere dell�impero fino al Danubio, facile dadifendere, consolidò quelle sul Reno contro i Germani,e a est stabilí quelle sull�Eufrate. La pace e l�ordine,frutti della sua saggia amministrazione, gli permisero didedicarsi anche all�organizzazione di tutte le sue pro-vince, compresa la Campania, cosí che Pompei e Erco-

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lano subito si avvantaggiarono di questi benefici. La loropopolazione si accrebbe sensibilmente; a quell�epocaPompei contava da quindicimila a sedicimila abitanti, eErcolano da quattro a cinquemila. Questo incremento fudovuto al fatto che il commercio marittimo dell�impero,in continuo sviluppo, faceva capo al golfo di Napoli. Lemerci piú pregiate, i prodotti e le leccornie del mondointero affluivano verso Roma e le sue province; mentreil lavoro di milioni di schiavi contribuiva a creare lussoe benessere intorno ai signori e vincitori romani. Ormaipadrona del mondo, l�Italia divenne la continuatrice dellabellezza e dell�arte greca di cui imitava e riproduceva icapolavori, adornandone ville e città. Le splendide loca-lità della baia di Napoli, cinta di mirti e di rose, attira-vano i facoltosi Romani, che vi costruivano dimore sem-pre più numerose e più belle. La tecnica architettonica,aggiornata alle nuove esigenze, limitava l�opera quadra-ta alle facciate, mentre per il corpo degli edifici si servi-va di pietre tagliate a cubi e cementate con malta, for-manti una specie di reticolato, la cosiddetta opera asacco. Ma già si cominciavano a adoperare anche i mat-toni piatti, piú sottili dei nostri, ben noti a tutti i visita-tori delle rovine romane. Le colonne ricorrevano vieppiúfrequenti, lo stucco trovava largo impiego per le rivesti-ture, tanto delle colonne quanto delle pareti, i marmi pre-ziosi cominciavano a fare il loro ingresso, e i Fori coi lorograndiosi monumenti pubblici si ornavano di una selvadi statue. Pompeiani arricchiti e Romani danarosi giun-ti da poco compravano case modeste a un solo piccoloatrio, e ne facevano dei veri palazzi circondati da gran-diosi peristili. Già cominciavano a sorgere le case a duepiani, destinate per lo piú alla servitú; ma ovunque, nellacostruzione, era evidente la preoccupazione di soddisfarea esigenze estetiche.

La vita familiare si sposta ormai dal piccolo atrio algrande cortile con portici, e ognuno desidera ornare le

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pareti domestiche con pitture murali, che non si limi-tano piú a imitare la pietra o a creare illusorie prospet-tive architettoniche, ma raffigurano personaggi e scenetolti per lo piú dalla mitologia. Questi quadri di com-posizione, a soggetto mitico, eroico o religioso d�ispi-razione greca, tipici del secondo e terzo stile, rivelanouna spiccata predilezione per gli amori degli dèi. Ben aragione, Gaston Boissier2 dice scherzosamente: «Giovesembra esclusivamente preoccupato di sedurre Danae,Io o Leda, o di rapire Europa. Apollo insegue Dafne indodici affreschi, Venere è rappresentata quindici voltenelle braccia di Marte e sedici in quelle del bell�Ado-ne. Le avventure galanti degli dèi sono il soggetto pre-ferito».

I ritratti dipinti sono rari; in genere si preferiscono ibusti e le erme. Nelle composizioni pittoriche, i paesaggiromantici si alternano a graziose raffigurazioni di genîalati che, simili ai nostri spiriti folletti, cucinano, tin-gono le stoffe, pigiano l�uva, si presentano in veste difalegnami, calzolai, fabbri, e ci permettono di farci un�i-dea esatta delle occupazioni quotidiane dei Pompeiani.

Gli affreschi delle case delle città campane, in gene-re, rivelano una tendenza all�epicureismo a sfondo ero-tico, e al benessere indisturbato. Come già in prece-denza, la disposizione della casa tradisce il desiderio diprevenire le indiscrezioni degli estranei e le noie ad esseinerenti, e mette in risalto la sovranità intangibile dellavita privata. Di qui, l�aspetto semplice, spoglio e quasiscostante del fronte sulla strada, in contrasto con l�ar-redamento elegante, spesso sfarzoso, dell�interno.

Tuttavia, anche la vita materiale aveva le sue esi-genze, e tanto a Pompei quanto a Ercolano, molti cit-tadini davano in affitto locali o botteghe, oppure, perarrotondare le rendite, vendevano sulla strada i prodot-ti delle loro masserie, specialmente il vino; altri ancorainstallavano in casa officine cui attendevano gli schiavi.

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Quando rientrava dal Foro, dal Teatro, dal tempio o dalbagno, il Pompeiano voleva sentirsi il signore del suopiccolo regno e godere la pace della propria casa, prov-vista di tutte le comodità, e dispensatrice soprattutto deipiaceri della mensa che allietano la vita. Egli prendevai pasti nel cosiddetto triclinio, tre pareti del quale eranooccupate da divani dai piedi di bronzo imbottiti o coper-ti di cuscini, o da giacigli in muratura disposti intornoa un piccolo tavolo. Su ogni letto conviviale prendeva-no posto fino a tre persone, poiché i Romani erano d�av-viso che il numero dei convitati, per creare un�atmosfe-ra gaia ed armonica, non doveva superare quello dellenove Muse, né essere inferiore a quello delle tre Grazie.Il quarto lato del triclinio doveva rimanere libero, perpermettere ai servi di trasportare i cibi dalla credenzadove li tagliavano, al tavolino tripode nel mezzo. IRomani non conoscevano l�uso della forchetta e si ser-vivano solo del cucchiaio, e il coltello era usato solo dallaservitú, per sezionare prima le vivande. Spesso, il postodei membri della famiglia, e specialmente quello delpadrone di casa, era indicato da un�iscrizione sulla pare-te. Si mangiava allungati appoggiandosi sul gomito sini-stro; il giaciglio centrale era il posto d�onore, riservatoal capofamiglia o all�ospite di riguardo. Anche questestanze erano ornate di magnifici affreschi, che rappre-sentavano cibi e frutti e a volte anche scene diverse,come donne che giocavano con pavoni, ecc. I bambiniprendevano posto a un tavolo piú piccolo, ai piedi deiletti conviviali dei genitori.

Le vivande, che erano di specie svariatissime, comepesci, ostriche e altri frutti di mare, polli, selvaggina ecarni di maiale, venivano allestite in cucine relativa-mente piccole ma provviste di numerosi utensili e formein terracotta che imitavano lepri, porcellini di latte,pesci, ecc., per presentare piú artisticamente le pietan-ze. Si conoscevano già gli asparagi, ma si apprezzavano

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anche i funghi, e specialmente i prataioli; tra i frutti, ilfico, importato dai colonizzatori greci nell�Italiameridionale, era il preferito dopo l�uva, mentre la melacotogna, sacra a Venere e simbolo di amore e di felicità,rimpiazzava l�arancia, allora ancora sconosciuta. C�era-no anche mele, pere e ciliege, ma molto piú rare che aigiorni nostri, mentre invece i datteri, sebbene non cre-scessero nella Campania, venivano coltivati in molteregioni del bacino mediterraneo, piú di quanto oggiaccada. Il pane, confezionato in forme rotonde, incisenel mezzo quasi come le nostre pagnotte, era a base difarina d�orzo e di grano. Gli altri cereali, come avena esegala, erano ancora sconosciuti. Durante i pasti, sibeveva per lo piú vino, dato che la vite prosperava dap-pertutto e specialmente sulle pendici del Vesuvio. Sem-brava ancor piú buono, servito in coppe splendidamen-te ornate, a volte persino di argento, o in recipienti divetro iridato.

Se, durante il pasto, uno dei convitati che avevamangiato troppo, allettato da una vivanda specialmen-te appetitosa, si sentiva male, si ricorreva a un medico;i dottori capaci erano rari, e perciò tenuti in gran conto.A giudicare dagli strumenti di cui disponevano i dotto-ri pompeiani: spatole di ogni forma, bisturi, pinze, for-bici, forcipi, ecc., tutti di esecuzione perfetta, la chi-rurgia specialmente doveva aver raggiunto un notevolegrado di perfezione. Anche le farmacie che vendevanole medicine prescritte dai medici in tavolette, pillole epozioni, erano straordinariamente ben fornite.

Quando cadeva la notte, tutto era previsto per l�illu-minazione delle abitazioni: ovunque c�erano le famoselucerne a olio in terracotta a fondo piatto, munite dilucignolo; se poi occorreva piú luce, se ne raggruppavanoparecchie insieme, appendendole a dei portalampade apiù bracci.

Quasi tutti i mobili della casa, come tavoli e letti,

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erano di legno con piedi di bronzo finemente cesellati,ma nell�insieme gli oggetti di uso corrente presentava-no un�analogia stupefacente con quelli che adoperiamoancor oggi. Al posto delle nostre pesanti casseforti, negliatrii c�erano dei cofani tutti in bronzo o in ferro, o perlo meno fasciati di questi due metalli e spesso ornati didelicati bassorilievi, che servivano a conservare i pre-ziosi. Tutte le suppellettili d�uso giornaliero, anche lepiú umili, erano abbellite da ornamenti: aghi crinali, bot-tiglie da profumo, spatole o forbicine da donna, rasoi,pugnali e coltelli da uomo. Solo gli arnesi agricoli, anchequesti quasi identici ai nostri, avevano un aspetto squal-lido di praticità.

Con il consolidarsi della potestà di Roma, l�Italiarespirava nella pace e nel benessere, e la gente ricca diPompei e di Ercolano, desiderosa di farsi costruire unacasa vasta e in bella posizione, non si preoccupava piúdi farla sorgere dentro la cinta murale. Ormai si potevaedificare anche sulla costa, di dove si godeva una vistapiú estesa. È a quest�epoca che risale la costruzione, aconsiderevole distanza dalla porta di Ercolano, al di làdell�agglomerato nord-est di Pompei, di una sontuosavilla a forma quadrangolare su un terreno in forte pen-denza verso il mare, tanto che un lato dell�edificiodovette essere sostenuto da un�arcata massiccia. Questadimora patrizia dalle pareti ornate di magnifici affreschidel secondo stile, era composta da un atrio, un immen-so peristilio, sontuose sale di ricevimento e persino unaveranda semicircolare. Ma il gioiello della casa era unsalone dove, per ordine della proprietaria, sacerdotessainiziata ai misteri dionisiaci, un pittore campano immor-talò, in grandezza superiore al vero e in colori sgargian-ti, le drammatiche cerimonie dell�iniziazione. La villa,completata nei primi anni dell�età augustea, venne inseguito ampliata, fino a contare quasi novanta camere,con bagno particolare.

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Il nuovo proprietario romano fece comunicare diret-tamente il salone con due alcove, una per sé e l�altra perla padrona di casa. I magnifici affreschi che si trovava-no nella sala attigua alla camera nuziale riproducevano,come già detto, le scene segrete del culto dionisiaco, chea quei tempi, nonostante il divieto esplicito del senato,si stava estendendo a tutta la penisola: riti della flagel-lazione, simbolo di purificazione; rivelazione del falloalla vergine tremante; danza lasciva di una baccantenuda, e cerimonie del rito di Bacco.

Oltre questa casa, in direzione della porta di Ercola-no, si trovava un�altra grande villa di campagna, costrui-ta all�incirca nella stessa epoca, proprietà di un riccopatrizio, per molto tempo erroneamente ritenuto il mer-cante di vini Arrio Diomede. Sebbene il terreno circo-stante fosse sufficientemente vasto per permettere unamaggiore estensione in larghezza, l�edificio fu costruitoa piú piani. Un�anticamera triangolare dava accessodiretto a uno splendido peristilio con eleganti colonnedoriche, dove sono stati trovati dei graziosi affreschimurali del secondo stile, dei gabinetti da bagno parti-colari e � cosa rarissima a Pompei � delle finestrellerotonde dotate di spessi vetri, che permettevano divedere all�esterno ed erano, per cosí dire, un�anticipa-zione di quelli oggi comunemente usati. In una grandecantina dalle volte a botte, c�erano moltissimi otri davino di dimensioni gigantesche, le cosiddette anfore, ilche sta a dimostrare che in quella grande fattoria, cir-condata da un magnifico giardino, l�industria vinicolaera molto sviluppata.

Un lato della villa era fiancheggiato dalla via deiSepolcri dove i Pompeiani di distinzione venivano sep-pelliti in superbi monumenti funebri, allineati uno die-tro l�altro. Questa strada conduceva alla porta di Erco-lano, la cui vasta arcata sovrastava l�ampia via carroz-zabile, lasciando liberi, a destra e a sinistra, due mar-

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ciapiedi riservati ai pedoni che accedevano alla città.Una saracinesca e due cancelli laterali potevano preclu-dere il traffico sia ai carriaggi che ai pedoni. Qui era unasfilata ininterrotta di portatori, carrettieri e mulattieriche assicuravano il trasporto delle merci dalla città alporto e viceversa. Alcuni graffiti ritrovati sui muri dellenumerose locande e dei termopoli in prossimità dellaporta, dove questa gente comprava bibite e vivandecalde, stanno a immortalare i loro nomi. Anche il traf-fico proveniente da Napoli e da Ercolano passava perquesta porta.

Originariamente, all�epoca greca e sannitica, i cada-veri venivano deposti in sarcofaghi di pietra senza inci-nerarli, e in quasi tutti si trovava una monetina, l�obo-lo per Caronte incaricato di traghettare i defunti negliInferi, al di là del fiume Stige. Più tardi, ai tempi roma-ni, cominciò a diffondersi l�uso della cremazione. Vesti-ti a lutto, i parenti del morto si radunavano presso lapira, dove il cadavere veniva solennemente bruciato.Quindi, ne raccoglievano le ceneri e le ossa, le asperge-vano di vino e di latte e poi, mescolate ad aromi eimmerse in un miscuglio di acqua, vino e olio, le chiu-devano in un�urna. Quest�ultima veniva deposta in unadelle nicchie del monumento funebre che, nel suo insie-me, dava l�impressione di una colombaia. Di qui, ilnome columbarium dato alle sepolture. Spesso, i mau-solei comprendevano anche un triclinio ornato di affre-schi, adibito ai banchetti funebri, conclusione abitualedi ogni funerale. Sulla via dei Sepolcri, si potevanoammirare le tombe delle più grandi famiglie di Pompei,come ad esempio gli Istacidi, e le iscrizioni ci diconoancor oggi quali furono i defunti piú meritevoli ai quali,a titolo onorifico speciale, fu eretto un mausoleo a spesedello Stato. Fra questi, la sacerdotessa Mamia, fonda-trice di un tempio elevato sul Foro, e il duumviro M.Umbricio Scauro.

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Gli edifici all�estremità nord-ovest della città, pro-spicienti le strade alle spalle della porta d�Ercolano, por-tano tutti i segni dell�intenso viavai stradale, alle cui esi-genze si cercava in tutti i modi di far fronte. Perciò lacasa di Sallustio, all�incrocio di due importanti arteriestradali (strada Consolare e strada di Mercurio), eraprovvista di uno spaccio di bevande, un ristorante, equattro botteghe, in una delle quali gli schiavi vende-vano vino e olio, mentre nelle altre erano installati unamacina e una panetteria. L�edificio risale all�epoca san-nitica e gli affreschi che lo ornano appartengono ai trestili pompeiani. Il suo proprietario, Caio Sallustio, arric-chitosi col commercio, volle adornare la sua dimora diopere d�arte. Cominciò col collocare nell�atrio una sta-tua in bronzo che raffigurava Ercole con la cerva che,secondo la leggenda, egli inseguí per un anno intero, fin-ché, colpendola con una freccia a una zampa, riuscí acatturarla e a portarla viva a Cirene. Poi decorò le pare-ti con magnifici affreschi, uno dei quali, di parecchimetri quadrati, illustra la leggenda di Acteone, trasfor-mato da Diana, che egli aveva sorpresa al bagno, in uncervo, dilaniato poi dai suoi stessi cani.

Proseguendo lungo la strada di Mercurio, si pervie-ne, attraverso un vicoletto laterale (vicolo dei Vettii),alla casa dei Vettii, famiglia eminente, i cui membritennero spesso le piú alte cariche civiche. Il proprietariodoveva essere un uomo di gusti artistici raffinati, poi-ché le decorazioni parietali non sono, come in moltealtre case, di esecuzione corrente, ma opere di autenti-ci artisti. Vi si ritrova il gusto del particolare, che faappunto di questa dimora qualcosa di assolutamente su-periore a tutte le altre di tipo abituale. Altro esempio delgenere è una casa non molto discosta da questa, sulla viadi Stabia, che appartenne a L. Cecilio Giocondo, ban-chiere arricchitosi esercitando il mestiere di sensale, chetraeva lauti profitti dall�amministrazione dei beni pro-

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pri e di quelli altrui. Il lusso di cui si circondava testi-monia la sua ricchezza; nell�atrio, vicino all�altare deglidèi lari, sono stati ritrovati dei cofani di splendida fat-tura, sormontati da un busto in bronzo del banchiere,dedicato da uno dei suoi liberti al genio del suo padro-ne. Pare che questo riccone, che aveva anche preso inaffitto una grande lavanderia dirimpetto alla sua casa,fosse un gaudente oltre che un eccellente uomo d�affa-ri, perché sotto una pittura murale fece scrivere i versidi Ovidio: «Viva colui che ama! Perisca chi non saamare! E abbasso due volte chi si oppone all�amore!»3.

L�ufficio del banchiere si trovava al primo piano dellacasa, e là, in una grande cassa fasciata di bronzo, egli con-servava le deduzioni delle vendite all�asta che organiz-zava per conto dei suoi clienti, le ricevute del denaroimprestato, ecc., tutto sotto forma di tavolette di cera,incise con uno stiletto acuminato. Il suo giro d�affaridoveva essere complesso, poiché si estendeva fino all�E-gitto, di dove Cecilio importava nell�Italia meridionalele tele di lino tanto ricercate. Uno dei suoi migliori clien-ti, il ricco romano Gneo Alleio Nigido, abitava in unavasta dimora che occupava un intero isolato fra la stra-da della Fortuna e la strada di Mercurio, e possedeva unosplendido giardino con peristilio. Costui gestiva unagrande panetteria, installata a sinistra dell�atrio, fornitadi due macine e di un forno immenso. Dove si macina-va il grano, sotto un emblema portafortuna, stava scrit-to: «Qui regna la felicità». Per arrotondare le sue ren-dite, anche Nigido aveva adibito una parte della sua casaa locanda. Sulla soglia, un mosaico con la scritta Salvedava il benvenuto al visitatore. Anche all�ingresso dinumerose altre case si trovano iscrizioni del genere, comequella che dice: «La mia casa è preclusa ai ladri, maaperta a tutti i galantuomini», mentre un�altra ammoni-sce, sotto un mosaico che rappresenta un cane: Cavecanem. Le significative parole ritrovate sulla porta della

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casa di un certo Sirico: Salve lucrum (benvenuto, guada-gno) non lasciano dubbi sulla professione e gli ideali delproprietario, e altre: «Il guadagno è la felicità», sonoaltrettanto sincere ed esplicite.

Tuttavia, i pompeiani arricchiti, specialmente quan-do ricoprivano alte cariche, provvedevano anche con lar-ghezza adeguata all�abbellimento degli edifici pubblici.Cosí il Foro, su cui convergevano tutti gli sguardi, nel10 a. C. venne delimitato nel lato ovest con un porti-cato a colonne, mentre si provvedeva a migliorare illastricato e si intraprendeva la costruzione del tempiodedicato al genio di Augusto, il cui finanziamento fuassicurato dalla sacerdotessa Mamia. Esso chiudeva illato nord-ovest della piazza, e nelle immediate vicinan-ze, piú a sud, un�altra sacerdotessa, Eumachia, feceampliare a nome proprio e a nome di suo figlio, Numi-ster Fronto, un edificio, riservato fino allora a scopiindustriali e adibito a sede della corporazione dei fullo-nes (lavandai, tintori e fabbricanti di panni), dotandolodi un imponente porticato a colonne verso il Foro. Dedi-cato alla Concordia Augusta, esso conteneva numerosestatue, fra cui quelle di Romolo e di Enea. Infine, nellato sud-est, venne eretto il Comitium, o ufficio eletto-rale, sí che il Foro, chiuso tutt�intorno da monumenti eporticati, assunse l�aspetto di un immenso salotto orna-to di statue, un po� come la piazza San Marco di Vene-zia. All�inizio dell�èra cristiana, un altro tempio consa-crato all�imperatore, quello della Fortuna Augusta, sorsefuori del Foro, sulla via di Nola.

Sempre in epoca augustea, la cinta fortificata di Pom-pei dal lato del mare venne parzialmente abbattuta, perpermettere l�estensione della città da quella parte; misu-ra resa necessaria sia dall�incremento demografico, siadall�afflusso di nuovi coloni, installati dall�imperatorenella zona fuori le mura. Simultaneamente, si provvidead assicurare alla città un adeguato approvvigionamen-

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to idrico: l�acqua, raccolta in un grande serbatoio, venneportata in tutte le strade e nelle abitazioni a mezzo diun ingegnoso sistema di tubature. Questo, a comple-mento dei numerosi pozzi pubblici, vicino ai quali si ele-vavano altari, ora incastrati nei muri delle case, ora col-locati in apposite nicchie. In seguito, prevalse la modadi decorare anche le facciate delle case, per lo più privedi finestre, con raffigurazioni di divinità; su una di essene troviamo dodici, specialmente venerate a Pompei, ecioè: Giove, Apollo, Marte, Vulcano, Mercurio e Erco-le, insieme alle divinità femminili Giunone, Minerva,Venere Pompeiana, Proserpina, Diana e Cerere.

Fu sotto il regno di Tiberio, di Caligola e di Claudio,successori di Augusto, fino all�avvento al trono di Nero-ne, cioè dal 14 al 54 d. C., che lo sviluppo economico,e specialmente quello industriale, di Pompei raggiunseil massimo splendore. L�arte tessile fece progressi da gi-gante, e cosí l�esportazione della frutta, del vino, delleprimizie agricole e soprattutto della prelibata salsa dipesce, che può essere paragonata alla salsa al tonno deitempi nostri. Si rese quindi necessario costruire nel Foroanche un mercato coperto: vasto edificio rivestito dimarmi, circondato da colonnati e sormontato da unacupola, nel quale si trovavano i macelli, gli spacci dicarne e di pesce ornati di pitture, e tutta una serie dibotteghe che si aprivano sul Foro, in cui si vendevanofrutta fresca, datteri, fichi, pane e pasticceria. Propriolí accanto, sorse un sacrario dedicato alle divinità pro-tettrici della città. Il lusso e il benessere aumentavano;ovunque sorgevano nuovi monumenti in cui il marmo,sebbene ancora costoso, già trovava largo impiego. LeTerme del Foro vennero ingrandite con indescrivibiledispendio di denaro, poiché furono provviste di un cor-tile con portici, di un reparto per le donne e di unimpianto di riscaldamento ad aria calda, estremamenteingegnoso.

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Accanto alla classe degli alti magistrati, alla quale sideve la maggior parte di questi splendidi edifici, e allevecchie famiglie dei primi residenti, si venne formandouna nuova classe, quella della borghesia arricchita, checomprava case, modificava il loro aspetto primitivo, ar-ricchendole di nuovi ambienti e innalzando colonne,costruite con mattoni (diventati ormai di uso corrente)rivestiti di stucchi e di fregi di ogni specie. Le esigenzedelle comodità domestiche crescevano di giorno in gior-no; ogni casa disponeva di acqua corrente, che alimen-tava anche le vasche e gli zampilli negli atrii, nei peri-stili e nei giardini.

Questa ricchezza e quest�attività commerciale sonosoprattutto sensibili nella via dell�Abbondanza, che con-duce al Foro intersecando la via di Stabia. Qui abitavaun certo Olconio Rufo, che aveva occupato successiva-mente tutte le piú alte magistrature civiche, fino adiventare sacerdote del culto di Augusto. Egli rinnovòe ampliò i due teatri, e si comprò una casa superba, note-vole soprattutto per i colonnati del peristilio, i giochid�acqua e le pregevoli pitture parietali. Anche in questoedificio si aprivano numerose botteghe. Il proprietariogestiva una tintoria che, tenendo conto della sua abilitàcommerciale e delle molteplici attività che esercitava,doveva essere molto redditizia.

In tutte queste dimore si svolgeva per lo piú una vitafamigliare tranquilla e felice, di cui i bambini erano ilnucleo centrale. Troviamo le tracce della loro presenzasulle pareti, sotto forma di graffiti e di ingenui disegnia un metro o piú di altezza dal pavimento, secondol�età.

In questa stessa strada, un po� piú a est, sorgeva unagrande casa con peristilio, al centro del quale c�era unpergolato ricoperto dai pampini di una vite, che servivada stanza tricliniare all�aperto. Qui abitava PublioPaquio Proculo, diventato duumviro dopo aver ricoper-

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to numerose cariche pubbliche, forse parente di quelTerenzio Proculo che possedeva un�importante panet-teria nella via di Stabia, e si era fatto ritrarre insiemealla moglie in un affresco murale. Li vediamo, lui con unpapiro arrotolato, e lei con delle tavolette cerate dispo-ste a trittico in mano, come se il padrone di casa voles-se far dimenticare il suo mestiere di panettiere e citenesse a passare ai posteri sotto veste di erudito e dipersona di riguardo!

A poca distanza, sorgeva la casa del sacerdote Aman-do, modesto edificio circondato da magazzini e taverneche albergava al pianterreno e al primo piano una fami-glia numerosa. Un�ala era affittata a un fabbricante diquelle tavolette di legno rivestite di cera che servivanoper scrivere.

Sempre nello stesso quartiere si trovava la dimoradella gente Poppea, una di quelle vecchie famiglie pom-peiane che avevano fornito funzionari a tutte le altemagistrature della città. Il grandioso edificio com-prendeva, oltre a lussuosi saloni di rappresentanza, vastialloggi per gli schiavi e i loro sorveglianti, senza dubbioadibiti a lavori agricoli nella campagna circostante, sottogli ordini di un intendente (procurator). Poiché i padro-ni, gente assai facoltosa, possedevano altre tenute, oltrequesta di Pompei, e trascorrevano il loro tempo or quior là, affidavano al procurator la custodia della loro casacittadina, spesso per mesi interi.

Il continuo aumento dei possidenti ricchi di Pompeiera dovuto non tanto alla prosperità industriale dellacittà, quanto al fatto che questa, insieme a Ercolano, eradiventata la méta di ricchi Romani assetati di riposo edi bellezza, fra cui i membri stessi della famiglia impe-riale, che sempre piú spesso vi facevano brevi soggior-ni. Fu appunto durante una di queste villeggiature chesi verificò un incidente che riuscí fatale a Druso, figliodell�imperatore Claudio. Un giorno dell�anno 21 dell�e-

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ra cristiana, il giovanetto, che aveva allora tredici anni,stava giocando con una pera, che lanciava in aria cer-cando di riprenderla con la bocca, quando il frutto andòa conficcarglisi nella strozza; prima che i dottori potes-sero soccorrerlo, morí asfissiato.

Mentre Pompei, dedita principalmente al commercio,andava via via perdendo la sua importanza militare, sicercava di conservare a Ercolano, piú vicina al Vesuvioe situata sul litorale, il suo carattere strategico di piaz-zaforte. Sin dall�epoca augustea, ebbe inizio il restaurodelle mura di fortificazione, sebbene splendide ville con-tinuassero a sorgere fuori della cinta; sotto l�impero, poi,la città vide sorgere edifici pubblici che ci appaionotanto piú grandiosi, in quanto la sua popolazione era unterzo di quella di Pompei. Fra questi, un teatro a emi-ciclo, capace di contenere circa duemilacinquecentospettatori. Tutt�intorno, sul muro che sovrastava l�ulti-mo rango di posti, c�erano delle statue in bronzo, di pro-porzioni maggiori del vero, raffiguranti i membri dellafamiglia imperiale, e alti dignitari municipali; la paretedi fondo, che formava il prospetto del palcoscenico,tutta incrostata di marmi rari policromi, era una verameraviglia architettonica, rilevata da nicchie guarnite disculture in marmo e in bronzo, che fiancheggiavano l�in-gresso principale e altri due ingressi laterali, riservati agliartisti che dovevano entrare in scena. Essa costituival�ornamento principale e più prezioso di questo teatroscoperto che, costruito sotto Augusto, fu arricchito viavia di statue di imperatori e di contemporanei illustri.

La cittadina era suddivisa in isolati simmetrici, deli-mitati da strade tutte lastricate, e su una di queste affac-ciava un gigantesco edificio, una Basilica senza dubbio,sormontata da un�imponente quadriga bronzea, e orna-ta anch�essa da una selva di statue in marmo o in bron-zo, come il teatro. Queste sculture, tuttavia, immorta-lavano quasi esclusivamente membri della prima fami-

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glia della città, la gente dei Balbi, il piú famoso deiquali era Marco Nonio Balbo, proconsole di Creta edella Cirenaica. All�ingresso della Basilica, incorniciatedalle colonne del porticato, si ergevano le statue eque-stri del proconsole e di suo figlio, e all�interno c�eranoancora le effigi di sua madre, di sua moglie e delle suefiglie; opere d�arte dalle quali trasparivano i tratti seve-ri e nobilissimi di quella famiglia patrizia, fra le piúcolte dell�epoca. Era stato Nonio Balbo a finanziare lacostruzione della Basilica stessa, nonché il restauro dellemura e delle porte della città.

Non molto lontano di là, sorgeva il tempio di Cibe-le, madre degli dèi e personificazione della forza crea-trice della natura, alla quale già nel 2oo a. C. i Romaniavevano eretto un tempio sul Palatino. Anche Venere,Ercole e Iside venivano particolarmente venerati a Erco-lano, insieme a Giove. Particolare interessante, per lecolonne dei templi gli abitanti della cittadina utilizza-vano anche l�alabastro trasparente.

Fu negli anni dal 3o al 2o a. C. che venne completa-ta la costruzione delle Terme pubbliche, caratterizzatedalla pianta simmetrica e dalla netta separazione frauomini e donne. Esse sorgevano vicino al Foro, anchequi centro della vita pubblica e privata, ma assai piúmodesto di quello di Pompei. In compenso, Ercolanoannoverava case di abitazione sontuose, come ad esem-pio quella oggi conosciuta sotto l�appellativo di Alber-go, che doveva certamente imporsi all�ammirazione deivisitatori, con i suoi ricchi pavimenti in mosaico, gliaffreschi murali del secondo e terzo stile, il vasto peri-stilio e i giardini splendidamente fioriti, dei quali tut-tavia ben poco ci è pervenuto. Oltre queste dimoresignorili, ve n�erano infinite altre piú modeste, che peròrivelano tutte il comune desiderio di rendere il focolaredomestico il più accogliente ed elegante possibile. Agiudicare dalla grande quantità di canne da pesca, reti

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e altri attrezzi ritrovati ovunque, la popolazione era perlo piú dedita alla pesca.

La vicinanza di Napoli fece sí che a Ercolano l�ele-mento greco si conservasse piú puro, meno imbastardi-to che a Pompei. La splendida posizione del luogo invi-tava la classe ricca a farvi costruire ville di riposo dove,lontano dalla vita febbrile e dai commerci di Napoli edi Pompei, essa poteva dedicarsi ai suoi svaghi preferi-ti e al culto delle arti e delle scienze. Fu certo con que-sto intento che un patrizio raffinato si fece costruire unagrande villa a ovest della città, fuori della cinta, sugliultimi contrafforti del Vesuvio, dai quali si godeva unasplendida vista sul mare. Circondata da un ampio giar-dino, essa comprendeva due peristili, uno piccolo e unopiú grande, al centro del quale c�era una grande vascad�acqua. La casa, arredata sfarzosamente e protetta daiventi freddi perché addossata al vulcano, sorgeva amezza costa sul mare, di cui dominava tutta l�estensio-ne dalle ampie terrazze. Già proprietà del genero diCesare e avversario di Cicerone Lucio Calpurnio Piso-ne, rimase in mano alla sua famiglia per tutta la duratadell�impero. Questo Lucio Calpurnio era un seguacedella dottrina di Epicuro, filosofo greco che aveva fattosentire la sua influenza a Atene per tutto il IV e III seco-lo a. C., e in sostanza predicava la ricerca della felicitànei godimenti intellettuali. Mentre però per Epicuro labeatitudine non poteva essere tale senza altruismo,dominio di sé e giustizia, col passare degli anni, sino aitempi dell�Impero, la sua dottrina subì delle grossolanedeformazioni. Numerosi seguaci, fra cui anche il filosofoFilodemo, giunsero a snaturarla a tal segno, da affermareche essa consacrava una vita fatta tutta di godimentiegoistici. Probabilmente, Filodemo visse e morí nellabella villa di Lucio Calpurnio Pisone, di cui era amicoed ospite, e gli lasciò la sua biblioteca e tutti i suoi scrit-ti, contenuti in rotoli di papiro coperti della sua stessa

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scrittura, accuratamente riposti in appositi scaffali. Lamaggior parte di essi era redatta in lingua greca, pochialtri in latino. Il suo amico e proprietario della villa,Pisone, non era soltanto un filosofo e un letterato, maanche un intenditore d�arte; egli trasformò la sua casain un vero museo, collezionando bronzi e statue, fra cuieccellenti copie romane e anche qualche raro originalegreco. Erme in marmo o in bronzo di uomini illustri,come Scipione l�Africano vincitore di Annibale e diCartagine, e ritratti di filosofi e di poeti, ornavano lesale della villa, i peristili e i giardini, splendida sintesidella cultura greca e romana. Alla morte del filosofo edel suo ospite, che avevano vissuto insieme per almenotrent�anni, la villa rimase di proprietà dei Pisoni.

Qui, nella pace di Ercolano, molto meglio che nellaPompei tumultuosa e industriale, si potevano veramen-te godere gli incanti di una simile dimora. L�attivitàdegli abitanti delle due città era condizionata dalla posi-zione e dai particolari aspetti di vita di esse, ma l�ecodelle nuove lotte intestine scatenate dall�avvento al pote-re imperiale di Nerone, giungeva ad ambedue flebile eattenuata. Le esigenze dell�impero la sete crescente dilusso delle classi abbienti, e il desiderio ad essa ineren-te di procurarsi articoli pregiati sui mercati esotici, sti-molarono gli scambi commerciali, cui partecipavano atti-vamente Napoli e le città vicine, servite dal suo porto.Sotto il regno di Tiberio, e poi sotto quello di Nerone,la politica orientale perseguita da questi due imperato-ri aveva incrementato i rapporti marittimi non solo coni paesi del Mediterraneo orientale, ma persino con leIndie. Flotte mercantili romane sotto scorta militare sispingevano fino al Mar Rosso, e insieme alle merci delleIndie tropicali a volte portavano in Italia anche statuerituali o opere d�arte, che rivelavano ai Romani l�esi-stenza delle divinità indiane. Nello stesso modo, forse,Pompei ebbe pure sentore, attraverso qualche ebreo o

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viaggiatore proveniente dal Medio Oriente, dello straor-dinario Uomo venuto a morire su una croce per salvareil mondo. Tuttavia, in questa città la dottrina cristiananon ebbe diffusione, fatta eccezione forse per qualchesingolo, e non si è trovata traccia di catecumeni veri epropri. Solo un criptogramma, chiamato del Paternoster4, formato da lettere disposte in quadrato che,lette in un senso o nell�altro, danno sempre le stesseenigmatiche parole, potrebbe indicare l�adesione di qual-che neofita alla fede cristiana e il riconoscimento del suodogma fondamentale: l�incarnazione del Cristo e la suaresurrezione.

A Ercolano invece, a seguito delle predicazioni tenu-te dall�apostolo Paolo a Pozzuoli, nel 63 d. C., indub-biamente vi fu qualche conversione alla nuova religio-ne, specialmente fra i poveri e gli schiavi, perché sullaparete di un bugigattolo che doveva servire da oratorioprivato, è stato ritrovato il segno di una croce ligneaincastrata nel muro, che un armadio fornito di portellopoteva nascondere agli sguardi profani. Davanti a que-sto, un mobile, di origine indubbiamente pagana, servi-va da cassone per conservare gli oggetti sacri, e forseanche da altare. Tuttavia, le persecuzioni contro i cri-stiani dell�anno 64, sotto il regno di Nerone, o forse l�in-tervento di sacerdoti e fedeli della vecchia religione pan-teistica, fecero sí che quel solo vestigio del culto dellaCroce predicato da san Paolo sparisse, e l�emblema cheornava la povera stanzetta al primo piano di una villa diErcolano, probabilmente alloggio di uno schiavo, fossedivelto con la forza5.

Alternati alle cerimonie religiose e alle occupazioniquotidiane per procacciarsi il pane, i ludi dell�Anfitea-tro continuavano ad appassionare gli abitanti di Pompeie di Ercolano. Magistrati e funzionari facevano a garaper offrire queste distrazioni al popolo il piú spessopossibile. Poiché Pompei possedeva un Anfiteatro

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vastissimo, mentre le località vicine, come Stabia, Nuce-ria e Sorrento, ne erano sprovviste, accadeva che i loroabitanti, in continuo contatto commerciale con Pompei,affluissero alle feste che si davano nell�Anfiteatro diquesta città.

Contrasti d�interesse, invidia e rivalità degli abitan-ti di Nuceria e di Stabia, città che avevano terribil-mente sofferto delle guerre passate, avevano bensí pro-vocato degli attriti con i Pompeiani; ma la tentazione diassistere nel loro Anfiteatro agli spettacoli che sottol�impero avevano avuto nuovo impulso, era piú forte diogni risentimento.

I giadiatori, addestrati in scuole speciali, venivanoassoldati dai finanziatori dei ludi. Li si costringeva a unadisciplina ferrea, poiché dopo la rivolta di Spartaco esapendo che gli infelici erano comunque votati allamorte, si era sempre in ansia. Eppure certuni, particolar-mente audaci, erano l�idolo delle folle e soprattutto delledonne. I loro combattimenti venivano riprodotti inaffreschi che ornavano le case private; sui muri, sullecolonne, sono stati ritrovati i loro nomi, come ad esem-pio quello di un trace fra tutti prediletto, un certo Cela-do, definito «sospiro delle ragazze»6, e altrove «vantodelle fanciulle»7.

Quelle lotte cruente, rozza sopravvivenza dei costu-mi della vecchia Etruria, erano in netto contrasto conlo spirito del teatro ellenico, eppure appassionavano ilpopolo. Esse dovevano trarre la loro origine da certecerimonie del culto primitivo, quando, dopo una vitto-ria, come espiazione e in onore dei morti caduti sulcampo, si costringevano i nemici prigionieri a combat-tere due a due fra loro, fino all�ultimo sangue. Quantoai gladiatori, spesso costretti a scegliere quel mestierebrutale contro la loro stessa volontà, consideravano illoro destino sotto una luce ben diversa. Uno di essiscrisse sulla parete del refettorio della caserma queste

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parole amare: «Di tutti gli scrittori romani, solo il filo-sofo Seneca condanna i ludi cruenti del circo»8.

Quando era previsto uno spettacolo, a tempo debitose ne dava notizia al pubblico con iscrizioni sui muridelle case, e cosí accadeva che ai quadrivi di tutta Pom-pei si leggesse ad esempio: «Il 4 aprile, in Pompei, scen-deranno a tenzone venti coppie di gladiatori cheappartengono a Lucrezio Satrio Valente, flamine per-petuo di Nerone, e altre dieci coppie di gladiatori offer-te da suo figlio Lucrezio Valente. Vi saranno combatti-menti fra uomini e fiere, e verrà teso il velario»9. Del 59dell�età cristiana è un altro annunzio, apparso anche aNuceria e a Stabia, che invitava gli spettatori a un com-battimento fra gladiatori e tori nell�Anfiteatro di Pom-pei. Lo spettacolo era stato allestito da un ricchissimosenatore romano esiliato per ragioni politiche nella Cam-pania, che voleva guadagnarsi i favori della popolazio-ne del suo nuovo luogo di residenza, e da tutte le loca-lità vicine, compresa Nuceria che pure si consideravadanneggiata dalla prosperità di Pompei e ne era gelosis-sima, fu un accorrere insolito di spettatori.

Giunto il momento di dare inizio alla rappresenta-zione, i gladiatori designati uscirono dall�antico quadri-portico del teatro, da poco adibito a caserma, e rivesti-ti dei loro elmi, corazze e gambali riccamente ornati,passarono sotto gli ampi portali, chi a cavallo, chi apiedi, al suono di una musica marziale, entrando nell�a-rena dell�Anfiteatro gremito sino all�inverosimile. Ilcombattimento cominciò, seguito dagli sguardi appas-sionati del pubblico, al quale spettava di decidere circala vita o la morte di un gladiatore ferito e incapace dicontinuare, alzando o abbassando il pollice. Quella voltaaccadde che, giunto il momento di dare il verdetto, sor-gessero delle divergenze: i Pompeiani scelsero una alter-nativa, i Nucerini l�altra, e fu uno scambio, dapprima difrasi pungenti, poi di insulti più gravi e di sassate. Alla

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fine, le due schiere avverse scesero nell�arena; un Pom-peiano alzò la mano, un Nucerino rispose, e all�improv-viso quello che all�origine era stato un gioco di lottatoridi mestiere, degenerò in una sanguinosa zuffa colletti-va, che dall�arena dilagò alle gradinate. I Pompeiani, cheerano in numero preponderante, ebbero ben presto ilsopravvento sui loro ospiti, molti dei quali dovetteroessere trasportati in città gravemente feriti, mentre sul-l�arena giacevano numerosi morti. I Nucerini che ave-vano perduto parenti e bambini non si contavano; essiinviarono a Roma una protesta, corredata da un elencodei morti e dei feriti, e chiesero all�imperatore di far giu-stizia e ristabilire l�ordine. Nerone incaricò il senato dideliberare in merito, e il verdetto fu «proibizione aiPompeiani di organizzare ludi nel loro Anfiteatro per unlasso di dieci anni». Livineo Regolo, che li aveva pro-mossi, dovette sparire da Pompei, e tutti i colpevoli deltumulto sui quali si poté metter la mano furono esiliati.In piú, i duumviri in funzione vennero destituiti, siindissero nuove elezioni, e un commissario imperiale siincaricò di ristabilire l�ordine.

Sebbene cruenta, la zuffa venne presto dimenticatacome un banale incidente; gli animi si placarono e gliabitanti delle due città rivali ripresero le loro abitualipacifiche occupazioni. Rimase solo per tutti il rimpian-to cocente di dover rinunciare per tanti anni agli svaghidel circo. Pare tuttavia che poco tempo dopo l�interdi-zione fosse tolta.

Le lotte in seno alla famiglia imperiale di Roma e lerivalità fra alti dignitari dello Stato non avevano alcunaripercussione su Pompei ed Ercolano, i cui abitantierano liberi di organizzare la vita a piacer loro. Essi con-tinuavano dunque a godere in pace delle bellezze natu-rali che li circondavano, guardavano senz�ombra di dif-fidenza l�imponente mole del Vesuvio «verdeggiante dipampini ombrosi», sfruttavano le loro tenute e i prodotti

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della pianura rigogliosa, ormai tutta disseminata di villee di orti.

Cosí giunse il fatale mezzogiorno del 5 febbraio, anno63 dell�èra cristiana, e decimo del regno di Nerone. Gliabitanti di Pompei e di Ercolano si accingevano a con-sumare il loro pasto, quando all�improvviso un terre-moto spaventoso squassò tutta la zona. Le scosse si sus-seguivano in senso ondulatorio da est verso ovest, cioèdal Vesuvio in direzione del mare. Innumerevoli edifi-ci pubblici, i piú alti, i piú ricchi e maggiormente orna-ti di colonne, crollarono, e anche le case più semplici nesoffrirono; ma i disastri peggiori si verificarono nel Foro,dove il maestoso tempio di Giove con i colonnati sopre-levati, il tempio di Apollo, uno dei più bei monumentidi Pompei, nonché numerose colonne che sostenevanogli edifici tutt�intorno alla piazza, furono ridotti a un cu-mulo di macerie. Anche la Basilica subí danni gravissi-mi, e il tempio di Iside non fu piú che una rovina. Unsacerdote che stava mangiando in una casa vicina, ealcuni bambini che giocavano sotto il colonnato delForo, furono travolti e schiacciati. I due teatri, quelloscoperto e quello chiuso, subirono lesioni tali, da esse-re inutilizzabili; la porta Vesuvio crollò, le tubature dipiombo dell�acquedotto furono divelte, sí che la popo-lazione dovette ricorrere nuovamente ai pozzi, moltidei quali si erano per di piú improvvisamente seccati.

Anche la casa del banchiere Cecilio Giocondo, inprossimità della porta Vesuvio, subí danni ingenti: ilpiano superiore crollò travolgendo il cofano che conte-neva le quietanze del padrone di casa, dall�anno 15 al 62d. C. Al momento del terremoto, questi si trovavaappunto per affari nel Foro, e vide con i suoi occhi ilcrollo del tempio di Giove e dei porticati, mentre gligiungevano all�orecchio gli urli degli infelici travoltidalle macerie. Preso dal panico, egli giurò che, se fosseriuscito a ritornare a casa illeso, avrebbe offerto un

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vistoso sacrificio agli dèi lari della sua famiglia. Ritrovòla sua dimora quasi rasa al suolo, ma ebbe salva la vita.Per questa ragione, in occasione della ricostruzione del-l�edificio, incaricò un artista di scolpire nel nuovo atrioun bassorilievo che rappresentasse il crollo dei monu-menti del Foro, a ricordo dello scampato pericolo, eimmortalasse la scena del sacrificio da lui offerto agli dèiper ringraziarli della loro protezione.

Le conseguenze del cataclisma furono spaventose: intutta Pompei non una casa era rimasta intatta; nellaCasa del Fauno, ad esempio, il mosaico del pavimentodel tablinum che raffigurava il combattimento di Ales-sandro Magno e di Dario durante la battaglia d�Isso, nel333 a. C., era andato distrutto nella parte dove si vede-vano i soldati macedoni pronti all�attacco dietro al lorore. L�ampiezza del disastro era tale, che non si potevacalcolare l�ammontare dei danni; neppure i numerosivicoli fra la via dell�Abbondanza e quella della Fortunaerano stati risparmiati, e anche il tempio di Venere eraandato distrutto.

Lí per lí, gli abitanti erano fuggiti terrorizzati dallacittà, preoccupati soltanto di trovare scampo in apertacampagna, ma poiché il terremoto era stato breve e lescosse non si erano ripetute, a poco a poco fecero ritornoalle loro case devastate. Anche le ville suburbane ave-vano sofferto orribilmente, e piú di tutte quelle sui ver-santi del Vesuvio. Una di esse, costruita sul contraffor-te sud-est, un grande edificio che il proprietario, appas-sionato cultore di musica e di ludi del circo, aveva fattoistoriare con affreschi di gladiatori, atleti e musicisti, eracosí mal ridotta che venne abbandonata.

Ercolano non subì sorte migliore: tutti gli edifici pub-blici e privati erano gravemente lesionati, il tempio diCibele era crollato, e gli abitanti che non avevano per-duto la vita, si aggiravano fra le rovine della loro città,tanto piú esterrefatti, in quanto la catastrofe era avve-

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nuta d�inverno, stagione che non aveva mai destatopreoccupazioni, poiché fino allora le poche scosse occa-sionali si erano sempre verificate d�estate. Nuceria eNapoli, invece, erano state relativamente risparmiate; idanni gravi si erano limitati alle ville costruite sui decli-vi e gli edifici pubblici della zona piana erano pratica-mente intatti. Tuttavia, anche qui il cataclisma avevafatto le sue vittime: un gregge di seicento pecore erastato inghiottito da una crepa apertasi nel terreno; leperdite umane erano considerevoli, e molti erano stati iferiti o i morti travolti dalle rovine dei crolli. Alcuni,improvvisamente impazziti per il terrore, erravano neidintorni delle città, urlando, gemendo e imprecandoagli dèi.

Numerose famiglie abbandonarono Pompei; defini-tivamente o per un certo tempo, in attesa che le loro casefossero ricostruite. Questo appunto era il problema: laportata del disastro era tale, le spese e il fabbisogno dimateriali indispensabili alla ricostruzione di Pompei e diErcolano cosí ingenti, che s�imponeva una decisione: rie-dificare queste città, o abbandonarle e trasferire altro-ve gli abitanti? Questi ultimi, tuttavia, furono concor-di per la prima soluzione. Ritornata la calma, dimenti-carono il pericolo e lo spavento passati, e rifiutandosi dicredere al ripetersi di simili eventi, si trovarono unani-mi in un solo desiderio: cancellare al piú presto le trac-ce della catastrofe. Naturalmente, non disponendo dimezzi propri sufficienti, dovettero sollecitare l�aiutodell�imperatore e del senato romano. Davanti all�entitàdella spesa, l�Urbe esitò un poco; ma infine, cedendo alleistanze delle personalità mandate a Roma da Pompei eErcolano, decretò la ricostruzione delle due città. Logi-camente, i restauri furono eseguiti tutti in stile romanoe le strutture urbane cosí rimodernate, perdettero defi-nitivamente ogni caratteristica osca e sannitica.

Nessuno si preoccupò di indagare le cause del terre-

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moto. Nell�Italia meridionale le scosse telluriche eranoall�ordine del giorno; questa era stata un po� più violentadel consueto, e il suo epicentro si era sfortunatamentetrovato vicino a Pompei e a Ercolano... Chi mai potevasupporre che fosse stata provocata da fenomeni vulca-nici sotterranei? Inghirlandato di vigne e di olivi, ilVesuvio continuava a ergersi pacifico, immutabile emaestoso, insospettato artefice della catastrofe recente.

1 Geschichte des Aliertums, p. 432.2 Promenades archéologiques: Rome et Pompéi, Paris 1901.3 «Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare. | Bis tanto pereat

quisquis amare vetat».4 Cfr. Della Corte, Il Crittogramma del «Pater noster», Napoli,

Estratto del vol. XVII dei Rendiconti della Reale Accademia diArcheologia, Lettere ed Arti, Società di Napoli, 1937.

5 Cfr. Amedeo Marmi, Sulla scoperta della Croce ad Ercolano, «LeArti», 1940, p. 1872

6 «Suspirium puellarum | tr | celadus - oct. III CIII»7 «Puellarum | decus celadus tr».8 Cfr. Hieronymus Geist, Pompeianische Wandinschriften, Mün-

chen 1936, p. 29.9 D. Lucreti Satri Valentis flaminis Neronis Caesaris Aug(usti) f(ili)

perpetui glad(iatorum) par(ia) XX; et D. Lucreti Valentis fili glad(iato-rum) par(ia) X pugn(abunt) Pompeis ex a(nte) d(iem) nonis apr(ilibus).Venatio et vela erunt.

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Capitolo terzo

Dalla ricostruzione alla catastrofe dell�anno 79(64 d. C. - 79 d. C.)

Il terremoto che aveva colpito le due città vicine alVesuvio ed era stato avvertito anche a Nuceria e a Napo-li, era stato di nono grado, cioè «rovinoso», a Pompei ea Ercolano, e di sesto grado, cioè da «violento» a «moltoforte», nelle zone adiacenti. A Napoli, erano crollatimolti edifici fra cui il ginnasio; a Nuceria, malgrado idanni rilevanti, nessuna casa invece era andata distrut-ta. La causa delle scosse telluriche era una semplicemanifestazione vulcanica; i gas e i vapori che si eranoaccumulati all�interno del cono, cioè, cercavano una viad�uscita ma, ancor troppo deboli per sfondare la scorzaterrestre, provocavano delle deflagrazioni sotterranee, lecui scosse riuscivano fatali alle città sovrastanti. Sebbe-ne in quelle regioni fenomeni del genere fossero all�or-dine del giorno, allora non esisteva neppure una lonta-na parvenza dei nostri osservatori sismografici, e si erainclini ad attribuirli a ragioni soprannaturali, come mal-volere degli dèi, lotte fra giganti, ecc. Per scongiurarli,ci si limitava a moltiplicare i sacrifici per placare glionnipotenti del cielo e della terra, supplicandoli davan-ti agli altari di risparmiare agli uomini simili calamità.In realtà, il terremoto altro non era che un fallito ten-tativo dei gas sotterranei di trovare una via di uscita,come ogni tanto avviene ancor oggi.

Subito dopo la deliberazione del senato, gli abitantisi misero attivamente a riedificare e restaurare i focola-ri distrutti. Non tutti invero fecero ritorno, che parec-

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chi, piú circospetti, temendo il ripetersi di quei tragicieventi, preferirono tenersi lontani dalla zona. Ma sitrattava naturalmente di persone e famiglie di condi-zione piú elevata che avevano altre proprietà altrove, odi gente senz�arte né parte. Tutti quelli che non pote-vano lasciare la terra natale � ed erano i piú � si dedi-carono invece con ardore al lavoro di ricostruzione.

Per prima cosa si impose il restauro delle porte, spe-cialmente di quella Vesuvio, per cui passava la totalitàdel traffico diretto a Stabia, e di quella d�Ercolano,anch�essa gravemente lesionata. Non meno impellenteera la riparazione dell�acquedotto, e subito ci si miseall�opera rifacendo il serbatoio idrico vicino alla portaVesuvio. Fatica inutile: le tubature sotterranee erano sal-tate in piú punti, né fu possibile scoprire le falle. Le caserimasero senz�acqua e gli stabilimenti balneari, come adesempio le terme Stabiane, non furono più utilizzabili.Bisognò dunque accontentarsi di nuovo dei pozzi e dellecisterne, progettando la costruzione di un nuovo acque-dotto secondo la piú recente tecnica idraulica romana.Nel frattempo, si provvide al restauro sommario dellecase ancora in piedi. Il senato, per parte sua, appoggia-va con ogni mezzo queste iniziative; ma i lavori anda-vano a rilento data l�entità e l�estensione dei danni, perriparare i quali mancava soprattutto la mano d�operaspecializzata. Anche l�imperatore Nerone dimostravaun vivo interessamento alle popolazioni colpite, e volledarne una prova tangibile, rivelatasi in realtà alquantobizzarra: intimamente convinto di essere, oltreché unmonarca, un artista di genio eccezionale, e incurante divenire meno alla dignità imperiale esibendosi comeistrione, nella primavera dell�anno 64 d. C., decise diapprofittare dei festeggiamenti musicali che si tenevanotutti gli anni nel teatro di Napoli, per cantare in pub-blico. Ma, proprio nel momento in cui saliva non senzatrepidazione sul podio del teatro rigurgitante di spetta-

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tori � fra cui si contavano molti soldati incaricati diapplaudire � una leggera scossa di terremoto di un secon-do fece tremare la città e l�edificio. Qualcuno si preci-pitò sul palcoscenico per mettere in guardia l�imperato-re, ma questi, indifferente, terminò la sua canzone,dando prova di un coraggio che, certo piú del suo talen-to, gli valse gli applausi frenetici dell�assemblea. Ter-minata la rappresentazione, il pubblico aveva appenasfollato il locale, quando il teatro, lesionato nelle fon-damenta, crollò.

Pochi altri edifici furono più o meno danneggiati, poi-ché l�epicentro della scossa era stato sotto il mare, inprossimità di Ischia. A Pompei e a Ercolano, infatti, ilfenomeno non era stato quasi avvertito; ma le notiziegiunte da Napoli ridestarono tutti i timori.

Tuttavia, poiché il terremoto non si ripeté, gli animisi tranquillizzarono definitivamente, e si riprese conrinnovata lena la ricostruzione delle città. A Pompei,sgomberate le arterie principali, si cominciarono a rie-dificare i monumenti pubblici. Il Foro, coi suoi templicrollati e i fabbricati in rovina, presentava un ben tristeaspetto, ma poiché pel momento non si era in grado diricostruire i santuari duramente colpiti, si utilizzaronoper il culto altri edifici sacri meno danneggiati. Giove,Giunone e Minerva, ai quali era consacrato il grandetempio del Foro, emigrarono in quello greco-sannitico diZeus, piú piccolo e quasi intatto. Anche la Basilica eracompletamente inutilizzabile, e il tempio di VenerePompeiana alle sue spalle era un cumulo di macerie. Masolo col tempo si poteva sperare di riedificare questiimmensi edifici.

Si cominciò dunque dal tempio di Apollo, il più anti-co santuario del Foro, e dai suoi colonnati. Rinuncian-do alle linee austere e semplici dell�architettura elleni-stica, si adottò, secondo il gusto dell�epoca, uno stilelezioso, derivato dal corinzio, che abusava di decorazioni

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a stucco dai colori stridenti. Ciò rientrava in quel nuovoorientamento politico, che, anche attraverso le rico-struzioni, voleva cancellare le ultime vestigia di un pas-sato ormai tramontato, e ciò avveniva con un�ostenta-zione di lusso che andava a detrimento del buon gusto,secondo l�andazzo del tempo.

Certo, il nuovo stile imposto dai magistrati romani,le modifiche apportate alle colonne e ai capitelli, le stuc-cature, gli innumerevoli ornamenti e le decorazioni che,ovunque, dovevano rimpiazzare le strutture precedenti,non favorirono il rapido andamento dei lavori. Lo stes-so avvenne per il loggiato soprelevato del portico,cominciato in epoca augustea, che si svolgeva tutt�in-torno alla piazza, e naturalmente era crollato subito alleprime scosse. Cosí, per oltre dieci anni, il Foro, untempo cosí maestoso, rimase quasi inutilizzato e offer-se lo squallido aspetto di un cantiere edile, ove si acca-tastavano fusti di colonne, trabeazioni, immense lastredi travertino per la ripavimentazione, blocchi di marmodi ogni specie destinati a ornare i fabbricati e a rivesti-re gli zoccoli delle statue di personalità insigni, chedovevano sorgere numerosissime fra gli intercolunni delportico.

Ma come ricostruire tutti i templi e gli edifici crolla-ti? I fondi municipali non potevano bastare, e bisognòrivolgersi ai privati danarosi, sollecitandoli a finanziarela riedificazione di questo o di quel fabbricato, sull�e-sempio del duumviro Marco Tullio, donatore del tem-pio della Fortuna Augusta. Significativo del favore chegodevano le divinità egiziane è il gesto di un ricco liber-to, rampollo della gente Popidia, egiziane, una delle piúaltolocate di Pompei, che fece ricostruire il tempio diIside a sue spese, in nome del figlioletto seienne. Comericompensa, il fanciullo venne elevato dal senato dellacittà alla dignità di consigliere municipale; una caricapuramente onorifica che avrebbe potuto ricoprire solo

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all�età di trent�anni, ma che il padre aveva voluto per luinon potendo egli stesso accedervi, in qualità di ex schia-vo affrancato. Grazie al suo gesto, fu possibile ripren-dere subito il culto della divinità egiziana, tanto piúpopolare in quanto prometteva ai suoi adepti non solola beatitudine eterna nell�oltretomba, ma anche la feli-cità terrena, e comportava cerimonie misteriosofiche abase di feste e di processioni. Iside era inoltre la pro-tettrice della navigazione, che, praticamente interrottanell�inverno, riprendeva con la bella stagione. In marzo,si celebrava una festa, chiamata «il battello di Iside»,che iniziava la ripresa del traffico marittimo con unasolenne processione al porto.

Ma, non meno che ai templi, i magistrati e i cittadi-ni di Pompei, che adottavano sempre piú i gusti e icostumi romani, tenevano alla ricostruzione delleTerme, che da tempo ormai costituivano, piú che unmezzo di igiene fisica, un piacevole luogo di svago dopoil lavoro quotidiano. Anche a questi stabilimenti il ter-remoto non aveva risparmiato danni gravissimi: il set-tore riservato agli uomini delle Terme Stabiane, adesempio, aveva subito la distruzione completa del tepi-darium, ambiente intermedio fra il calidarium e il frigi-darium, e della vasca ad acqua calda; e nelle stesse con-dizioni si trovavano i bagni del Foro. Venne dunquedeciso, a imitazione delle terme romane dell�epoca im-periale, costruite con grandiosità sfarzosa e circondateda campi ginnici, di edificare al quadrivia delle vie diNola e di Stabia un nuovo stabilimento, le Terme Cen-trali, di proporzioni così vaste che la loro costruzioneavrebbe richiesto piú di dieci anni.

Contemporaneamente, ci si accinse anche alla riedi-ficazione dei teatri, il grande Teatro e l�Anfiteatro adesso adiacente, che probabilmente per quel periodo nonfurono utilizzati. Poiché il tetto di quello minore, l�O-deon, era crollato, non lo si ricostruí: ci si limitò a dei

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restauri che permisero di utilizzarlo per gli spettacoliridotti che vi si tennero negli anni seguenti il terremo-to. Anche l�Anfiteatro era in via di ricostruzione, equindi i combattimenti fra gladiatori furono rari e discarsa importanza.

La riedificazione degli edifici pubblici fu tanto piúlenta, in quanto quella delle abitazioni private accapar-rava la quasi totalità degli architetti e della mano d�o-pera. Le case d�abitazione lesionate erano centinaia ecentinaia, e spesso il nuovo proprietario non si accon-tentava di ricostruirle, ma le rimodernava a suo gusto ele ampliava.

Ne abbiamo un tipico esempio nella villa dei Miste-ri, davanti alla porta di Ercolano, il cui primo proprie-tario vendette a degli sconosciuti il magnifico fabbrica-to quadrilatero con la grande veranda semicircolare sulmare, le arcate del criptoportico, le magnifiche pitturedi carattere dionisiaco del salone. Molto probabilmen-te, la padrona di casa, iniziata ai misteri di Bacco, eramorta o fuggita in seguito al terremoto. I nuovi pro-prietari tuttavia, indifferenti alla bellezza e all�arte, sipreoccuparono soprattutto delle rendite che potevanotrarre dal loro investimento. Su un muro della villa èstata ritrovata la gustosa caricatura di un uomo calvo,la testa cinta di lauro, con la scritta Rufus, che forse raf-figura il nuovo acquirente. Certo si è che questi si diedesubito da fare per trasformare in azienda agricola lasplendida villa patrizia, e non si fece scrupolo di sacri-ficare i begli affreschi di secondo stile pompeiano, facen-doli ricoprire con pitture all�ultima moda, del cosiddet-to quarto stile, che rappresentano strutture architetto-niche irreali, cincischiate, sovraccariche di ornamenti, estanno a testimoniare le aberrazioni del nuovo gusto,ormai ben lontano dalla linea semplice e pura dell�artegreca. Un oscuro sentimento tuttavia, dovette fargliintuire che le pitture dei misteri del salone costituivano

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un�opera d�arte eccezionale, perché le lasciò intatte. Delresto la villa, che contava novanta vani, rimase vuota,ad eccezione di un�ala riservata ai servi della gleba e aglischiavi occupati nei lavori di restauro.

Anche a Pompei le ricostruzioni e le modifiche delleabitazioni private proseguivano alacremente. I funzio-nari romani badavano a che tutte le vestigia esterioridei tempi dell�indipendenza preromana, e specialmen-te le iscrizioni in lingua osca e sannitica, sparisserocompletamente. Il passato era morto e bisognavadimenticarlo. I piú accaniti erano, ben inteso, i Roma-ni che avevano acquistato le case di quei Pompeianiemigrati, cui la terra bruciava sotto i piedi, nel verosenso della parola. Era questo il caso dei fratelli AuloVettio Restituto e Aulo Vettio Conviva, due libertidella schiatta dei Vettii, favoriti dalla fortuna e ansio-si di sfoggiare le loro ricchezze. Anche questi due arric-chiti comprarono un�elegante dimora signorile deitempi preimperiali gravemente danneggiata dal terre-moto, e la restaurarono ornandola di pitture secondo ilnuovo gusto del quarto stile. È facile immaginare qualestridente contrasto esse offrano, con i loro colori sgar-gianti, vicino agli affreschi del secondo e terzo stile,cosí armoniosi e delicati (vedasi specialmente il grandetriclinium). La maggior parte di queste pitture parieta-li è inquadrata da ghirlande di edera, pampini, olean-dri, alloro, narcisi, e specialmente mirto, sacro a Vene-re. Dice infatti la leggenda che la dea, sorta nuda dallespume del mare, si sia celata per pudore dietro uncespuglio di questa pianta, che cresce di preferenza suilitorali marini. Anche Poleandro trova frequente impie-go nelle decorazioni, e, tra i fiori, predomina la rosa diDamasco, sacra a Venere come simbolo di amore e dibellezza. Un�altra leggenda afferma che, toccata dalsangue della dea che si era punta alle spine, la rosa,bianca in origine, si trasformò in purpurea1.

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A poco a poco, invalse l�abitudine di decorare le stan-ze della casa secondo l�uso cui erano destinate; cosí, inquelle da ricevimento troviamo di preferenza scenemitologiche, mentre gli atrii, i porticati e i peristili, chespesso chiudevano i giardini, erano ornati di paesaggi esoggetti rustici, in cui predominava la forma caratteri-stica del pino italico, comune alla regione. I triclini,invece, erano rallegrati da nature morte di frutta e ver-dure. Malgrado le decorazioni sovraccariche e stridentidell�ultimo periodo, la casa dei Vettii, con i suoi atrii, iperistili, le statue di marmo e di bronzo disseminate trai fiori e la verzura, sotto un cielo sempre azzurro, dove-va essere un luogo di soggiorno invidiabile e incantevo-le. I fratelli che l�abitavano erano due gaudenti. Lodimostra chiaramente un cubicolo, riservato esclusiva-mente ai piaceri di Venere, le cui licenziose pitturemurali dovevano esercitare un�indubbia suggestionesugli amanti.

Cosí, nei quindici pacifici anni che seguirono il ter-remoto, Pompei, dimentica di ogni pericolo, cancellòlentamente le ultime tracce di autonomia e di origina-lità, e si trasformò in una città romana, rigurgitante diospiti danarosi venuti dall�Urbe per godersi in pace labellezza dei luoghi, gli squisiti prodotti del suolo, esoprattutto il vino prelibato delle pendici del Vesuvio.

Ercolano subì un�evoluzione quasi parallela. Piú vici-na all�epicentro del terremoto, la cittadina aveva sof-ferto danni piú gravi che Pompei; ma il fatto che i suoiabitanti fossero per la maggior parte ricchi possidentifavorí una ricostruzione piú rapida, e a soli quindicianni di distanza dalla catastrofe, la riedificazione dellecase private e degli edifici pubblici, compresi i teatri, erasensibilmente in anticipo su quella di Pompei. Natural-mente, c�era ancor molto da fare, malgrado l�aiuto finan-ziario concesso, ad esempio, dall�imperatore alla rico-struzione del tempio di Cibele madre degli dèi; ma

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anche qui, dimentichi ormai degli orrori passati, si guar-dava all�avvenire con fiducia, e si godeva serenamentela vita.

Mentre i lavori di ricostruzione accrescevano il benes-sere dei cittadini e favorivano la rinascita del commer-cio, sia a Pompei che a Ercolano le esigenze estetichedella vita privata e pubblica aumentavano di pari passocon la ricchezza. Nelle cantine si ammassavano le anfo-re, spesso istoriate di iscrizioni che indicavano il nomedel console in carica al momento della vendemmia, epermettevano cosí di dare una data al vino in esse con-tenuto; nelle botteghe torreggiavano pile di merci e diderrate alimentari di largo smercio; tutto andava dinuovo a gonfie vele e la gente cominciava a interessar-si meno degli eventi dell�Oriente e ad appassionarsi perla politica imperiale di Roma. Nell�anno 68 d. C., aconclusione di gravi torbidi intestini, Nerone subí morteviolenta, vittima, si può dire, delle sue manie artistiche.La vanità che l�aveva spinto ad andare in Grecia per rac-cogliervi allori come cantante e come auriga infatti, l�a-veva tagliato fuori dalla vita della capitale, impedendo-gli di rendersi conto che il suo prestigio presso le legio-ni abbandonate era in rapido declino. La loro defezio-ne segnò la sua fine. Ma la discordia regnava fra i sol-dati ribelli che avevano messo sul trono di Cesare il set-tantatreenne Galba: una parte dell�esercito si ribellò alnuovo imperatore e lo uccise. Gli successe Otone, anti-co protetto di Nerone, che tuttavia rimase sul trono solocento giorni, perché le legioni dell�esercito di stanza sulReno lo sostituirono con uno dei loro generali, Vitellio.Questi passò le Alpi e sconfisse le truppe del suo riva-le, che si suicidò. A questo punto, anche le legioni checombattevano in Oriente contro gli Ebrei, vollero farsentire la loro parola: il loro generale Vespasiano, figliodi un modesto funzionario, ma uomo estremamentecapace, sicuro e pieno di energia, sembrava ai soldati la

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persona piú adatta per ascendere al trono, e sebbene eglirimanesse in Giudea a combattere, i suoi sostenitoriebbero ragione dei seguaci di Vitellio.

Alla fine dell�anno 69, ristabilita la calma, il senatopassò il potere nelle mani di Tito Flavio Vespasiano, san-zionando cosí il trapasso dalla dinastia degli Augusti aquella plebea dei Flavi. Vespasiano, affidando al figlioTito l�incarico di domare definitivamente la rivolta degliEbrei, nell�anno 70 fece il suo ingresso a Roma. Perprima cosa, si dedicò con ardore e con successo al rista-bilimento dell�ordine, duramente scosso nell�ultimoanno dal susseguirsi di ben quattro imperatori al trono.Quindi, col ritorno della pace in tutto il territorio roma-no, che comportava una nuova effervescenza del com-mercio, delle arti e delle scienze, Vespasiano appoggiòanche la ricostruzione delle città campane e incrementòi loro commerci. Non furono le famiglie romane quiviimmigrate ad occuparsene: i patrizi dell�Urbe si inte-ressavano bensí di agricoltura, ma preferivano lasciare inegozi, considerati spregevoli, ai liberti, per lo piú stra-nieri, ex schiavi o ebrei. I magistrati romani, tuttavia,rendendosi conto dell�importanza vitale del commercio,lo favorivano con liberalità lungimirante. Sia a Pompeiche a Ercolano, si teneva mercato a giorni fissi, e nei vil-laggi vicini iscrizioni murali invitavano la popolazione aparteciparvi. In quei giorni, la parte già restaurata delForo era teatro di un�attività febbrile: calzolai e sarti,panettieri, venditori di frutta e di vini, pescivendoli,mercanti di stoffe offrivano le loro merci alla folla, chetrovava ristoro alla fame e alla sete negli innumerevolitermopoli aperti sulle strade.

Lo spettacolo doveva essere cosí pittoresco, che unPompeiano volle immortalarlo negli affreschi che orna-no la sua casa. Qui, vasai e artigiani mettono in mostrai loro articoli; là si contratta la vendita di una giovaneschiava, cui la padrona ha messo in mano un papiro sro-

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tolato sul quale sono enumerate le eccellenti qualitàdella «merce»; più lontano, sotto il portico del Foro,ornato di statue equestri, si svolgono scenette scolasti-che, come la fustigazione di un discepolo indisciplinato,ecc. Nei giorni di mercato, fra gli intercolunni pende-vano grandi ghirlande. Tutta la città, poi, era istoriatadi annunzi di ogni genere dipinti a lettere enormi suimuri delle piazze, oppure graffiti con uno stilo aguzzosulle facciate delle case. Si può davvero dire che la cro-naca della vita pubblica e privata della città è rispec-chiata in queste iscrizioni rivelatrici. Le piú importantisono le proclamazioni elettorali che si ritrovano ovun-que sui muri di Pompei, e raccomandano ora questo oraquel candidato alle piú alte cariche municipali. Qui,sulla casa di un interessato, una scritta dice: «Paquioraccomanda Lucio Popidio Ampliato alla carica diedile»; altrove, qualcuno ha scritto sul muro di un per-sonaggio influente: «O Trebio, scuotiti e fa edile il gio-vane Lollio Fusco che è un uomo onesto!», dal che èstato possibile dedurre che la prima era la casa di Paquio,e la seconda di Trebio Valente. È evidente che non solosingoli individui, ma intere corporazioni, come quelledei fuochisti delle terme, dei lavandai, dei fabbricantidi feltri, dei tintori, degli orafi, dei mulattieri, dei bar-bieri, dei vignaioli, dei pasticceri, degli adepti di Isidee persino dei giocatori di palla avevano i loro candida-ti, che sostenevano accanitamente con compattezza sin-dacale, esternando sui muri le loro rivendicazioni e leloro preferenze per questo o quel personaggio, che,diventato duumviro o edile, avrebbe arrecato alla cittàquesto o quel vantaggio: munificenza nell�organizzare iludi, miglioramento della situazione alimentare, ecc.

Anche le donne partecipavano a queste campagneelettorali, come la proprietaria di una certa bettola e leancelle che vi lavoravano con mansioni piuttosto equi-voche. Non mancano qua e là distici giocosi, come l�e-

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sortazione sbarazzina di elevare alla carica edile Vatia,conosciuto per la sua pigrizia2, e quella dell�amichetta diClaudio, che vorrebbe vedere eletto a duumviro l�ama-to bene. Numerose anche le minacce: «Se qualcunorifiuta il suo suffragio a Quinzio, gli auguro di attra-versare la città a cavallo di un asino schernito dal popo-lo», oppure proposte magniloquenti per la soluzione delproblema finanziario cittadino: «Sono per la distribu-zione del tesoro municipale; il comune ha troppi soldi!»

Queste iscrizioni elettorali ci permettono di identifi-care i principali cittadini. Ognuno di essi è designato perlo più con un nome (per es. Marco), un patronimico(quello della sua gens, come Olconio), e un soprannome(per es. Prisco). Il primo cambiava sempre (solo ilprimogenito si chiamava come il padre), mentre il patro-nimico era immutabile e si trasmetteva di padre in figlio;quanto al soprannome, spesso stava a designare la fami-glia materna, ma poteva anche avere altre origini. Quan-do, ad esempio, uno schiavo che fino allora aveva avutosolo un nome veniva affrancato, aggiungeva a questoquello della gens dei suoi ex padroni, e un soprannome,come: Januario, Apollonio oppure Giocondo, dal che sipoteva dedurre che si trattava di un liberto. I nomiritrovati sulle case di Pompei permettono di ricostitui-re la lista dei cittadini piú insigni della città e le iscri-zioni elettorali rivelano i nomi dei proprietari delle case.

I magistrati eletti con questo sistema ai pubblici uffi-ci dovevano essere di età matura e di provata integrità,e gli elettori cittadini maggiorenni. Le elezioni avevanoluogo in marzo e la campagna elettorale, limitata a unanno, aveva inizio il 10 luglio. Chiuso il suffragio, inuovi eletti assoldavano degli «imbianchini», che can-cellavano tutte le iscrizioni murali, facendo posto a quel-le della campagna seguente.

Se si tien conto dell�attività che si svolgeva a Pom-pei e dell�influenza esercitata dall�amministrazione sul

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traffico e sui commerci, si comprende come la popola-zione si interessasse alla scelta di chi doveva ricoprirnele cariche, appassionandosi per le lotte elettorali e poli-tiche, di cui le iscrizioni suddette sono la piú viva testi-monianza. A Ercolano invece, dove i contrasti e le riva-lità commerciali erano meno accentuati, le elezioni sisvolgevano piú calme: i cittadini vi si interessavanomoderatamente e le scritte murali pro o contro questoo quel candidato, erano molto meno frequenti che aPompei. Sarebbe vano cercare qui certi proclami cheenumerano le virtú di un prescelto, auspicano chel�avversario cada malato, qualificano di somaro chi votamale, o affermano che Venere in persona reclama l�ele-zione alla carica edile di questo piuttosto che di quel cit-tadino. Si pensi che a Pompei persino i mendicanti ave-vano un candidato, dal quale speravano un migliora-mento del tenore di vita della categoria. In tutt�e due lecittà, però, è evidente l�importanza che i cittadini attri-buivano alla diffusione dei loro nomi. Lo dicono le cen-tinaia e centinaia di nomi graffiti sui muri della Basili-ca, sulle colonne del Foro, nei teatri, nell�Anfiteatro, inqualsiasi luogo ove si verificassero assembramenti dipopolo; un malcostume, questo, che si perpetua ancoraai giorni nostri sui monumenti, nei punti panoramicifamosi, ecc. Si immagini dunque la fatica che attende-va le squadre degli imbianchini, i quali a loro volta,presi dal contagio, volevano immortalare anche il loronome, come quel tale che scrisse: «Sosio ha scritto,Onesimo ha di nuovo ripulito la pietra». Quest�opera-zione avveniva per lo piú di notte, al lume della luna odi una lanterna, e servendosi di scale a pioli. Ma i murioltreché da affissi elettorali o da proclami per annunciarei ludi, servivano anche ai cittadini per corrispondere fraloro. Vi si ritrova di tutto: lodi, maledizioni, appunta-menti, felicitazioni, osservazioni ironiche, riflessionifilosofiche, manifestazioni di un determinato stato d�a-

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nimo a mezzo di detti correnti o di distici di poeti cele-bri, di cui si era avuto agio di sperimentare la verità sullapropria pelle. Cosí, sulla casa di Caio Giulio Polibio sileggeva la poesiola seguente:

Nulla può durare eterno!Il sole che brilla cosí chiaroSprofonderà nel mare.Anche la luna decresce,Che or ora brillava piena.Cosí, alle burrasche della tua VenereSegue spesso il dolce zeffiro3.

Mentre le scritte di carattere pubblico, come i pro-clami elettorali, sono dipinte in nero o in ocra, quelleprivate, come satire, scherzi, saluti, dichiarazioni d�a-more, maledizioni, ecc., sono graffite sull�intonaco dellepareti. Ve n�è di gentili, come «0 Fortunato, animucciadolce»4 vicino a altre assai piú colorite: «Samnio consi-glia a Cornelio di andare a impiccarsi!»; né mancano gliammonimenti moralistici: «Un male piccolo trascuratodiventa un male grande»5, e il consiglio, per chi non sache fare del proprio tempo, di sparpagliare per terra deichicchi di miglio e poi raccattarli di nuovo. Vi si ritro-vano tutte le piccole preoccupazioni e le piccole gioiedella vita quotidiana; un tale annunzia trionfante diaver vinto al gioco, e poi, preso da scrupoli, soggiunge:«onestamente».

Il bere non era soltanto un vizio proprio degli anti-chi Germani, ma egualmente diffuso fra i Romani. Un�i-scrizione ritrovata sui muri della Basilica denota nel suoautore una sete inestinguibile: «Suavis non sogna chebrocche di vino ricolme; abbiate pietà, se sapeste chesete è la sua!» Un altro, dichiara soddisfatto: «Gli dèisian lodati; siamo pieni come otri!» Ma non sempre ilvino che gli osti pompeiani mettevano davanti ai loro

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avventori era Falerno originale; uno di questi malediceil bettoliere: «Possa tu morire annegato nella tua bro-daglia infetta. Tu ci vendi acqua e ti bevi il vino puro».Altrove, un tale, cui mancavano i soldi per mangiare ebere, ha scritto, vedendo i ricchi che banchettavano:«Lucio Istacidio che non mi ha invitato al suo pasto, perme è un barbaro»6.

Ma, fra tutti i temi, quello dell�amore è il più ampia-mente trattato; il perno attorno a cui gira la vita, ne èil principio e la fine. «Godiamo, non vi è niente dimeglio al mondo», era la massima fondamentale dellafilosofia pagana del tempo, il fine a cui tutti tendevano.Inutile cercare di porre un freno alla passione, ecco ilsucco di una riflessione graffita sul portale di una casanel vico dei Soprastanti, che dice letteralmente: «Ten-tare di dividere due amanti equivale a voler rinchiudereil vento in un otre, o fermare il getto di una fontanadalle acque gorgoglianti». Allora come adesso, l�uomoinnamorato si struggeva di raggiungere al piú prestol�oggetto del suo ardore. Mentre il mulattiere si ristora,il suo cliente che brucia d�impazienza scalfisce sul muroqueste strofe: «Ah, se tu sapessi come l�amore divora,ben più ti affretteresti a condurmi alla mia diletta! Suv-via, te ne prego, sospingi le tue bestie, vuota la coppa,affrettati, prendi le redini, frusta, corriamo a Pompei,dove abita il mio tesoro!» Le frasi di omaggio o di buonaugurio sono innumerevoli: «Chi non ha visto la Vene-re dipinta da Apelle, guardi la mia ragazza che è altret-tanto bella», dice un innamorato fervente, e un altro,trattenuto lontano, sospira: «Salve, Vittoria, ovunque tuti trovi, ti sia lo starnuto salutare!» Amore doveva dav-vero dettare, e Cupido guidare la mano di quel tale chescriveva: «Meriterei di morire, se volessi essere diosenza di te!»7.

Quando accadeva che un sentimento non fosse cor-risposto, l�innamorato troppo timido per dichiararsi

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apertamente cercava di attirare l�attenzione dell�amatobene con un�iscrizione sul muro: «Marco ama Spendu-sa, e Rufo Cornelia Elena. E adesso devo andarmene:ho fretta», oppure: «Salve, mia Sava! cerca di amarmiun poco. Se sai cosa sia amore, e il tuo cuore non è ina-ridito, abbi pietà di me e consentimi di raggiungerti,fiore di Venere». Se qualche Pompeiana, bella ma pudi-bonda, non voleva cedere alle lusinghe, mandava a spas-so l�adoratore senza preamboli: «Virgula al suo amicoTerzio: mio caro, ti trovo troppo brutto». Un�altra,Serna, non nasconde la sua antipatia per Isidoro, e Liviadice a Alessandro: «Poco m�importa della tua salute;dovessi anche morire, sarei la prima a rallegrarmene».Un pretendente respinto si congeda cosí: «Uno ama, unaltro è amato; ma io me ne infischio»; e una mano ano-nima chiosa malignamente: «Chi se ne infischia, ama».Un altro innamorato sfortunato si vendica trivialmente:«Lucilla ricava dal suo corpo denaro sonante», e undeluso commenta: «A che serve avere una Venere, se èdi marmo?»

I sentimenti dei Pompeiani e degli abitanti di Erco-lano si manifestavano per tal modo in tutte le loro sfu-mature, che comprendevano anche gli aspetti menoideali dell�amore. A volte, erano l�odio e la collera perle assiduità di un rivale troppo intraprendente a guida-re la mano vendicatrice: «Chi seduce la mia fanciullapossa essere divorato da un orso feroce sulla montagnabrulla!»; e un marito che ha sorpreso la moglie fedifragain un locale equivoco, dà sfogo alla sua collera: «Latengo in mano! Non c�è dubbi: Romula è qui con quelmascalzone».

La mancanza della compagna ad hoc riempie di tri-stezza un solitario, che scrive sul muro: «Vivio Restitutoha dormito qui da solo, pensando tutto il tempo alla suaUrbana». In simili casi, non rimaneva altro da fare checercar conforto nella casa di piacere, il lupanare del

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vicolo attiguo, dove gli avventori non si facevano scru-polo di immortalare il loro nome sulle pareti, abbinan-dolo a quello della loro effimera compagna, di cui loda-vano le prerogative. Non c�è quindi da stupirsi che ungiorno uno sconosciuto, stizzito dalla prolissità delleiscrizioni, abbia inveito: «0 muro! Mi meraviglio che tunon sia ancora crollato, costretto a sopportare il fastidiodi tante chiacchiere!»8.

Parallelamente alla decadenza dei costumi, andavafacendosi sempre piú sensibile lo scetticismo religioso,che a volte giungeva persino ad un aperto disprezzodelle divinità. Furioso di essere stato preso di mira daVenere, senza che poi la dea lo aiutasse ad essere corri-sposto, un Pompeiano non esita a scagliarsi contro lapatrona della città con queste parole: «Vorrei romperea pugni le costole di Venere e azzopparla a frustate sulbacino. Poiché è stata lei a trafiggermi il cuore, perchénon dovrei sfondarle il cranio con un randello?»

Questi, tuttavia, erano ancora casi isolati; il timoredegli dèi continuava a soggiogare la maggior parte dellapopolazione. Ad ogni passo ci si imbatteva in un�arasacra, in nessuna casa mancava un tempietto ai lari, sta-tue e raffigurazioni delle divinità ricorrevano ovunque,ma specialmente ai quadrivi e vicino ai pozzi. Il culto diIside era al suo apogeo, mentre il cristianesimo invecenon contava che uno sparuto numero di seguaci. E il solecontinuava a splendere indulgente sui giusti e sugliingiusti. Del resto, la miscredenza, gli eccessi, l�immo-ralità erano manifestazioni sporadiche, inerenti a unavita troppo prospera e turbinosa. Se accadeva che i ban-chetti dei ricchi degenerassero in orge, se nei momentidi avversità si cercava di consolarsi ubriacandosi, gio-cando o buttandosi nelle braccia di una prostituta, talieccessi erano dovuti all�arroganza che ingenerava unbenessere in continuo aumento, frutto della stabilitàdel commercio, della sicurezza dei traffici marittimi.

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A Roma, intanto, si era verificato un cambiamentodi regime decisivo: Vespasiano era morto il 24 giugnodell�anno 79. Sotto il suo regno, e precisamente nel-l�anno 7o d. C., gli Ebrei erano stati definitivamentesconfitti, e, dopo la distruzione di Gerusalemme, iRomani avevano conquistato la Bretagna. Il figlio diVespasiano, Tito, che aveva dato ottima prova di sé siasul campo di battaglia che nella vita politica, era succe-duto al padre sul trono, per la prima volta in linea natu-rale e legittima, e, sebbene in precedenza si fosse mac-chiato di qualche atto di violenza, appena eletto impe-ratore si rivelò subito benevolo, nobile e scrupoloso,tanto che i suoi sudditi gli diedero il nome di «deliziadel genere umano».

Nello stesso periodo, a Pompei si lavorava febbril-mente per condurre a termine la ricostruzione del sacra-rio del tempio di Augusto, e mettere quindi mano altempio vero e proprio, che sarebbe stato ornato da unastatua del nuovo imperatore. I lavori del Foro inveceprocedevano a rilento: il tempio di Giove era ancora inrovine e serviva da deposito per i materiali edili, il dop-pio colonnato era rimasto incompiuto e le statue nonerano state sostituite. Anche la Basilica attendeva dirisorgere. Nel posto dove prima del terremoto si trova-va il tempio di Venere Pompeiana, era stato eretto, aquanto pare, un sacrario provvisorio in legno per il cultodella dea. Solo il tempio della Fortuna Augusta e quel-lo di Iside erano riaperti al culto, e il Teatro poteva con-siderarsi praticamente restaurato.

A luglio, i nuovi edili e duumviri eletti in marzoentrarono in carica. Sui muri della città i proclami elet-torali non erano ancor stati cancellati, e rivelavano chetre erano i nomi raccomandati di preferenza per la cari-ca di duumviro: Marco Olconio Prisco, Gaio GavioRufo e Publio Paquio Proculo; mentre invece per lacarica di edile ricorrevano più spesso quelli di Marco

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Casellio Marcello, che «Venere in persona avrebbe vo-tato come suo beniamino», di Marco Cerinio Vatia e diLucio Popidio Secondo. È dunque presumibile che, almomento della catastrofe che già incombeva, quattro diquesti uomini fossero a capo della città.

Calmo e maestoso, il Vesuvio dominava le città, leville e i borghi sorti ai suoi piedi lungo lo splendido lito-rale napoletano, in una cornice idilliaca di pace e disereno benessere. Ma nelle viscere della terra, al-l�insaputa degli abitanti della zona, il fato stava in aggua-to: la montagna inghirlandata di pampini, all�apparenzacosí innocua, covava in petto una forza terribile. Essafaceva parte del paesaggio, e nessuno vi prestava atten-zione. Infatti, raramente la troviamo rappresentata nellepitture parietali, pur cosí numerose; e negli affreschi sco-perti a Pompei la sua forma differisce sensibilmente daquella di altri trovati a Ercolano. In quest�ultima città,si vede una montagna a sommità arrotondata, quellacioè chiamata oggi Monte Somma, che scende in decli-vio ripido verso est, mentre invece a ovest degrada dol-cemente verso la piattaforma del cratere, reso irricono-scibile da secoli di inattività. In una pittura di Pompei,invece, l�artista ci ha dato un Vesuvio dalla fisionomiapiú marcata, insistendo soprattutto sui vigneti che loammantavano e su una figura di Bacco rivestito di grap-poli d�uva, al quale appunto il vulcano era consacrato;ma si tratta di un�opera d�arte di scarso valore e certonon molto fedele al vero. Una cosa tuttavia è indubbia:sia qui che là il Vesuvio non tradisce minimamente la suastruttura vulcanica e la furia del fuoco e dei gas distrut-tivi che covava in petto. Eppure, il geografo Straboneaveva chiaramente menzionato la piattaforma steriledella sommità, che presentava l�aspetto di un campo discorie disseminato di crepe dagli orli anneriti, indizio diun fuoco interno sopito. Come la maggior parte dei vul-cani, il Vesuvio sorge in prossimità del mare, sí che l�ac-

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qua marina e quella piovana, infiltrandosi nelle fessuresotterranee, entrano in contatto con il magma fluido,che le trasforma in vapore ad alta pressione. A queitempi, il cratere era chiuso, e un tappo di materie, cer-tune liquide e altre solidificate, impediva l�esodo dei gas.Ora, se la pressione è moderata, i gas trovano un esodoper conto proprio, ma quando la pressione aumenta,finiscono col far saltare le masse che li comprimono.Queste pervengono all�esterno sotto forma di una pastaincandescente che fluisce lentamente; ma quando ilvapore surriscaldato fa pressione su per il canale di usci-ta delle lave, le proietta fuori sotto forma di frammen-ti, che possono essere scorie piú voluminose, cioè lapil-li, palline di pietra pomice leggerissima non piú grossedi una noce, oppure masse di polveri e sabbie vulcani-che, chiamate impropriamente ceneri.

Questi fenomeni sotterranti, che già nel 63 avevanoprovocato un terremoto, nel corso dei sedici anniseguenti s�erano ancora aggravati. Nelle viscere delVesuvio la pressione aveva subito un ulteriore spaven-toso aumento, e nell�agosto del 79 d. C., sei settimanecioè dopo l�ascesa al trono di Tito, provocò nuove scos-se sismiche. Niente di allarmante: nelle città e nelle villedella zona circostante il Vesuvio, qualche oggetto caddea terra, delle crepe si aprirono nelle pareti, due o trepozzi seccarono; ma si trattava di fenomeni di pococonto. Solo verso il 2o di agosto le scosse si fecero piúforti, accompagnate da brontolii cupi, come di tuoni lon-tani. Questa volta, la popolazione s�impaurí, e i pessi-misti dichiararono che i giganti volevano di nuovo ribel-larsi. Strani rumori provenivano dalla montagna, dallapianura e persino dal mare che, sotto un cielo limpidis-simo, appariva sconvolto e veniva a rifrangersi sullecoste in cavalloni selvaggi. Il 22 e il 23, sopravvenne unatregua; solo la valle attigua al Vesuvio era ancora scos-sa da sussulti. Il paesaggio circostante era tutto pace, la

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corona di villaggi e di ville annidate tra i fiori e il verdelungo il litorale del golfo azzurro, si cullava nel sole; sologli uccelli che di solito riempivano i giardini dei loro cin-guettii si erano fatti stranamente taciturni e svolazza-vano inquieti; i cani ululavano senz�alcuna ragione, lemucche muggivano nelle stalle, cercando di divincolar-si dalle cavezze. Una minaccia invisibile gravava nell�a-ria, e i contadini alzavano gli occhi al cielo, preoccupa-ti che una imminente grandinata potesse distruggere inun attimo i frutti della loro fatica. Eppure non si pro-dusse nulla del genere e il cielo rimase azzurro, senz�om-bra di nuvole. La mattina del 24 agosto, un sole radio-so, caldissimo, inondava di luce i borghi e le ville, bril-lava su Pompei, Ercolano e Napoli, di cui i vapori dellacalura velavano lo scintillio lontano.

All�improvviso, una nuova scossa, più forte delle pre-cedenti, fece sussultare la terra. Migliaia di personeaffermarono che in quel preciso momento avevano scor-to i giganti scappare fuori dal Vesuvio, per disperdersipoi fra le montagne, oppure � secondo altre voci � dile-guarsi nell�aria sopra il mare. Certo si è che, nel corsodi quella stessa mattinata, si udí a un tratto una deto-nazione formidabile, che proveniva dal vulcano. Tuttigli occhi atterriti si portarono da quella parte. Oh mera-viglia! la sommità della montagna si era spaccata in duesprigionando, fra boati e scoppi, un�immensa lingua difuoco. Poi il fuoco sparí e una nuvola di fumo neroprese ad ascendere verso il cielo, accompagnata da boatiassordanti, mentre vere e proprie colonne di pietre nera-stre venivano proiettate in alto. Di botto, senza che nes-suno riuscisse a capirne il perché e il come, cominciò acadere una gragnuola di pietre, di zolle di terra, di pic-cole pietre pomici, di blocchi di roccia, ma soprattuttodi scorie, cosí abbondanti che il sole ne fu oscurato. Inpieno giorno, cadde la notte più fitta, solo squarciata atratti da bagliori di lampi sinistri. Gli uccelli colpiti a

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volo stramazzavano a terra tramortiti, e il mare ribol-lente buttava sulle spiagge migliaia di pesci morti.

Era la fine del mondo? Presi dal panico, uomini e ani-mali fuggirono all�impazzata qua e là, senza mèta, cer-cando disperatamente di salvare il salvabile. Non c�eradubbio, gli dèi erano discesi dall�Olimpo e, per castiga-re gli uomini, facevano sprofondare il mondo nel caos.Ma dove trovare scampo, quando tutto cade in rovina,il sole precipita sulla terra, e questa si solleva al cielo inun tumulto spaventoso? Il destino era ormai segnato ela situazione si faceva sempre piú tragica. Adesso, allapioggia di scorie e di ceneri che seppelliva tutto, si eranouniti scrosci d�acqua, non si capiva bene se provenientidal cielo o dalla montagna.

Cos�era effettivamente accaduto? All�interno del vul-cano ritenuto spento, i gas, sottoposti a una pressioneformidabile, erano riusciti a sollevare l�enorme massa diterriccio e di pietrame soprastante e, con una detona-zione possente, avevano sfondato la vetta del Vesuvio,formando un grande cratere circolare di fuoco. Le pie-tre pomici, piú leggere, e le ceneri e polveri proiettatefuori venivano portate via dal vento, e presto ricopri-rono tutta la zona, per un raggio di quindici chilometricirca, accumulandosi in uno strato alto da cinque a settemetri. Al Capo Miseno, a venticinque chilometri dal-l�epicentro, dove si trovava la base navale romana alcomando del celebre naturalista e grande dignitario del-l�impero Plinio il Vecchio, la gente, per respirare, dove-va difendersi dalle ceneri e dai lapilli che piovevanofitti nelle tenebre.

Frattanto, pietrame e blocchi di terra ammassati sul-l�orlo del cratere, sotto la pioggia dirotta avevano for-mato, insieme alle pomici e alle ceneri, una massa difango. Questa prese a colare dalla sommità del monte indirezione della costa, poiché la bocca di fuoco era incli-nata proprio da quella parte, mentre un bordo di essa

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aveva ceduto. Il torrente di mota, travolgendo case eville sulle pendici del Vesuvio, si riversò sulla ridente cit-tadina di Ercolano, che si trovava a soli quattro chilo-metri di distanza dal cono del Vesuvio, sommergendocase, templi, monumenti, fontane e altari. Per un atti-mo, parve esitare trattenuto dalle mura; poi, rovescian-do l�ostacolo, dilagò in molteplici biforcazioni lungo learterie principali, le stradette e i vicoli. Fiotti semprenuovi venivano a alimentare i precedenti, e il fiume, rag-giungendo l�altezza di quindici metri, finí col sommer-gere e livellare tutto. Giunto al Teatro, si riversò nellacavea come in un gigantesco imbuto, dopo aver travol-to il muro della scena con le sue statue. Sotto l�impeto,i marmi si staccavano dagli zoccoli, una quadriga inbronzo che sormontava un edificio pubblico si sfasciò,e la marea la trascinò via, dispersa in cento frammenti.

Gli abitanti di Ercolano, terrorizzati, avevano capi-to immediatamente la portata della catastrofe che siabbatteva sulla città. Davanti al mare di fango e di pie-trame che avanzava inesorabile inghiottendo tutto, lescosse telluriche che si susseguivano senza posa, la piog-gia di lapilli nella notte improvvisa, non rimaneva chefuggire, fuggire al piú presto. Quelli che avevano caval-lo e carretta presero il largo, alla luce delle fiaccole acce-se, in direzione del mare e di Napoli; gli altri partironoa piedi, portando in mano una lucerna a olio. Pochi sol-tanto, invalidi, vecchi, che non potevano muoversi,oppure altri rimasti imprigionati fra le macerie, periro-no miseramente. Essi costituirono tuttavia un�eccezio-ne, perché a Ercolano tutti non ebbero che un pensieroimmediato: fuggire. Nessuno pensò di rifugiarsi nellecantine o sotto le arcate, come a Pompei: la mota liqui-da che filtrava attraverso i tetti li avrebbe raggiuntiovunque. Proprio grazie a questa circostanza, la maggiorparte della popolazione ebbe salva almeno la vita. Natu-ralmente, molti carri di fuggiaschi, con la testa protet-

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ta da guanciali e fagotti di stracci contro la pioggia dipietre, si rovesciarono nelle tenebre debolmente rischia-rate dalle torce; ve ne furono che non trovarono la stra-da, altri ancora che rimasero bloccati dai crepacci che siaprivano nel terreno. Quella fuga dovette essere atroce:in un�atmosfera resa soffocante dalle esalazioni solforo-se, le donne urlavano, i bambini gemevano, ciascunochiamava le persone care, altri invocavano gli dèi, altriancora li bestemmiavano, prevedendo che quel flagelloavrebbe segnato la fine del loro regno. La terra e il cielorovinavano insieme.

Nel frattempo, la colata vischiosa aveva superatoErcolano, era giunta alla spiaggia, spingendosi oltre percirca duecento metri sul mare. La florida, ridente citta-dina era completamente scomparsa: sepolti per sempreil superbo tempio di Cibele, recentemente rifatto congran dispendio da Vespasiano; l�elegante villa di Pisonecon le sue collezioni di statue e di bronzi, con la biblio-teca del filosofo Filodemo; il Foro; gli altri edifici pub-blici; la Basilica, dove statue equestri e busti im-mortalavano la famiglia dei Balbi. Gli abitanti, senzatetto ormai, impazziti dal terrore, fuggivano verso lazona di Napoli, anch�essa sconvolta da scosse di terre-moto e dalla pioggia di cenere. E l�eruzione del Vesuviocontinuava: colonne pietrose ininterrotte, come getti difontane illuminati dalla lava incandescente, si alzavanodal cratere, e un enorme pino di fumo nero sovrastavala montagna, illuminata da lampi sinistri. Tutto questonel buio piú cupo, «non l�oscurità di una notte nuvolo-sa senza luna, ma il nero di una stanza ermeticamentechiusa», come ebbe ad esprimersi Plinio il Giovane nellasua lettera allo storico Tacito. Ercolano era solo piú unatomba, sigillata da quindici metri di mota, che andavalentamente solidificandosi.

L�eruzione aveva seminato il panico anche nelle zonee nei paesi lontani dal vulcano. A Miseno, il più impor-

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tante porto militare della flotta romana a guardia del Tir-reno, la gente non aveva sentito l�esplosione, ma guar-dava impaurita la nuvola gigantesca, ora bianca, ora nera,che si alzava dal Vesuvio. Il navarca della flotta, Caio Pli-nio, decise di salpare per vedere il fenomeno da vicino,e fece allestire una nave veloce. Pieno di stupore, osser-vava anch�egli il grande fungo di fumo, che il ventodisperdeva in lunghe filacciche. Il colore variava, a secon-da se predominavano i lapilli, il terriccio o la cenere.

Nel momento in cui Plinio stava per salire sul pontedella nave, gli fu consegnata una missiva di una certaRectina, moglie del suo amico Casco, che, descrivendo-gli il pericolo che stava correndo nella sua villa situatasulle falde del Vesuvio, lo scongiurava di venirle inaiuto. Egli diede immediatamente ordine di allestireparecchie quadriremi, che dovevano servire a evacuarei sinistrati. Le navi misero la prua in direzione del Vesu-vio, verso le località più battute dal flagello. Man manoche si avvicinavano alla costa, fra Ercolano e Pompei,la pioggia di pomici bianche, di scorie calcinate e dicenere vulcanica si faceva piú fitta e ricopriva le tolde.Il mare ribolliva e gli scandagli accertarono la forma-zione di altifondi, che rendevano impossibile tanto l�ap-prodo quanto lo sbarco. L�equipaggio temeva per la pro-pria vita, e il timoniere supplicò Plinio di fare ritorno.Questi, marinaio esperto, dapprima rifiutò, poi, con-statando l�impossibilità di tenere la rotta prestabilita,ordinò alle navi di procedere in direzione della villa diun suo amico, Pomponiano, che si trovava sul litorale neipressi di Stabia, sei chilometri a sud di Pompei. Maanche qui la situazione era critica, poiché il vento, chesoffiava da nord-ovest, riversava egualmente su Stabialapilli e cenere. Questo spiega perché i materiali piú leg-geri dell�eruzione si siano accumulati soprattutto nellazona a sud-est del vulcano, intorno a Pompei e all�attualeBoscoreale.

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In pochi istanti, la splendida dimora di Lucio Eren-nio Floro, grande cultore di musica, che sorgeva sullependici del Vesuvio dirimpetto a Pompei, fu devastata.Il terremoto del 63 l�aveva già gravemente danneggiata,distruggendo il grandioso peristilio formato da venticolonne corinzie, che ora si trovava in via di ricostru-zione. Appunto per questa ragione, solo i rustici riser-vati alla produzione vinicola erano abitati. Quel giorno,il 24 agosto 79, gli otri erano vuoti, e il vino dell�anna-ta precedente era in parte venduto, in parte sigillatonelle anfore. Tuttavia, la padrona di casa si trovava sulposto, appunto per sorvegliare i lavori di restauro dellecamere da letto e da bagno.

Il diluvio di pietre e di cenere seminò anche qui ilpanico; la casa sussultava dalle fondamenta; la proprie-taria, il suo intendente e uno schiavo tentarono di fug-gire, ma l�oscurità e i vapori di zolfo li risospinsero den-tro. Gli infelici radunarono rapidamente i preziosi dellacasa, i gioielli, le stoviglie d�argento cesellato, le coppe,e niente meno che mille monete d�oro fiammanti, cheuno schiavo di fiducia fu incaricato di andare a sotter-rare nel sottosuolo della villa. Questi, cercando affan-nosamente un nascondiglio, capitò nel sotterraneo adi-bito a cisterna in cui si raccoglieva il mosto; ma i dele-teri gas sulfurei l�avevano preceduto, e il misero caddesupino, trovando la morte in mezzo ai tesori che tra-sportava. Di sopra, nel cortile dei torchi da vino, lapadrona e i suoi due compagni fecero la stessa fine, seb-bene cercassero invano di coprirsi il viso con dei panni.

Gli elementi scatenati infierivano su tutta la contra-da. Anche Pompei, ben piú lontana di Ercolano dal cra-tere, era investita dalla pioggia di pietre e di cenere. Quile cose andarono diversamente: nessun fiume di fangocostrinse gli abitanti a una fuga immediata. I Pompeia-ni avevano bensí udito il boato dell�esplosione, visto lelingue di fuoco e le colonne di pietre proiettate dal cra-

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tere, avvertito le scosse telluriche; ma la speranza che ilfenomeno fosse transitorio aveva fatto perdere deltempo prezioso. Essi si risolsero a fuggire solo quandoil vento di nordovest cominciò a rovesciare sulla città undiluvio di cenere bianca. I lapilli, le leggere palline dipomice, penetravano ovunque, si accumulavano permetri e metri di altezza, e ogni tanto blocchi di pietra,alcuni dei quali del peso di sei chili, si abbattevano sullecase. Sotto l�urto, i tetti crollavano.

Come difendersi? Chi disponeva di cavalli e di uncarro si affrettò ad abbandonare la città; ma altri, moltopiú numerosi, che avevano cercato scampo nelle canti-ne, negli anditi, nei passaggi sotterranei, per ripararsidalla gragnuola di pietre e attendere la fine del flagello,morirono asfissiati dalle esalazioni solforose portate dalvento. Non pochi furono coloro che, arraffati oggettipreziosi e monete, coprendosi la testa con mantelli,panni e cuscini, cercarono di fuggire. Torce e lanternea olio rischiaravano debolmente la tragica scena. Ma,mentre i fuggiaschi procedevano faticosamente fra ilapilli che avevano già raggiunto l�altezza di tre o quat-tro metri, la cenere bianca frammista alla pioggia inin-terrotta si trasformava in una melma che invischiavaloro le gambe e le braccia, cosí che gli scampati alle esa-lazioni venefiche trovarono una morte ancor piú atroce.

Innumerevoli furono le scene d�orrore che si svolse-ro nelle case, nei templi, nelle strade; uomini, animali,nessuno fu risparmiato. Pochi istanti erano bastati pertrasformare in un sepolcro una città fiorentissima, e iPompeiani adesso invocavano gli dèi perché dessero lorola morte liberatrice. Gli dèi! Ma come crederci ancora?

La catastrofe fu cosí improvvisa, che ovunque sonorimaste tracce dei preparativi per il pranzo; qui, è unporcellino di latte che cuoce in un recipiente di bronzo,là, il pane è ancora nel forno. Gli abitanti erano inten-ti alle loro abituali occupazioni nelle case, nei cantieri

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di costruzione, nei campi intorno alla città, quandoall�improvviso la vita si fermò: il tragico pugno del desti-no si era abbattuto su di loro annientando tutti senzadistinzione, padroni e schiavi, uomini e donne. Anchele bestie furono prese dal panico; alcune riuscirono aliberarsi dai loro vincoli e fuggirono, ma la maggiorparte perí nelle stalle; fra tutte i cani da guardia, inca-tenati negli atrii, subirono la sorte peggiore.

Poiché la pioggia di cenere proveniva dal Vesuvio,cioè da nord-est, i fuggitivi si diressero dapprima versoovest, in direzione del mare, poi verso sud, accalcando-si soprattutto nelle strade che conducevano alla portaErcolano e alla porta Marina, cioè il vico di Mercurio,le strade della Fortuna e di Nola e la strada dell�Ab-bondanza, quest�ultima importante arteria commercia-le. Gemendo, urlando e chiamandosi a gran voce, lediverse famiglie cercavano di rimanere unite; i maritiaiutavano le mogli, i genitori i bambini. Alcuni, impaz-ziti, vagavano qua e là senza meta. La scena faceva pen-sare al castigo inflitto da Dio alle empie città della Pale-stina, e forse per questa ragione qualcuno, un ebreosenza dubbio, scrisse sulla parete di una casa dove si erarifugiato: «Sodoma e Gomorra» (precisamente nella casadell�isola IX, settore I, num. 26). In seguito, col peg-giorare della situazione, dovette scappare anch�eglifuori, nella fallace speranza di salvarsi.

Ville sontuose e solidi palazzi, non meno delle casu-pole e delle taverne, minacciavano di crollare sui loroabitanti; e la gragnuola di ceneri e di lapilli incandescenticontinuava a cadere inesorabile. Le tenebre fitte, impe-netrabili, sature di vapori letali, erano illuminate a trat-ti dalle gigantesche lingue di fuoco che si sprigionavanodalla vetta del Vesuvio; visione d�inferno sulla terra!Anche i due figli del banchiere Cecilio Giocondo, Quin-to e Sesto, abbandonarono terrorizzati la loro casa e cer-carono di raggiungere la via della Fortuna, costeggian-

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do la dimora di Vesonio. Questi era già fuggito contutta la famiglia, dimenticando il cane, rimasto attacca-to alla catena. Dal compluvio dell�atrio, le scorie roto-lavano fitte all�interno, e la bestiola cercò dapprima diarrampicarsi sempre piú su sul mucchio che cresceva, perquanto glielo permise la lunghezza della catena fissata alcollare di bronzo, finché rimase stecchita sul dorso, lezampe rattrappite.

Gli operai che lavoravano alla costruzione delle gran-di Terme centrali erano fuggiti anch�essi. Lí vicino,nella casa il cui atrio era ornato dalla magnifica statuadel fauno danzante, vero palazzo che comprendeva salo-ni e stanze e un peristilio che circondava il giardino conventiquattro colonne ioniche, i proprietari non sapeva-no decidersi a abbandonare tante ricchezze e guardava-no con gli occhi dilatati dal terrore le pietre che piove-vano dal tetto rimbalzando sulla statuetta di bronzo. Lamaggior parte di essi cercò rifugio nei cubicoli interni;solo la padrona di casa radunò in fretta i suoi preziosibraccialetti d�oro a forma di serpente, anelli, spille dacapelli, orecchini, uno specchio d�argento e un sacchet-to di monete d�oro, e cercò di fuggire. Poi, impauritadalla pioggia di lapilli e di cenere, ritornò indietro e sirifugi0 nel tablinum, il grande splendido salone. Ahimè,non vi aveva posto piede, che la volta crollò sotto il pesoe travolse l�infelice insieme a tutti i suoi tesori. Sortemigliore non toccò agli altri, che perirono asfissiati neiloro rifugi. La preoccupazione di porre in salvo i propribeni costò la vita a piú di un Pompeiano, ma tutti indi-stintamente, potenti duumviri, banchieri o poveri schia-vi, fuggirono o perdettero la vita.

Nella casa situata nella stessa strada, la cui soglia èornata dal famoso mosaico che raffigura un cane con ilmonito: cave canem, due giovinette perdettero anch�es-se del tempo prezioso per radunare i loro gioielli, e mori-rono asfissiate.

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Nella dimora di Pansa, gli abitanti avevano cercatodi ravvolgere alla bella meglio con dei panni le opered�arte piú pregiate, e specialmente un piccolo gruppo inbronzo, «Bacco e un Satiro», per salvarlo. Giunti ingiardino, tuttavia, nell�impossibilità di portarlo seco, logettarono in un bacile di rame che si trovava là percaso, riuscendo cosí a scappare. Invece quattro donne,inquiline della stessa casa, di condizione certamente ele-vata a giudicare dagli orecchini d�oro e dagli anelli pre-ziosi, si barricarono in una stanza nella speranza disopravvivere al flagello, e vi morirono asfissiate.

La folla dei fuggiaschi si accalcava soprattutto lungola strada che conduce alla porta Ercolano. Gli abitantidei quartieri ovest di Pompei, piú vicini al mare, riu-scirono a salvarsi, e fra questi Caio Sallustio, a cui appar-teneva la bellissima casa d�angolo, all�estremità della viadi Mercurio. Solo la padrona di casa dovette attardarsiper prendere anch�essa i suoi gioielli, perché, fatti appe-na pochi passi sulla strada, in compagnia di tre donnedi piú modesta condizione, cadde con i suoi ornamenti,le monete e lo specchio d�argento, sprofondando nellamelma di viscida cenere.

Piú il tempo passava, piú la fuga diventava difficile:i lapilli e la cenere avevano ormai raggiunto il livello deitetti, colmando tutte le strade e i vicoli. Sulla via deiSepolcri davanti alla porta d�Ercolano, la confusioneera estrema; la folla si accalcava in avanti e i corpi deimorti per asfissia si ammucchiavano lungo la cinta. Quiconvergevano tutti coloro che speravano di salvarsi rag-giungendo il mare; ma ormai furono delusi, poiché pro-prio sulla costa le scosse di terremoto erano piú violentee la spiaggia era battuta da cavalloni giganteschi. I fug-giaschi, vedendo alla luce incerta delle torce la furia delmare e le centinaia di pesci e di animali morti dissemi-nati sul terreno, rifluivano spaventati verso la città. Esu di essi si abbatteva l�inesorabile valanga di pietre e

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di cenere, contro la quale era vano cercare di proteggersiriparandosi il capo con le vesti. Molti di essi entrarononell�eternità trascinandosi sulle spalle un sacchetto dimonete d�oro o di argento.

Al momento dell�eruzione, sulla via dei Sepolcri sistava tenendo un banchetto funebre e i partecipanti sitrovavano nel triclinio apposito, ornato di splendidiaffreschi. Morirono tutti asfissiati, ancora distesi suiletti, festeggiando anche il proprio funerale, insieme aquello del congiunto. Poco discosto, una donna che por-tava in braccio un bambino, si rifugiò in un mausoleoornato di colonne, che in seguito crollò sui due infelici,divenendo la loro tomba.

Anche nella grandiosa villa adibita al commercio divini attigua alla via dei Sepolcri, il terrore era al colmo.Oltre allo splendido peristilio, la casa possedeva unimponente colonnato che circondava il giardino: questocolonnato era costruito su un corridoio a arcate resoaccessibile da scale, il cosiddetto criptoportico. In que-sto locale, che prendeva luce da finestrelle aperte sulgiardino, erano conservate le anfore di vino dalla basefatta a fuso, per poter essere conficcata nel terreno. Ilproprietario calcolò che quello era il posto che offrivamaggiore garanzia di sicurezza contro la pioggia di pie-tre, e vi condusse quanti poté radunare degli abitantidella casa, insieme ai membri della sua famiglia. Lapadrona di casa, il collo e i polsi ornati di pesanti moni-li d�oro, vi scese portando in braccio un bambino,accompagnata dal figlio adolescente e dalla figlia, unagiovinetta di fine bellezza, vestita di lini preziosi e cari-ca anch�essa di gioielli. Il padre fece portare in tutta fret-ta nel rifugio pane, frutta e altre provviste alimentari ecacciò in un sacchetto di stoffa dieci nummi d�oro eottantotto monete d�argento con l�effige di Nerone,Vespasiano e Vitellio; poi, tenendo in mano la chiave,si diresse verso la porta d�uscita, accompagnato da uno

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schiavo di fiducia che portava l�argenteria di casa. Vole-va assicurarsi se era possibile fuggire dalla parte delmare, prima di tornare a prendere il resto della famiglia,ma sulla soglia la morte l�attendeva. Padrone e servocaddero esanimi sullo strato di cenere e di lapilli.

Gli altri, rifugiati nel criptoportico, subirono la stes-sa sorte: attraverso gli spiragli sul giardino, la cenereimpalpabile penetrava all�interno portando con sé le esa-lazioni venefiche, rese piú nocive dalla mancanza d�ae-razione. Invano, la giovinetta dalle mani ingioiellatecercò di coprirsi il capo con la bella tunica di tela, e isuoi compagni di sventura si tamponarono la bocca e ilnaso. Solo i gioielli rimasero, a segnare una distinzionefra schiavi e signori. Vittime della loro fatale decisione,gli infelici perirono dal primo all�ultimo per asfissia:ben trentaquattro sono gli scheletri ritrovati in quelposto, piú quello di una capra, che si era rifugiata in unastanza del pianterreno e portava ancora una campanel-la al collo.

Nella villa dei Misteri, a breve distanza, trasformatada poco in azienda agricola, la pioggia di cenere sorpre-se tre donne al primo piano. Il tetto e il pavimento crol-larono prima che potessero fuggire, ed esse morironointossicate. Sulle membra spezzate sono stati ritrovatinumerosi gioielli; una fanciulla stringeva ancora con-vulsamente al seno uno specchietto di bronzo. Alcunioperai intenti ai lavori di ricostruzione della villa si rifu-giarono anche qui nel criptoportico e vi morirono, per-ché, quando le esalazioni solforose li raggiunsero, l�uni-ca porta della scala era crollata e non poterono piú usci-re. Una giovinetta era riuscita a trascinarsi fino all�in-gresso della villa, poi era stramazzata a terra vinta dallafatica. Un uomo, senza dubbio custode delle porte,aveva errato di stanza in stanza, prima di andare a bar-ricarsi in un bugigattolo ermeticamente chiuso, chediventò la sua tomba. Anche da morto, pareva fissare

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disperatamente un anellino di ferro che portava al dito,ornato di un�onice finemente intagliata d�una figuramuliebre. La villa era quasi disabitata, o una parte deglioccupanti riuscí a mettersi in salvo, sí che vi sono statiritrovati soltanto otto scheletri.

Nei quartieri sud della città la situazione era press�apoco identica. L�Anfiteatro e la Palestra attigua, checomprendeva una piscina lunga trenta metri, si riempi-rono in un batter d�occhio di lapilli, subito ricoperti dauno strato di cenere. Nell�Anfiteatro si trovavano solo isorveglianti e al momento non c�erano fiere, ma la pale-stra, campo ginnico della gioventú pompeiana, era affol-lata, e quando la grandine di pietre cominciò a cadere, ipresenti corsero a rifugiarsi sotto il portico a colonne,ritenendolo più che sicuro. All�improvviso, la volta cedet-te e fu un fuggi fuggi generale. Alcuni riuscirono a sal-varsi, altri fecero la stessa fine di quell�uomo, senza dub-bio addetto al culto di Iside, che, volendo asportare duevasi rituali d�argento posati su un altare vicino,sprofondò fra i lapilli e la cenere. Sorte migliore nontoccò a quelli che si erano rifugiati nelle caverne e nelleanfrattuosità. Solo la fuga poteva offrire uno scampo; epoiché il flagello proveniva dal nord, tutti si precipita-vano verso il sud, specialmente gli abitanti della viadell�Abbondanza. Nella dimora di Trebio Valente, uomoinfluente e ricco, sui cui muri sono state ritrovate innu-meri iscrizioni elettorali, il crollo del tetto uccise quat-tro persone che stavano per lasciare l�atrio. Le stessescene si ripetevano ovunque. In un�altra casa patrizia ilcui proprietario era assente, gli schiavi erano rimasti percoltivare le terre del padrone situate nei dintorni dellacittà, sotto la sorveglianza dell�intendente Quinto Pop-peo Eroto che fungeva pure da guardaporta. L�abitazio-ne era nettamente divisa in due: la parte anteriore chedava sulla strada, occupata al pianterreno dalle pochepersone rimaste in assenza del padrone e al primo piano

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dalla servitú, molto più numerosa; e la parte del retro,dove alloggiavano gli schiavi con il loro sorvegliante.Quando la pioggia di pietre e di ceneri cominciò a cade-re, i pochi abitanti del pianterreno passarono correndodavanti alle bellissime pitture parietali che raffigurava-no il poeta comico greco Menandro, e ai busti di altripoeti, che facevano dell�atrio un vero sacrario della poe-sia, e affluirono nel tablinum, la piú bella sala della casa.Ma due vecchi e tre persone piú giovani caddero esani-mi prima ancora di passarne la soglia. I servi che si tro-vavano al primo piano avevano esitato a abbandonare iloro quartieri, poi, alla vista delle pietre che continua-vano a cadere e dello strato di lapilli che nell�atrio avevagià raggiunto i due metri e mezzo, decisero di fuggire.Uno di essi procedeva reggendo una lanterna di bronzo,seguito da nove compagni; ma, appena discesa la scalet-ta di legno che dava accesso all�atrio, i miseri cadderouno sull�altro; fra questa e la porta. La loro morte dovet-te essere atroce. Due donne che si trovavano nella casa,scelsero la soluzione opposta: vedendo che il suolo eraricoperto da parecchi metri di ceneri, scapparono al pianosuperiore sopra la scuderia; ma il tetto cedette e le tra-volse. Nel corpo posteriore della casa, il sorvegliantedapprima si rifiutò di lasciare uscire gli schiavi; poi, aiprimi sintomi di asfissia, si rifugiò con la figlioletta nellasua camera, si distese sul letto e si coprí la testa con cusci-ni e guanciali. I gas mortiferi li raggiunsero e li finironoentrambi. Le mani dell�uomo contratte nell�agonia lascia-rono sfuggire tutto il suo bene: una borsettina di cuoiofissata a una catena d�argento, che conteneva un po�d�oro e qualche moneta. Servitore fedele, morí nellastanza dove conservava il sigillo del suo padrone e gliutensili dei lavoratori, che il suo senso di responsabilitàgli impose di non abbandonare.

Un vicino, certo Publio Cornelio Tegete, commer-ciante arricchito, si preoccupò anzitutto di salvare i

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tesori artistici della sua casa e, sperando che la pioggiadi lapilli sarebbe presto cessata, fece portare nell�atrioe ravvolgere di panni una splendida statua di bronzodorato che si trovava in giardino e rappresentava unefebo, cioè un giovanetto greco destinato a diventareguerriero. Poi, vedendo che la situazione peggiorava,abbandonò tutto e fuggí verso il sud insieme ai suoi.

Meno fortuna ebbero gli abitanti di una piccola casaadiacente, quella del sacerdote Amando, affittata inparte a un fabbricante di tavolette cerate, la carta dascrivere di allora. Anche qui, i membri della famiglia delsacerdote, nove in tutto, credendosi protetti dal tettoindugiarono a fuggire, e morirono asfissiati nel vestibo-lo, stretti uno all�altro.

Poco distante, nella casa di Paquio Proculo, settebambini stavano probabilmente giocando in una stanza,quando il primo piano crollò, schiacciandoli sotto lemacerie.

Non molto lontano, sorgeva un edificio costruitosopra un grande scantinato, che costeggiava per tre latiun giardino e prendeva luce da una serie di aperture.Anche qui, le volte a botte dovettero sembrare un rifu-gio sicuro agli abitanti, che perdettero un tempo pre-zioso. Quando poi, semiasfissiati dalla cenere, volleroraggiungere faticosamente il giardino, coprendosi il capocon dei fagotti di tela, sprofondarono fra le scorie vul-caniche, e perirono. Una bambina si aggrappò dispera-tamente alla madre, nelle convulsioni dell�agonia, e i loroscheletri sono stati ritrovati letteralmente incastrati unonell�altro.

A breve distanza, in una grande lavanderia, trova-rono la morte il proprietario e alcuni clienti, che sta-vano ritirando o consegnando la biancheria; ma il mag-gior numero di decessi si verificò nelle strade adiacentialle vecchie Terme, vicino al Foro, poiché qui special-mente convergeva la folla in fuga, composta per lo più

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di ritardatari, invalidi o malati. Una donna incinta,senza dubbio di elevata condizione, volle radunare isuoi gioielli, l�argenteria e oltre cento monete, poi usòancora la precauzione di chiudere a chiave le porte dicasa. Quell�indugio le fu fatale, e la poverina cadde frale viscide ceneri in preda ad atroci convulsioni. Dietroil suo scheletro, ne è stato ritrovato un altro di donna,e quello di una giovinetta di quattordici anni, che,prima di esalare l�ultimo respiro, posò sul braccio latesta ricoperta da un lembo della tunica, in atto dimesta rassegnazione. Poco discosto, un uomo gigante-sco, vero atleta che accompagnava le donne per pro-teggerle, era caduto esanime, impotente a recare aiutoalle sue padrone.

Come gli abitanti delle case, anche i Pompeiani chesi trovavano nei templi e negli edifici pubblici furonocolti alla sprovvista dal flagello. Nel tempio di Iside, isacerdoti stavano pranzando nel loro triclinio, intornoa una tavola guarnita di pane, vino, pollastre e uova. Illoro primo impulso fu di ingraziarsi la dea con un sacri-ficio; poi, vedendo che il tempio minacciava di crollare,cacciarono frettolosamente in un sacco di tela unasomma ingente di denaro, in monete tutte nuove conl�effige dell�imperatore Tito, statuette di Iside, copperituali in argento e altri oggetti sacri, e lo affidarono aun sacerdote, che doveva portarlo in salvo. Troppo tardiormai: l�uomo voleva fuggire attraversando il Foro, maarrivato all�angolo della via dell�Abbondanza non riuscípiù a procedere attraverso i mucchi di scorie e cadde,sparpagliando tutt�intorno il prezioso contenuto delsacco. Due dei suoi colleghi cercarono invece di fuggireper il Foro Triangolare che comunicava con il tempio diIside, ma nel momento in cui vi mettevano piede, unascossa tellurica fece crollare una parte del colonnato cheli travolse. Vicino ai cadaveri, sono stati ritrovati unpiatto d�argento con l�effige di Iside e di Bacco, e altri

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oggetti preziosi. Gli altri sacerdoti ritennero piú pru-dente attendere dentro il tempio il placarsi della piog-gia di cenere, ma fecero la stessa fine di quelli che sierano rifugiati nei sotterranei. Alcuni caddero su unascala vicino alla cucina, un altro morí murato vivo.Armato di un�ascia, aveva bensí tentato di aprirsi unvarco, riuscendo ad abbattere già due pareti, ma davan-ti alla terza ed ultima, stramazzò.

Al momento dell�eruzione, i teatri erano vuoti; masotto i porticati e negli edifici utilizzati come casermaper i gladiatori, si trovavano numerose persone, chesolo dopo un certo tempo si resero conto della gravitàdella situazione. Quando echeggiò il grido «si salvi chipuò», le colonne e le pareti istoriate di graffiti cheimmortalavano i nomi e le gesta degli eroi dell�arena,furono testimoni di un fuggi fuggi collettivo. Nella con-fusione, nessuno piú si ricordò di due atleti che stava-no rinchiusi in una cella di rigore, e naturalmente peri-rono miseramente; ma anche per gli altri occupanti dellacaserma � alloggiati in sessantasei stanzette, ciascunacomoda per due persone � era ormai troppo tardi. Ilmuro di lapilli e di cenere precluse ai miseri ogni via discampo, ed essi si ammassarono terrorizzati nelle stan-ze interne; trentaquattro in una sola camera, e diciottoin un�altra che serviva da deposito delle armi e degli elmidei gladiatori, compresa una donna che portava deigioielli meravigliosi, probabilmente l�ammiratrice di unodegli eroi dell�arena. In quel solo edificio, ben sessan-tatre persone trovarono morte orrenda.

Sorte migliore non toccò ad alcuni schiavi, che ave-vano caricato su un cavallo oggetti preziosi, stoffe evestiti.

Vicino alla tragica caserma trasformata in sepolcro,sulla via di Stabia, c�era una casa che disponeva di unaserranda di ferro Per chiudere l�orifizio del compluvium.I dodici occupanti si affrettarono a usare questa pre-

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cauzione, che tuttavia si rivelò inutile: morirono tuttiasfissiati.

La folla dei fuggiaschi diretti al mare dilagò nel Foro,dove fervevano i lavori che dovevano farne uno dei piùgrandiosi monumenti dell�opulenza romana con grandispendio di mezzi e sfarzo di marmi. Gli operai inten-ti al restauro della casa di Eumachia, dei templi e dellaBasilica, abbandonarono precipitosamente il lavoro escapparono, ma furono travolti dal crollo delle rarecolonne del tempio di Giove, rimaste in piedi dopo ilterremoto del 62. Anche la parte già rifatta del colon-nato cadde in rovina, e i Pompeiani in fuga dovetteroscavalcare le macerie di quelli che erano stati i loro piúcari luoghi di ritrovo e di elevazione culturale.

La giornata del 24 agosto volgeva al termine, e lapioggia di ceneri e di lapilli continuava; le ceneri soprat-tutto eran sempre piú copiose. Tutta la notte, il Vesu-vio vomitò senz�interruzione valanghe di scorie checoprirono interamente la pianura del Sarno e le zonesituate a est e a sud-est. Ma nessuna creatura viva erarimasta ormai nelle immediate vicinanze del vulcano:tutti erano morti o fuggiti. Tuttavia, anche le località piúlontane, come Stabia ad esempio, avevano sofferto terri-bilmente. Lo strato di cenere e di lapilli era meno altoche a Pompei, ma i vapori solforosi avevano compiutoanche qui la loro triste opera. Le tenebre erano squar-ciate a tratti dai riflessi sinistri del calderone infernale.Plinio, che era rimasto a Stabia per confortare il suoamico Pomponiano, esortandolo ad attendere sul postola fine del flagello, volle concedersi un breve sonno.Una scossa di terremoto lo svegliò bruscamente, ed eglicorse impaurito da Pomponiano. Che fare? Rimanere,o fuggire? I due amici decisero di raggiungere la costa.Proteggendosi la testa con dei cuscini, corsero alla spiag-gia, ma non trovarono nessuna nave. I cavalloni aveva-no raggiunto l�altezza di una casa, l�aria era densa di

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vapori solforosi e resa ancor più irrespirabile dal fumodi un edificio in fiamme. La comitiva si sbandò, e Pli-nio morí asfissiato.

Per tutta la giornata che seguí, il 25 agosto, l�eruzio-ne continuò: nuvole ininterrotte di cenere si riversava-no sulle zone circostanti e la colonna di fumo che si alza-va dal cratere, accompagnata da sorde detonazioni, nonaccennava a diminuire. L�oscurità era ancora fitta, euna densa cortina di fumo toglieva completamente allosguardo le isole di Capri e Ischia. Tuttavia, la violenzadell�eruzione già accennava a diminuire e finalmente,all�alba del terzo giorno, il vento prese a stiracchiare inlunghe filacciche la nuvola nera, che a poco a poco sidisperse. Il sole fece capolino; prima pallido e crepu-scolare come il riflesso di un incendio, poi vittorioso,sfolgorante, inondando di luce la baia di Napoli.

Quale tragico spettacolo! A sud e a est del Vesuviole campagne erano ricoperte da uno strato di cenerebiancastra,come da un immenso lenzuolo. Ercolano erascomparsa dalla superficie terrestre, Pompei era com-pletamente sepolta: solo qua e là, dalla desolazione dellescorie vulcaniche, emergevano i tronconi dei muri diquegli edifici del Foro che superavano i sette metri dialtezza, ultime vestigia di una città florida e felice. Spa-rite le case e le ville che sorgevano sulle pendici uber-tose del Vesuvio, cancellate anche le ultime tracce diborghi e villaggi: Oplontis e Taurania, nonché altrinuclei abitati chiamati � a quanto pare � Sora, Tora,Cossa, Leucopetra, giacevano sepolti per sempre sottola cenere e la sabbia di pomice. Stabia era stata relati-vamente risparmiata, e poiché qui lo strato di lapillinon aveva raggiunto che i tre metri, le case che aveva-no resistito al terremoto emergevano col tetto, e offri-vano qualche possibilità di ricostruzione. La zona adia-cente era stata più o meno colpita per un raggio di circadiciotto chilometri. Si pensi che il vento aveva portato

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delle particelle di cenere fino a Roma, sulle coste afri-cane e persino in Siria e in Egitto.

A migliaia, i superstiti affluivano verso Napoli, versoNola, verso Sorrento, certuni sino a Capua, gettando losgomento negli animi coi loro racconti. Col tornare delsole, il Vesuvio si acquietò; solo qualche nuvoletta bian-ca si alzava dal cono alla sommità, assolutamenteirriconoscibile. A poco a poco, i sopravvissuti andava-no rendendosi conto della vastità del disastro: quaran-totto ore erano bastate per trasformare una contradaridente in un immenso, desolato deserto di pietre e dicenere, tomba di innumerevoli esseri umani, poco primaspensierati e felici.

1 Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pompeiani,articolo del dott. O. Comes.

2 Cfr. HIERONYMUS GEIST, op. cit.3 M. DELLA CORTE, Pompei, i nuovi scavi e l�Anfiteatro, Pompei

1930, p. 37: «Nihil durare potest tempore perpetuo | Cum bene solnituit, redditur oceano; | Decrescit Phoebe quae modo plena fuit | SicVenerum feritas saepe fit aura levis».

4 «Fortunate, animula dulcis».5 «Minimum malum fit contemnendo maximum | Quod, crede mi,

(non contemnendo) erit minus».6 «L. ISTACIDIAE quem non coeno, barbarus ille mihi est».7 «Scribenti mi dictat amor, mostratque Cupido; | Ah, peream! sine

te si Deus esse velim».8 «Admiror, paries, te non cecidisse ruinis, | qui tot scriptorum tae-

dia sustineas».

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