Colombi Marchesa 1840 1920 Senz Amore

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    Senz'AmoreColombi, marchesa, 1840-1920

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    LA MARCHESA COLOMBI

    SENZ'AMORE

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    MILANO

    ALFREDO BRIGOLA e C.--EDITORI Via

    A. Manzoni, 5. PROPRIET. LETTERARIA

    Varese, Tip. Macchi e Brusa.

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    PREFAZIONE.

    Il proto, nel comporre questo libro, simeravigliava, di trovare tratto tratto dellagente innamorata. Come mai, dacch ilvolume intolato _Senz'Amore?_ E, daquel proto coscienzioso e prudente che ,mi metteva nelle bozze di stampa un belpunto d'interrogazione in margine ad ogniscenetta d'amore, ad ogni palpito, perquanto segreto, che sembrasse a lui aver

    per movente il sentimento proscritto dallibro, e che l'aveva in realt.

    Perch i lettori non abbiano a spedirmi

    essi pure i loro punti interrogativi, i quali,non avendo il comodo delle bozze distampa, dovrebbero venire per postacostando a loro la spesa del francobollo, o

    peggio dovrebbero venire in qualchearticolo critico, costando a me il

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    dispiacere d'un rimprovero ingiusto, mettoin questa pagina la mia risposta ai puntid'interrogazione del proto, e con essa

    rispondo anticipatamente anche a quellidei lettori.

    Intitolando questi racconti: _Senz'Amore,_ho voluto alludere alla tristezza, allasolitudine, all'abbandono sconsolante dimolte esistenze, sulle quali la grandepassione che nacque con Adamo e chemorr soltanto coll'ultimo uomo, se pure

    morr, non ha sparso le sue grandicommozioni, le sue gioie vive ed i suoi vividolori Ho voluto dire che le miserie umanesono infinitamente pi cupe quando non

    hanno quel conforto: e che, fra i poveri, fragli infelici, fra i diseredati, i soliassolutamente diseredati, assolutamenteinfelici, assolutamente poveri, sono quelli

    che non amarono, o non furono amati: lapovera Cecchina della _Fede,_ la madre di

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    Marco nella _Confessione,_ le due vecchiedelle _Vite squallide_, _Le Affittacamere_,Vicentino il prete, Pietro ed il ciuchino

    delle _Briciole d'Epulone_.

    Non una tesi che mi sono proposta, enon ho inteso insegnar nulla n rimediarea nulla. Non si pu mettere l'amore dovenon c'; e, ad ogni modo, non so chi laprovvidenza potrebbe incaricare di questabriga. Ho voluto fare degli studi dal verosu questo tema, come nell'altro volume che

    seguir questo,--quando seguir,--e ches'intitoler _Amore_, studier il confortoche questo sentimento pu recare allemiserie della vita, e di che illusioni, di che

    poesia, di che sorrisi, di che idealit puarricchire le pi povere esistenze.

    Saranno due studi che avr fatto per amor

    dell'arte, come un pittore fa degli studi dipaesaggio o di figura, senza pretendere di

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    bandire la legge dell'amore, o di imporreuna multa a chi non innamorato.

    Avrei fatto a meno di scrivere questaprima pagina, quando era gi compostal'ultima, se i dubbi del proto non miavessero fatto temere che il mio titolopotesse far prendere in isbaglio il volumeper un libro di morale o un libro di scuola,che proprio, con mio sommorincrescimento, non .

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    PSICOLOGIA COMPARATA.

    Il pollaiolo fece entrare il cuoco di casaTrestelle nella retrobottega, a vedere ilsuo nuovo apparecchio perl'ingrassamento meccanico dei volatili. Loaveva fatto venire da Parigi; una riduzionedi quello inventato da Odile Martin;costava cinquecento lire. Era una grandesta, o piuttosto un piccolo carcerecellulare di forma cilindrica. I polli

    avevano una cella per ciascuno; eranoincatenati pei piedi al fondo; non sipotevano muovere, n vedevano nulla adestra n a manca. Udivano gli altri

    prigionieri gorgogliare qualche_coc-coc_, o mandare una specie dirantolo; e sporgevano il capocuriosamente dal vano dinanzi della sta;

    ma non vedevano che la penombra vuotadella stanzaccia, che era quasi una cantina,

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    perch si dovevano scendere parecchiscalini per arrivarci, ed era debolmenterischiarata da due fori aperti nell'alto della

    parete.

    Dagli occhi di quei polli s vedeva cheerano tutti impensieriti. Rispondevano_coc-coc_ sullo stesso tono sommesso,poi tornavano a sporgere il capo collepupille lucenti come fiammelle, ed il lorosguardo, ed il movere inquieto del colloparevano dire:

    --Dove sono quegli altri?

    Quella sta di nuovo genere non aveva n

    beccatoio n beverino.

    --E il becchime? domand il cuoco dicasa Trestelle.

    --Il becchime non ingrassa, sentenzi il

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    pollaiolo coll'aria di chi la sa lunga. State avedere qual il mangime che fa la fortunadei polli e la nostra.

    Prese colla destra un tubo di gommainfisso in una caldaia dove c'era unamiscela di latte e farina d'orzo; afferr collasinistra il becco d'una gallina, ev'introdusse il bocchino del tubo; poi,premendo col piede un pedale, mise inmoto una pompa, che mand la razionevoluta dalla caldaia nello stomaco della

    bestia.

    --Ecco, disse togliendo il tubo e passandoad _operare_ il pollo della cella seguente.

    Per otto ore questa gallina provveduta.

    --Non manger altro? domand il cuocostupefatto.

    --Ha avuta la sua misura rispose il

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    pollaiolo. Guardate; Centilitriventicinque; ed accenn una lastra dilatta con quella cifra incisa, infissa sulla

    parete esterna della cella. Ogni polloaveva la sua razione indicata a quel modo,come la dieta dei malati sui lettidell'ospedale.

    Ce n'erano di grassissimi, immersi in unaspecie di sonnolenza ebete, comeghiottoni assorti nella beatitudine delchilo. Soltanto quando la macchina girava

    sul perno, ciondolavano stupidamentesulle gambe, sproporzionate al peso delcorpo, socchiudevano gli occhi unmomento, poi ricadevano nel loro sopore.

    C'erano dei capponi dagli occhi ardenticome brace, che si scotevano tutti in unosforzo supremo per tirar su una gamba

    sotto l'ala. Ma la catena era ben salda, ed idue piedi dovevano rimanere immobili sul

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    fondo della prigione; ed i capponigorgogliavano una specie d'imprecazionee gli occhi fosforescenti mandavano lampi.

    La gallina invece, la pollastrella ch'erastata cibata per la prima, aveva la testinafine, i movimenti del collo ondulati, lepenne lucenti, ed il suo corpo,floridamente arrotondato dall'assolutoriposo e dalla nutrizione conveniente, nonera ancora deformato dalla pinguedine.

    Appena il pollaiolo ebbe finito di nutrirla,diede una scossettina al capo, allung ilcollo per ingollare del tutto il latte a lafarina d'orzo che le avevano messo in

    corpo, poi guard in gi avidamente comecercando qualche cosa da beccare.

    Ma era ad un piano alto; c'erano molte

    celle sotto la sua, per cui il pavimentorimaneva lontano, ed in quella

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    semi-oscurit non le riusciva di vederlo.Dubitando forse de' suoi occhi, sperandonel buio, spinse due o tre volte il becco in

    gi, pi in gi, quanto glielo permise lalegatura dei piedi; ma non tocc nulla, e siritrasse.

    Il cuoco si fece pi accosto, e guardnella cella. La gallina s'era accovacciata, erimaneva immobile cogli occhi chiusicome se dormisse. Ma, traverso lepalpebre sottili, l'occhio si moveva, ed un

    pigolo sommesso e lieto accompagnava ilsuo respiro.

    Tratto tratto apriva gli occhi, poi li

    richiudeva in fretta, come premurosa diripigliare il filo d'un sogno caro. Forse,nell'ardore del desiderio giovanile, sifigurava di razzolare nello spazio

    sterminato d'un'aia; sognava, in quel beatodormiveglia, la vita rumorosa d'un cortile

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    rustico; una ressa di tacchini, di anatre, dioche, di polli che s'incrociavano, siurtavano, vociavano alto, e le liti dei galli,

    che facevano accorrere ed ammutolivanodi sgomento, la folla del pollame.

    Due o tre volte le sfugg una vocegongolante, un _ohhh!_ gutturale eprolungato, e mostr un momento gli occhiridenti di gioia. Chi sa che non rivedessecolla fantasia da gallina, gli sciami dipiccioni bianchi, turchini, violetti, i bei

    polli volanti nell'aria, che scendono neicortili a narrare le vastit azzurredell'orizzonte, devastano in fretta e in furiail becchime e ripartono a volo. E le aiuole

    verdi, e la delizia di aprirsi un varco nellafrescura dell'insalata ancora bianca, delprezzemolo tenerello, delle fragolebagnate di rugiada, come nei labirinti

    d'una foresta, e l'emozione vivad'affrontare la granata dell'ortolana, o di

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    scansarla dietro i cavoli grandi!.. Solo chi nato per vivere all'aperto, nell'infinitalibert dei campi, pu immaginare che

    visioni di verde, d'azzurro, di sole,potevano balenare a quegli occhi chiusi!Ed il galletto innamorato che segue lagallina colla testa alta, e la crestarosseggiante, che le si pianta dinanzi conuna gambina alzata, assorto inammirazione fissandola cogli occhisanguigni...

    Ad un tratto s'ud sorgere dal cortile d'unpollaiolo accanto la voce giuliva d'ungalletto libero:

    --_Chicchirichi!!!_

    La gallina si rizz d'un balzo; le penne lesi gonfiarono intorno, la cresta si fece

    scarlatta, e, tutta fremente di gioia, sporseil capino dalla cella, e voltando il collo a

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    scatti di qua e di l, guard nel vuoto cogliocchi dilatati, come se vedesse gli orti,l'aia, il gallo; e, dal fondo del cuore, mise

    fuori anch'essa una voce acuta, giubilantecome una risata:

    --_Chicchirichiiii!!!_

    --Gallina che canta da gallo, temporale odisgrazia disse il cuoco, il quale,malgrado i suoi vent'anni di vita cittadina,non aveva dimenticati i proverbi del basso

    Novarese dov'era nato; e se ne andcanticchiando fra i denti una vecchiacanzone burlesca:

    Senza galletto, la mia gallina Opoverina--come far...

    Ma le dava un'intonazione malinconica,

    allentava le cadenze, pareva che cantasseil _Miserere_; e fin la strofetta con un

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    sospiro, poi cammin a lungo in silenzio,borbottando solo di tratto in tratto:Poveretta!

    Giunto a casa, depose le provviste incucina, poi sal finch c'erano scale, allesoffitte dove i padroni gli avevanoassegnata una camera. C'erano parecchiusci sul pianerottolo, ed uno era socchiuso.Prima di aprire il suo, il cuoco spinsequello, ed entr. Era una camera lunga e

    stretta, coll'ingresso ad un capo ed unafinestrella all'altro. Pareva un _omnibus_.Contro la parete destra, accanto all'uscio,c'era un lettuccio poco pi largo appunto

    del sedile di un _omnibus_; nella parete dicontro c'era il camino, ed ai due lati delcamino, un cassettone ed un armadio nelmuro per le stoviglie, la pentola, il

    secchio, la mestola e tutti gli arnesi dacucina. Ai piedi del letto si rizzava l'asta

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    d'un attaccapanni mobile, le cui grucciescomparivano sotto un carico di vestiti,coperti tutt'in giro da una vecchia gonnella

    scolorita, stretta in alto da un cordonepassato in una guaina, e ricadente gimolle come un ombrello senza stecche,che dava a quel mobile economicoun'apparenza misteriosa. Sembrava untrabicolo, sembrava una incubatrice per ibachi, e, pel momento, la sua rotonditricord al cuoco la macchina peringrassare i polli, e gli strapp ancora un

    sospiro.

    --Sempre malinconico, signorBattista?--gli disse la sua vicina di soffitta,

    con un sorriso amichevole, alzando gliocchi dal tombolo sul quale stavarammendando una trina di Honiton.

    Era una giovane sui vent'anni, ma cosmingherlina, pallida e bassina di statura,

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    che ne dimostrava sedici, a dir molto. Nonaveva altri parenti che la madre; ed anchecon quella non viveva insieme, sebbene

    abitassero nello stesso casamento.

    La madre serviva una zitellona sola edinferma gi nei mezzanini; un serviziopesante, perch doveva fare da cuoca, dacameriera, ed anche da infermiera, digiorno e di notte, dormendo accanto allapadrona, e spesso vegliandola. Questa lapagava pochino, e la manteneva a

    stecchetto cogli avanzi del suo mangiareda malata, ed in compenso esigeva dimolto, e guai se la serva l'abbandonava undieci minuti per salire dalla figliola. Ma

    aveva l'astuzia di farle balenare lasperanza d'un buon legato, e la poveradonna si sacrificava e sopportava tutto,pensando le due belle camerine che

    avrebbero poi mobigliate lei e la suaTeresa con quel denaro, e che vita

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    tranquilla avrebbero passata insieme,lavorando senza ammazzarcisi.

    Per questo la Teresa rimaneva sola nellasoffitta, ma la madre le teneva gli occhisopra, e badava chi saliva e scendeva. Delresto, erano precauzioni superflue; laTeresa era una buona figliola, tranquilla, ela sua giornata era cos occupata che nonaveva tempo di badare ad altro che al suolavoro. Dall'alba alla sera era sempre lsotto la finestrella alta, col tombolo in

    grembo, puntando e ripuntando nei foridelle trine degli eserciti di spilli, collamaestria d'un generale che dirige unamanovra.

    Era una buona operaia. Le signore sel'erano raccomandata l'una all'altra e leaffidavano trine di molto prezzo. Quel

    lavoro le fruttava a sufficienza per i suoimodesti bisogni; ma era faticoso, difficile;

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    e doveva eseguirlo rapidamente per nonritenere a lungo quegli oggetti di valore.Per accontentare tutte le sue pratiche,

    doveva lavorare di giorno e di sera,assiduamente, anche la festa, sempre conquel tombolo sulle ginocchia, sempre sottoquella finestrella, per raccogliere quantapi luce poteva sulla trina in riparazione.L'inverno ce n'era poca della luce ldentro; ma quando veniva l'aprile, gi dalfinestrino cadeva una striscia chiara,rosseggiante nelle ore meridiane ch'era

    una delizia. Sovente la Teresa alzava ilcapo dal tombolo e rimaneva cogli occhifissi su quel quadrato turchino di cielo chevedeva traverso la finestra, e ne pensava

    la vastit, e l'infinito paese che ricopriva.Era come un paesaggio che Michettiavesse dipinto per lei, ed essa ci vedevatutto il mondo, come un infermo, che

    ammira le bellezze della natura in unamarina appesa alla parete di contro al suo

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    letto, e s'imbarca su quelle navi minuscole,e traversa gli oceani, e sfida pericoliimmaginarii.

    --Sempre malinconico, signorBattista?--Aveva detto la fanciulla che,nella serenit confidente de' suoi vent'anni,sorrideva spesso delle tristezzeincomprensibili del vecchio. Ed alloraBattista le aveva detto della macchina perl'ingrassamento meccanico dei volatili.

    --Una barbarie! Tenere quelle bestie albuio senza mangiare n bere; perch nonsi poteva dir mangiare il ricevere tre volteal giorno un nutrimento nello stomaco

    senza averne sentito il gusto.

    La Teresa lo ascoltava stupefatta. S; eracrudele. Povere bestie! Farle vivacchiare a

    quel modo prive d'aria e di luce, toglierloro la libert di starnazzare, e

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    d'appollaiarsi, condannarle a non gustarmai le delizie del greppo, contrariare tuttigli istinti della loro natura! e perch? Per il

    vantaggio di pochi signori che al loro_greppo_ troveranno un bocconcino pisaporito.... Povere bestie! Povere bestie!

    E la fanciulla, che passava la vitarinchiusa in quella stanzetta, colle mani egli occhi forzatamente intenti sul tombolo,s'inteneriva sulla sorte crudele dei polliprigionieri.

    -- cos bella la libert! diceva. E correreper la campagna verde...

    --Come la conosce la campagna, lei chenon esce mai da questa stanza? domand ilcuoco.

    --Ci sono stata una volta, quando andavoa scuola ad imparare il mestiere. La

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    maestra, pel suo onomastico, ci condussetutte a pranzare a Sesto. Allora ne ho vistidei polli felici. C'era una covata di pulcini

    che beccava pigolando beatamente sopraun letamaio; ed avevano l'aria soddisfatta eghiottona come tanti bimbi intorno allavetrina d'un confettiere.

    Continu a lavorare in silenzio,sorridendo alle sue memorie, poi riprese:

    -- tutto bello per loro quando si trovano

    nel loro ambiente rustico. C'era un'enormescrofa, disfatta dalla eccessiva pinguedine,che sonnecchiava grugnendo ai piedi delletamaio al quale si addossava, colla

    pancia stesa e tremolante come unavescica piena d'acqua o una pelle di olio.Ed i pulcini, beccando e pigolando,scesero gi l'uno dopo l'altro su quella

    vasta superficie nerastra; e passeggiavanocome sopra una piazza, cacciando il becco

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    fra i crini, e comunicandosi a vicenda leloro impressioni con dei _pi pi pi_ pieni dimeraviglia. Ce ne fu uno che imprese un

    viaggio d'esplorazione nei labirinti d'unorecchio; ma la scrofa, sentendosisolleticata, diede uno scossone che lo fececadere a terra con tutti i suoi compagni. Eche pigolo allora, che chiocciare dellamamma spaurita, che batter d'ali, chevocio per tutto il cortile!...

    Smosse parecchi spilli, intrecci i capi di

    filo facendo risuonare i fusi innumerevoliche si urtavano, poi, sorridendo semprealle sue immagini serene, torn a dire:

    --Com' bella la campagna!

    --E neppure oggi non esce? domand ilcuoco. Se vedesse che giornata, che sole!

    --Che! Non ho tempo neppure di farmi la

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    minestra. Non so quando mi potrmuovere; ho un lavoro straordinario. Lesignore hanno bisogno delle trine per le

    bagnature; s'io vado a spasso chi leprepara? Debbo star qui tutto il giorno etutta la sera chi sa fin quando; e la mammapure ha bisogno che lavori per darle unpo' di quattrini....

    Il cuoco ridiscese alla sua cucina pimalinconico di prima, strascicando ancorapi lentamente le cadenze della sua

    canzone:

    Senza galletto, la mia gallina O

    poverina--come far....

    E la Teresa continu ad armeggiare cogli

    spilli e coi fusi. Tratto tratto alzava il capo elo spingeva indietro girandolo da destra a

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    sinistra per isgranchirsi il collo indoloritodal lungo star curvo. Pi volte si copersegli occhi con una mano, e li tenne stretti

    per riposarli. Poi ripigliava con maggiorlena il lavoro; ed intanto ripensava lamiseria di quei polli: Quanto dovevanoessere infelici! Certo non cantavano pi ldentro; dovevano morire di malinconia.

    Sull'imbrunire, mentre la Teresa sicurvava cogli occhi fin sul tombolo perprofittare dell'ultimo barlume di giorno,

    s'ud una voce d'uomo, giovane ed alta checantava:

    Morettina dove vai? Vado a Monza

    sul tranvai.

    La Teresa stette un momento a sentire,

    poi pos il tombolo, sal in piedi sullasedia, e s'affacci al finestrino che metteva

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    sul tetto. Guard quella distesa sterminatadi tetti e comignoli e gronde e grondaie ecupole di chiese e campanili, e pi

    lontano, come una fascia verde, le cimedegli ippocastani dei bastioni; poil'azzurro, l'azzurro chiaro, infinito, come sedopo i bastioni ci fosse il mare. E le parvedi vedere la campagna de' suoi ricordi; leparve d'esser laggi, non pi bambina conla maestra trinaia, in un'osteria di Sesto,ma giovinetta innamorata della libert,dell'aria pura, della natura bella, e di

    camminare, di camminare sotto i vialiverdi, sull'erba umida e fresca.

    Morettina dove vai? Vado a Monza

    sul tranvai....

    ripeteva un po' in falsetto quella voce ditenore.

    E la Teresa pensava d'andare a Monza sul

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    tranvai, col suo vestito da festa; e quelgiovane che cantava, quello o un altro, eral sulla panchetta del tranvai che

    l'aspettava. Andavano insieme; lui laguardava negli occhi e lei si sentivaarrosire. Non parlavano, ma erano felici,felici in silenzio, finch scendevano allastazione, si pigliavano a braccetto, e viapel viale fin gi nel parco, dove sedevanoaccanto, sull'erba verde, sotto il cieloturchino...

    Le balzava il cuore di commozione, lebrillavano gli occhi guardando nell'ombrache era scesa tutt'intorno sulla citt, e leipure colla voce tremante si mise a cantare:

    Morettina dove vai? Vado a Monzasul tranvai Vado a Monza sul tranvai...

    Il cuoco, che stava rigovernando gi in

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    fondo al cortile presso la finestra dellacucina, alz il capo verso il tetto che nonvedeva, ed esclam malinconicamente:

    --Com' bella la giovent!

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    UNA CONFESSIONE

    RACCONTO.

    --A marted, disse Marco, stringendolungamente la mano della sua sposa eguardandola fisso.

    --A marted, rispose lei, abbassando gliocchi e facendosi rossa come una fiamma.Egli si chin e la baci sulla fronte il che

    sollev un voco di commenti giulivi daparte della mamma, delle amiche, e di varisignori. Ma, n Marco n la Mariamostrarono d'udire quegli scherzi. Per loro

    nulla era pi serio del sentimento che liturbava. Si strinsero la mano di nuovo e sisepararono in silenzio.

    Erano alla stazione di Camerlata. Marcosal in convoglio per tornare a Milano. La

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    sposa colla sua mamma ed alcuniconoscenti, montarono in varie carrozzelleda nolo per tornare alla villa, tra Gradate e

    Portichetto.

    Le nozze dei due giovani si dovevanocelebrare il marted prossimo a Gradate,ed era appunto la sera del gioved, quattrogiorni prima, che Marco si separava perl'ultima volta dalla sua sposa. Avevapassata quasi una settimana alla villa dellavedova Nardi, che stava per diventare sua

    suocera, ed in quel tempo s'era fatta larichiesta al Municipio, s'erano presentatele carte necessarie, e Marco ne riportavale copie a Milano, per riporle fra i

    documenti di famiglia.

    Salito nel vagone guard traverso losteccato la Maria che saliva in carrozza,

    svelta ed elegante; nell'oscurit della seranon vedeva che la linea della persona

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    disegnata dal vestito chiaro. Ma l'aveva nelpensiero, nel cuore, negli occhi, e glipareva di distinguere il viso lungo e

    delicato, la pelle bianca, i grandi occhiturchini ombreggiati da ciglia scure, lafronte larga e bassa, ed i bei capelli biondiche le facevano intorno una frangia diriccioli.

    Non s'amavano d'un lungo amore daromanzo, non erano cugini n amicid'infanzia. Un conoscente comune aveva

    detto a Marco:

    --Dovresti sposare la signorina Nardi.Non ricca, ma ha una trentina di mille

    lire, semplice, colta, gentile, timidacome una bambina dinanzi agli estranei,ma in famiglia allegra, schietta ecoraggiosa. E sopratutto buona;

    profondamente buona.

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    --Non la conosco, aveva risposto Marco.

    --Non conosci quella bionda alta e sottile

    che incontriamo spesso, quando siamo aComo, sulla strada di Camerlata incompagnia di una signora matura, che sua madre?

    Era la mamma di Marco che prendevaparte al discorso per richiamargli allamente la giovinetta. Suo figlio avevaventicinque anni passati; ella desiderava

    che si ammogliasse, ed osservava lefanciulle che incontrava, per cercare unanuora. Quella le era andata a genio; eraanch'essa, come Marco, figlia unica d'una

    vedova; l'analogia della situazione potevaessere una causa d'amicizia, un vincolo frale due mamme.

    Marco si ricord infatti quella giovinetta.L'aveva osservata poco; gli era sembrata

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    una bambina. Ma dopo quel discorso cipens, se la richiam alla mente, bella,ingenua nella sua giovent immacolata, e

    prov un turbamento al pensare che quellafanciulletta candida la darebbero a lui, chepotrebbe essere sua, vivere con lui nellapi stretta intimit.

    Il giorno dopo gli riesci d'incontrarla cheusciva di casa colla madre; la segu dalontano, inebriandosi all'idea di possederequella bella figurina bionda, che gli altri

    osavano appena guardare, dinnanzi allaquale si dovevano studiare delle perifrasiper velare i discorsi meno che puri, edevitare ogni parola ardita. La vide farsi

    rossa rossa nel salutare un signore cheaveva inchinata sua madre, e pens chequel rossore verginale egli potrebbe,forse tra poco, baciarlo.

    La signora Bellazio incaric l'amico, da

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    cui era venuta la prima proposta, di fare ladomanda di matrimonio; le signore Nardimadre e figlia conoscevano Marco di

    persona, e la Maria si fece molto rossaquando sua madre le domand come lotrovasse.

    Il portatore dell'imbasciata fu incaricatod'invitare i signori Bellazio a passare unagiornata alla villa Nardi presso Gradate; eMarco vi and agitatissimo, turbato damille curiosit, impazienze, paure. Era gi

    innamorato, e quando ripart la sera perMilano, non solo era fidanzato, ma eracerto d'essere amato dalla Maria.

    Erano passate sei settimane soltanto, eMarco tornava un'altra volta a Milano solo;ma era l'ultima. Fra quattro giorni doveva

    andare a Gradate, prendersi la sua bellasposa, e partire con lei per un luogo

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    qualsiasi; lui solo con lei sola. Quell'amoredi due mesi era pi caldo che un amored'infanzia, che una passione contrastata da

    anni. Serbavano tutta la loro freschezzad'impressioni, non avevano esaurita lagioia di vedersi, di parlarsi, di studiarsi; sipromettevano ancora un mondo discoperte e di rivelazioni nella conoscenzapi intima. C'era nel cuore di Marco lacommozione profonda di chi aspetta unagioia sicura. Non si impazientava. Sideliziava di pensare a quel breve passato;

    di sentire la sua tenerezza, di figurarsiquella di lei ricordandone le parole, glisguardi, i rossori; e di pregustare la felicitche si era assicurata. Era una commozione

    che lo faceva piangere, ma anche ilpiangere gli riesciva dolce.

    Arriv a Milano tardi. Sua madre era gi a

    letto. S'affaccendava tutto il giorno fuori dicasa, nel nuovo alloggio che avevano

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    appigionato, per apparecchiare ilquartierino degli sposi, accanto al quales'era riservate tre stanzette per s; e

    quando rientrava nella casa che stava perabbandonare, era tanto stanca che andavasubito a dormire.

    Marco invece era troppo eccitato quellasera per aver sonno. Apr la cassetta dellascrivania nella quale doveva riporre idocumenti di famiglia che aveva riportati.Pose la sua fede di battesimo in una busta

    con quelle de' suoi fratelli e d'una sorella.Erano stati quattro, ed ora si trovava solo.

    Mise un sospiro, che pass come un soffio

    lieve sul giubilo del suo cuore, poi preseuna seconda busta, sulla quale era scrittodi mano di sua madre: Fedi mortuarie.

    Anche l ce n'erano parecchie, tuttepiegate insieme l'una nell'altra per ordine

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    di data. Marco aperse il piego e si pose aleggerle: Alberto Bellazio; morto il 20gennaio 1873, nato il 2 febbraio 1847.

    --Aveva ventisei anni, povero Alberto,pens Marco. Ora ne avrebbe ventotto,sarebbe gi ammogliato; aveva un'amored'infanzia colla signorina Montani.... E sifigur quella graziosa donnina giovanealle sue nozze; invece da parte sua nonc'erano altri parenti che sua madre dainvitare.

    Mise da parte quella fede, e guard l'altrache stava sotto:

    Elena Bellazio, maritata Villa, morta il 4luglio 1871, nata il 10 agosto 1845.

    --Anche lei aveva ventisette anni, ed ha

    lasciati quei due bambini tanto gracili, cheil padre dovette andare a stabilirsi in

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    riviera per tenerli vivi coll'aria e coi bagnidi mare.

    La gioia di Marco era offuscata. Ilpensiero di quei cari morti che glilasciavano tanto vuoto intorno, di queinipotini la cui vita era tanto incerta, lorattristava. C'era ancora una fede datogliere prima di mettere a posto quelladel padre.

    Vittorio Bellazio morto il 30 settembre

    1868, nato il 2 agosto 1843.

    A ventiquattro anni non ancora compiti. Simoriva tutti tanto giovani nella sua

    famiglia! Povera mamma! Di quattro figline aveva gi sepolti tre. Ed era stata sola asopportare quegli immensi dolori. Ilmarito l'aveva perduto da tanti anni,

    quando i figli erano ancora piccini. Marconon l'aveva neppure conosciuto. Era nato

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    da poche settimane, quando il padre eramorto, dopo sei anni di matrimonio. Seianni, povera mamma, e poi venticinque di

    solitudine. E non s'era rimaritata, nonaveva amato pi. Tutti quegli anni digiovent li aveva consacrati ai suoi figli...

    Marco rimaneva intento su quella carta,col capo fra le mani, fantasticando tuttoquel passato triste, quelle date funebri cheavevano funestata la sua famiglia; e nonpoteva scacciarsi dal pensiero quell'et:

    ventisette anni. Tutti erano morti prima dicompire i ventotto. E lui ne aveva quasiventisei.

    Se anche lui avesse dovuto morire fra unanno, fra pochi mesi! E lasciare la suasposa vedova, cos giovinetta... E magaricon un bambino; un bambino gracile,

    malaticcio, come i figli della poveraElena... E condannarla ad una vita

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    d'abnegazione e senz'amore come quelladella sua mamma!.. Oh Dio Dio! Ma perchmorivano tutti. a quell'et? Che

    maledizione li perseguitava?

    Lui era sempre stato assente in quellecircostanze. Aveva passati sei anni inIsvizzera; i particolari delle malattie che gliavevano portati via tre fratelli li ignorava.Ma doveva essere una soia identicamalattia; una triste eredit di famiglia.

    Impaziente, nervoso, frug ancora fra lecarte, e tir fuori le dichiarazioni mortuariedel medico, delle quali sua madre avevaserbate le copie.

    Tisi polmonare. Tubercolosi. Tisigaloppante...

    Marco s'era fatto pallidissimo, fino lelabbra erano bianche. Tremava tutto,

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    aveva le mani diaccie, ed un infinitoabbattimento lo invadeva come se stesseper morire.

    --La tisi non perdona. Io pure dovrandarmene come i miei fratelli. Questopensiero si formul nel cervello di Marcocome una verit accertata, indiscutibile.Gli pareva impossibile di non averlosaputo prima. Era alto e sottile; era magroanzi. Ecco perch sua madre non gli avevamai voluto parlare delle malattie de' suoi

    poveri morti.

    Gli diceva che quel discorso la rattristavatroppo. Ma invece, era per non

    impensierir lui, che lo sfuggiva. E suopadre pure era morto prima dei ventottoanni, d'una malattia di languore, diceva lavedova. Doveva essere lo stesso male che

    si era riprodotto nei figli. Marco esaminle dichiarazioni mediche che rimanevano,

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    spiegazzando le carte con mano febbrile.Anche il padre era morto di tisipolmonare.

    Marco ripens i bambini di sua sorellapallidi e biondi, colle manine lunghe o lavocina esile.--Cos sar tutta la nostragenerazione. La mia, perch quei bambininon vivranno tanto da procreare altriinfelici...

    Tutti i sogni ridenti che aveva portati da

    Gradate erano dileguati; pareva che gliavessero steso dinanzi un velo nero fitto.

    Vedeva s stesso debole, steso in una

    poltrona, e la sua bella sposa dimagrita,curva sulla culla d'un bimbo moribondo, inuna casa malinconica...

    Piangeva un pianto silenzioso, desolato;piangeva la sua salute perduta, le sue

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    speranze morte, il suo amore...

    --Dovr confessar tutto alla Maria ed a sua

    madre. Non voglio ingannarle. Incoscienza non potrei farlo. Se accetta didividere la mia vita di sventura...

    Quella scena triste torn a passarglidinnanzi al pensiero; e la Maria era vestitaa bruno, ed il bimbo moriva...

    --Se accetta? Ma son io che non debbo

    accettare il suo sacrificio. Son io chedebbo rinunciare a sacrificare una poveragiovane, a mettere al mondo dei bimbimalati, ad eternare la disgrazia che pesa

    sulla mia famiglia...

    Son il tocco dopo mezzanotte. Alla metdi settembre le nottate cominciano ad

    essere fredde. Marco sent un brividopercorrergli le reni, ed un impeto di tosse

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    gli scosse un momento il petto. Croll ilcapo, come per dire: Ecco, sono andato.

    Poi prese un foglio di carta e si mise ascrivere. La penna scorreva, scorrevanervosamente, le righe si coprivano congrande rapidit, ed intanto i singhiozzi loscotevano tutto, e tratto tratto qualchelagrima cadeva sul foglio. Si asciugava gliocchi perch non ci vedeva pi, e tiravavia a scrivere, a scrivere. Era un addiodisperato, tragico, alla sua sposa. Non

    doveva vederla pi, ed esser forte. La suacoscienza glielo comandava; volevaobbedire coraggiosamente, pel bene dilei. Poi cominciava a dirgliene la ragione.

    E si fermava a piangere su quelle mortiimmature, su quelle tombe, e s'inteneriva,e s'abbandonava a ricordare i suoi sogni difelicit svaniti per sempre, a fare grandi

    proteste d'amore e di devozione malgradotutto, fino alla morte, alla sua morte

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    solitaria...

    Traverso i vetri chiusi della finestra si

    vedeva gi il bianco dell'alba che nonpareva ancora luce, e Marco non avevafinito di scrivere, e piangeva sempre.Continu ad accumulare le pagine, triste,desolato, ed ogni volta che la brezzamattutina, gli dava un brivido, provavacome il terrore della morte.

    Quando, pi tardi, entr nella cameradella sua mamma, la povera donna fuimpaurita, tanto era pallido in viso, cogliocchi cerchiati e profondamente mesti.

    --Che cosa ti accade, Marco? Per carit!grid balzandogli incontro.

    Egli si lasci andare come morto soprauna sedia, e cedette ancora ad un impeto

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    di pianto. Poi, facendosi forza, vergognosodi quell'atto di debolezza, si asciug gliocchi, cerc di rinfrancare la voce, e disse:

    --Non nulla, mamma; non ist male perora; soltanto, sento una sensazione difreddo in mezzo alle scapole, ed ho un po'di tosse...

    La mamma si fece bianca bianca, edun'espressione di inesprimibile angosciale alter il volto. Aveva udite tante volte

    quelle parole!

    --Ma da quando hai la tosse? domandtutta tremante. Da quando ti venuto

    questo male?

    --Chi lo sa? il nostro male di famiglia;ne portiamo il germe nascendo... Ma

    questo non importa, soggiunse Marcosedendo accanto alla signora Bellazio, che

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    a quel discorso era caduta sulla sedia inuna profonda desolazione. Non importach'io viva qualche anno pi o meno. Quello

    che mi affligge di non averci pensato,avanti di contrarre un'impegno collaMaria... Io non ho diritto di prender moglieper trasmettere ai figli la disgrazia che hacolpiti tutti noi...

    E le disse la sua risoluzione, tornando acommuoversi.

    --Staremo fra noi, mamma. Mi assisterai tucome hai assistiti gli altri, ed almeno nonavremo rimorsi...

    Le preghiere, le persuasioni della madrenon valsero a nulla; era cos convinto didover morire che si sentiva gi staccato datutto; studiava in s i sintomi del male, e

    vedeva coll'immaginazione il quadro dellasua fine.

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    Tutto quello che la signora Bellazio potottenere fu che non prendesse una

    risoluzione prima d'aver parlato colmedico.

    Lei non poteva credere che Marco fossemalato.

    --Sei sempre stato forte, andavaripetendo. la prima volta che dici d'averla tosse. E poi, non rassomigli a nessuno

    de' tuoi fratelli, n al babbo, poveretto.Rassomigli a me che sono robusta. Ma che!Ma che! Tu non hai nulla...

    Il tempo incalzava. Si chiam il medico ilgiorno stesso; il dottor Andreoni, unvecchio che aveva assistiti tutti i figli ed ilmarito della signora Bellazio. Egli fece una

    lunga oscultazione, esamin il giovaneminutamente, e si mostr soddisfatto del

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    suo stato.

    --Non solo non ha la menoma lesione ai

    polmoni, disse, ma non ha nessunadisposizione ad averne. Ha un bel toraceampio, e l'apparecchio respiratorio nonpotrebbe essere meglio costituito. Stai dibuon animo, figliolo. Potrai morire diqualsiasi male, perch tutti si muore, manon morrai di tisi.

    La signora Bellazio piangeva di gioia a

    quelle parole. E Marco pure parverassicurato. Soltanto disse che avevaricevuto una scossa, che, qualunque nefosse la causa, pel momento non si sentiva

    bene. E senza mandare quella letteradisperata che aveva scritta, volle ad ognicosto che si differissero le nozze perqualche tempo, finch egli non si sentisse

    completamente ristabilito in salute.

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    La signora Bellazio and in persona aGradate il giorno stesso per evitare che sifacessero gli ultimi apparecchi; espose le

    circostanze che avevano inquietata pelmomento la coscienza delicata di Marco,ed ottenne dalla signora Nardi, non solouna facile adesione, ma una vivissimaapprovazione per quella misura diprudenza, che mirava a non esporre suafiglia ad un matrimonio disgraziato. Le duevedove si separarono amichevolmente:

    --I ragazzi sono giovani, conclusero;quando Marco sar guarito, se la Mariasar ancora libera, si riuniranno.

    In casa Bellazio si riprese la solita vita. Dacirca un anno, Marco aveva ottenuto ilposto di direttore meccanico in unagrande officina. Passati quei giorni di

    turbamento, ricominci ad uscire il mattinope' suoi lavori, ed a passare la giornata

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    fuori. Era taciturno, e questo facevameraviglia perch aveva un caratterenaturalmente sereno ed espansivo. Ma sua

    madre attribu quella malinconiaall'allontanamento della sposa, allesperanze che aveva lasciate svanire, e nongliene parl. Alla fine di settembre madree figlio andarono ad abitare il nuovoalloggio preparato per gli sposi; ma lasposa non c'era, e l'inaugurazione delquartierino elegante fu tutt'altro chefestosa. La camera nuziale rimase chiusa, e

    Marco si fece mettere un letto nello studio,una stanzetta piccola dove stava rinchiusotutte le ore che non erano reclamate dallesue occupazioni fuori di casa, assorto in

    lunghe letture.

    Sua madre avrebbe preferito di passarela sera in compagnia, o di vederlo andar

    fuori e divertirsi; ma egli rispondevasempre:

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    --Questa sera non ho voglia di parlare;preferisco leggere un poco; sar per

    domani, mamma. Ma il domani di starallegro e di divertirsi non veniva mai.

    --Non ti senti bene? domandava spessosua madre. Ma egli la rassicurava: erasoltanto un po' stanco... E lei confidava checol carnevale tornerebbe allegro, e siriprenderebbero le relazioni colle signoreNardi.

    L'ottobre pass uggioso a quel modo.Neppure l'ora del piccolo pranzo difamiglia, che altre volte era tanto animata

    dalle ciarle di Marco, dalle suedimostrazioni affettuose verso la mamma,dalle loro discussioni sulla musica,sull'esposizione di Brera, sulle mode, sulle

    nuove pubblicazioni, ora era silenziosa etriste. Marco mangiava poco e

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    distrattamente, ed appena aveva finito,pigliava un giornale o un libro peraspettare il caff, poi se ne andava nella

    sua camera.

    Qualche volta la signora Bellazio lopregava di accompagnarla a teatro. AlManzoni c'era la compagnia Pietriboni chedava una nuova commedia di Ferrari. AlDal Verme c'era l'opera semiseria conartisti buoni... Marco non si facevapregare; ma rimaneva tutta la serata in

    fondo al palco, senza prestare la menomaattenzione allo spettacolo.

    In novembre il dottor Andreoni, che

    andava qualche volta a passare la seracolla signora Bellazio, le disse:

    --Che cos'ha Marco? Questa mane l'ho

    incontrato; era un po' abbattuto, e serioserio. Ha in mente ancora quella

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    malinconia della tisi?

    --No, rispose la madre. Dice che non ci

    pensa pi; ma di certo ha cambiatocarattere dopo che ha mandato a monte ilmatrimonio.

    --Cerchi di ravvicinarlo alla sposa.Dacch rassicurato sulla sua salute, nonc' pi ragione che rinunci a' suoi disegni.L'amore della sposa, il cambiamento divita, l'orgasmo delle nozze, gli faranno del

    bene. Non mi piace quella tristezza.

    La signora Bellazio ne parl al figlio:

    --Ora che sei persuaso di non essereammalato, perch non vai a fare una visitaalle signore Nardi che sono tornate incitt?

    --Non mi pare il caso, rispose Marco.

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    Dacch abbiamo rotto il matrimonio...

    --Rimandato soltanto, a tempo

    indeterminato; e fra noi non c' statonessun dissapore. Temevi per la tua salute,hai preso tempo a riflettere. Ora stai bene,la tua affezione sempre la stessa per laMaria, mi figuro. naturale che tu ritorni alei.

    -- ancora troppo presto, disse Marco. Epoi, non si sa che impressione abbia fatto

    sulla Maria il mio distacco. Preferiscoincontrarla in societ, vedere prima comesi contiene, se si mostra risentita, se hacambiato pensiero...

    Ma in societ Marco non ci andava.Diceva sempre che era stanco, che avevada scrivere, e differiva di volta in volta. Si

    faceva sempre pi misantropo.

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    Il dicembre fu molto rigido. Ci furonodelle grandi nevicate che rendevano lecontrade quasi impraticabili. Andando

    all'officina, dove per la fine dell'anno sidovevano fare delle riforme e degliingrandimenti, Marco si preseun'infreddatura, che lo obblig a starequalche giorno a letto. La signora Bellaziofece subito chiamare il medico, e quandoquesti entr in camera, Marco disse:

    --Ci siamo, dottore; ora comincia la tosse.

    --E domani finir, rispose il medicoridendo; poi, dopo averlo visitato,soggiunse:

    --Ti sei buscata una bronchite; leggera,ma che ti far stare a letto una settimana.

    Marco sorrise con aria incredula, e nonrispose.

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    Dopo cinque o sei giorni si alz, masempre pi triste. Il dottor Andreoni lo

    trov seduto in una poltrona colle manipendenti, il capo chino, un'aria da vittimarassegnata, come se fosse stato infermotutta la vita. Gli applic il termometro sottol'ascella, lo esamin, poi disse:

    --Sei guarito; abbiti un po' di cura peralcuni giorni ancora, e non c' altro. Sta dibuon animo.

    --S, s, sono guarito; ripet Marco colsolito piglio incredulo.

    --Perch lo dici a quel modo? Cosa tisenti?

    --Nulla mi sento. Sto benissimo. Fra sei

    mesi star anche meglio. Non vede comeingrasso? E mostr le sue mani, che infatti,

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    da qualche tempo, erano smagrite, comotutta la sua persona.

    --Sfido! Se non mangi...

    --Si mangia a seconda dell'appetito che siha, e si ha appetito a seconda della salute.

    --Ma la salute, mio caro, dipende anchemolto dalle disposizioni d'animo in cuiviviamo. Tu, da un pezzo in qua, ti dai allavita solitaria, alla malinconia. Se credi che

    questo regime ti giovi...

    --Caro dottore; io non sono pi paurosod'un altro. La morte non mi spaventa; ma

    ammetter che la prospettiva di finirecome i miei poveri fratelli, di lasciar qui lamamma sola, dopo averle straziato il cuorecon una lunga malattia, non fatta per

    mettermi di buon umore.

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    --Ma dove la vedi questa prospettiva?domand il medico; t'assicuro che seiforte, che stai benissimo.

    Marco mostr parecchi trattati dimedicina che aveva sulla scrivania, e cheda qualche tempo erano diventati i suoilibri prediletti, e disse:

    --Questi sono pi sinceri di lei, dottore;mi dicono la verit che lei vorrebbenascondermi, e mi fanno bene, perch mi

    preparano all'avvenire che mi aspetta.

    Il dottore si trattenne a lungo a discorrerecon lui; gli espose minutamente il suo stato

    di salute, la sua costituzione, quali glirisultavano dalle ripetute visite,precisamente come avrebbe fatto con uncollega chiamato in consulto. Ma Marco gli

    rispondeva colla solita ragione del maleereditario. Quell'idea gli si era fitta in

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    mente con una forza spaventosa, egl'impediva di apprezzare qualsiasiargomento in contrario.

    I giorni passarono, venne il gennaio,cominciarono le feste del carnevale, eMarco continuava a stare in casa come unconvalescente. Quando gli dicevano diuscire rispondeva che faceva freddo, cheil tempo era umido, e rimaneva per lungheore immobile nella poltrona, e guardavafuori dalla finestra con certi occhi da

    moribondo che saluta la luce, che facevaveramente piet.

    Il medico cominci a mettersi in pensiero

    seriamente.

    --Se vai di questo passo, ti ammaleraidavvero, gli diceva.

    Ma tutto era inutile, e Marco dimagrava

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    visibilmente.

    Sul finir di gennaio il dottor Andreoni

    prese a parte la signora Bellazio e le disse:

    --Mia cara signora, bisognaassolutamente che quel ragazzo cambimodo di vivere, se non vuole ammalarsi.Sono quattro mesi che si sta crucciandocon un'idea penosa; dimagrato, e quellamalinconia potrebbe procurargli il maleche teme.

    --Ma cosa posso fare? domandava lapovera donna piangendo; ho tentato ognimezzo, gli ho proposto di viaggiare, ho

    invitati i suoi amici, l'ho obbligato adaccompagnarmi fuori; ma, con chicchessiae dovunque, la sua tristezza non loabbandona mai. Cosa posso fare, mio Dio?

    --Cerchi di persuaderlo che non ha

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    nessun male, che non ha disposizione allatisi; non c' altro. Infatti non ci hadisposizione, glielo assicuro io in

    coscienza.

    Dopo un lungo colloquio col medico, chepass una parte della serata con lei, lasignora Bellazio entr da Marco, pallida edabbattuta, cogli occhi ancora rossi, ed ungran peso sul cuore. Era una scenadesolante. Avere in s la certezza che il

    suo ultimo figlio era sano, che avrebbepotuto vivere, e vederlo spegnersivolontariamente per un pensiero ostinato,vederlo andare incontro alla morte

    straziante de' suoi poveri fratelli, era unatortura, per quella madre gi tantosventurata.

    Eppure in quel momento era evidenteche un'altra agitazione la turbava. Lottava

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    con s stessa. Sentiva d'avere un dovereda compiere, e non ne aveva la forza.

    Un momento s'accost al figlio, e susurr:Senti, Marco; poi le manc il coraggio diproseguire; una timidezza invincibile lestrozzava le parole in gola. Quello chedoveva dire era troppo difficile.

    Sull'imbrunire, rinfrancata dallapenombra che la avvolgeva come in unvelo, cominci:

    --Senti, Marco; debbo dirti una cosa...

    Ma quand'egli le alz in viso i suoi

    occhioni indifferenti con un'aspettazionesenza interessamento, si intimid un'altravolta, e soggiunse fremendo:

    --No; non posso. Vi sono delle confessionidifficili; troppo difficili, per una povera

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    donna.

    And fin sull'uscio per ritirarsi nella sua

    camera, poi torn indietro, nervosa,eccitata, ed esclam:

    --E tuttavia non posso lasciarti passar lanotte cos. Da' retta, tu non sei malato, nonpuoi esserlo; capisci che non puoi esserlo;capisci che non puoi? Che sono io che te lodico?

    --Tu ne sai di molto, rispose Marco, colsuo sorriso rassegnato. Lo dici oggiperch l'avrai udito dal medico. Ma se non oggi sar domani. Quando si di quel

    ceppo....

    --Ma se _non sei_ di quel ceppo! grid lapovera donna, nascondendosi il volto fra

    le mani e scoppiando in singhiozzi.

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    --Mamma!... esclam Marco balzando inpiedi.

    Ma la vide in una convulsione di pianto,avvilita, vergognosa, e non os dir altro.

    Ella rimase un momento, forse aspettandouna interrogazione conciliante sulla colpache confessava, poi usc semprepiangendo e senza scoprirsi il volto.

    Marco non ebbe il coraggio ditrattenerla. Provava un'ignota sensazionedi vergogna come se il colpevole fossestato lui. Ad un tratto si sent travolto in

    tutt'altro ordine di sentimenti e d'idee. Ilgerme del male di famiglia non c'era; nonpot pensarci pi. Ma sent un'ontapesargli addosso, come un nemico da

    combattere, e tutto il suo sangue si mise aribollirgli nelle vene. Non era debole, non

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    era malato, ed aveva un avvenire dinanzi as. Sent di dover agire, ed il primopensiero che gli si affacci alla mente fu

    per sua madre.

    L'aveva vista piangere di vergogna, e nesentiva una grande piet. Avrebbe volutoandare ad abbracciarla, a dirle checomprendeva quanta abnegazione dovevaesserle costata la rivelazione di quelsegreto; che quell'atto di lealt espiavamolto; che l'amava sempre, che voleva

    perdonarle. Pensava delle scuse per lei; lasua giovent, l'infermit del marito, forseun matrimonio contratto senza amore; maal momento d'avviarsi gli manc il

    coraggio.

    Dacch era al mondo, era avvezzo atrattarla con tanto rispetto, che gli sarebbe

    sembrato d'insultarla facendo allusione aquanto lei aveva confessato. Era un

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    argomento di cui non era possibile parlarefra loro. Non avrebbe osato neppure dirivederla per qualche tempo; sarebbe

    bastato che i loro occhi si fosseroincontrati, per confonderli e farli arrossiretutti e due.

    Si diede a pensare seriamente che cosapotrebbe fare.

    Dopo quella rivelazione le cose eranomutate per lui. Il patrimonio del signor

    Bellazio non gli apparteneva. Egli poteva,per salvare l'onore di sua madre, portarneil nome, ma non voleva appropriarsene ildenaro. Quando aveva domandata la mano

    della Maria era quasi ricco; ora possedevasoltanto il suo impiego e poche migliaia dilire guadagnate nella sua brevissimacarriera da ingegnere, e che aveva gi

    spese in parte per addobbare la sua nuovacasa.

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    --Se mi ama davvero, questo nondovrebbe cambiare le sue risoluzioni,

    pens. E stabil di andare dalle signoreNardi la mattina seguente.

    Quanto a sua madre, non si sentiva laforza di rivederla pel momento. Scrisse unbiglietto:

    Mamma cara,

    Perdonami se vado via per alcuni giornisenza salutarti; e consolati nel tuo cuoreamoroso, pensando che sono guarito dalleubbie che mi tormentavano,

    Vado dalle signore Nardi. Le miecircostanze sono un po' mutate. Non so sela sposa che avevo scelta quando mi

    credevo ricco s'accontenter ora d'unpovero giovane senza patrimonio.

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    Perch sai che non ne ho, non possoaverne. L'usufrutto appartiene a te, e la

    propriet della sostanza Bellazio spetta aifigli della mia povera sorella.

    Ho fede nell'affezione e nella generositdella Maria, e credo che il matrimonio sifar egualmente e presto. In tal casoaccompagner quelle signore a Gradate,perch desidero di maritarmi quietamentein campagna, e poi ander a fare un breve

    viaggio per aspettare il giorno delle nozze.Allora ci rivedremo, mia cara mamma, evivremo sempre uniti, nel nostro belquartierino, che la tua bont ci ha

    preparato, e dove la camera nuziale nonsar pi chiusa. Parleremo dell'avvenireche ci aspetta, soltanto dell'avvenire; esaremo tutti felici. Tu pure sarai felice,

    mamma cara e venerata sempre.

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    _Il tuo_ MARCO.

    Quando la mattina volle consegnare lalettera alla cameriera, da rimettere a suamadre appena si fosse svegliata, gli furisposto che la signora aveva dovutouscire di buon'ora, ed aveva lasciato nellasua camera un'imbasciata per lui.

    Marco entr subito nella camera di suamadre, e trov infatti un biglietto sulla

    scrivania diretto a lui.

    --Non posso assistere alle tue nozze,scriveva la povera donna, n vivere, come

    avevo sognato, presso di te. Non si puilludersi che il male non si espii presto otardi; e questa la mia espiazione. Vado aNervi presso i bambini della povera Elena,

    e se il loro babbo mi vorr, rimarr conloro. Posso sperare almeno che tu mi

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    scriva?

    L'umilt di quella lettera fece male al

    cuore buono di Marco. Ma egli non pot ameno di approvare quella separazione.

    Erano appena le nove, e sarebbe statoimpossibile andare a quell'ora in casaNardi. Impieg il tempo che gli rimanevada aspettare, a scrivere una lettera a suamadre, invece di quella che avevapreparata. Le notific la sua risoluzione di

    rinunciare al patrimonio Bellazio, edaggiunse dei rimpianti per la sualontananza e delle espressioni affettuose,molto al disotto per della tenerezza

    vivissima che provava in quel momentoper lei. Temeva che qualsiasimanifestazione insolita potesse parereun'allusione alla confessione ricevuta, e si

    trattenne per non dir troppo.

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    Dalle signore Nardi, Marco trovfacilmente il modo di spiegare come sifossero dissipati i dubbi che lo

    tormentavano circa la sua salute.L'assicurazione ripetuta del medico dopoun'osservazione di quattro mesi, era piche sufficiente a persuadere chiunquedella sua buona costituzione. Ma fuimbarazzato per addurre una ragionesoddisfacente del suo improvvisocambiamento di stato. Non c'era tempo dapensarci su, e dovette appigliarsi al solito

    pretesto delle speculazioni mal riescite.Gli era rimasto soltanto un piccolocapitale, che aveva sacrificato per fare unarendita vitalizia a sua madre, affinch

    potesse godere le agiatezze alle quali eraavvezza....

    Se si fosse trattato di persone pi cupide

    ed esperte di affari, sarebbero forse natediscussioni sulla legalit della cosa. Ma la

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    Maria era innamorata, e non badava adaltro; e la madre, vedova anch'essa,approv di buon grado quello che un figlio

    devoto aveva fatto per un'altra madrevedova. Del resto gli sposi, tra tutti e due,potevano mettere insieme circa dieci milalire all'anno; Marco era avviato in unabuona carriera e la sua condizioneprometteva di migliorare sempre; eraancora un discreto partito. Quelle ragionid'interesse spiegarono anchel'allontanamento improvviso della signora

    Bellazio. Certo fra lei ed il figlio c'era stataqualche discussione che, per quantoaccomodata, lasciava un lieve screzio, e lifaceva desiderare di non far casa comune.

    Le nozze, il viaggio, quelle primesorprese della felicit, assorbironotalmente Marco, che non ebbe testa di

    pensare a nulla. Mand due telegrammi aNervi, nei quali non faceva che dare nuove

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    ottime di s e della sposa, e sfogare la suagioia. Fu soltanto al ritorno, coll'animo pitranquillo, che cominci ad avvedersi d'un

    grande riserbo nelle lettere di sua madre.

    Erano scarse e brevi; parlavanopochissimo di lei, e pi dei bambini, checrescevano sempre bellini e gracili. Marcoaveva risentita tanta riconoscenza perl'abnegazione, con cui quella poveradonna, ch'egli avrebbe onorata semprecome una santa, s'era avvilita con una

    confessione tanto penosa, pur dirassicurarlo sulla sua salute, che noncapiva come mai ella non gli tenesse contodi tanta gratitudine e di tanta indulgenza.

    Dal canto suo la madre, in quella primalettera di Marco, dove anche le parole diperdono e d'amore erano tenute nei limitidel linguaggio abituale, per timore

    d'offenderla con un'allusione al suo errore,aveva trovata una freddezza, che non la

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    faceva pentire di certo della suaconfessione eroica, ma gliela facevaconsiderare mal compensata.

    Ella si andava ripetendo la vecchia storiadi Cristo e della Maddalena che haincoraggiati tanti errori, e imbaldanzititanti colpevoli, e pensava che Marco erastato crudelmente severo verso di lei, chegli aveva consacrata tutta la vita. Quelrifiuto del patrimonio non l'avevapreveduto, e la crucci profondamente.

    Avvezza ad una vita molto agiata, le parevache Marco dovesse patire delle privazioni.E d'altra parte, a che titolo poteva insistereperch accettasse quel danaro? Non os

    parlarne; non os neppure mandare ildono di nozze che aveva preparato per lasposa; tutti i suoi gioielli nuziali rilegati anuovo. Era ancora una ricchezza di casa

    Bellazio; la respingerebbero di certo, e leifremeva al solo pensiero di quell'affronto.

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    Dal canto suo Marco diceva:

    --Povera donna. Nell'impeto dell'affettomaterno la sua coscienza le ha strappatoquella confessione: ma ora rimpiangel'aureola d'onest che ha dovutosacrificarmi, e nel suo orgoglio offeso nonmi perdona d'averla involontariamenteobbligata ad un'umiliazione.

    Finirono per credere ciascuno ad un

    risentimento che in realt non esistevanell'altro. Cio, esisteva, s, nell'animo diMarco, un immenso rammarico per quellacolpa della madre. Come mai aveva

    offuscata la sua bella riputazione di donnaonesta? E chi era quell'uomo? Ci pensavacon fastidio, e non avrebbe volutoconoscerlo. Non gli perdonava d'aver

    avvilita sua madre. E quel povero maritomalato, debole, condannato ad una morte

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    immatura, e, per colmo di sventura,tradito, prendeva nel suo cuore generosoil posto del padre che disprezzava. Di tutto

    questo si era proposto di non lasciartrasparire nulla alla sua povera mamma, edi perdonare, di perdonar tutto, di gettareun velo sul passato, ricordandosi soltantola sua lunga vita di solitudine e di dolore edi devozione materna.

    Ma la freddezza di lei inaspr il suogiudizio, ed egli fin per pensare:

    --Infine, se si allontana da me, se non vuolvivere colla mia sposa onesta, vuol direche sa di non meritarlo, o che non mi ama

    quanto io credevo.

    E rivolse tutto il suo affetto alla propriafamiglia, la quale and d'anno in anno

    aumentando d'un piccolo essere, chereclamava un grandissimo posto nel suo

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    cuore e ne' suoi pensieri.

    Quando i bambini furono quattro, e la

    Maria, un po' stanca, sent il bisogno d'unaiuto, Marco non os pregare sua madre divenire a vivere in casa sua. S'eraallontanata di sua volont, non gli avevafatto neppure una visita in sei anni; nonconosceva nessuno de' suoi figli; non loamava pi. Egli diceva fra s:

    --Accade alle volte che una donna onesta,

    trascinata in fallo da un momento dipassione, prenda in uggia il figlio che lericorda quell'ora vergognosa della suavita. Io poi, che fatalmente dovetti saper

    tutto....

    Fu la madre di sua moglie che and avivere con loro per assistere la Maria nelle

    sue cure materne.

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    Marco prov un momento d'imbarazzoquando dovette annunciare alla signoraBellazio quella novit. Due volte cominci

    una lettera su quell'argomento, ma non gliriesc di concluder nulla. Fin per dire lacosa semplicemente, come unacircostanza secondaria in una lettera dellesolite, senza mostrare di darci maggiorimportanza.

    Mia suocera, che in causa dei bambini venuta a vivere in famiglia con noi,

    m'incarica di unire i suoi saluti affettuosi ainostri....

    La risposta, sebbene molto ritardata, era

    piena di malinconia. La mamma ritrovavatutta la sua tenerezza. Si struggeva divedere Marco. Sapeva che la vita attiva loaveva fortificato, che era anzi sulla via

    d'ingrassare. Il medico glie lo avevascritto. Le era riserbata quella gioia dopo

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    tanti dolori, di sapere che suo figliovivrebbe lungamente, sano, con unafamiglia rigogliosa. Oh quanto desiderava

    di vederla quella famiglia, quanto!

    Marco, nel segreto del suo studio, piansesu quella lettera della madre. Ella siteneva in corrispondenza col medico peressere informata della sua salute, poveradonna. Egli l'aveva accusata a torto di nonamarlo. Non era che il sentimento dellasua umiliazione che la teneva lontana.

    Marco non aveva mai avuto bisogno dicure mediche in quei sei anni. Aveva un

    florido appetito, digeriva senzaavvedersene, dormiva bene, resisteva allafatica; il suo umore era sereno ed uguale, isuoi nervi tranquilli. La Maria, nei lievi

    incomodi delle sue crisi materne, avevadesiderato d'essere assistita dal suo

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    medico di famiglia, che pi tardi avevacurati anche i bambini nelle loro piccolemalattie.

    Il vecchio medico Andreoni era statolasciato da parte. Marco lo avevaincontrato qualche volta qua e l, maaveva appena scambiate poche parole, el'aveva lasciato senza invitarlo a visitaresua moglie. Gli rimaneva un restod'imbarazzo per la scena della sua tisisupposta; non sapeva in che termini la

    signora Bellazio gli avesse spiegata laguarigione di quell'idea fissa. Temeva chesapesse tutto, perch godeva da anni laconfidenza della famiglia. Ed il dottore era

    tanto vecchio, e d'un'onest cosesemplare e riconosciuta, che Marco sitrovava male dinanzi a lui, pensando cheforse giudicava severamente sua madre.

    Ma, al ricevere da lei quella lettera

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    affettuosa, prov un gran desiderio dirivedere il vecchio amico della suafamiglia. Dacch sua madre gli scriveva, e

    riceveva da lui le informazioni sulla salutedel figlio, era certo ch'egli la tenevasempre nella stessa considerazione, e nonsapeva nulla.

    Non os andarlo a trovare dopo tantotempo, ma frequent il circolo politicodove l'aveva incontrato qualche volta,sperando in una combinazione fortunata.

    Sgraziatamente la combinazione noncapit, e, domandando ad un conoscente,seppe che il dottor Andreoni eraammalato.

    Allora non esit pi, ed and a vederlo.Non era una malattia grave; era un accessodi podagra che impediva al vecchio quasi

    ottuagenario di uscire di casa. La vista diMarco gli fece un piacere vivissimo. Gli

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    strinse le mani, tanto commosso, che allaprima non pot parlare; poi gli disse:

    --Dammi un buon bacio, figliolo; eraccontami come stai e cosa fai.

    Marco lo inform della sua situazione,della sua famiglia, di tutto.

    --Cinque bambini! esclam il vecchio.Daranno molto da fare alla tua sposa.

    --C' la sua mamma che l'aiuta, disseMarco un po' imbarazzato.

    --Ma non vive con voialtri, osserv il

    vecchio,

    --S, da qualche mese facciamo casacomune; appunto per i bambini....

    --Ah! Era il posto della tua povera

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    mamma, quello! sospir il medico.

    --Ma quegli altri due laggi che sono

    orfani, hanno tanto bisogno di lei, s'affretta rispondere Marco.

    -- vero, vero, soggiunse il medico. E latua salute come va? Ci hai pi pensato allatisi?

    --Che! Non ci ho disposizione; disseMarco. Ora ingrasso davvero. E poi ho

    fatte le mie prove. Capir che la direzioned'un'officina cos vasta non mi lascia moltoriposo. Alle volte mi tocca di salire venti,trenta chilometri al giorno, in montagna,

    per vedere dei materiali; non possobadare n al sole n all'umidit; eppurenon ho mai avuto una tosse. Sonorefrattario.

    --E non hai paura che quel male si

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    sviluppi?

    --Che! stata un'impressione giovanile.

    Ero appunto nell'et in cui sono morti tutti imiei. Ma ora l'ho passata quell'et, e diparecchi anni, purtroppo.

    --Quanti anni hai?

    --M'avvio verso i trentatr,

    --Dunque ora sei sicuro. Ed il medico

    continu a parlargli di quell'argomento.Gli narr molti casi, di famiglie colpite dauna malattia ereditaria, nelle quali poi ilcontagio s'era arrestato per non ripetersi

    pi per molte e molte generazioni. Delresto Marco non ci pensava pi da unpezzo, ed anche indipendentemente dallaragione suprema che gli aveva data sua

    madre, non capiva come mai avessepotuto lasciarsi impressionare a quel

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    modo.

    Quando si alz per congedarsi, il vecchio

    gli disse:

    --Non permetterai che, quando potruscire, io venga a conoscere la tuasignora?

    Marco accolse quella domanda con gioia;provava un vero sollievo a quelravvicinamento. Infatti, circa due

    settimane dopo, il dottor Andreoni and incasa Bellazio, si fece subito amico collaMaria e volle vedere tutti i bambini chetrov belli e floridi. Pi li esaminava e pi

    si metteva di buon umore.

    --Che toraci! esclamava, e che organivocali! Questo deve rassicurarti sullo stato

    dei loro polmoni.

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    Marco sorrideva di compiacenza. Avevainfatti la calma serena d'un uomo felice.

    --Se li vedesse tua madre! disse ilmedico. Una nube pass sulla fronte diMarco. Forse quella stessa salute di lui edei figli, non farebbe che richiamarle ilricordo vergognoso della loro origine.

    Intanto le nuove di Nervi erano consolantia proposito dei nipotini di Marco. L'ariamarina aveva rifrancata la loro costituzione

    debole. La ginnastica, un buon regimeigienico, avevano contribuito a risanarli.

    Tutti e due avevano scelta la carriera

    militare, e si disponevano ad entrare in uncollegio d marina.

    Una mattina Marco ricevette un bigliettodal dottor Andreoni che lo pregava di

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    recarsi da lui, e vi corse subito.

    --Non sono venuto io da te perch avevo

    bisogno di parlarti da solo, disse il vecchioappena lo vide entrare. Aveva un'aria assaigrave, e Marco si impauri.

    --La mamma ammalata? domandansiosamente.

    --No, figliolo. Tua madre sana e forte,ed lei che ha trasfuso in te quell'onda di

    sangue puro che ti ha salvato.

    Marco chin il capo, e non disse nulla.

    --Sicuro, ripigli il medico. Lei, lei sola,capisci?

    L'imbarazzo di Marco cresceva. Cosa

    voleva dire quell'allusione? Alz gli occhiimbarazzato, un po' severo, come per far

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    comprendere al suo vecchio amico chequel discorso era indiscreto. Ma il dottorecontinu:

    --Al suo sangue robusto devi la tua salutefisica; ed al suo cuore generoso ed eroico,devi la tua salute morale.

    Tacque un minuto, guardando il giovineonestamente negli occhi, poi vedendoloturbato e commosso soggiunse:

    --Ti ha ingannato! sempre stata la pionesta delle mogli, adorava il suo poveromarito, ed adora te, perch sei tuttoquanto le rimasto di lui.

    Marco si alz con impeto, tutto pallido etremante come per correre ad abbracciaresua madre. Poi si gett al collo del

    vecchio, e rompendo in un pianto convulsoesclam:

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    --Oh, dottore! Mi dica che vero!

    --L'ha immaginato lei, nella suadisperazione quell'inganno pietoso. Me lodisse pi tardi, ed io non potei cheapprovarlo, dacch ti aveva guaritodall'idea fissa che ti perseguitava; ma nonsapevo che dovesse costarle tanto dolore,n durar tanto. Speravo che tu larichiamassi, e che avreste continuato avivere insieme fino al giorno in cui,

    vedendoti rassicurato, ella potessegiustificarsi con questa lettera.

    E gli porse una lettera suggellata. Marco

    l'aperse, e, traverso le lagrime che glivelavano gli occhi, lesse:

    Figlio mio, legittimo e caro:

    Il medico mi dice che, se non riesco a

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    rassicurarti sulla tua salute, la tua vita e latua ragione sono in pericolo.

    Finora non vissi che per te, ti sacrificai lamia giovent; ora ti sacrifico assai pi:l'orgoglio d'essere stimata da te. Affronto iltuo disprezzo per salvarti; mi accuso d'unacolpa che non ha commessa; ma quandosar morta, il dottore, o chi ne riceverl'incarico da lui, ti consegner questofoglio. Ed allora saprai che oggi homentito per salvarti, ma che non ho mai

    mancato a' miei doveri di moglie; erispetterai ancora la mia memoria.

    Quella lettera portava la data di circa otto

    anni prima; il giorno indimenticabile diquella rivelazione.

    Il povero giovane si disper, pianse come

    se avesse ricevuto un annunzio disventura. Non poteva perdonare a s

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    stesso di avere creduto quell'enormit,d'aver lasciato sua madre sotto il peso diquell'accusa. Diceva al vecchio parole

    crudeli perch aveva permesso quelsacrificio inumano, poi lo baciava, e lobagnava di lagrime, e lo benediva peraverglielo rivelato.

    La mattina del giorno seguente, dopo lacolazione, la signora Bellazio madre stavanella stanza da pranzo di suo genero a

    Nervi, preparando il corredo dei giovanimarinai, tutta intenta a numerare lecamicie, le calze, le pezzuole. Ma eratriste. Quei fanciulli, che aveva cresciuti

    con tanta cura, se ne andavano; il padrevoleva stabilirsi alla Spezia per esserevicino a loro. E lei doveva di nuovocambiar paese, trovarsi un'altra volta fra

    gente ignota, lontana da tutti quelli cheamava. Suo genero, del resto, aveva poco

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    pi di quarant'anni. Era amantissimo deigrandi viaggi; era lui che aveva insinuatoai figli l'idea di scegliere quella carriera.

    Alla prima partenza, di certo egli sisarebbe imbarcato per seguirli; e leisarebbe rimasta sola, ora che cominciavaa sentirsi vecchia,

    --Arrivano dei signori, nonna, disse il pigiovane dei suoi nipoti, entrando tuttoeccitato; sono scesi or ora al cancello delcortile.

    La signora Bellazio si scosse di dossoqualche filo bianco, che le era rimasto dalriavviare la biancheria, e s'avvi verso

    l'uscio per andare nel salotto.

    Ma, prima che ci arrivasse, vide entrare ilvecchio medico, che le aperse le braccia,

    e le disse:

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    --Sono qui tutti, e sanno ogni cosa. L'hodetto; non ne potevo pi; ora che leirimaneva sola...

    E Marco si precipit al collo di suamadre, singhiozzando come un bambino; edopo un primo sfogo le mise intorno tutti isuoi figli, e sua moglie, dicendo:

    --Oh, mamma cara! mamma santa!

    La Maria s'era inginocchiata presso la

    suocera e le baciava le mani, mentre ibambini, a cui avevano detto diabbracciare la nonna, esclamavanogiubilanti:

    --Un'altra nonna! un'altra nonna!

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    VITE SQUALLIDE.

    Erano due vecchie zitelle, e vivevanosole. La signora Rosa, tutta piccina, tuttagiallina per una malattia epatica, portavauna cuffietta bianca con alcune cocche dinastro turchino. La trina ed il tulle erano dicotone, rilavati ed insaldati finch cipotevano reggere; ed il nastro avevaconservata appena una pallida tinta delturchino primitivo. Nessuno, neppure tra i

    pi vecchi conoscenti, si ricordava d'avermai visto la signora Rosa senza la cuffia; ilfatto era che quella cuffia l'aveva adottataprima di compir i quindici anni, quando

    aveva sofferto per la prima voltaun'itterizia acutissima che non era poi maiguarita del tutto, e l'aveva accompagnatafedelmente per tutta la sua povera vita. La

    signora Caterina invece era forte erobusta, alta come un granatiere; ed anche

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    i suoi modi bruschi e la sua intelligenzarudimentale, sarebbero stati pi adatti adun soldato che ad una signora. Signora,

    tanto per dire; ed equivale a donna delceto civile; ma quelle due sorelle eranopoverissime. Possedevano di patrimoniocomune ed indiviso, seimila lire, le quali,collocate presso un banchiere amico elontano parente, fruttavano una sommanetta di trecento lire all'anno.

    Fino a pochi anni prima che io le

    conoscessi molto davvicino, le duezitellone avevano avuto la madrecompletamente cieca. A quell'epoca uncugino parroco, cedeva alla vecchia

    parente un quartierino, annesso alla suaparrocchia di S. Giovanni; quattro camereed un giardinetto. Lo cedevagratuitamente, a condizione che le tre

    donne tenessero in ordine la biancheriadella chiesa ed i paramenti.

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    Con quanta coscienza adempivano aquell'impegno! La domenica e tutte le feste

    comandate mettevano da parte i lavori daiquali cavavano da vivere, e, dalla mattinaalla sera, s'affrettavano ad intrecciare altetrine a maglie complicate, per le tovagliedell'altare. La signora Rosa, che sapevalavorar di fino, ricamava a punto buonol'animetta per coprire il calice, ilcorporale, le cotte; orlava finamente icamici, gli amitti, ed i purificatori. Non

    c'era sagrestia pi ben tenuta di quella diS. Giovanni.

    La signora Caterina aveva la passione dei

    fiori; una passione muta, senza espansioni,e modestissima. Non ricercava pianteesotiche o fiori di specie rara; curavadevotamente i suoi geran, i suoi oleandri,

    le limonarie, le aspedistre, ed era felice dimoltiplicarli, di coprirne tutto il parapetto

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    e tutte le aiuole del piccolo giardino. Era lasua unica distrazione, il suo solo piacere.

    Le trecento lire di rendita delle tre donnenon bastavano al loro vitto, per quantomodesto. Ed esse lavoravano per unnegozio. Lavoravano assiduamente, unlavoro monotono e mal compensato, e cimettevano uno zelo da artista. La signoraRosa cuciva biancherie finissime, facevatrafori che parevano trine, rammendi che

    non lasciavano pi trovare la traccia dellalaceratura. La signora Caterina nonlavorava che a punto di calza; ma in quelloera maestra. Le venivano dal negozio delle

    calze colorate a disegni strani, delle uosedello spessore di due centimetri, giubbinie mutande modellati come maglie dateatro, coperte da letto d'un lavoro

    complicatissimo.

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    Lei prendeva quei modelli con malgarbo, dichiarava che erano sciocchezze,che un bel punto semplice valeva sempre

    meglio, che, del resto, lei non era capaced'imitare quelle corbellerie; che, neppuresapendo, l'avrebbe fatto, perch nonmetteva conto; erano idee da genteleggera; preferiva perdere la pratica delnegozio che sottomettersi a fare quellestranezze....

    Intanto guardava, esaminava ben bene il

    modello co' suoi occhi loschi, preparava iferri in misura, la lana, infilava i punti, e,dopo qualche tentativo pi o meno felice,riesciva sempre a copiare la nuova maglia.

    Allora cominciava a sorridere colla suapovera bocca storta, un sorriso muto egongolante di legittimo orgoglio. E si

    metteva a quel nuovo lavoro con ardore,immaginava tutte le applicazioni che gli si

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    potevano dare, se ne innamorava,disprezzava tutti i punti dell'annoprecedente; poi, quando il nuovo

    cominciava a passar di moda, si ribellava,protestava, s'aggrappava a quell'ultimocapriccio, finch non ne veniva un altro adinnamorarla daccapo. Erano i suoi soliamori, da vent'anni in poi, ed eranosempre amori degli altri, che le venivanoimposti.

    Una volta sola nella sua vita aveva avuto

    un amore suo, un amore d'elezione. Eracome un romanzo la storia della signoraCaterina; lei non ne parlava mai, ma lasignora Rosa si compiaceva di raccontarla

    sommessamente, guardando sua sorellacon un'ammirazione retrospettiva, chenessuno poteva pi condividere.

    Da giovinetta, la signora Caterina era

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    bellissima di volto come di persona; allorac'era ancora suo padre, negoziante digeneri coloniali, che guadagnava molto; la

    famiglia viveva benino, e quella bellafanciulla consolava i genitori del crucciod'avere la primogenita malata, edinvecchiata anzi tempo col suo palloregiallognolo e la sua cuffia. Quando laCaterina ebbe vent'anni, le misero il primovestito da ballo e la condussero ad unafesta. L fece la conquista d'un professoredi contrabasso dell'orchestra della Scala di

    Milano, che si trovava a Novara per la granMessa in musica della festa di S.Gaudenzio.

    Prima di ripartire per Milano, eglidomand la Caterina in isposa; e sicombinarono le nozze col consenso di tutti,per la prossima Pasqua. Durante quei

    mesi, lo sposo faceva frequenti gite aNovara. Non era n molto giovane n

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    molto bello; aveva una persona colossale,un viso paffuto e colorito, troppo colorito.Ma era gioviale, buono, espansivo; la

    Caterina ne fu presto innamorata comeun'eroina da romanzo. L'abito da ballo furiposto nell'armadio, perch il corpulentofidanzato non si sentiva bastantementeleggero per danzare, e non amava divedere la sua bella sposa danzare coglialtri: ella non rimpianse quel piacereappena assaporato; il suo amore sicompiaceva del sacrificio.

    Dal d di S. Gaudenzio, che il 22gennaio, alla Pasqua, corsero diecisettimane, e furono dieci visite dello

    sposo, dieci gioie mute e frenate per laCaterina, che lo vedeva in presenza deisuoi, gioiva e palpitava di sentirseloaccanto, ma non osava aprir bocca, e lo

    guardava appena. La decima visita, per,doveva unirli per sempre; e lo sposo, che

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    giunse la sera, era tripudiante, esaltato,pazzo d'amore e di felicit. La Caterinapiangeva in silenzio; si sentiva tanto

    contenta e tanto amata, che ne eracommossa.

    La mattina, vestita da sposa, e pallida pelturbamento interno, era pi bella che nonfosse stata mai. Rimaneva muta dinanzi allospecchio, guardandosi fissa, come sequella bella figura le riescisse nuova, esorridendo forse al pensiero della gioia

    che proverebbe il suo sposo al vederla. Lapiaceva di sentirsi ammirata. Scese lescale, voltandosi indietro per vedersi lostrascico dell'abito bianco; era il suo primo

    abito a strascico.

    C'erano tutti gl'invitati, e le carrozzeerano alla porta. Soltanto lo sposo non era

    comparso.

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    Aspettarono un quarto d'ora, poi giunse ilsagrestano a dire che in Duomo tutto erapronto, e che il parroco si impazientava,

    perch c'erano molti ammalati di vaiuolo,che aspettavano i sacramenti.

    --Infatti c' il Tale che sta male, ed ilTalaltro che moribondo, disse il padredella sposa che conosceva tutte le famigliedella citt. Questo vaiuolo fa strage, dapochi giorni in qua.

    Si mand un garzone del negozioall'albergo a chiamare lo sposo, per nonfar attendere il parroco pi a lungo. Losposo dormiva saporitamente. Bussa e

    ribussa, non c'era verso di farsi udire; el'uscio della camera era chiusointernamente. Era un giovane assestato;aveva con s il denaro pel viaggio da

    nozze, aveva dei gioielli, e non s'era fidato,con quel sonno di piombo che benediva le

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    sue notti, a lasciar l'uscio aperto in unapubblica locanda.

    Vedendo che il giovane del negozio nontornava n collo sposo n colla risposta, ilsuocero ci and lui, e volle chel'albergatore facesse aprir l'uscio del suofuturo genero.

    --Ieri sera era in allegria, ha bevutoanche qualche bicchiere di marsala; chissquando si sveglierebbe, a lasciarlo fare.

    L'albergatore aveva una seconda chiave,colla quale riesc a spingere fuor dallatoppa quella che c'era di dentro, e poi ad

    aprire. Entrarono nella camera. Le imposteerano chiuse, e lo sposo dormiva sempre.

    --Che sonno da marmotta!, disse

    l'albergatore. E spalancando le imposte,fece entrare un bel raggio bianco di sole

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    invernale che illumin tutta la stanza.

    In quella la voce del suocero esclam:

    --Per Dio! Si doveva prevederlo, che erauna disgrazia!

    Il giovane giaceva col capo rovesciato suiguanciali, il volto pavonazzo, gli occhiiniettati e grossi come se fossero peruscire dall'orbite, e la bocca contorta,dalla quale pendeva la lingua stretta fra i

    denti, ed orribilmente gonfiata. Era mortod'apoplessia.

    Si fece di tutto per ingannare la Caterina.

    Si disse d'un telegramma, che lo avevachiamato improvvisamente a Milano, chetornerebbe... Ma non c'era apparenza diverit. Il matrimonio sospeso, il

    turbamento mal dissimulato di tutti, lefecero indovinare una catastrofe, e la

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    misero in una convulsione terribile.Piangeva, urlava, sragionava, si strappavai capelli e le vesti, voleva fuggire, voleva

    gettarsi dalle finestre.

    Bisogn chiamare il medico, il vecchiomedico di sua sorella Rosa, che erasempre in cura pel suo fegato. Perdisgrazia, appunto quel giorno il medicoera a letto con un'infreddatura. Gli altrierano tutti in giro per le visite mattutine; en in casa n alle farmacie si potevano

    trovare. Intanto la ragazza dava in ismanie,pareva che impazzisse.

    Finalmente il padre pens ad un malato

    di vaiuolo, presso il quale un medicoaveva passata la notte, perch l'infermoera aggravatissimo. Vi accorse, e trovappunto il dottore che usciva dalla camera

    del moribondo. Non gli parve vero dicondurlo subito da sua figlia, che a forza di

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    calmanti si tranquill, sebbene rimanesseinconsolabile.

    Era guarita dalla convulsione; per, dopoalcuni giorni, fu presa dal vaiuolo, che sisvilupp violento, terribile. Il medico leaveva portata l'infezione. La sua fortenatura, la sua giovent lottaronolungamente, e trionfarono del male; ma labella fanciulla rimase orrenda. La boccaera contorta, gli occhi loschi; la pelleviolacea e fortemente butterata pareva la

    corteccia d'un popone; ed uno stiramentodi nervi sotto la guancia sinistra, torcevaperennemente il collo da quella parte.Cos erano finite la giovent e la bellezza

    della signora Caterina. Quelle dieci visitedello sposo, avevano riassunta tutta laparte di poesia e d'amore, concessa allasua povera vita.

    Dopo d'allora erano passati molti anni. Il

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    padre era morto, lasciando gli affari delnegozio in cattivo stato; e le due sorelle,invecchiate, s'erano trovate povere colla

    madre cieca, e s'erano ritirate nella casadel prete, dove, per dodici anni, avevanofatto la stessa vita di lavoro e di reclusionesolitaria.

    Dopo dodici anni, la madre cieca si eraspenta quietamente, senza malattia grave,senza dolore. Ed allora il prete avevareclamato il suo quartierino.

    Quando io le vedevo giornalmente, lacasa di San Giovanni non era pi che unamemoria rimpianta del loro monotono

    passato. La signora Caterina non aveva pifiori. Abitavano sulla piazza del mercato dicontro alla nostra casa. Avevano unacamera da letto, dove dormivano tutte e

    due, ed una prima stanza che chiamavanosala, ma che in realt sarebbe stata una

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    cucina. C'era un camino, nel quale lasignora Caterina cucinava il pranzo, unatavola coperta di marmo bianco, che era il

    mobile di lusso, l'orgoglio delle duesorelle, due seggiole poste ai lati delbalcone, e, contro la parete di faccia allatavola, un mobile misterioso coperto conun tappeto verde. Quel mobile erano ifornelli; ma non funzionavano da fornelli.Nei due vani, destinati ad accogliere ilcarbone acceso, erano stati messi duegrandi bacini di terra, che lungo il giorno

    stavano coperti da un'asse sul quale sistendeva il tappeto. Nel vuoto sotto ifornelli c'era il secchio coll'acqua, c'era lamestola e c'erano due casseruole lucenti,

    avanzo della passata grandezza, che nons'adoperavano mai.

    Per quanto di buon'ora si alzassero i

    vicini, nessuno riesciva mai ad esseretanto sollecito da prevenire le due

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    zitellone. Quanto a me, a qualunque orascendessi dal letto, le vedevo sempresedute ai due lati del balcone, con due

    panierini di vimini ai piedi per riporvi lelane, il filo, le forbici, e tutti gli arnesi dalavoro. La signora Rosa cuciva, tenendosi illavoro sulla punta del naso perch eramiope; e la signora Caterina faceva calzecon una rapidit sorprendente, dalla partedel cuore, perch non poteva voltare ilcapo dall'altro lato. Aveva raccolta qualchenovit da raccontare alla sorella, perch a

    quell'ora aveva gi fatta la sua corsa ginella piazza del mercato, per le provvistedella giornata. Narrava il prezzo delle ova,del burro, dei legumi, e se dalla fruttaiola

    l'aveva servita la madre o la figlia, equanta gente c'era dal salumaio. Lasignora Rosa ascoltava in silenzio; aveva igusti pi fin